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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Un uomo simpatico. Lo era sempre stato. Spesso si era chiesta cosa ci azzeccasse con quella simpaticona di sua moglie. Due personalità che non avevano nulla a che fare l’una con l’altra eppure, per qualche strano scherzo del destino, si erano ritrovate a completarsi, finendo per metterla al mondo. Halley si era sempre sentita più affine alla figura genitoriale maschile. Il loro modo di fare, il loro agire in maniera sprezzante davanti a qualsiasi tipo di pericolo. Insomma, tutti sintomi che indicavano una sola realtà, confermata anche grazie alla sua collocazione tra lo schieramento di Grifondoro. Strano. Come se avesse mai nutrito dubbi a riguardo. Certo, non si credeva una stupida ma, in fin dei conti, mai e poi mai sarebbe divenuta come la madre. Quadrata. Scrupolosa e fissata con la storiella dell’iperprotettività. Che si aspettava? Che avrebbe accettato di buona lena il suo consiglio? Ossia di tralasciare l’azione per salvaguardare la sua incolumità, esattamente come aveva fatto lei. La madre in primis non aveva mai voluto esporre le motivazioni per le quali, anni prima, aveva preso la saggia decisione di rinchiudersi tra quattro mura, dall’alto della sua importanza ma privata di quella che, per la mora, era motivo di vita. Non le importava quanto fosse pericoloso una determinata situazione. Ci si lanciava di pancia. Così come giusto che fosse per chi, come lei, avvertiva chiaro e forte, sulla pelle, il richiamo dell’adrenalina. Rimase immobile per qualche istante, scrutando quell’armadio dai tratti familiari, prima che un sorriso le addolcisse quei tratti che, negli ultimi tempi, raramente trovavano motivo di lasciarsi andare. Le era mancato. Più di quanto fosse in grado di ammettere ma, allo stesso tempo, affrontare la sua famiglia la metteva a disagio, proprio per via dei ripetuti silenzi nei quali si era chiusa, pur di non cadere in quel baratro. Come avrebbe spiegato gli ultimi accadimenti? Come presentare il proprio punto di vista, evitando di apparire l’eterna ingrata che se ne frega del parere di una madre apprensiva? Prese fiato e cercò, invano, di rimettere in ordine i pensieri, sperando di riuscire a temporeggiare, fino a quando non si fosse presentata, chiara, una via d’uscita. “Te la chiamo?” Domandò, guardandosi intorno con aria dubbiosa. Nonostante i mesi trascorsi lontano dalla sua terra natia, Jason, non aveva perso il suo senso dell’umorismo, neanche dopo le tragedie familiari che, lei e sua madre, gli avevano imposto con estremo egoismo. Sentiva il senso di colpa ma, allo stesso tempo, la convinzione di essere dalla parte della ragione, prendeva il sopravvento, impedendole di tornare sui suoi passi. Svanì al di là dell’ampia tenda che fungeva da divisorio tra una stanza e l’altra e, rapidamente, si impossessò del suo cappotto, pronta a liberarsi di quel lavoro che, per quel giorno, le era costato gran parte della sua sanità mentale, arrivando addirittura a sedare una semi rissa. Una frustrazione non indifferente. Fece capolino quando, improvvisamente, avvampò. Un lampo attraversò i suoi occhi, andando a parare sul traffico di fotografie che si stava consumando proprio davanti a lei. “Cosa diamine…” Non fece in tempo a ribellarsi più di tanto che il tutto scomparve, con la promessa che vi sarebbe stato ulteriore materiale compromettente. “Sei impazzito? Ho una reputazione!” L’apostrofò con aria seria. Sarebbe bastato uno schiocco di dita per mandare tutto all’aria –o una fottuta foto, ritraente una baby Halley sul vasino a fare i bisogni-. Accidenti a te! Gli arpionò il braccio e lo trascinò al di fuori, lontano da ogni fonte di pericolo. L’irritazione durò giusto il tempo di immettersi nella via principale e, poi, si lasciò cullare dall’istinto che la portò a circondarsi delle braccia di quel padre che, le circostanze, lo vedevano sempre così lontano da lei. Un dolore lancinante. Un dolore al quale, però, si era abituata, così come aveva fatto il callo riguardo il suo fallimento come figlia. La testardaggine da entrambe le parti, certo, fungeva da incentivo ma, d’altra parte, la battitrice era convinta di non aver nulla da spartire con il temperamento della O’Hara, troppo focalizzata sul desiderio di manipolare il futuro di una ragazza che credeva di sua proprietà. Sbuffò sonoramente. Cercando di non cadere in quello che sarebbe stato un pianto a dirotto, volto a rompere quell’argine che tratteneva tutto quel dolore soffocato a stento, per quanto? Troppo. “Da che parte stai?” Alzò lo sguardo, trovando quello simile dell’uomo che le aveva donato quei principi che, in quel momento, se ne stavano lì, pronti per essere chiamati in causa, in caso di una risposta che non fosse quella attesa. Non si sarebbe arrabbiata. Neanche l’avrebbe biasimato. Se a lei era stata concessa la via d’uscita, lui rimaneva costretto in quel vincolo matrimoniale che, nonostante tutto, sembrava ancora renderlo felice dopo tutti quegli anni, passati accanto a una donna tutt’altro che facile.
    Riemerse dall’oscurità, contenta di quanto appena proferito dall’ex Grifondoro. La sua visione non aveva –ancora- avuto modo di esaudirsi. Forse si era davvero preoccupata troppo. In fondo non si trattava di null’altro che di una principiante, praticamente incapace su tutta la linea. La notizia, poi, che sarebbe rimasto a casa per un po’, la porto ulteriormente a sospettare di quanto quelle immagini l’avessero portata fuori strada, gettandola in un panico immotivato. “Per un po’?” Sapeva che non le avrebbe potuto rispondere con precisione, eppure, un lato –quello egoista- sperava di non doverlo più vedere andare via. “Sorveglieranno Hogwarts, non è vero?” Dopo lo strano avvenimento di Natale, il Ministero della Magia non aveva trovato un attimo di tregua. I pericoli che si nascondevano dietro l’assassinio della Professoressa Lovecfrat potevano essere innumerevoli e sempre in agguato. Avrebbero lavorato con molto impegno, pur di evitare una replica di quella tragedia. “Mi ero rivolta a lei!” Confessò, abbassando le iridi, alludendo alla vittima di quell’omicidio, ancora senza colpevole. “Le avevo chiesto aiuto per…” Avrebbe compreso, senza per forza andare oltre a quelle parole, già difficili da pronunciare. “La conoscevo.” Quella notte, però, Halley si era recata a porre fine ad un’altra faccenda che non aveva nulla a che fare con la vita della povera docente di Divinazione. La notte di Natale aveva sancito la fine anche della sua relazione con David. Da quel momento tra i due era calato il silenzio e la sofferenza di non riuscire più, nemmeno, a rivolgersi la parola. Mille e più volte i loro sguardi si erano incrociati. A nulla sarebbero servite le parole. Eppure la loro ultima discussione era lì. Impressa nella sua mente a fuoco. Entrambi non erano riusciti a cogliere quanto fossero importanti l’uno per l’altra e, alla fine, l’impazienza e il dolore, avevano preso le redini di quel legame riducendolo in brandelli.
    La domanda, poi, sortì naturale. Senza un perché. La persone in questione occupava un posto speciale nella sua vita e, anche con le divergenze che vi erano tra loro, ci teneva a conoscere la sua sorte, dopo l’abbandono da parte sua del tetto familiare. “Lei è preoccupata che io non segua il suo esempio.” Rispose secca. “Così come quando si è presentata qui dopo la mia caduta durante la finale di quidditch.” Quanto tempo aveva speso cercando di convincerla a mollare quello sport, a suo dire, pericoloso. “L’avevo immaginato ma speravo che fossi qui principalmente per tuo volere.” Sapeva bene che, una volta presa una decisione, tornare indietro sarebbe stato impossibile per una testa calda come quella della figlia. “Sto bene!” Mentì spudoratamente. Niente nella sua vita sembrava andare nel verso giusto “A scuola sembrano tutti in agitazione. Come se dovesse morire qualcun altro da un momento all’altro.” Ammise senza troppi giri di parola. “Se fosse così?” Forse avrebbero fatto meglio tutti quanti ad abbandonare la scuola e migrare altrove. Rimase spiazzata per le sue ultime domande. Come era possibile che chiedesse il perché? Lo osservò per qualche istante, indecisa se vuotare il sacco, completamente o rimanere sul vago, così da cercare di capire quanto fosse completa la sua conoscenza della situazione. “Vuole avere il controllo sul mio futuro.” Senza contare la questione “visioni”. “Te l’ha detto cosa ho visto?” Si stava riferendo alla visione sulla fine del Signor Wheeler. Quelle immagini ancora aleggiavano nella sua testa, terrorizzandola a morte.




    Papy di Halley PNG mosso da Marti (<3)
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    Sono Bilancia pure io. Difettata. Caliamo il sipario. 👀
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    Ma benvenuto! Che gioia vedere qualcuno che si unisce a noi, gente equilibrata (come no 👀)
    Io sono Elisa e niente, sono curiosa di vedere il tuo bimbo.
    Ti auguro un buon divertimento!! E, sicuro, ci vediamo (?) in on 🙃
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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Al mondo, esistevano anime destinate a stare insieme. Semplicemente. Personalità in grado di incastrarsi perfettamente. Una fortuna rara. Un privilegio. Altri, invece, non avrebbero mai avuto la possibilità di stare insieme, se non nei più reconditi pensieri fatti di desideri inesaudibili. Forse, i due ragazzi, non sarebbero mai riusciti a vivere il loro amore. Forse non era scritto in quel destino nel quale, Halley, aveva riposto tutte le sue speranze. Ne era certa: gli aveva offerto tutta sé stessa. La sua libertà. La sua essenza. Si era data a lui, in tutto e per tutto, sopportando l’insopportabile. E ora? Le stava chiedendo di dimostrare ulteriormente quanto tenesse a lui? Come poteva essere così meschino? Come poteva, un essere umano, essere privo di quell’obiettività che, fino a prova contraria, avrebbe dovuto aiutarlo a muoversi nella quotidianità, così come qualsiasi individuo normale sulla faccia della terra. Perché ancora riusciva a farla sentire inadeguata, come se il problema fosse lei e non la sua incapacità di accettare che in lui vi fosse del buono. L’amava. A modo suo, certo, ma l’aveva ammesso e, allora, perché quell’atteggiamento distaccato, come se si stesse interfacciando con un fastidioso insetto, passato di lì per caso? Le intenzioni della mora, fino a quel momento, erano state buone. Si era preparata per giorni, solo allo scopo di ammettere davanti a quegli occhi scuri, i suoi sentimenti e poi? Tutto le era franato addosso, aprendo una voragine sotto i suoi piedi, risucchiandola in quel baratro dal quale avrebbe fatto fatica a riemergere. L’inizio della fine. Pensò, mentre il suo cuore prese a battere più veloce del dovuto. Il dolore si fece, via via, più acuto e raggiunse il culmine quando, improvvisamente, il verde-argento, prese la parola, riversandole la sua disperazione contro. Dominò l’istinto. Perentoria. Trattenendo l’impulso di arginare quel fiume in piena con un bacio, uno di quelli che avrebbero portato ad un solo epilogo. Un epilogo che non sarebbe stato esaustivo. Non in quel frangente. Il sesso non li avrebbe più salvati. Solo l’amore, il sentimento di cui, entrambi, conoscevano ben pochi particolari. “IO TI HO AMATO!” Testa di cazzo! Lo aveva creduto davvero. Soffocò l’imprecazione ma non riuscì a evitare di dare voce a ciò che aveva creduto durante tutta la durata della loro relazione, più che mai agli sgoccioli. Ma no. Non se ne sarebbe andata via da quel luogo, senza sfogare le sue emozioni, a costo di trasformarle in rabbia pura. “IO SONO RIMASTA QUANDO NESSUNO L’AVREBBE FATTO! POSSIBILE TU NON TI SIA MAI CHIESTO IL PERCHÉ?” Aveva ragione. Lei non era ella posizione di poter insegnare quella materia proprio a nessuno, ma ci aveva provato con tutta sé stessa, gettando le basi per un qualche cosa di solido. Duraturo. Perché lei voleva lui. Contro ogni fottutissima logica. Essendo consapevole di sbagliare. “PER QUANTO MI RIGUARDAVA, NON SI TRATTAVA SOLO DI SESSO DA TANTO TEMPO!” Neanche se ne era accorto di quanto fosse coinvolta. Di quanto le arrecasse dolore vederlo insieme ad altre ragazze. Quanto cazzo poteva essere limitato? “Se fosse stato solo sesso, l’avrei cercato altrove. Credi che nessuno fosse interessato a me?” Come se fosse il tipo. “Sai perfettamente di essere l'unico!” O, almeno, oramai avrebbe dovuto conoscerla a fondo, eliminando quegli stupidi dubbi senza senso. Dissentì. Il momento adatto. Come se fra loro ve ne fossero a bizzeffe. Ogni momento era buono per litigare. Avrebbero voluto davvero una vita simile? Fatta di attacchi e mezze verità? No. La sua forza era venuta meno e, proprio per quel motivo, quella fredda notte invernale, aveva deciso di giungere a lui, sventolando bandiera bianca e ammettendo a sé stessa quanto fosse forte il sentimento per quel ragazzo, troppo enigmatico e diverso da lei. “Già.” Abbassò lo sguardo, esasperata. Doveva prepararsi, di lì a poco si sarebbe consumata il loro ultimo faccia a faccia che avrebbe deciso il loro futuro, in positivo o in negativo. Solo Merlino ne era a conoscenza. “Guardaci. Siamo il caos!” Un sorriso amaro si aprì sulle sue labbra, fino a farle ritrovare il coraggio di specchiarsi nei suoi occhi spenti. Percepiva la sofferenza. Seppur avesse sempre creduto nella sua insensibilità, riuscì a scorgere del vero tormento nel suo sguardo. Lo osservò con evidente disappunto mentre, a sostegno della sua tesi, andava ad elencare tutti gli sforzi posti in essere durante il loro distacco. Un sopracciglio schizzò all’insù. Non riusciva a credere alle sue orecchie. Si esprimeva come se le avesse fatto un favore. Proprio a lei. Lei che neanche le era sfiorata l’idea di potersi avvicinare a un altro ragazzo. Per lui, invece, sembrava essere stato difficile non accompagnarsi a nessuna. Un brivido di orrore le percorse ogni singola terminazione nervosa. “Ti è costato tanto?” Domandò in un sussurro. “Tenertelo nei pantaloni, intendo.” Serrò la mascella, sentendosi completamente idiota ad aver pensato di essere l’unico oggetto del suo interesse anche a livello fisico. Non negava che, all’interno del castello, vi fossero centinaia di ragazze anche più belle di lei ma, d’altra parte, lui si era preso la briga di confessarle il suo amore. E, allora, perché stava sottolineando con tutta quell’enfasi il concetto di fedeltà quando, in teoria, sarebbe dovuto essere completamente scontato? “Sì. Il tuo amore mi sarebbe bastato, Harris! Se solo non mi fossi trovata un muro davanti, questa sera!” Il suo amore con tutti i dovuti accorgimenti del caso. Amore. Protezione. Un luogo sicuro nel quale tornare. Tutte certezze che si erano appena dissolte nel freddo vento invernale, che aleggiava sulla capitale inglese in quella desolata notte di Natale. La stessa che le avrebbe portato ferite difficilmente guaribili.
    ”… sono cambiato anche io! Non lo vedi?” oh, sì. Lo vedeva. Da quando aveva fatto ritorno a casa, David, non aveva fatto altro che trattarla come un’estranea immeritevole della sua attenzione e tutto perché? Forse per il fatto che, per i suoi gusti, ci aveva messo troppo tempo a prendere una decisione che, nel bene o nel male, avrebbe cambiato radicalmente la sua vita. Forse non aveva idea di come ci si potesse sentire, una volta a conoscenza della vera natura del ragazzo amato. Un mannaro. Quale persona sana di mente avrebbe preso una decisione simile a cuor leggero. Il futuro roseo che sperava, si era appena tinto di nero. Se le cose fossero andate in porto e, insieme, avessero formato una famiglia, a quale strazio avrebbero condannato i loro figli? Sì. Ci aveva pensato, da brava idiota. “Per me?” Ripeté, piegando la testa di lato. “L’hai fatto per noi. Così come ho fatto io a tempo debito!” Lo corresse. “Perché è ciò che si fa quando si ama una persona.” La sincerità era un punto cardine per lei. Lei per prima aveva dimostrato quanto fosse importante lui, rivelandogli ciò che per lei era solo un peso. Si era fidata. Aveva posto nelle sue mani la sua personale verità e l’avrebbe rifatto altre cento volte. In fondo era certa che, da quel lato, non l’avrebbe tradita. “Per noi.” Fece eco. “Il noi in cui credevo.” O, meglio, nel quale aveva sperato così ardentemente da tralasciare, per un attimo, la dignità.
    Ciò che accadde in seguito la spiazzò, tanto da provocare una reazione esagerata. Non era andata da lui per andarci a letto. Ciò che le stava a cuore esulava dalla mera intesa fisica che, come già assodato, tra loro era tale da appagarli a pieno e non era di certo il problema. La sua audacia la urtò, specialmente dopo il tentativo di morderla. Per un attimo tornò indietro nel tempo, quando i denti del mannaro gli erano penetrati nella pelle. Sfoderò la bacchetta puntandogliela dritta verso la carotide, come auto difesa. Le sue pupille si dilatarono. Cosa cazzo sto diventando? Nella sua vita non le era mai capitato di minacciare nessuno in quel modo, soprattutto non una persona alla quale teneva e per la quale, probabilmente, avrebbe sacrificato pure la sua stessa vita. Perché? Perché l’aveva portata a quel punto di non ritorno? Rimase in silenzio ad ascoltare le parole uscite dalle labbra del ragazzo, ferito non nella carne. Non osò muoversi, tenendo la sua arma lì, puntata. Trattenne il fiato e il cuore perse un battito. Come potevano aver compiuto atti simili sulla pelle del proprio figlio? Allentò la presa sul legno, colpita da quell’ennesima stoccata. Quante erano le verità ancora sconosciute? Avrebbe avuto la possibilità di conoscerle? Le strappò la bacchetta che ruzzolò ai piedi del letto, inutilizzabile e lontana dalla padrona. David si sporse in avanti, così vicino da poter sentire il suo respiro sul viso. Il suo profumo le fece male. Troppo. “Ti ho dato tutto, David. Tutto ciò di cui ero capace. Più di questo non posso darti.” Ci ho provato! Rimase sdraiata mentre, per la prima volta, lui in prima persona poneva la distanza che tanto aveva temuto. Pochi istanti e si rialzò, rimettendosi in piedi. Rabbia. Dispiacere e un senso di smarrimento si presero possesso della suo Io. “Capisco.” Non osò porre ulteriori domande ma, prontamente, rispose a quella proposta dal maggiore dei fratelli Harris. “A me importerà sempre di te!” La vita avrebbe potuto anche separarli ma Halley sarebbe rimasta la solita Halley, disposta ad aiutarlo, se solo l’avesse chiesto. “Io non sono questa.” Non lo era mai stata. Allungò il braccio e raccolse la bacchetta in legno di Corniolo e si prese qualche istante per raccogliere le sue cose, con tutta l’intenzione di svanire per mezzo della smaterializzazione, così per trovare un posto dove sfogare le sue lacrime che, a stento, tratteneva. “Perché non possiamo essere felici insieme?” Ed eccola. A tradimento. Una lacrima le rigò la guancia, sancendo così la fine della sua resistenza. Le barriere erano state infrante. Il dolore era lì, chiaro e limpido come un ruscello di montagna.



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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Rapido. Troppo. Tutto stava avanzando in maniera così veloce, da togliere il fiato. Provava paura. Rabbia. Una montagna russa di emozioni. Un susseguirsi di stati d’animo perennemente in contrasto tra loro, incapaci di allinearsi per recuperare quell’equilibrio che le sarebbe servito per riprendere, per lo meno, le redini di quella che sarebbe diventata la sua vita a seguito ai cambiamenti che aveva deciso di apportare alla sua esistenza. Un nuovo lavoro. Ulteriori impegni scolastici. Una casa nuova. Un groviglio di novità dalle quali si sarebbe dovuta districare, con lei sue sole forze. Sospirò, mentre un sorriso involontario si andò ad insinuare tra i suoi lineamenti per poi spegnersi immediatamente quando, i suoi occhi, indugiarono sul polso, attorno al quale, ancora, era stretto il bracciale gemello a quello appartenuto a David. Perché? Perché ancora non aveva trovato il coraggio di disfarsene come, probabilmente, si era già premurata di fare la controparte? Una mossa alquanto stupida. Cosa sperava, esattamente? Che quel piccolo filo di chissà quale strano tessuto, avesse il potere di fare in modo di porre un cambiamento in qualcuno che, al contrario, non aveva mai nutrito alcun interesse ad andare incontro al prossimo? Neanche a colei che diceva di amare. Illusa. Amareggiata. Delusa. Tradita per alcuni versi, se non nel significato classico. In quella relazione aveva investito gran parte di lei. Si era data a lui. In tutti i modi possibili. Fisicamente. Mentalmente. C’era stato un frangente nel quale aveva creduto di aver compreso a pieno cosa volesse dire amare. I suoi gesti, le sue parole. Il suo sopportare quei soprusi che nessun altro avrebbe mai accettato. Era riuscita a vedere in faccia il suo ver io, accettandolo in parte e pregando per far si che il resto mutasse, con il passare del tempo, con il suo aiuto. Perché, no, Halley non avrebbe mai e poi mai estirpato la sua essenza, la stessa che l’aveva attirata come una calamita ma, d’altra parte, il prezzo che le chiedeva di pagare era così alto da risultare intollerabile. Ed eccola lì, a dover spuntare sulla sua lista di “novità” anche ciò che riguardava la sfera sentimentale, tenuta nascosta a tutti, così che evitassero di sfoderare le loro frasi di circostanza, al solo scopo di vederla sorridere. Era grata ai suoi amici. Tutti. Dal primo all’ultimo, eppure qualche cosa l’aveva trattenuta. Fino a quel momento. Non vi era più alcun motivo di omettere una condizione che, a quanto aveva potuto notare, non dava alcun segno di miglioramento. I mesi erano trascorsi nel più serrato silenzio e nessuno dei due si era azzardato a fare un passo verso l’altro, tralasciando le numerose incomprensioni che, evidentemente, avevano un peso ben più importante se confrontate con i sentimenti confessati, per chissà quale motivo. Halley faticava, in quel momento, a credere nell’amore professato dal verde-argento e non aveva più alcun motivo per non dare voce al suo disappunto e alla sua amarezza profonda.
    In ogni caso, fu strappata dalle sue riflessioni quando, all’orizzonte il ragazzo che aveva, quel giorno, il compito di accompagnarla nella confusione che si era instaurata nella sua mente. La ricerca di un alloggio era il punto di partenza per una vita che meritava una svolta. Lei meritava tutto il bene possibile. Il sopracciglio schizzò all’insù, come d’abitudine davanti alla convinzione del Grifondoro mentre, allo stesso tempo, il capo andò a dissentire. Celò un sorriso divertito e, involontariamente, abbassò lo sguardo sul suo abbigliamento forse un po’ troppo audace? Boh. “Ho anche l’abitudine di mordere.” Non fece in tempo a mantenere l’aria seria che una risata le scoppiò in gola. Perché sì, ne aveva bisogno. Aveva pianto abbastanza per qualcuno che non aveva esitato a lasciarla sola, a causa dell’incapacità palese di accettare una realtà che gli stava gridando un cambiamento ma che non riusciva a cogliere. Si lasciò cullare dalle parole di Liam che, gradualmente, la portarono al presente e all’annuncio al quale si era interessata. “Tra venti minuti.” Osservò rapidamente l’ora sullo schermo del telefono per poi ricacciarlo in tasca. “L’agente immobiliare ci aspetta davanti all’appartamento.” Si era fatta coraggio e si era rivolta a un professionista, così che potesse esprimere le sue esigenze, trovando un riscontro immediato, senza arrovellarsi eccessivamente, evitando di cadere in dubbi esistenziali più fastidiosi del dovuto. “Una stanza? Pensi che basterebbe a contenere il mio caos?” Interiore ed esteriore, si intendeva. Domandò divertita. “Solo tutta l’attrezzatura da quidditch, terrebbe tutto lo spazio.” Non scherziamo. Certo, era abituata a ben altri ambienti. Vivere in un piccolo appartamento sarebbe stato un grandissimo limite inizialmente ma, in fondo, ci avrebbe fatto l’abitudine, anche perché tornare sui suoi passi? Mai e poi mai. “Come sei impaziente.” Lo ammonì bonariamente, piazzandogli una spallata. “Non ti piacciono le sorprese? Tra poco potrai soddisfare la tua curiosità.” Oltre al sostegno, la mora, sentiva il bisogno di essere accompagnata in un percorso che sanciva la svolta e la presenza di qualcuno al quale era legata, infondeva in lei un coraggio fondamentale per la riuscita del suo scopo della giornata. La tensione fu smorzata dalla disponibilità, forse eccessiva, da parte del giovane, pronto ad accoglierla alla stregua di un cucciolo smarrito. “Che sfacciato! Faresti questa fatica per me, eh?” Si finse indispettita ma, d’altra parte, il calore umano le mancava più di quanto potesse ammettere. Non si trattava di sesso. L’esigenza di provare quel tipo di esperienza sotto un’altra luce, quella dell’amore, l’allettava ma la possibilità le era stata strappata dalle mani, ancora prima di poter sperimentare sulla sua pelle cosa volesse dire essere amata con anima e corpo, simultaneamente. “In ogni caso sarei un’inquilina fastidiosa. Sempre in mezzo ai piedi. Sono stanca di vivere in solitudine!” Come aveva fatto negli ultimi tempi, nella sua stessa villa. ”… i malesseri non sono ammessi.” La battuta non la divertì. Al contrario, oscurò l’allegria del suo sguardo, rendendolo tetro. “Non c’è pericolo.” Sussurrò. “Con David è finita.” Le sue iridi smeraldine si specchiarono in quelle dell’ignaro ragazzo che, probabilmente, neanche immaginava l’epilogo di quella travagliata storia. “Ci siamo lasciati.” O per lo meno, i mesi erano passati senza alcun contatto. Che altro voleva dire? Si sforzò di sorridere, riuscendoci in maniera parziale. “Cosa mi aspettavo da uno come lui?” Fece spallucce, minimizzando il dolore che continuava a distruggerla, nonostante il tempo trascorso. “Mi sono sbagliata. Ho investito tutto il possibile ma non potrei annullarmi per nessuno.” Tornò brevemente sul bracciale e poi si aggrappò al braccio di Liam, trascinandolo i direzione della meta e invocando un cappuccino. Un buon espediente per tirare su il morale a chiunque –o per lo meno, agli amanti del caffè-. “Non lo so. Ho il terrore di restare sola.” Se prima la solitudine le era sempre stata amica, dopo le disavventure che le erano franate addosso e i tradimenti subiti, le cose erano cambiate, spingendola a circondarsi dei suoi affetti, ogni qualvolta ne avesse la possibilità. Dopo la rottura con David, inoltre, non aveva più il suo luogo sicuro, nel quale tornare in caso di paura o bisogno, appunto, di quel calore umano che la faceva sentire viva. “No, non lo credo. Anzi, penso che oggi faremo un gran bel buco nell’acqua.” In tal caso sarebbe tornata con la coda tra le gambe al Paiolo, nella sua stanza affittata a tempo indeterminato. “Vieni!” Lo trascinò appresso a un chioschetto e ordinò due cappuccini da asporto. “Assaggia!” Quasi lo imboccò a forza. “Ammettilo. L’incontro con Blue ti è rimasto nel cuore. La rivedi in ogni cosa. Ti sarai mica innamorato?” Quella dannata palla di pelo l’avrebbe seguita anche in quell’avventura. Doveva mettersi l’anima in pace. “Dovremmo essere vicini.” Cercò di orientarsi. L’atmosfera residenziale la riportò un po’ a casa. “Questo quartiere è davvero carino, non trovi?” Vero?? Dì di sì. Chi ben comincia è a metà dell’opera. Per Morgana!



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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    30 marzo 2024.

    Eccitata per la novità. Certo che sì. Ma, al tempo stesso, la paura di quel salto nel vuoto la destabilizzava a tal punto da rischiare di scivolare nel panico più totale. Sarebbe stata in grado di provvedere a tutto ciò che, inevitabilmente, il mondo adulto comportava? Non ne era assolutamente certa. Il terrore del fallimento era sempre lì, presente, pronto ad aggredirla quando meno se lo sarebbe aspettata. Un’angoscia normale, in fondo. Chi, a quell’età, vantava così tanta sicurezza in sé stesso, da lanciarsi in un’esperienza simile, senza provare un minimo di titubanza? Solo uno stolto o, comunque, chi non aveva nulla da perdere. Alzò lo sguardo verso il cielo sereno, sgombro da qualsiasi nube. La primavera era giunta inesorabile e, con lei, anche l’umore della Grifondoro andava, gradualmente, a migliorare. Il sole. Le avventure. Un grande potenziale dietro a quelle giornate che si stavano allungando. Si sentiva rinata. Una forza inspiegabile si era fatta largo in lei e, con l’aiuto delle persone care, si era decisa ad accettare il suo destino, accogliendolo a braccia aperte e non più sulla difensiva, così com’era stata abituata dall’istinto. Si era sbagliata. Si era sottovalutata e aveva pagato il prezzo più alto, a causa della sua stupidità inaudita. Nonostante questa presa di coscienza, però, il rapporto con la madre non si era mosso di una virgola. Il silenzio proseguiva e, nessuna delle due aveva intenzione di fare un passo avanti. Sbuffò al solo pensiero. Poco importava. I pensieri, quel giorno, sarebbero dovuti convergere in un unico punto. Un solo obiettivo: passare in rassegna ogni singolo appartamento di Hogsmeade, alla ricerca di quello che rispondeva a ogni suo desiderio. Un’impresa più che ardua. Lunga e sicuramente noiosa. La pazienza scarseggiava ma, d’altra parte, l’idea di trascinarsi appresso la persona più molesta che conoscesse, si sarebbe rivelata la scelta migliore. Tra un consiglio e l’altro, era certa, che sarebbero finiti per divertirsi. O, almeno, lo sperava ardentemente. In caso contrario, sarebbe stata anche in debito con lui. Un male molto male, conoscendo il tipo. Osservò con fastidio l’ora e si rese conto che, come al solito. qualcuno di sua conoscenza, si ostinava a fare la parte della prima donna, lasciando il prossimo in una perenne attesa lancinante. Di quanto? Chi poteva dirlo? Dieci minuti. Mezz’ora. Due ore. Che gli importava? Si alzò sulle punte dei piedi e, con uno slancio, andò ad accomodarsi su un muretto dalla modesta altezza, lasciando che le gambe –fasciate da un paio di jeans neri- penzolassero liberamente, quasi annoiate. Roteò gli occhi e, pochi istanti dopo, le sue iridi si focalizzarono su una figura in lontananza. Andamento spavaldo. Man mano che si avvicinava poteva osservare la sua espressione semi-divertita, pronta a lanciarsi in quella che avrebbe trasformato nella più esilarante scusa, che potesse andare a giustificare il suo ritardo. Halley si strinse le ginocchia al petto, poggiando i talloni sul bordo del muro, con aria di chi la sapeva lunga su quel tipo di mancanza di rispetto. Abbassò di poco le palpebre e piegò la testa di lato, mentre il suo indice andò a puntare dritto il naso del giovane rampollo di casa Knight. “Offrimi un cappuccino e dimenticherò la tua irriverenza!” Arricciò il naso ma, anche se aveva impiegato tutta la buona volontà possibile, non riuscì a restare seria per più di qualche secondo. Incorreggibile. Da quando le loro strade si erano incrociate, la Wheeler, aveva vestito i panni di una baby sitter a tutti gli effetti e, spesso, si era esposta in prima persona per difendere l’amico dai suoi colpi di testa plateali, come quello avvenuto al lago, il primo giorno di scuola. Stop. Dimentica. Allungò la mano, con la pretesa di essere aiutata e, con un balzo, saltò giù da quella scomoda postazione di fortuna che, comunque, aveva svolto egregiamente il suo lavoro. “Grazie!” Bisbigliò, sistemandosi la camicia, legata leggermente sopra l’ombelico e il giubbotto di pelle, finalmente consono al clima. “Sei pronto?” Io no! Psicologicamente, la mora, non credeva di essere propriamente al passo con gli avvenimenti. No. Al contrario. Temeva di fallire, così come spesso era accaduto nella sua vita, nei più svariati ambiti, tra l’altro. Una scelta rischiosa che, però, valeva la pena vivere fino in fondo. L’appoggio di coloro che le volevano bene, quindi, diveniva di vitale importanza. Ed eccola lì. Trotterellare senza meta, tra le vie di Hogsmeade, al fianco di un leone esagitato che, senza dubbio, non avrebbe perso occasione per darle modo di rilassare quei fottuti nervi a fior di pelle che non meritava affatto. “Se non dovessi trovare nulla di interessante…” Si interruppe bruscamente, mentre le alternative le si paravano davanti agli occhi, non proprio felicemente. “… dovrò restare al Paiolo a tempo indeterminato.” E la cosa non l’allettava affatto. Quel luogo le metteva i brividi e, ringraziando Merlino, aveva la fortuna di poter contare sull’ospitalità dei suoi amici. La faccenda, però, iniziava a complicarsi, dal momento in cui sentiva di essere fuori posto. Ambiva ad altro e, dopo aver trovato lavoro, avrebbe potuto realizzare quel piccolo sogno fatto di totale indipendenza. Lontana da tutti e da tutto. Crogiolandosi nella sua solitudine, forse, avrebbe ritrovato del tutto sé stessa in una prospettiva nuova. Chissà. Ma per giungere a ciò, darsi da fare, stava alla base di tutto. Prese a camminare, guardandosi intorno e studiando l’architettura delle varie costruzioni che si affacciavano sulla via principale. “Sei davvero masochista.” Parlava lei. “Saprai gestire la mia isteria?” Domandò. “I miei sbalzi d’umore?” Avrebbe potuto anche mettersi a piangere da un momento all’altro se il nervosismo fosse salito sopra il livello di guardia. “Che coraggio! Ma in fondo sei il mio allievo migliore.” Scherzò, arpionandogli un braccio. L’atmosfera giocosa terminò quando, improvvisamente, la ragazza, fu invasa da una brutta sensazione. “E se non dovessi farcela?” Che ne sarà di me? Dove andrò a stare? A quel punto sarebbe stata disposta a scendere a patti con il diavolo, interpretato da una madre che aspettava solo il momento in cui l’avrebbe vista tornare con la coda tra le gambe, a chiedere umilmente perdono per l’atteggiamento stupido tenuto? No. Arrestò la camminata e si voltò verso quello che aveva tutta l’aria di essere un vecchio caffè, elegante e dalle dimensioni ridotte. “Ehi! Io il cappuccino lo voglio per davvero!” Lagnò, come fosse una bambina viziata e capricciosa. “Mi accontenti, papà?” E poi si trattava pur sempre della sua giornata. Lo fissò con aria ingenua e fanciullesca. Perché sì, quella spensieratezza le mancava come aria pura.



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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    La sua vita, da mesi, si trovava ad essere disordinata. Confusa. A tratti inspiegabile. Spesso sei chiedeva se, ad un certo punto, sarebbe stato possibile resettare il tutto. Partire da zero. Tabula rasa. Tornare a quelle origini che, in fin dei conti, poi, non aveva neanche disdegnato così tanto. Una famiglia unita e felice. Amici. Un buon rendimento scolastico e nulla più. Nessun pensiero. Nessuna preoccupazione di chissà quale natura. Niente di niente. La mente avrebbe vorticato, esclusivamente, intorno a ciò che la rendeva felice e, lei, non avrebbe fatto altro che coltivare il suo futuro, tenendosi alla larga dal potenziale malessere, derivato da scelte errate. Una prospettiva allettante. Invitante. Una di quelle da film. Sospirò e, da lontano, una voce chiamò il suo nome. Lontana. Dai contorni sfumati. Un suono che non sapeva se dirsi fastidioso o soave. Cazzo! Riprese il completo possesso delle sue facoltà mentali e, immediatamente, si accorse del tono incazzato del suo capo, installato poco più in là e intento a tenere a bada un branco di ragazzini, colpevoli di aver toccato uno dei tanti manici di scopa in esposizione. Ordinaria amministrazione, certamente. Eppure ogni volta che si presentava quel tipo di problema, il Signor Murphy, perdeva la calma. Toccava a lei, inverosimilmente, a riportare la calma tra quelle quattro mura e così fece. Uscì dalla sua confort zone e si diresse proprio la centro della mischia, con aria poco amichevole di chi era appena stata costretta a lasciare i suoi affari per dei moscerini fastidiosi. Una situazione al limite del ridicolo. In fondo quei mocciosi erano solo curiosi di toccare con mano quel legno prestigioso. Niente di così eclatante. Eppure la vena sulla tempia dell’uomo –oramai di mezza età- pulsava più del dovuto. Con estrema cautela la giovane battitrice riportò l’ordine e, quando l’orda di troll dodicenni, si fu diradata, la quiete tornò ad albergare nel negozio, in procinto di chiudere. Sì. Amava quell’orario. Il frangente più tranquillo dell’intera giornata. Soprattutto il sabato e, soprattutto, quando la serata sarebbe stata all’insegna del divertimento. Si era promessa di dedicare l’intero fine settimana alla ricerca compulsiva di un appartamento e, proprio per questo motivo, quella sera, si sarebbe concessa una pausa. Meritata. Avrebbe raggiunto Liam e, come spesso accadeva, sarebbero usciti a farsi qualche bicchiere, fino a quando il suo amico fosse stato in grado di non combinare disastri. Beh, in fondo era pur sempre la sua baby sitter personale. No? Quello era il suo dovere. Dentro e fuori dalle mura del castello. Il giovane, comunque si era gentilmente offerto di accompagnarla attraverso vicoli oscuri. In lungo e in largo, valutando i pro e i contro di ogni appartamento. La ricerca, comunque, non aveva dato i suoi frutti e la cosa iniziava a darle su i nervi. Sbuffò e guardò l’orologio. L’ora X era scoccata e lei, finalmente, dopo aver sistemato gli ultimi dettagli e messo in ordine il bancone, avrebbe potuto abbandonare Diagon Alley per fare ritorno al suo alloggio di fortuna, per darsi una sciacquata prima dell’inizio dei festeggiamenti del fine settimana. La campanella suonò. Qualcuno aveva appena varcato la soglia. Che palle! Finse indifferenza, come se non la tangesse minimamente la presenza oscura che, lentamente, si avvicinava a lei. Sempre la solita storia. Il classico cliente dell’ultima ora. Lo siste… Lo sguardo smeraldino si issò. Le pupille si dilatarono. Lo stupore fu enorme. Quell’uomo era lì. Davanti a lei. Bello come non mai. Si mozzò il fiato e un sorriso, lentamente, si disegnò sul suo volto incredulo ma, allo stesso tempo, felice come non lo era stato da tempo. Prese coraggio, convincendosi che non poteva trattarsi di un miraggio. “Papà!” Il sono tono di voce mutò drasticamente, così come il suo umore. Avvertì una stretta al cuore. Le era mancato come l’aria. Più di qualsiasi cosa al mondo. Quante notti si era ritrovata sola, con gli occhi incollati al soffitto, pregando di poter parlare con l’unica persona che, dopo tutti i problemi, le era rimasta a fianco. “Che ci fai qui?” Domandò stupidamente, come se davvero le importasse la ragione effettiva. Era lì per lei. Questo le bastava e le avanzava. “Se mi dai un minuto, prendo la giacca!” Lo abbandonò per un istante per poi ricomparire poco dopo, avvolta nella sua giacca di pelle primaverile. “A domani, Signore!” Salutò frettolosamente il datore di lavoro e, una volta agguantato il braccio di Jason, Halley, si portò all’esterno, dove avrebbero avuto più libertà di pensiero e parola.

    La pace interiore si fece sentire. Si fermò e, come per assicurarsi che fosse realmente lì con lei, Halley si lasciò andare ad un atto di estremo affetto. Salì in punta di piedi –come se potesse servire- e abbraccio il padre. La visione di lui esanime ancora, dopo tutti quei mesi, la perseguitava e il fatto di averlo lì, a pochi passi la rasserenava non poco. “Scusami.” Esordì, trattenendo quel fiume in piena che avrebbe voluto infrangere gli argini, riversandosi su di lui, per fargli comprende quanto fosse dispiaciuto per aver disatteso le sue aspettative e quelle materne. Sua madre, infatti, non le aveva più rivolto la parola e, in tutta risposta, lei non si era azzardata a fare un passo in più verso di lei. Sapeva di sbagliare eppure, dopo le minacce subite poco prima di Natale, la mora, si era convinta che casa sua, non fosse più il luogo adatto a lei. “Ci ho provato.” Una mezza verità. Aveva fatto ritorno al nido, certo, così come richiesto da Seira O’Hara in persona ma, d’altra parte, non aveva fatto altro che tentare di innervosire quella donna. Risultato? Una catastrofe di una considerevole portata che, probabilmente, si era riflessa anche all’interno del rapporto duale marito e moglie. “Ho fallito.” Nonostante ciò, però, l’indipendenza guadagnata era tutto ciò che aveva sempre desiderato ardentemente. Cercò di glissare ma, prima o poi, sarebbe uscito anche l’altro argomento. Quello, per lei, più arduo da affrontare ma, per molti aspetti, inevitabile. Anzi, probabilmente si trattava proprio di ciò. “Come stai?” Non lo perdeva di vista, come per paura che potesse svanire da un momento all’altro, così come era comparso. “E il lavoro? Come procede?” Il tentativo di confondere le acque risultò patetico ma, d’altra parte, andare dritta al punto, l’avrebbe costretta ad affrontare la visione che aveva avuto su di lui. Non era pronta. Nonostante lui sapesse già cosa era apparso davanti agli occhi della figlia, la sua calma continuava ad essere leggenda. Si schiarì la gola e poi: “La mamma, come sta?” Mormorò imbarazzata. Chissà se Crudelia, tra un’udienza e l’altra, aveva avuto modo di spiegare al marito la situazione tesa tra donne. Beh, non mancava molto. Di lì a poco, avrebbe avuto tutte le informazioni necessarie a spiegare il perché della sua presenza, proprio sul suo luogo di lavoro.




    Papy di Halley PNG mosso da Marti (<3)
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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Un senso di nausea le attanagliava lo stomaco. Le viscere si erano ripiegate su sé stesse, provocando una senso di vuoto che la spiazzò all’istante. Chi si celava dietro a quella freddezza. Dov’era finito il ragazzo che, fino a qualche settimana prima, affrontava le questioni di petto, sconfinando addirittura nell’eccesso. Il suo menefreghismo era lì, palese. Come se davanti a lui fosse apparsa una sconosciuta, per niente degna delle sue attenzioni. Il suo tono flemmatico, distaccato e piatto, metteva in luce i suoi più profondi limiti. Quelli insormontabili. Gli stessi con i quali avrebbe dovuto vedersela per il resto della sua vita perché, no, le cose non sarebbero più cambiate. Non in quello stato. Si aspettava dagli altri quello che, lui in primis, non riusciva a dare. Lo ammise. La sua verità infranse l’aria, riportando Halley a vivere una realtà inaspettata. Quella in cui, il privilegio di essere protetta dal colui che, fino a prova contraria, avrebbe dovuto essere il suo porto sicuro e non il pericolo numero uno. Tutti quegli assurdi pensieri contribuirono a far nascere, sulle sue labbra, un sorriso innaturale. Inquietante. Come se il disagio, ora, potesse essere utilizzato per incentivare la sua forza interiore, pronta ad essere sprigionata nel momento del bisogno. E sì, quell’ora era scoccata. Strinse i pugni. Conficcò le unghie nei suoi palmi gelidi e il dolore la fece trasalire, tanto da rimettersi in contatto con ciò che le stava accadendo proprio in quel, mostruoso momento. Non fece in tempo a riprendersi che, con agilità, David le fu accanto. Rapido. Sicuro di sé. Troppo per i suoi gusti. Era abituato a primeggiare. Ad accaparrarsi con la forza qualsiasi cosa entrasse a far parte del suo volere momentaneo. Lei valeva molto di più. Lo aveva fatto attendere. Sì. Tre settimane. Vero. Aveva sbagliato? No. Perché le sue intenzioni erano state più che buone. Si era presa il tempo necessario per fare ordine nei suoi pensiero. Era tornata. Era lì per lui. Per consegnare nelle sue mani il risultato della sua attenta analisi. E lui? Lui non le aveva riservato altro che un atteggiamento da stronzo. Abbassò lo sguardo, incapace di guardarlo negli occhi senza lasciarsi sfuggire la distruzione che la sua impassibilità le aveva inferto. Le sue mani, però, la costrinsero ad osservarlo da vicino, senza via di fuga. Perché? Perché per una volta non si piegava a lei? Pronunciò il suo nome che, a sentirlo bene, risultò strano e per niente familiare. ”… non so come si sta in una relazione.” Rimase immobile. Impassibile. Mordendosi la lingua di riflesso, così da non peggiorare la situazione. Di nuovo, come pochi attimi prima, le stava dando la conferma di quanto non fosse la persona adatta a lei. Che cazzo stava facendo realmente? L’aveva attesa per così tanto tempo, soffrendo –a suo dire- la lontananza, per poi infliggerle quella delusione che scottava più di una fiamma sulla pelle? Un regalo di Natale invidiabile. Non vi era che dire. La Grifondoro si diede una scrollata morale. Ne aveva abbastanza di quelle stronzate, propinate per nascondere la paura che quel sentimento, in un modo o nell’altro, l’avrebbe visto costretto a esporsi. Il suo problema, forse, stava proprio nel fatto di possedere un terrore irrazionale di diventare una persona decente. Chi poteva dirlo con certezza? Piegò la testa di lato e alzò le mani, liberandosi il volto e allontanandole, come se quel tocco prima tanto desiderato, iniziasse a farle male a livello fisico e morale. “NO!” I freni imposti si allentarono. Un impeto di rabbia prese il sopravvento, lasciandola in balia della collera nei confronti di quei segreti e quelle mezze verità che non avrebbe più tollerato. “NON SO UN CAZZO, DAVID!” Fece un passo indietro. La voglia di colpirlo in faccia si fece sempre più impellente. Sì. Un cazzotto sul naso l’avrebbe fatta sentire molto meglio ma no, non era come lui. Lei era migliore. Su ogni fottutissimo fronte. “Per colpa della tua famiglia?” Perché mai la sua famiglia avrebbe dovuto metterla in pericolo? Che cazzo fregava ai suoi genitori di lei? Che cazzo stava farneticando? “Piantala con queste mezze verità!” La stava nauseando. “Voglio la verità completa. Subito.” Per chi l’aveva presa? Per una delle sue tante conquiste? Una delle tante che si scopava senza avere idea neanche del nome che portavano? Un altro impulso di colpirlo fu soppresso a fatica. La stava esasperando. Le sue parole. Quel modo di fare da eterno superiore. La spacciava per la sua ragazza ma non aveva la benché minima idea di come trattarla e renderla felice. O, più semplicemente, non disponeva dei mezzi necessari per esaudire i suoi desideri. Possibile, considerando quanto il suo cuore fosse di pietra. “Io ti ho dimostrato TUTTO!” Più del dovuto. “E ora, a distanza di più di un anno, mi sento dire che non puoi darmi quello che chiedo!” Che schifo. Che merda. Che illusa del cazzo. Mai e poi mai gli avrebbe chiesto di cambiare. Non si trovava lì per quello ma, quantomeno, pretendeva uno sforzo. “Cosa cazzo ti sto chiedendo, poi? Di amarmi e di proteggermi. Di rispettarmi come donna! Di non sbavare dietro ai culi altrui!” La donna che aveva ammesso e scelto di amare. “SE NON TE NE FOSSI ACCORTO; SONO LE BASI DI UN RAPPORTO, DAVID! TE NE RENDI CONTO?” I concetti basilari. Elementari, senza i quali una relazione non aveva motivo di esistere. “E togliti quell’aria indifferente dalla faccia. Mi fai incazzare ancora di più!” Aveva una gran voglia di sferrare pugni a qualsiasi cosa le capitasse a tiro. Quanto la irritava quella faccia inespressiva. Era andata lì, con tutte le buone intenzioni ma, dopo aver constato quanta distanza vi fosse tra loro, le venne naturale rimettere tutto in discussione. Che fosse stato un errore di valutazione o meno, era decisa a far fuori ogni sua ragione, a costo di perdere lui e sé stessa. Non le importava un cazzo. Non si sarebbe annullata per nessuno, tantomeno per colui che profetizzava il suo amore, ma alle sue condizioni. Quando, però, aprì bocca, il mannaro le fu nuovamente addosso. Le sue braccia la circondarono e avvertì il suo calore al di sopra dei vestiti. Così innaturale da metterle i brividi. La obbligò ad alzarsi e si avventò sulle sue labbra, cogliendola di sorpresa. Una bambola di ceramica nelle sue mani. Incapace di muoversi fino a quando, guidata dalla lucidità, non riprese in mano le redini della situazione. Gli posò una mano sul petto e, con tutta la forza che aveva, lo allontanò, ponendo fine a quel contatto.
    “Sei tu che non mi dai modo di amarti! Il problema sei tu. Sei sempre stato tu!” Per quanto si sforzasse, puntualmente, qualche cosa le impediva di vivere a pieno i suoi sentimenti. Il perché si traduceva tutto in un solo nome e un solo cognome: David Harris. Doveva fare mea culpa. Da mattina a sera. Si portò una mano alla testa. Esasperata. “Non puoi lasciarmi andare ma non puoi darmi ciò che voglio.” Sentiva la confusione prendere possesso della sua mente in rovina. “Vuoi qualche cosa di impossibile!” Lo apostrofò. “Mi vuoi ma alle tue condizioni.” Che relazione sarebbe stata quella? Un rapporto dove lei ne sarebbe comunque uscita sconfitta, senza possibilità neanche di battersi ad armi pari. Gli sguardi che ne derivarono in seguito la fecero tremare. L’amore che provava per lei, l’aveva reso ossessivo. Lei era una sua proprietà. Lo leggeva chiaro e tendo nei suoi occhi scuri, nei quali ardeva la fiamma del desiderio di possederla in qualsiasi senso possibile. “Non ho paura di te!” Lo sfidò apertamente, così che sapesse che quelle parole non l’avrebbero intimorita, lasciandola libera di scegliere per sé stessa in qualsiasi occasione. Se credeva di essere lui al comando, beh, si sbagliava di grosso. “Ti sbagli!” Sbottò, afferrandogli la mano e intrecciandola alla sua, così da costringerlo ad allontanarsi dalla sua natica, perché no, non era dell’umore adatto per quel tipo di atteggiamento. “A volte non ci è concessa una scelta! È così e basta!” Un flebile sussurro, sfumato a causa del bacio che giunse forse per smorzare la rabbia e la delusione che, poco dopo, le fece prendere l’iniziativa che la vedeva tornare sui suoi passi, alla ricerca di un posto dove passare la notte di Natale, possibilmente non sola. Forse con Nathan o Grace. Liam. Daphne. Uno di loro l’avrebbe accolta, asciugando quelle lacrime amare che non avrebbe fermato facilmente. Ma no. Le cose andarono diversamente. Si sentì sollevare da terra e, con un ringhio, David la prese tra le braccia. Pochi istanti e si trovò sul suo letto. Letteralmente schiacciata tra il materasso e il suo corpo mentre, le mani del verde-argento, si facevano strada sotto la sua maglietta alla ricerca di ciò che considerava suo. Si ribellò. Voltandosi su un lato. “David, porca troia!” Era un avvertimento, uno di quelli che non lasciavano presagire nulla di buono. ”…è stato mio padre che mi ha reso il bastardo che sono!” Lo allontanò mentre la sua bocca stava esplorava il suo collo. ”… ed è sempre lui la fonte delle mie sofferenze, ma ne parliamo dopo.” Oh, no. Era proprio qui che si sbagliava. Ribaltò la situazione con un colpo di reni, approfittando di una piccola distrazione da parte del battitore. “Non ti azzardare a mordermi ancora o ti uccido!” La punta della sua bacchetta, sfoderata pochi attimi prima, ora puntava la giugulare del maggiore dei fratelli Harris. “Te lo giuro, David. Ti ammazzo.” I suoi occhi trasmettevano ira. Niente più. “Non voglio scoparti.” Era l’ultimo dei suoi problemi. Gli era mancato? Sì. Ma ciò non aveva nulla a che fare con il sesso mentre, da quel che poteva vedere, per lui era proprio di quello che si trattava. Scopare. Sempre scopare. Come se fosse il centro nel quale tutto convergeva. Affondò di poco la punta di legno. “Ne parliamo ora! Immediatamente. Altrimenti uscirò da quella porta e non mi vedrai mai più. Né qui, né ad Hogwarts. MAI PIÙ! Sono stata chiara?” E questa volta l’avrebbe fatto realmente. Il dolore stava raggiungendo livelli davvero alti, impossibili da gestire per lei. “Puoi essermi anche mancato. Ma non sono il tuo giocattolino. Mettitelo in testa. Non puoi darmi per scontata, perché rimarresti deluso. E le tue mezze verità ficcatele nel culo!” L’amore non era sottomissione. “Dimmi che cazzo sta succedendo! Perché non puoi darmi ciò che voglio. Cosa cazzo ha a che fare tuo padre con noi?” La resa dei conti era giunta, anche se le modalità non erano delle migliori.



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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Effettivamente. Una botta in testa sarebbe potuta servire per riportare quell’anima semi-perduta sulla retta via. Doveva essere andata proprio in quel modo. Non vi era altra spiegazione per dare un senso a quella serie di idee di merda affiorate nella sua mente contorta. Quei colpi erano stata la causa scatenante. Se così non fosse stato, invece, la ricerca della verità andava fatta scavando lì, nel profondo, e le risposte sarebbero potute risultare alquanto scomode. Oh, sì. Tremendamente. Le sue labbra si aprirono in un sorriso. Non aveva nessuna intenzione di provocare preoccupazione in colore che, per un motivo o per l’altro, si trovavano a relazionarsi con lei ogni giorno. Liam. Kynthia. Grace. Nathan, Daphne. Ognuno di loro si era fatto un’idea ben precisa su quali fossero le ragioni che vedevano Halley, sfortunatamente, alle prese con un periodo per niente brillante. Eppure, per colpa della sua testardaggine, nessuno conosceva le vere motivazioni che l’aveva spinta in quel baratro, chiudendosi a riccio e abbandonando la vita mondana, fatta eccezione per i suoi impegni prestabiliti. Come per dimostrare la sua teoria, attese che la compagna di stanza introducesse l’argomento Harris. Un grattacapo continuo. Detestava ammetterlo ma, di quel passo, da quella relazione non avrebbe tratto alcun beneficio. Ne era consapevole. Probabilmente sarebbe durata meno di un gatto in tangenziale. Il futuro al suo fianco, quando ci pensava, assumeva contorni non definiti. Sfumati e deboli, come se bastasse un soffio per farli svanire nel nulla, da dove erano venuti. Aveva lottato per lui. Era rimasta con lui ma, l’impressione che aveva avuto era che non se ne fosse minimamente accorto. Gli eventi non l’avevano smossa ma in quel preciso istante, dopo tanto tempo, si interrogava quanto fosse sana la sua condotta. Tutto ciò, dove l’avrebbe condotta se non alla disfatta totale di quei sentimenti? Un salto nel vuoto che, forse, non era disposta a compiere, senza prima ricevere delle risposte nette e chiare. Abbassò lo sguardo. Avvertiva a livello del petto un peso. La sensazione lancinante di essere trattata alla stregua di un fottuto oggetto. Il suo giocattolino personale. La sua possessività tossica li avrebbe distrutti ancora prima di poter sperare in qualche cosa in più. Doveva comprendere. Doveva interrogarlo e porlo davanti a quella che per lui corrispondeva alla realtà. Cosa provava realmente? E lei? Era pronta a fiondarsi tra le braccia di un mostro? Perché, in fondo, era ciò che le si richiedeva anche se tacitamente e non direttamente. Senza contare le scenate di gelosie che era solito mettere su, per qualsiasi stronzata urtasse il suo sensibilissimo sistema nervoso. La domanda di Kynthia la spiazzò. Completamente. Alzò la testa e scosse il capo, decisa. Dopo l’incidente africano, mai più David si era permesso di utilizzare la sua forza su di lei. Al contrario. Ci aveva tentato con tutta la sua buona volontà a tenere a freno la sua irascibilità e, dopo le sue rivelazioni, Halley, aveva anche compreso il perché di quella follia che, di tanto in tanto, scintillava nei suoi occhi scuri e spaventosi. “No.” Negò, tralasciando quei particolari che, oramai, non avevano più importanza. Li aveva superati o, almeno, credeva di esserci riuscita. “So cosa può sembrare!” Un perfetto stronzo. Se con lei aveva subito un mutamento, seppur minimo, con gli altri era sempre il solito David. Il bastardo senza cuore che non si curava minimamente dei sentimenti altrui. Un atteggiamento malato. Dispotico. Tossico. Chi era davvero? La persona che l’aveva invitata a rimanere con lui o il ragazzo incapace di provare emozioni positive? Le due personalità, per quanto la riguardava, non potevano coesistere perché sì, per il bene di qualcuno si poteva anche compiere un sforzo, quantomeno per evitare di avere tutto il mondo contro. Ma no. A lui non interessava e seguitava la sua campagna contro l’umanità. “Credo che, a modo suo, ci tenga a me, tanto da avere paura di perdermi.” Gliel’aveva promesso. Non le avrebbe fatto del male ma, nonostante ciò, più di un dolore l’aveva inflitto, seppur non dal punto di vista fisico. Un modus operandi il suo. La feriva e poi si comportava come se fosse l’unica ragazza sulla faccia della terra. La riferiva e in seguito le confessava di essere innamorato, come se fosse un concetto così scontato da non essere neanche degno di sottolineatura. “Se dovesse mai osare toccarmi, gli farei rimpiangere di essere nato!” Tentò di rassicurare la cercatrice. “Puoi starne certa!” Una promessa fatta a sé stessa. Mai più avrebbe perdonato una violenza da parte sua. Mai. In quel caso avrebbe troncato di netto ogni ponte. La sua mente elaborava in fretta ogni informazione, problema e novità che scalfivano le loro giornate, rendendole anche più o meno interessanti. Proprio per questo motivo avrebbe meritato un periodo alla larga da qualsiasi pensiero. Mettersi in pausa. Come fosse una canzone in quell’aggeggio babbano che tanto andava di moda. Grace, per lo meno, l’aiutava in questo senso. Ascoltare i suoi deliri e le sue avventure romantiche con l’altro Harris, quello normale –a suo dire-, la rilassava. “Mi hai sempre dato l’impressione di essere una Grifondoro anomala, sai?” A differenza di lei e di Grace, infatti, sembrava essere quella più assennata. Capace di anteporre il pensiero all’azione. Insomma, un punto a suo favore che le avrebbe evitato parecchie grane. La cosa certa, però, era che la Wheeler non poteva dire di conoscere a pieno la giovane davanti a lei. Forse per via delle differenti dimensioni che abitavano o, più presumibilmente, per la riservatezza della Lloyd, infatti, Halley non era in possesso di informazioni così approfondite della compagna di Casa. Un vero peccato ma, perché no, vi era sempre tempo per recuperare. “A differenza mia…” E di Grace. Non lo disse ma per pure la biondina, l’agire precedeva il calcolo dei pro e i contro. “La capacità analitica è dalla tua!” Alzò le spalle, roteando gli occhi, maledicendo Morgana e Merlino per non averle messo a disposizione la pazienza per riflettere a pieno su ciò che andava a compiere. “Però sì. Siamo una bella squadra. Non solo in campo!” Si poteva dire che quella era la sua famiglia. Nel bene e nel male. La fossa dei Leoni era la sua Casa. In quel momento come non mai. Ma cosa ne sarebbe stato di loro in un futuro, quando quell’involucro fatto di spensieratezza, lentamente, si sarebbe inevitabilmente sfaldato per lasciare spazio alla vita vera, quella al di fuori delle mura? “Ambiziosa.” Si trattava della pura e semplice libertà. Un principio che iniziava a conoscere proprio in quel periodo, dopo la sua drastica decisione di fuggire dal nido. “Credo sia inevitabile, però.” In un modo o nell’altro, rendere conto a qualcuno sarebbe stato sempre un pericolo in agguato. “Pensa a quando sarai sposata!” Ammiccò, cercando di smorzare quell’atmosfera che lei stessa aveva reso pesante, con la sua depressione andante. “O quando avrai dei figli.” Che scenario apocalittico. Era in vena di stronzate.
    ”Ed è una cosa così terribile?” Ed ecco la prova provata che, per sua fortuna, non aveva avuto modo di conoscere Seira O’Hara. Annuì. “Quando hai Crudelia De Mon come madre, sì!” Per lei già che fosse nella squadra di quidditch era motivo di delusione. Esagerata. “Se dovessi morire a vent’anni di infarto, beh, sapete il perché!” Scherzò. Il lavoro le serviva per campare ma, allo stesso tempo, era riuscita ad entrare nella sua confort zone. “Lavoro da accessori di prima qualità per il quidditch!” Annunciò fiera. “Ora potrò parlare di quidditch, senza apparire invasata!” O forse lo sarebbe sembrata comunque. Beh, poco importava. Il salario sarebbe arrivato nelle sue casse e avrebbe contribuito al pagamento del suo appartamento, una volta entrata in possesso di esso. “A proposito. Come vanno gli allenamenti?” Spesso si era ritrovata impegnata in altre attività e, quindi, il dialogo con il resto della squadra si era ridotto ai minimi termini e sì, la cosa non le andava a genio. “Cercherò di essere più presente! Parola di lupetto!” Mimò il giuramento, come una bambina dedita alla vita degli scout. Una promessa andava mantenuta.





    Edited by Halley. - 22/3/2024, 12:07
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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Non più figlia. Non ancora donna adulta. Sapeva soltanto quello che non era: sicura al cento per cento di riuscire a sopportare il peso delle responsabilità che, a quel punto, sarebbero pesate esclusivamente sulle sue spalle. E se la decisione, presa con cognizione di causa, l’avesse schiacciata e ridotta in poltiglia? Niente di più facile. A diciannove anni, le esperienze di vita, per forza di cose, scarseggiavano ma, d’altra parte, per salvaguardare la sua libertà, quella decisione drastica si era rivelata essere, l’unica possibile. Le era dispiaciuto? Sì. Mai e poi mai si sarebbe sognata di ritrovarsi sola. In mezzo ad un mondo ostile, senza alcun sostegno. Doveva immaginarselo. La sua ribellione aveva messo in moto un meccanismo che, una volta innescato, sarebbe stato impossibile da arrestare. Sua madre, in un modo o nell’altro, si sarebbe fatta in quattro pur di limitarle il raggio d’azione e, proprio ciò, era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Seira O’Hara si era persino espressa a sfavore della sua presenza nella squadra di quidditch della sua Casa. Insomma. Una vera e propria persecuzione intollerabile. A niente era servito l’intervento di Jason che, dopo una violenta litigata, si era visto costretto a ripartire con il cuore in gola, lasciando le donne della sua vita l’una contro l’altra, senza poter muovere un dito per favorire un riavvicinamento. Si era rifugiata da David. Sì. Un porto sicuro ma, allo stesso tempo, sentiva di essere di troppo. Lui e il fratello vantavano una routine che, di certo, non prevedeva la presenza di terzi incomodi. La decisione, così, era stata presa. Ed eccola. Una donna pronta ad affrontare quella novità, cercando di non crollare, come una stupida idiota, davanti al primo ostacolo. Mancava solo un alloggio definitivo, che la salvasse dal suo status attuale di senza fissa dimora. Bene ma non benissimo. Rivolse uno sguardo al ragazzo. Un lampo di rimprovero. Sarebbe riuscito, un giorno, a nascondere la sua avversione per il maggiore dei fratelli Harris? Probabilmente no e lei, a dirla tutta, non si sarebbe adoperata per fare in modo che le due personalità riuscissero, quantomeno, a entrare in contatto senza scontrarsi. Trattare con David? Impossibile. Il fatto che Liam si prendesse certe libertà, non sarebbe andato a genio al verde-argento, così dannatamente geloso di qualsiasi essere dotato di pene. Come se fosse stata lei a scoparsi l’intero corpo studentesco. Ma vaffanculo! Se lei riusciva a non tenere un atteggiamento da pazza, con uno sforzo avrebbe potuto farcela anche lui. E invece no. Halley gli apparteneva e, per lui, era tutto ciò che contava. Ghignò al suono del merdaviglioso e alzò le spalle. I giorni trascorsi in compagnia del suo “malessere”, come era stato definito, non erano stati poi così male. Si era rivelato un lato di David che, probabilmente, nessuno aveva mai notato. Una sfumatura di lui nascosta che lei aveva intravisto già nella notte di capodanno quando, improvvisamente, l’aveva invitata a rimanere con lui, quasi come fosse disperato e solo. “Ho solo un buon proposito.” Abbassò lo sguardo, imbarazzata come non mai. “Tornare quella di una volta!” Niente più insicurezze. Finirla con il permettere agli altri di farla sentire una nullità. Basta. Nessuno avrebbe più messo a soqquadro quell’anima che, a fatica, stava ricostruendo facendo leva su tutte le sue forze. Nessuno. A costo di ferire chiunque ci provasse. Egoista? Probabilmente. La sua serenità sarebbe arrivata prima di quella degli altri, calpestandone anche i voleri. Le scappò una risata. Defenestrare il battitore, al momento, non avrebbe giovato alla sua causa ma, probabilmente, aveva ragione, prima o poi avrebbe posto in essere un atteggiamento capace di minare la tranquillità alla quale ambiva e lì, poi, sarebbero sorti i primi problemi da affrontare. Beh, tempo al tempo. Inutile fasciarsi la testa prima di esserla rotta, no? Così si andava a dire. In ogni caso, i tentativi di Liam di giocare alla provola, la divertiva. Un modo di scherzare che, da fuori, avrebbe potuto far sorgere dei dubbi. Non le importava un cazzo. Avrebbero potuto parlare a sproposito, se disponevano di tutto quel tempo da perdere. La verità, alla fine, sarebbe stata sempre dalla sua parte. “Una convivenza forzata.” Con qualcuno lo era davvero. “Ancora non ti sei stufato di me?” A detta di molti, soprattutto in campo, si comportava come una vera e propria tiranna, proiettata alla vittoria e a null’altro. Non che avessero tutti i torti, per l’amor di Morgana ma, da qualche parte, si trovava anche un animo spensierato e accomodante, no? ”… l’unica cosa che non condividiamo è il letto ma per questo possiamo sempre rimediare.” Roteò gli occhi, implorando Merlino di salvarla da quelle proposte indecenti, prima che la situazione sfuggisse di mano. In quante avrebbero voluto trovarsi nella sua posizione? Troppe. Ne era certa. Vi erano ragazze che non attendevano altro che sentirsi dire dal suo amico, parole di interesse nei loro riguardi. Ma lui? Riservava quelle attenzioni a lei. Una ragazza impegnata ma consapevole che al suo fianco, tutto sarebbe stato così dannatamente semplice. Una routine ben differente da quella che era costretta a vivere con Harris. Una quotidianità che, normalmente, ogni fanciulla di quel regno e non, avrebbe voluto per sé. Tra il principe e la bestia, Halley aveva scelto la bestia, la quale non aveva perso l’occasione di avvolgerla tra le sue spire, soffocandola lentamente e, ancora, non riusciva a comprendere se fosse un bene o un male. “Dormo nuda.” Effettivamente. Certo non ad Hogwarts ma solitamente, era una delle gioie della vita alla quale non rinunciava. “Sempre alla ricerca del calore umano.” Ehi, l’aveva chiesto lui. Si stava solo limitando a rispondere alle domande e poi aveva un testimone, poteva sempre chiedere la conferma al suo più acerrimo nemico. “Però scalcio. Senza pietà!” Gli tirò una spallata amichevole, lasciando che il discorso procedesse verso lo step successivo. “Non sono d’accordo!” Affermò con decisione, lasciandosi andare a un impeto di eccessiva sicurezza. “Niente è perso.” Finché fossero stati al mondo e in grado di provare e riprovare. “Basta crederci!” Terminò la sua perla di saggezza. “Quale occasione avresti perso, se posso sapere?” Domando curiosa di conoscere ciò che, a quanto poteva notare, aveva lasciato un retrogusto amaro nel povero ragazzo deluso.

    Tutto troppo serio. Davvero. Ma un piccolo incidente si rivelò provvidenziale. Forse per lei. Per Liam un po’ meno. Si trovò letteralmente attaccato da Blue, la piccola palla pelosa, regalatale dalla madre in un momento di rara gentilezza. O forse era solo una sua piccola spia. Chi poteva dirlo con esattezza? Stava di fatto che la stronzetta fungeva da guardia del corpo e, Halley, non riusciva a spiegarsi il perché si fosse accanita sul povero malcapitato. Per un secondo, pensò al corpo di David e beh, si. Le cicatrici sulla sua pelle le aveva trovate sexy, anche se ancora non riusciva a comprendere la loro natura. Allontanò quella visione e si concentrò sul suo compito: separare vittima e carnefice. Ridere o arrabbiarsi? La scenetta, però, la divertiva assai. Immaginava la sua puffola lottare per tenerli alla larga, come fosse guidata da un certe Serpeverde di sua conoscenza. No. Non poteva essere. Blue e David non si erano neanche mai incontrati prima e quelle bestiole erano pur sempre selvatiche, difficilmente plasmabili o, almeno, il soggetto in questione che se ne stava teneramente tra le braccia della padrona, come se avesse vinto. “Ti riporto a Londra!” Minacciò la sua amichetta del cuore, sussurrandole lentamente. Sarebbe stata cosa buona e giusta, vista la sfrontatezza dell’animaletto. Si rivolse, infine, al leone. “Sono colpita! Pur di non stare lontano da me, subiresti le pene dell’inferno da parte di Satana in persona.” Assunse un’aria melodrammatica e portò la mano alla fronte mentre, in tutta risposta, il ragazzo prese ad imitare cosa? Un vampiro? Non era proprio chiara la sua intenzione. Lo osservò avvicinarsi e piegò la testa di lato. “Non so quanto convenga! Il mio sangue è infetto!” Da una stupida maledizione. Una verità che si perse in quella che era una battuta. “Ma il tuo, potrebbe trovarlo invitante.” Anche se forse avrebbe preferito le sue caccole. In fondo era proprio per quello che si era attaccata al suo naso.



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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Desiderava quella leggerezza. La stessa che non aveva mai avuto la fortuna di provare da quando aveva legato la sua vita a quella del verde-argento. Perché doveva rendere tutto così complicato? Sempre. In ogni occasione. Non vi era nulla al mondo che fosse servito da medicina, più di un animo leggero, sgombro da qualsiasi cattivo pensiero. Lo sapeva bene. Aveva imparato a convivere con la sensazione perenne di camminare sull’orlo di un precipizio senza fine. Vero. Ma ciò non escludeva il fatto che avrebbe voluto quella tranquillità che credeva di meritare. Se solo le sue scelte fossero state differenti. Se solo al posto di David, nella sua testa, ci fosse stato il ragazzo che aveva davanti. L’epilogo sarebbe stato differente, ne era più che convinta. Uno scenario differente. Per sua sfortuna, però, irrealizzabile. Il destino le aveva riservato l’ennesima sfida e, proprio in quell’istante, riuscì a comprendere quanto fosse sopraffatta da quei sentimenti –ancora senza nome certo- nei confronti di quello che era, a tutti gli effetti, un poco di buono, incapace di lasciar trapelare quel lato umano che gli avrebbe permesso di amare qualcuno. Rimase immobile. Quasi le mancò il respiro. Aveva timore di compromettere l’amicizia con Liam ma, allo stesso tempo, non riusciva a fare a meno di pensare a quanto sarebbe stato semplice lasciarsi andare alle sue attenzioni, lasciandosi David alle spalle per sempre. Niente più sofferenze. Niente di niente. Solo pace e armonia che, sin da adolescente, aveva desiderato vivere una volta innamorata. Le cose erano andate diversamente. Le fiamme dell’inferno si erano scagliate su di lei, sotto forma di passione e tutto aveva assunto connotati così dannatamente affascinanti da trascinarla nel peccato, sin dal principio. La vicinanza con il Grifondoro si fece sentire. Il suo sguardo immortalò l’immagine delle sue labbra. No. Non poteva guardarla così. Lo apostrofò con un sussurro imbarazzato. Il tempo sembrava essersi fermato. Anche i movimenti divennero più lenti, come se fossero entrai in una trance strana e sbagliata. Perché, sì. Quel contatto era sbagliato. “Come se volessi baciare il tuo aguzzino!” Ironizzò. “Potrebbe trattarsi della Sindrome di Stoccolma!” Non si scansò. Non ne aveva motivo. Quel giovane uomo, mai e poi mai, avrebbe mandato a puttane il loro rapporto, nonostante la sua imprevedibilità che altro non era che una leggenda tra quelle mura. Avvertì il suo tocco a livello della schiena. Caldo. Fin troppo ma, con maestria, pose fine a quello che –se visionato dall’esterno- sarebbe potuto apparire come un approccio di natura differente da quella reale. Le sue mani scattarono sui suoi fianchi, veloci e certe che avrebbero ottenuto il risultato atteso. Halley si dimenò, ridendo di gusto, come non faceva da tempo e, subito dopo, prese a correre per fuggire da quell’improvviso attacco. “Troverò il modo per fartela pagare, Knight!” Solitamente essere colta in fallo non le andava a genio ma, anche grazie a quel gesto genuino, riuscì a entrare nell’ottica di quella spensieratezza assente da troppo tempo.

    Tutto durò giusto il tempo di una corsetta. Breve e intensa. Non abbastanza, però, per provocarle il fiatone. Gli allenamenti dovevano pur servire a qualche cosa. L’atmosfera si rabbuiò e, per poco, non crollò definitivamente. Non se lo sarebbe mai perdonata. No. Optò, quindi, per una via di mezzo. Una strada apposita per non indurre alla preoccupazione il suo amico, ma costellata di verità bisognose di essere liberate. La delicatezza di Liam la spiazzò. Limitandosi ad ascoltare, il biondino, passò di livello, entrando di diritto nel suo cuoricino palpitante. “Poco prima di partire per Hogwarts.” Ammise. “Dopo una feroce discussione con mia madre.” Non avevano più avuto contatti. Nessuna delle due si era degnata di fare un passo verso l’altra per cercare un punto di incontro e, a dirla tutta, ad Halley andava bene così. “Ho passato qualche giorno da David e poi, beh, eccomi qui!” Vita nuova. Una pagina bianca che attendeva di essere scritta. Sì, sarebbe ripartita da sé stessa, mettendosi al primo posto in qualsiasi ambito. Con o senza l’aiuto di terzi. Un coraggio non indifferente. Aveva pur sempre vent’anni e l’inesperienza di chiunque portasse sulle spalle le sue stesse primavere. Abbassò lo sguardo e cercò di non lasciare che i ricordi di quelle parole senza anima, la trascinassero nel baratro. Sua madre. La stessa donna che le aveva dato la vita, si stava comportando alla stregua di una strega crudele, con il solo scopo di manovrare le fila di una figlia –secondo lei- troppo ingenua per prendere decisioni sulla sua vita. Vaffanculo! Ricordava ancora il suo sguardo sprezzante quando, senza alcun invito, si era presa la briga di andare a farle visita dopo la caduta, durante la finale di quidditch. I suoi occhi l’avevano fulminata. Il loro scontro era stato duro. Un faccia a faccia al quale non era per nulla preparata. Senza contare la scena successiva che aveva visto, nello stesso posto e nello stesso momento, il suo ragazzo e sua madre. Uno contro l’altro. David aveva preso le sue difese, assicurandosi la posizione più bassa nella personale classifica di gradimento della temibile Seira O’Hara.
    Sorrise quando accettò di darle una mano a cercare un alloggio che si adattasse alle sue esigenze. “Non stai correndo troppo, mio caro?” Aggrottò la fronte mentre, scherzosamente, un sopracciglio si inarcò. “Ancora non hai ammesso i tuoi sentimenti per la sottoscritta.” Nonché futura nemica, dopo quel pomeriggio all’insegna di una punizione con i controcazzi. “Già passiamo alla convivenza?” Arricciò il naso e riprese il filo del discorso o, almeno, ci provò a risultare seria, così come richiesto dal contesto. “Hogsmeade.” Confermò, sforzandosi di sorridere. Il più lontano possibile dalla sua residenza di origine, così da non rischiare di incontrare agenti disturbanti. “Sono la nuova commessa di Accessori di Prima Qualità per il Quidditch!” Si era candidata per quel ruolo e, per chissà quale botta di culo, le sue preghiere erano state esaudite. “Non ti preoccupare!” Piegò la testa di lato. “Avrò sempre tempo per farti da baby sitter!” Oh, sì! Non si sarebbe mai sognata di lasciarlo nelle mani di qualcuno diverso da sé stessa. Le cose sarebbero sfuggite al controllo e Liam si sarebbe fatto espellere in un batter d’occhio, come nulla fosse, rischiando l’intera carriera scolastica e il suo futuro.

    Era giunto il momento di andare al sodo. Molto sodo. Perché l’approccio con i Thestral, avrebbe necessitato di una grande concentrazione. Avvicinarsi alle scheletriche creature, infatti, sarebbe stato complicato, soprattutto per via della loro impossibilità nel vederli. Una fortuna da un lato, ma una grande sfiga dall’altro. “Evita i movimenti bruschi e resta in ascolto.” Sua zia le aveva insegnato gran parte di ciò che sapeva ma, non per questo, si sentiva in debito con quella stronza. “Fai attenzione a ogni fruscio.” E cerca di non farli incazzare! Impresa ardua, considerando il loro temperamento lontano dall’aggressivo. Una parola. Una sola parola. Quando si accorse della problematica, per Halley, era troppo tardi. La piccola bestiola si avventò su Liam, senza alcuna pietà, attaccandolo. Possibile che fosse così stronza? Spoiler: sì. “Cazzo!” Esclamò, precipitandosi a soccorrere la povera vittima ignara. “Sì. È il suo secondo nome, effettivamente!” La osservò con aria da rimprovero, come se sarebbe servito a far pentire quella piccola palla di pelo, apparentemente indifesa. Scrollò la testa e si chinò sull’amico, in preda al panico, terrorizzato dalla possibilità di essere stato sfregiato. Insomma. “Le cicatrici sono sexy!” E doveva ammettere che esercitavano un enorme ascendente su di lei! Troppo senbile. Sorry not sorry. “Fa vedere!” Gli alzò a forza il mento, scostandogli le mani. “Neanche un graffio!” Decretò alla fine. “Il tuo bel faccino è salvo!” Il suo tono lamentoso la divertì, anche quando andò a constatare quanto la puffola e David fossero affini. Entrambi aggressivi e gelosi di Halley a livelli estremi. “Probabilmente l’ha addestrata proprio lui a mia insaputa, così da tenermi lontana da te…” O da qualsiasi essere umano di sesso maschile. Tralasciando gli scherzi, non si sarebbe stupita, sembrava proprio un piano losco, da David. La acchiappò al volo e la strinse tra le mani, facendo attenzione a non provocarle dolore. La porse al leoncino ferito nell’orgoglio: “Andiamo, fate pace! Rendetemi fiera di voi!” In caso fossero andati d’accordo, avrebbe potuto anche trasferirsi da lui, quell’ammasso di pelo insopportabile.



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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Il tutto poteva essere paragonato a una nefasta epidemia. Prima quello che doveva essere il suo ragazzo; poi la sua amica. Come se un morbo contagioso avesse preso il controllo delle loro personalità, con un unico risultato: metterla da parte. Soffriva. La solitudine, un tempo da lei idolatrata, era diventata la sua peggiore nemica. Spesso si ritrovava sola, immersa nei suoi pensieri più intimi. Lontana da quel mondo che sembrava rigettarla. Si era creduta sbagliata. Non all’altezza ma, solo qualche attimo più tardi, aveva pensato a quanto stupido fosse quel pensiero. Grace e Nathan, erano stati la sua cura, strappandola ad attimi tremendi, durante i quali si era sentita di voler lasciare perdere tutto e fuggire. Lontano da lì, dove più nessuno avrebbe potuto farle del male. Non l’aveva con Daphne. Non poteva recriminarle nulla. Aveva un ragazzo. Il tempo a loro disposizione, in vista degli esami, si era ridotto drasticamente e, inevitabilmente, una scelta andava fatta. Coltivare un amore era pur sempre impegnativo, no? Mantenere un’amicizia, però, dal suo punto di vista, lo era ancora di più. Punti di vista, non sempre compatibili. Criticare, comunque, non spettava certo a lei e, d’altra parte, Daphne neanche sospettava quanto fosse risentita a causa della sua assenza. Il loro bizzarro rapporto aveva avuto inizio in maniera poco ordinaria ma, da quei primi tempi, erano passati quasi tre anni, durante i quali le loro strade –per la maggior parte delle volte- combaciavano. Strana la vita. Dall’odio era fiorita una specie di tolleranza reciproca, mutata poi in qualche cosa di più profondo ora in pericolo. Le dispiaceva? Certo che sì. Avrebbe calcato la mano? No. Battibeccare, avrebbe voluto dire spendere un’energia che non aveva. Il quieto vivere, senza però l’ipocrisia, avrebbe vinto su ogni cosa. Quel giorno e sempre. Alzò le spalle, lasciando che il ricordo di quegli allenamenti, scivolasse nel dimenticatoio, catalogandolo come una specie di incubo ad occhi aperti. Il nuovo anno aveva portato appresso non solo le nuove responsabilità di prefetto ma, dopo l’abbandono del capitano in carica della squadra, tutto era franato sulle sue spalle ed eccola, a cimentarsi in quel nuovo ruolo che le calzava a pennello. Era felice ma tanto impegnata, soprattutto per quanto riguardava le selezioni. Un disastro annunciato, sì, ma non era la tipa da demordere. Annuì, roteando gli occhi, così che potesse intendere quanto fosse stato complicato sopravvivere fino a quella sera. “Se la credono troppo.” Un eufemismo. “Non sanno distinguere una pluffa da un bolide, per Merlino.” Non sapeva da dove iniziare ad elencare tutte le stronzate alle quali aveva assistito quel giorno. Forse sarebbe stato meglio sorvolare e passare oltre ma, con sua grande sorpresa, la bionda, si addentrò in un territorio a lei ostile: il quidditch. Sapeva la sua poca inclinazione verso quello sport, certo, era più da pattinaggio sul ghiaccio. Eleganza e stronzate varie. Il maschiaccio tra le due era e rimaneva Halley, con sua grande felicità. Due personalità oppose che, con un po’ di fortuna e impegno, sarebbero potute conciliarsi facilmente, accettando i limiti da entrambe le parti. Difficile ma non impossibile. “Dovresti dare una possibilità al quidditch.” Nemico per molti. La brutalità che spesso si utilizzava per vincere gli incontri, rientrava esattamente nei suoi canoni. La prova? Le fratture che aveva subito durante la finale. Fratture che, comunque, erano servite a portare la sua squadra in vetta alla classifica, conquistando il gradino più alto del podio. Sorrise al solo pensiero di una possibile replica. Lo stesso non si poteva dire delle Serpi che, sfortunatamente per loro, avevano collezionato una sconfitta dietro l’altra, sprofondando nello sconforto e nella rabbia. Lo sapeva bene, viste le continue lamentele del povero, perdente, Harris. Sì. Nel quidditch i sentimenti contavano meno di niente. Per lei, certo. Lo avrebbe sfottuto fino alla fine dei suoi giorni e, in fondo, la divertiva vederlo reagire, mal celando il suo rodimento di culo. “Magari!” Se fossero scappati, almeno, un briciolo di sanità mentale sarebbe rimasta intatta. Invece no. Doppio lavoro, non solo per metterli in riga ma per spiegare le basi di qualche cosa che avrebbero già dovuto sapere. “Sai quanta pazienza ho, no?” Soprattutto con i coglioni che pensano di sapere tutto nella vita, invece non sanno proprio un cazzo di niente. Sbuffò e si avviò verso l’ignoto. Ci mancava solo qualche grana per coronare la giornata appena trascorsa. Mai dire mai e mai giocare con la sfiga. Già. Come si rivelò una sfiga, non avere alcuna idea di cosa volesse dire mordersi la lingua quando, inevitabilmente, qualche argomento toccava un nervo scoperto, come quello appena intrapreso dalle due compagne di ronda. Mmmm. No, non ne sarebbe uscita pulita ma, in fondo, non era neanche la sua intenzione primaria, anzi. Obiettare sul suo essersi chiusa a riccio, in un mondo che credeva perfetto, con il suo perfetto ragazzo, avrebbe avuto dei riscontri non indifferenti. Preoccupata e dispiaciuta, Halley, avvertì l’esigenza di esprimere il suo pensiero, evitando quell’invadenza che non avrebbe mai voluto utilizzare con coloro che occupavano un posto importante nella sua quotidianità. “Capisco che per te sia importante!” Sospirò, assicurandosi quel contatto visivo, necessario a esprimere le sue vere intenzioni. “Ti chiedo solo di salvaguardare la tua individualità.” Recitare morali non le si addiceva affatto. “Tutto qui.” Certo. Vivere il momento spensierato, caratterizzato da un amore incondizionato, travolgerebbe chiunque ma, prima o poi, avrebbe avuto bisogno di qualcuno al suo fianco che esulasse dalla figura di Hunter e lì, probabilmente, sarebbero iniziati i primi rimorsi. Chissà. “Scegli di vivere questa specie di dipendenza?” Poteva mai essere su base volontaria, una roba del genere. E di malessere ne capiva più del dovuto. La sua relazione con David, tra alti e bassi, proseguiva ma era certa che non sarebbe mai stata in grado di annullarsi per rinchiudersi in una dualità deleteria. “Come può farti bene?” Una domanda ingenua la sua. Non riusciva a credere che fosse la sua volontà a farla muovere in quella direzione a senso unico. “Dispiace anche a me.” Si sforzò di sorridere, prendendo le sue parole come una vera e propria promessa. Stava a lei mantenerla, Halley non avrebbe più messo becco nella relazione tra lei e il Corvonero, così da mantenersi a debita distanza dall’impressione che avrebbe potuto dare. L’esplorazione continuò, così come il flusso dei loro pensieri, interrotti di tanto in tanto dal passaggio di uno dei fantasmi che infestavano il castello. Simpatici e fastidiosi. Sempre pronti a far perdere tempo prezioso. “Si notava così tanto?” Troppe questioni lasciate in sospeso. Troppi dubbi da dissipare. Il rapporto con sua madre, quello con David. Ai problemi si aggiungevano altri problemi e la sua stabilità aveva vacillato più di una volta. Con estrema caparbietà, però, aveva promesso a sé stessa di riprendere le redini di quell’esistenza meritevole di un riscatto. Il culmine della follia, comunque, era stato raggiunto quando, dopo la notizia della morte della professoressa di divinazione, Ellen aveva invitato la caposcuola a fare ritorno al nido, giocando alla madre preoccupata. Si accigliò. “A che gioco sta giocando?” Domandò, essendo a conoscenza delle tensioni tra madre e figlia. “No.” Rispose secca. “Non parlo con mia madre da Natale.” Aveva passato qualche giorno in compagnia di David e, in un secondo momento, si era trasferita definitivamente nell’appartamento che aveva preso in affitto a Hogsmeade. “Avrei solo bisogno di vedere mio padre!” Le mancava. Le ultime notizie lo vedevano impegnato in une delle tante isole a largo del Madagascar. Alzò le spalle. “Sono diventata, tutt’un tratto, sentimentale.” Effettivamente, molti erano gli indizi che sostenevano quella stupida tesi.



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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Possibile che gli servissero le istruzioni per l’uso, per interpretare ogni suo fottuto gesto? Possibile che dopo più di un anno, passato al suo fianco, ancora capisse così poco di lei? Possibile che l’unico suo interesse ruotasse intorno a quelle due, fatidiche parole? Ignorando tutti i gesti che gli aveva riservato, da brava idiota innamorata? Possibile che quelle stesse parole fossero tutto ciò che era in grado di offrirle? Possibile. Sì. A quel punto non poteva escludere alcunché. Gli credeva. Era convinta che la amasse. A modo suo, certo. Ma il suo sentimento doveva essere autentico, proprio per via delle conferme che lei, puntualmente, gli offriva per fargli sentire la sua vicinanza, tralasciando il sentimentalismo. Si era sempre focalizzata sul concreto, più che sul resto e credeva di non aver niente da recriminarsi. Anzi. Gli aveva dato tutta sé stessa. Senza riserva e, proprio per quel motivo, non riusciva a comprendere a pieno quel suo atteggiamento distaccato, ricolmo di un rancore che era certa di non meritare. Aveva lasciato passare il tempo. Le era costato più di quanto potesse mai immaginare. Eppure, dopo quella pausa si riflessione era giunta alla conclusione definitiva. Quella che avrebbe dato una svolta a quella relazione. Lo amava. O meglio, nutriva la profonda convinzione che fosse amore, sulla base delle sue acerbe credenze. Lo aveva creduto, fin dalle ore che aveva seguito il loro allontanamento su base volontaria. Ma ora? La confusione, subdolamente, si faceva largo in lei, macchiando le certezze, e velandole di quell’opaco dubbio che le fece fare un passo indietro, ponendosi sulla difensiva. Perché la trattava in quel modo? Lui stesso aveva accettato di lasciarle spazio, promettendo di aspettarla. Nessuno aveva parlato di una tempistica. E allora, cosa aveva scatenato la sua ira? Cosa gli impediva di stringerla tra le braccia, lasciando che il resto facesse il suo corso? Un fremito le percorse la colonna vertebrale, in tutta la sua lunghezza. Il freddo si fece ancora più pungente, lasciando che il suo corpo si lasciasse scuotere da alcuni brividi. La migliore difesa è l’attacco. Questo aveva imparato sul campo e, quando ne aveva l’occasione, anche nella vita applicava questa specie d’insegnamenti. Giusti o sbagliati, Halley, in quel momento si sentiva sopraffatta dalla situazione. Era lì, convinta di vincere i suoi timori e, invece, si era scontrata con una realtà così triste e sconcertante da lasciarla senza parole. Lo scrutava in silenzio. In un angolo, come fosse la spettatrice di un film muto. Tutto era tremendamente sbagliato. Si appartenevano, eppure non riuscivano a stare nella stessa stanza senza litigare. Perché? Continuava a ripetersi, fino a quando quel silenzio assordante non divenne del tutto insopportabile e, con ironia, ruppe quella perfezione che a molti sarebbe andata a genio ma non a lei. “Sentimento reciproco!” Tagliò corto, liquidando così l’argomento Michael, decisa a farselo andare bene, solo ed esclusivamente per il fatto che –per qualche assurdo motivo- riusciva a rendere felice Grace. Il resto non gli importava. Avrebbe potuto odiarla all’infinito, per quel che le importava. Scrollò la cenere della sigaretta a terra, tornando a fumare, come se lei non esistesse. La rabbia ribolliva nelle vene. Incontrastabile. All’improvviso lo vide serrare la mascella, dal nulla, come se qualche cosa avesse scalfito la sua mente. Qualche cosa che non aveva nulla a che fare con loro. ”… se cerchi la stabilità con me non la troverai.” Il suo cuore perse un battito e rallentò il suo pulsare. Strinse i pugni e una lacrima le rigò la guancia. Svelta la raccolse con il pollice, così che lui non potesse rendersi conto del male che le aveva inflitto, con la sua brutalità immotivata. Quando si sentì pronta, posò le tristi iridi sulla sua figura, cercando le parole per esprimere la sua amarezza, per ciò che aveva appena dichiarato. “Mi hai aspettata per dirmi che non sei la persona adatta a me?” A quel punto sarebbe stato meglio che si fosse scopato tutto il castello, davanti ai suoi occhi. Avrebbe fatto meno male. “Che non puoi darmi quello che cerco?” Giusto? Era ciò che aveva appena detto, no? “Come se ti avessi chiesto la luna.” Il suo tono non si alzò minimamente. Tutto fu pronunciato con estrema calma, grave sintomo della tempesta interiore che si era abbattuta in lei. “Essere amata. Essere protetta. Questo è troppo per te?” In quel caso, quella sera, sarebbe stata l’ultima passata insieme, senza possibilità di voltarsi indietro. Già. L’amore. Il sentimento che aveva paura di affrontare faccia a faccia per la mera paura di imbattersi in un madornale errore. Sapeva bene cosa si aspettava da lei. I desiderio di sentirsi dire ciò che lui per primo aveva espresso, stava sfuggendogli di mano, spostando il focus della sua attenzione alle parole, ma non ai fatti che suggerivano chiaramente la natura dei suoi sentimenti nei confronti del verde-argento. “Questo è il tuo problema?” Domandò stizzita. Tornò ad accomodarsi. Lontana da lui e dai suoi occhi scuri e magnetici che in quel momento la infastidivano a tal punto da non riuscire a guardarli da vicino. “Sei cosi insicuro! E non riesci a vedere a un palmo dal tuo naso!” Non era una domanda. Socchiuse le palpebre, respirando la gelida brezza che la notte di Natale stava offrendo loro. Aveva freddo. “Venendo qui, ho recitato un centinaio di volte il discorso che si sarebbe, poi, concluso con la mia dichiarazione!” Era felice. Felice di poter finalmente dare voce a quel silenzio che l’aveva logorata per quasi un mese. Ma poi? Una volta giunta sul posto, aveva trovato in lui un estraneo, pervaso da un astio nei suoi confronti che le aveva gelato il sangue. “Perché, sì, Harris. Fino a poco prima che arrivassi, ero certa di amarti!” Poi aveva captato qualche cosa di diverso in lui, come se qualche cosa gli impedisse di lasciare che le circostanze lo avvolgessero. “Ma ora non lo so…” Ammise, stringendosi le ginocchia tra le braccia, come una bambina indifesa in balia delle intemperie. “… ho bisogno di te, è vero! Ma se non puoi darmi ciò che chiedo, è giusto che mi lasci andare, così da permettermi di arrangiarmi con le mie forze!” Il “ti amo”, spesso da solo non bastava a salvaguardare un rapporto. Aveva bisogno di conferme. Di essere fermata. Amata. In una maniera incondizionata, come nessuno aveva fatto mai. Alcuni individui, però, non erano fatti per quel tipo di cose. Si alzò. Lentamente raggiunse il verde-argento, ancora in attesa di qualche cosa che già era giunto mesi prima, senza che neanche se ne accorgesse. Posò la mano destra sulla sua guancia, sorridendogli flebilmente. “Forse, semplicemente, per quanto ci sforziamo, non siamo destinati l’una all’altro!” Una lotta infinita contro qualche cosa di più grande di loro. La sua rabbia aveva preso il sopravvento, raffreddando gli animi. Senza chiedere il permesso, si alzò in punta di piedi e lasciò che le sue labbra scivolassero su quelle del ragazzo. Un bacio. Solo uno. Casto. Puro come la sua anima, meritevole di un riscatto. Gli sorrise quasi imbarazzata e si voltò, sussurrando: “Prima che me ne vada. C’è una cosa che voglio chiederti…” Girò la testa, i suoi capelli lunghi e scuri si posarono sulla spalla. “Cosa ti fa soffrire in questo modo?” Halley era sempre la solita Halley. Colei che si sarebbe preoccupata per lui, anche se le loro strade si fossero divise.



  14. .

    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Mai nella vita si era sentita un oggetto. Qualcuno a cui dire cosa fare, da chi lasciarsi avvicinare. Come se il suo libero arbitrio, in un soffio, fosse svanito definitivamente. Eppure, proprio quel giorno, per la prima volta, aveva avvertito quella sensazione. La presenza di David, spesso, si faceva sentire in maniera decisa. Troppo. Avvertiva i suoi occhi addosso. Fissi che la seguivano ovunque, come se fosse una preda tenuto sotto tiro, in attesa di un passo falso. Un passo falso che, da parte sua, non sarebbe mai giunto. Non era lei quella in debito. I torti subiti, infatti, derivavano proprio dalla controparte. La stessa che rimaneva fermamente convinta di non aver posto in essere alcun atteggiamento in contrasto con la morale, condivisa dalla maggioranza. Stupido idiota. Fortunatamente la realtà se ne stava lì, in silenzio, davanti agli occhi di tutti coloro che, sfortunatamente, avevano avuto modo di assistere a quello che si era rivelato essere, poi, l’ennesimo teatrino firmato dall’Harris che si era scelta. Cogliona! Stare insieme a qualcuno, certamente, non corrispondeva all’atto dell’annullamento totale della personalità. Non l’aveva mai creduto e lei, in prima persona, non avrebbe mai accettato determinate condizioni ma, d’altra parte, non si sarebbe mai sognata di ridicolizzare la loro relazione, attraverso alla plateale esposizione delle proprie idee riguardanti la fisicità di un altro ragazzo. Il moro aveva dimostrato poco tatto. Poca intelligenza e, soprattutto, era riuscito a rimettere in discussione i sentimenti che Halley, aveva creduto di provare. Forse si era spinta troppo in là, idealizzando il concetto di amore e sforzandosi a cucirselo addosso, quasi come fosse una seconda pelle. In ogni caso, il suo castello di cristallo era andato in frantumi e la fiducia in David si era ridotta drasticamente. Furibonda. Fuori di sé. Quando aveva varcato la soglia della Sala Trofei, per porre fine a quel patetico inseguimento, farcito di urla imbarazzanti da parte del ragazzo, la Grifondoro, si trovava convinta di riuscire a mettere un punto a quella relazione malata e ricolma di lividi, incancellabili. Pura illusione. Ciò che era avvenuto in seguito l’aveva scioccata. Le rivelazioni uscite dalla bocca del maggiore dei fratelli Harris, in un certo senso, rispondevano ad alcuni dei dubbi, sorti nella giovane donna che, in tutta risposta, aveva esposto la sua necessità di avere tempo per digerire la cosa e, dopo un’attenta analisi, prendere una decisione definitiva, che segnasse la sorte del loro tormentato legame. Le parole del battitore verde-argento, risuonavano nella sua testa. Martellanti. Proprio in quel frangente, infatti, il nome di Axel, fece capolino tra fiumi di argomenti, apparentemente sconnessi l’uno dall’altro. Che tra i due non scorresse buon sangue, non credeva fosse un segreto ma, arrivare addirittura ad avvertirla di stargli alla larga, le pareva un tantino eccessivo. Che fosse geloso? In passato, la Wheeler, aveva trovato più che affascinante il bulgaro e, tutt’ora, non poteva negare di trovarlo obiettivamente bello. Il classico tipo che avrebbe fatto girare la testa a chiunque sano di mente. Eppure, da quel che poteva ricordare, non si era mai espressa in questo senso, tantomeno in presenza del suo ragazzo. Scatenare la gelosia di David, infatti, non era certo una sua priorità. Alzò lo sguardo verso quel corpo statuario, fissandolo per qualche attimo di troppo. Oh, quanto avrebbe voluto fargliela pagare a quel pezzo di merda. Così, solo per fargli comprendere quanto fosse umiliante sentirsi in competizione con qualcuno ma, ahimè, si reputava migliore di lui. In tutto e per tutto. La decenza di non coinvolgere terzi nei suoi problemi, avrebbe sempre preso il sopravvento. Anche se… No! Non proferì parola ma si guardò bene dal distogliere le sue iridi smeraldine, in quel momento riflesse in quelle di Axel. Lasciò cadere nel suo palmo il sacchetto incriminato e, subito dopo, avvertì la pressione sulla sua mano. Il Serpeverde stava, deliberatamente, testando quanto fosse incline ad ascoltare i suggerimenti esterni? Quel calore, per pochi istanti, la destabilizzò. Piacevole, certo. Strano. Ancora di più. Indugiò anora una volta, senza sottrarsi, anzi. ”Magari sì.” Così dicendo, il contatto svanì mentre un ghigno beffardo si delineava sulle sue labbra della mora. Scosse la testa, roteando gli occhi. Cosa voleva dimostrare? Non poteva che immaginarlo ma il suo sguardo attento, continuava a passare in rassegna ogni centimetro del suo corpo. Doveva ammetterlo: essere ammirata era pur sempre una botta alla sua auto stima. La stessa che, negli ultimi tempi, scarseggiava. “Sono una fottuta Grifondoro.” Esordì improvvisamente, mossa da un impeto di fastidio, dato da quelle stupide raccomandazioni, impartite da niente poco di meno che da un mannaro. Andiamo. Poteva benissimo essere l’inizio di una scadente barzelletta. “Il pericolo mi affascina!” Quel che sapeva di lei, oramai, non valeva più. Con un colpo di spugna, la sua innocenza, quella che aveva conosciuto Dragonov, non esisteva più, così come il suo essere inesperta e ingenua. La metamorfosi di Halley era giunta all’improvviso, quando la vita le aveva presentato un conto così alto da pagare che, anche non volendo, l’aveva costretta a rivalutare la sua intera esistenza. Da ciò ne erano derivate pessime scelte, compresa quella di innamorarsi della persona che mai e poi mai le avrebbe potuto offrire la stabilità della quale aveva bisogno per sopravvivere. Ne era conscia. Quella convinzione, seppur ancora acerba e da confermare, non avrebbe giovato alla sua sanità menta. Che cazzo stava combinando? La successiva provocazione da parte del suo interlocutore, la scosse, riportandola lì, dove le cose stavano capitando troppo velocemente. ”Magari no.” Peccato. La prima opzione la eccitava decisamente di più. Giocare con il fuoco, dopotutto, faceva parte dei suoi hobby preferiti e se ciò avrebbe scosso, portandolo al limite, sarebbe stato ancora più divertente. Sì. Meritava di comprendere. Meritava di comprendere quanto fosse doloroso condividere la persona amata con altri. Meritava quel male. “Sarebbe un peccato! Una delusione!” Esclamò flebilmente, con un tono così basso da risultare quasi grottesco. Ma che cazzo stai dicendo? Si fermò a riflettere. Possibile che gli avvertimenti di David avessero a che fare solamente con la paura che tra Halley ed Axel vi fossero dei residui, dati dalla mera attrazione fisica? Impossibile. La Wheeler aveva dimostrato ampiamente il suo interesse esclusivo per quell’idiota. Lasciò andare, in fondo si trattava di paranoie sue, scaturite dalla sua insicurezza e, in quel momento, non le fregava nulla. Che andasse a fanculo! L’amava. A parole. Era giunto il tempo di lasciare parlare i fatti. In ogni caso, forse forse, la verità si trovava nel mezzo. Fisicamente erano sempre stati attratti e i commenti del ragazzo, non furono altro che fermi riscontri. Le scappò un sorriso, subito dopo la conferma. Proprio per riprendere il discorso che conduceva a ciò che era avvenuto in quel passato che, evidentemente, li aveva segnati, Halley si sentì in dovere di chiedere scusa. Ancora. La prima volta, il suo tentativo non era andato a buon fine ma, a distanza di due anni, forse riprovarci, sarebbe stata cosa buona e giusta. Così fece. La risposta la spiazzò, provocandole il vuoto proprio al centro del petto. Le basi. Era abituata a ben altro. Zero galanteria, nonostante nessuno l’aveva mai obbligata a fare qualche cosa contro la sua volontà. Sospirò e si guardò nervosamente le mani, arrossate dal freddo pungente. Tremò. Il gelo si stava infiltrando nelle ossa. “Dare per scontato qualche cosa? Che mossa stupida!” Avrebbe potuto tenere intere lezioni a riguardo. Fortunatamente la sveglia era suonata e il ritorno nel mondo della ragione, era avvenuto con successo. “Avevo una bella cotta per te!” Ammise, ridendo. Erano pur in vena di confidenze, no? Beh, in ogni caso, quel che aveva appena proferito, corrispondeva alla realtà dei fatti. “Non riesco a comprendere come posso essere stata così stupida da farmi sfuggire un’occasione d’oro come quella!” Meritava una pacca sulle spalle e un riconoscimento. Più di due anni erano passati. Un tempo davvero enorme, per ragazzi della loro età. E ora? Si era innamorata di uno stronzo di prima categoria, non meritevole dei suoi sentimenti. Ottima mossa. La sua espressione mutò nuovamente, lasciando spazio alle preoccupazioni. ”… tipo Harris?” Che avesse lui per la testa era chiaro come il sole. “Tipo Harris.” Confermò. Abbassò lo sguardo. “Perché l'ha tanto con te?” Domandò all’improvviso, convinta che fosse a senso unico. Axel non le era mai sembrato il tipo da investire tanta importanza su qualcuno poco stimato. Voleva comprendere ma se avesse chiesto a David, l’avrebbe sicuramente liquidata con qualche scusa del cazzo e, comunque, non ci avrebbe creduto.




    E niente. Non ho mantenuto la promessa di non sotterrarti. Sono una brutta persona. Però ammetti che i mie spoiler ti piacciono. Ora annega! Cià <3
  15. .

    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Osservò il giovane Corvonero accigliarsi. Stranito. Come se quanto proferito si discostasse dalla realtà dei fatti che, sfortunatamente per lui, erano sotto gli occhi di tutti. O quasi. Certo non se ne faceva un cruccio. Non le importava delle effusioni in pubblico ma, in quella particolare occasione, si risentì di quanto fosse stata ingiusta Daphne nei suoi confronti. Il ragazzo? Neanche aveva poi colpa. Fece spallucce, lasciando scivolare nel nulla quella sterile discussione, terminandola con un mentale: contenti voi… Lei di certo ci avrebbe dormito la notte, senza particolari problemi. Il fatto che avesse risposto in maniera poco simpatica a Freya, però, la lasciò alquanto stranita. Si era rivolta a lui con un tono giocoso, privo di alcun rimprovero. Una semplice battuta recepita malamente dal tipo che, in tutta probabilità si trovava sprovvisto del benamato senso dell’umorismo. Tornò a fissare la verde-argento, visibilmente sconcertata per poi ammutolirsi ancora una volta, come se reputasse le parole superflue quel giorno. Forse per colpa del suo umore altalenante, Halley, sentì il bisogno di rifugiarsi nel silenzio, solo per trovare la giusta concentrazione per affrontare ciò che la professoressa richiedeva ai suoi studenti. Che non fosse un asso nella materia, non era affatto un segreto ma il desiderio di applicarsi, forse, contava più dell’innato talento e, come sempre, quando si trovava la di fuori della sua comfort zone, l’impegno sarebbe stato doppio. Proprio per quel motivo, il suo primo passo fu un successo. Il piccolo draghetto sortì più vivo che mai, anche se pigro e, una volta uscito dal suo campo visivo, tornò ad essere il nulla. Così come doveva essere. Poco male. Sarebbe stato solo un imbroglio, visto l’esercizio successivo che l’avrebbe vista come potenziale vittima. Essere trasfigurati da un principiante non era certo ciò a cui aspirava ma, d’altra parte, a vegliare su di loro vi era la docente, pronta ad intervenire se qualche cosa fosse andato nel verso sbagliato. Con un po’ di timore prese il posto di Freya, la quale si era cimentata nell’esercizio, uscendone sconfitta a metà. Meglio di niente. Una coda, soffice all’apparenza, comparve al ricciolino che presto fu portato alla normalità. Interessante. Quel tipo di esperimento sarebbe servito, forse, un giorno. Andiamo bene. Se questo era il livello di conoscenza, forse non si sarebbe trasformata del tutto in uno stupido furetto. Beh, almeno lo sperava. Si portò di fronte al suo aguzzino che, dopo aver incassato le sue speranze, si rivelò indulgente. Meglio, comunque, prevenire che curare. Avvertirlo le sembrava il minimo sindacale, soprattutto contando che si trattava della sua prima volta. Hunter si concentrò. Puntò gli occhi verso la sua figura, studiandola nel dettaglio, così come doveva avvenire. Annuì alla sua promessa. Rimase immobile, preoccupata ma fino a un certo punto. Sapeva bene quanto fosse importante gestire le emozioni, soprattutto durante l’esecuzione di alcuni incantesimi. La stoccata fu decisa e la formula risuonò chiara tra quelle quattro mura. Per un attimo si sentì svuotata da qualsiasi pensiero e, subito dopo, un fascio di luce la investì in pieno petto, provocandole un senso di nausea –forse dovuta all’agitazione-. Quando si destò osservò con aria stranita la sua persona. Tutto sembrava al proprio posto. Alzò le iridi smeraldine verso colui che le aveva inferto quell’angoscia. Niente. Si tastò, palpeggiandosi il didietro alla ricerca di qualche escrescenza strana che segnalasse la riuscita, almeno in parte del tentativo ma non la trovò o, almeno, non in quel punto. Salì e, una volta raggiunta la testa, si trovò un bel paio di orecchie posizionate nel punto in cui sarebbero dovute, effettivamente essere. “Carine!” Esclamò. Al tatto risultavano morbide, alla fine. Se da un lato le dispiaceva che avesse fallito, dall’altro ne era grata a Merlino e a Morgana. Il fatto di finire in infermeria alle prese con violenti conati di vomito, non l’allettava affatto. “Andrà meglio la prossima volta!” Certo, l’arte del consolare non faceva parte del suo corredo genetico. L’avrebbe perdonata. Forse. I suoi occhi si illuminarono quando, da poco distante, la raggiunse la Signorina Lynch, pronta a riparare il “danno” subito. Pochi attimi e il contro-incantesimo si scagliò su di lei, lasciando che quelle cose si dileguassero nel nulla, esattamente come erano finite sulla sua testa. “La ringrazio, Professoressa!” Disse con tanta riconoscenza da sembrare disperata. Bevve avidamente un bicchiere d’acqua e, finalmente, i suoi nervi si distesero. La sua mente ritrovò quel minimo di equilibrio e, con un po’ di riluttanza, si diede la spinta ad avanzare, per provare in prima persona l’ebbrezza di fallire miseramente nel suo personalissimo lancio dell’incantesimo a lei assegnato dalla sorte, al momento della scelta del fottutissimo nastrino. Uno scarafaggio. Stentava a immaginare la compagna, così gnocca, prendere le sembianze di un insulso coso ripugnante. Dissentì con il capo e, malvolentieri, si portò proprio davanti agli occhietti vispi della Riis, reduce dal suo esercizio con il piccolo drago. “Te la sei cavata bene?” Prese tempo, convinta che potesse servire a rilassarla un attimo, prima di compiere ciò che le era stato intimato. Una brevissima pausa per ascoltare la spiegazione della docente e, dopo aver maledetto la sua scelta, si addentrò nei meandri di quel silenzio amico che, da solo, l’avrebbe indotta ad una concentrazione adeguata per adoperarsi in virtù di quanto richiesto. Calò le palpebre, sincronizzando il respiro al battito del suo cuore, leggermente accelerato e quando ritenne opportuno tornò vigile, puntando la sguardo –ora serio e privo di alcuna espressione- verso la figura longilinea davanti a sé, pronta a ricevere la sua punizione (?). La mano destra avvolgeva saldamente la bacchetta in legno di Corniolo -famosa per la sua vivacità nel farsi i cazzi suoi- e con decisione, Halley, alzò il braccio, compiendo con il polso due movimenti circolari in senso orario mentre, allo stesso momento, la sua voce andò ad annunciare: “Entomorphis!” La punta della sua arma si illuminò e la luce si sprigionò libra nell’aria, andando a mirare proprio la sua “avversaria” Mi dispiace. Sapeva di non avere colpe e che si trattava solo di un innocua esercitazione ma le dispiaceva in ogni caso, da brava altruista del cazzo.

    ***

    Quando tutto fu riportato alla normalità, la Wheeler si precipitò verso la compagna, al solo scopo di sincerarsi delle sue condizioni. Rendere Dragonov vedovo prima del dovuto, non rientrava nelle sue priorità e, sì, un po’ ci teneva a quella Serpe strana. “Se vuoi vomitare, fallo sui suoi piedi!” Indicò le scarpe immacolate di Hunter. “Scherzo, ovviamente!” Meglio le tue che le mie, che vuoi?. L’allegra compagnia si divise e ognuno tornò al proprio posto, pronto a svolgere, questa volta, un esercizio in solitaria –ciò che a lei andava più a genio-. Ognuno avrebbe giocato per sé. Niente di più entusiasmante. Forse. Piegò la testa di lato e la sua lunga coda di cavallo si posò poco delicatamente sulla sua spalla. “Ma…” Uno spettacolo raccapricciante. Davanti ai suoi increduli occhi apparve una povero coniglio con il corpo trasfigurato in un serpente. Poteva giurare di aver visto nei suoi piccoli occhietti un’ombra di terrore. E come dargli torto, si trovava ad essere un completo mostro. Cercò di non perdere tempo, così da poter ridurre al minimo quello strazio.
    Si posizionò, ancora una volta davanti al suo bersaglio, pronta a mettere in atto le direttive impartite dalla Lynch pochi attimi prima. Ripercorse mentalmente il procedimento, sperando di ricordare bene ogni particolare e, come per l’esercizio precedente, ricercò la concentrazione così come era solita fare. Socchiuse gli occhi, ricercando la calma interiore che trovò senza particolare difficoltà e, una volta ridestatasi, si trovò davanti la presa inerme in attesa del suo piccolo miracolo se fosse riuscito, ovviamente. Sfoderò la bacchetta e, un volta puntata contro la bestiola, il polso deciso compì un movimento che formava una U leggermente più ampia del solito. Stoccò senza troppi indugi e recitò la formula, con tono risoluto: “Reparifarge!” Tornò a respirare mentre cercava di individuare, tra la luce abbagliante, il risultato ottenuto.




    Halley Mia Wheeler - V anno - Grifondoro
    In gruppo con Freya e Hunter.
    Interagito con Hunter e poi, dopo aver subito la trasformazione (le sono cresciute le orecchie u.u) lancia l'incantesimo su Freya. Sarà riuscito? Lo scopriremo solo vivendo (?) Ringrazia la prof per averla riportata alla normalità. Alla fine intergaisce con Freya di nuovo e alla fine lancia il Reparifarge sul povero coniglio macabro. Che dire? Pronta a fare 1 -.-
    Ps: Nastrino Viola <3
    Entomorphis su Freya: 1
    • 1d6
      1
    • Inviato il
      27/2/2024, 01:02
      Halley.
303 replies since 22/2/2022
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