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Axel.

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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Sospirò esausta. Ancora una volta. L’ennesima quel giorno. Per quanto desiderasse l’arrivo del momento in cui sarebbe sprofondata tra i suoi candidi cuscini, la giovane Wheeler, si trovava ancora immersa nei doveri che il suo ruolo le conferiva. La ronda. Un momento per lo più tranquillo, caratterizzato da un silenzio assordante che quei corridoi erano soliti regalare. Insomma, la condizione ideale per chi, come lei, si trovava alla ricerca di un equilibrio, rotto dalle enormi difficoltà che era stata costretta ad affrontare, senza l’adeguata preparazione mentale. Una dopo l’altra. Inesorabili. Senza alcuna pietà. Una serie di eventi impossibili da gestire tutti in una volta. Allo psicodramma consumatosi durante l’ora di alchimia, si era appena andato ad aggiungere il solenne invito della madre a raggiungerla durante le vacanze natalizie. Tuffò la mano in tasca e ne estrasse un piccolo pezzo di pergamena sul quale, ordinatamente, vi era impresso il messaggio che non lasciava spazio a dubbi: Seira O’Hara nutriva un forte rancore nei confronti della figlia, colpevole di aver lasciato il nido senza farne parola con nessuno, proprio tre giorni prima dell’inizio della scuola. Il suo rifugio era stato l’appartamento dei fratelli Harris dove, con grande sorpresa, aveva vissuto nell’ombra, lontana dal controllo, spasmodico, materno. Una mossa audace che le era costata quel briciolo di fiducia rimasta in corpo alla donna che le aveva dato la vita. Che le importava? Per lei non era altro che una buona a nulla, incapace persino di gestire il suo potere. Perché ci teneva tanto ad averla tra le mura della sua preziosa dimora? Per trattarla come una perfetta estranea, così come aveva fatto durante i mesi estivi? Non aveva alcun senso. Strinse il pugno, accartocciando quell’inutile tentativo di persuasione, ricacciandolo lì da dove era arrivato. Alzò lo sguardo spaesato, cercando quel punto di riferimento che l’aiutasse a comprendere quanta strada avesse percorso, assorta in quei devastanti pensieri. Una distrazione minima che forse le era costata una deviazione importante. L’oscurità regnava sovrana ed, improvvisamente, sentì il bisogno di guardare al di là dell’ampia vetrata che si affacciava sull’esterno. Fissò un punto indefinito. Lontano. Sforzandosi di immaginare quale potesse essere il suo destino, una volta portato a termine il suo percorso formativo. Non ne aveva alcuna idea. Se qualche mese addietro si sarebbe apprestata a mettere la mano sul fuoco, in quel preciso istante tutto si era trasformato nel nulla più totale. Troppi erano stati i cambiamenti. Molte le persone uscite repentinamente dai giochi. Dalla sua vita e le sue certezze si erano infrante come onde sugli scogli. Meritava di più, sotto molteplici aspetti. Meritava di essere ritenuta importante. Degna. Meritava di essere ascoltata e compresa nel profondo. Meritava di essere amata. Tutti fattori che avrebbero contribuito a far si che recuperasse la sua solita sicurezza perché no, quella non era la vera lei, ma un surrogato da pochi spicci, incompleto e destinato all’autodistruzione. Una triste consapevolezza. Un’esistenza infelice ma, d’altra parte, forse se l’era cercata e quello non era altro che il conto equo da pagare per ricostituire l’ordine cosmico. Alzò la mano, posandola sulla superficie fredda e lasciandosi andare a inutili sentimentalismi, per liberare la sua necessità di desiderare qualcuno che la prendesse tra le braccia, solo al fine di rassicurarla, senza alcun secondo fine. Un’utopia. In fondo stava fuggendo da David. Dalla sua irruenza. Perché sì, almeno per quella sera si sarebbe preoccupata solamente di sé stessa, lasciando il resto del mondo fuori dalla porta del suo dormitorio e tuffandosi a capofitto in qualche interessante conversazione tra amiche. Stop. Il flusso di pensiero fu bruscamente interrotto da un particolare che, nonostante la sua assenza, catturò la sua labile attenzione. In lontananza, nei pressi della rimessa delle barche, un luccichio si scontrò con le tenebre, illuminando flebilmente una minuscola porzione di quel luogo. Impossibile comprendere, da lì, di cosa si trattasse ma, senza alcun indugio, si voltò e prese la saggia decisione di controllare di persona cosa stesse accadendo. Controvoglia si strinse nel mantello e uscì alle intemperie della notte, oramai dal sapore invernale. Il buio, in pochissimo, la inghiottì obbligandola a far leva sul suo più spiccato senso dell’orientamento e, fortunatamente, non le ci volle molto a giungere a destinazione sana e salva, senza incontrare intoppi o, peggio, coppiette impegnate ad amoreggiare in qualche angolo remoto del suo cammino. Una nota positiva, tutto sommato. Qualche passo in avanti e arrestò la sua corsa, piegando la testa di lato, sollevata alla vista della figura che le si era parata davanti. Qualche attimo e si fece avanti, andando ad affiancare il ragazzo, ignorando il disagio che, naturalmente, saliva ogni qualvolta si trovasse nei pressi del verde-argento. Tutta colpa dei loro trascorsi che si trascinavano nei secoli dei secoli. “Dragonov!” Non aveva alcuna intenzione di propinargli le stronzate sul coprifuoco. Era certa che non gli importasse un emerito cazzo delle regole, altrimenti non sarebbe stato così intrepido da sottovalutarle. La sua ramanzina, quindi, non avrebbe sortito alcuna reazione in lui. “Buonasera.” Limitò l’interazione, convinta di essere per lui una fonte di disturbo, altrimenti non si sarebbe spinto così lontano dai luoghi consueti di ritrovo. Appoggiò la schiena alla parete, e alzando la gamba, lasciò che la suola della sua scarpa aderisse alla superficie ruvida della costruzione. “Stesso luogo. Un anno dopo. Ironia della sorte!” Un po’ di più. Ma che importava? Ricordava alla perfezione il loro litigio, persino i dettagli più insignificanti. Era stata stupida. Si era comportata da bambina viziata, nascondendosi dietro la vergogna che aveva provato nel farsi vedere vulnerabile dal ragazzo che, all’epoca, era oggetto della sua attenzione. Un errore madornale che le era costato l’intero rapporto con Axel. Lentamente la sua mano destra scivolò dove riposava la sua bacchetta in legno di Corniolo e la sfoderò puntandola verso il pacchetto di sigarette appartenuto al giovane uomo. Accio!” Quando furono tra le sue mani, immediatamente, Halley, se ne accese una, nel tentativo di smorzare il suo nervosismo dato da una giornata così stressante da spingerla, addirittura di immettere nel suo corpo quella merda. “Sperando in un epilogo differente.” Commentò distratta, da sembrare quasi indifferente. Da quella volta non avevano più avuto modo di confrontarsi e, la battitrice, si era assicurata di non entrare in collisione con lui, così da evitare ogni problema ma il fato voleva per loro qualche cosa di differente e, allora, chi era lei per ostacolare la potenza del destino?



     
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    Invincibile, precisamente come si sentiva in quel determinato, per quanto ristretto, periodo storico... tutto sommato. Per quelli che erano i suoi standard – piuttosto bassi – si poteva proprio dire che la vita gli stesse girando bene e questo lo gasava, gli pompava proprio l’ego che già di per sé non era un elemento di cui il mannaro scarseggiasse. Axel conosceva i suoi punti forti, così come quelle che erano le sue capacità per quanto in alcune occasioni avesse peccato più e più volte di quell’arroganza mista a presunzione tali d’averlo portato a sbagliare platealmente i conti facendolo incappare in errori di sottovalutazione e non da poco. Un errore di questo tipo, ignaro, lo stava proprio scontando dal suo rientro al castello qualche mese prima quando, per amore, aveva sacrificato sé stesso nel tentativo di salvare l’unica che era stato in grado di amare. Strano, totalmente inaspettato che il rude bulgaro dal cuore di pietra arrivasse a tanto ma la Corvonero, seppur con il suo carattere complesso era riuscita a scalfire parte di quella corazza insinuandosi a forza in essa complice anche il vissuto gravante sulle spalle di entrambi: uno zio dall’opprimente presenza ed una famiglia che aveva finito con il legarli a doppio filo. Sacrifici su sacrifici che avevano portato i due giovani a condividere ed appoggiarsi l’una sulle spalle dell’altro. Tutto dimenticato, tutto spazzato via grazie proprio a quel potere di cui il mannaro non sospettava la presenza e che era stato in grado di cancellare ogni minimo progresso compiuto dal giovane in quell’arco temporale di crescita. Spazzato via e regresso agli albori di quella personalità dura e sarcastica unicamente temprata dalla tristezza che la vita gli aveva posto innanzi, al dolore di una pozione contro la sua maledizione che da anni aveva smesso di funzionare gettandolo nella desolazione più assoluta, nel disagio fisico di quel corpo altrimenti così prestante che si piegava in procinto e subito dopo quella luna che si manifestava in tutto il suo splendore tre notti al mese. Ma quel dolore, quantomeno, sembrava essere giunto al termine poiché da una manciata di mesi il padrino sembrava aver trovato la quadra. Con entusiasmo e – finta – aspettativa aveva servito la “nuova” pozione al suo discepolo che inizialmente con titubanza e poi accogliendo la novità si era finalmente cominciato a sentire libero da quelle catene tanto da cominciare a valutare l’allentamento di quelle misure che per anni avevano rappresentato l’unico mezzo di contenimento a quella furia omicida rappresentata dall’altro sé. La bestia, così la chiamava, era una creatura spietata che bramava il sangue e con esso la morte e distruzione che avrebbe portato e seminato. Axel la teneva a bada chiudendosi in una gabbia rinforzata e chiudendo i suoi polsi in catene di pesante acciaio trattato con argento e strozzalupo che bruciavano i tratti di pelle che ne venivano a contatto. Un tormento necessario però poiché, la creatura, non si sarebbe fermata fino a che le sue fauci non fossero affondate nella succosa carne viva. Non poteva permetterlo, non più. La morte doveva rimanere una prerogativa del suo io lucido, umano, non la distruzione immotivata rappresentata dall’animale che avrebbe annientato per il puro piacere di farlo. Eppure, grazie proprio ad Ethan e ai suoi progressi pozionistici, quel terrore sembrava essere diventato un ricordo lontano. Mera illusione quella di cui il mannaro non era a conoscenza che voleva il padrino stargli servendo della normalissima anti-lupo prodotta alla perfezione. Nessuna sperimentazione, nessuna alterazione. Anti-lupo semplice e pura, così come da formula originaria ma questo era quanto Axel non avrebbe mai saputo lasciato all’ignara placida illusione di una nuova libertà che avrebbe galvanizzato il suo io insieme a quella nuova frequentazione messa in atto all’inizio della scuola. La lupa. La bellissima verde-argento sulla quale aveva posato lo sguardo ancora il precedente anno scolastico e con la quale s’era intrattenuto per qualche flirt sporadico ora era sua. Non era vero. Quantomeno non del tutto in quanto ciò che avevano e perpetravano non aveva un nome né una regolamentazione ma il mannaro, oramai, la considerava in tutto e per tutto parte integrante del suo territorio. Era affar suo quella ragazza più di quanto avrebbe candidamente ammesso e concesso ma la realtà dei fatti era che gli importava di lei poiché lei, e soltanto lei, avrebbe potuto capire e capiva ogni singolo fottuto aspetto e sfumatura di quella vita e maledizione che si sarebbero portati appresso da lì alla tomba. Condividevano la stessa sorte, lo stesso tormento per quanto, per la giovane, forse quella condizione le aveva tolto più di quanto le dava quotidianamente. Le possibilità di un futuro, di una discendenza... di una famiglia. Il mannaro avrebbe potuto generare, non che Axel volesse tramandare quello che reputava un incubo ma potenzialmente avrebbe potuto, la stessa scelta la giovane Serpeverde non l’aveva. Non le era concessa. Il destino avrebbe lasciato incondizionatamente piatto quel ventre arido. Soffriva di quella perdita? Le interessava? Per Axel era perfetta sotto ogni aspetto: simpatica, ironica ed incredibilmente bella. Lei rappresentava la libertà, quella vera e priva dei freni che avrebbe dovuto tenere con chiunque, persino con Skylee. La minima alterazione del controllo, del suo umore, un gesto, sarebbero bastati a compiere l’inevitabile storpiando la controparte fino alla fine dei suoi giorni nell’ipotesi migliore. Freya no. Per quanto fragile rispetto a lui era forte abbastanza da potergli tenere testa, stuzzicarlo ed era proprio da un pomeriggio su di giri con la mannara dalla quale il bulgaro – sorriso sulle labbra – usciva dalla Sala Grande. Avevano, a modo loro, pareggiato i conti post lezione quando il golem della mora era riuscito a strappare un pareggio contro quello del Serpeverde. Inaspettato così come il modo in cui lui aveva preso quel risvolto che solitamente lo avrebbe lasciato infastidito ma non con quel tornado della Riis il cui sorriso dolce e rilassato era riuscito a farlo soprassedere sul torto. Era stato interessante e, soprattutto, lo era stato il dopo, nella camera di lui senza i vestiti.
    Ma... “una gioia! Posala che non è tua” perché così era andata quando, poco prima d’uscire dalla Sala Grande niente meno che il professor Fletcher andò a fermarlo e, con la sua voce tremante quanto balbettante, tenne a metterlo al corrente di quanto l’avesse deluso ed infastidito che lo spago con la quale aveva ricreato i perimetri entro la quale lavorare non fossero bianchi. Axel lo aveva fissato con il sopracciglio tremante che spingeva per scattare verso l’alto palesando tutto il fastidio per quell’intervento del tutto insulso che andò a concludersi con un ammonizione dell’omuncolo che si aspettava che le sue indicazioni fossero portate a termine con più dedizione.
    MA VAFFANCULO VA! ‘Sto coglione del cazzo! Sto piccolo testa di merda autistico e rotto in culo. In pochi secondi il buonumore del bulgaro era stato spazzato via dalla miriade d’insulti e d’improperi che l’uomo aveva portato con sé insieme alla sua puntualizzazione da strapazzo. Ma come diamine gli veniva in mente di fargli la punta al cazzo su una questione tanto irrisoria e di poco conto? Che cazzo cambiava tra lo spago bianco e lo spago grezzo? ‘Sto cazzo ecco cosa!
    «Porco...» terminò la bestemmia sfogando la rabbia contro la parete del castello che si produsse in una crepa – seppur piccola – sulla pietra e diverse escoriazioni piuttosto malconce, forse persino micro fratture, nelle nocche del mannaro. «Cazzo!» Quanto riusciva a dargli sui nervi quell’uomo. Si passò le mani tra i capelli scuri prendendo grandi respiri atti a calmarlo e s’inoltrò nel cuore della foresta, al buio, lasciando che le gambe lo conducessero in una lunga camminata nel freddo della notte autunnale di quasi fine ottobre che lo avrebbe condotto, qualche ora dopo, fino alla rimessa delle barche. Prese posto in un punto appartato in prossimità del molo e sedendosi su uno di essi si rollò una sigaretta che avrebbe acceso pochi istanti più tardi. Poi un rumore. Passi. Il bulgaro non si scompose lasciando che la presenza si avvicinasse.
    «Dragonov! Buonasera.» Fu allora che voltò il capo lasciando che gli occhi smeraldini si posassero e mettessero a fuoco la figura della Grifondoro. Ma guarda un po’ chi si vedeva: la protagonista indiscussa della lezione del pomeriggio. Una protagonista che, poteva immaginare, non aveva avuto nessuna intenzione d’accaparrarsi quel tipo d’attenzioni durante la lezione e soprattutto non per un motivo tanto becero ma d’altro canto proprio la Grifondoro aveva scelto di frequentare il mentecatto per eccellenza preferendolo a beh... niente poco di meno che lui. Il ghigno sulle labbra del bulgaro s’aprì. «Wheeler» le concesse un sorriso rispondendo divertito al suo fare in punta di piedi quasi in difetto. Il karma, giudicò, s’era accanito a sufficienza contro la capitana dei rosso-oro.
    «Stesso luogo. Un anno dopo. Ironia della sorte!» Gli strappò una mezza risata ricordando l’ultimo incontro che, appunto un anno prima, i due avevano avuto in quel luogo dove i toni s’erano accesi e non di poco insieme alla frustrazione che il bulgaro aveva riversato per l’atteggiamento della Grifondoro. In quell’occasione la Wheeler era stata ingiusta, maleducata persino, ed il Serpeverde non aveva fatto nulla per nasconderglielo rinfacciando a più riprese quell’atteggiamento.
    «Attenta Wheeler... Non provocare» il can lupo che dorme. Sembrò dirle mentre sollevava il braccio affinché la busta contenente il tabacco ed una sigaretta rollata finisse nelle mani della strega, la quale, gli rubò proprio quella sigaretta. «Bastava un per favore» concluse facendo leva sul fondo schiena per avvicinarsi alla Grifondoro allungando la mani affinché ella gli restituisse la merce. «Niente predica?» Era quasi deluso, la fama della capitana detta “la Tiranna” la precedeva. La squadrò. «Wheeler, Wheeler» fece un giro attorno alla ragazza quasi fosse un predatore intento a giocare con la sua preda squadrando quelle forme sulla quale un tempo – nemmeno troppo sepolto – avrebbe voluto mettere le mani e, prendendo nuovamente posto contro il molo, sbuffò il fumo al di sopra delle loro teste. «Da quando fumi?» Non la credeva il tipo, così a pelle, dall’impressione salutista che le dava non sembrava affatto il tipo che mettesse a repentaglio le prestazioni sportive per fumare. Nervosismo? E quindi... Guai in paradiso? La cosa poteva farsi interessante.

    Buon Natale, Zoc 🖤


    Edited by Dragonov - 4/2/2024, 20:42
     
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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Fino a quel momento aveva dato pochissima importanza al dopo. Ingenuamente, forse. Non aveva ancora sentito l’impellente bisogno di proiettarsi più in là quando, inevitabilmente, sarebbe divenuta la padrona di sé stessa, come mai era stata prima. Quante volte ci aveva provato? Tante. Quante volte ci era riuscita? Mai. Per un motivo o per l’altro, chiunque orbitasse intorno alla sua persona, sembrava sentirsi in dovere di manipolarla. Calpestando i suoi valori ma, soprattutto, le speranze che nutriva in un futuro che, di quel passo, non sarebbe giunto tanto facilmente. No. Niente stava procedendo nel verso giusto. Quel giorno ne era stata la riprova. In tutto e per tutto. Persino il suo fallimento nel duello con il golem, faceva parte delle sue disgrazie. Fanculo! Ore interminabili. Un tempo infinito e difficile da occupare. Dopo il rocambolesco scontro con David, in Sala Trofei, quindi, Halley si era impegnata nella stesura della sua relazione, in collaborazione con Freya. Una distrazione più che valida nonostante, in un certo senso, le domande della verde-argento riguardanti l’accaduto, erano riuscite a porla in una difficoltà mai provata prima. Uno scontro con l’ignoto che, da quel momento, avrebbe fatto parte dei suoi pensieri, durante il suo personalissimo periodo di riflessione. Ricominciare da zero? Sarebbe stato realmente possibile? Cancellare il male. Dare spazio ai sentimenti buoni, cercando di non voltarsi indietro? Forse il trucco stava proprio in quello ma l’incognita stava sempre lì, dentro a quella che sarebbe stata la sua volontà. Il cuore parve fermarsi e l’agitazione si sprigionò in lei. Libera da ogni costrizione, dandole modo di essere sé stessa, almeno in quello schifoso frangente. Una volta segregata sotto le lenzuola non sarebbe più stato un problema. Avrebbe potuto esprimere il suo disappunto, soffocando i singhiozzi nel suo cuscino, così che le sue amiche potessero rimanere all’oscuro dell’ardente caos, scoppiato in lei. Desiderava solo pensare. Riflettere sulle informazioni ricevute. Notizie che, da sole, sarebbero state in grado di cambiare la sua visuale del mondo, anche in quei piccoli dettagli che, fino al giorno precedente, avrebbe ignorato. Abbassò lo sguardo, portandolo al di là della vetrata, completamente assorta in quei dubbi che, di quel passo, l’avrebbero distrutta malamente. Ma quel era la scelta giusta? Forse l’unica capace a renderla felice. Non sempre, però, i due concetti collimavano. Giustizia e felicità. Due mondi separati che solo i più fortunati avrebbero potuto sperimentare contemporaneamente. Già. Certamente non lei. No. La fortuna non aveva nulla a che fare con la sua situazione. Portò la mano tra i capelli, sciogliendoli da quella costrizione di pettinatura improvvisata per la giornata. Li sistemò alla meglio e maledisse l’impossibilità di avere a portata di mano un fottutissimo specchio. Oltre alla figura di merda, poteva almeno evitarsi il rischio di mostrarsi più cessa del solito. Scipata e chissà quale altro difetto. Niente. Anche quel lato non giocò a suo favore. Poco male. In fondo non era nei suoi piani incontrare gente, se non per puro caso o qualche temerario così scellerato da voler sfidare l’autorità. Sperò con tutta sé stessa di evitarsi quel tipo di problematica. Solo Merlino poteva sapere quale sarebbe stata la sua reazione davanti a ragazzini impegnati in pomiciamenti vari o cazzate simili. No. Non avrebbe retto il colpo. Proprio durante le sue tacite imprecazioni, qualche cosa attirò la sua attenzione. Un qualche cosa di molesto ma, allo stesso tempo, utile a strapparla da quel viale dei ricordi nel quale si stava pericolosamente addentrando, così, per complicarsi ulteriormente quell’esistenza del cazzo che la sorte già le aveva assegnato. Un piccolo lampo e poi di nuovo il buio. Rimase a fissare il punto preciso nel quale era avvenuto il bagliore ma nulla suggeriva la presenza di qualcuno. Roteò gli occhi e si decise a lasciarsi alle spalle la perfezione di quel tepore in favore a cosa? Un appuntamento con l’ignoto? E se fosse stato pericoloso. Se in quel luogo si stava consumando un chissà quale scambio illegale tra individui poco rispettabili? Meglio ancora. Da buona Grifondoro si sarebbe battuta per riportare l’ordine in quella scuola. Almeno. Imprese ben più facile, comparata alla sua situazione sentimentale. Il gelo la indolenzì. Strinse i pugni, assicurandosi che il mantello coprisse ogni centimetro del suo corpo, così da evitare almeno di raffreddarsi a causa della sua testa di cazzo che, come la solito, non poteva fare a meno di lasciar correre. Sarebbe stato più furba. Fingere indifferenza, lasciare chiunque fosse ai propri affari e scivolare nel letto pronta ad accompagnarla tra le braccia di Morfeo per dire basta a quelle infinite ventiquattro ore. Invece no. Il suo istinto prese il sopravvento e, una volta percorso il sentiero che conduceva alla rimessa delle barche, si ritrovò a scontrarsi con la realtà o, meglio, con l’ultima persona che si aspettava di incontrare. Axel Dragonov. Uno strano scherzo del destino, se così si poteva dire. Proprio durante la discussione con David, il nome del bulgaro, aveva fatto la sua comparsa e, per la seconda volta, Halley aveva ammesso di essersi comportata di merda nei suoi confronti. Non aveva ben compreso cosa potesse provocare l’ira dell’Harris, davanti al bulgaro ma, in fin dei conti, non credeva fossero problemi suoi. Forse vecchi screzi. Incomprensioni di chissà quale natura? E poi che poteva fregare? Non erano di certo obbligati ad andare d’accordo per forza. Certo era che, la Wheeler, non avrebbe tolto la parola a nessuno, tantomeno al cacciatore di Serpeverde. Era risputo. La loro faida li aveva allontanati per parecchio tempo ma, proprio in quel frangente, la mora non poteva non chiedersi quale epilogo l’avrebbe attesa se, quella notte, avesse preso la decisione di spingersi oltre con lui. Stronzate. L’attenzione del gigante era stata tutta per la biondina slavata per mesi e mesi. Skylee la coniglia. Colei che aveva avuto la faccia tosta di tirarsi indietro ad un passo dalla finale di quidditch. Un’espressione schifata si insinuò sul suo viso e, subito dopo aver palesato la sua presenza percepì lo stupore negli occhi del compagno. Effettivamente aveva scelto un posto strategico, forse per restare fuori dai radar di caposcuola e prefetti. Una mossa audace ma inutile. Si appropriò delle sue sigarette e, dopo alcune battute, lo raggiunse. ”Attenta Wheeler… Non provocare.” Le scappò un sonora risata. Una minaccia bella e buona, peccato che non esercitò alcun timore in lei. “Pensa che qualcuno, proprio oggi, mi ha suggerito…” Se cosi si poteva dire. “… di rimanerti alla larga.” Una coincidenza fin troppo grande, doveva ammetterlo. E lei alle coincidenze non credeva affatto. “Di non farmi toccare da te!” Con un gesto automatico gli restituì la refurtiva, senza distogliere lo sguardo dalla sua persona. “Forse sei davvero pericoloso.” Lo provocò ancora, andando oltre a qualsiasi paternale del cazzo che non aveva nessuna voglia di impartire. Piegò la testa di lato e lo osservò attentamente mentre, per chissà quale motivo, si prendeva la briga di passarla in rassegna. “Ti piace il panorama?” Inarcò il sopracciglio, sorpresa da quell’atteggiamento. “Nessuna predica, comunque!” Confermò. Tutti la credevano la perfettina ligia alle regole. In pochi sapevano che non aveva esitato a consegnare la sua virtù al primo che si era interessato a lei e, a distanza di tempo, ancora continuava a sfogare le sue perversioni ogni qualvolta ne avesse occasione. Almeno, fino a quel giorno. Da lì in avanti, neanche lei poteva essere a conoscenza di quale risvolto l’avrebbe investita. “Ho altro per la testa. Sfortunatamente!” Fece spallucce, convinta che cogliesse il riferimento alla giornata appena trascorsa. Sprigionò il fumo. Lentamente. “Da stasera.” No. Sarebbe stato un episodio sporadico. Ci teneva alla sua salute e avere i polmoni liberi da quella merda, assicurava una prestazione migliore anche in campo. “Dicono che aiuti a distendere i nervi.” E allora perché non stava funzionando affatto? Fanculo! “Ne ho davvero bisogno.” Uscì come un flebile sussurro, seguito da un sospiro esasperato. “L’alcol non l’ho mai retto.” Puntò lo sguardo smeraldino in quello del ragazzo, ricordando la sbronza che aveva preceduto il salvataggio provvidenziale. “Sono in ritardo. Lo so ma…” Mai che facesse qualche cosa in tempo. “Grazie per quello che hai fatto per me!” Continuò a mantenere il contatto visivo. Questa volta senza alcuna vergogna. Una nuova era aveva avuto inizio. Caratterizzata da un cambiamento che neanche lei aveva programmato.




    E DUE! U_____U
    E LA TERZA ARRIVA!
     
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    Pericoloso, Axel, lo era sempre stato. Avrebbe potuto fare molte cose proprio a riprova di questo e sotto molteplici aspetti che andavano a coprire un ventaglio ampio quanto differente di variabili. Era un lupo mannaro ed, in quanto tale, per quanto in pochissimi fossero a conoscenza della sua natura, indipendentemente da essa il ragazzo a prescindere assumeva una connotazione di puro pericolo per definizione. Il suo umore altalenante altro non era che un campanello d’allarme in quel tipo di situazione che, in caso di escalation, avrebbe potuto portare a serie conseguenze. C’erano giorni in cui la Bestia scalpitava più intensamente, giorni in cui il confine formato dai freni della ragione lucida umana assumeva una consistenza più sottile, labile ed il pericolo, quello vero, era dietro l’angolo. In quei giorni, si conosceva, doveva stare in esilio. Lontano da tutto e tutti. Evitare qualsiasi contatto poiché la sua pazienza, già di consueto scarsa, non avrebbe retto eventuali provocazioni. Il suo umore nero, scostante, lo portavano ad isolarsi preferendo passare intere giornate nella solitaria compagnia di se stesso e dei suoi pensieri che lo avrebbero accompagnato fedelmente fino alla tomba anziché rischiando la sua fedina penale a contatto con il pubblico. Ma non era solo questo aspetto a renderlo pericoloso, no, questo era solo quello principale, il vero problema era la sua parte preponderante che forse, per uno scherzo del destino, si sposava con quello che era il suo carattere. Era quello il fulcro. La sua inettitudine al rapporto umano. Axel non aveva tempo e soprattutto voglia di socializzare con le persone. Lo trovava stancante e, a conti fatti, il più delle volte persino inconcludente per un cinico come lo era lui che pensava dovesse esserci sempre uno scopo, un obiettivo da raggiungere dietro le azioni. Non era mai stato un bambino socievole o dolce come potevano esserlo gli altri suoi coetanei. Era sempre stato un piccolo soldatino completamente innamorato di quel padre che in lui vedeva l’estensione del suo braccio e quindi, proprio per questo, ecco arrivare i giochi atti a simulare prove fisiche con la conseguente scoperta della propensione del giovane al combattimento e a tutte quelle attività perlopiù fisiche che lo avrebbero portato a sviluppare una solida struttura muscolare non indifferente. Durmstrang aveva poi fatto il resto. Beh, Durm ed Ethan che gli avevano consolidato quella filosofia indifferente e sprezzante dei più basilari concetti legati alla generosità e/o alla misericordia. Tutto doveva avere un tornaconto. Anche il padrino non era stato da meno nella perpetrazione di quella disciplina dispotica improntata su stampo militare che rivestiva lui della figura di superiore. E come la rispettava il bulgaro. Un perfetto soldato, una perfetta macchina da guerra che non domandava se non per ottenere gli elementi atti a portare a termine gli ordini. Fisico, massiccio e soprattutto – ed era questa l’inclinazione che Dimitar vi aveva letto – privo di scrupoli. Axel non si poneva domande riguardo la sua condotta, non si faceva problemi se per ottenere il suo obiettivo era necessario sbarellare la concorrenza né la sua etica gli imponeva una certa trasparenza, lealtà o fedeltà: prendeva ciò che voleva, ciò che lo faceva stare bene usandolo fino a quando non ne fosse stato sazio e fregandosene di quello che sarebbe stato il risultato. Un po’ come faceva con tutte le ragazzine della scuola che avevano la sfortuna d’invaghirsi di lui. Le avvolgeva nelle sue spire divertendosi a giocare al gatto con il topo per poi gettarne i resti una volta stufo. Nulla era per sempre e poche davvero potevano vantare d’aver solleticato la sua attenzione quel tanto da spronarlo ad esporsi, quel tanto da far smuovere lui a richiedere le attenzioni dell’altra. Tutto un gioco, tutta una sfida la cui posta in palio possedeva l’azzardo di un cuore altrimenti irrimediabilmente spezzato. In quanti avrebbero retto quella prova? Per quanto?
    Ah la lupa! Che meravigliosa distrazione! Una costante scoperta, giorno dopo giorno, di un carattere e di un modo di porsi che riuscivano ad attrarlo e a sorprenderlo in positivo portandolo a provare uno strano senso d’adesione viscerale per quell’elemento in fin dei conti sconosciuto ma per la quale cominciava a nutrire, senza averne una vera coscienza, un attaccamento che lo portava a mostrare il suo lato protettivo che il più delle volte sfociava in una possessività al limite del tossico. La cosa la infastidiva? Forse sì, forse no. Da ciò che poteva percepire e vedere il bulgaro non sembrava ed anzi, la lupa, in qualche modo sembrava crogiolarsi in quella attenzioni in quelle conferme che il verde-argento le dava senza avere la necessità di doverle chiedere o persino pretendere. Voleva farlo e lo faceva, senza vergogna e senza porsi limitazioni dettate da quello che avrebbe potuto pensare la gente. Che gliene fotteva della gente? La sua vita era già abbastanza intrisa di costrizioni e lì dove poteva svicolare e sfogare la sua vera indole il bulgaro vi indugiava prendendosi senza remore ciò che desiderava. Senza rimorsi, senza etica alcuna. Tutto era concesso e di niente si privava poiché, per come la vedeva lui, era l’altro a doversi proteggere sentimentalmente parlando. “Ognuno è responsabile delle proprie azioni” per cui, Axel, si riteneva al di sopra della possibile nascita di un sentimento non richiesto almeno da lui. Utopico, freddo. Un pensiero che non aveva adesione con la realtà da parte di sé stesso in primis che prima o poi sarebbe cascato nella stessa trappola riservata al prossimo ma, almeno per il momento, a farne le spese – forse – sarebbe stata un’ingenua Grifondoro colpevole d’aver disturbato la sua quiete. Maledetti prefetti: sempre così ligi e pronti ad impicciarsi... era solo il loro dannato dovere ma era proprio necessario compierlo fino in fondo?
    Con sufficienza sollevò lo sguardo smeraldino dall’estremità ardente della sua sigaretta fissando negli occhi chiari la prefetta di Grifondoro. Le avevano detto di stargli distante – interessante – di non farsi toccare – ! – l’avevano messa in guardia su di lui? Chi? Esilarante. Sollevò un sopracciglio mentre un ghigno prendeva forma sulle sue labbra e la Wheeler andava poggiando il sacchetto di tabacco nella sua mano aperta. La sfiorò, stringendole appena il palmo per permettere entrambi di indugiare in quel tocco che le avevano caldamente suggerito di evitare. Ops. Che stronzo. «Magari sì...» La lasciò andare ridacchiando appena tra sé mentre concludeva quel giro d’osservazione della donna che era diventata. Bella, bella da morire anche lei anche se, ahilei, i segni delle privazioni erano visibili ad un occhio attento e da buongustaio come il suo. Era dimagrita e una sportiva come lo era lei con la fama che aveva lei de la “Tiranna” doveva sapere benissimo quanto la dieta fosse un elemento importante per mantenere un certo livello di prestazioni anche se, quel vitino da vespa, non chiedeva altro se non essere avvolto, stretto in una salda presa che l’avrebbe costretta contro un altro corpo, solido.
    «Magari no» fece una smorfia stringendosi nelle spalle prima di riprendere quella che era la sua postazione con il fondoschiena poggiato sul tronco del molo. Le sorrise, più divertito che mai.
    «Ti piace il panorama?»
    «Sì», sostenne lo sguardo. Quindi? Era forse un peccato? O si aspettava che, perché avevano litigato ere geologiche prima, non fosse comunque in grado d’apprezzare una bella ragazza? Sciocchezze. Un contenitore era pur sempre un contenitore, ciò che poteva attirarlo in base al mood era il carattere ma della Wheeler non aveva ancora sinceramente capito i modi. Era cambiata rispetto alla ragazzina in erba che aveva conosciuto ma non era in grado di determinare se in meglio o peggio. Non ancora quantomeno. Ricordava la sua spensieratezza e, sopra ogni cosa, la sua immaturità. Ora? Cosa aveva? Non era in grado di determinarlo ma ciò che aveva visto quel pomeriggio durante la lezione di Fletcher lo aveva lasciato con qualche perplessità. Dov’era finito il fuoco che l’animava in campo? Sembrava una sottomessa, passiva e piccola sotto le (scarse) attenzioni – per modo di dire – di quel babbeo di Harris. Che brutta bestia il karma.
    E forse le sue attenzioni, che lo avevano salvato da una palesa predica, erano proprio rivolte a quanto accaduto proprio durante la lezione ed al penoso spettacolino che aveva dato di sé il battitore dei Serpeverde. Che figurata e, di riflesso, anche la Wheeler si era trovata a far fronte a quel bagno d’umiliazione nella quale il moro l’aveva gettata. Pena, quanta pena. Mai si sarebbe azzardato a trattare a quel modo la sua donna o, in generale, una donna soprattutto se avesse voluto continuare ad andarci a letto.
    «L’alcol non l’ho mai retto.» Oh se lo ricordava bene. «Grazie per quello che hai fatto per me!» Tornò a fissarla prendendosi qualche istante prima di espirare la boccata di fumo che aveva ben lasciato sedimentare nei polmoni.
    «È la base» replicò andando a chiarire subito che aveva capito a cosa ella alludeva. «Non scontata» chiaro le merde erano ovunque, «ma dovrebbe esserlo.» Inclinò il capo inspirando un nuovo tiro che successivamente sbuffò dalle narici. «“Altro per la testa” tipo... Harris?» Sollevò un sopracciglio. «Grande acquisto.» Un commento che lasciava poco spazio all’imparzialità denotando un certo risentimento ancora vivo e cocente nel suo animo ma questo era dovuto soprattutto alla considerazione che il bulgaro aveva per il battitore: pessima e molto, molto bassa di quelle che erano le sue doti e potenzialità. Sapere che una come la Wheeler lo avessi preferito a lui... Ouch! Che colpo basso!


    Edited by Dragonov - 7/2/2024, 18:05
     
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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Mai nella vita si era sentita un oggetto. Qualcuno a cui dire cosa fare, da chi lasciarsi avvicinare. Come se il suo libero arbitrio, in un soffio, fosse svanito definitivamente. Eppure, proprio quel giorno, per la prima volta, aveva avvertito quella sensazione. La presenza di David, spesso, si faceva sentire in maniera decisa. Troppo. Avvertiva i suoi occhi addosso. Fissi che la seguivano ovunque, come se fosse una preda tenuto sotto tiro, in attesa di un passo falso. Un passo falso che, da parte sua, non sarebbe mai giunto. Non era lei quella in debito. I torti subiti, infatti, derivavano proprio dalla controparte. La stessa che rimaneva fermamente convinta di non aver posto in essere alcun atteggiamento in contrasto con la morale, condivisa dalla maggioranza. Stupido idiota. Fortunatamente la realtà se ne stava lì, in silenzio, davanti agli occhi di tutti coloro che, sfortunatamente, avevano avuto modo di assistere a quello che si era rivelato essere, poi, l’ennesimo teatrino firmato dall’Harris che si era scelta. Cogliona! Stare insieme a qualcuno, certamente, non corrispondeva all’atto dell’annullamento totale della personalità. Non l’aveva mai creduto e lei, in prima persona, non avrebbe mai accettato determinate condizioni ma, d’altra parte, non si sarebbe mai sognata di ridicolizzare la loro relazione, attraverso alla plateale esposizione delle proprie idee riguardanti la fisicità di un altro ragazzo. Il moro aveva dimostrato poco tatto. Poca intelligenza e, soprattutto, era riuscito a rimettere in discussione i sentimenti che Halley, aveva creduto di provare. Forse si era spinta troppo in là, idealizzando il concetto di amore e sforzandosi a cucirselo addosso, quasi come fosse una seconda pelle. In ogni caso, il suo castello di cristallo era andato in frantumi e la fiducia in David si era ridotta drasticamente. Furibonda. Fuori di sé. Quando aveva varcato la soglia della Sala Trofei, per porre fine a quel patetico inseguimento, farcito di urla imbarazzanti da parte del ragazzo, la Grifondoro, si trovava convinta di riuscire a mettere un punto a quella relazione malata e ricolma di lividi, incancellabili. Pura illusione. Ciò che era avvenuto in seguito l’aveva scioccata. Le rivelazioni uscite dalla bocca del maggiore dei fratelli Harris, in un certo senso, rispondevano ad alcuni dei dubbi, sorti nella giovane donna che, in tutta risposta, aveva esposto la sua necessità di avere tempo per digerire la cosa e, dopo un’attenta analisi, prendere una decisione definitiva, che segnasse la sorte del loro tormentato legame. Le parole del battitore verde-argento, risuonavano nella sua testa. Martellanti. Proprio in quel frangente, infatti, il nome di Axel, fece capolino tra fiumi di argomenti, apparentemente sconnessi l’uno dall’altro. Che tra i due non scorresse buon sangue, non credeva fosse un segreto ma, arrivare addirittura ad avvertirla di stargli alla larga, le pareva un tantino eccessivo. Che fosse geloso? In passato, la Wheeler, aveva trovato più che affascinante il bulgaro e, tutt’ora, non poteva negare di trovarlo obiettivamente bello. Il classico tipo che avrebbe fatto girare la testa a chiunque sano di mente. Eppure, da quel che poteva ricordare, non si era mai espressa in questo senso, tantomeno in presenza del suo ragazzo. Scatenare la gelosia di David, infatti, non era certo una sua priorità. Alzò lo sguardo verso quel corpo statuario, fissandolo per qualche attimo di troppo. Oh, quanto avrebbe voluto fargliela pagare a quel pezzo di merda. Così, solo per fargli comprendere quanto fosse umiliante sentirsi in competizione con qualcuno ma, ahimè, si reputava migliore di lui. In tutto e per tutto. La decenza di non coinvolgere terzi nei suoi problemi, avrebbe sempre preso il sopravvento. Anche se… No! Non proferì parola ma si guardò bene dal distogliere le sue iridi smeraldine, in quel momento riflesse in quelle di Axel. Lasciò cadere nel suo palmo il sacchetto incriminato e, subito dopo, avvertì la pressione sulla sua mano. Il Serpeverde stava, deliberatamente, testando quanto fosse incline ad ascoltare i suggerimenti esterni? Quel calore, per pochi istanti, la destabilizzò. Piacevole, certo. Strano. Ancora di più. Indugiò anora una volta, senza sottrarsi, anzi. ”Magari sì.” Così dicendo, il contatto svanì mentre un ghigno beffardo si delineava sulle sue labbra della mora. Scosse la testa, roteando gli occhi. Cosa voleva dimostrare? Non poteva che immaginarlo ma il suo sguardo attento, continuava a passare in rassegna ogni centimetro del suo corpo. Doveva ammetterlo: essere ammirata era pur sempre una botta alla sua auto stima. La stessa che, negli ultimi tempi, scarseggiava. “Sono una fottuta Grifondoro.” Esordì improvvisamente, mossa da un impeto di fastidio, dato da quelle stupide raccomandazioni, impartite da niente poco di meno che da un mannaro. Andiamo. Poteva benissimo essere l’inizio di una scadente barzelletta. “Il pericolo mi affascina!” Quel che sapeva di lei, oramai, non valeva più. Con un colpo di spugna, la sua innocenza, quella che aveva conosciuto Dragonov, non esisteva più, così come il suo essere inesperta e ingenua. La metamorfosi di Halley era giunta all’improvviso, quando la vita le aveva presentato un conto così alto da pagare che, anche non volendo, l’aveva costretta a rivalutare la sua intera esistenza. Da ciò ne erano derivate pessime scelte, compresa quella di innamorarsi della persona che mai e poi mai le avrebbe potuto offrire la stabilità della quale aveva bisogno per sopravvivere. Ne era conscia. Quella convinzione, seppur ancora acerba e da confermare, non avrebbe giovato alla sua sanità menta. Che cazzo stava combinando? La successiva provocazione da parte del suo interlocutore, la scosse, riportandola lì, dove le cose stavano capitando troppo velocemente. ”Magari no.” Peccato. La prima opzione la eccitava decisamente di più. Giocare con il fuoco, dopotutto, faceva parte dei suoi hobby preferiti e se ciò avrebbe scosso, portandolo al limite, sarebbe stato ancora più divertente. Sì. Meritava di comprendere. Meritava di comprendere quanto fosse doloroso condividere la persona amata con altri. Meritava quel male. “Sarebbe un peccato! Una delusione!” Esclamò flebilmente, con un tono così basso da risultare quasi grottesco. Ma che cazzo stai dicendo? Si fermò a riflettere. Possibile che gli avvertimenti di David avessero a che fare solamente con la paura che tra Halley ed Axel vi fossero dei residui, dati dalla mera attrazione fisica? Impossibile. La Wheeler aveva dimostrato ampiamente il suo interesse esclusivo per quell’idiota. Lasciò andare, in fondo si trattava di paranoie sue, scaturite dalla sua insicurezza e, in quel momento, non le fregava nulla. Che andasse a fanculo! L’amava. A parole. Era giunto il tempo di lasciare parlare i fatti. In ogni caso, forse forse, la verità si trovava nel mezzo. Fisicamente erano sempre stati attratti e i commenti del ragazzo, non furono altro che fermi riscontri. Le scappò un sorriso, subito dopo la conferma. Proprio per riprendere il discorso che conduceva a ciò che era avvenuto in quel passato che, evidentemente, li aveva segnati, Halley si sentì in dovere di chiedere scusa. Ancora. La prima volta, il suo tentativo non era andato a buon fine ma, a distanza di due anni, forse riprovarci, sarebbe stata cosa buona e giusta. Così fece. La risposta la spiazzò, provocandole il vuoto proprio al centro del petto. Le basi. Era abituata a ben altro. Zero galanteria, nonostante nessuno l’aveva mai obbligata a fare qualche cosa contro la sua volontà. Sospirò e si guardò nervosamente le mani, arrossate dal freddo pungente. Tremò. Il gelo si stava infiltrando nelle ossa. “Dare per scontato qualche cosa? Che mossa stupida!” Avrebbe potuto tenere intere lezioni a riguardo. Fortunatamente la sveglia era suonata e il ritorno nel mondo della ragione, era avvenuto con successo. “Avevo una bella cotta per te!” Ammise, ridendo. Erano pur in vena di confidenze, no? Beh, in ogni caso, quel che aveva appena proferito, corrispondeva alla realtà dei fatti. “Non riesco a comprendere come posso essere stata così stupida da farmi sfuggire un’occasione d’oro come quella!” Meritava una pacca sulle spalle e un riconoscimento. Più di due anni erano passati. Un tempo davvero enorme, per ragazzi della loro età. E ora? Si era innamorata di uno stronzo di prima categoria, non meritevole dei suoi sentimenti. Ottima mossa. La sua espressione mutò nuovamente, lasciando spazio alle preoccupazioni. ”… tipo Harris?” Che avesse lui per la testa era chiaro come il sole. “Tipo Harris.” Confermò. Abbassò lo sguardo. “Perché l'ha tanto con te?” Domandò all’improvviso, convinta che fosse a senso unico. Axel non le era mai sembrato il tipo da investire tanta importanza su qualcuno poco stimato. Voleva comprendere ma se avesse chiesto a David, l’avrebbe sicuramente liquidata con qualche scusa del cazzo e, comunque, non ci avrebbe creduto.




    E niente. Non ho mantenuto la promessa di non sotterrarti. Sono una brutta persona. Però ammetti che i mie spoiler ti piacciono. Ora annega! Cià <3
     
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    Era cambiata, nel periodo in cui avevano perso i contatti, la Wheeler sembrava diventata un’altra persona. Lui, d’altro canto, era diverso? Osservò quella oramai giovane donna fatta e finita e non poté fare a meno di chiedersi lui stesso altrettanto, quali cambiamenti lei vedesse. Se ne vedesse. Lei, ai suoi occhi, era un persona nuova. L’aveva conosciuta due anni prima quando, ingenuamente, la piccola Grifondoro s’era invaghita del bel tenebroso di Serpeverde che ripeteva per la seconda (e ultima) volta il quinto anno di studi. Quella era stata una rottura di coglioni pazzesca per il bulgaro. Una perdita di tempo colossale per inezie burocratiche tra i due istituti scolastici che trovavano il suo percorso troppo differente perché l’una potesse accettare e trovare sufficiente l’altro. In questo caso era stata Hogwarts a fare la difficile sentenziando che il programma formativo della scuola del nord non fosse abbastanza “vario e completo” che i loro orizzonti fossero troppo fossilizzati sulle vecchie pratiche magiche poiché materie come Difesa o Cura non erano nemmeno contemplate nella visione di uso del mondo che ne faceva Durmstrang. Quante puttanate! Misericordia versus egoismo, s’era trattato unicamente di questo. Del confronto tra l’indole calcolatrice insegnata e praticata dalla scuola paramilitare rispetto alla caramellina addolcita che servivano lì in Scozia. Erano queste le due visuali ma l’ordine che gli era stato impartito era stato molto chiaro e lui aveva semplicemente eseguito trovandosi poi come ricompensa della sbatta l’accollo della diversamente simpatica nipotina del suo padrino. Già poiché Skylee aveva infilato il suo nasino all’insù in fatti che non le competevano e lo aveva fatto entrando di prepotenza e molto a fondo nelle loro vite costringendo Ethan a quella mossa a protezione di entrambi. I loro destini erano, oramai da anni, legati a doppio filo e nessuno dei due poteva permettersi che quella ragazzina aprisse bocca o combinasse disastri che avrebbero potuti incastrarli sbattendoli con un biglietto di sola andata verso la prigione dei maghi. Che poi i due avessero finito per innamorarsi, beh, quella era un’altra storia e purtroppo nemmeno a lieto fine considerato che il mannaro, di lei, ricordava qualche episodio sparso e del tutto scevro dell’intensità di ciò che avevano vissuto. I suoi ricordi ed il suo io erano stati interamente manipolati dal padrino che, in quei mesi in cui lo aveva tenuto lontano dalla scuola, s’era divertito in quell’opera di taglia e cuci, copia ed incolla dei suoi ricordi costruendo al di sopra una nuova linea temporale. Tuttavia, lì alla scuola, le persone conoscevano parzialmente come erano andati i fatti e, alcune di quelle persone, avevano aggrottato le sopracciglia di fronte al comportamento anomalo delle parti coinvolte ma questo fino a che Skylee stessa aveva dato spettacolo nelle occasioni comuni elemosinando delle attenzioni che il bulgaro non trovava naturale darle. Anche a quel fastidio, Ethan, aveva presto messo mano sistemando la faccenda ed eliminando definitivamente quell’elemento di caos dalle loro vite. O meglio dire… confinandolo. Sì perché la Métis era ancora viva ma dispersa irrimediabilmente nei meandri della sua mente che, come un muro privo d’uscite, s’erano chiusi su di lei imprigionandola nella follia imbastita dal mago. Che brutta fine. Axel non aveva capito quella situazione, quella drasticità dovuta e, dall’alto dei suoi ricordi irrimediabilmente compromessi, era rimasto a guardare scrollando le spalle con un’abbondante dose d’indifferenza, la stessa che lo aveva sempre caratterizzato in passato.
    Prima di Skylee.
    Perché questo era successo con il reset, Axel era tornato alla sua era prima di lei di cui, tuttavia, non ne era a conoscenza. Non era cambiato quindi, non era evoluto a differenza della donna che continuava ad osservare, squadrare, nel tentativo – forse vano – di comprendere chi lei fosse diventata poiché a differenza della Grifondoro a lui, tutta quell’evoluzione, era stata portata via. Lo avrebbe mai scoperto?
    Chissà.
    Sorrise. Liberando la mano della Wheeler, la quale, era stata trattenuta in una gentile stretta seppur al contempo decisa nonostante la stessa ragazza fosse stata avvertita di non intrattenersi con il mannaro. Poteva immaginare chi fosse l’autore di un consiglio così ridicolo: David. Il suo ragazzo. Già poiché la giovane aveva commesso il peccato – modestia dove sei? – d’averlo preferito alle attenzioni del bulgaro. David-gorilla-Harris posto al suo confronto. Puah! Quella macchietta d’insicurezza travestita d’arroganza. Tutto fumo e ben pochissimo arrosto da quel che aveva potuto vedere soprattutto sul campo da Quidditch dove il Serpeverde, e mannaro come lui, aveva ricoperto il ruolo di vice-capitano per quanto le vicissitudini del caso, ovvero un capitano inetto e del tutto assente, lo avessero chiamato a ricoprire il ruolo principale in ben più di un’occasione. Lo sfacelo più totale! David altro non aveva fatto che abbaiare ordini al pari di un gorilla, per l’appunto, considerata la stazza, ma con la stessa enfasi di un chihuahua per rimanere ad una famiglia animale a loro più affine. Urla su urla ma poi a fatti? Nelle partite principali il maggiore degli Harris altro non aveva fatto se non mettersi in ridicolo con delle performance inferiori persino ai panchinari della loro squadra. Il tutto – forse – sarebbe stato anche bypassabile da parte della squadra stessa e con non poche rimostranze ma lo stesso Serpeverde aveva scelto di scavarsi la fossa in maniera del tutto definitiva proprio quel giorno. Per Axel era stata un’ulteriore conferma della scarsa considerazione che provava per il ragazzo ma per Freya, per il modo in cui l’aveva usata, attaccata e poi denigrata… S’era decisamente conquistato una nemica e per cosa? Toccare lui? Aveva notato il modo in cui il suo sguardo era andato a cercarlo dopo quel triste teatrino, a quel modo sbavante con qui l’aveva radiografata dalla testa ai piedi al pari di un pezzo di carne per poi dirigersi a lui in cerca di qualcosa, in cerca di fastidio. Le sopracciglia del bulgaro erano scattate scettiche verso l’alto paragonando immediatamente il ragazzo ad uno di quei bulldog sbavanti e con congeniti problemi di respirazione. L’immagine era quella. Becero da quanto era piccolo, meschino ed immaturo. La sua priorità a quel punto era stato sedare la mannara da possibili rimostranze approfittandone per marcare ulteriormente il terreno e la sua influenza su di lei decisamente ben più incline a ricevere le sue attenzioni rispetto a quelle del primate. Povero David, ne aveva di strada da fare con l’altro sesso!
    «Sono una fottuta Grifondoro.» Il sopracciglio scattò verso l’alto mentre lento compiva un mezzo giro attorno alla ragazza squadrandola quasi fosse una preda indifesa. «Il pericolo mi affascina!» Sbuffò divertito mentre un pensiero maligno si faceva strada: “anche gli imbecilli”. Soppresse la risata per terminare la sua provocazione che, inaspettatamente, sembrò andare a segno. La voce della mora fu appena un sussurro, un qualcosa carico d’aspettativa ma intriso di una profonda delusione. Una delusione che, era comprensibile, non derivava dal loro incontro. Axel strinse lo sguardo poggiandosi contro il legno del molo mentre soppesava le implicazioni di quelle parole. Cosa avrebbe potuto farci. La giovane, lo vedeva, era ancora sconvolta da quanto avvenuto durante la lezione del pomeriggio. Quanto sarebbe stato semplice per lui insinuarsi in quella situazione? Quanto sarebbe stato facile approfittarsene? Poteva farlo ma voleva farlo? Voleva riprendersi ciò che in passato aveva adocchiato come suo? Non ne era certo. Da un lato c’era la vendetta, c’era la dimostrazione a quell’altro maschio di chi lui fosse perché se David pensava d’avergliela portata via si sbagliava di grosso. Gliel’aveva concesso poiché troppo orgoglioso e ottuso per accettare le scuse della Grifondoro. Non gli era interessato allora ma adesso? Adesso poteva rappresentare un’ora di libertà e soprattutto di svago che la mora sembrava anelare da tempo. Mh. Dall’altro… Scacciò il pensiero di Freya.
    «Avevo una bella cotta per te!» Perché glielo stava dicendo? Cercava d’ottenere qualcosa? Era un invito?
    «Non riesco a comprendere come posso essere stata così stupida da farmi sfuggire un’occasione d’oro come quella!» Continuò lei imperterrita su quella strada della provocazione quasi lo stesso invitando, meglio, gli stesse suggerendo di non arrendersi. Inclinò il capo procedendo cautamente, sondando il terreno per capire in quale gioco, potenzialmente, si sarebbe potuto infilare.
    Sollevò le spalle alla sua domanda scuotendo appena il capo.
    «Perché non c’è oggettivo paragone al fatto che sia migliore di lui?!» Esteticamente, sul campo, a scuola, a letto… Le rivolse un sorriso, un ghigno, divertito.
    «Boh! Dovrei saperlo?» Diede voce a ciò che stava pensando. Che gliene fregava a lui dei problemi d’autostima dell’Harris? «Dimmelo tu. Che c’hai trovato in lui?» Perché davvero non riusciva a spiegarselo. «Probabilmente teme che…» sollevò il fondoschiena dal molo avvicinandosi di un passo, le braccia ancora conserte.
    «Possa portarti via da lui» sollevò le iridi smeraldine incontrando una diversa sfumatura di quel colore negli occhi della leonessa. «Posso farlo?» Le chiese con l’intento di capire proprio quali fossero le sue intenzioni per quell’incontro. Potevano passare le scuse, poteva passare quella piega di vittimismo ma perché scegliere d’incamminarsi proprio con lui sulla strada dei ricordi, sulla strada dei rimorsi? Provava rimorsi per come era andata e se sì, che profondità raggiungevano nel livello dei suoi desideri più reconditi? Lo bramava ancora come all’epoca la pozione aveva svelato?
    La serata, in fin dei conti, avrebbe potuto svoltare in maniera interessante.
     
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