Brave New World

Liam

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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    30 marzo 2024.

    Eccitata per la novità. Certo che sì. Ma, al tempo stesso, la paura di quel salto nel vuoto la destabilizzava a tal punto da rischiare di scivolare nel panico più totale. Sarebbe stata in grado di provvedere a tutto ciò che, inevitabilmente, il mondo adulto comportava? Non ne era assolutamente certa. Il terrore del fallimento era sempre lì, presente, pronto ad aggredirla quando meno se lo sarebbe aspettata. Un’angoscia normale, in fondo. Chi, a quell’età, vantava così tanta sicurezza in sé stesso, da lanciarsi in un’esperienza simile, senza provare un minimo di titubanza? Solo uno stolto o, comunque, chi non aveva nulla da perdere. Alzò lo sguardo verso il cielo sereno, sgombro da qualsiasi nube. La primavera era giunta inesorabile e, con lei, anche l’umore della Grifondoro andava, gradualmente, a migliorare. Il sole. Le avventure. Un grande potenziale dietro a quelle giornate che si stavano allungando. Si sentiva rinata. Una forza inspiegabile si era fatta largo in lei e, con l’aiuto delle persone care, si era decisa ad accettare il suo destino, accogliendolo a braccia aperte e non più sulla difensiva, così com’era stata abituata dall’istinto. Si era sbagliata. Si era sottovalutata e aveva pagato il prezzo più alto, a causa della sua stupidità inaudita. Nonostante questa presa di coscienza, però, il rapporto con la madre non si era mosso di una virgola. Il silenzio proseguiva e, nessuna delle due aveva intenzione di fare un passo avanti. Sbuffò al solo pensiero. Poco importava. I pensieri, quel giorno, sarebbero dovuti convergere in un unico punto. Un solo obiettivo: passare in rassegna ogni singolo appartamento di Hogsmeade, alla ricerca di quello che rispondeva a ogni suo desiderio. Un’impresa più che ardua. Lunga e sicuramente noiosa. La pazienza scarseggiava ma, d’altra parte, l’idea di trascinarsi appresso la persona più molesta che conoscesse, si sarebbe rivelata la scelta migliore. Tra un consiglio e l’altro, era certa, che sarebbero finiti per divertirsi. O, almeno, lo sperava ardentemente. In caso contrario, sarebbe stata anche in debito con lui. Un male molto male, conoscendo il tipo. Osservò con fastidio l’ora e si rese conto che, come al solito. qualcuno di sua conoscenza, si ostinava a fare la parte della prima donna, lasciando il prossimo in una perenne attesa lancinante. Di quanto? Chi poteva dirlo? Dieci minuti. Mezz’ora. Due ore. Che gli importava? Si alzò sulle punte dei piedi e, con uno slancio, andò ad accomodarsi su un muretto dalla modesta altezza, lasciando che le gambe –fasciate da un paio di jeans neri- penzolassero liberamente, quasi annoiate. Roteò gli occhi e, pochi istanti dopo, le sue iridi si focalizzarono su una figura in lontananza. Andamento spavaldo. Man mano che si avvicinava poteva osservare la sua espressione semi-divertita, pronta a lanciarsi in quella che avrebbe trasformato nella più esilarante scusa, che potesse andare a giustificare il suo ritardo. Halley si strinse le ginocchia al petto, poggiando i talloni sul bordo del muro, con aria di chi la sapeva lunga su quel tipo di mancanza di rispetto. Abbassò di poco le palpebre e piegò la testa di lato, mentre il suo indice andò a puntare dritto il naso del giovane rampollo di casa Knight. “Offrimi un cappuccino e dimenticherò la tua irriverenza!” Arricciò il naso ma, anche se aveva impiegato tutta la buona volontà possibile, non riuscì a restare seria per più di qualche secondo. Incorreggibile. Da quando le loro strade si erano incrociate, la Wheeler, aveva vestito i panni di una baby sitter a tutti gli effetti e, spesso, si era esposta in prima persona per difendere l’amico dai suoi colpi di testa plateali, come quello avvenuto al lago, il primo giorno di scuola. Stop. Dimentica. Allungò la mano, con la pretesa di essere aiutata e, con un balzo, saltò giù da quella scomoda postazione di fortuna che, comunque, aveva svolto egregiamente il suo lavoro. “Grazie!” Bisbigliò, sistemandosi la camicia, legata leggermente sopra l’ombelico e il giubbotto di pelle, finalmente consono al clima. “Sei pronto?” Io no! Psicologicamente, la mora, non credeva di essere propriamente al passo con gli avvenimenti. No. Al contrario. Temeva di fallire, così come spesso era accaduto nella sua vita, nei più svariati ambiti, tra l’altro. Una scelta rischiosa che, però, valeva la pena vivere fino in fondo. L’appoggio di coloro che le volevano bene, quindi, diveniva di vitale importanza. Ed eccola lì. Trotterellare senza meta, tra le vie di Hogsmeade, al fianco di un leone esagitato che, senza dubbio, non avrebbe perso occasione per darle modo di rilassare quei fottuti nervi a fior di pelle che non meritava affatto. “Se non dovessi trovare nulla di interessante…” Si interruppe bruscamente, mentre le alternative le si paravano davanti agli occhi, non proprio felicemente. “… dovrò restare al Paiolo a tempo indeterminato.” E la cosa non l’allettava affatto. Quel luogo le metteva i brividi e, ringraziando Merlino, aveva la fortuna di poter contare sull’ospitalità dei suoi amici. La faccenda, però, iniziava a complicarsi, dal momento in cui sentiva di essere fuori posto. Ambiva ad altro e, dopo aver trovato lavoro, avrebbe potuto realizzare quel piccolo sogno fatto di totale indipendenza. Lontana da tutti e da tutto. Crogiolandosi nella sua solitudine, forse, avrebbe ritrovato del tutto sé stessa in una prospettiva nuova. Chissà. Ma per giungere a ciò, darsi da fare, stava alla base di tutto. Prese a camminare, guardandosi intorno e studiando l’architettura delle varie costruzioni che si affacciavano sulla via principale. “Sei davvero masochista.” Parlava lei. “Saprai gestire la mia isteria?” Domandò. “I miei sbalzi d’umore?” Avrebbe potuto anche mettersi a piangere da un momento all’altro se il nervosismo fosse salito sopra il livello di guardia. “Che coraggio! Ma in fondo sei il mio allievo migliore.” Scherzò, arpionandogli un braccio. L’atmosfera giocosa terminò quando, improvvisamente, la ragazza, fu invasa da una brutta sensazione. “E se non dovessi farcela?” Che ne sarà di me? Dove andrò a stare? A quel punto sarebbe stata disposta a scendere a patti con il diavolo, interpretato da una madre che aspettava solo il momento in cui l’avrebbe vista tornare con la coda tra le gambe, a chiedere umilmente perdono per l’atteggiamento stupido tenuto? No. Arrestò la camminata e si voltò verso quello che aveva tutta l’aria di essere un vecchio caffè, elegante e dalle dimensioni ridotte. “Ehi! Io il cappuccino lo voglio per davvero!” Lagnò, come fosse una bambina viziata e capricciosa. “Mi accontenti, papà?” E poi si trattava pur sempre della sua giornata. Lo fissò con aria ingenua e fanciullesca. Perché sì, quella spensieratezza le mancava come aria pura.



     
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    Ho aspettato le vacanze di Pasqua con la stessa agonia riservata al Campionato mondiale di Quidditch. I ritmi scolastici dopo un po' iniziano a pesarmi: sono insofferente in classe e quasi del tutto incapace di portare a casa una media decente. Non che questo mi crei problemi, dopotutto non ho mai aspirato ad un lavoro d'ufficio al Ministero o alla Gringott né di ricoprire un ruolo istituzionale - anche se gongolerei per la fama che questo comporterebbe -, impieghi che quindi presuppongono un'ottima preparazione scolastica e una spiccata disciplina. Credo solo sia frustrante dal punto di vista personale: mi annoio da morire sui libri, non sopporto di dover restare per ore e ore chiuso tra quattro mura quando potrei starmene all'aperto a fare qualunque altra cosa. Volare, per esempio. Dimostrare di essere il più temerario di tutti. Il più talentuoso in tutto. Ecco, magari un ruolo da avventuriero! Cacciatore di creature pericolose o un auror addirittura! Se solo non fossero richiesti M.A.G.O particolarmente alti... A onor del vero non mi sono mai fermato a pensare a cosa ne sarà di me nel futuro, insomma a cosa vorrei fare da grande. Ho solo sempre saputo di non voler stare inchiodato su una sedia a timbrare fogli e inviare aeroplanini di carta dal mio ufficio a un altro Per mia fortuna posso non farlo anche oggi: ho ben altro a cui dedicarmi!

    Diversi mesi dopo l'annuncio, sto finalmente per accompagnare Halley-la-tiranna-Wheeler a vedere la sua prima casa. Il fatto che voglia andare a vivere da sola è una FI-GA-TA! Un appartamento tutto suo, in città, sancisce l'inizio della sua vita da donna indipendente. WOW. Mi sento gasatissimo dalla prospettiva di quello che sta per succedere. Sta per compiere il primo passo nella vita adulta ed io ne sarò testimone! Penso già alle feste che organizzeremo, alle cene, a tutte le volte in cui farò serata e busserò ubriaco fradicio alla sua porta senza una vera ragione... ai gufi che le manderò. Ancora non ho ben capito come abbia intenzione di provvedere al pagamento dell'affitto lavorando solo nei weekend liberi previsti dalla scuola ma è un problema relativo: io che ci starei a fare? Orgogliosa com'è non mi chiederebbe mai aiuto, ecco perché dovrò agire da solo proponendomi come garante. So cosa vi starete chiedendo: come può un Mooncalf incosciente come William Knight parlare in toni così tanto saggi e previdenti, usando per altro parole grosse che puzzano di responsabilità? Vi lascerò col dubbio, ben vi sta.
    Col classico andamento tronfio e saltellante mi avvicino al luogo dell'appuntamento. Ho degli occhiali scuri sugli occhi - un apprezzato souvenir di Alice - e abiti comodi. Le braccia ondeggiano lungo i fianchi finché non alzo la mano destra e la passo tra i capelli per spettinarli, come al solito. Intravedo da lontano Halley e, sorridendo in maniera evidente, mi avvicino. Sono in ritardo, come al solito, ma non me ne faccio proprio. Quando le sono di fronte faccio per togliermi gli occhiali e appenderli al collo, ridendo per l'aria severa che mi riserva e la proposta che fa.
    - Ma se è proprio per quella che mi ami - inumidisco velocemente le labbra e la aiuto a scendere dal muretto su cui si è seduta per aspettarmi; quando me la ritrovo vicina la guardo dall'alto. Quasi non la riconoscevo senza la divisa: immagino siamo tutti un po' diversi fuori dalla scuola. Infatti mi prendo il mio tempo per studiare la sua figura intera, il modo in cui questo look le doni e la valorizzi.
    - Il giubbotto di pelle ti dona, ti fa più leonessa. Rooar - e sollevo il sopracciglio sinistro prima di raggrinzire la mano e puntarla al suo fianco, solleticandola. Ridere è fondamentale. "Sei pronto?" mi chiede. Miscredente.
    - Io sono nato pronto. - lei, invece, è nervosa. Al posto suo lo sarebbe chiunque. Drizzo le spalle prima di guardare a destra e sinistra e cercare di capire la direzione da prendere.
    - A che ora è l'appuntamento? L'annuncio di che parlava, di una stanza o un appartamento? Non c'erano delle foto, almeno per farci un'idea? - lascio che sia lei a guidarmi ma la tempesto di domande, come un bambino curioso. So che cosa la preoccupa: se non trovasse nulla, dovrebbe restare per sempre al Paiolo Magico. Faccio dei suoni con la bocca che indicano un palese no, ti stai sbagliando prima di indossare di nuovo gli occhiali.
    - Non dire stronzate. Ci sarà sempre una stanza per te a casa mia. E nemmeno una qualunque. Ti darei quella comunicante con la mia così se dovessi sentire il bisogno di calore umano... - l'allusione è palese.
    - C'è solo una clausola non negoziabile: i malesseri non sono ammessi. Neanche di nascosto. Ho proprio un sensore anti-malessere, non la scamperesti - ci provo a smorzare la tensione ma non è semplice come sembra: Halley è davvero spaventata all'idea di fallire. In cosa poi non è chiaro.
    - Che posso dire, mi piacciono le cose difficili. In quelle facili sono buoni tutti. Uscire indenne da un pomeriggio all'insegna dell'incertezza e della scoperta con niente meno che Halley Wheeler sull'orlo di una crisi di nervi... è da passaggio alla seconda classe dell'Ordine di Merlino, cazzo. Come minimo! - ma niente, lei continua ad avere timori.
    - Non dovresti farcela a far cosa? Oh beh, se pensi di riuscire a trovare la casa perfetta al primo colpo sei... più ottimista di me che aspetto i voti di Trasfigurazioni - la seconda parte della frase in realtà la pronuncio a voce bassa, perché contemporaneamente stiamo rallentando fino a fermarci. Halley mi lascia il braccio e mi supera, poi si gira a guardarmi. Vuole davvero un cappuccino. Ma poi cos'è un cappuccino?
    - Non sarà un altro Satana, eh? - chiedo, dubbioso.


     
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    Rapido. Troppo. Tutto stava avanzando in maniera così veloce, da togliere il fiato. Provava paura. Rabbia. Una montagna russa di emozioni. Un susseguirsi di stati d’animo perennemente in contrasto tra loro, incapaci di allinearsi per recuperare quell’equilibrio che le sarebbe servito per riprendere, per lo meno, le redini di quella che sarebbe diventata la sua vita a seguito ai cambiamenti che aveva deciso di apportare alla sua esistenza. Un nuovo lavoro. Ulteriori impegni scolastici. Una casa nuova. Un groviglio di novità dalle quali si sarebbe dovuta districare, con lei sue sole forze. Sospirò, mentre un sorriso involontario si andò ad insinuare tra i suoi lineamenti per poi spegnersi immediatamente quando, i suoi occhi, indugiarono sul polso, attorno al quale, ancora, era stretto il bracciale gemello a quello appartenuto a David. Perché? Perché ancora non aveva trovato il coraggio di disfarsene come, probabilmente, si era già premurata di fare la controparte? Una mossa alquanto stupida. Cosa sperava, esattamente? Che quel piccolo filo di chissà quale strano tessuto, avesse il potere di fare in modo di porre un cambiamento in qualcuno che, al contrario, non aveva mai nutrito alcun interesse ad andare incontro al prossimo? Neanche a colei che diceva di amare. Illusa. Amareggiata. Delusa. Tradita per alcuni versi, se non nel significato classico. In quella relazione aveva investito gran parte di lei. Si era data a lui. In tutti i modi possibili. Fisicamente. Mentalmente. C’era stato un frangente nel quale aveva creduto di aver compreso a pieno cosa volesse dire amare. I suoi gesti, le sue parole. Il suo sopportare quei soprusi che nessun altro avrebbe mai accettato. Era riuscita a vedere in faccia il suo ver io, accettandolo in parte e pregando per far si che il resto mutasse, con il passare del tempo, con il suo aiuto. Perché, no, Halley non avrebbe mai e poi mai estirpato la sua essenza, la stessa che l’aveva attirata come una calamita ma, d’altra parte, il prezzo che le chiedeva di pagare era così alto da risultare intollerabile. Ed eccola lì, a dover spuntare sulla sua lista di “novità” anche ciò che riguardava la sfera sentimentale, tenuta nascosta a tutti, così che evitassero di sfoderare le loro frasi di circostanza, al solo scopo di vederla sorridere. Era grata ai suoi amici. Tutti. Dal primo all’ultimo, eppure qualche cosa l’aveva trattenuta. Fino a quel momento. Non vi era più alcun motivo di omettere una condizione che, a quanto aveva potuto notare, non dava alcun segno di miglioramento. I mesi erano trascorsi nel più serrato silenzio e nessuno dei due si era azzardato a fare un passo verso l’altro, tralasciando le numerose incomprensioni che, evidentemente, avevano un peso ben più importante se confrontate con i sentimenti confessati, per chissà quale motivo. Halley faticava, in quel momento, a credere nell’amore professato dal verde-argento e non aveva più alcun motivo per non dare voce al suo disappunto e alla sua amarezza profonda.
    In ogni caso, fu strappata dalle sue riflessioni quando, all’orizzonte il ragazzo che aveva, quel giorno, il compito di accompagnarla nella confusione che si era instaurata nella sua mente. La ricerca di un alloggio era il punto di partenza per una vita che meritava una svolta. Lei meritava tutto il bene possibile. Il sopracciglio schizzò all’insù, come d’abitudine davanti alla convinzione del Grifondoro mentre, allo stesso tempo, il capo andò a dissentire. Celò un sorriso divertito e, involontariamente, abbassò lo sguardo sul suo abbigliamento forse un po’ troppo audace? Boh. “Ho anche l’abitudine di mordere.” Non fece in tempo a mantenere l’aria seria che una risata le scoppiò in gola. Perché sì, ne aveva bisogno. Aveva pianto abbastanza per qualcuno che non aveva esitato a lasciarla sola, a causa dell’incapacità palese di accettare una realtà che gli stava gridando un cambiamento ma che non riusciva a cogliere. Si lasciò cullare dalle parole di Liam che, gradualmente, la portarono al presente e all’annuncio al quale si era interessata. “Tra venti minuti.” Osservò rapidamente l’ora sullo schermo del telefono per poi ricacciarlo in tasca. “L’agente immobiliare ci aspetta davanti all’appartamento.” Si era fatta coraggio e si era rivolta a un professionista, così che potesse esprimere le sue esigenze, trovando un riscontro immediato, senza arrovellarsi eccessivamente, evitando di cadere in dubbi esistenziali più fastidiosi del dovuto. “Una stanza? Pensi che basterebbe a contenere il mio caos?” Interiore ed esteriore, si intendeva. Domandò divertita. “Solo tutta l’attrezzatura da quidditch, terrebbe tutto lo spazio.” Non scherziamo. Certo, era abituata a ben altri ambienti. Vivere in un piccolo appartamento sarebbe stato un grandissimo limite inizialmente ma, in fondo, ci avrebbe fatto l’abitudine, anche perché tornare sui suoi passi? Mai e poi mai. “Come sei impaziente.” Lo ammonì bonariamente, piazzandogli una spallata. “Non ti piacciono le sorprese? Tra poco potrai soddisfare la tua curiosità.” Oltre al sostegno, la mora, sentiva il bisogno di essere accompagnata in un percorso che sanciva la svolta e la presenza di qualcuno al quale era legata, infondeva in lei un coraggio fondamentale per la riuscita del suo scopo della giornata. La tensione fu smorzata dalla disponibilità, forse eccessiva, da parte del giovane, pronto ad accoglierla alla stregua di un cucciolo smarrito. “Che sfacciato! Faresti questa fatica per me, eh?” Si finse indispettita ma, d’altra parte, il calore umano le mancava più di quanto potesse ammettere. Non si trattava di sesso. L’esigenza di provare quel tipo di esperienza sotto un’altra luce, quella dell’amore, l’allettava ma la possibilità le era stata strappata dalle mani, ancora prima di poter sperimentare sulla sua pelle cosa volesse dire essere amata con anima e corpo, simultaneamente. “In ogni caso sarei un’inquilina fastidiosa. Sempre in mezzo ai piedi. Sono stanca di vivere in solitudine!” Come aveva fatto negli ultimi tempi, nella sua stessa villa. ”… i malesseri non sono ammessi.” La battuta non la divertì. Al contrario, oscurò l’allegria del suo sguardo, rendendolo tetro. “Non c’è pericolo.” Sussurrò. “Con David è finita.” Le sue iridi smeraldine si specchiarono in quelle dell’ignaro ragazzo che, probabilmente, neanche immaginava l’epilogo di quella travagliata storia. “Ci siamo lasciati.” O per lo meno, i mesi erano passati senza alcun contatto. Che altro voleva dire? Si sforzò di sorridere, riuscendoci in maniera parziale. “Cosa mi aspettavo da uno come lui?” Fece spallucce, minimizzando il dolore che continuava a distruggerla, nonostante il tempo trascorso. “Mi sono sbagliata. Ho investito tutto il possibile ma non potrei annullarmi per nessuno.” Tornò brevemente sul bracciale e poi si aggrappò al braccio di Liam, trascinandolo i direzione della meta e invocando un cappuccino. Un buon espediente per tirare su il morale a chiunque –o per lo meno, agli amanti del caffè-. “Non lo so. Ho il terrore di restare sola.” Se prima la solitudine le era sempre stata amica, dopo le disavventure che le erano franate addosso e i tradimenti subiti, le cose erano cambiate, spingendola a circondarsi dei suoi affetti, ogni qualvolta ne avesse la possibilità. Dopo la rottura con David, inoltre, non aveva più il suo luogo sicuro, nel quale tornare in caso di paura o bisogno, appunto, di quel calore umano che la faceva sentire viva. “No, non lo credo. Anzi, penso che oggi faremo un gran bel buco nell’acqua.” In tal caso sarebbe tornata con la coda tra le gambe al Paiolo, nella sua stanza affittata a tempo indeterminato. “Vieni!” Lo trascinò appresso a un chioschetto e ordinò due cappuccini da asporto. “Assaggia!” Quasi lo imboccò a forza. “Ammettilo. L’incontro con Blue ti è rimasto nel cuore. La rivedi in ogni cosa. Ti sarai mica innamorato?” Quella dannata palla di pelo l’avrebbe seguita anche in quell’avventura. Doveva mettersi l’anima in pace. “Dovremmo essere vicini.” Cercò di orientarsi. L’atmosfera residenziale la riportò un po’ a casa. “Questo quartiere è davvero carino, non trovi?” Vero?? Dì di sì. Chi ben comincia è a metà dell’opera. Per Morgana!



     
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    Venti minuti ci separano dall'appuntamento col famigerato agente immobiliare. Un uomo con una missione, importantissima e vitale, ovvero trovare un alloggio alla neo miss indipendenza Halley Wheeler. A niente sono valsi gli inviti ad ospitarla in casa mia, lei è super orientata verso l'avere un posto nel mondo che sia suo soltanto. Una parte di me la capisce: neanche a me piacerebbe vivere a scrocco per sempre... e ai malpensanti che in questo momento stanno dicendo "un modo per sdebitarsi lo si trova sempre", con quel sorrisetto malizioso e una catena di pensieri impuri e poco casti in allegato, voglio solo dire che sì, li ho fatti anch'io ma non possono certo rappresentare una moneta di scambio. La differenza sta tutta nell'orgoglio e nella nobiltà d'animo e noi, puri Grifondoro, lo siamo anche troppo. Lei non si venderebbe mai, neanche sotto tortura, io non accetterei di comprarla in questi termini.
    - Non è colpa mia se non so aspettare! - mi difendo con un'alzata di spalle mentre camminiamo insieme alla volta del centro cittadino. A mio modo cerco di tenere alto il morale, di contenere le sue preoccupazioni. Averne è legittimo: avere realizzato di non avere una casa dove tornare, o semplicemente di essere diventata troppo grande per sottostare alle regole dei genitori, sancisce un passo così grande che è impossibile ignorarlo. Essere responsabili di se stessi a trecentosessanta gradi non è per tutti e soprattutto fa paura. Anzi, fa cacare nelle mutande. Mentre giochiamo al nostro solito modo, tra allusioni e battute sul calore e il contatto umano, c'è un momento in cui la sua aura si affievolisce. Non ha più voglia di scherzare, Halley, quando mi annuncia che la sua storia con Harris grande è finita.
    - E me lo dici così? Insomma - mi guardo intorno impanicato.
    - E ora come te l'organizzo una festa, con così poco preavviso? Non che sia una cosa impossibile per Mr fantastic ma insomma, anche tu. Che tieni questa rottura per te. Dove sono i fuochi d'artificio, e le bottiglie, e la band? Ci serve una band! - non sto rispettando il suo dolore ed ignoro deliberatamente il suo sguardo affranto e deluso finché non lo sento attraversarmi da parte a parte. Una considerazione si materializza dal nulla nella mia coscienza: i sentimenti, giusti o sbagliati, restano tali e bisogna averne rispetto anche se non li si condivide. Così abbasso le spalle e modero il temperamento, perfino il tono è più mogio.
    - Scusa, sono un cazzone. - mordo il labbro inferiore e metto le mani in tasca, camminandole al fianco come un bambino appena richiamato per comportamento scorretto. Non sono molto maturo sotto l'aspetto dei sentimenti, perché una rottura non l'ho mai vissuta sulla mia pelle né ho mai sofferto per amore; non posso capire quanto siano difficili da superare certe dinamiche per chi come Halley c'era dentro fino al collo. Mi sento in colpa soprattutto quando ammette di aver paura di restare da sola.
    - "Tu" e "da sola" nella stessa frase mai, almeno finché ci sono io. Sono felice che tu stia riprendendo in mano la tua vita eeee vorrei che recuperassi anche un briciolo di ottimismo! Se diffondi nell'universo questo atteggiamento da buco nell'acqua, riceverai buchi nell'acqua! Devi essere positiva: sei con me, che cosa può andare storto col tuo leprecauno portafortuna? - C'era qualcosa di sbagliato in Halley e David come coppia; non sarò un grande esperto ma dubito che l'amore vero ti mangi come un dissennatore e lei più la storia andava avanti più aveva l'aria di chi ha subito il bacio. Magari dal punto di vista accademico il suo rendimento non è cambiato tanto da allarmare i professori ma dal punto di vista umano è passata dalla padella alla brace. Quindi è mio dovere ristabilire l'equilibrio. Anche se per farlo devo assaggiare questo capruccino. Me ne porge uno ficcandomelo praticamente sotto al naso, il che mi porta a indietreggiare dubbioso col busto e guardare prima il bicchiere fumante e poi lei. Se basta così poco per renderla felice, ben venga il capruccino.
    - Spero che un Ippogrifo la mangi. Quella bestia immonda. - scuoto la testa al ricordo di Bluey, Blue, come si chiama. Ho ancora dolore al naso quando ci penso. Assaggio un piccolo sorso della bibita e sospiro: è poco dolce, calda, praticamente perfetta per chi deve aspettare al freddo.
    Camminiamo fianco al fianco. Il posto non è molto movimentato, i nostri passi echeggiano nel silenzio rotto dai suoni naturali e qualche chiacchiericcio che si alza dalle finestre socchiuse. Le zone residenziali lo sono un po' tutte.
    - Carino, sì. Come te la cavi con gli incantesimi di insonorizzazione? -


     
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