Posts written by Daphne.

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    Per telegram se vuoi unirti ci farebbe piacere ma non è obbligatorio! Per il resto de fai un adulto io ne ho una cattiva, quindi v.v
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    Benvenut* in questo covo di matti e.e Sono proprio curiosa di vedere che pg porterai, per qualsiasi cosa a disposizione! Ci vediamo on +.+
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    daphne
    «Altrimenti che fai?» Lo provocò, mordendogli il labbro inferiore prima di sciogliere l'abbraccio in cui entrambi si erano rifugiati. Poco prima, Daphne gli aveva detto che non sarebbe mai più riuscita a staccarsi da lui, e in effetti era la verità. Eppure, era curiosa di scoprire come Hunter avrebbe reagito nel caso in cui l'avesse fatto. L'avrebbe inseguita fino ai confini del mondo? L'avrebbe rapita? Oppure l'avrebbe lasciata andare per sempre, dimenticandosi di lei? Quest'ultima ipotesi la feriva immensamente. Voleva che la ricordasse per sempre, perché nessun altra donna avrebbe mai dovuto invadere la sua mente e il suo cuore. Hunter le apparteneva. E Daphne non era mai stata il tipo di persona che si lasciava sfuggire ciò che era suo. Aveva combattuto per tutta la sua vita per ottenere ciò che desiderava, e non avrebbe di certo ceduto ora che aveva finalmente trovato la sua anima gemella. «Perché lo sei. Di persone crudeli ne ho conosciute e tu non sei tra queste.» Si sporse in avanti, sfiorando le sue labbra con un bacio delicato e, incapace di resistere alla forza che la attraeva a lui, gli gettò le braccia al collo e nascose il viso nell'incavo tra il collo e la spalla. Lo scroscio delle onde del lago, in sottofondo, creava una melodia rilassante che accompagnava quel momento di intima tenerezza. Rilassò il corpo contro di lui, lasciandosi avvolgere dal suo calore e dal suo profumo muschiato. Per lunghi istanti, rimase in quella posizione, assaporando quella sensazione di pace e di completezza che solo lui era in grado di darle. Si era ormai arresa a questa necessità impellente di toccarlo, perché come una droga potente e inebriante, la felicità che provava in sua compagnia era ormai una parte irrinunciabile della sua vita. Probabilmente, il bisogno che aveva di lui era alimentato anche dalla consapevolezza che Hunter era l'unico a cui potesse mostrarsi senza veli, senza maschere, senza filtri. In casa, non era mai stato possibile. I suoi genitori, soprattutto sua madre, erano abili predatori di debolezze, pronti a sfruttare ogni minima crepa nella sua corazza per ferirla e controllarla. Astrid e Felicia non erano da meno. Per questo motivo, era costantemente all' erta, attenta a non lasciar trapelare nulla che non fosse il vuoto gelido nei suoi occhi. Ma questo continuo stare sull'attenti era faticoso, estenuante. Si sentiva prosciugata di ogni energia, svuotata di sé, ridotta a una marionetta senza anima. Una bambola. Però al fianco del ragazzo che amava e che le faceva battere il cuore con un ritmo forsennato, tutto questo non succedeva. Era in pace. «Vorrei che fossi sempre con me.» Gli sussurrò, tornando a guardalo. Le dita scivolarono delicate sulla sua guancia, accarezzarono i suoi capelli e si fermarono alla base della nuca. Con una pressione leggera ma decisa, inclinò il capo verso di ldi, facendo sì che le loro labbra si incontrassero. Gliele schiuse e, quando la lingua scivolò contro la sua, diede il via un bacio dolce e lento. I corpi si pressarono l'uno contro l'altro e Daphne emise un gemito sommesso quando, qualche minuto dopo, si staccò. «Forse entrambe le cose. Non lo so, Hunter. Io non avevo previsto di innamorarmi così tanto di qualcuno e di voler fare l'amore con lui ogni giorno. Nemmeno credevo fosse possibile.» Poggiò la fronte contro la sua mentre un leggero rossore le colorava il viso. Non arrossiva spesso come una volta, ma ogni tanto, soprattutto quando si trovava a fare ammissioni di quel tipo, succedeva. Certe volte si era anche ritrovata a chiedersi se avesse mai potuto provare le stesse emozioni con un altro. La risposta era quasi certamente no. Da Hunter era stata colpita sin dalla prima volta in cui lo aveva visto, e per una come lei, abituata a tenere le distanze e a non lasciarsi travolgere dai sentimenti, era un caso più unico che raro. Ed era proprio questo il motivo del suo possesso e della sua gelosia; tratti caratteriali, così simili a quelli di sua madre, ch nemmeno credeva di avere. E invece, si era sbagliata. Adesso aveva quasi paura della reazione che avrebbe potuto avere nel vedere il suo Hunter in atteggiamenti intimi con qualcuno che non fosse lei. Per fortuna, il suo ragazzo non era affatto il tipo. «Non sono molto facile da gestire quando mi arrabbio sul serio.» E quello era un dato di fatto. Diventata sarcastica, fredda, calcolatrice e a tratti dispotica. Come Ellen, appunto. Nel mentre, schiuse ancora le labbra e lasciò che Hunter affondasse la lingua in profondità nella sua bocca intanto che lo stringeva a sé per averlo ancora più vicino. Quanto mi piace il suo sapore. Sospirò e lo baciò con maggiore foga. Quante volte lo aveva baciato da quando erano arrivati? Aveva perso il conto, così come ogni controllo e inibizione. A stento riusciva a trattenersi. Solo quando non ebbe più fiato liberò le sue labbra, gli diede un bacio sul naso e poggiò la testa sulla sua spalla. «Sì, voglio ricordare tutto quello che mia madre mi ha potato via.» Anche se suo fratello, indietro, non lo avrebbe più avuto. «Tu non vuoi?» Lo osservò con la coda dell'occhio mentre, con la mano destra, gli accarezzava la gamba. Quei gesti innocenti erano diventati più esplici e adesso erano stesi su un prato, proprio come la prima volta che l'aveva baciata. Anche adesso lo stava facendo e, come allora, le sue mani percorrevano ogni centimentro del suo corpo. «Non mi importa. Se sei tu, non mi importa.» Se era lui, poteva farle quello che voleva. Socchiuse leggermente gli occhi e sospirò pesantemente nel sentire l'umidità e il calore della sua lingua sulle sue labbra gonfie e arrossate e nella sua bocca. Le mani strinsero i suoi capelli ei l viso si inclinò di lato così da permettergli di farle mancare quasi l'aria per la profonodità di quel bacio. Di quei baci. Quando le sfiorò il seno con un tocco leggero ma deciso, linarcò la schiena in un sospiro di piacere trattenuto. Un brivido di eccitazione la percorse, e si morse il labbro inferiore per non gemere mentre lui le lasciava una scia segni violacei sul collo. Quella parte di lei gli era sempre piaciuta, se n'era accorta col tempo. Con movimenti frenetici, lo spogliò, lasciandosi a sua volta disvestire. Le labbra si posarono sul suo torace, baciandolo, leccandolo e mordendolo. Poi gli diede piacere, osservandolo mentre gemeva il suo nome e raggiungeva la prima volta l'apice. A causa sua. Fece appena in tempo a stendersi su di lui e a baciarlo, che si ritrovò smaterializzata nella sua stanza e sul suo letto. Ed è qui che Daphne si ritrovò a gemere senza ritegno quando la sua bocca, calda, si posò sul suo decolleté. Succhiò, morse e leccò i capezzoli già turgidi per l'eccitazione. Le piaceva quando la toccava così, forse anche troppo. Inarcò la schiena, offrendosi completamente a lui, e gli tenne ferma la testa con una mano per non farlo allontanare nemmeno di mezzo millimetro dalla sua pelle. Il bacino, quasi per istinto, iniziò a ondeggiare avanti e indietro, sfiorando la sua intimità. Lo voleva. Hunter sembrò leggerle nella mente perché, con impaziente irruenza, la sovrastò con il suo corpo. In risposta, Daphne gli cinse la vita con le gambe per attirarlo a sé e baciarlo con foga. Un sospiro le sfuggì quando affondò le dita in lei per darle piacere con movimenti lenti, intensi, veloci e frenetici. Avrebbe voluto immergere le mani nei suoi morbidi capelli, ma Hunter le bloccò i polsi; a quel punto, usò le gambe e la schiena per premere il corpo contro il suo, annullando ogni possibile distanza. Abbandonandosi al suo tocco, Daphne assecondò poi la sua richiesta, lasciando che i suoi desideri prendessero voce. Mai avrebbe immaginato di potersi esporre in quel modo, ma la fiducia che riponeva in lui era totale e incrollabile. Non appena le sue labbra tornarono a sfiorare le sue, le aprì senza esitazione, lasciando che le loro lingue si incontrassero ancora, ancora e ancora. ll suo sapore, unito al calore del suo corpo, le stavano facendo perdere quel poco di controllo che le era rimasto. Voglio che non smetta mai di toccarmi così. Ormai era dipedente da tutte le emozioni che Hunter le faceva provare: amore, felicità, gioia, serentà, passione, piacere. Con lui accanto, nel suo cuore non era più inverno.
    Il bacino ondeggiava, seguendo il ritmo scandito dalle dita di Hunter. La bocca si muoveva avida, divorando le sue labbra; gli morse il labbro inferiore, tirandolo verso di sé, e poi riprese a baciarlo con foga. Non ne aveva mai abbastanza. Quando, però, le sue dita raggiunsero un punto particolarmente sensibile dentro di lei, Daphne fu costretta a interrompere il bacio con un gemito soffocato. Qualche istante dopo le lasciò andare i polsi, e lei ne approfittò per far scivolare una mano lungo la sua schiena, in un tocco delicato che si trasformò in una sensuale carezza sul fondoschiena che, poi, strinse con fermezza. La macina era tra i suoi capelli mentre la bocca, ora sul suo collo,si schiuse per assaporarne il sapore. Affondò delicatamente i denti, succhiò e poi passò la lingua calda sul segno violaceo che gli aveva lasciato. Gli baciò la linea della mascella, la guancia destra e poi, ancora, le labbra. Sentì il suo braccio muoversi per afferrare qualcosa, seguito dal suono metallico di un cassetto che si apriva. Quando le sue carezze si interruppero e lui si alzò sui gomiti, lo fissò per qualche istante, con gli occhi ancora velati da un piacere di cui era stata temporaneamente privata. Faceva freddo, voleva di nuovo il suo corpo su di lei. «Hunter...» Sussurrò a bassa voce, socchiudendo gli occhi e inarcando la schiena. Con un movimento fluido delle gambe lo attirò a sé, sollevandosi leggermente dal cuscino. Il seno si schiacciò contro il suo petto mentre la testa si inclinava all'indietro, così da permettergli di coprirle parte del viso con una maglietta intrinsa del suo profumo. l buio improvviso la avvolse, ma tutti gli altri sensi erano acuiti, pulsanti di vita. Non aveva paura. Si affidò a lui completamente, lasciandosi guidare dalle sue sensazioni. Abbandonandosi di nuovo al materasso, accolse il peso del corpo di Hunter con un sospirò di piacere che risuonò tra le mura della sua stanza. Gli circondò le spalle con le braccia e lo strinse forte. «Non allontanarti. Ti voglio vicino.» Sfregò la punta del naso contro la sua, poi con il pollice cercò le sue labbra e le dischiuse. Gli leccò il labbro inferiore e poi lo baciò, affondando in profondità la lingua nella sua bocca, costringendola poi ad aprirsi di più in un bacio profondo
    e intenso che li lasciò entrambi senza fiato. Stanca di quei vestiti che ancora indossava, con un gesto deciso abbassò la gonna, le calze e gli slip. Un gemito sommesso sfuggì alle sue labbra quando le loro intimità si incontrarono senza barriere e, proprio come sul prato, mosse il bacino in avanti e lo sottomise ad una lenta e sensuale tortura. Si morse il labbro, godendo del calore della sua lingua sulla pelle mentre le baciava e le leccava il solco tra i seni e, poi, il ventre. Con un movimento fluido, Hunter si sollevò leggermente per abbassarsi i suoi pantaloni. Il suono dello sfregamento dei tessuti era più vivido che mai ora che non poteva fare affidamento sulla vista, così come lo era il tocco di Hunter. Per fortuna, quella separazione fu breve, perché subito tornò a stendersi su di lei. Le sue gambe si avvolsero intorno alla sua vita con forza, così come il braccio che gli cingeva le spalle. Lo strinse con intensità tale da provare quasi dolore, perché ogni centimetro della sua pelle doveva essere a contatto con la sua quando facevano l'amore. Sempre. "Sei mia, Daphne." Le sue parole, sussurrate mentre finalmente affondava in lei, la fecero gemere e sospirare allo stesso tempo. Assecondò i suoi movimenti, lenti e decisi, che man mano crebbero di intensità. «Sono sempre stata tua.» Probabilmente lo era stata fin da quando si era seduto accanto a lei in quella lezione che le aveva fatto quasi perdere la testa. Da quel momento, non aveva fatto altro che cercarlo con lo sguardo, incuriosita da ogni suo gesto e parola. Aveva combattuto l'istinto di toccarlo, di sfiorare la sua pelle con la punta delle dita, consapevole della tensione che si era creata tra di loro. E forse, il suo corpo, ancor prima della sua mente, aveva capito quanto lo desiderasse. Perché, da quanto lo aveva avuto la prima volta, non aveva più smesso di farlo suo. Per questo, quando la baciò ancora, di nuovo le mancò il fiato per quanto era pieno e profondo. Hunter accelerò, le sue spinte divennero decise, frenetiche, intense, ormai prive di ogni controllo. Daphne urlò il suo nome, desiderosa di specchiarsi nei suoi occhi verdi. Slacciò il nodo della magliatta, la gettò via e quando i loro sguardi si incrociarono, sorrise: anche lui era lì, con le labbra dischiuse, rapito dallo stesso piacere che la stava consumando. Proprio quello che voleva vedere. «Mi piace così come piace a te.» Boccheggiò. Iniziò anche lei a muovere il bacino freneticamente, rilassando i muscoli del corpo per permettergli di riempirla completamente. Gli prese il viso tra le mani e lo baciò, a lungo, al punto tale che il suo sapore quasi si impresse nella sua bocca. Continuò a farla sua, in un modo così intenso, profondo e irruento che la portò all'apice. Si staccò dalle sue labbra e un gemito, quasi un urlo, le sfuggì per il piacere e il godimento di quell'istante. Il corpo venne scosso da fremiti e la sua mente, incapace di elaborare il caos di sensazioni che la travolgevano, si offuscò. Era come se l'istinto avesse preso il sopravvento, dominato da un desiderio ardente e incontrollabile di sentire solo Hunter che, senza sosta e quasi con violenza, continuava ad affondare in lei, spingendola in un baratro di passione senza fine. Le sue labbra, calde e morbide, scivolarono sul suo collo, sulla mascella, delineandone i contorni e poi si posarono sulle sue, di labbra. «Sei mio, solo mio.» Tornò a baciarlo. La lingua esplorò ogni angolo della sua bocca, riempendosi del suo sapore, respirò il suo profumo muschiato, toccò la sua pelle, udì i suoi sospiri. Lo sentì sprofondare in lei. Ogni senso di cui era dotata percepiva solo lui. Esisteva solo Hunter. Per un tempo indefinito, la face sua e poi, quando anche lui raggiunse l'apice, riversò in profondità il suo calore dentro lei. Di riflesso, Daphne serrò la presa sul suo bacino per tenerlo fermo, per sentirlo di più, mentre il suo corpo tremava dal piacere.l Amava quella completezza, quella totalità. Quel bisogno inteso che aveva di lui. Lo gaurdò: aveva le labbra schiuse e gli occhi annebbiati, proprio come i suoi. «Solo io posso averti così.» In quel modo così pieno, totalizzante, simbiotico. E quella di Daphne era una pretesa.



    Edited by Daphne. - 14/4/2024, 13:18
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    daphne Daphne osservò Micheal, notando come anche lui, come lei, tendesse a lasciare le frasi a metà o a utilizzare allusioni vaghe. Questo creava un'atmosfera di ambiguità che nessuno dei due osava chiarire. Erano entrambi riservati, poco propensi a condividere i loro segreti più intimi con qualcuno che conoscevano da poco, di conseguenza le loro conversazioni vertevano su argomenti superficiali e banali. A volte, però, capitava che uno dei due si lasciasse sfuggire qualche informazione in più che l'altro, se attento, poteva cogliere. Daphne, cresciuta nell'ambiente ovattato dell'alta società inglese, dove le apparenze e le allusioni velate regnavano sovrane, non poté che farlo. A quanto pareva, il giovane Harris aveva avuto a che fare con diversi "insetti", o comunque con persone che lui stesso considerava tali. Un sorriso sornione si dipinse sulle labbra della serpeverde, accompagnato da un leggero cenno del capo per sottolineare il suo assenso su quanto detto. Anche lei, nella sua breve vita, ne aveva incontrati tanti di questi esemplari, uno tra i quali era proprio sua madre; una donna algida e distaccata, che regnava sulla sua famiglia con la freddezza di una regina delle formiche. Una regina che non si sporcava le mani, delegando ogni compito alle sue operaie e punendo severamente qualsiasi insubordinazione in un mondo in cui soldi e il potere erano tutto. Come un abile burattinaio, muoveva i fili delle marionette che aveva creato, controllando ogni mossa per assicurarsi che il suo volere fosse fatto. E quasi sempre ci riusciva. Era un'insetto difficile da schiacciare, protetta com'era dalla sua corte di fedeli e abile nel nascondersi, pronta ad attaccare solo quando più le conveniva. E poi c'erano insetti più semplici da calpesare o da ignorare. La maggior parte di loro si trovava in Norvegia, ma alcuni erano presenti anche ad Hogwarts. «Dove altro hai trovato questi insetti? In camera tua, per esempio?» Si voltò di tre quarti, socchiudendo gli occhi con un'aria di falsa innocenza. Con tono di voce velatamente allusivo, gli chiese di chi stesse parlando, facendo riferimento, con un sarcasmo appena percettibile, a quel soggetto di suo fratello. Per Daphne, quel tipo non meritava neanche uno sguardo da parte di una ragazza, figuriamoci l'amore. Purtroppo, era il fidanzato di Halley, una realtà che aveva accettato a malincuore per il bene della sua amica. Tuttavia, se si fossero lasciati, di certo non si sarebbe lamentata. «A me a volte è capitato.» Nel suo caso, stava parlando di Felicia, la mezzosangue figlia di suo padre. Per Daphne, non era altro che un'intrusa, un ospite indesiderato nella sua casa. Frutto dell'inganno di sua madre, Aleksander si era unito ad una babbana, disonorando il loro nobile lignaggio. Daphne avrebbe anche potuto sopportare la sua presenza, se solo Felicia non fosse stata così irritante: gelosa, fastidiosa e con la superbia di chi si crede superiore a tutti, pretendendo di dettare legge in un luogo che non le apparteneva. Non sapeva che fine avesse fatto in quei mesi; né suo padre, né Charles l'avevano mai menzionata nelle loro lettere. Da quel che ricordava, era stata promessa in sposa a una delle tante conoscenze di suo padre, anche se la sua cotta epocale per il figlio del Primo Ministro era risaputa. Peccato che Charles volesse la sua sorellastra. Chissà, forse il motivo per il suo odio spropositato nei suoi confronti era per proprio per questo. E quindi? Problemi suoi. La colpa non è di certo mia se non è ricambiata. E poi lei era innamorata di Hunter e felicemente fidanzata. «Non dai l'impressione di avere una mente semplice, Harris, tutt'altro.» Tutta la scuola era a conoscenza del fatto che le menti dei fratelli Harris non erano affatto banali. Erano entrambi individui enigmatici, che per motivi diversi suscitavano curiosità e mistero. Le venne quasi da ridere al pensiero ironico che il suo interesse per Hunter era nato proprio dal desiderio di svelare il mistero celato dietro la sua indifferenza. Era come se fosse stata attratta da un enigma irresistibile, un puzzle che bramava di completare. E quando finalmente il vaso di Pandora si era aperto, al suo interno aveva trovato un mondo inaspettato, un universo di emozioni profonde e di passioni nascoste del quale si era perdutamente innamorata. «Se fossi stato come lui non sarei stata di certo qui a parlare con te. David mi sembra un troglodita, senza offesa.» Non esitò a esternare il suo pensiero su suo fratello maggiore. Del resto, non era un mistero che non sopportasse i tipi come lui: arroganti, presuntuosi e convinti di essere superiori a tutti.Tendeva, infatti, ad ignorarli, considerandoli una inutile perdita di tempo e di energie. «Sì, ho presente.» Una risposta secca. Sapeva fin troppo bene come quel demente trattasse Halley, ne aveva avuto prova lampante durante la lezione di Alchimia. Eppure, la mora si ostinava a voler rimanere con lui, nonostante le continue umiliazioni e i maltrattamenti. Nelle ultime settimane, però, i due si erano allontanati. Chissà, forse era la volta buona. «Halley sa cosa penso a riguardo, ma la scelta è la sua e io, da amica, posso solo sostenerla.» Obbligare o imporre il suo pensiero non era da lei. Non solo sarebbe stato inutile con una Grifondoro come Halley, testarda e tenace come un mulo, ma era anche contrario ai suoi principi. Ognuno era libero di fare le proprie scelte, anche se quelle scelte le sembravano sbagliate o dolorose. E poi Halley non era una sprovveduta, e se non aveva ancora mandato al diavolo quel tipo, per quanto assurdo potesse sembrare, un motivo doveva esserci. Forse c'era un legame più profondo di quanto Daphne potesse immaginare, un sentimento che la teneva legata a lui nonostante tutto. O forse, più semplicemente, Halley non era ancora pronta per affrontare la fine di quella relazione. «A tempo debito, però, tuo fratello potrebbe avere ciò che gli spetta. Sai com'è, il karma. » Alzò i suoi occhi gelidi su di lui, un sorriso cordiale che non tradiva alcuna emozione. Michael non avrebbe potuto sapere se dietro quelle parole si celava un avvertimento, una minaccia velata o una semplice constatazione. Daphne era, infatti, abituata a colpire solo quando il momento era propizio. Pianificava ogni dettaglio con meticolosa precisione, calcolando ogni mossa e ogni possibile conseguenza, mostrandosi capace di orchestrare elaborate vendette senza lasciare tracce. Sempre se era il caso di metterle in atto, ovviamente, altrimenti nemmeno si scomodava. «Sì, ma per quanto puoi scappare?» Inclinò leggermente il capo di lato, un gesto elegante e spontaneo. Una ciocca di capelli, mossa dal vento, le era caduta davanti al viso e lei la spostò con un movimento delicato delle dita mentre fissava il suo interlocutore. «I tuoi demoni ti troveranno sempre. Per liberatene, prima o poi, devi affrontarli e ucciderli.» Da quando la conversazione aveva preso una piega così velatamente oscura? I demoni di cui Daphne parlava con tanta nonchalance, erano creature reali e pericolose. Se anche quelli di Michael possedevano la stessa natura, allora entrambi si trovavano in una morsa mortale, senza via d'uscita. Tuttavia, non aggiunse né chiese altro perché si trattava, pur sempre, di questioni personali di cui nessuno avrebbe comunque parlato.
    «Nemmeno io se è per questo. Mi basta saper leggere la situazione.»Non si era mai realmente preoccupata di immedesimarsi negli altri. In fondo, i loro sentimenti non la toccavano. Forse era il suo retaggio aristocratico a renderla così distaccata, o forse era semplicemente la sua natura, fatto sta che la sua educazione impeccabile le imponeva di mantenere un certo contegno in ogni situazione. Tuttavia, questa cordialità era solo una maschera, un abito elegante indossato per muoversi con disinvoltura nel contesto sociale per il raggiungimento dei suoi scopi. «Più che stronzo, direi disinteressato verso il prossimo.» Come lei d'altronde. «Con le dovute eccezioni ovviamente.» Nel suo caso si trattava di Hunter e Halley, per il minore degli Harris nella lista vi era inclusa Grace, sicuramente, e per il resto non ne aveva idea; non lo conosceva abbastanza a fondo per affermare con certezza se tenesse a suo fratello allo stesso modo, considerando il tono sprezzante con cui ne aveva parlato. «Sembri conoscela piuttosto bene. Siete molto amici?» Non le sembrò una domanda troppo invadente da porre. Nelle sue chiacchiereta con la sua concasata, qualche volta era capitato che il nome di Mike venisse fuori, ma l'argomento non era mai stato approfondito più di tanto. La cosa, però, non l'avrebbe di certo sorpresa visto che i due erano nella stessa squadra e nella stessa Casa. “Non ci conosciamo per niente. Ma voglio sperare che il tuo sguardo, in altre situazioni, regali più di questo vuoto.” Quelle parole la colpirono. Nessuno le aveva mai detto una cosa del genere prima. Di solito, nei suoi occhi, le persone leggevano solo freddezza, indifferenza, forse anche un pizzico di tranquillità. Ma il vuoto? Mai nessuno. Eppure, proprio in quel momento, qualcuno lo aveva pronunciato a chiare lettere. Daphne lasciò che i lineamenti del viso si distendessero, rivelando una scintilla di curiosità appena accennata. Poggiò il mento sul dorso della mano e, dopo un attimo di silenzio, parlò. «Potrei dirti lo stesso perché, anche se non ci conosciamo, i tuoi sembrano il riflesso del mio.» Azzurri. Freddi. E vuoti.

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    daphne
    «Io almeno so distinguere una pluffa da un bolide! Anche se devo ringraziare mio cugino per questo, è ossessionato dal Quidditch. Andreste d'accrodo.» In tutte le rare volte che Halley era andata a trovarla a casa di sua zia, a Londra, non aveva mai avuto modo di incontrarlo. Daphne poteva inoltre affermare con certezza che quel ragazzo amava il Quidditch più della sua amica, pur non essendo un giocatore. Suo cugino, infatti, era un musicista e passava la maggior parte del tempo in tournée. Tuttavia, questo non gli impediva di ascoltare la radio quando c'era una partita di campionato o addirittura un'amichevole. Forse uno dei motivi per cui Daphne non aveva mai particolarmente amato quello sport era proprio per il fatto che ne sentiva parlare incessantemente: a casa, a scuola, per strada, ovunque si girava c'era sempre qualcuno che discuteva di tattiche, giocatori e partite memorabili. A parte l'insopportabile sovraesposizione, però, Daphne comunque non riusciva a trovare il benché minimo senso in quella disciplina. Inseguire pluffe, boccini e tirare bolidi le sembrava un'attività priva di logica e di fascino. Ma, come si suol dire, de gustibus non est disputandum. Tra l'altro, non solo aveva mai seguito con interesse le partite di Quidditch, ma non si era mai nemmeno seduta sugli spalti del campo della scuola. Preferiva starsene appartata, immersa nei suoi libri o nei suoi pensieri. Le urla e i boati degli studenti che rientravano a scuola dopo una partita le bastavano per sapere chi aveva vinto. Eppure, così facendo, si era preclusa la possibilità di vedere la sua amica giocare. E non andava bene. Nell'ultimo mese, infatti, dopo un attento esame di coscienza, si era resa conto di non esserle stata vicina come avrebbe dovuto. Per questo, si girò verso di lei e le sorrise, decisa a rimediare a quella mancaza a modo suo. «Lo farò venendoti a vedere alla prossima partita, però se è contro serpeverde non posso tradire la mia Casa, quindi tiferò silenziosamente per loro.» Prendeva scherzosamente la rivalità tra le Case, ma in fondo al suo cuore nutriva una segreta ambizione: vedere Serpeverde primeggiare in tutto. Dopo due anni di cocenti sconfitte, sia nelle classifiche scolastiche che nel campionato di Quidditch, l'idea vincere non le dispiaceva affatto, anzi. Era una questione di orgoglio, di rivalsa, di dimostrare che anche Serpeverde aveva la stoffa per eccellere. E poi, Daphne, che a breve sarebbe tornata a gareggiare a livello agonistico, non aveva certo perso la sua proverbiale competitività. «Paziente, dici? Forse anche troppo a volte.» La guardò con la coda dell'occhio, scrutandola attentamente. Le parole di Daphne, seppur velate, erano un chiaro riferimento a David, quel soggetto privo di cervello che Halley frequentava. Le aveva detto cosa ne pensava a riguardo, senza mezzi termini, ma non le aveva mai imposto il suo parere; era dell' opinione che nessuno avesse il diritto di dire ad un altro come vivere la propria vita. E poi Halley era abbastanza grande e matura da scegliere per sé. Tuttavia, questo non significava che non si preoccupasse per la sua amica. Anzi, lo faceva eccome. Vedeva come David la trattava, con sufficienza e disattenzione, e come la sua autostima ne risentisse giorno dopo giorno. A tempo debito, infatti, quel troglodita di un Harris avrebbe avuto ciò che meritava. Ad avere delle preoccupazioni circa la relazione dell'altra, però, non era solo lei. La mora, infatti, aveva commentato negativamente il suo bisogno e la sua dipendenza da Hunter. Eppure, per quanto dall'esterno potesse sembrare sbagliato, Daphne non aveva intenzione di cambiare proprio niente. Perché non voleva. Era una questione di chimica, di attrazione irresistibile, di amore. Hunter la capiva come nessun altro, la completava in un modo che non aveva mai sperimentato prima. Ma non per questo, avrebbe perso la sua individualità. Era consapevole di chi era, di cosa desiderava dalla vita e di quali fossero i suoi compiti. «Questo mai, sono sempre io.» Lo disse anche a voce alta. “Scegli di vivere questa specie di dipendenza?” Puntò i suoi occhi azzurri in quelli smerdalini della grifondoro. Non c'era ombra di dubbio nella sua espressione, solo una ferrea determinazione che confermava la sua scelta consapevole e voluta che aveva fatto. «Sì, perché è nata naturalmente. E se deve finire, lo farà allo stesso modo.» Lei non avrebbe forzato nulla. Sarebbe stata la loro relazione a mutare, a plasmarsi in base a ciò che sarebbe accaduto, in base ai sentimenti e agli eventi che, nel tempo, si sarebbero susseguiti. L'unica cosa di cui era certa era che non lo avrebbe mai lasciato andare.«Può sembrare strano, ma a me fa stare molto bene.» Quando era con lui, era in pace con se stessa. Poteva ridere liberamente, esprimere le sue opinioni senza timore di essere giudicata, mostrare le sue fragilità senza vergogna. E questo era qualcosa che raramente accadeva. «Questo, però, non vuol dire che non ci sarò per te o che la nostra amiciza non sia importante. È mia intenzione essere più presente.» Forse era la prima volta, da quando si conoscevano, che Daphne si esponeva in quel modo. Il suo vissuto l'aveva portata ad erigere un muro di ghiaccio attorno a sé, una corazza che la proteggeva dal dolore e dalla delusione. E, in fondo, era sempre stata così: una donna indipendente e solitaria, abituata a cavarsela da sola. Però, ora che stava lentamente riprendendo a fidarsi degli altri, era necessario che si aprisse un po' in più. Tra l'altro, lei e Halley erano quasi nemiche di infanzia e questo, in qualche modo, la diceva lunga sul tempo passato insieme. «Visto che i nostri impegni sono tanti» La prese sottobraccio e le sorrise sorniona, mentre camminavano per i corridoi, controllando che nessuno osasse infrangere il coprifuoco. « che ne dici un pigiama party una volta alla settimana, io e te, dopo la ronda?» Hunter le sarebbe mancato da morire. Ormai era abituata a dormire ogni notte con lui, al suo calore, al suo profumo, al suo respiro che scandiva il ritmo della notte dopo aver fatto l'amore. Ma non era una mancanza insormontabile perché, tanto, si sarebbero rivisti il giorno dopo. «Abbastanza.» Era chiaro a tutti che Halley non era più la stessa. La sua vivacità era stata offuscata da un'ombra di tristezza e la colpa era da attribuire principalmente a quell'imbecille di David Harris, con il suo comportamento arrogante e crudele. Ma anche l'omicidio della professoressa Lovecraft aveva contribuito al malessere della sua amica, così come a quello degli altri studenti. Era così abituata alla morte, che spesso dimenticava che per le persone che avevano avuto una vita diversa dalla sua, vedere un cadavere non era la normalità. In realtà, nemmeno gliene importava più di tanto, gli altri non erano niente per lei. Solo alcuni lo erano. Fine. «Come stai adesso? La verità però.» La guardò diritto negli occhi, decisa.
    Ripresero a camminare normalmente, mentre il discorso scivolava su un terreno decisamente più ostico: quello delle loro madri. Halley sapeva che tra Daphne e quella stronza non correva buon sangue. Era un argomento spinoso, pieno di dolore e rancore, che entrambe evitavano di affrontare se non strettamente necessario. «Vuole tenermi sotto controllo» Il suo sguardo era ora vuoto e privo di emozione. Fissava un punto fisso in lontananza, come se la sua anima fosse stata strappata via dal suo corpo. Era freddo, senza calore, proprio come Micheal Harris lo aveva descritto qualche mese fa. «per scoprire quali ricordi ho recuperato. Sai, anni fa me ne ha cancellati tanti,» Fin troppi forse. Grazie al quel maledetto potere, però, ora erano ritornati quasi tutti. «Se la senti, dille solo di fare attenzione a mia madre. Quella donna ne sa una più del diavolo.» Ellen possedeva un Demiguise, una creatura magica dalle capacità inestimabili. Se ne serviva per scrutare il futuro, per anticipare le mosse dei suoi avversari e per difendersi da chiunque rappresentasse una minaccia ai suoi piani. Era uno strumento prezioso, un vantaggio inestimabile nella sua scalata verso il potere. Se fosse anche riuscita a soggiogare una veggente, una in grado di vedere il passato e il futuro con una chiarezza che andava ben oltre le capacità di un Demiguise, sarebbero stati guai seri. Soprattutto se la veggente in questione era una del calibro di Seira. «Vai da lui allora, cosa ti ferma?» Se aveva un genitore su cui fare affidamento e che le mancava, perché non vederlo? Era certa che Jason sarebbe stato contento di vedere sua figlia. E il mio, cosa vuole da me? Non poté fare a meno di chiederselo. Le scriveva ogni mese e cercava di capire come stava tramite Charles. I suoi, però, erano tentativi inutili. Daphne non avrebbe mai potuto perdonarlo, anche se sapeva che era colpa di sua madre se non aveva mai avuto un padre. Tuttavia, per necessità, doveva farlo. «Anche io ho bisogno di vedere il mio, devo capire se, come me, ha recuperato parte della memoria.» Non fece il nome di chi gliel'aveva cancellata, perché il suo nome aleggiava nell'aria: Ellen Blackwood.



    Edited by Daphne. - 6/4/2024, 00:13
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    daphne «Magari sarà questo il nostro anno. Potremmo anche innalzare due coppe, chi può dirlo.» Scrollò le spalle e un sorriso malizioso si dipinse sul suo viso. Non aveva idea di come sarebbe andata la stagione di Quidditch, quello era un campo imprevedibile, ma la Coppa delle Case era un'altra storia. In quel momento i Serpeverde erano in testa alla classifica e, da quando Daphne si era trasferita a Hogwarts - quasi tre anni prima - era la prima volta che succedeva. Di solito erano sempre gli ultimi, a causa di certi idioti che, con la loro maleducazione verso i professori e la loro irresponsabilità nel contravvenire alle regole, si facevano regolarmente detrarre punti preziosi. Tra l'altro, la loro intelligenza lasciava davvero a desiderare: si facevano beccare oltre il coprifuoco con una frequenza imbarazzante. Durante le ronde, Daphne aveva perso il conto di quante volte si era ritrovata a redarguire gli stessi idioti. Alla terza infrazione, però, aveva inflitto loro la giusta punizione, nonché la sottrazione di cinque o dieci punti. Era il minimo che potesse fare. A parte questi spiacevoli inconvenienti, era davvero felice di vedere la sua Casa in testa alla classifica proprio nell'anno in cui era diventata Caposcuola. Era una soddisfazione immensa, non c'è che dire. Apparentemente non solo per lei, ma anche per i suoi genitori; sua madre, in particolare, non aveva perso tempo e, non appena ne aveva avuto l'occasione, le aveva inviato una lettera. Le sue parole non lasciavano spazio a dubbi: non si aspettava niente di meno dalla figlia che, con tanta fatica, aveva cresciuto. Che donna odiosa. Ma da lei, se lo aspettava. Da suo padre no. Aleksander, infatti, contro ogni previsione, si era complimentato con lei per il suo rendimento scolastico e per i risultati che aveva ottenuto. Non lo aveva mai fatto prima. Eppure, dopo il loro breve incontro in estate, qualcosa in lui sembrava essere cambiato. Forse stava davvero recuperando la memoria? Così sembrava. Prima della fine dell'anno scolastico sarebbe dovuta tornare in Norvegia. Da sola. Casualmente, con Michael Harris stava parlando proprio della sua terra natale. «Decisamente, ma ci sono abituata. In compenso ci sono dei paesaggi da mozzare il fiato.» Sorrise nostalgica. L'immensità dei fiordi ghiacciati, le montagne innevate che si specchiavano nelle acque cristalline, le foreste di abeti che si estendevano a perdita d'occhio: era un panorama che le toglieva il fiato. E poi, in tutta onestà, il clima ostile della Norvegia le era mancato in più di un'occasione. Le bufere di neve, il vento gelido che spazzava le coste, il sole che tardava a sorgere e si affrettava a tramontare: tutto questo, che all'apparenza poteva sembrare inospitale, per lei era casa.« E poi odio l'estate: fa troppo caldo e ci sono troppi insetti.» I vestiti si attaccavano addosso a causa del sudore, i capelli si sporcavano prima, il trucco colava e gli insetti, quegli esseri immondi, uscivano dalle loro tane per andare liberamente in giro ad infastidire la gente con la loro presenza. Esplorando i boschi nei pressi del suo maniero si era, in qualche modo, abituata alla presenza di quelle creature quasi per esigenza: ragni, formiche, vermi e molti altri facevano parte dell'ecosistema del bosco. Ma c'era una categoria di insetti che -ancora -mal sopportava: quelli dotati di ali. Vespe e calabroni soprattutto.« Del Bronx,eh?» Lo osservò con la coda dell'occhio. «Di tuo fratello l'avrei detto, di te no. Siete molto diversi.» Commentò con voce neturale. Era quasi certa di non essere la prima ad avergli detto quelle cose, perché era la realtà oggettiva dei fatti. Se non fosse stato per il cognome, nessuno dall'esterno avrebbe mai creduto che quei due condividessero lo stesso patrimonio genetico. "Erano davvero stati cresciuti dagli stessi genitori?" Quella era la domanda che si poneva quasi tutta la scuola. I membri di quella famiglia erano alquanto famosi, ma non in modo positivo. Il maggiore, in particolare, era noto per i suoi scandali, le sue liti furibonde e la sua stupidità. Ed il motivo per il quale Michael era qui. «Capisco.» Non aggiunse altro. Daphne non era solita impiccarsi degli affari altrui, in particolare con chi non conosceva bene, e poi il serpeverde non le sembrava il tipo da andare a raccontare i dettagli della sua vita alla prima che capitava. Forse, anche per questo, non si aspettò il commento sarcastico che ne seguì, al quale rispose con la massima disinvoltura. «Non penso. Per quanto mi riguarda credo sia meglio affrontare i propri demoni che scappare.» I loro sguardi si incrociarono. Il silenzio, carico di parole non dette, pesava nell'aria. C'era tensione, ma non era ostile, solo...strana. Il gelo che emanava da quel ragazzo, era forse nato dalle stesse sofferenze che tormentavano il suo cuore? Era troppo presto per dirlo.
    «Da un lato sì, ma se sei troppo empatico,no.» Daphne non era incline all'empatia; erano poche le persone per le quali si preoccupava. Del resto, come le aveva insegnato sua madre, l'utilità di decifrare i sentimenti degli altri si limitava al raggiungimento di un obiettivo ben preciso, una sorta di strumento da sfruttare a proprio vantaggio. «Grace Johnson, giusto? La conosco perché è amica di Halley. Mi sembra una ragazza molto allegra e alla mano.» Nonostante i loro rari scambi di parole, Grace le era apparsa come una persona estroversa, allegra e socievole, sia dalle sue osservazioni che dai racconti di Halley. Anche Hunter ne parlava in questo modo, confermando la sua natura vivace e socievole. I due ragazzi si ritrovavano spesso in biblioteca per delle ripetizioni di Pozione e Erbologia. La sua relazione con Michael poi era di dominio pubblico, conosciuta da quasi tutti gli studenti della scuola. «Freya, sì. Per colpa sua il mio gufo è ingrassato di tre kili.» Scosse il capo, un sospiro sfuggì dalle sue labbra. Quella stupida scommessa... Aveva perso, e come da patto, per un po' aveva lasciato che rimpinzasse Alec di cibo nella speranza che, prima o poi, si sarebbe stufata. Ma niente. Avrebbe dovuto portare il Alec alla guferia: il rischio che diventasse obeso e non potesse più volare era alto. «Allora non hai una vita noiosa, Harris!» Anche perché avere a che fare con quel soggetto di David era tutto un dire. “Ma, se posso permettermi, sembri reduce di un funerale.” Al suono di quelle parole, Daphne si voltò verso il suo interlocutore, i suoi occhi di ghiaccio che lo fissavano attentamente. Il suo viso era disteso, quasi sereno, se non fosse stato per il sopracciglio destro, leggermente sollevato. In realtà, era tranquilla. Nessun turbamento agitava il suo animo in quel momento. «Perché pensi questo? Sono curiosa adesso.» Ruotò il busto di tre quarti, rivolgendo la sua attenzione a Michael.Lo studiò attentamente, notando che la sua espressione non era migliore della sua. In generale, con quell'atteggiamento da "statemi lontano", non poteva di certo definirsi l'epitema della socialità. Tutt'altro. Eppure, proprio lui, così simile a lei, aveva pronunciato quelle parole. La sua curiosità era ormai accesa: voleva conoscere il suo punto di vista.

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    Edited by Daphne. - 6/4/2024, 00:10
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    daphne
    L'unica forma di protezione che Daphne aveva conosciuto era quella di sua nonna. La percezione di essere protetta da ogni male del mondo era la sua unica certezza, costruita e consolidata negli anni. Eppure, la cruda realtà si era scagliata contro di lei come un fulmine a ciel sereno, sgretolando il castello di illusioni in cui viveva. La donna che considerava il suo porto sicuro si era rivelata un'ombra gelida, un'assassina a sangue freddo che aveva tradito la sua fiducia in modo efferato. Come poteva una persona che aveva le mani sporche di sangue provare amore? Come poteva una tale oscurità generare calore e affetto? Ellen, ad esempio, non ne era in grado: incapace di provare empatia, non aveva mai offerto a Daphne neanche un briciolo di affetto, lasciandola sola ad affrontare le sue cadute e le sue ferite, fisiche ed emotive. Per lei, ogni debolezza mostrata era uno spettacolo pietoso. Ancora vividamente impressi nella sua mente, i gelidi occhi di sua madre la fissavano con un giudizio spietato. La voce, priva di ogni emozione, le ordinava di smettere di piangere e di darsi un contengno. Al contrario, sua nonna la abbracciava e la rassicurava. Le dava conforto. Un falso confronto. Per lo meno, sua madre non aveva mai nascosto la sua natura spietata; chi l'aveva ingannata spudoratamente, creando un'immagine distorta di sé che ora giaceva in frantumi ai suoi piedi, era stata Ginevra. Eppure, nonostante il rancore che provava, non poteva negare che le bugie di sua nonna, per quanto orribili, l'avessero salvata da quell'abisso oscuro in cui era destinata a cadere. Era grazie a lei se aveva conosciuto l'amore, se aveva imparato a credere nella bellezza di un sentimento puro. Se non fosse stato per le sue menzogne, forse non si sarebbe mai trovata lì, in Francia, con il ragazzo che amava a credere alle sue parole. A credere che, come lei, volesse proteggerla da chiunque avesse provato a farle del male.
    Inclinò la testa di lato per far aderire la guancia al palmo della sua mano e chiuse leggermente gli occhi per godere appieno di quel contatto. Poi, senza esitare, gli confessò che sarebbe stata la persona più importante della sua vita. Era arrivata ad punto in cui, dopo di lui, non avrebbe potuto esserci nessun altro.«Non vado da nessuna parte, Hunter. Sono scappata solo una volta da te, ora non ne sarei in grado.» Lo strinse forte contro di sé mentre gli accarezzava i capelli alla base della nuca e e gli lasciava una scia di delicati baci sul collo. Rimase in quell'abbraccio rassicurante per dei lunghi istanti, quasi in trance, incapace di staccarsi da quel corpo che, ormai, conosceva a memoria. Dopo un po', si sforzò di lasciarlo andare per seguirlo verso quel luogo che tanto ci teneva a mostrarle. Seduti fianco a fianco, a pochi passi da un laghetto increspato dal vento, Hunter le raccontò della sua infanzia. L'attirò verso di sé passandole un braccio intorno spalle, al che Daphne, di rimando, poggiò il mento sulla sua spalla e, in un gesto spontaneo, sporse il viso in avanti, sfregando la punta del naso contro la sua quando si voltò a guardarla. «Con le persone che ami no, non penso.» Gli spostò un riccio ribelle dietro l'orecchio che insisteva a cadere sulla sua fronte, e si chinò verso di lui per baciargli dolcemente le labbra. «Però con la maggior parte sei freddo, quasi indifferente. Lo sei stato anche con i tuoi nonni qualche mese fa, ma ne avevi tutte le ragioni.» Daphne era abituata al calore di Hunter, non alla sua freddezza. Per questo, quando aveva assunto un atteggiamento così freddo e distaccato nei confronti dei suoi nonni, era rimasta sorpesa. Non avrebbe mai desiderato, nemmeno per un attimo, trovarsi al loro posto, o in quello di chiunque altro. Il suo unico desiderio era che Hunter continuasse ad amarla eternamente, che solo con lei fosse diverso perché, del resto del mondo, non gliene importava niente. «Meglio per me. Così nessuna prova a toccarti o a flirtare con te e io evito di fare la stronza.»Era un lato di sé che raramente emergeva, solitamente tenuto a bada con fermezza. Ma se una qualsiasi ragazza avesse osato oltrepassare il limite con il suo ragazzo, non si sarebbe fatta scrupoli. Sorrise sorniona prima di prendergli il viso tra le mani e baciarlo. Gli schiuse le labbra con la lingua, che affondò in profondità nella sua bocca, mentre godeva di quel sapore di cui mai si sarebbe privata. Quando non ebbe più fiato, si staccò ansimando leggermente. Poggiò la fronte contro la sua, e poi seguirono parole sussurrate, atte a non disturbare la quiete e la magia di quel luogo. «Lo farò anche io, anche se ho già recuperato parte dei ricordi che mia madre mi ha cancellato, compreso il giorno in cui è morto Ludde. Ma questo lo sai.» Fantasmi di morte, odio e terrore riaffioravano nella sua mente, ricordi che sperava di seppellire per sempre. Ad Hunter aveva raccontato della morte del fratello, ma taciuto i dettagli. Rivelarli avrebbe significato svelare la vera identità di sua madre, un segreto che non era ancora pronta a condividere. In quel momento, però, voleva solo dimenticare e perdersi nel presente. Così si abbandonò completamente, lasciandosi cadere su di lui mentre giacevano distesi sull'erba. «No, dimmelo tu quanto...» Gli sussurrò, prima di leccargli il labbro inferiore e baciarlo, lasciando scivolare la lingua contro la sua. Mosse con lentenzza il bacino contro il suo, consapevole di quanto la desiderasse e di quanto lei desiderasse lui. Per questo non si fermò, continuò a baciarlo con foga, mentre sentiva le sue mani posarsi su di lei. Le sue, invece, si infilarono sotto il maglione di lui, accarezzandogli la schiena con gesti languidi. Hunter non le dava tregua: la sua lingua calda esplorava ogni angolo della sua bocca, mozzandole il respiro. Daphne rispose con la stessa intensità, sospriando pesantemente mentre il suo corpo, scosso da brividi di piacere, tremava. Arcuò il collo per dargli maggiore accesso quando iniziò a succhiare la pelle sensibile che, presto, si sarebbe arrossata. La testimonianza del suo possesso. Chiuse gli occhi, abbandonandosi al piacere, e strinse con forza i suoi capelli tra le dita, quasi a volerlo ancorare a sé. Poco dopo, senza indugio, Hunter tornò ad assalire le sue labbra morndendole e leccandole, prima di schiuderle per perdersi in un bacio pieno e profondo. Il cappotto era ormai scomparso e istintivamente, inarcò la schiena quando le sue mani, guidate da un desiderio incontrollabile, sfiorarono il suo seno attraverso la sottile barriera del maglione. Le loro intimità si sfiorarono di nuovo, e gli abiti divennero un fastidio insopportabile. A quel punto, Daphne lo spogliò con gesti veloci, rivelando un torso candido solcato da sottili venature che non esitò a baciare, mordere, leccare. Con rapidi gesti, gli slacciò i pantaloni e scese sempre più in basso, seguendo la linea del suo corpo. La sua bocca si aprì per accoglierlo, desiderosa di dargli piacere, di dettare lei il ritmo di quell'abbandono reciproco. Lo sentì ansimare, pronunciare il suo nome a denti stretti e poi gemere quando raggiunse l'apice. Era caldo e famigliare. Risalì poi con dolcezza, lo guardò e poi lo baciò, affondando con irruenza la lingua nella sua bocca. Era talmente persa in lui che a stento si accorse della smaterializzazione che ebbe luogo. Adesso erano sul suo letto e lei a calvalcioni sopra di lui. Il maglione che ancora indossava finì per terra, le sue mani, guidate da un desiderio incontrollabile, si posarono su di lei, esplorando ogni centimetro di pelle; le labbra scesero lasciando una scia umida sul mento, sul petto, passando fra i seni per poi schiudersi ad accogliere il capezzolo sinistro, che morse e succhiò. Daphne gemette, gli strinse con forza i capelli e inarcò la schiena, invitandolo a proseguire, a esplorare il suo corpo con maggiore audacia. Con la mano libera, prese la sua e la guidò verso l'altro seno, in modo che il pollice toccasse il capezzolo ormai turgido. Venne poi sostituito dalla sua bocca, dai denti che esercitarono una piacevole pressione in quel punto delicato, mentre l'altro, già sensibile, era torturato dalle sue dita esperte. I gemiti di Daphne continuavano a riecheggiare in quella stanza avvolta in tonalità di blu. Quasi con irruenza, la distese sul materasso e si posizionò sopra di lei, lasciando che il suo corpo la sovrastasse. Si morse il labbro inferiore, socchiudendo languidamente gli occhi quando, finalmente, percepì il calore della sua pelle contro la sua. Gli cinse la vita con le gambe, attirandolo a sé, gli circondò le spalle con le braccia e prese a baciarlo di nuovo. Lo costrinse a schiudere ulteriorlmente le labbra, mentre la sua lingua scivolava contro la sua, in un languido intrecciarsi che non faceva altro che aumentare il bisogno di perdesi in lui. Lo desiderava con ogni fibra del suo essere. Stava perdendo il controllo. E anche lui. Lo capì dai movimenti del suo corpo, dal respiro affannato, dall' eccitazione che premeva contro la sua gamba, dall'irruenza con cui insinuò le dita nella sua bocca, che leccò e le morse appena. Per rispondere alle sue richieste, invece, mosse ripetutamente il bacino in avanti e passò la lingua calda sulle sue labbra non appena ne ebbe l'occasione. Provò, poi, ad articolare una frase di senso compiuto, ma il sapore inebriante che invase la sua bocca rese vano ogni sforzo. E poi, quelle stesse dita, affondarono in profondità dentro di lei. Fu costretta a staccarsi dalle sue labbra e a gettare il capo all'indietro. «Hunter...» Fu un gemito di puro piacere. Non sto capendo più niente, sento solo lui. Voglio solo lui. I suoi occhi languidi si posarono nuovamente su di lui, le labbra, gonfie per i troppi baci, erano appena dischiuse, la pelle era arrosata e segnata. Il bacino ondeggiava insistentemente in avanti,
    in perfetta armonia con il ritmo scandito dalle sue dita. Ma non era sufficiente. Voleva di più. E così diede voce al suo desiderio. «Voglio sentirti fino a dimenticare il mio nome.» Con un gioco di gambe lo attirò a sé, intrappolandolo in un abbraccio soffocante. La sua schiena si inarcò, schiacciando quasi dolorosamente il seno contro il suo petto; un altro gemito sfuggì dalle sue labbra, in un suono carico di desiderio e resa. «Voglio che affondi in me senza controllo alcuno mentre mi baci fino a non farmi respirare.» Avvicinò al suo, in un movimento lento e carico di tensione. La punta del suo naso sfiorò delicatamente la sua pelle, passando dalla fronte alla guancia, poi la sua lingua tracciò un percorso delicato sulla mascella, lasciando dietro di sé un'ombra di umidità e il desiderio di un bacio. Un urlo soffocato le salì alla gola mentre le sue dita, con un'irruenza quasi selvaggia, continuarono ad affondare in lei .Un desiderio impellente di ricambiare il contatto la spinse a muoversi, ma Hunter la teneva ferma, i suoi polsi bloccati in una morsa decisa.Frustrata, alzò la gamba, lasciando che la sua morbidezza sfiorasse, con una delicatezza quasi reverenziale, la sua intimità. E la stessa delicatezza si riversò nella sua voce quando, a distanza di pochi istanti, parlò con le labbra poggiate alle sue. «E voglio, e mi piace, quando dici che mi ami e che sono tua.» Sorrise. Poi, senza indugiare oltre, Daphne gli schiuse le labbra e lasciò che la sua lingua si insinuasse nella sua bocca nell' attesa che, finalmente, la facesse sua.



    Edited by Daphne. - 11/4/2024, 19:52
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    daphne
    L'infanzia di Daphne era stata plasmata da un rigido codice di condotta, instillato in lei fin dalla tenera età. Il rispetto delle regole e la puntualità erano principi inviolabili, non solo per il decoro della nobile famiglia Blackwood, ma anche per alimentare l'immagine di perfezione che sua madre tanto bramava. Far attendere qualcuno era considerato un'onta, una macchia sulla reputazione impeccabile che lei, in quanto erede, avrebbe dovuto mantere. Ogni aspetto della sua vita era governato da questa rigida educazione. Le sue giornate erano scandite da orari precisi, dai pasti alle attività, alle lezioni di etichetta. La spontaneità era un lusso che non le era concesso, sacrificata sull'altare della perfezione. Ciò l'aveva resa una giovane donna precisa, ordinata e quasi ossessivamente puntuale. Al contrario, la famiglia di suo padre era decisamente meno rigida sotto questo aspetto. Tuttavia, Daphne non aveva trascorso con loro abbastanza tempo da assimilarne appieno la filosofia di vita. Ellen l'aveva completamente monopolizzata. Se aveva acquisito un pizzico di flessibilità, lo doveva senza dubbio a quella bugiarda di sua nonna. Anche Hogwarts aveva contribuito a scioglierla sotto diversi punti di vista: l'interazione con studenti provenienti da diverse realtà e con differenti personalità aveva ampliato i suoi orizzonti e le aveva fatto conoscere modi di vivere alternativi. Perciò, se ad un appuntamento o, come in questo caso, durante una ronda, qualcuno tardava, Daphne non stroceva più il naso.Sorrise, invece, quando scorse Halley arrivare di corsa alla sua destra. Le si avvicinò con passo leggero, spostando una ciocca di capelli dietro l'orecchio con un gesto delicato e e le disse di non preoccuparsi per quel leggero ritardo. «Sì. Che poi oggi avevi anche gli allenamenti, no?» Da quando era diventata capitano della squadra dei rosso-oro e prefetto, gli impegni di Halley erano aumentati considerevolmente. La vita scolastica di chi, come loro, ricopriva delle cariche era frenetica, un vortice di lezioni, allenamenti, ronde e compiti che lasciava poco spazio al tempo libero. Tra l'altro, i G.U.F.O. incombevano, e la pressione per ottenere il massimo dei voti in ogni materia si faceva sentire. «Sai che il Quidditch mi annoia, a stento vedo una parita, però ricordo che le selezioni sono molto dure e che spesso le nuove reclute durano meno di un mese.»Quelle informazioni le erano state fornite da suo cugino, che tempo addietro era stato il capitano dei Corvi nel ruolo di cercatore. La sua stanza era un tripudio di premi vinti e foto di quando era studente. Perché, alla fine, avesse poi deciso di dedicarsi alla musica rimaneva un mistero. «Oppure scappano dalla "tiranna"?» Mimando le virgolette con le dita, la serpevede prese in giro la sua amica.Il soprannome era diventato di uso comune per la severità con cui Halley si approcciava agli allenamenti, pretendendo il massimo da ogni membro della sua squadra. E i risultati le davano ragione: l'anno scorso, sotto la sua guida ferrea, i Grifondoro avevano conquistato la vittoria del campionato. Le Serpi, al contrario, avevano collezionato una serie di sconfitte, piazzandosi ultime sia nel campionato che nella Coppa delle Case. Quest'anno, però, Daphne era determinata a vincerla quella dannata Coppa, per questo era diventata ancora più severa. Delle volte, però, chiudeva un occhio con chi non rispttava le regole, perché sapeva che molti le avrebbero comunque trasgredite. Che non si facessero beccare, almeno!
    «No, e poi perché avresti bisogno di esserlo?» Si voltò a guardarla con un'espressione calma in viso. La conosceva da tempo e sapeva che dietro quell'affermazione apparentemente casuale si nascondeva ben altro. Il suo sospetto fu confermato dalle parole che Halley pronunciò in seguito. Dopo la lezione di Trasfigurazione, Hunter le aveva riferito del loro scambio di battute e di alcuni commenti che, se veritieri, le erano sembrati intrisi di un sarcasmo eccessivo. Lei, quando le aveva palesato il suo dissenso nei confronti del suo attuale ragazzo, David troglodita Harris, aveva usato ben altri modi proprio perché erano amiche. Ed era ancora per questo motivo che, con tranquillità, rispose alla sua domanda. «Forse, ma a me sta bene così, fintanto che è una mia scelta.» In questa relazione di reciproca dipendenza, Daphne assecondava con piacere il suo bisogno di averlo vicino e di sentirlo costantemente, poiché era ciò che desiderava anche lei. Era consapevole, tuttavia, che la frequenza degli incontri con la Wheeler si era diradata ultimamente. Non era solo colpa del tempo che dedicava al suo ragazzo, ma anche dei mille impegni che gravavano su entrambe. Tra l'altro, la mora aveva anche iniziato a lavorare e ciò complicava ulteriormente le cose. La colpa, però, ricadeva in parte anche su di lei, pertanto non esitò a porgerle le sue scuse. «Mi dispiace se ci siamo viste di meno negli ultimi tempi, dobbiamo assolutamente recuperare il tempo perso! Sai che ci tengo alla nostra amicizia.» Ammorbidì i tratti del viso e le sorrise mentre perlustravano il corridoio. Ammettere i propri errori non era un problema per Daphne, e l'amicizia con la mora era importante per lei. Avevano vissuto tante esperienze insieme, sia belle che brutte, avevano fatto un viaggio e si erano confidate. Mesi prima, le aveva confidato il suo amore per Hunter, addirittura prima di confessarlo a lui stesso. Se non si fosse fidata di lei, non avrebbe mai trovato il coraggio di aprirsi .La possibilità, quindi, che Halley tornasse a usare l'ironia pungente tipica di quando non erano affatto in buoni rapporti, non era piacevole per Daphne. Non era nel suo stile essere così velenosa con le sue amiche, ma se le avessero dato motivo di esserlo, non si sarebbe certo fatta scrupoli.«Mi fa davvero piacere sentirlo. Ultimamente non sembravi neache più tu.»Era dimagrita considerevolmente, e i suoi occhi erano perennemente velati di tristezza. Per di più l'omicidio della veggente all'interno del castello non aveva certo migliorato la sua situazione, anzi, l'aveva solo aggravata. E conoscendo sua madre, era certa che le aveva impartito l'ordine di tornare a casa, proprio come aveva fatto la sua. «Mia madre mi ha gentilemente chiesto di andare a vivere con lei dopo quello che è successo.» La sua voce era intrisa di una sottile ironia quando pronunciò la parola "gentilmente", certa che la sua amica, con la sua perspicacia, avrebbe colto la sfumatura. «E io l'ho educatamente mandata a quel paese. Anche a te è capitata la stessa cosa?» Ellen, nella sua lettera, le aveva scritto di aver parlato con Seira, informandola del fato che entrambe erano d'accordo sul ritiro da scuola delle proprie figlie. Il crescente interesse di quella donna verso una veggente esperta la insospettiva. C'era qualcosa di losco sotto. Ma cosa?



    Edited by Daphne. - 6/4/2024, 00:13
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    Lasciò che Hunter le accarezzasse i capelli per lenire la sua preoccupazione, ma Daphne era decisa a portarlo in infermeria dopo la fine della lezione. Non si fidava di quella stanchezza improvvisa e anche se l'infermiera non avesse trovato nulla di preoccupante, la serpeverde era determinata ad andare in fondo alla questione. Era davvero una coincidenza che entrambi avessero dimenticato un periodo della loro vita? Oppure le due cose erano, in qualche modo, collegate? Erano sempre di più le domande a cui avrebbe dovuto rispondere. Tutto questo era a causa della sua disfunzionale famiglia che l' aveva imprigionata in una rete di menzogne e di inganni che soffocava ogni barlume di normalità e di quella del suo ragazzo che, a quanto pareva, aveva fatto lo stesso. Prima di entrare in classe lo guardò. Era il suo confidente, la sua anima gemella, lo amava al punto tale da esserne quasi ossessionata. Ma stare con lei non l'avrebbe condotto verso una fine certa? Sua madre era una donna pericolosa. Una strega potente e senza scrupoli, che non esitava a sacrificare chiunque per ottenere ciò che voleva. E Daphne sapeva che il corvonero sarebbe stato tra i primi. Perché voleva la sua sottomissione. Odio quella donna tanto quanto amo Hunter. Chiuse gli occhi e strinse le labbra in una linea sottile. Un giorno avrebbe dovuto fare una scelta.
    «Sì, solo un leggero giramento di testa per la trasfigurazione.» Sorrise cordialmente al grifondoro e dopo aver bevuto un sorso d'acqua fresca che le rinfrescò la gola, si accinse a svolgere l'esercizio con rinnovata determinazione. Si concentrò intensamente, pronunciando poi l'incantesimo con voce decisa. Un bagliore avvolse Roy e, quando la luce si dissipò, l'esito della trasfigurazione fu svelato: il grifondoro giaceva a pancia in giù, con delle zampe nere e pelose al posto dei suoi arti umani. In un primo momento, il disgusto per quelle zampe la fece indietreggiare di un passo. Un brivido di repulsione le percorse la schiena, facendole arricciare il naso. Odiava gli insetti, con il loro corpo viscido e le zampe pelose. L'idea di averne uno così vicino a sé le provocava un senso di nausea. Era una fobia che la tormentava fin da bambina. E ora, questa stessa fobia stava ostacolando il suo percorso da strega. Si rese conto, infatti, che non era riuscita a castare perfettamente l'incantesimo e per questo si risentì. Sapeva che la trasfigurazione umana era un campo difficile, pieno di insidie e imprevisti. Ma la sua ambizione di voler essere perfetta in tutto, in particolare nell'ambito scolastico, la rendeva intollerante al fallimento. Eppure sul suo volto nessun segno di turbamento era visibile. Non era da Daphne cedere alle emozioni in pubblico, a meno che una pianta velenosa non avesse offuscato il suo giudizio. «Meglio un membro dei Beatles, meno responsabilità.» Conosceva quel famoso gruppo babbano grazie a sua nonna che, di tanto in tanto, metteva la loro musica. La donna, che possedeva un gusto musicale raffinato, amava far ascoltare alla nipote le loro canzoni durante i pomeriggi trascorsi insieme. Le melodie accattivanti e i testi profondi avevano subito conquistato il cuore di Ginvera, che da allora aveva sviluppato una vera e propria passione per la musica. Forse era proprio per questo che possedeva una cultura musicale così ampia. Aveva ascoltato di tutto, dai classici ai moderni, dai generi più disparati, nutrendo il suo animo con le vibrazioni di ogni nota. E proprio questa passione, sua nonna gliel'aveva trasmessa. Era stata lei a farle scoprire la bellezza del pianoforte e del violino, due strumenti che Daphne ora suonava con maestria. Le venne quasi da ridere. Era davvero un paradosso: sua nonna, che aveva contribuito alla caccia ai babbani, ascoltava con passione la loro musica. Patetica.
    La professoressa si avvicinò, rivolgendole il suo solito sorriso rassicurante. Daphne rispose con un sorriso di circostanza, trattenendo a stento la frustrazione che le serrava il petto. Stringere i pugni sarebbe stato un tradimento del suo impeccabile contegno. Uno sguardo fugace attorno alla sala le confermò che la sua disavventura non era un caso isolato: la maggior parte delle trasfigurazioni era andata a buon fine. Con la seconda prova, però, Daphne avrebbe avuto la certezza di non fallire. Ascoltò attentamente la spiegazione della Lynch prima di prendere tra le mani il coniglietto bianco quest'ultima le porse. Lo posò delicatamente sulla sedia dove si era seduta e lo osservò con attenzione: al posto delle delicate zampette, due chele di granchio sporgevano goffamente, con le loro pinze arrugginite che si aprivano e chiudevano nervosamente. Era un po' buffo, su questo non vi era alcun dubbio. Con rinnovata fiducia, Daphne si concentrò a fondo, chiudendo gli occhi per meglio visualizzare l'obiettivo. Al posto delle chele di granchio che deturpavano le delicate zampe del coniglietto, immaginò due morbide zampette ricoperte di un folto pelo bianco. Ripercorse mentalmente il movimento che avrebbe dovuto fare per scagliare l'incantesimo Reparifarge: un gesto fluido e preciso, dalla spalla al polso, accompagnato dalla giusta concentrazione e dalla pronuncia impeccabile delle parole magiche. Tutto doveva essere perfetto, non c'era spazio per errori. Inspirò profondamente e aprì gli occhi. Il coniglietto la fissava con i suoi occhi rosa, quasi implorando il suo aiuto. A quel punto, Daphne allungò il braccio davanti a sé, la bacchetta stretta saldamente nella mano. Con un movimento fluido, tracciò un semicerchio nell'aria, una U morbida e con voce ferma e decisa, pronunciò il controincantesimo: «Reparifarge!» La luce avvolse il coniglietto come un mantello caldo e rassicurante, illuminando la stanza di un bagliore soffuso. Un sorriso di soddisfazione illuminò il viso di Daphne quando la luce si dissolse. Le zampette del coniglietto erano tornate alla loro naturale bellezza, e lei si sentiva finalmente orgogliosa di sé. Con un pizzico di ambizione negli occhi, Daphne pensò agli incantesimi appresi a lezione. Sapeva che con un po' di esercizio sarebbe riuscita a controllarli alla perfezione.



    Daphne Andersen, V anno, serpeverde

    Citato Hunter e interagito con Roy.
    Si rende conto che l'incanto non è andato a buon fine e se ne risente. Non lo mostra e passa avanti, mostrandosi serena. Prede tra le mani il coniglietto, lo poggia su una sedia e dopo essersi concetrata scaglia l'incatesimo. Questa volta riesce.
    Il nasto che avevo era viola e.e


    Edited by Daphne. - 28/2/2024, 21:27
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    Ciao! Non temere capisco bene lo stress dello studio, ma basta pensare che prima o poi finirà e.e
    Curiosa di vedere che pg porterai!
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    Dopo l'omicidio della Lovecraft, la tensione era palpabile e le risse tra le Case, soprattutto tra i più piccoli, rischiavano di esplodere da un momento all'altro. Nonostante questo il loro appuntamento di domani pomeriggio non sarebbe saltato. «No, Hunter. In Infermeria ci passiamo.» Il tono deciso con cui pronunciò quelle parole non ammetteva repliche. Ce lo avrebbe trascinato se necessario. I suoi sospetti su ciò che tormentava la mente di Hunter crescevano ogni giorno di più, e se c'era un modo per evitargli le sue stesse sofferenze, lo avrebbe trovato. «Sono preoccupata per te.» Addolcì lo sguardo e inclinò il viso di lato quando gli spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Poi si alzò sulle punte e gli diede un bacio sulla guancia prima di entrare in classe e iniziare la lezione. Sarebbero tornati sull'argomento più tardi.
    Concluso il lavoro di annotazione e la discussione in classe, Daphne si accinse ad alzarsi per raggiungere il grifondoro con cui avrebbe fatto coppia. Tuttavia, sentendo lo sguardo del suo ragazzo su di sé, si voltò e incontrò un paio di occhi verdi intenti ad osservarla. Sapeva che avrebbe preferito lavorare con lei, ma non era possibile. Gli sorrise rassicurante mentre si alzava dalla sedia e, prima di raggiungere Roy, allungò la mano verso quella di Hunter per stringerla velocemente. «Buon lavoro anche a te.» Gli sussurrò di rimando. Poi, con brevi falcate, si posizionò davanti a Roy che fu il primo a scagliare l'incantesimo: il suo corpo si contorse e si deformò, assumendo le sembianze di un furetto albino. Il piccolo animale, con fare furtivo, si nascose sotto una sedia, osservando con attenzione la figura umana che aveva davanti. Era davvero strana...D'un tratto, la magia si dissipò e la sua coscienza umana riemerse. La professoressa l'aveva riportata alla sua forma originaria. Si alzò con cautela, facendo attenzione a non sbattere la testa contro la sedia sotto cui si era nascosta poco prima. Un leggero mal di testa le pulsava alle tempie, ma si sentiva meglio di quanto si aspettasse. Il suo corpo era ancora instabile, e un senso di vertigine le offuscava la vista, ma con un leggero sorriso si rimise in piedi con fare elegante grazie anche all'aiuto della docente che le aveva porto la mano. La ringraziò con un cenno del capo e si guardò intorno, cercando di riprendere confidenza con l'aula che le era sembrata improvvisamente estranea. Daphne sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di mettere a fuoco i dettagli che le apparivano sfocati. Come consigliato dalla professoressa Lynch, prese un bicchiere d'acqua e bevve lentamente. L'acqua fresca le scivolò giù per la gola, rinfrescandola e donandole un senso di sollievo. Dopo aver posato il bicchiere su un tavolo lì vicino, si appoggiò allo schienale di una sedia, proprio quella su cui si era seduta all'inizio della lezione. Si sentiva decisamente meglio. Socchiuse gli occhi per un attimo, immaginando le sensazioni che un Animagus poteva provare durante la trasformazione. Il brivido di eccitazione all'idea di assumere una forma diversa, il senso di libertà e di potere che derivava dal un controllo totale del proprio corpo. Se avesse deciso di intraprendere quel difficile percorso - diventare Animagus- Daphne avrebbe acquisito un controllo non solo della sua mente, ma anche del suo corpo. Due aspetti che per lei erano di fondamentale importanza. Anche perché, sommersa dagli eventi recenti, il controllo che con così tanta fatica aveva perseguito, sembrava esserle sfuggito di mano. Era giunto il momento di riconquistarlo. Nel mentre, si esercitò per l'incanto che doveva lanciare: l'Entomorphis. Fece, pertanto, ruotare il polso due volte in senso orario e ripeté il movimento tre volte per fissarlo bene nella mente. Considerando il suo disgusto naturale per gli insetti, trasformare Roy in uno scarafaggi9o non era certo il massimo. Infatti, se fosse riuscita a realizzare una trasfigurazione completa al primo tentativo, come lui, avrebbe dovuto trattenere a fatica l'impulso di schiantare il nauseabondo insetto che le sarebbe apparso davanti. Tuttavia, l'esito dell'incantesimo era più importante della sua repulsione. Era una delle migliori del suo anno in quella materia, e non era un caso se da tempo ambiva a diventare assistente. La Trasfigurazione, però, era un'arte magica complessa, e il risultato non era mai scontato per cui avrebbe anche potuto fallire. Non restava che provare. Si avvicinò , quindi, al grifondoro mettendosi davanti a lui. «Bel lavoro prima. Adesso vediamo se riesco a fare lo stesso e a trasformarti in un orripilante scarafaggio.» A stento trattenne una smorfia di disgusto al pensiero di quell'insetto minuscolo e ripugnante. Sei zampe, antenne marroni o nere... a cosa servivano creature così ripugnanti? A niente. Pregò silenziosamente per la loro estinzione. Ma ora non era il momento di lasciarsi distrarre da inutili pensieri, bisognava concentrarsi e focalizzare la mente sull'obiettivo da raggiungere. Chiuse gli occhi e si immaginò l'Entomorphis prendere vita. Visualizzò ogni dettaglio del processo, dalla luce che avrebbe avvolto Roy al suo corpo che si sarebbe contorto e trasformato, alle ossa che si sarebbero compresse e allungate e alla pelle si sarebbe ispessita e ricoperta di chitina, una corazza lucida e resistente. Al posto dei quattro arti umani, immaginò sei zampe robuste e artigliate, pronte a scavare e a scalare. Sulla sua testa, invece, due antenne, simili a sottili frustini, che si muovevano freneticamente esplorando l'aria per sentire gli odori. La concentrazione era totale, il suo essere era completamente immerso nell'incantesimo. Con un movimento fluido, roteò il polso due volte in senso orario e con voce decisa pronunciò: «Entomorphis!» La sua voce le risuonò nelle orecchie, mentre la bacchetta diventava un tutt'uno con la sua mano. Un bagliore avvolse il corpo del ragazzo e, per un istante, il tempo sembrò sospendersi in un silenzio irreale. Almeno per lei. Poi, il bagliore si attenuò, rivelando l'esito dell'incantesimo che sperò essere positivo.



    Daphne Andersen, V anno, serpeverde
    Interagisce con Hunter e Roy.
    Dopo essere tornata umana, beve il bicchiere d'acqua come consigliato dalla prof e si esercita con l'incanto che deve lanciare. Quando è pronta, raggiunge Roy, allontana il suo disgusto per gli insetti e si concentra. Poi scaglia decisa l'incantesimo.


    Entomorphis su Roy: 2
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    • Inviato il
      19/2/2024, 23:40
      Daphne.
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    L'angoscia serpeggiava tra le mura del castello come un'edera velenosa dopo la terribile scoperta avvenuta la sera della Vigilia: un assassino si aggirava furtivo tra loro. Il terrore attanagliava non solo i professori, ma anche gli studenti e le loro famiglie. Daphne, che per anni aveva vissuto sotto lo stesso tetto di un'assassina – sua madre – conosceva meglio di chiunque altro la fredda brutalità di cui era capace un animo omicida. Era stata testimone della sua ferocia, della sua capacità di spezzare vite senza il minimo rimorso. Proprio come aveva fatto con Ginevra e Ludde. Forse era per questo che la tragedia di quella notte non l'aveva sconvolta più di tanto. Dopo aver visto morire suo fratello e aver trascorso ore a fissare il suo cadavere galleggiare sull'acqua in stato di shock, niente avrebbe più potuto turbarla allo stesso modo. Inoltre, Ellen le aveva fatto capire, non troppo velatamente, che nel momento stesso in cui non le fosse più stata utile, l'avrebbe eliminata senza esitazione. Per lei, Daphne era solo una marionetta come tutte le altre, forse un po' più speciale. E le marionette, si sa, prima o poi dovevano essere sacrificate. Per questo motivo, avrebbe dovuto mandarla all'altro mondo per prima. Più facile a dirsi che a farsi. Alle parole di Hunter rispose con un rassegnato cenno del capo prima di posare le labbra sulle sue e baciarlo. Dopodiché lo prese per mano, intrecciando le dita alle sue, per dirigersi insieme verso l'aula di Trasfigurazione. «Quando hai finito di leggerlo prestamelo.» A parte Storia di Hogwarts, un libro che trovava noioso e ripetitivo, Daphne aveva gusti simili a quelli del suo ragazzo. Spesso si faceva consigliare o prestare libri da lui, da bravo Corvonero qual era. «Possiamo andare domani pomeriggio sul tardi.» Un'ora libera per andare ad Hogsmeade poteva ritagliarla. Gli impegni erano tanti, ma con un po' di organizzazione tutto era possibile. Tra l'altro, non le dispiaceva affatto passare del tempo con lui; anzi, era una necessità a cui doveva sopperire. Eppure, nonostante dormissero insieme tutte le notti, Daphne si era accorta solo ora dei suoi occhi leggermente arrossati e della stanchezza evidente sul suo viso dovuta al mancato riposo. Non aveva avuto incubi, né si era mai svegliato di soprassalto durante la notte. Quindi a cosa era dovuto tutto questo? «Strano.» Commentò ad alta voce. «Dopo ti accompagno in Infermeria.» Da quando il suo potere si era manifestato, Daphne aveva dedicato molto tempo allo studio del mentalismo e della mente umana in generale, cercando di capire come controllarlo al meglio. Hunter, con la sua mente, aveva un rapporto particolare e, da alcune cose che le aveva raccontato, aveva iniziato a nutrire dei sospetti. Una cosa era certa: sulla base di ciò che le aveva confidato in Francia, i suoi ricordi erano stati rimossi o modificati da qualcuno. Probabilmente da sua madre. Forse era proprio questo il motivo della sua stanchezza: un continuo sforzo inconscio per ricordare frammenti di un passato perduto. Oppure, chissà, poteva essere il risultato di un trauma psicologico causato da quell'evento misterioso. Avrebbe approfondito la questione in seguito. Si sporse in avanti per dargli un bacio all'angolo delle labbra e poi entrano in classe. Sorrise ad Halley quando le mimò che andava tutto bene e si sedette su una sedia con un nastro viola.
    Prese appunti diligentemente, anche quelli relativi alla domanda che aveva posto alla docente. Un Animagus che decideva volontariamente di permanere nella sua forma animale per scappare da qualcuno era qualcosa che, dal canto suo, poteva ben capire. Non aveva mai pensato di acquisire quella particolare abilità, ma forse, in futuro, avrebbe potuto esserle utile. Nel mentre, seguendo le indicazioni della docente, si apprestò a raggiungere il Grifondoro con il quale avrebbe svolto l'esercizio: Roy Hargraves. Prima, però, sfiorò impercettibilmente la mano di Hunter in un tocco leggero di silenziosa complicità. Si posizionò poi davanti a Roy, un ragazzo che conosceva solo di vista. Si scambiavano al massimo qualche saluto, quindi non lo si poteva certo definire un amico. Tuttavia, gli rivolse un sorriso cordiale come era solita fare con tutti. «Ti ringrazio per il complimento. Cominciamo pure.» Disse con voce calma, invitandolo a iniziare l'esercizio. Il grifondoro alzò la bacchetta e pronunciò la formula: una morbida pelliccia bianca, iniziò a ricoprirla, sostituendo la sua pelle umana. Le sue mani si assottigliarono, trasformandosi in zampe delicate con piccoli artigli affilati adatti per arrampicarsi e correre con agilità. La sua schiena si allungò, flessibile come una molla, e una coda folta e soffice spuntò dalla sua base, ondeggiando con grazia. Il processo di trasformazione era completo: Daphne era stata tramutata in un furetto albino alto 40 centimetri. I suoi occhi, ora di un colore rosso intenso, si adattarono gradualmente alla nuova luce. La vista, seppur non eccezionale, le permetteva di distinguere forme e colori. Si guardò attorno, spaesata. D'un tratto, un raggio di sole, che filtrava dalle vetrate del castello, la colpì direttamente, facendole chiudere gli occhi per un attimo. Il suo istinto di animale la spinse a cercare rifugio sotto una sedia, dove l'ombra le offriva un po' di sollievo e di sicurezza. Da quella posizione, osservava con cautela la strana figura umana che le stava davanti. Non era in grado di riconoscerlo, la sua mente di furetto non era in grado di elaborare ricordi e informazioni come la sua controparte umana. Decise, quindi, di tenersi alla larga.



    Daphne Andersen, V anno, serpeverde
    Interagisce con Hunter e Roy direttamente. Citata Halley.
    Dopo essere entrata in classe, si separa da Hunter e prende appunti. In seguito, seguendo le direttive della proffa, va da Roy. Dopo che è stata trasformata in un furetto, scappa sotto una sedia.
  13. .
    daphne
    Hunter l'aveva colpita fin dall'inizio: la sua gentilezza, il suo comportamento da gentiluomo e la sua premura verso di lei l'avevano conquistata completamente, creando un legame emotivo e fisico di profonda dipendenza. Dietro la sua apparente apatia, si nascondeva un ragazzo che sentiva i sentimenti in modo diverso dagli altri, ma non per questo meno intensamente. Daphne sapeva quanto potesse essere intenso: lo era quando la guardava, la sfiorava, la baciava. Lo era quando affondava in lei e le diceva che l'amava. In quei momenti era chiaro quanto la desiderasse; la sua pelle diafana, macchiata di rosso dai segni del suo possesso, era la prova inconfutabile della sua brama di possederla completamente. E lei, incapace di resistere, non poteva far altro che cedere a quel bisogno spasmodico di possederlo nello stesso modo. Non si era mai sentita poco desiderata, poco considerata o trascurata, al contrario, Hunter la riempiva di attenzioni, era sempre presente nella sua vita ed era diventato la sua costante. Tuttavia, a volte, l'irrazionalità scaturita dall'amarlo così tanto e un'insicurezza nata dalla paura di essersi esposta completamente con una persona, la portavano a fare pensieri stupidi, come quello che aveva appena esternato. Eppure, il suo ragazzo, invece di cambiare discorso o minimizzare, l'ascoltava e la supportava facendola sentire amata. Era arrivato persino a dire di essere freddo, delle volte, cosa non vera. Scosse, infatti, il capo dinnanzi a quelle parole mentre, con delicatezza, gli accarezzava i capelli alla base della nuca. «Forse con gli altri, ma con me mai.» Sussurrò con voce morbida, le labbra a sfiorare le sue. «Non ho mai pensato fossi freddo anzi, ti ho sempre trovato intenso, Hunter.» Gli spostò un riccio dietro l'orecchio e, senza esitare, insinuò la lingua nella sua bocca e lo baciò con passione. Rispose con la medesima foga, togliendole il respiro per il modo intenso e sensuale con cui faceva scivolare la lingua contro la sua. Dov'era la freddezza di cui parlava? Non c'era traccia di quell'aggettivo in questo bacio, non quando le stava divorando le labbra in quel modo. Dopo un po', quando non ebbe più fiato, si staccò e gli prese il labbro inferiore tra i denti, socchiudendo gli occhi. «Non lo farò.» In tutta risposta, gli sfiorò la guancia destra con la punta del naso e, quando raggiunse l'incavo tra il collo e la spalla, lo morse con leggera violenza, succhiando finché la pelle non divenne rossa e turgida. Leccò il punto in cui lo aveva morso e tornò a posare lo sguardo su di lui. «Vediamo se ci riesci.» Sorrise maliziosa prima di ricambiare il suo bacio. Ah, non ne aveva mai abbastanza di avere il suo sapore in bocca.
    Dopo quel momento intenso, si lasciò condurre nel luogo che voleva mostrale, stringendogli la mano con un sorriso appena accennato. Le piaceva quel lato di lui, più aperto e vulnerabile, che si svelava raccontando del suo passato, un passato che lei non conosceva. Lo ascoltò in silenzio, accarezzandogli il dorso della mano con il pollice. Il contatto con la sua pelle, seppur minimo, era per lei una necessità irrinunciabile. Tuttavia, quando l'argomento di conversazione divenne sua madre, quasi smise di farlo. Il suo sguardo, dapprima caldo e accogliente, divenne gelido. Con voce atona, Daphne non esitò ad esprimere il suo odio nei confronti non solo di quella donna, ma di chiunque avesse osato fargli del male. «Per me non è sprecare tempo. Non voglio che nessuno ti ferisca in alcun modo, soprattutto tua madre.» Perché so il dolore che si prova. Il trauma che deriva da quella fiducia spezzata era difficile da superare. Il fatto che non fosse mai riuscita, prima di adesso, a fidarsi di qualcuno era a causa di quella donna. Per qualche istante, il suo corpo si irrigidì, pertanto si avvicinò ancor di più a quello di Hunter per assorbirne il calore e rilassarsi. Davvero, l'idea che qualcuno, in qualche modo, potesse provare a portarglielo via le faceva rabbia. E Daphne era una persona che non si arrabbiava spesso però, quando succedeva, era un problema. Perché diventata la copia sputata di quella stronza di sua madre. Dopo qualche attimo, poggiò il mento sulla sua spalla e sporse in avanti il viso, sfiorando il suo collo con un bacio leggero. Le sue labbra poi si schiusero e le parole uscirono dure, cariche di significato: «Ha pagato il prezzo per ciò che ha fatto.» Le bugie, la manipolazione, il dolore inflitto ai suoi figli... che razza di madre era? Semplicemente non lo era, proprio come Ellen. «Se per lei non sei stato la cosa più importante, lo sarai sempre per me.» Sigillò la promessa con un bacio sulle labbra, poi strinse a sé con una forza che quasi le tolse il respiro. Il torace premuto contro il seno le faceva male, ma andava bene così. Aveva necessità di averlo vicino. Passò le mani sui muscoli contratti, lo sentiva rigido contro il suo corpo. Volse leggermente il capo e con bacio leggero, quasi impercettibile, gli sfiorò la pelle ruvida e pizzicata dal freddo. Poi un altro, e un altro ancora, una scia di baci che scendeva lungo il collo, un tocco morbido per tranquillizzare il suo animo inquieto. Il tutto mentre le sue dita si infilarono nei suoi capelli morbidi, accarezzandoli con dolcezza. Sfregò poi la punta del naso contro il lobo del suo orecchio e regolarizzò il suo respiro: adesso era lento e controllato, in sincronia con il battito del suo cuore. Hunter avrebbe potuto sentirlo pulsare contro il suo petto; i loro corpi erano pressati l'un l'altro e il suo ritmo lo avrebbe aiutato a non pensare a nient'altro che a lei. «Io non ti lascio.» Non seppe perché, ma sentì il bisogno di farglielo sapere. Forse lo aveva fatto perché, in passato, anche lei era fuggita da lui dopo il loro primo bacio. Non era un caso se nei primi mesi Hunter aveva avuto il timore che potesse farlo di nuovo. Pertanto, anche se ormai, adesso, era una presenza fissa nella sua vita, lo rassicurò. Quando lo lasciò andare, gli sorrise dolcemente e chiuse gli occhi quando la baciò. Ripresero a camminare e, una volta giunti a destinazione, Hunter le raccontò della sua infanzia, una che, tutto sommato, poteva dirsi felice grazie a sua sorella. «Non ti credo. Non lo avresti fatto perché le vuoi troppo bene, ormai ti conosco come le mie tasche.» Gli tirò un boccolo con fare scherzoso prima di dargli un bacio sul mento. «Quando ricordi qualcosa, promettimi che me lo dirai.» Puntò i suoi occhi azzurri nei suoi, seria. Voleva capire in che modo quella donna avesse giocato con la sua mente. Possibile anche i suoi ricordi fossero stati rimossi? Chiuse con occhi e stese e le labbra in una linea sottile, era tutto assurdo. Hunter doveva aver percepito il suo cambio di umore perché, dopo averle schizzato dell'acqua in faccia, la prese per i fianchi per tirarsela addosso e baciarla. Affondò la lingua nella sua bocca e Daphne gemette, arrendevole, schiudendo ancora di più le labbra per rendere il bacio più pieno e profondo mentre, con entrambe le mani, gli tenne fermo il viso per continuare ad assaporalo in quel modo. Quando si staccò, gli leccò il labbro inferiore, quello superiore e poi fece lo stesso con le sue, di labbra, per godere ancora di più di quel sapore famigliare. «Nessuno. Basta che anche io sia la tua, di ossessione.» Ogni fibra del suo essere doveva bramare solo lei, con un'intensità che non ammetteva distrazioni, che cancellava ogni altra priorità. Il suo corpo doveva anelare al suo tocco, doveva farlo in modo ossessivo. Come faceva il suo. Chiuse gli occhi, succhiando il pollice e, decisa, spinse il bacino in avanti mentre Hunter esplorava ogni angolo della sua bocca. Sentì la sua intimità sfiorare la sua e l'eccitazione che quel contatto le provocò, inumidì la carne laddove era più sensibile, celata tra le coscia tremanti. Le mani scivolarono sul suo corpo, sotto il suo maglione mentre la lingua assaporava la sua pelle calda. Le dita si poggiarono poco più sopra la cintura dei pantaloni, scesero e poi si fermano su di essa, senza fare altro. Questa volta fu lei a mettere fine a quel momento di passione, preferendo appoggiare il viso sul suo petto. Per un attimo, ci fu solo silenzio, poi i palmi aperti delle sue mani finirono sul suo fondoschiena, costringendo il suo corpo a risalire e le loro intimità a toccarsi attraverso quei fastidiosi strati di vestiti. Con occhi languidi, Daphne osservò il viso del suo ragazzo e sorrise. Proprio quello che voleva ottenere. «Non fa niente.» Sussurrò. Mosse il bacino contro il suo, tentando di andare incontro ad ognuno di quegli affondi, ma i vestiti che ancora, entrambi, indossavano ne limitavano i movimenti. «Forse.» Senza dire altro, schiuse le labbra e lasciò che Hunter insinuasse la lingua nella sua bocca, baciandola con irruenza. Nel mentre, le tenne fermo il bacino con una mano per non farla retrocedere nemmeno di un millimetro. Come se volessi. Daphne gemette, arcuandosi contro di lui e stringendo le gambe contro la sua vita. Lo prese per il colletto del maglione e lo tirò verso di sé senza mai smettere di baciarlo. Dio, non sapeva che un bacio potesse essere così intenso e profondo. Le sembrò di tornare a respirare dopo essere quasi annegata nel suo sapore quando si staccò, solo per ritrovarsi a sospirare pesantemente quando le morse il collo. «Ci sono riuscita?» Lo provocò, sfregando la punta del naso contro la sua. Un gesto delicato in quel turbine di passione. Si lasciò togliere il cappotto e sganciare il ferretto del reggiseno, poi si smise a sedere sopra di lui privandolo del contatto con la sua pelle. Gli sfilò il cappotto mentre le dita, affusolate e morbide, si infilarono sotto il maglione: il tessuto scivolò via in un gesto fluido, rivelando un torso definito e solcato da venature che Daphne, con
    delicatezza, si accinse a baciare e leccare. Le mani corrono verso il basso per togliere il bottone dalle asole e abbassare la cerniera dei pantaloni che, insieme ai boxer, strattonò verso il basso. Si allontanò quel tanto che bastava per puntare le ginocchia tra le sue gambe, la lingua calda e umida tracciava una linea sinuosa dalla base del collo fino all'ombelico. Poi, senza esitazione, le sue labbra si schiusero per lui, accogliendolo nel calore della propria bocca con un primo - lento - movimento del capo. Lo lambì dolcemente poi, alternando movimenti veloci e lenti, continuò a muoversi con affondi sempre più profondi. I gemiti sommessi che uscivano dalle sue labbra erano un invito a continuare, pertanto Daphne, con una mano alla base della sua eccitazione e l'altra stretta alla sua, continuò a dargli piacere finché non raggiunse l'apice. Era caldo. Chiuse gli occhi e percepì un sapore diverso da quando lo baciava, più intenso, ma non per questo meno famigliare. Tutto di lui lo era. Solo allora si ritrasse e, con dolcezza, si posizionò sopra di lui, facendo aderire i loro corpi. Gli spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e gli diede un bacio sulla guancia, dandogli il tempo di riprendere fiato. Poi lo guardò. Le labbra schiuse, gli occhi socchiusi ricolmi di passione, le guance arrosate. Sotto di lei, sentiva il suo torace alzarsi e abbassarsi ad ogni respiro. Era dannatamente sensuale ed era suo. Solo suo. «Non riesco a fare a meno di te.»Senza indugiare oltre, si avventò sulle sue labbra e, di nuovo, lasciò scivolare la lingua contro la sua in un bacio ardente, cullato dalla fredda brezza invernale.



    Edited by Daphne. - 11/4/2024, 19:45
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    daphne
    Daphne era ancora amareggiata per la disastrosa performance dei Serpeverde dello scorso anno. Erano arrivati ultimi sia nel Quidditch che nella Coppa delle Case, e lei era delusa. Si era impegnata al massimo per la sua Casa, in particolare come Prefetto, sacrificando tempo e energie per rappresentarla al meglio, e si sentiva frustrata dal comportamento irresponsabile di alcuni suoi compagni, in particolare di idioti come David Harris e Harry Barnes. Era colpa di quei trogloditi se Serpeverde si era vista sottrarre punti preziosi che avrebbero potuto portarla alla vittoria. Barnes, per sua fortuna, era sparito nel nulla. David, invece, era ancora lì, una presenza fissa e fastidiosa tra le mura di Hogwarts. Come se non bastasse, era anche il fidanzato di Halley. Daphne non lo sopportava: per lei era un troglodita, un essere rozzo e maleducato con il quale non aveva nulla in comune. Quelli come lui, infatti, li aveva sempre guardati con indifferenza ma, per non dare un dispiacere alla sua amica, teneva per sé i suoi commenti negativi. A differenza del maggiore degli Harris, Micheal era un ragazzo educato, tranquillo e, in generale, non le aveva mai dato problemi. Forse era anche per questo che lo aveva invitato a rimanere e aveva intavolato una conversazione. Poggiò il mento sulle ginocchia piegate e osservò, o meglio studiò, le sue reazioni. Micheal sedeva rigidamente accanto a lei, gli occhi, freddi come i suoi, la guardavano di rimando. Le parlò con tono distaccato, quasi indifferente, esibendo un contegno che le ricordava molto il suo stesso modo di fare. Anche lui aveva una famiglia disfunzionale alle spalle? Probabile. Tenne per sé quella considerazione, preferendo parlare del più e del meno. Daphne, infatti, pur essendo più predisposta a raccontarsi e a fare amicizia rispetto al passato, era ancora una ragazza con dei confini ben definiti. Non si apriva facilmente con tutti, preferiva procedere con cautela e lo stesso sembrava valere per il suo concasato. «Avete fatto davvero così schifo? Il Quidditich mi annoia, quindi non ho visto nessuna partita, nemmeno le finali di campionato.» Fece spallucce e ammise senza problemi il suo parere negativo sullo sport più amato del Mondo Magico. Lo trovava noioso, prevedibile e decisamente troppo caotico, come il calcio babbano. Anche suo cugino John era un fanatico del Quidditch e tifava per i Falmouth Falcons. Non a caso, le cene da sua zia a Londra si trasformavano in un acceso dibattito sportivo, con John che urlava e gesticolava davanti al teleschermo con i suoi amici mentre lei e Hunter, con scarso entusiasmo, cercavano di seguire la conversazione. La musica era un'alternativa decisamente migliore. Malgrado ciò, Daphne aveva un bel rapporto con suo cugino ed era felice del legame che si era istaurato tra lui e Hunter. «Lo prendo come un complimento.»Sorrise cordiale. «Ma cosa te lo fa dire? I capelli biondi e gli occhi azzurri?» Oppure era il suo modo di muoversi, il suo distacco e la freddezza con cui si relazionava agli altri a farla sembrare una pattinatrice sul ghiaccio? Dopotutto, non era la prima persona che le diceva una cosa del genere. Del resto, la Norvegia, la terra dei ghiacci, era il suo luogo d'origine e quel paragone era diventato famigliare. «Sono cresciuta in Norvegia, ma sono tre anni che vivo qui Londra. A te cosa ha portato qui?» Suo fratello forse? O anche lui era scappato da un posto che non lo rendeva più felice? L'estate scorsa era tornata nella sua terra natale dopo quasi due anni di assenza. Lo aveva fatto per condividere con Hunter una parte del suo passato, un passato che, seppur amato, le aveva anche causato tanta sofferenza. Per questo motivo, per il momento, considerava l'Inghilterra la sua vera casa; e il merito non era di certo di quella stronza di sua madre, con cui i rapporti rimanevano tesi, ma per Hunter, che rappresentava ormai il suo porto sicuro. Un vento gelido iniziò a spirare, increspando le onde del lago nero, che si agitavano inquiete sotto la sua superficie. I capelli le si mossero all'indietro, accarezzati dal vento, e il suo sguardo gelido si posò per un attimo sull'orizzonte. La sua mente era calma, immersa in una quiete contemplativa. Forse quel silenzio prolungato aveva indotto Michael a pensare che fosse turbata da qualcosa. Con un lieve sorriso, scosse la testa e gli chiese, con tono pacato, il motivo per cui avesse tratto quella conclusione. «Capisco. Comunque no, non è successo niente. Sono solo tranquilla. Per quanto riguarda il non saper leggere le persone, pochi possono vantare di avere questa dote, dopotutto. » Dipendeva anche da chi avevi davanti. Lei, ad esempio, era abile nel celare le sue emozioni quindi, a meno che non si trovasse di fronte a un Legilimens, ben pochi erano in grado di comprenderla appieno. Lo stesso poteva dirsi per il ragazzo davanti a lei, che appariva controllato e inscrutabile. «Forse ti sembrano tutte uguali perché non c'è niente o nessuno che ti dia un po' di brio.» Commentò, spostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio con un gesto aggraziato. Era strano sentirgli dire quelle parole. Se ricordava bene, stava con Grace, una ragazza vivace e piena di vita, e suo fratello, quel demente, di certo non gli rendeva la vita facile. Anche i suoi giorni, prima di conoscere Hunter, erano tutti uguali, scanditi da una routine tranquilla ma noiosa. Questo, ovviamente, prima dell'arrivo di quella stronza. Ora i suoi giorni erano quasi un inferno, ma la presenza costante del suo ragazzo le impediva di precipitare completamente nell'oscurità. Quello era il vantaggio di amare una persona ed essere amata, in cambio, allo stesso modo. «Questo lo hai detto tu Harris, non io.» Lo guardò con la coda dell'occhio, cercando di attenuare la freddezza del suo sguardo. Più che depresso, il suo concasato le dava l'idea di essere una persona chiusa e introversa poco incline a socializzare.



    Edited by Daphne. - 6/4/2024, 00:10
  15. .
    Il freddo pungente del mattino pizzicava le guance di Daphne, ma lei non se ne curava. I capelli biondi, lisci e ordinati, le scivolavano sulle spalle, incorniciando un viso di porcellana che non tradiva alcuna emozione. Una maschera di perfezione, un'immagine di controllo che non ammetteva debolezze. Tra le mani stringeva con fermezza il libro di Trasfigurazione. La copertina di pelle consunta, un tempo di un rosso intenso, ora era sbiadita dal tempo e macchiata di inchiostro. Le pagine, ingiallite e fragili, portavano i segni di innumerevoli consultazioni, con annotazioni a margine scarabocchiate in una calligrafia minuta e precisa. La Trasfigurazione era un'arte magica affascinante, ma estremamente complessa, pertanto era necessario possedere una profonda conoscenza della teoria magica, una mente acuta e una mano ferma per poter eseguire correttamente gli incantesimi. Tra l'altro, era una delle materie che aveva scelto di sostenere per i G.U.F.O, nonché una delle sue preferite, pertanto prestava sempre particolare attenzione a lezione. La sua unica fonte di distrazione era il corvonero che la stava aspettando poco più avanti, intento a placare due studenti che stavano per accapigliarsi. Rivolse loro uno sguardo gelido, carico di disappunto e li superò, scuotendo leggermente il capo di fronte alla loro indecenza. Non appena i suoi occhi azzurri incontrano quelli verdi del suo ragazzo, la freddezza che li caratterizzava scomparve. Aumentò il passo, impaziente di raggiungerlo, e quando lo fece gli gettò le braccia al collo, posando le labbra sulle sue. Lo invitò a schiuderle dolcemente con la lingua per sentire il suo sapore caldo e famigliare. Quando lo fece, inclinò la testa di lato per approfondire il bacio e per godere di quel contatto così intimo. Dopo un po' si staccò e gli sorrise. «Hunter.» Pronunciò il suo nome a mo' di saluto, prima di dargli un altro delicato bacio sulle labbra. Poco dopo si allontanò a malincuore dal suo corpo e mise le dovute distanze, limitandosi a stringere la sua mano mentre, insieme, si apprestavano a raggiungere l'aula di Trasfigurazione. «Hai trovato il libro che ti serviva?» A causa di un fitto susseguirsi di lezioni, non avuto occasione di chiederglielo. Ora, l'ultima lezione della mattinata si profilava all'orizzonte, aprendo le porte a un pomeriggio libero da impegni. Un pomeriggio che, come sempre, avrebbe trascorso in sua compagnia. « Ultimamente sei sempre assonnato » Lo guardò con la coda dell'occhio e, notando un riccio fuori posto, allungò una mano per spostarglielo dietro l'orecchio. Quello era un gesto che metteva praticamente in atto da quando si erano conosciuti, ormai era diventata un'abitudine. Gli accarezzò la guancia con le dita e, esercitando un po' di pressione, lo fece voltare verso di lei. «c'è qualcosa che non ti fa dormire? Eppure non mi sembra.» Dormivano insieme sette giorni su sette, possibile che si forse accorta soltanto adesso della stanchezza che aveva sul viso? Doveva esserci e un elemento di disturbo nella sua mente, un pensiero ricorrente che gli impediva di riposare serenamente. Doveva solo capire cosa fosse. Tuttavia, non poteva farlo in quel momento, visto che erano ad un passo dal mettere piede in aula. Alcuni studenti erano già arrivati, tra cui Halley che la salutò con un ceno del capo. Daphne le sorrise appena, ricambiando il gesto e mimandole con le labbra un "come stai?" Salutò allo stesso modo anche Freya che, quel giorno, era diventato il supporto emotivo della sua amica. Poco dopo, accarezzò con il pollice il palmo della mano di Hunter e lo lasciò andare, sedendosi accanto a lui su una delle sedie poste al centro della classe, la quale si accorse essere dotata di un nastro viola. Poggiò a terra la tracolla e si munì di pergamena e piuma, usando le gambe come appoggio visto che i banchi erano stati posizionati ai lati della stanza.
    L'argomento del giorno era la trasfigurazione umana. Ascoltò con attenzione le risposte date dai compagni, annotando di tanto in tanto qualcosa. Come aveva detto la professoressa Lynch, non c'era da scherzare con quella particolare arte magica, soprattutto perché non esisteva un unico incanto o un unico movimento di bacchetta per valido per ogni singola trasfigurazione possibile. Al contrario, ogni incanto trasfiguratorio poteva essere usato per una miriade di trasfigurazioni. Raggiungere la perfezione molecolare non era cosa da poco. Alzò la mano e, quando le fu data la parole, ci tenne ad aggiungere un piccolo dettaglio. «A differenza degli Animagi che mantengono le loro facoltà umane in forma animale e possono tornare autonomamente al loro stadio originale, chi è stato trasfigurato avrà invece l'intelligenza della creatura in cui è stato trasformato. Pertanto la sua detrasfiguraizone dipenderà da un'altra persona. Ecco perché la trasfigurazione umana è così pericolosa.» Le sarebbe piaciuto trasfigurare sua madre in un lurido insetto da schiacciare con la suola delle scarpe. Quella era la fine che meritava. Peccato che non sarebbe stato così facile sbarazzarsi di quella donna che davvero ne sapeva una più del diavolo e sembrava avere nove vite come i gatti. «C'è mai stato un caso in cui un mago è rimasto per anni trasfigurato? E le conseguenze per un gesto simile da un punto di vista legale quali sono? » Daphne era abituata a soppesare ogni rischio prima di agire. Non si sarebbe mai lanciata in un'impresa avventata senza aver prima studiato ogni possibile conseguenza. Così,con un'aria di innocenza studiata, rivolse la sua domanda alla docente, nascondendo abilmente le sue vere intenzioni. L'unico che avrebbe potuto saperle era il suo ragazzo, al quale dedicò un sorriso per fargli capire che non c'era niente di cui preoccuparsi: per adesso non aveva alcuna intenzione di fare niente. Si stava solo informando.



    Daphne Andersen, V anno, serpeverde

    Interagisce con Hunter con cui va a lezione. Una volta arrivata saluta con un cenno del capo Halley ( le mima un come stai) e Freya. Si siede sulla sedia che ha un nastro viola, aggiunge qualcosa a quello che dicono gli altri e pone una domanda.


    Edited by Daphne. - 13/2/2024, 00:51
273 replies since 13/2/2022
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