tell me your secrets.

with Halley. [ronda]

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar


    Group
    Serpeverde
    Posts
    297
    Location
    Oslo, Norvegia

    Status
    spymode
    daphne
    Daphne aveva appreso della morte della professoressa Lovecraft dalla Gazzetta del Profeta. L'articolo riportava per filo e per segno ciò che era successo la notte della Viglia di Natale a Hogwarts, nonché della fuga di numerosi Mangiamorte dalla prigione di Azakaban dalla quale, si presumeva, fosse quasi impossibile evadere. Poco prima di far ritorno al castello, Ellen le aveva scritto una lettera dove le chiedeva di andare a vivere da lei. Era preoccupata che potesse succederle qualcosa; a detta sua, Hogwarts non era più un luogo sicuro. La persona che aveva ucciso la docente di Divinazione era ancora a piede libero e, molto probabilmente, si aggirava indisturbata tra le mura del castello. Daphne aveva gentilmente declinato l'offerta di sua madre con un no secco anche perché, a conti fatti, era più al sicuro qui a scuola che con lei. L'aveva vista uccidere a sangue freddo sia sua nonna che suo fratello. In un momento di rabbia cieca nulla le avrebbe impedito di fare lo stesso. Sarebbe stata felice di rivedere Ludde, ma la sua ora non era ancora giunta. A perire, infatti, sarebbe stata prima sua madre. L'unico modo per fermarla era mandarla all'altro mondo, non ad Azkaban perché da lì, lo sapeva, prima o poi sarebbe fuggita. Non voleva più preoccuparsi di quello che, un giorno, quella donna avrebbe potuto fare ad Hunter e ai loro figli. Perché, in futuro, ne avrebbero avuti. Ellen, quindi, avrebbe fatto meglio a stare lontano dalle persone che amava, ne aveva abbastanza delle sue minacce, delle sue torture, dei suoi piani e delle sue bugie. Che senso aveva continuare a mentire? Ormai gran parte della verità era stata svelata. Quella stronza si diverte a giocare al gatto col topo. Questi erano i pensieri che invasero la mente di Daphne mentre saliva le scale per raggiungere il corridoio del terzo piano. Non aveva paura di andarsene in giro da sola per il castello, soprattutto quando doveva adempiere ai suoi doveri da Caposcuola. Proprio per questo motivo aveva avuto un piccolo battibecco con Hunter la sera prima. Il suo ragazzo era sempre stato protettivo nei suoi confronti e Daphne lo capiva, perché anche lei lo era nei suoi, ma non poteva trascurare i suoi studi per scortarla ogni volta che aveva una ronda. Tanto sarebbe tornata da lui subito dopo aver finito, come faceva sempre. Anche perché, da un anno a questa parte, si era abituata a dormire tra le sue braccia. Da sola non ci riusciva più. Era diventata fisicamente ed emotivamente dipendente da lui: quando non stavano insieme le mancava come l'aria, lo pensava ad ogni ora del giorno, il suo corpo bramava costantemente il suo, aveva bisogno di toccarlo, di baciarlo, di sentirlo. Di possederlo completamente. Chiuse gli occhi, scuotendo leggermente il capo. Aveva finito con l'amare il suo ragazzo nello stesso identico modo in cui Ginevra aveva amato l'uomo che le era stato portato via. Dopo di lui, nessun altro era più riuscito ad entrare nel suo cuore. Nemmeno Leonard, suo marito, che per quell'amore non corrisposto aveva quasi perso la testa.
    Proseguì diritto, svoltò a destra e, non trovando Halley, poggiò la schiena contro il muro in attesa. Si trovava nella parte destra del corridoio del terzo piano, nota per essere stata una zona interdetta agli studenti tra il 1991 e il 1922 in quanto punto di accesso alle Camere della Pietra Filosofale. Era lì che si era nascosto l'assassino? Chi poteva dirlo. A Daphne, tutto questo, non faceva né caldo, né freddo. Aveva guardato la morte in faccia da bambina e l'aveva vista portare via suo fratello. Niente avrebbe potuto scalfire il suo cuore di ghiaccio, tranne la predita di Hunter. E poi, a dirla tutta, non le importava granché dell'omicidio della Lovecraft, così come non le sarebbe importato dell'omicidio di molte altre persone. Era più preoccupata per l'evasione dei Mangiamorte dato che, tra loro, c'erano sicuramente delle vecchie conoscenze di sua madre. Rispondere alla lettera di Charles e fissare un incontro con suo padre era stata la scelta migliore che potesse fare. Hunter, ovviamente, le era stato accanto tutto il tempo. Sospirò. Le mancava già. D' un tratto sentì una voce chiamarla. Alzò lo sguardo e puntò i suoi occhi azzurri in quelli verdi dell'amica che, quasi correndo, percorse la distanza che le separava. Le sorrise rassicurate, per nulla infastidita dal suo leggero ritardo. Halley stava attraversando un periodo difficile, aveva perso peso e non sembrava dormire abbastanza. Che fosse colpa di quel demente di un Harris? Non era da escludere. «Halley non correre! Non hai fatto tardi, non ti preoccupare. » La rassicurò, sapeva quanto la mora ci tenesse alla puntualità. Da quel punto di vista erano piuttosto simili. In realtà, a dispetto delle apparenze, lo erano in tante cose. Daphne, in Halley, aveva trovato un'amica sincera e fedele. Di persone come lei ce n'erano poche in giro, per questo se la sarebbe tenuta stretta. La fiducia di una serpe, se non tradita, poteva durare per sempre. Un po' come i diamanti. E lo stesso valeva per quella dei grifoni. « È da quasi una settimana che non ci vediamo. Come stai? » Tra il caos che c'era a scuola, i controlli più serrati, le lezioni e i G.U.FO. non erano riuscite, come di consueto, a trascorrere un pomeriggio insieme ad Hogsmeade. Entrambe erano immerse nello studio per gli imminenti esami dato che il punteggio fatto da uno studente su un particolare G.U.F.O gli avrebbe permesso di intraprendere un particolare percorso studi o di ottenere un determinato lavoro. Daphne non sapeva ancora cosa avrebbe fatto dopo il diploma, ma nelle materie da lei scelte avrebbe preso il massimo dei voti. «Andiamo!» La spronò, cominciando a camminare nella direzione opposto da quella da cui erano venute.



    Edited by Daphne. - 6/4/2024, 00:13
     
    .
  2.  
    .
    Avatar


    Group
    Grifondoro
    Posts
    427

    Status
    i'm sleeping

    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    La pungente ansia si annidava nell’aria, alla stregua di un sottile e letale veleno. L’agitazione era palpabile. Ogni abitante di quel castello viveva in costante allerta. Ogni dettaglio assumeva estrema importanza. La morte della Professoressa di Divinazione l’aveva scossa a tal punto da mettere in dubbio la sua permanenza tra quelle quattro mura. Halley era entrata in contatto con quella donna. Era stata la sua “maestra” per un breve periodo e ora? Di lei non rimaneva altro che un lontano ricordo. I suoi capelli biondi. La sua carnagione pallida. Il profumo che sprigionava ogni qualvolta la si incrociasse per i corridoi. Di ciò non era rimasto nulla se non un corpo senza vita, strappato prematuramente all’affetto dei suoi cari. Se mai ne avesse avuto. Di lei nessuno sapeva molto ma, la Wheeler, era a conoscenza della sua dote, per il semplice fatto che condividevano la stessa sorte. L’accadimento, quindi, era riuscito a colpirla nel profondo, inducendola a pensare che quel suo piccolo problema fosse la causa di tutti i mali. Pura paranoia. Ovvio che sì. Si era documentata sul come si era svolta la faccenda. Una semplice casualità. Sì. Doveva essere stato il destino infausto. A chiunque sarebbe potuta capitare la parte della vittima e, per questo, chiunque avrebbe potuto ingerire il veleno che era stato utilizzato per porre fine ai giorni della Lovecraft. Elaborare teorie, formulare ipotesi, comunque, non sarebbe servito a molto senza solide basi sulle quali fondarle. Sarebbero giunti al colpevole? Questo non era certo ma era quello che tutti si auguravano, così da poter tornare a vivere come Merlino comandava. Fortuna che quello doveva essere il luogo più sicuro per loro, se così non fosse stato probabilmente non si sarebbe salvato nessuno. Sospirò e, dopo aver salutato Grace con un abbraccio gratuito, scivolò fuori dal ritratto della Signora Grassa –che salutò garbatamente, risvegliandola da quello che sembrava un abbiocco-. L’ora della ronda era giunta e, per pura fortuna, era riuscita ad assicurarsene una in compagnia della ormai sfuggente Daphne. La Caposcuola, come risaputo, faceva coppia fissa con il ricciolino dall’aria apatica: Hunter Moore. Un ragazzo schivo. Per niente incline a coltivare amicizie. Certo, ognuno era pur libero di vivere la quotidianità come meglio credeva ma, d’altra parte, la libertà terminava quando iniziava quella altrui e l’atteggiamento tenuto dalla sua amica non le andava a genio. L’amore? Niente di più appagante ma ciò non escludeva il bisogno di avere qualcuno al quale voler bene in maniera differente e, dal suo punto di vista, Daphne stava perdendo letteralmente le redini della situazione. Non si trattava di gelosia. Lei stessa passava del tempo con David ma ciò non l’avrebbe mai sottratta alla presenza dei suoi amici. Né in quel momento, né mai nella vita. La vita le aveva insegnato a tenersi strette le persone che mostravano interesse per lei, anche attraverso sfuriate o consigli mascherati da giudizi non richiesti. Tutto per il suo bene. Era dispiaciuta, arrabbiata e non aveva alcuna idea di come avrebbe fatto a mascherare il suo disappunto, una volta giunta a destinazione. Il suo intento era quello di mostrarle i fatti ma, allo stesso tempo, non avrebbe voluto sollevare un polverone inutile. Un bel conflitto di interessi. Un problema che non sapeva come affrontare per non urtare la sensibilità della verde-argento. Ci avrebbe pensato a tempo debito. Di lì a poco.
    A passo spedito raggiunse il punto di ritrovo e si rese conto di essere in ritardo. O forse no. Era convinta di aver controllato l’ora, poco prima di lasciare la sua tana. Sbuffò e, finalmente, ebbe la notizia che più la rassicurò. I ritardatari le stavano sul cazzo da sempre e divenire una di loro, non se ne parlava. “Sei sicura?” Domandò. Tutta quella strada a ritmo sostenuto l’aveva stancata. Fortunatamente negli ultimi giorni aveva ripreso a saziarsi in maniera adeguata, così come le aveva suggerito l’infermiera. L’umore era andato migliorando e l’appetito si era riaffacciato, così come l’ombra della vecchia Halley che, a distanza di mesi, premeva per tornare all’attacco. Tutti ottimi segnali. La guarigione stava avvenendo e da lì in poi, avrebbe fatto a modo suo. Lottando con unghie e denti davanti a qualsiasi difficoltà le si fosse parata davanti. “Ho fatto il prima possibile!” Era stata una giornata impegnativa. Gli allenamenti erano terminati pochi minuti prima che venisse servita la cena e, tra una chiacchiera e l’altra, aveva perso la cognizione del tempo. “Gli allenamenti sono durati più del previsto.” Ammise. Era vero. “Abbiamo nuove aspiranti reclute.” Ripensò a Yuki. Quel dannato. Sempre con la testa tra le nuvole, di quel passo non avrebbe fatto paura a una mosca. Dissentì con il capo, palesando l’andazzo che le sue giornate possedevano. “Puoi immaginare.” Terminò la frase roteando gli occhi, puntandoli poi al soffitto. Grane. Sempre e solo grane. Senza contare i gruppi studio ai quali aveva deciso di partecipare. Insomma, i GUFO erano alle porte e il terrore di inciampare in uno dei traguardi più importanti della sua vita, la spaventava assai. Un passo falso e il suo futuro sarebbe sfumato. Non poteva permetterlo. Aveva bisogno della sua indipendenza che, ironia della sorte, ora dipendeva solo dai suoi risultati accademici. ”È da quasi una settimana che non ci vediamo…” Se solo la piantassi di tubare in ogni angolo del castello. Lo tenne per sé. Si voltò, assicurandosi il contatto visivo con i suoi algidi occhi, in quel momento addolciti dalla rilassatezza dei lineamenti. Non poté trattenersi. L’istinto, spirito guida, la portò a sollevare il sopracciglio destro. “Già…” Si era guardata ben bene dal riversare accuse ma, dietro quel breve mugugno vi era un il mondo intero. “Certo, non sono Hunter!” Aveva dimestichezza con l’esagerazione –stava con David, per l’amore di Merlino, chi meglio di lei poteva sapere!-. Eppure la relazione della Andersen aveva un che di tossico e pericoloso. Per entrambi. Sarebbero finiti soli. Su qualche montagna a condurre una vita eremitica, di quel passo. “Non credi di esagerare?” E se un giorno, la loro storia fosse finita? Gli amori se ne vanno. Le amicizie restano. Certo, se coltivate a dovere. In caso contrario, la solitudine avrebbe inghiottito le sue vittime. “Andiamo.” Concordò. “In realtà sto molto bene!” Rispose a scoppio ritardato. “Sono pronta a ricominciare da dove mi ero persa.” E avrebbe ricominciato da sé stessa. Nel bene o nel male.



     
    .
  3.  
    .
    Avatar


    Group
    Serpeverde
    Posts
    297
    Location
    Oslo, Norvegia

    Status
    spymode
    daphne
    L'infanzia di Daphne era stata plasmata da un rigido codice di condotta, instillato in lei fin dalla tenera età. Il rispetto delle regole e la puntualità erano principi inviolabili, non solo per il decoro della nobile famiglia Blackwood, ma anche per alimentare l'immagine di perfezione che sua madre tanto bramava. Far attendere qualcuno era considerato un'onta, una macchia sulla reputazione impeccabile che lei, in quanto erede, avrebbe dovuto mantere. Ogni aspetto della sua vita era governato da questa rigida educazione. Le sue giornate erano scandite da orari precisi, dai pasti alle attività, alle lezioni di etichetta. La spontaneità era un lusso che non le era concesso, sacrificata sull'altare della perfezione. Ciò l'aveva resa una giovane donna precisa, ordinata e quasi ossessivamente puntuale. Al contrario, la famiglia di suo padre era decisamente meno rigida sotto questo aspetto. Tuttavia, Daphne non aveva trascorso con loro abbastanza tempo da assimilarne appieno la filosofia di vita. Ellen l'aveva completamente monopolizzata. Se aveva acquisito un pizzico di flessibilità, lo doveva senza dubbio a quella bugiarda di sua nonna. Anche Hogwarts aveva contribuito a scioglierla sotto diversi punti di vista: l'interazione con studenti provenienti da diverse realtà e con differenti personalità aveva ampliato i suoi orizzonti e le aveva fatto conoscere modi di vivere alternativi. Perciò, se ad un appuntamento o, come in questo caso, durante una ronda, qualcuno tardava, Daphne non stroceva più il naso.Sorrise, invece, quando scorse Halley arrivare di corsa alla sua destra. Le si avvicinò con passo leggero, spostando una ciocca di capelli dietro l'orecchio con un gesto delicato e e le disse di non preoccuparsi per quel leggero ritardo. «Sì. Che poi oggi avevi anche gli allenamenti, no?» Da quando era diventata capitano della squadra dei rosso-oro e prefetto, gli impegni di Halley erano aumentati considerevolmente. La vita scolastica di chi, come loro, ricopriva delle cariche era frenetica, un vortice di lezioni, allenamenti, ronde e compiti che lasciava poco spazio al tempo libero. Tra l'altro, i G.U.F.O. incombevano, e la pressione per ottenere il massimo dei voti in ogni materia si faceva sentire. «Sai che il Quidditch mi annoia, a stento vedo una parita, però ricordo che le selezioni sono molto dure e che spesso le nuove reclute durano meno di un mese.»Quelle informazioni le erano state fornite da suo cugino, che tempo addietro era stato il capitano dei Corvi nel ruolo di cercatore. La sua stanza era un tripudio di premi vinti e foto di quando era studente. Perché, alla fine, avesse poi deciso di dedicarsi alla musica rimaneva un mistero. «Oppure scappano dalla "tiranna"?» Mimando le virgolette con le dita, la serpevede prese in giro la sua amica.Il soprannome era diventato di uso comune per la severità con cui Halley si approcciava agli allenamenti, pretendendo il massimo da ogni membro della sua squadra. E i risultati le davano ragione: l'anno scorso, sotto la sua guida ferrea, i Grifondoro avevano conquistato la vittoria del campionato. Le Serpi, al contrario, avevano collezionato una serie di sconfitte, piazzandosi ultime sia nel campionato che nella Coppa delle Case. Quest'anno, però, Daphne era determinata a vincerla quella dannata Coppa, per questo era diventata ancora più severa. Delle volte, però, chiudeva un occhio con chi non rispttava le regole, perché sapeva che molti le avrebbero comunque trasgredite. Che non si facessero beccare, almeno!
    «No, e poi perché avresti bisogno di esserlo?» Si voltò a guardarla con un'espressione calma in viso. La conosceva da tempo e sapeva che dietro quell'affermazione apparentemente casuale si nascondeva ben altro. Il suo sospetto fu confermato dalle parole che Halley pronunciò in seguito. Dopo la lezione di Trasfigurazione, Hunter le aveva riferito del loro scambio di battute e di alcuni commenti che, se veritieri, le erano sembrati intrisi di un sarcasmo eccessivo. Lei, quando le aveva palesato il suo dissenso nei confronti del suo attuale ragazzo, David troglodita Harris, aveva usato ben altri modi proprio perché erano amiche. Ed era ancora per questo motivo che, con tranquillità, rispose alla sua domanda. «Forse, ma a me sta bene così, fintanto che è una mia scelta.» In questa relazione di reciproca dipendenza, Daphne assecondava con piacere il suo bisogno di averlo vicino e di sentirlo costantemente, poiché era ciò che desiderava anche lei. Era consapevole, tuttavia, che la frequenza degli incontri con la Wheeler si era diradata ultimamente. Non era solo colpa del tempo che dedicava al suo ragazzo, ma anche dei mille impegni che gravavano su entrambe. Tra l'altro, la mora aveva anche iniziato a lavorare e ciò complicava ulteriormente le cose. La colpa, però, ricadeva in parte anche su di lei, pertanto non esitò a porgerle le sue scuse. «Mi dispiace se ci siamo viste di meno negli ultimi tempi, dobbiamo assolutamente recuperare il tempo perso! Sai che ci tengo alla nostra amicizia.» Ammorbidì i tratti del viso e le sorrise mentre perlustravano il corridoio. Ammettere i propri errori non era un problema per Daphne, e l'amicizia con la mora era importante per lei. Avevano vissuto tante esperienze insieme, sia belle che brutte, avevano fatto un viaggio e si erano confidate. Mesi prima, le aveva confidato il suo amore per Hunter, addirittura prima di confessarlo a lui stesso. Se non si fosse fidata di lei, non avrebbe mai trovato il coraggio di aprirsi .La possibilità, quindi, che Halley tornasse a usare l'ironia pungente tipica di quando non erano affatto in buoni rapporti, non era piacevole per Daphne. Non era nel suo stile essere così velenosa con le sue amiche, ma se le avessero dato motivo di esserlo, non si sarebbe certo fatta scrupoli.«Mi fa davvero piacere sentirlo. Ultimamente non sembravi neache più tu.»Era dimagrita considerevolmente, e i suoi occhi erano perennemente velati di tristezza. Per di più l'omicidio della veggente all'interno del castello non aveva certo migliorato la sua situazione, anzi, l'aveva solo aggravata. E conoscendo sua madre, era certa che le aveva impartito l'ordine di tornare a casa, proprio come aveva fatto la sua. «Mia madre mi ha gentilemente chiesto di andare a vivere con lei dopo quello che è successo.» La sua voce era intrisa di una sottile ironia quando pronunciò la parola "gentilmente", certa che la sua amica, con la sua perspicacia, avrebbe colto la sfumatura. «E io l'ho educatamente mandata a quel paese. Anche a te è capitata la stessa cosa?» Ellen, nella sua lettera, le aveva scritto di aver parlato con Seira, informandola del fato che entrambe erano d'accordo sul ritiro da scuola delle proprie figlie. Il crescente interesse di quella donna verso una veggente esperta la insospettiva. C'era qualcosa di losco sotto. Ma cosa?



    Edited by Daphne. - 6/4/2024, 00:13
     
    .
  4.  
    .
    Avatar


    Group
    Grifondoro
    Posts
    427

    Status
    i'm sleeping

    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Il tutto poteva essere paragonato a una nefasta epidemia. Prima quello che doveva essere il suo ragazzo; poi la sua amica. Come se un morbo contagioso avesse preso il controllo delle loro personalità, con un unico risultato: metterla da parte. Soffriva. La solitudine, un tempo da lei idolatrata, era diventata la sua peggiore nemica. Spesso si ritrovava sola, immersa nei suoi pensieri più intimi. Lontana da quel mondo che sembrava rigettarla. Si era creduta sbagliata. Non all’altezza ma, solo qualche attimo più tardi, aveva pensato a quanto stupido fosse quel pensiero. Grace e Nathan, erano stati la sua cura, strappandola ad attimi tremendi, durante i quali si era sentita di voler lasciare perdere tutto e fuggire. Lontano da lì, dove più nessuno avrebbe potuto farle del male. Non l’aveva con Daphne. Non poteva recriminarle nulla. Aveva un ragazzo. Il tempo a loro disposizione, in vista degli esami, si era ridotto drasticamente e, inevitabilmente, una scelta andava fatta. Coltivare un amore era pur sempre impegnativo, no? Mantenere un’amicizia, però, dal suo punto di vista, lo era ancora di più. Punti di vista, non sempre compatibili. Criticare, comunque, non spettava certo a lei e, d’altra parte, Daphne neanche sospettava quanto fosse risentita a causa della sua assenza. Il loro bizzarro rapporto aveva avuto inizio in maniera poco ordinaria ma, da quei primi tempi, erano passati quasi tre anni, durante i quali le loro strade –per la maggior parte delle volte- combaciavano. Strana la vita. Dall’odio era fiorita una specie di tolleranza reciproca, mutata poi in qualche cosa di più profondo ora in pericolo. Le dispiaceva? Certo che sì. Avrebbe calcato la mano? No. Battibeccare, avrebbe voluto dire spendere un’energia che non aveva. Il quieto vivere, senza però l’ipocrisia, avrebbe vinto su ogni cosa. Quel giorno e sempre. Alzò le spalle, lasciando che il ricordo di quegli allenamenti, scivolasse nel dimenticatoio, catalogandolo come una specie di incubo ad occhi aperti. Il nuovo anno aveva portato appresso non solo le nuove responsabilità di prefetto ma, dopo l’abbandono del capitano in carica della squadra, tutto era franato sulle sue spalle ed eccola, a cimentarsi in quel nuovo ruolo che le calzava a pennello. Era felice ma tanto impegnata, soprattutto per quanto riguardava le selezioni. Un disastro annunciato, sì, ma non era la tipa da demordere. Annuì, roteando gli occhi, così che potesse intendere quanto fosse stato complicato sopravvivere fino a quella sera. “Se la credono troppo.” Un eufemismo. “Non sanno distinguere una pluffa da un bolide, per Merlino.” Non sapeva da dove iniziare ad elencare tutte le stronzate alle quali aveva assistito quel giorno. Forse sarebbe stato meglio sorvolare e passare oltre ma, con sua grande sorpresa, la bionda, si addentrò in un territorio a lei ostile: il quidditch. Sapeva la sua poca inclinazione verso quello sport, certo, era più da pattinaggio sul ghiaccio. Eleganza e stronzate varie. Il maschiaccio tra le due era e rimaneva Halley, con sua grande felicità. Due personalità oppose che, con un po’ di fortuna e impegno, sarebbero potute conciliarsi facilmente, accettando i limiti da entrambe le parti. Difficile ma non impossibile. “Dovresti dare una possibilità al quidditch.” Nemico per molti. La brutalità che spesso si utilizzava per vincere gli incontri, rientrava esattamente nei suoi canoni. La prova? Le fratture che aveva subito durante la finale. Fratture che, comunque, erano servite a portare la sua squadra in vetta alla classifica, conquistando il gradino più alto del podio. Sorrise al solo pensiero di una possibile replica. Lo stesso non si poteva dire delle Serpi che, sfortunatamente per loro, avevano collezionato una sconfitta dietro l’altra, sprofondando nello sconforto e nella rabbia. Lo sapeva bene, viste le continue lamentele del povero, perdente, Harris. Sì. Nel quidditch i sentimenti contavano meno di niente. Per lei, certo. Lo avrebbe sfottuto fino alla fine dei suoi giorni e, in fondo, la divertiva vederlo reagire, mal celando il suo rodimento di culo. “Magari!” Se fossero scappati, almeno, un briciolo di sanità mentale sarebbe rimasta intatta. Invece no. Doppio lavoro, non solo per metterli in riga ma per spiegare le basi di qualche cosa che avrebbero già dovuto sapere. “Sai quanta pazienza ho, no?” Soprattutto con i coglioni che pensano di sapere tutto nella vita, invece non sanno proprio un cazzo di niente. Sbuffò e si avviò verso l’ignoto. Ci mancava solo qualche grana per coronare la giornata appena trascorsa. Mai dire mai e mai giocare con la sfiga. Già. Come si rivelò una sfiga, non avere alcuna idea di cosa volesse dire mordersi la lingua quando, inevitabilmente, qualche argomento toccava un nervo scoperto, come quello appena intrapreso dalle due compagne di ronda. Mmmm. No, non ne sarebbe uscita pulita ma, in fondo, non era neanche la sua intenzione primaria, anzi. Obiettare sul suo essersi chiusa a riccio, in un mondo che credeva perfetto, con il suo perfetto ragazzo, avrebbe avuto dei riscontri non indifferenti. Preoccupata e dispiaciuta, Halley, avvertì l’esigenza di esprimere il suo pensiero, evitando quell’invadenza che non avrebbe mai voluto utilizzare con coloro che occupavano un posto importante nella sua quotidianità. “Capisco che per te sia importante!” Sospirò, assicurandosi quel contatto visivo, necessario a esprimere le sue vere intenzioni. “Ti chiedo solo di salvaguardare la tua individualità.” Recitare morali non le si addiceva affatto. “Tutto qui.” Certo. Vivere il momento spensierato, caratterizzato da un amore incondizionato, travolgerebbe chiunque ma, prima o poi, avrebbe avuto bisogno di qualcuno al suo fianco che esulasse dalla figura di Hunter e lì, probabilmente, sarebbero iniziati i primi rimorsi. Chissà. “Scegli di vivere questa specie di dipendenza?” Poteva mai essere su base volontaria, una roba del genere. E di malessere ne capiva più del dovuto. La sua relazione con David, tra alti e bassi, proseguiva ma era certa che non sarebbe mai stata in grado di annullarsi per rinchiudersi in una dualità deleteria. “Come può farti bene?” Una domanda ingenua la sua. Non riusciva a credere che fosse la sua volontà a farla muovere in quella direzione a senso unico. “Dispiace anche a me.” Si sforzò di sorridere, prendendo le sue parole come una vera e propria promessa. Stava a lei mantenerla, Halley non avrebbe più messo becco nella relazione tra lei e il Corvonero, così da mantenersi a debita distanza dall’impressione che avrebbe potuto dare. L’esplorazione continuò, così come il flusso dei loro pensieri, interrotti di tanto in tanto dal passaggio di uno dei fantasmi che infestavano il castello. Simpatici e fastidiosi. Sempre pronti a far perdere tempo prezioso. “Si notava così tanto?” Troppe questioni lasciate in sospeso. Troppi dubbi da dissipare. Il rapporto con sua madre, quello con David. Ai problemi si aggiungevano altri problemi e la sua stabilità aveva vacillato più di una volta. Con estrema caparbietà, però, aveva promesso a sé stessa di riprendere le redini di quell’esistenza meritevole di un riscatto. Il culmine della follia, comunque, era stato raggiunto quando, dopo la notizia della morte della professoressa di divinazione, Ellen aveva invitato la caposcuola a fare ritorno al nido, giocando alla madre preoccupata. Si accigliò. “A che gioco sta giocando?” Domandò, essendo a conoscenza delle tensioni tra madre e figlia. “No.” Rispose secca. “Non parlo con mia madre da Natale.” Aveva passato qualche giorno in compagnia di David e, in un secondo momento, si era trasferita definitivamente nell’appartamento che aveva preso in affitto a Hogsmeade. “Avrei solo bisogno di vedere mio padre!” Le mancava. Le ultime notizie lo vedevano impegnato in une delle tante isole a largo del Madagascar. Alzò le spalle. “Sono diventata, tutt’un tratto, sentimentale.” Effettivamente, molti erano gli indizi che sostenevano quella stupida tesi.



     
    .
  5.  
    .
    Avatar


    Group
    Serpeverde
    Posts
    297
    Location
    Oslo, Norvegia

    Status
    spymode
    daphne
    «Io almeno so distinguere una pluffa da un bolide! Anche se devo ringraziare mio cugino per questo, è ossessionato dal Quidditch. Andreste d'accrodo.» In tutte le rare volte che Halley era andata a trovarla a casa di sua zia, a Londra, non aveva mai avuto modo di incontrarlo. Daphne poteva inoltre affermare con certezza che quel ragazzo amava il Quidditch più della sua amica, pur non essendo un giocatore. Suo cugino, infatti, era un musicista e passava la maggior parte del tempo in tournée. Tuttavia, questo non gli impediva di ascoltare la radio quando c'era una partita di campionato o addirittura un'amichevole. Forse uno dei motivi per cui Daphne non aveva mai particolarmente amato quello sport era proprio per il fatto che ne sentiva parlare incessantemente: a casa, a scuola, per strada, ovunque si girava c'era sempre qualcuno che discuteva di tattiche, giocatori e partite memorabili. A parte l'insopportabile sovraesposizione, però, Daphne comunque non riusciva a trovare il benché minimo senso in quella disciplina. Inseguire pluffe, boccini e tirare bolidi le sembrava un'attività priva di logica e di fascino. Ma, come si suol dire, de gustibus non est disputandum. Tra l'altro, non solo aveva mai seguito con interesse le partite di Quidditch, ma non si era mai nemmeno seduta sugli spalti del campo della scuola. Preferiva starsene appartata, immersa nei suoi libri o nei suoi pensieri. Le urla e i boati degli studenti che rientravano a scuola dopo una partita le bastavano per sapere chi aveva vinto. Eppure, così facendo, si era preclusa la possibilità di vedere la sua amica giocare. E non andava bene. Nell'ultimo mese, infatti, dopo un attento esame di coscienza, si era resa conto di non esserle stata vicina come avrebbe dovuto. Per questo, si girò verso di lei e le sorrise, decisa a rimediare a quella mancaza a modo suo. «Lo farò venendoti a vedere alla prossima partita, però se è contro serpeverde non posso tradire la mia Casa, quindi tiferò silenziosamente per loro.» Prendeva scherzosamente la rivalità tra le Case, ma in fondo al suo cuore nutriva una segreta ambizione: vedere Serpeverde primeggiare in tutto. Dopo due anni di cocenti sconfitte, sia nelle classifiche scolastiche che nel campionato di Quidditch, l'idea vincere non le dispiaceva affatto, anzi. Era una questione di orgoglio, di rivalsa, di dimostrare che anche Serpeverde aveva la stoffa per eccellere. E poi, Daphne, che a breve sarebbe tornata a gareggiare a livello agonistico, non aveva certo perso la sua proverbiale competitività. «Paziente, dici? Forse anche troppo a volte.» La guardò con la coda dell'occhio, scrutandola attentamente. Le parole di Daphne, seppur velate, erano un chiaro riferimento a David, quel soggetto privo di cervello che Halley frequentava. Le aveva detto cosa ne pensava a riguardo, senza mezzi termini, ma non le aveva mai imposto il suo parere; era dell' opinione che nessuno avesse il diritto di dire ad un altro come vivere la propria vita. E poi Halley era abbastanza grande e matura da scegliere per sé. Tuttavia, questo non significava che non si preoccupasse per la sua amica. Anzi, lo faceva eccome. Vedeva come David la trattava, con sufficienza e disattenzione, e come la sua autostima ne risentisse giorno dopo giorno. A tempo debito, infatti, quel troglodita di un Harris avrebbe avuto ciò che meritava. Ad avere delle preoccupazioni circa la relazione dell'altra, però, non era solo lei. La mora, infatti, aveva commentato negativamente il suo bisogno e la sua dipendenza da Hunter. Eppure, per quanto dall'esterno potesse sembrare sbagliato, Daphne non aveva intenzione di cambiare proprio niente. Perché non voleva. Era una questione di chimica, di attrazione irresistibile, di amore. Hunter la capiva come nessun altro, la completava in un modo che non aveva mai sperimentato prima. Ma non per questo, avrebbe perso la sua individualità. Era consapevole di chi era, di cosa desiderava dalla vita e di quali fossero i suoi compiti. «Questo mai, sono sempre io.» Lo disse anche a voce alta. “Scegli di vivere questa specie di dipendenza?” Puntò i suoi occhi azzurri in quelli smerdalini della grifondoro. Non c'era ombra di dubbio nella sua espressione, solo una ferrea determinazione che confermava la sua scelta consapevole e voluta che aveva fatto. «Sì, perché è nata naturalmente. E se deve finire, lo farà allo stesso modo.» Lei non avrebbe forzato nulla. Sarebbe stata la loro relazione a mutare, a plasmarsi in base a ciò che sarebbe accaduto, in base ai sentimenti e agli eventi che, nel tempo, si sarebbero susseguiti. L'unica cosa di cui era certa era che non lo avrebbe mai lasciato andare.«Può sembrare strano, ma a me fa stare molto bene.» Quando era con lui, era in pace con se stessa. Poteva ridere liberamente, esprimere le sue opinioni senza timore di essere giudicata, mostrare le sue fragilità senza vergogna. E questo era qualcosa che raramente accadeva. «Questo, però, non vuol dire che non ci sarò per te o che la nostra amiciza non sia importante. È mia intenzione essere più presente.» Forse era la prima volta, da quando si conoscevano, che Daphne si esponeva in quel modo. Il suo vissuto l'aveva portata ad erigere un muro di ghiaccio attorno a sé, una corazza che la proteggeva dal dolore e dalla delusione. E, in fondo, era sempre stata così: una donna indipendente e solitaria, abituata a cavarsela da sola. Però, ora che stava lentamente riprendendo a fidarsi degli altri, era necessario che si aprisse un po' in più. Tra l'altro, lei e Halley erano quasi nemiche di infanzia e questo, in qualche modo, la diceva lunga sul tempo passato insieme. «Visto che i nostri impegni sono tanti» La prese sottobraccio e le sorrise sorniona, mentre camminavano per i corridoi, controllando che nessuno osasse infrangere il coprifuoco. « che ne dici un pigiama party una volta alla settimana, io e te, dopo la ronda?» Hunter le sarebbe mancato da morire. Ormai era abituata a dormire ogni notte con lui, al suo calore, al suo profumo, al suo respiro che scandiva il ritmo della notte dopo aver fatto l'amore. Ma non era una mancanza insormontabile perché, tanto, si sarebbero rivisti il giorno dopo. «Abbastanza.» Era chiaro a tutti che Halley non era più la stessa. La sua vivacità era stata offuscata da un'ombra di tristezza e la colpa era da attribuire principalmente a quell'imbecille di David Harris, con il suo comportamento arrogante e crudele. Ma anche l'omicidio della professoressa Lovecraft aveva contribuito al malessere della sua amica, così come a quello degli altri studenti. Era così abituata alla morte, che spesso dimenticava che per le persone che avevano avuto una vita diversa dalla sua, vedere un cadavere non era la normalità. In realtà, nemmeno gliene importava più di tanto, gli altri non erano niente per lei. Solo alcuni lo erano. Fine. «Come stai adesso? La verità però.» La guardò diritto negli occhi, decisa.
    Ripresero a camminare normalmente, mentre il discorso scivolava su un terreno decisamente più ostico: quello delle loro madri. Halley sapeva che tra Daphne e quella stronza non correva buon sangue. Era un argomento spinoso, pieno di dolore e rancore, che entrambe evitavano di affrontare se non strettamente necessario. «Vuole tenermi sotto controllo» Il suo sguardo era ora vuoto e privo di emozione. Fissava un punto fisso in lontananza, come se la sua anima fosse stata strappata via dal suo corpo. Era freddo, senza calore, proprio come Micheal Harris lo aveva descritto qualche mese fa. «per scoprire quali ricordi ho recuperato. Sai, anni fa me ne ha cancellati tanti,» Fin troppi forse. Grazie al quel maledetto potere, però, ora erano ritornati quasi tutti. «Se la senti, dille solo di fare attenzione a mia madre. Quella donna ne sa una più del diavolo.» Ellen possedeva un Demiguise, una creatura magica dalle capacità inestimabili. Se ne serviva per scrutare il futuro, per anticipare le mosse dei suoi avversari e per difendersi da chiunque rappresentasse una minaccia ai suoi piani. Era uno strumento prezioso, un vantaggio inestimabile nella sua scalata verso il potere. Se fosse anche riuscita a soggiogare una veggente, una in grado di vedere il passato e il futuro con una chiarezza che andava ben oltre le capacità di un Demiguise, sarebbero stati guai seri. Soprattutto se la veggente in questione era una del calibro di Seira. «Vai da lui allora, cosa ti ferma?» Se aveva un genitore su cui fare affidamento e che le mancava, perché non vederlo? Era certa che Jason sarebbe stato contento di vedere sua figlia. E il mio, cosa vuole da me? Non poté fare a meno di chiederselo. Le scriveva ogni mese e cercava di capire come stava tramite Charles. I suoi, però, erano tentativi inutili. Daphne non avrebbe mai potuto perdonarlo, anche se sapeva che era colpa di sua madre se non aveva mai avuto un padre. Tuttavia, per necessità, doveva farlo. «Anche io ho bisogno di vedere il mio, devo capire se, come me, ha recuperato parte della memoria.» Non fece il nome di chi gliel'aveva cancellata, perché il suo nome aleggiava nell'aria: Ellen Blackwood.



    Edited by Daphne. - 6/4/2024, 00:13
     
    .
4 replies since 31/1/2024, 23:15   150 views
  Share  
.
Top
Top