Posts written by Dragonov

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    Era cambiata, nel periodo in cui avevano perso i contatti, la Wheeler sembrava diventata un’altra persona. Lui, d’altro canto, era diverso? Osservò quella oramai giovane donna fatta e finita e non poté fare a meno di chiedersi lui stesso altrettanto, quali cambiamenti lei vedesse. Se ne vedesse. Lei, ai suoi occhi, era un persona nuova. L’aveva conosciuta due anni prima quando, ingenuamente, la piccola Grifondoro s’era invaghita del bel tenebroso di Serpeverde che ripeteva per la seconda (e ultima) volta il quinto anno di studi. Quella era stata una rottura di coglioni pazzesca per il bulgaro. Una perdita di tempo colossale per inezie burocratiche tra i due istituti scolastici che trovavano il suo percorso troppo differente perché l’una potesse accettare e trovare sufficiente l’altro. In questo caso era stata Hogwarts a fare la difficile sentenziando che il programma formativo della scuola del nord non fosse abbastanza “vario e completo” che i loro orizzonti fossero troppo fossilizzati sulle vecchie pratiche magiche poiché materie come Difesa o Cura non erano nemmeno contemplate nella visione di uso del mondo che ne faceva Durmstrang. Quante puttanate! Misericordia versus egoismo, s’era trattato unicamente di questo. Del confronto tra l’indole calcolatrice insegnata e praticata dalla scuola paramilitare rispetto alla caramellina addolcita che servivano lì in Scozia. Erano queste le due visuali ma l’ordine che gli era stato impartito era stato molto chiaro e lui aveva semplicemente eseguito trovandosi poi come ricompensa della sbatta l’accollo della diversamente simpatica nipotina del suo padrino. Già poiché Skylee aveva infilato il suo nasino all’insù in fatti che non le competevano e lo aveva fatto entrando di prepotenza e molto a fondo nelle loro vite costringendo Ethan a quella mossa a protezione di entrambi. I loro destini erano, oramai da anni, legati a doppio filo e nessuno dei due poteva permettersi che quella ragazzina aprisse bocca o combinasse disastri che avrebbero potuti incastrarli sbattendoli con un biglietto di sola andata verso la prigione dei maghi. Che poi i due avessero finito per innamorarsi, beh, quella era un’altra storia e purtroppo nemmeno a lieto fine considerato che il mannaro, di lei, ricordava qualche episodio sparso e del tutto scevro dell’intensità di ciò che avevano vissuto. I suoi ricordi ed il suo io erano stati interamente manipolati dal padrino che, in quei mesi in cui lo aveva tenuto lontano dalla scuola, s’era divertito in quell’opera di taglia e cuci, copia ed incolla dei suoi ricordi costruendo al di sopra una nuova linea temporale. Tuttavia, lì alla scuola, le persone conoscevano parzialmente come erano andati i fatti e, alcune di quelle persone, avevano aggrottato le sopracciglia di fronte al comportamento anomalo delle parti coinvolte ma questo fino a che Skylee stessa aveva dato spettacolo nelle occasioni comuni elemosinando delle attenzioni che il bulgaro non trovava naturale darle. Anche a quel fastidio, Ethan, aveva presto messo mano sistemando la faccenda ed eliminando definitivamente quell’elemento di caos dalle loro vite. O meglio dire… confinandolo. Sì perché la Métis era ancora viva ma dispersa irrimediabilmente nei meandri della sua mente che, come un muro privo d’uscite, s’erano chiusi su di lei imprigionandola nella follia imbastita dal mago. Che brutta fine. Axel non aveva capito quella situazione, quella drasticità dovuta e, dall’alto dei suoi ricordi irrimediabilmente compromessi, era rimasto a guardare scrollando le spalle con un’abbondante dose d’indifferenza, la stessa che lo aveva sempre caratterizzato in passato.
    Prima di Skylee.
    Perché questo era successo con il reset, Axel era tornato alla sua era prima di lei di cui, tuttavia, non ne era a conoscenza. Non era cambiato quindi, non era evoluto a differenza della donna che continuava ad osservare, squadrare, nel tentativo – forse vano – di comprendere chi lei fosse diventata poiché a differenza della Grifondoro a lui, tutta quell’evoluzione, era stata portata via. Lo avrebbe mai scoperto?
    Chissà.
    Sorrise. Liberando la mano della Wheeler, la quale, era stata trattenuta in una gentile stretta seppur al contempo decisa nonostante la stessa ragazza fosse stata avvertita di non intrattenersi con il mannaro. Poteva immaginare chi fosse l’autore di un consiglio così ridicolo: David. Il suo ragazzo. Già poiché la giovane aveva commesso il peccato – modestia dove sei? – d’averlo preferito alle attenzioni del bulgaro. David-gorilla-Harris posto al suo confronto. Puah! Quella macchietta d’insicurezza travestita d’arroganza. Tutto fumo e ben pochissimo arrosto da quel che aveva potuto vedere soprattutto sul campo da Quidditch dove il Serpeverde, e mannaro come lui, aveva ricoperto il ruolo di vice-capitano per quanto le vicissitudini del caso, ovvero un capitano inetto e del tutto assente, lo avessero chiamato a ricoprire il ruolo principale in ben più di un’occasione. Lo sfacelo più totale! David altro non aveva fatto che abbaiare ordini al pari di un gorilla, per l’appunto, considerata la stazza, ma con la stessa enfasi di un chihuahua per rimanere ad una famiglia animale a loro più affine. Urla su urla ma poi a fatti? Nelle partite principali il maggiore degli Harris altro non aveva fatto se non mettersi in ridicolo con delle performance inferiori persino ai panchinari della loro squadra. Il tutto – forse – sarebbe stato anche bypassabile da parte della squadra stessa e con non poche rimostranze ma lo stesso Serpeverde aveva scelto di scavarsi la fossa in maniera del tutto definitiva proprio quel giorno. Per Axel era stata un’ulteriore conferma della scarsa considerazione che provava per il ragazzo ma per Freya, per il modo in cui l’aveva usata, attaccata e poi denigrata… S’era decisamente conquistato una nemica e per cosa? Toccare lui? Aveva notato il modo in cui il suo sguardo era andato a cercarlo dopo quel triste teatrino, a quel modo sbavante con qui l’aveva radiografata dalla testa ai piedi al pari di un pezzo di carne per poi dirigersi a lui in cerca di qualcosa, in cerca di fastidio. Le sopracciglia del bulgaro erano scattate scettiche verso l’alto paragonando immediatamente il ragazzo ad uno di quei bulldog sbavanti e con congeniti problemi di respirazione. L’immagine era quella. Becero da quanto era piccolo, meschino ed immaturo. La sua priorità a quel punto era stato sedare la mannara da possibili rimostranze approfittandone per marcare ulteriormente il terreno e la sua influenza su di lei decisamente ben più incline a ricevere le sue attenzioni rispetto a quelle del primate. Povero David, ne aveva di strada da fare con l’altro sesso!
    «Sono una fottuta Grifondoro.» Il sopracciglio scattò verso l’alto mentre lento compiva un mezzo giro attorno alla ragazza squadrandola quasi fosse una preda indifesa. «Il pericolo mi affascina!» Sbuffò divertito mentre un pensiero maligno si faceva strada: “anche gli imbecilli”. Soppresse la risata per terminare la sua provocazione che, inaspettatamente, sembrò andare a segno. La voce della mora fu appena un sussurro, un qualcosa carico d’aspettativa ma intriso di una profonda delusione. Una delusione che, era comprensibile, non derivava dal loro incontro. Axel strinse lo sguardo poggiandosi contro il legno del molo mentre soppesava le implicazioni di quelle parole. Cosa avrebbe potuto farci. La giovane, lo vedeva, era ancora sconvolta da quanto avvenuto durante la lezione del pomeriggio. Quanto sarebbe stato semplice per lui insinuarsi in quella situazione? Quanto sarebbe stato facile approfittarsene? Poteva farlo ma voleva farlo? Voleva riprendersi ciò che in passato aveva adocchiato come suo? Non ne era certo. Da un lato c’era la vendetta, c’era la dimostrazione a quell’altro maschio di chi lui fosse perché se David pensava d’avergliela portata via si sbagliava di grosso. Gliel’aveva concesso poiché troppo orgoglioso e ottuso per accettare le scuse della Grifondoro. Non gli era interessato allora ma adesso? Adesso poteva rappresentare un’ora di libertà e soprattutto di svago che la mora sembrava anelare da tempo. Mh. Dall’altro… Scacciò il pensiero di Freya.
    «Avevo una bella cotta per te!» Perché glielo stava dicendo? Cercava d’ottenere qualcosa? Era un invito?
    «Non riesco a comprendere come posso essere stata così stupida da farmi sfuggire un’occasione d’oro come quella!» Continuò lei imperterrita su quella strada della provocazione quasi lo stesso invitando, meglio, gli stesse suggerendo di non arrendersi. Inclinò il capo procedendo cautamente, sondando il terreno per capire in quale gioco, potenzialmente, si sarebbe potuto infilare.
    Sollevò le spalle alla sua domanda scuotendo appena il capo.
    «Perché non c’è oggettivo paragone al fatto che sia migliore di lui?!» Esteticamente, sul campo, a scuola, a letto… Le rivolse un sorriso, un ghigno, divertito.
    «Boh! Dovrei saperlo?» Diede voce a ciò che stava pensando. Che gliene fregava a lui dei problemi d’autostima dell’Harris? «Dimmelo tu. Che c’hai trovato in lui?» Perché davvero non riusciva a spiegarselo. «Probabilmente teme che…» sollevò il fondoschiena dal molo avvicinandosi di un passo, le braccia ancora conserte.
    «Possa portarti via da lui» sollevò le iridi smeraldine incontrando una diversa sfumatura di quel colore negli occhi della leonessa. «Posso farlo?» Le chiese con l’intento di capire proprio quali fossero le sue intenzioni per quell’incontro. Potevano passare le scuse, poteva passare quella piega di vittimismo ma perché scegliere d’incamminarsi proprio con lui sulla strada dei ricordi, sulla strada dei rimorsi? Provava rimorsi per come era andata e se sì, che profondità raggiungevano nel livello dei suoi desideri più reconditi? Lo bramava ancora come all’epoca la pozione aveva svelato?
    La serata, in fin dei conti, avrebbe potuto svoltare in maniera interessante.
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    Ma ciao AJ benvenutissimo tra noi!
    Io sono Lu!
    Nemmeno a dirlo ti attendiamo su Telegram a fare amicizia ✨
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    axel
    axel
    Legami, relazioni, esclusiva. Parole il cui significato per certi versi appariva estraneo e quanto di più lontano dalla figura del bulgaro che nemmeno per sbaglio si trovava all’attiva ricerca di una compagna. Non era mai stato nei suoi interessi fare coppia fissa ma nemmeno aveva mai denigrato – a differenza di talune teste di rapa – chi invece vi fosse felicemente invischiato. Semplicemente reputava che quel tipo di trattamento non facesse per lui in quanto perfettamente conscio di quello che era il suo carattere ed i conseguenti limiti. Axel non era un tipo semplice, affatto. Il suo carattere verteva per la maggior parte dei giorni verso il suo lato più incostante. Burbero, scorbutico e antipatico erano gli aggettivi che da sempre avevano caratterizzato la descrizione della sua persona e questo perché quei tratti avevano finito per diventare parte integrante del materiale che andava a formare il suo muro difensivo, la corazza che lo avrebbe preservato dalle crudezze del mondo esterno. Era più semplice essere giudicati la crème de la mèrde, essere percepiti nella maniera più assoluta a quel modo evitandosi così tutto quel giro di aspettative che avrebbero potuto deludere il prossimo. Insomma: non possono ferirti se non permetti loro di avvicinarsi. Un concetto molto semplice ma che fungeva da leitmotiv della sua esistenza per quello che aveva potuto sperimentare. Perché Axel aveva sofferto da sempre a tanto, tantissimo in rapporto alla sua giovane età. Aveva visto e subito cose che la maggior parte dei presenti in quel castello nemmeno poteva immaginare. Nessuno poteva capirlo.
    Aveva scoperto la menzogna in giovanissima età, a soli nove anni, quando sua madre lo aveva portato per la prima volta nelle segrete del loro maniero ad affrontare – il giorno del suo compleanno – la sua prima luna piena a seguito dell’attacco che aveva visto portare via il capofamiglia Dragonov. Lì, Axel, aveva scoperto la sofferenza quella vera che sua madre aveva tentato di nascondergli dietro un sorriso e la prospettiva di un gioco. Ma quale gioco. Le ossa erano andate rompendosi una ad una per sigillarsi nella nuova forma che avrebbe dato vita a quella natura – da quel momento in poi – racchiusa nei suoi geni; così, strappandosi di dosso la vecchia pelle, aveva scrollato dal mantello scuro ciò che rimaneva della sua umanità. Un giovane lupo, instabile sulle sue zampe fresche di trasformazione, aveva immediatamente preso a girare circospetto in quella cella fino a che le sue fini narici non avevano percepito l’odore pulsante ed acre della paura, la presenza di prede, scatenando l’insaziabile fame. Non importava che quelle prede fossero sua madre e/o suo fratello. Non importava nulla. C’era solo la logorante fame di sangue, carne, morte.
    Non gli era andata meglio dopo, non con il padrino che si ritrovava. Ethan e la sua sadica follia si erano divertite con lui. Nelle punizioni il mago dava il meglio di sé quando, con un sorriso folle in viso piazzava alcune fialette davanti al giovane mannaro spronandolo a cercare tra di esse l’unica che contenesse l’antidoto alle altre contenenti veleno. Nessuna conteneva l’antidoto, Axel, lo aveva presto capito sulla sua pelle quando quel gioco tornava riproponendosi ciclicamente per testare nei modi più disparati le sue abilità: dal riconoscere il tipo di veleno alle tempestive azioni contromisura d’adottare in una situazione simile. Drastico come metodo ma certamente aveva portato i suoi frutti se a Durmstrang era tra i migliori del suo anno per la classe di Veleni e, lo stesso, anche alla relativa disciplina della scuola scozzese seppure – e non con pochi scetticismi – più delicata in quanto a metodi d’insegnamento.
    Era per questo ed altri motivi, per il bagaglio d’oscurità che si portava sulle spalle che non lasciava avvicinare se non poche persone e ancor meno potevano vantare una relazione di qualche tipo con il bulgaro stesso. Molte ragazze in quel castello avrebbero giurato e spergiurato, fatto persino carte false, pur di ottenere le sue attenzioni ma Axel non era quel tipo di persona. Non lasciava avvicinare poiché, inconsciamente convinto, che la vicinanza avrebbe portato a scoprire determinati altarini che il prossimo non avrebbe saputo gestire. Troppa merda e troppo schifo per delle menti così viziate, abituate a quello che avrebbe dovuto essere lo standard vigente in una normalissima famiglia ma nella vita del bulgaro non c’era nulla di normale… tantomeno l’amicizia con la giovane seduta sulle sue gambe. Quello tra loro era quanto di più anticonvenzionale potesse esistere. Sempre sul filo della provocazione, sempre oltre quel buon costume che nell’amicizia portava ad aver un certo scrupolo nell’oltrepassare determinate linee, come ad esempio poteva l’essere andare a letto con l’altra persona coinvolta. Eppure, tra loro, quel sistema funzionava. Axel e Rain comunicavano così, fondendo i loro corpi, le loro anime per poi tornare a quella ragguardevole distanza scevra da implicazioni, costrizioni e tutto funzionava alla perfezione tra loro tranne... beh, tranne quando la rossa batteva sul “discorso Skylee”. Possibile fosse così gelosa e territoriale nei suoi riguardi che quel paio di scopate avute con la Corvonero la mettessero così sul piede di guerra? Possibile le stesse così antipatica la prefetta-perfetta? Non ne aveva idea ma era l’unica spiegazione plausibile che riuscisse a darsi.
    «Doveva essere capace di numeri inimitabili, per essersi accaparrata l’esclusiva.» Ancora con quest’esclusiva! Era fissata! Quanto ai numeri inimitabili... «No! Non voglio saperlo!» Esclamò subito lei schiaffeggiandogli con fare teatrale il pettorale. L’espressione piuttosto eloquente del bulgaro tornò neutrale per quanto il ghigno divertito ancora piegasse i suoi lineamenti.
    «Hai fatto tutto tu» Sottolineò sfiorandole con l’indice lo spazio libero posto tra le due sopracciglia chiare e, sempre ad essere lei, fu quella a bloccare le sue avance. Il Serpeverde non sapeva più che pesci pigliare! Ma cosa diavolo le stava succedendo?
    Si passò esasperato una mano tra i folti capelli scuri, riportando lontano dagli occhi le leggere onde nere della sua chioma quando la Scamander, finalmente, si decise a vuotare il sacco mettendolo al corrente della sua ritrovata monogamia – Ew! – con niente poco di meno che il cacciatore dei Grifondoro. Quello muto, per la cronaca.
    «Voglio che le cose tra noi funzionino.»
    «Mh.» Fu il suo semplice commento e forse, proprio per l’assenza di gioia o entusiasmo, era possibile intuire quanto qualcosa non andasse in quella rivelazione almeno agli occhi del dispotico battitore.
    «Dico sul serio, Axel!» Protestò lei animata da un fervore che proveniva dal suo cuore, dalla sincera emozione data da quel sentimento. Axel studiò il suo viso, i suoi occhi scuri e dopo qualche tempo annuì. «Allora dovrai vestirti meglio o non posso farti promesse» ghignò lasciando che lo sguardo scivolasse sulle cosce della ragazza fin troppo visibili grazie alla gonna sollevata sia dalla posizione – addosso a lui – sulla poltrona, sia dallo stile della ragazza che la portava a scoprirsi più di quanto la divisa cercasse di castigare.
    Espirò con un certo rammarico. «Sto scherzando», aggiunse riferendosi all’abbigliamento. Lei non avrebbe mai dovuto cambiare per nessuno, stava a lui e per estensione a tutta la sua categoria darsi un controllo per quanto fosse estremamente dura con un bocconcino come lo era lei. Axel era così dannatamente abituato a fare di lei ciò che voleva, prenderla e dar sfogo a qualsiasi suo impulso e lo stesso valeva nella maniera più assoluta per la rossa che più di una volta lo aveva sorpreso in positivo.
    «Boh. Che ne so!» Sbottò alla domanda di lei. «Hai dubbi? Vuoi che indaghi?» Era questo che le era venuta a chiedere e alla quale aveva accennato un secolo prima durante il falò? «Sembra un tipo a posto ma se vuoi ci penso io», sollevò un sopracciglio ritenendo superfluo mettere a parte l’amica (speciale) di quali fossero i suoi metodi per estorcere informazioni. Se lei avesse acconsentito la cosa sarebbe rimasta tra lui ed il cacciatore.
    Ma le novità, per quella giornata, a quel punto ricca di stranezze, non sembravano essersi concluse. E sempre a quel punto per il bulgaro era evidente: il biondino di Rain spacciava droga o non si spiegava come le venissero certe idee.
    «Sono pur sempre tua amica.»
    «S셻 Ciò che non capiva era dove volesse andare a parare. Le restituì un’espressione vuota per poi lentamente assumere un’aria sempre più interrogativa.
    «Possiamo scambiarci informazioni senza giudicare l’altro, no?» Confermò ancora annuendo circospetto con il capo per quanto le informazioni oggetto dei loro scambi non fossero state poi così tanto profonde e confidenziali. Gli occhi verdi si strinsero guardinghi mentre si massaggiava la barba in corrispondenza delle labbra.
    «Freya è mia amica.» Proruppe lei sottolineando con il linguaggio del corpo quell’affermazione. Le sopracciglia del bulgaro si sollevarono a questo punto veementemente interrogative. Proprio continuava a non capire il nesso di tutto quel giro di domande che altro non gli permetteva di capire se non che Rain fosse, in qualche modo, gelosa delle attenzioni date alla sua compagna di stanza.
    «Cosa c’è tra di voi?» Eccoci qua.
    «Sei forse gelosa, Scamander?» Il sorriso furbo si aprì scoprendo la dentatura biancastra mentre la mano tornava a scivolare con lentezza calcolata lungo la coscia scoperta di lei trovando l’ennesimo rifiuto.
    «Senti. Hai rotto il cazzo!» Sbottò oramai esasperato. «Non vuoi che ti tocco perché ora c’è il biondino però cosa Freya? Cosa?! Nemmeno lei posso toccare adesso?» Come se quella nave non fosse già salpata molto, molto tempo addietro. Lo sguardo s’incupì lasciando trasparire in quel verde scuro come le fronde della foresta proibita tutto il fastidio e l’accenno di una collera primordiale che forse, la Serpeverde, raramente poteva avergli letto nello sguardo. Non intendo starle distante. Tutta la sua figura sembrava esprimere quelle semplici parole. La figura, l’aura, quanto emanasse… era pura territorialità. Freya era suo territorio.
    «Stanne fuori.» Si sporse verso la rossa in un’autoritaria minaccia che l’altra non aveva mai visto rivolgere nei suoi riguardi.


    Edited by Dragonov - 19/4/2024, 08:40
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    Cadaveri. Quanti ne aveva visti? E quanti erano tali per mano sua? Un numero alto, fin troppo, quello che andava macchiando la fedina penale e l’anima del mannaro. Inizialmente, Axel, ne aveva tenuto il conto, una lista mentale, che andava ripetendosi notte dopo notte rientrando dalle missioni in cui il padrino lo spediva prescindere da quella che era la sua volontà. Non aveva mai avuto scelta. Era cominciato tutto il 2 novembre del 2017. Ricordava perfettamente la data, poiché, molto banalmente, era la data in cui compiva la maggiore età nel mondo magico. La data in cui, allo scoccare della mezzanotte, la traccia si sarebbe dissipata da lui rendendolo a tutti gli effetti un adulto agli occhi della società quando adulto non lo era affatto. Era soltanto un ragazzo, pieno di problemi caratteriali e comportamentali con una vissuto difficile alle spalle ma da quel momento, quanto quella vita si sarebbe intricata ancor più, non avrebbe nemmeno lontanamente potuto immaginarlo. Tutto sarebbe cambiato. Lui per primo.
    La traccia che fino a quel momento aveva monitorato qualsiasi sua mossa allo scoccare della mezzanotte era svanita. Axel non s’era sentito diverso, immaginava una qualche aura mistica che andasse a scomparire ma invece nulla di tutto questo era capitato. La mezzanotte era scoccata e, come un calcio in culo (non propriamente metaforico), il padrino gli aveva dato il ben servito alludendo al fatto che i suoi giorni da “inutile parassita” fossero conclusi lanciandolo nella sua prima missione in solitaria, contro il suo primo omicidio...
    Un parassita lo aveva definito Ethan. Come se davvero lo fosse mai stato! Certo, non aveva potuto compiere nulla a livello magico fino a quel momento ma, fisicamente, era stato lo schiavetto perfetto. La forza fisica, da sempre punta di diamante tra le sue caratteristiche, lo rendeva adatto a qualsiasi tipologia di lavoro soprattutto se usurante in quanto la sua parte animale proteggeva costantemente il suo involucro, il suo tramite, risanando ciò che lo sforzo avrebbe potuto storpiare, ciò che le privazioni, la tortura e l’abuso danneggiavano in lui. Ciò che i combattimenti in cui incappava avrebbero potuto togliergli. Infinite volte, era tornato in fin di vita o quasi dal padrino e lui, con uno sbuffo, aveva curato quelle ferito che ora drappeggiavano una mappa lungo il suo busto.
    Aveva ucciso una prima, una seconda, una terza volta e così via fino a perderne il conto non tanto per la numerica (seppur alta) quanto innalzando un meccanismo di protezione messo in atto dalla sua mente per mantenere il controllo di sé stesso dove qualcun altro, al posto suo, sarebbe scivolato nel baratro della follia. “È per auto difesa” si giustificava. Mors tua vita mea. Doveva farlo se voleva tornare a casa e seppur la vita che viveva fosse a tratti troppo difficile era troppo codardo per porre fine a quelle sofferenze poiché ciò avrebbe rappresentato una scappatoia nei confronti dei suoi peccati. Aveva ucciso, primo fra tutti, suo fratello e con esso sé stesso. Aveva metaforicamente ucciso la sua famiglia con quell’atto segnando nelle sue convinzioni quello che era il suo destino. Doveva pagare. Per cui, pur di salvarsi la pelle, pur di mandare avanti quell’esistenza che non sapeva più se valesse la pena vivere, uccideva. Non si faceva scrupoli. Era lui o l’altro, il suo avversario. Banale, semplice ma era la più totale verità. Non aveva altra scelta se non scegliere di togliere quella vita, d’elevarsi a giudice e boia nella stessa figura ed il tutto pur di salvare sé stesso. Morire sarebbe stata una scappatoia troppo semplice che non giudicava di meritare. Ed ora, tutto quel sangue, tutta quella pena, erano diventati unicamente un bagaglio d’esperienza che lo rendeva indifferente alla natura intrinseca dell’omicidio stesso. Axel guardava a quei corpi con distacco. Dissociandosi da chi essi rappresentassero davvero. Chi erano stati. Era da un po’ che Ethan non lo convocava, dalla questione della nipote. Probabilmente la follia di quest’ultima e le vicissitudini legate al contratto, lo stavano tenendo più occupato del solito.
    Ma quella notte la morte lo richiamò a sé presentandosi prepotentemente a rompere quel momento di pace. La sua vita era un’unione di momenti. Aveva espirato impercettibilmente mentre la fredda lucidità della sua mente calcolatrice, abituata a quel tipo di situazioni, lo estraniava da ogni umana emozione. Pro e contro.
    La morte della professoressa Lovecraft pose fine a quell’intervallo.
    Axel aveva guardato al volto della donna che fino a pochi giorni prima aveva persino trovato attraente, inspiegabilmente leggendovi il nulla. La morte le aveva sfigurato i lineamenti ed ora, per il mannaro, era stato possibile riconoscere quella tonalità spenta, opaca, quel grigiore lasciato dalla privazione della vita. Brutta.
    Non s’era lasciato toccare dalla vicenda e subito era passato alla lettura pragmatica di quella situazione. Cosa fare. Come muoversi. Chi proteggere. Freya.
    L’aveva tirata a sé costringendosi a muoversi, ad abbandonare quella sala soffocata di persone nel panico per trascinarli lì, nelle segrete di Serpeverde, dove avrebbero riorganizzato le fila e dove le ordinò di ammettere se era presente un suo reale coinvolgimento. La mannara lo osservò di rimando, eretta e fiera nonostante il suo sguardo, la sua espressione, fossero attraversati da un lampo di delusione. Non si aspettava quel tipo di trattamento da lui.
    «Pensi che avrei potuto farlo?» Lo incalzò con un punta che percepì come sarcasmo. Lei forse no ma lui, se gli fosse stato ordinato . Era questa la differenza che intercorreva tra loro e dal modo in cui si pose successivamente e dal linguaggio non verbale messo in atto dal suo corpo, il Dragonov, intuì quella certezza. Eppure, nonostante l’altra si aspettasse una parola da lui o un qualsiasi segno di supporto da parte sua il bulgaro non si mosse, non emise fiato continuando ad attendere, freddo, la sua risposta:
    «No, Axel. Non sono un’assassina.» L’aria tra loro si caricò della delusione dell’altra ma ancora una volta il moro la bypassò per concentrarsi sui punti focali di quella questione: non era stata lei, non volontariamente quantomeno per cui, adesso, doveva escludere il coinvolgimento di possibili terze parti.
    «Contattata per... ma che stai dicendo?» I taglienti occhi verdi continuarono ad inchiodarla con la stessa intensità, la stessa autorità fino a che lei, esasperata non vuotò il sacco passandogli poi la fiala dal luogo in cui era stata custodita fino a quell’attimo.
    «Dovevo chiedertelo» disse inespressivo, come se la questione fosse di poco conto. Come se non l’avesse ferità in quel modo fino a quel momento. Come se quelle parole potessero giustificare e cancellare la delusione che aveva letto in quei limpidi occhi color giada e come se quelle affermazioni non avessero potuto essere il frutto di una recita ad arte. Il suo era un atteggiamento arrogante, presuntuoso per certi versi ma il suo istinto e la sua esperienza lo aiutavano a riconoscere un bugiardo così come i piccoli segnali impercettibili all’occhio e all’orecchio umano. Lui però non era umano, non del tutto, ed il suo padrino lo aveva allenato ad usare quei poteri, quella sua natura tanto odiata per trasformarlo in una macchina della verità sufficientemente affidabile. Freya non stava mentendo.
    «Che merda!» Commentò finalmente rompendo quella rigidità mentre s’infilava una mano nei folti capelli scuri abbassandola fino a premersi per lunghi attimi sulle palpebre. Il mal di testa tornò a manifestare la sua ingombrante presenza ed insieme ad essa l’agitazione tornò a picchiare in petto alla mannara accelerandole il cuore e, con esso, il picco d’adrenalina che la mandò in panico.
    «Freya, Freya.» S’alzò lasciando andare la fiala sul letto, incustodita, mentre a grandi falcate decise copriva la distanza che lo separava dalla mannara. Le circondò con attenta delicatezza il viso mentre tutto in lei collassava nel panico. «Ssssh, ssh.» Le carezzò il viso costringendola a sollevarlo per incontrare i suoi calmi occhi verdi nel tentativo d’infonderle parte di quella lucidità andata perduta.
    «E perché no? Non hai fatto niente.» Scrollò le spalle. Non poteva fottergliene di meno degli altri e di ciò che pensavano ma doveva essere pronta.
    «Non sei un mostro, okay?» Continuò a fissarla attendendo un cenno da parte sua. «Non lo sei. Sei stata incastrata o usata in questa storia. Ciò che dovrai fare adesso sarà assolutamente collaborare con gli... auror. Gli consegnerai quella roba. Niente giochini, Freya. Niente cazzate. Dagli ciò che vogliono. Mostrati ingenua, mostrati innocente» ciò che era, «non dargli modo di dubitare di te. Levati la spavalderia.» Era una donna, il sesso debole per antonomasia, per lei sarebbe stato semplice sbattere le ciglia allargando gli occhioni. Ed era bella. Chiunque era più propenso di fronte al bello, più predisposto ad ascoltare. L’avrebbero lasciata in pace se lei gli avesse servito l’immagine della ragazzina in difficoltà. «Puoi farlo?» Le domandò ma in quella richiesta era sepolto un ulteriore comando, un dovere: devi farlo.
    Attese la sua replica.
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    :scopa: :scopa: :scopa: :scopa: :scopa: :scopa:

    Ebbene, dopo un anno, finalmente è giunto il mio momento:
    Sarò in ferie da lunedì 25/3 fino all'1/4 incluso, ci vediamo dal 2 per scoppiettanti novità :<:
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    axel
    Una giornata iniziata a cazzo, continuata tale e a quel punto – poteva dire – finita peggio. Il mal di testa lo stava infastidendo da buon parte della giornata ma quel malessere sottile era il meno considerato il contesto alla quale era abbinato. Pochi giorni soltanto e la sua maledizione avrebbe imperversato cambiandogli non solo i connotati ma il suo aspetto per intero. Il corpo, quindi, subiva l’influsso di quel satellite che, ignaro, volteggiava gravitando intorno alla terra scoprendo e nascondendo il suo volto con il passare dei giorni e, più quel viso veniva mostrato, più il tormento s’agitava nelle membra del mannaro. Il suo corpo si tendeva, turgido, saturo di quel cambiamento nell’aria che presto sarebbe esploso anche nella sua pelle in una sanguinolenta rinascita ma in una forma differente da quella che riconosceva come sua allo specchio. Presto il lupo avrebbe preso la sua parte di palcoscenico rubando quella che era la sua quiete, quella che era la lucida freddezza con la quale andava interfacciandosi con il mondo volgendo quell’espressione austera e cinica al proprio interlocutore. Freya in quella serata ma non solo in essa poiché stava lentamente rubando porzioni delle sue settimane, aveva rappresentato una piacevole via di fuga da quel costante tormento rappresentato dalla sua vita. Con la svedese il bulgaro non aveva bisogno di parole. Freya capiva e soprattutto condivideva quella sorte fatta di dolore ed incubi che la stessa mannara gli aveva rivelato. Come lui, la mora non dormiva in prossimità del plenilunio ma se la Serpeverde aveva forse trovato sollievo in quella pozione che il ragazzo le aveva aiutato a fabbricare, lo stesso non poteva dirsi di lui che stoico e con una spiccata vena masochista accoglieva quel tormento quasi esso stesso fosse meritato a causa dell’orribile onta con la quale s’era macchiato in giovane età. Aveva ucciso suo fratello l’erede del fottuto nobile casato dei Dragonov, una delle famiglie più antiche e potenti della Bulgaria magica per quanto non navigasse da anni in acque tranquille. Da quando il precedente capofamiglia e padre di Axel, Dimitar, era stato arrestato per poi essere stato assassinato, la loro famiglia non aveva più avuto tregua. Elèna, nell’ignoranza, aveva dovuto gestire la maledizione acquisita dal suo secondo genito e vuoi l’inesperienza vuoi i pessimi consigli ricevuti, avevano finito per portarla a seguire una strada che l’aveva indotta a sperperare parte del patrimonio nei fini più sbagliati. Contenere era stata la parola d’ordine di quei pochi anni che il giovane Axel aveva passato in famiglia prima di macchiarsi del crimine più grande e per questo andarsene. Il resto era storia.
    Lo stesso crimine ma in un forma nettamente differente era stato perpetrato lì, quella sera, al castello di Hogwarts. Davanti ai suoi occhi il bulgaro aveva avuto modo d’osservare la rossa Scamander, solitamente animata dalla sua lingua tagliente, farsi pallida. Più bianca del già chiaro candore che caratterizzava il suo incarnato. I suoi occhi nocciola s’erano fatti più grandi, turbati, mentre il cambiamento più evidente avveniva a livello comportamentale. Quello non sarebbe passato inosservato a nessuno: Rain aveva balbettato. Rain Scamander la regina della Serpeverdi, la regina di Hogwarts non balbettava. Si era irrigidito e presto il suo sguardo era calato poggiandosi sul corpo esanime dell’insegnante. Fu come lo spezzarsi di un incantesimo. Quando era diventata così anonima? Quando così… brutta? Assottigliò lo sguardo calando le lunga ciglia sulle iridi verdi mentre istintivamente i sensi andavano amplificandosi, focalizzandosi percependo il silenzio più assoluto provenire da quel corpo. Non c’era più vita. La professoressa Lovecraft aveva esalato il suo ultimo respiro quella notte nella più totale inconsapevolezza generale dell’accaduto. Nessuno se ne era accorto, né lui né i docenti né la lupa accanto a lui. Nemmeno i suoi super sensi avevano potuto qualcosa. Roteò il capo verso il basso mentre le sopracciglia andavano a corrucciarsi incassando quel colpo al suo ego e lo sguardo finì per posarsi su Freya portandolo naturalmente ad affiancarsi alla mora. Il cuore di lei, invece, poteva percepirlo forte e chiaro. I battiti accelerati, l’adrenalina pompata in ogni dove fino a raggiungere il cervello che in pochissimo avrebbe elaborato le implicazioni di quella situazione. Il gioco, i moventi, la colpa. Lei era stata scelta per interpretare la parte dell’assassina: un caso? O un proposito? D’altronde era stata bravissima ad interpretare la parte della colpevole nascondendosi abilmente dietro quella dialettica che le apparteneva. Aveva tenuto palco rispondendo colpo su colpo dissociandosi dall’idea che avrebbe potuto c’entrare qualcosa con la morte della protagonista dirottando con logica il ragionamento di tutti quanti. Quale miglior nascondiglio quello della luce del sole. Era di nuovo quello il caso? O era stata usata come un capro espiatorio?
    Lo sguardo di Freya lo investì. I suoi grandi occhioni verdi erano limpidi ma intrisi di terrore. Era, per forza di cose, la prima sospettata per quanto quello fosse uno stupido gioco inscenato dai professori. La mano del mannaro si strinse attorno al suo polso. Una resa salda, d’acciaio ma rude. C’era poco da star lì a guardare. Gli auror avrebbero presto messo piede al castello. Maledetti sbirri ficcanaso. Dovevano – doveva – sparire. Le tirò il polso impartendole quello che era a tutti gli effetti un ordine e cominciò ad indietreggiare nelle più ombreggiate retrovie mentre il panico si faceva largo tra i presenti. Rumori di sedie stridenti, voci, paura e terrore si fecero largo aizzando quella folla di ragazzini impauriti che sarebbe presto stata domata dai proposti del castello. Scivolò in disparte facendosi naturalmente largo tra le persone che altro non volevano se non uscire dalla stessa stanza dove giaceva un corpo assassinato e tirò la lupa fino a che questa non protestò chiedendo una tregua. La fulminò con i suoi vitrei occhi verdi prima di darle nuovamente le spalle alzando il passo verso quella che era la Sala Comune e, di li a qualche metro la sua stanza.
    «Io non.. non avevo mai visto un cadavere prima» squittì sconvolta la Serpeverde. Benvenuta nel club!
    «Non qui.» Fu l’unico commento glaciale soffiato dal mannaro. C’erano occhi e soprattutto orecchie ovunque in quel dannato castello e, a quanto avevano appena avuto modo di assistere, anche un assassino che muoveva i suoi passi calcolati nascosto nel più totale anonimato. Potevano conoscere le sue mosse? No ma ciò che avrebbe potuto fare era fare in modo di tutelare entrambi. Ignorò tutte le sue domande alla quale non avrebbe saputo dare una risposta e si fermò unicamente quando finalmente valicarono la soglia della sua sua stanza. Lì richiuse la porta alle sue spalle castando un Muffliato sulla stessa. Mai come in quel momento reputava necessario proteggersi dagli indiscreti poiché, a prescindere, qualsiasi cosa fosse fuoriuscita dalle loro bocche avrebbe potuto essere stata male interpretata o, per quanto poteva saperne, avrebbe potuto incastrarli in una posizione ben peggiore.
    Gettò la bacchetta sul proprio letto dove vi prese posto a gambe larghe mentre, gomiti poggiati alle ginocchia, affondava le dita inanellate nei capelli corvini. Che situazione del cazzo. Che serata del cazzo di una vita del cazzo. Sbuffò e si stropicciò gli occhi stancamente. Di tutto avrebbe sopportato meno che quello, così vicino al plenilunio poi! Dove ogni gesto o parola arrivava amplificato, ingigantito nelle proprie intenzioni nel bene e soprattutto nel male. Non il miglior momento per ostentare una calma che non gli apparteneva.
    «Ma che cazzo ne so.» Sbottò con una certa frustrazione mentre il fastidio e l’irritazione maggiormente accentuati dalla fase lunare lo rendevano più intrattabile del solito.
    «Sarà una merda adesso» esordì. «La scuola finirà sotto la lente d’ingrandimento del ministero.» Giusto quello gli serviva! «Avremo gli sbirri col fiato sul collo!» Perché ne era certo fino al midollo che con un avvenimento simile il ministero avrebbe sicuramente inviato in pompa magna gli auror a difendere il castello e soprattutto ad indagare tra le mura. Axel non era direttamente connesso a quella particolare situazione – per quello che ne poteva sapere – ma ciò che lo preoccupava era la sua fedina penale (e morale) diversamente pulita. Sarebbe apparso sospetto? Avrebbero potuto incastrarlo? Sollevò lo sguardo incontrando quello smarrito della lupa.
    «Dimmi che non c’entri un cazzo» le ordinò ancora ma senza davvero avanzare reali accuse, non poteva crederlo. Perché avrebbe dovuto attentare alla vita della Lovecraft? Non aveva senso. «Come… Chi ti ha contattata per il ruolo? Hai parlato con qualcuno di sospetto? Cazzo…» Lei sarebbe stata la prima messa sotto al torchio degli auror per capire cosa sapeva, se poteva essere stata coinvolta. «Dammi la fiala!»
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    Helloooooo! Altra veneta a rapporto!
    Benvenutissimo tra noi! Io invece ho abbracciato il mio lato pigro, di studiare non se ne parla… basta Excel 😂😂 detto ciò: ti aspettiamo su Telegram!
    Hai già in mente che pg portarci?
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    Sul suo letto Rain troverà un fiore solitario: una rosa blu priva di qualsivoglia indicativo della provenienza.
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    Quel periodo dell’anno lo lasciava sempre interdetto. Non ne capiva il motivo, non fino in fondo quantomeno e non poteva fare a meno di guardare di guardare torvo tutte quelle stucchevoli decorazioni che non solo agghindavano il castello ma che, fuori da lì, continuavano sparse per il mondo. Londra ne era tappezzata e come lei anche i piccoli buchi di culo come lo era Hogsmeade. Cuori di ogni forma e colore ma con un’evidente predilezione per le gradazioni del rosso inondavano qualsiasi cosa. Fiori, cioccolatini… un vero e proprio tripudio alla quale il mannaro guardava con insofferenza. Quanto sfarzo e consumismo per cosa? Non sopportava l’idea di quelle coppiette smaniose di mostrare al mondo i loro sentimenti inondando i social con foto e dichiarazioni. Non era nel suo stile. Axel era più riservato, silenzioso e delle volte riusciva ad apparire persino come una persona menefreghista o illeggibile.
    Espirò battendo la sigaretta ancora intonsa sul pacchetto al fine di compattarne meglio il tabacco e poi, con l’aiuto della bacchetta, l’accese con un incanto non verbale. Espirò la densa nube pregna di nicotina boccheggiando i primi tiri acerbi per poi soffiarla nell’estremità alimentandone la combustione e s’infilò la mano in tasca passeggiando nel cammino principale del villaggio.
    Stava grattando la sigaretta sulla parete esterna del suo locale di fiducia quando un moccioso fece per avvicinarglisi ma scorgendo il suo piglio imbronciato optò per non tirargli il giaccone.
    «Un fiore per la sua ragazza, signore?» Signore. Ridacchiò sollevando un sopracciglio. Ragazza, questa era bella. Stava per mandarlo via, scacciandolo, quando lo sguardo gli cadde sul contenuto delle sue esili braccia. “Ma sì!”
    Pagò il mazzo sfilando poi un secondo fiore – solitario – da quelli posseduti dal bambino.
    «Ora sparisci»
    – – –

    14 Febbraio, sera.
    Sul suo letto Freya troverà un mazzo di dimensioni contenute ma allo stesso tempo ricco formato da orchidee, rose e ortensie scelte dal mannaro per puro istinto ignorandone tuttavia il significato. Il mazzo è privo di bigliettino.


    Edited by Dragonov - 15/2/2024, 08:10
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    axel
    axel
    Pericoloso, Axel, lo era sempre stato. Avrebbe potuto fare molte cose proprio a riprova di questo e sotto molteplici aspetti che andavano a coprire un ventaglio ampio quanto differente di variabili. Era un lupo mannaro ed, in quanto tale, per quanto in pochissimi fossero a conoscenza della sua natura, indipendentemente da essa il ragazzo a prescindere assumeva una connotazione di puro pericolo per definizione. Il suo umore altalenante altro non era che un campanello d’allarme in quel tipo di situazione che, in caso di escalation, avrebbe potuto portare a serie conseguenze. C’erano giorni in cui la Bestia scalpitava più intensamente, giorni in cui il confine formato dai freni della ragione lucida umana assumeva una consistenza più sottile, labile ed il pericolo, quello vero, era dietro l’angolo. In quei giorni, si conosceva, doveva stare in esilio. Lontano da tutto e tutti. Evitare qualsiasi contatto poiché la sua pazienza, già di consueto scarsa, non avrebbe retto eventuali provocazioni. Il suo umore nero, scostante, lo portavano ad isolarsi preferendo passare intere giornate nella solitaria compagnia di se stesso e dei suoi pensieri che lo avrebbero accompagnato fedelmente fino alla tomba anziché rischiando la sua fedina penale a contatto con il pubblico. Ma non era solo questo aspetto a renderlo pericoloso, no, questo era solo quello principale, il vero problema era la sua parte preponderante che forse, per uno scherzo del destino, si sposava con quello che era il suo carattere. Era quello il fulcro. La sua inettitudine al rapporto umano. Axel non aveva tempo e soprattutto voglia di socializzare con le persone. Lo trovava stancante e, a conti fatti, il più delle volte persino inconcludente per un cinico come lo era lui che pensava dovesse esserci sempre uno scopo, un obiettivo da raggiungere dietro le azioni. Non era mai stato un bambino socievole o dolce come potevano esserlo gli altri suoi coetanei. Era sempre stato un piccolo soldatino completamente innamorato di quel padre che in lui vedeva l’estensione del suo braccio e quindi, proprio per questo, ecco arrivare i giochi atti a simulare prove fisiche con la conseguente scoperta della propensione del giovane al combattimento e a tutte quelle attività perlopiù fisiche che lo avrebbero portato a sviluppare una solida struttura muscolare non indifferente. Durmstrang aveva poi fatto il resto. Beh, Durm ed Ethan che gli avevano consolidato quella filosofia indifferente e sprezzante dei più basilari concetti legati alla generosità e/o alla misericordia. Tutto doveva avere un tornaconto. Anche il padrino non era stato da meno nella perpetrazione di quella disciplina dispotica improntata su stampo militare che rivestiva lui della figura di superiore. E come la rispettava il bulgaro. Un perfetto soldato, una perfetta macchina da guerra che non domandava se non per ottenere gli elementi atti a portare a termine gli ordini. Fisico, massiccio e soprattutto – ed era questa l’inclinazione che Dimitar vi aveva letto – privo di scrupoli. Axel non si poneva domande riguardo la sua condotta, non si faceva problemi se per ottenere il suo obiettivo era necessario sbarellare la concorrenza né la sua etica gli imponeva una certa trasparenza, lealtà o fedeltà: prendeva ciò che voleva, ciò che lo faceva stare bene usandolo fino a quando non ne fosse stato sazio e fregandosene di quello che sarebbe stato il risultato. Un po’ come faceva con tutte le ragazzine della scuola che avevano la sfortuna d’invaghirsi di lui. Le avvolgeva nelle sue spire divertendosi a giocare al gatto con il topo per poi gettarne i resti una volta stufo. Nulla era per sempre e poche davvero potevano vantare d’aver solleticato la sua attenzione quel tanto da spronarlo ad esporsi, quel tanto da far smuovere lui a richiedere le attenzioni dell’altra. Tutto un gioco, tutta una sfida la cui posta in palio possedeva l’azzardo di un cuore altrimenti irrimediabilmente spezzato. In quanti avrebbero retto quella prova? Per quanto?
    Ah la lupa! Che meravigliosa distrazione! Una costante scoperta, giorno dopo giorno, di un carattere e di un modo di porsi che riuscivano ad attrarlo e a sorprenderlo in positivo portandolo a provare uno strano senso d’adesione viscerale per quell’elemento in fin dei conti sconosciuto ma per la quale cominciava a nutrire, senza averne una vera coscienza, un attaccamento che lo portava a mostrare il suo lato protettivo che il più delle volte sfociava in una possessività al limite del tossico. La cosa la infastidiva? Forse sì, forse no. Da ciò che poteva percepire e vedere il bulgaro non sembrava ed anzi, la lupa, in qualche modo sembrava crogiolarsi in quella attenzioni in quelle conferme che il verde-argento le dava senza avere la necessità di doverle chiedere o persino pretendere. Voleva farlo e lo faceva, senza vergogna e senza porsi limitazioni dettate da quello che avrebbe potuto pensare la gente. Che gliene fotteva della gente? La sua vita era già abbastanza intrisa di costrizioni e lì dove poteva svicolare e sfogare la sua vera indole il bulgaro vi indugiava prendendosi senza remore ciò che desiderava. Senza rimorsi, senza etica alcuna. Tutto era concesso e di niente si privava poiché, per come la vedeva lui, era l’altro a doversi proteggere sentimentalmente parlando. “Ognuno è responsabile delle proprie azioni” per cui, Axel, si riteneva al di sopra della possibile nascita di un sentimento non richiesto almeno da lui. Utopico, freddo. Un pensiero che non aveva adesione con la realtà da parte di sé stesso in primis che prima o poi sarebbe cascato nella stessa trappola riservata al prossimo ma, almeno per il momento, a farne le spese – forse – sarebbe stata un’ingenua Grifondoro colpevole d’aver disturbato la sua quiete. Maledetti prefetti: sempre così ligi e pronti ad impicciarsi... era solo il loro dannato dovere ma era proprio necessario compierlo fino in fondo?
    Con sufficienza sollevò lo sguardo smeraldino dall’estremità ardente della sua sigaretta fissando negli occhi chiari la prefetta di Grifondoro. Le avevano detto di stargli distante – interessante – di non farsi toccare – ! – l’avevano messa in guardia su di lui? Chi? Esilarante. Sollevò un sopracciglio mentre un ghigno prendeva forma sulle sue labbra e la Wheeler andava poggiando il sacchetto di tabacco nella sua mano aperta. La sfiorò, stringendole appena il palmo per permettere entrambi di indugiare in quel tocco che le avevano caldamente suggerito di evitare. Ops. Che stronzo. «Magari sì...» La lasciò andare ridacchiando appena tra sé mentre concludeva quel giro d’osservazione della donna che era diventata. Bella, bella da morire anche lei anche se, ahilei, i segni delle privazioni erano visibili ad un occhio attento e da buongustaio come il suo. Era dimagrita e una sportiva come lo era lei con la fama che aveva lei de la “Tiranna” doveva sapere benissimo quanto la dieta fosse un elemento importante per mantenere un certo livello di prestazioni anche se, quel vitino da vespa, non chiedeva altro se non essere avvolto, stretto in una salda presa che l’avrebbe costretta contro un altro corpo, solido.
    «Magari no» fece una smorfia stringendosi nelle spalle prima di riprendere quella che era la sua postazione con il fondoschiena poggiato sul tronco del molo. Le sorrise, più divertito che mai.
    «Ti piace il panorama?»
    «Sì», sostenne lo sguardo. Quindi? Era forse un peccato? O si aspettava che, perché avevano litigato ere geologiche prima, non fosse comunque in grado d’apprezzare una bella ragazza? Sciocchezze. Un contenitore era pur sempre un contenitore, ciò che poteva attirarlo in base al mood era il carattere ma della Wheeler non aveva ancora sinceramente capito i modi. Era cambiata rispetto alla ragazzina in erba che aveva conosciuto ma non era in grado di determinare se in meglio o peggio. Non ancora quantomeno. Ricordava la sua spensieratezza e, sopra ogni cosa, la sua immaturità. Ora? Cosa aveva? Non era in grado di determinarlo ma ciò che aveva visto quel pomeriggio durante la lezione di Fletcher lo aveva lasciato con qualche perplessità. Dov’era finito il fuoco che l’animava in campo? Sembrava una sottomessa, passiva e piccola sotto le (scarse) attenzioni – per modo di dire – di quel babbeo di Harris. Che brutta bestia il karma.
    E forse le sue attenzioni, che lo avevano salvato da una palesa predica, erano proprio rivolte a quanto accaduto proprio durante la lezione ed al penoso spettacolino che aveva dato di sé il battitore dei Serpeverde. Che figurata e, di riflesso, anche la Wheeler si era trovata a far fronte a quel bagno d’umiliazione nella quale il moro l’aveva gettata. Pena, quanta pena. Mai si sarebbe azzardato a trattare a quel modo la sua donna o, in generale, una donna soprattutto se avesse voluto continuare ad andarci a letto.
    «L’alcol non l’ho mai retto.» Oh se lo ricordava bene. «Grazie per quello che hai fatto per me!» Tornò a fissarla prendendosi qualche istante prima di espirare la boccata di fumo che aveva ben lasciato sedimentare nei polmoni.
    «È la base» replicò andando a chiarire subito che aveva capito a cosa ella alludeva. «Non scontata» chiaro le merde erano ovunque, «ma dovrebbe esserlo.» Inclinò il capo inspirando un nuovo tiro che successivamente sbuffò dalle narici. «“Altro per la testa” tipo... Harris?» Sollevò un sopracciglio. «Grande acquisto.» Un commento che lasciava poco spazio all’imparzialità denotando un certo risentimento ancora vivo e cocente nel suo animo ma questo era dovuto soprattutto alla considerazione che il bulgaro aveva per il battitore: pessima e molto, molto bassa di quelle che erano le sue doti e potenzialità. Sapere che una come la Wheeler lo avessi preferito a lui... Ouch! Che colpo basso!


    Edited by Dragonov - 7/2/2024, 18:05
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    axel
    «Lavoro nel settore terziario di precisione, metto in campo le mie abilità per favorire lo sviluppo socio-economico dell’attività per cui opero garantendo il benessere dei clienti.» Lo sguardo andò ad incatenarsi a quello della Serpeverde. Cosa?! Non aveva capito una sola virgola di tutta quella sciolinatura, o meglio, conosceva – ovviamente – il significato delle singole parole ma per una qualche ragione il suo cervello non era in grado di connetterle una con l’altra dandone un significando di senso compiuto impedendogli, di fatto, di identificare il lavoro svolto dall’altra. Ma che cazzo?! L’espressione andò a corrucciarsi di un minimo portando magari l’altra ad un sorriso mentre gli rivelava quale fosse il suo reale impiego:
    «Faccio la cameriera alla Testa di Porco. O barista se necessario.» Aaaaah! E ci voleva così tanto?! Pensa te! La Testa di Porco. Già. Ah! La Testa di Porco. Questa era davvero interessante! Hai capito quella vecchia volpe del suo oramai compare Jack. Furbo lui. Poteva immaginarselo mentre cercava di mantenere un contegno alla vista di quella ragazza assolutamente splendida, mentre dissimulava la bava colante all’angolo della bocca fintanto che gli chiedeva se potesse dargli un lavoro, l’espressione arcigna, fintamente pensante mentre passava a valutarne le caratteristiche come alla ricerca di una qualche predisposizione fisica che la rendesse in grado di riempire e reggere più boccali di birra insieme quando in verità il suo sguardo aveva trovato più di due motivi puntati contro. Vecchia fottuta volpe del cazzo. Figurarsi se aveva potuto dir di no ad una del genere.
    «Sì so cosa intendi», il ghigno s’ampliò naturalmente. Come dirle che proprio tra quegli individui sinistri c’era anche lui? Avrebbe cambiato qualcosa nella considerazione che aveva di lui? Influito in qualche modo sul suo personale giudizio? Chissà. Fatto stava che per il patrimonio lasciato in quel luogo poteva dirsi socio del proprietario e quel bastarlo non lo aveva informato di un’acquisizione simile. Magari quella di Jack doveva essere una sorpresa. Gran figlio di puttana.
    «Sempre meglio dell’altro locale, il Wonderland, dove sono durata solo una sera, li erano tutti viscidi e bavosi, e allungavano troppo le mani per i miei gusti.» Un’ombra passò nel verde smeraldo degli occhi del mannaro che tornò immediatamente ad incupirsi mentre un nodo all’altezza del petto minacciava quel ringhio altrimenti silente che smorzò abilmente in un colpo di tosse. Maledetti inutili vermi. Incapaci, inetti nel sedurre una donna e quindi? Che facevano? Allungavano le mani come fossero oggetti la cui proprietà poteva essere oggetto d’interscambio. Ma Freya era di più, Freya poteva difendersi e spaccare loro l’osso del collo. Ma in sede di giudizio a chi avrebbero dato ragione? Alla lupa che, in quanto tale, godeva di uno svantaggio non indifferente agli occhi della società o alla famiglia del mago pieno di soldi in possesso di un avvocato con i contro coglioni. L’avrebbero mangiata viva. Bella o non bella che fosse di fronte ad un lupo mannaro, scarto della civiltà per antonomasia, tutto perdeva di rilevanza. Qualsiasi talento posseduto cadeva nel dimenticatoio ed unicamente la maledizione calcava quel palcoscenico che era la vita come attrice protagonista vincitrice dell’oscar. Esistenza del cazzo. Fanculo!
    «Quello è un posto del cazzo. Evitalo Fece marcando involontariamente su quello che a tutti gli effetti l’altra avrebbe potuto percepire come un ordine. Axel non aveva scelto di proposito di utilizzare quel tono contro di lei ma il suo istinto, la sua parte animale, presero il sopravvento in quel frangente ponendo in avanti la sua incolumità e quel primordiale sentore di possesso che provava nei suoi riguardi. Fissò lo sguardo nelle iridi giada di lei prima di porlo nuovamente sul calderone quasi le erbe avessero bisogno della sua supervisione affinché rilasciassero i loro principi. Sì il Wonderland era un locale che mai più di quel tanto gli era andato a genio. Poche volte vi aveva messo piede e mai per sua volontà ma per quella dell’accompagnatrice di turno e, in entrambi i casi, la cosa lo aveva stomacato e non poco. La cosa che più lo infastidiva era la politica aziendale di quel posto in determinate serate a tema, che erano poi quelle in cui si era trovato a partecipare, che voleva che la scelta del drink fosse a discrezione del personale dietro il bancone. Fin qui tutto bene non fosse che i suddetti drink fossero modificati da pozioni che per un breve lasso di tempo alteravano l’indole del malcapitato portandolo a compiere atti talvolta fuori da ogni logica come era successo alla Wheeler che si era trovata con un improvviso picco di libidine che l’aveva portata a dispensare impegnative “sessioni di lingua” non solo con il bulgaro ma anche con la prefetta-perfetta. Miss schizzinosa non l’aveva vissuta benissimo ed il moro supponeva che i commenti discutibili sulla capitana dei Grifondoro che giravano in quel periodo fossero stati messi in giro proprio dalla snob in questione. Che disagiata! Doveva decisamente scopare di più e forse proprio il fatto che il bulgaro le si fosse negato la mandava in tilt. Stai a vedere che Miss Ti-Odio, Miss Mi-Fai-Schifo, s’era in realtà presa una cotta per lui! Il solo pensiero lo faceva ghignare di soddisfazione.
    Saperla alla Testa di Porco per cui, per certi versi, rappresentava una sorta di certezza che lì si sarebbe trovata al sicuro in quanto il proprietario era un po’ come lui: burbero, scostante e diffidente ma la cui corazza altro non nascondeva che un animo tormentato dalla vita che avrebbe saputo dare molto di più, era solo necessaria la pazienza atta a scoprire un tale ripieno.
    «Io...» Cominciò la Serpeverde non arrivando mai a concludere quella frase quando le dita del mannaro si posarono delicate sul suo corpo sfiorandolo con leggerezza per poi cominciare ad imprimere, naturalmente, quella vena di desiderio e possesso che prendeva il sopravvento in sua presenza, quando lei lo spingeva a toccarla. Axel non chiedeva altro ipnotizzato dalla sua bellezza e dalla chimica che i due corpi emanavano in presenza l’uno dell’altra. Era come un richiamo per lui, qualcosa di arcaico ed inspiegabile che lo spingeva a ricercarne il contatto, ad indugiare su quella pelle lievemente abbronzata lasciando che l’escalation tra loro prendesse il sopravvento. Aveva la vaga idea di quanto la desiderasse? Il vago sentore di quello che era il suo potere su di lui? Totalmente soggiogato il bulgaro era incapace di ragionare con lei accanto, con lei così.
    Le ampie mani scivolarono lungo il corpo di lei sollevando la pelle in minuscoli brividi di piacere mentre si faceva strada, lentamente e prendendosi tutto il tempo del mondo, prima di arrivare sotto la sua gonna. Le scostò l’intimo benedendo la loro maledizione per renderli quasi indifferenti al freddo tanto da evitarle l’utilizzo di collant e si dedicò al suo piacere non perdendo nemmeno un sospiro, nemmeno un gemito talvolta imponendole di soffocarli nella sua bocca prima di scendere con essa continuando a giocare lungo la pelle scoperta fino ad inchinarsi totalmente a lei portandola lì, fin quasi a toccare l’apice e perché no volendoglielo persino donare non fosse stata volontà della stessa lupa di “ricambiare il favore”. Inerme di fronte alla sua volontà lasciò che fosse lei a decidere che fare di lui godendo di quell’inaspettata forza alla quale non era abituato.
    Ancora inginocchiato, le mani strette a premere sulle cosce scoperte di lei, la guardò dal basso curioso ed allo stesso tempo affamato di lei alzandosi in piedi, svettando al di sopra della sua testa ma totalmente servo di quello che sarebbe stato il suo volere. Lo baciò stringendosi contro di lui, lasciando che il fuoco che bruciava in loro divampasse fino a che non averti bruscamente la scaffalatura contro la schiena. Un ghigno si dipinse sul volto del moro che sparì nell’esatto momento in cui lei afferrò il coltello dal manico. La dominante si strinse sul bordo dello scaffale che si ruppe sotto la sollecitazione della sua stretta facendo scivolare a terra alcuni tomi.
    «Cazzo.» Oh quello a Fletcher non sarebbe piaciuto per niente! Ma gliene fregava? Meno di zero e con la magia lo avrebbe riparato come nulla fosse. Cercò di trattenersi stringendo il palmo in un pugno, affondando le unghie del lupo nel palmo mentre il piacere s’irrorava a piccole, intense, dosi ma anche lì senza mai raggiungere l’apice. Affondò le dita nei suoi capelli guidando la sua ascesa mentre il suo bacino ruotava peccaminoso contro il suo.
    «Voglio di più» sussurrò lei adagiandosi contro il suo petto, portando le mani di lui a stringerla dove voleva fosse toccata. Axel le baciò la nuca stringendole il collo, la base della mandibola, scendendo con le labbra lungo la sua colonna vertebrale mentre con l’altra mano ne soddisfava la richiesta spostando la gonna diventata oramai solo un futile intralcio. Con un ringhio entrò in lei espirando pesantemente di piacere mentre la portava a flettersi contro la prima superficie piana disponibile realizzando quella richiesta che lei aveva esplicitato ma che desideravano entrambi portando ambedue a raggiungere quell’agognato piacere.
    Con il fiato grosso si poggiò contro la cattedra mentre la dominante andava a ridare un ordine ai capelli scompigliati. Sollevò gli occhi smeraldini e, constatando il caos che avevano fatto, un sorriso si aprì sul viso. Fortuna che avrebbe dovuto mettere ordine.
    «È... pronta!» Come vola il tempo quando ci si diverte, eh? Non aveva avuto bisogno di controllare il calderone per constatare che i minuti d’infusione fossero molto più che passati. Il ghigno soddisfatto si accentuò mentre le sfiorava ancora una volta i fianchi mentre lei si girava sul piano prendendovi posto. La mano risalì lungo il profilo finendo per prendere posto nell’incavo del suo collo, appena sotto la mandibola indirizzando il suo viso – la sua bocca – verso le sue labbra che le strapparono un nuovo bacio, questa volta di congedo per quella giornata.
    Fletcher sarebbe tornato di lì a poco se erano sfortunati e lui aveva un po’ di cose in più da sistemare. Ricompose il suo abbigliamento e, riappropriandosi della bacchetta cominciò la noiosa opera di riordino ma questa volta con un umore ben diverso rispetto a quello con la quale aveva varcato il laboratorio.


    CITAZIONE
    CONCLUSA.


    Edited by Dragonov - 4/2/2024, 20:57
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    axel
    axel
    C’era una cosa che i rapporti umani avevano in comune con i duelli: se si lasciavano intravedere i propri punti deboli si era spacciati. Una retorica quasi crudele per quanto intrisa di cinismo ma che per il bulgaro rappresentava una verità che lungo il corso della sua, seppur breve, vita era arrivata a ripetersi alla stregua di un mantra. Ogni capitolo della sua esistenza fino a quel momento era stato caratterizzato da un evento che altro non aveva fatto che rafforzare quell’affermazione, quell’insegnamento oramai a tutti gli effetti e lui, da bravo allievo, aveva appreso e messo in atto lasciando che quello scudo di impassibilità finisse per diventare un tratto distintivo della sua personalità. Niente era quello che sarebbe dovuto passare all’esterno. Non un lamento, non un’espressione. La pura impassibilità che lo avrebbe reso impenetrabile agli occhi dei nemici e, purtroppo, anche a quello degli affetti più cari per quanto di realmente vicino alla sua persona nella realtà dei fatti non considerasse nessuno. C’era stato un tempo nella sua vita in cui una sola persona s’era avvicinata così tanto alla sua essenza ma quella persona seppur non lo ricordasse più era stata cancellata, spazzata via nella sua interessa estirpando ogni singolo ricordo positivo legato ad essa. Ethan aveva fatto una lavoro con i fiocchi, certosino per certi versi, tagliando ed incollando selezionando ogni singolo che frame che il bulgaro e la nipote avessero trascorso in comune. Nulla era stato lasciato, se non qualche frammento ad hoc che avrebbe permesso al ragazzo di farsi un’idea – sbagliata – di quella che non era stata la loro storia: s’erano frequentati, avevano scopato ma era rimasto tutto alla mera fisicità. Nessun legame e solo il fastidio dettato da quel carattere tanto complesso che contraddistingueva la oramai andata Corvonero. Con lo stesso fastidio l’aveva trattata il verde-argento quando quest’ultima aveva provato ad approcciarlo, l’anno precedente, in seguito a quella lunga sparizione di mesi che le aveva restituito un uomo cambiato, regredito allo stadio iniziale di quello che era stato il loro rapporto. Regredito all’Axel menefreghista, manipolatore e cinico che altro non faceva se non esaminare il suo tornaconto dando ben poco spazio a quella che era la natura sociale della sua parte umana. Axel difficilmente appariva come una persona calorosa e men che meno ogni suo gesto o frase – delle poche pronunciate – lasciava trasparire un’apertura tale nei confronti del prossimo che lo stimolasse a cercare un di più o che lo spronasse davvero a compiere un tentativo di scalfire quella corazza ma era lì che vi risiedeva la stessa chiave di volta: la perseveranza. Il giusto approccio, la giusta delicatezza e soprattutto la pazienza con quell’animo tanto freddo e riservato avrebbero ripagato restituendo quello che era il vero io del Serpeverde: una persona presente seppur a distanza sulla quale poter contare ciecamente, un uomo protettivo nei confronti di chi entrava a far parte del suo branco ed una persona solida alla quale potersi aggrappare ma queste erano tutte caratteristiche che difficilmente avevano trovato luce e che solo una persona aveva potuto apprezzare ma nonostante questo senza mai apprezzarlo davvero, senza mai sentire d’avere abbastanza, il necessario. Axel non era stato il suo necessario e proprio nel momento decisivo nella quale era stata chiamata a resistere e combattere per il suo uomo aveva lasciato che altre braccia lenissero la sua mancanza. Un dispiacere ed una delusione che fortunatamente, per come erano andati i fatti, non avrebbero infierito su quella personalità già di per sé molto chiusa e che invece avrebbe potuto conoscere le gioie del contatto umano nel significato più puro dello stesso. C’era speranza per quanto lui, in realtà, non fosse minimamente alla ricerca di una tale evoluzione e nemmeno la disdegnasse, eppure, lentamente il destino sembrava essersi messo autonomamente in moto indirizzandolo verso quel cammino. Proprio uno di quegli elementi andò a tampinarlo quella sera mentre corrucciato rifletteva sulla sua stessa esistenza perdendosi nel movimento delle lingue di fuoco che lambivano i tizzoni all’interno del camino della Sala Comune. Ipnotizzato ma non abbastanza per i suoi sensi che, perennemente in uno stato d’allerta, captarono l’avvicinarsi di qualcuno. Nella sua mente era un’altra la figura che aveva inconsciamente sperato avesse compiuto quel gesto ma con reale interesse aveva invece accolto la presenza di quel piccolo peperino dai capelli rossi. Rain Scamander era quanto di più vicino ad un’amica lui potesse vantare per quanto, la loro, fosse tutto fuorché un’amicizia di quelle convenzionali. I due avevano condiviso lo stesso letto – e non, i luoghi non erano mai stati oggetto di pudore – un numero di volte pericolosamente alto ma, nonostante l’innegabile chimica di cui il loro rapporto era intriso, nessuna delle due parti aveva finito per innamorarsi dell’altro/a. Stavano bene insieme, stavano ancor meglio a letto ma il tutto terminava in quel modo non riuscendo mai a sconfinare in quello che avrebbe tranquillamente potuto diventare un vero rapporto di coppia. Mancava il di più e soprattutto mancava quella volontà che avrebbe altresì cambiato le carte in tavola del loro rapporto. Tutto ciò però non era accaduto a loro ma non era una cosa della quale i due giovani sembravano soffrire o aver mai sofferto. Prendevano ciò che arrivava da parte dell’altro e lo accettavano di buon grado arrivando persino ad instaurare un piacevole legame, un legame che, però, non aveva mai sconfinato nella serietà. Almeno non fino a quella sera in cui la rossa, per la prima volta, rifuggì un suo contatto. “Che cazzo” le prendeva? Axel non era abituato ad essere rifiutato e men che meno da lei. La rossa fece per allontanarlo con uno spintarella al suo petto ma il bulgaro le afferrò immediatamente il polso strattonandola contro di sé.
    «Allontanati di nuovo Scamander e passerò alle maniere forti» ribatté abbassando lo sguardo negli occhi scuri di lei fermo, perentorio, autoritario. Una minaccia che durò il tempo di un respiro prima che l’angolo delle labbra del mannaro si sollevasse nel consueto ghigno beffardo onnipresente sul volto del verde-argento. Si chinò sollevando senza sforzo la rossa prima di trasportarla sulla poltrona occupata in precedenza.
    «Sono ancora arrabbiata.» Merlino. Il bulgaro buttò la testa all’indietro sbuffando sonoramente. Ci risiamo.
    «Ancora con questa storia?!» Tutte le volte finivano così. «Ci sono solo andato a letto un paio di volte, mica tutta questa gran storia!» Che poi la cosa che non capiva era perché la rossa sostenesse che avesse fatto addirittura coppia fissa con la Métis. Ma quando mai? Eh... quando... Ma questa era un’altra vita, smembrata, sepolta, sotto le macerie sulla quale il suo padrino aveva eretto le fondamenta dei suoi nuovi ricordi. Skylee altro non era stata che l’ennesima, un numero, una tacca da spuntare tra le sue conquiste e nulla più. La fastidiosissima Corvonero dai modi snob ed altezzosi, la prefetta-perfetta che buona parte della scuola guardava sollevando gli occhi al cielo, nulla di più se non qualche scopata atta a farla stare zitta, atta a cancellarle il disprezzo che aveva tanto decantato nei suoi riguardi che invece, incredibilmente, spariva quando si trattava di succhiargli l’uccello o farsi scopare ansimando come una disperata mentre le regalava il miglior orgasmo della sua vita. Un classico. Più la facevano difficile e più in realtà bramavano le sue attenzioni. Così scontato da essere noioso, insoddisfacente poiché, alla fine della fiera, era un finale del tutto scontato. Eppure la rossa sosteneva tutt’altra storia.
    «Ma per piacere!» Si passò la dominante tra i folti capelli scuri ravvivando all’indietro la capigliatura gonfiando le guance a causa del disagio. Tamburellò il palmo sul lato della poltrona prima di depositarlo sulla coscia scoperta della Serpeverde, stringendone appena, con possesso, le carni. Sarebbe stata questione di niente permettere alle dita di scivolare sulla pelle candida della rossa scomparendo al di sotto della gonna. Gli occhi scesero alle labbra rosse, invitanti, di lei e in un istante ne furono ipnotizzati portandolo a staccarsi dallo schienale nel tentativo di un nuovo bacio che, nei suoi piani, avrebbe acceso immediatamente la Serpeverde. Ma lei lo allontanò.
    «Strana! Sì!» Ora era decisamente troppo ed il rifiuto lo stava decisamente irritando per quanto a differenza della minaccia che poco prima le aveva riservato non avrebbe mai alzato un dito contro la sua volontà e per quanto si fossero dilettati anche in “giochi di potere”, Axel sapeva riconoscere un “no” e per questo fermarsi. Non era un cazzo di approfittatore! Le donne, nella sua concezione, sarebbero andate a letto con lui perché lo volevano, non perché le avesse costrette.
    «Sto frequentando una persona!» Gli occhi verdi del bulgaro persero il piglio infastidito lasciando spazio allo stupore.
    «Quindi?» Non era la prima volta. C’era stato un periodo in cui aveva frequentato un Tassorosso – tale Bill, Quill o Will? Boh, poco importava – una delle loro migliori scopate quando lo smidollato non aveva retto il suo carattere. Una tale foga, energia. Si prospettava lo stesso?
    «E sarebbe?» Forse lo aveva sentito come nome ma non poteva esserne sicuro poiché il tipo, in quanto uomo, non rientrava nemmeno lontanamente nella sfera delle sue considerazioni. «Ah sì», fece poi annuendo quando la rossa gli servì l’assist: giocava come cacciatore per i Grifondoro. «Il biondino.» Aveva presente. Beh dai, in campo il tipo non era stato male e se a letto centrava l’anello come in campo… la rossa non cadeva troppo male.
    «Mh.» Anche se, quel discorso continuava a non piacergli, aveva i connotati di una pausa tra loro.
    «Credo che anche tu debba dirmi qualche cosa. O sbaglio, amore mio?»
    «Devo?» Replicò quasi a fior delle sue labbra quando quest’ultima gli circondò il collo avvicinandosi. Se faceva così col cazzo che sarebbe stato buono. Nathan o non Nathan, figurarsi che cazzo gliene fregava a lui del tipo.
    «No davvero. Che vuoi che ti dica?» Sollevò un sopracciglio preso in contropiede dalla genuina curiosità della Serpeverde che lo portò lentamente – molto lentamente e con un aiuto – ad intuire dove volesse andare a parare: Freya.
    «Che vuoi sapere?» Era gelosa? Non capiva, perché gli chiedeva di Freya se si stava già vedendo col coso?


    Edited by Dragonov - 19/4/2024, 07:19
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    -RedFlag- Halley. all eyes on ME!
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    Maddaiiii a Fuerte ci verrò in ferie a marzo! Giusto quella mi manca delle Canarie. Io molto Addict delle isolette
    Btw benvenut* tra noi e i nostri bambini (ma anche player) matti.

    Sì arrivo ora perché dormivo 👀
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    axel
    Quanto poteva tornare utile una faccia da poker totalmente inespressiva a comando? In quel momento, in quel gioco che i professori avevano imposto loro di giocare, tantissimo soprattutto per la controparte che con il suo solito fare spavaldo privo della benché minima traccia di pudore aveva allargato la scollatura del bel vestito lasciando che il lupo potesse intravedere il davanzale fasciato ad arte della proprietaria. Axel vi aveva gettato l’occhio pronto ad assaporare quella visione d’antipasto che l’altra che gli aveva consegnato, convinto di quel preludio che avrebbe anticipato un dopocena dai toni decisamente più piccanti e sì, ben più interessanti di quel teatrino da strapazzo nella quale un po’ tutti – meno che lui, solito guasta feste – s’erano calati nella parte. Sarebbe mai finita? Ed eccola lì la soluzione, la chiave per concludere quel teatrino. Perfettamente nascosta nell’incavo generato dai seni accoppiati, lì, premuta, la fiala giaceva rilucendo alla luce delle fiaccole. Freya era la colpevole. Impassibile lasciò che sul suo viso si dipingesse il classico sorriso sghembo, l’espressione da perfetto Don Giovanni di uno che aveva unicamente gustato una bella visione e, con nonchalance, passò oltre ignorando d’un primo acchito quanto visto con l’intenzione di d’utilizzare quell’informazione acquisita alla prima occasione che gli avrebbe portato un vantaggio.
    «Qualcun altro non si fida?» Fece la Riis rivolgendosi al pubblico come se fosse pronta a condividere lo spettacolo del suo décolleté con il resto dei partecipanti. Peccato qualcuno non fosse dello stesso avviso. Axel, infatti, allungò la mano aggrappandola al vestito della Serpeverde, tirandola gentilmente ma con un piglio deciso a sé mentre un’appena percettibile ringhio d’avvertimento gli vibrava in petto. Che cazzo faceva? Si faceva guardare da tutti? Le lanciò un’occhiata intimidatoria e successivamente optò per portare l’attenzione sulla sua persona mettendosi a disposizioni per eventuali perquisizioni. Lasciò che fosse la lupa a farlo ed incatenò il suo sguardo smeraldino negli occhi di lei quando questa, tastando, percepì il coltello nascosto nelle tasche. Sorpresa! Gli angoli delle labbra si sollevarono mentre con un tilt del capo lo piegava lateralmente lanciando un messaggio silenzioso alla verde-argento: se taci, taccio anch’io. Una double win per entrambi in cui la Riis avrebbe portato a casa la vittoria in quello sciocco giochino e lui non sarebbe finito nel mirino degli insegnanti per il possesso illecito di un’arma al castello. Perché sicuro gli avrebbero fatto storie, scontato come la balbuzie di Flecther.
    Incrociò le braccia al petto trattenendo uno sbadiglio in quell’ennesima ondata di accuse ma la sua attenzione tornò pigramente a focalizzarsi sul suo compagno di stanza quando questi prese la parola con fare solenne. Che fossero finalmente giunti alla fine? Così parve poiché partendo dalla teoria del big bang, Walker, cominciò a spiegare ogni dettaglio che portò all’incriminazione finale di Poppy Hunt alias Freya. Yuuuuppi! Colpevole trovato!
    «Ora possiamo mangiare?» Il caso l’avevano chiuso ed a digiuno ed il mannaro cominciava a percepire una certa fame. Magari avrebbe potuto prendere qualcosa da portarsi in camera d’asporto o su alla Stan…
    «Professoressa Lovecraft?» La voce di Rain salì di un ottava mentre la candida mano passava a scuotere il corpo esanime dell’insegnante. Lo sguardo del mannaro s’adombrò mentre in un passo si portò ad affiancare l’altra mannara. Quella situazione non gli stava piacendo ed il sesto senso mandò immediatamente in allerta i sensi sovra sviluppati. Osservò Rain andare in panico, farsi debole e sul punto di svenire e fu in quel momento che il biondino slavato corse al suo fianco recuperandola. Fu in quel momento che le sedie dal tavolo dei professori grattarono in terra mentre gli insegnanti s’alzavano per accorrere in soccorso alla Scamander ed alla presunta vittima. Axel fece un passo indietro e nel parapiglia generale afferrò il polso della Serpeverde.
    «Andiamo» e la sua non era una richiesta, era un ordine.


    Fare i marpioni ripaga SEMPRE! Rido.
    React varie alle interazioni del giro precedente + a quanto successo alla prof. RIP Dorothea, insegna agli angeli a guardare nelle palle di cristallo.
    Detto ciò, come in ogni situazione di pericolo che potrebbe attirare gli auror il buon vecchio Axel fa come Baglioni e si leva da…
    Adiossssss
609 replies since 7/1/2022
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