Posts written by yourgrace.

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    grace
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    Shock, confusione, erano tante le reazioni e le sensazioni che quella rivelazione avrebbe dovuto provocarle, eppure, Grace percepiva uno strano senso di calma, di risolutezza. Ogni pezzo di quell’intricatissimo puzzle stava trovando il suo posto in quella vicenda e situazione che più di una volta le avevano tolto il sonno per l’agitazione per l’impasse in cui l’avevano costretta a vivere. Finalmente capiva, non tutto, chiaramente, ma gran parte di quel quadro della quale fino a quel momento aveva posseduto pochi e scarni indizi che il più delle volte potevano voler dire e rappresentare lo zero assoluto. Una ricerca spasmodica di quella che era la verità affidandosi a questo o quel commento, questo o quello sguardo, espressione, che il giovane enigmatico s’era lasciato sfuggire e soprattutto quanto le aveva raccontato il cugino che, sempre della stessa pasta per quell’aspetto, non aveva lasciato trasparire granché di più ma che le cui necessità lo avevano portato a doversi aprire seppur forzatamente poiché necessitava dell’aiuto della Grifondoro. Alla fine il loro era stato un dare-avere. Quello di Grace era stato un aiuto disinteressato, dettato unicamente dalla sua etica compassionevole e da quella moltitudine di caratteristiche che alla fin fine aveva portato il cappello parlante a smistarla – giustamente – tra i rosso-oro. Grace sentiva il bisogno di aiutare chi in difficoltà anche se, a trovarsi in difficoltà, era un omaccione la maggior parte del tempo fastidioso il cui passatempo sembrava fare il filo a qualsiasi essere vivente del genere umano la cui peculiarità principale era possedere la coppia di cromosomi “XX”. Fortunatamente però i loro incontri erano scemati ancor prima che il giovane Barnes potesse anche solo pensare di lasciarsi andare in quella direzione e la frequentazione cominciata con il di lui cugino aveva smorzato ogni possibile idea sul nascere. Non era lui l’interesse della biondina. Certo era che la sua scomparsa non aveva fatto altro che sollevare ulteriori ansie nella ragazza che aveva guardato al suo ragazzo, ai suoi silenzi e soprattutto alle sparizioni durante il corso dell’estate con maggiore apprensione nei riguardi di quel destino che se in certe occasioni pareva lì disteso davanti a loro, tornando a quella che era la brusca realtà Grace ne visualizzava le incertezze. Cosa celavano gli Harris-Barnes? Harry l’aveva aiutata unicamente a visualizzare la punta di quell’iceberg di guai. Alla fine, un’unione di piccoli punti che non avevano trovato la benché minima conferma provata ma che la Grifondoro aveva preso sostanzialmente per veri poiché il contrario non avrebbe avuto lo stesso senso compiuto. Doveva essere così. Doveva esserci del marcio, dell’oscuro in quella famiglia. Ma di quanta oscurità si parlasse, quello, non avrebbe potuto immaginarlo nemmeno lontanamente.
    Calma ma anche sgomento, crescente sgomento, presero il sopravvento mentre ascoltava avidamente ogni parola pronunciata dal Serpeverde non mancando di cogliere ed assorbire ogni singolo sguardo e micro-movimento lasciatosi sfuggire dal suo bel viso. Quella sincerità sarebbe stata frutto di un singolo momento che sarebbe stato difficile replicare, oppure, come sperava, il loro rapporto aveva finalmente raggiunto un ulteriore crescita scalando un ulteriore gradino che altro non avrebbe fatto che fortificare la loro unione? Osservò il suo viso, imprimendo quell’espressione, i suoi tratti.
    La Johnson aveva sempre trovato intriso di una tiepida malinconia il volto del biondo. Una tristezza appena accennata in quei lineamenti altrimenti algidi che difficilmente lasciavano trapelare una qualsivoglia informazione. Stoico nel suo silenzio che al più lasciava spazio ad una leggera aurea di giudizio in base all’inclinazione superba che potevano acquisire le sue sopracciglia. Ma lui non l’aveva mai guardata così, mai Michael Harris aveva posato il suo giudizio più cinico sulla piccola Johnson, anzi, scoprire d’aver attirato la sua attenzione in positivo tanto da chiedere la sua mano al ballo l’aveva lasciata di sasso. Senza poi non mancare di considerare la testardaggine con la quale s’era impuntato su di lei. Perché lei? Si domandava guardando a sé stessa come nulla di particolare che meritasse quel tipo d’attenzione poiché si vedeva normale, persino anonima, tralasciando invece quelle che erano le caratteristiche che il biondo più di tutti insieme ai suoi amici la vedevano come il centro di un piccolo universo di legami di cui lei era il sole che con le sue attenzioni scaldava e sanava quei piccoli pianeti altrimenti freddi dei loro traumi.
    «Si… Okay. Ma perché prendersela con te? Eri solo un bambino.» Aggrottò le sopracciglia. Non avrebbe mai potuto capire il perché e tantomeno giustificare David – non con quei pochi dati – per aver portato Michael allo strazio, allo sfinimento. Tutt’ora sembrava continuare a perpetrare atteggiamenti di quel tipo con chiunque e per gli argomenti più disparati. Le bastava pensare alle poche interazioni che aveva avuto con il moro per far rinvenire alla luce il fastidio ed il disagio suscitati dal Serpeverde. I due non erano chiaramente compatibili e, la Johnson, per evitare di snaturare sé stessa ed allo stesso tempo mettere in difficoltà i suoi cari preferiva svicolare da possibili incontri ravvicinati che includessero il ragazzo in questione.
    «È troppo comodo fargliele passare tutte solo perché ha avuto un’infanzia difficile. Tutti hanno dei problemi ma non per questo possono comportarsi da stronzi con chiunque» sentenziò ignorando per l’appunto la totalità dei fatti e, innocentemente, sottostimando quelle che erano le parole del ragazzo. Uccidere… era un’iperbole la sua, no? «Tu non sei stronzo» concluse in un filo di voce. Nella sua testa quell’ultima frase sarebbe dovuta uscire come un’affermazione del tutto convinta, poiché, lo pensava o almeno lo aveva sempre pensato fino a quel momento ma qualcosa in quel momento d’intimità, di confessioni, portò il suo tono a vacillare. Quanto conosceva davvero quel ragazzo? Michael gliel’aveva detto più volte, a più riprese, di quanto invece dovesse temerlo. Glielo aveva detto anche un attimo prima fino a che stavano litigando furiosamente. “Non sono il tuo bene”. Cominciava, poco alla volta, a capire di più ma ciononostante non era disposta a lasciarlo andare, non era disposta a perderlo ed il motivo lo aveva disperatamente urlato ad alta voce: lo amava. Lo amava di un amore bruciante, puro, che le rendeva necessaria la sua solida presenza e la sua calma. Lui era la sua roccia, il pianeta intorno alla quale voleva orbitare.
    «T-tuo padre?» Deglutì. Una nuova conferma a ciò che l’istinto le aveva suggerito. Le mani si strinsero più saldamente poco più su dei polsi percependo appena la medesima stretta del ragazzo. Allora lasciò che le dita scivolassero fino a congiungersi ed intrecciarsi con le mani di lui. Come poteva un padre ridurre un figlio in quello stato? Come?! Per un breve istante fu riconoscente a David per ciò che doveva aver fatto, rischiato. Quell’uomo era un folle! Da denuncia. Si strinse al petto del ragazzo ascoltando il battito del suo cuore, vivo e pulsante, che in qualche modo riuscì a mantenere saldi i suoi nervi. La paura di perderlo era sempre più palpabile, vera e non solo uno strisciante presentimento.
    Erano quelle stesse preoccupazioni che smarrivano lo sguardo della sua migliore amica? Anche lei sapeva? Era forse quello il motivo per la quale non riusciva a sopportare il fatto che frequentasse Michael? Perché non gliene aveva parlato? O forse anche lei era all’oscuro e David era semplicemente David? Le riusciva difficile pensare che non sapesse dopo tutto quel tempo seppur la loro relazione – dalle domande che le aveva rivolto quell’estate – non fosse, come dire, lineare.
    «Ma cosa vuole da voi? Siete solo dei ragazzi…» Per quanto fossero in procinto di diventare degli uomini fatti e finiti la realtà dei fatti era che erano dei ragazzini appena ventenni. Cosa poteva mai volere da loro? «P-perché non lo denunciate?» Domandò scostandosi dal suo petto per fissarlo in viso. Anche lui avrebbe riso sprezzante come aveva fatto suo cugino? Erano davvero così deboli le autorità? Sin dalle scuole babbane le avevano sempre riempito la testa con la bella favola della polizia, del loro ruolo nel rispetto dell’ordine e di quanto fosse importante rispettare la legge. Nel mondo magico si chiamavano diversamente ma il funzionamento era il medesimo con gli auror a fare rispettare quelle che erano le regole a protezione della civiltà ma possibile non fossero abbastanza? Possibile ci fossero persone in grado di scamparla aggirando quella legge? Quanto era ingenua e quanto si sentiva dannatamente impotente in quel momento. Così piccola, fragile, incapace di poter rappresentare un vero aiuto per il Serpeverde. Così inadatta esattamente come sua madre non perdeva occasione di sottolineare.
    Tirò su con il naso.
    «Con me saresti in costante pericolo. Se ti dovesse succedere qualche cosa, ne morirei!»
    «Non m’importa. Voglio stare con te!» Terribilmente immatura ma allo stesso tempo profondamente sincera. Voleva solo stare con lui e lui soltanto. Dividersi per questo era insensato poiché avrebbe continuato a pensarlo, a morire d’ansia senza conoscere come stesse. Avrebbe rischiato e non le sarebbe importato diversamente proprio perché lo amava. «Sono pronta a rischiare», qualsiasi cosa questo volesse dire. Allungò il braccio finendo per affondare le dita tra i capelli biondi del Serpeverde. «Sono testarda, ricordatelo» Abbozzò un sorriso cercando di stemperare la tensione di quell’attimo e successivamente lo ringraziò per quelle confidenze con la quale, finalmente, sarebbe riuscita a comprenderlo un po’ meglio. Intanto, attraverso le finestre a ribalta degli spogliatoi, il timido sole andava a nascondersi oltre le fronde degli alberi sancendo l’arrivo della sera sul castello di Hogwarts.
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    Salvare un amico da se stesso, il compito più arduo di tutti. Una passeggiata da equilibrista lungo un filo la cui altezza era proporzionale all’importanza del rapporto, all’intimità raggiunta dallo stesso. Più un’amicizia era stretta e più quel filo si faceva sottile aumentando il rischio della caduta il cui impatto avrebbe potenzialmente causato proprio la fine di quel legame. Così si sentiva la Grifondoro in quel preciso momento. S’allenava o meglio dire era costretta a fare l’equilibrista nel rapporto con i suoi amici più stretti e preziosi colpevoli, dal canto loro, d’avere, a suo giudizio, un pessimo metro di misura riguardo il prossimo e nello specifico proprio quel prossimo con la quale avevano ingaggiato una relazione. Sia la Wheeler che il Knox avevano perso la testa ma le controparti chiamate in causa erano quanto di più lontano dall’approvazione della loro giovane amica. Chi era il peggiore tra i due? Difficile a dirsi in quanto dalla propria, i due, avevano frecce ben appuntite nella propria faretra. Da un lato David Harris, il peggior essere umano che camminasse sulla terra. Abietto, piuttosto stupido e/o idiota sempre a suo giudizio e da quello che aveva avuto modo di vedere sul campo persino incompetente per non parlare di quanto fosse dannatamente quanto incredibilmente viscido, squallido. Il suo occhio si posava sulle ragazze radiografandole da cima a fondo e Grace avrebbe potuto giurarlo d’averlo visto leccarsi le labbra una volta. L’apoteosi del disgusto più totale. Cosa vi vedeva la sua amica in un malessere simile? La Johnson non sapeva proprio spiegarselo e quell’estate aveva tentato di far ragionare Halley ma, con una certa dose di rammarico e preoccupazione, aveva dovuto battere in ritirata constatando un fastidio nella compagna. Le piangeva il cuore a vederla così, inerme, l’ombra sbiadita di sé stessa e non più la fiera leonessa temuta da buona parte del castello. La “Tiranna” era stata soprannominata a causa della severa rigidità con la quale imbastiva e teneva gli allenamenti della sua squadra. Tutti e non uno di meno obbedivano al suo comando non osando nemmeno prendere in considerazione l’idea di trasgredirlo. Halley aveva saputo farsi rispettare e, nonostante il titolo non fosse ufficialmente suo, aveva preso ciò che era stato della squadra ricongiungendone i pezzi e mantenendola unita fino ad accompagnarla alla vittoria. Meritata. Senza dubbio! Ma chi era diventata ora quella donna? Non era più quella persona. La tiranna non c’era più e sia Grace che Nathan guardavano inermi a quella disperazione impressa su un così bel volto sciupato dalla tristezza. Cosa le stava succedendo? Chi ne era il responsabile? Per la Johnson la risposta era una ed una sola soltanto sulla quale avrebbe potuto serenamente adagiare la mano sul fuoco: non si sarebbe scottata e non grazie a quelle peculiarità che prima o poi avrebbero richiesto urgentemente la sua attenzione. Anche quello era un campo che premeva per essere sondato, forse persino alla svelta ma la giovane Grifondoro, complice l’età, possedeva ben altro ordine di priorità in testa in quel momento ed esse assumevano i contorni ben marcati di un biondino dagli occhi glaciali la cui casa d’appartenenza era la stessa di quella testa vuota che frequentava la Wheeler ma anche il Knox stesso. Oh sì! I grattacapi a quanto pareva non provenivano unicamente dalla capitana bensì ad aggiungersi vi era anche il compagno cacciatore che aveva deciso anche lui di lasciarsi lambire dalla perdizione rappresentata dalla bella Rain Scamander. Bella quanto quell’immagine di sé del tutto fastidiosa. Quella lingua biforcuta sempre pronta a frustare il prossimo scagliando sentenze a destra e a manca più o meno delicate ed il tutto senza lasciarsi sfiorare dal benché minimo scrupolo. Era oramai storia quel diverbio che avevano avuto alla lezione di Cura delle Creature Magiche del precedente anno scolastico. Lì la Scamander aveva concentrato le sue maligne attenzioni su una Corvonero le sue condizioni psicologiche piuttosto precarie erano conosciute dalla maggior parte degli abitanti del castello. Accanirsi contro di lei aveva mandato su tutte le furie la Johnson che non gliele aveva di certo mandate a dire. Come poteva adesso il suo migliore amico ammettere d’essersi preso una cotta per una persona tanto sgradevole? Tanto opportunista e sopra ogni cosa cattiva nel midollo? Grace non se ne capacitava. Nate era così buono, calmo e così infinitamente saggio mentre la Scamander distruggeva ogni cosa sotto il suo tocco.
    «Lo so, non è una persona con cui è facile avere a che fare» Le sopracciglia della bionda ebbero un’evidente flessione per quanto dalla sua bocca non fuoriuscì nemmeno un sospiro. Eloquente poi l’occhiata concentrata in un dettaglio ininfluente sulla divisa del ragazzo che ne palesava il pensiero alla successiva battuta: “oh se ne è accorto anche lui!” Almeno non era completamente andato, perso, invaghito e cieco davanti agli atteggiamenti da regina delle stronze della Serpeverde.
    «[...] Non è quello che sembra. C’è un motivo se fa così» poteva essere un giustificativo? Non troppo ai suoi occhi ma poiché l’amico le stava implorando pietà, con un sospiro, si arrese.
    «Se lo dici tu» bofonchiò non troppo convinta tuttavia cercando d’esortare quella sprezzante parte di sé nei riguardi della Serpeverde per fare più posto dando più luce ed attenzione a quella parte che invece voleva credere nella capacità di giudizio dell’amico. Voleva crederci, davvero, poiché Grace a Nathan voleva davvero bene e sapere che quel ragazzone pieno di qualità ma dall’animo timido, impicciato e malinconico fosse invece destinato a vedere quel suo sentimento infrangersi come una barchetta contro un iceberg la rendeva tremendamente irrequieta. Sperava di sbagliarsi, pregava di sbagliarsi. Merlino solo sapeva quanto bramasse di ricredersi e dar la ragione all’amico ma se così non fosse stato avrebbe battagliato per lui facendo quanto possibile per rendere difficile la vita della Scamander. Se pensava d’intimorirla si sbagliava di grosso! Avrebbe visto il fuoco dei Grifondoro... o anche solo le fiamme considerato quel problema che tarlava i limiti del suo conscio premendo per ricevere le giuste attenzioni. Non ora. Aveva altro a cui pensare.
    «Magari più sciolto di così!» Non poté fare a meno di scoppiare a ridere quando l’altro diede mostra di tutta l’incapacità con la quale non riusciva a ben gestire quella situazione che era involontariamente andata a crearsi con la Crain. Espirò. Una situazione certamente difficile ma a cui solo il tempo avrebbe davvero posto rimedio. Grace era convinta che la cotta della verde-argento sarebbe presto passata o, quantomeno, avrebbe perso d’intensità considerato tutto il contesto e chissà magari ben presto avrebbe volto le sue attenzioni verso qualcun altro di più disponibile. Lo sperava, come un po’ sperava che lo stesso Nathan ricadesse in quella dinamica che non riusciva in alcun modo a comprendere tanto che, incapace di trattenersi, gli chiese ancora una volta se fosse sicuro dei suoi sentimenti. Lo era. Scosse il capo. Era così strano, sbagliato e terribilmente pericoloso tanto che non poté trattenersi dal nascondere all’amico i dubbi circa la promiscuità della rossa ma ciò che ottenne fu una confessione in piena regola per quanto la Johnson non capisse appieno le implicazioni di una tale rivelazione. Nate si dichiarava solo, con niente ma ai suoi occhi il ragazzo non era niente di tutto questo. Si okay non sapeva nulla della sua vita al di fuori del castello come lui non sapeva poi molto di lei ma ciò che aveva imparato al castello era che poteva avere una seconda famiglia se lo voleva. Una famiglia formata dai suoi amici, dai suoi affetti e loro non l’avrebbero giudicata né sminuita ma apprezzata più di quanto avrebbe mai potuto fare la donna che chiamava madre. Quello per Grace era un tasto dolente che, tuttavia, riusciva a mettere da parte finché si trovava ad Hogwarts. Ci rimase male, quindi, quando il Knox se ne uscì asserendo quelle parole: lei cos’era per lui? Ma non stette zitta prendendo immediatamente posizione e, dal suo punto di vista, correggendo la sua visione. Non doveva più pensarsi solo. Non fino a che avrebbe avuto qualcuno al suo fianco e lei, Grace, intendeva rimanerci ben piantata.
    «Certo che no! Per quanto sia la tua anima gemella hai palesemente dei gusti discutibili!» Rise, stemperando nuovamente la lieve tensione andata alzandosi e successivamente gli tirò un buffetto. «Dai che scherzo. Davvero, lo giuro. Tenterò di guardare oltre» sollevò le mani mimando l’insegnante di Divinazione, miss Lovecraft, quando agitava le lunga dita sottili intorno alle sue sfere di cristallo. «Di scrutare se la Scamander possiede un briciolo di umanità…» O qualità. Arricciò il nasino poggiando ambo i palmi ai lati del corpo sulla piega del davanzale grezzo. Non aveva ancora finito, aveva ancora un ultimo sassolino da lanciare prima di ritenersi soddisfatta. Non lo faceva certo con piacere ma non sarebbe stata in pace con sé stessa se non avesse snocciolato tutti quelli che erano i suoi dubbi che non avrebbe mai potuto, per principio, tenere nascosti a colui che identificava come tra il migliore dei suoi amici. Nathan doveva sapere e, se davvero avesse voluto gettarsi in quella situazione, avrebbe dovuto farlo con coscienza sapendo appieno a cosa andava incontro. Qui entrava in gioco lei e, per quanto le facesse male a sua volta, era il suo compito.
    «Devi» asserì annuendo solenne. «La mia porta sarà sempre aperta per te... a prescindere dai tuoi gusti» concluse con una smorfia allungando poi le braccia affinché anche l’altro Grifondoro la stringesse in un abbraccio che avrebbe così sancito la fine di possibili tensioni tra loro. Pace fatta!
    «È stata la prima persona che ho incontrato quando sono arrivato [...] Ma la svolta direi che è arrivata questa estate, mentre tu eri in giro a spassartela con Halley!» Grace sollevò le sopracciglia evitando commenti ma era ben leggibile sul suo viso cosa le stesse passando per la mente: vedi a lasciarti solo? Ma presto distese i lineamenti in un sorriso sereno che spinse l’altro a continuare il suo piccolo racconto.
    «Quasi... pff!» Come se ne avesse sbagliata una fino a quel momento e, fino a prova contraria, la Scamander ancora se la faceva con mezzo castello per cui...
    «Non mi piace avere segreti con te, ma ne ho» chi non ne aveva? La stessa Johnson ne portava silente uno dentro di sé alla quale per prima non aveva ancora voluto attivamente pensare. Una filosofia sciocca la sua piuttosto immatura persino ma era come se, mettendo da parte il problema, esso potesse scomparire. Non era chiaramente così e presto o tardi la giovane si sarebbe trovata a prescindere dalla sua volontà a dover affrontare quel suo problema con la magia che più spesso del dovuto sembrava scappare al suo controllo. Da quando era tornata poi non riusciva ad entrare in una stanza senza che il suo umore influenzasse il danzare delle fiammelle all’interno delle fiaccole. Quasi lei fosse una brezza e le fiaccole si muovessero con lei e per lei. Era lei la causa eppure Grace ingollava l’amaro boccone scegliendo d’ignorare.
    «Vorrei farlo! Solo non... non oggi» per un attimo rimase immobile, le labbra strette in una linea sottile. L’addolorava sentire e sapere che l’amico non fosse pronto a rivelarle una parte così intima di sé, sarebbe stata falsa a negare un tale sentimento del tutto fisiologico ma lo rispettava profondamente, lui ed i suoi tempi. Annuì rapidamente accennando un nuovo sorriso confortante mentre allungava una mano verso il suo braccio in quella che voleva essere una leggera carezza di conforto. Accolse di buon grado il cambio di discorso che la vedeva questa volta protagonista in quanto era proprio nelle sue intenzioni confrontarsi con il ragazzo ma non per questo l’esposizione della questione sarebbe stata più semplice. Boccheggiò mentre la mente, rapida, elaborava quanto voleva chiedere e come: Mike. Il suo Mike. Quel ragazzo tormentato che aveva capito d’amar così profondamente ed intensamente il cui destino le dava lo spiacevole brivido d’essere sempre legato ad un filo, come se ci fosse qualcosa al di sopra di loro pronta a portarglielo via. Perché aveva quella sensazione? Perché era presente quel terrore? Era innato, presente nelle sue ossa quanto il freddo dell’inverno riusciva a gelarla dentro. Era inspiegabile e dentro di sé non desiderava altro che lui smentisse quella sensazione che venisse fuori che era tutto un brutto incubo e che loro stessero bene e che anche lui l’amasse. Invece timore, onnipresente e crescente timore che non le permetteva di valutare nulla con la giusta e dovuta lucidità. Che fare quindi? La risposta era davanti gli occhi della Grifondoro nella figura dell’amico che immediatamente acquisiva un allure di saggezza investendolo del potere di condizionare le sue possibili scelte future.
    «Scusami, non fosse stato per me Victoria non si sarebbe arrabbiata.» Grace scosse il capo socchiudendo gli occhi minimizzando quanto successo. Non era sua intenzione rinfacciare ancora quanto accaduto con la Serpeverde. Non era lei la vera causa del tutto ma unicamente l’elemento scatenante di un qualcosa che presto o tardi si sarebbe presentato. La miccia era stata inserita e prima o poi qualcosa ne avrebbe causato l’innesco.
    «Non deve essere bello sapere che ti manca una parte per capire il quadro» no, non lo era affatto e questo le dava una gran rabbia. «magari fargli sapere che sai che c’è qualcosa che non ti dice e mostrarti disposta ad ascoltarlo quando se la sentirà...»
    «L’ho fatto! Lui nega oppure cambia discorso. Ceh nega l’evidenza dei fatti Nate!» Sbottò animandosi la Grifondoro porgendo all’altro l’assist verso la successiva affermazione che la portò ad incassare quello che era a tutti gli effetti un dato di fatto: Grace non era paziente. Voleva tutto e lo voleva subito. Non aveva tempo per “strategie” né era il tipo. Fumante, di pancia e assolutamente spontanea ecco tutto ciò che era quella ragazzina londinese. Abbozzò un sorriso in risposta alle sue parole coprendosi il viso con le mani. Era così evidente, vero?
    «Non ce la faccio proprio a fare come dice mia mamma. Sii pacata Grace, rifletti... Non urlare non fare non dire. Uff!» Lei non era capace!
    «Però potrebbe funzionare»
    «Lo credi davvero?» Forse era davvero giunto il momento di prendere di petto la situazione. Di metterlo con le spalle al muro considerato che più volte la Johnson aveva tentato “la strada delle buone” ed il metodo non aveva sortito alcun effetto. Forse era davvero giunto il momento per la giovane leonessa di fare le cose a modo suo. Sì, doveva essere così.
    «Credo di sì. Non ne sono certa ma il mio istinto dice così» fece riferendosi ai timori che provava nei riguardi della situazione familiare dell’altro. Non osò entrare nel terreno minato di quanto aveva dedotto dai suoi incontri con Barnes poiché erano pur sempre affari strettamente personali del Serpeverde a cui nemmeno lei, se si fosse trovata nei suoi panni, avrebbe fatto piacere sapere che fossero oggetto di disquisizione altrui. Si tenne i dettagli per sé parlando unicamente di quelli che erano i suoi timori basati effettivamente sul nulla di certo e si lasciò andare ad un sospiro pregno del peso che quelle elucubrazioni portavano con sé.
    «Spero solo non lo porti via da me.» Sollevò lo sguardo negli occhi dell’amico. «Ci tengo davvero a lui. Credo... Mi sono innamorata di lui, Nate. Merlino!» Arrossì portandosi le mani al viso. «Ne ho avute di cotte» ed il Grifondoro era stato anche testimone di alcune di esse. «Questo è diverso. Lo sento.» Un sorriso andò a formarsi sulle sue labbra, naturalmente, proprio grazie ed a causa di quel sentimento così forte e vivo che le ardeva dentro. Sperava solo che quanto stesse provando non la portasse a soffrire com’era successo agli esordi del loro rapporto, durante le festività di Natale, con quel brutto scherzo dall’autore ignoto. «Anche tu... con Rain?» Anche lui provava questo per la discutibile Serpeverde? «Come ci siamo finiti a questo punto?» Ridacchiò scuotendo il capo ricacciando indietro quel pizzicore che aveva preso ad infastidirle gli occhi azzurri.
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    «Guarda che hai iniziato te» replicò tuttavia con un nemmeno troppo velato sorrisino soddisfatto ad incresparle le labbra. E così la Scamander si diceva innamorata del suo amico. Punto a favore per lui ma quel dettaglio lo avrebbe tenuto per sé dopotutto ciò che accadeva nel labirinto rimaneva nel labirinto... insieme alla professoressa che seguiva il tutto dall’alto con chissà quanto entusiasmo. Se si impegnava poteva scorgerlo, nell’oscurità, quel volto giudicante che le osservava infastidita da tutte quelle chiacchiere. Sempre così stoica la Lancaster, sempre così piccata. Sembrava non potesse provare felicità nella sua esistenza. Solo concentrazione e duro lavoro e, ovviamente, niente di ciò che avrebbero potuto fare lei o i suoi compagni avrebbe minimamente potuto compiacere quella donna dalla scorza tanto dura. Forse era anche per questo che non le piaceva del tutto: a causa di quel suo piglio sempre pronto a sminuire qualsiasi intervento sottolineando quanto fossero una massa di inetti. Non era l’approccio che le piaceva in quanto, caratterialmente, avrebbe preferito ricevere più rinforzi positivi che rinsaldassero il suo animo già di per sé portato all’autocommiserazione per certi versi.
    Il dialogo con la rossa era insomma partito e in quel tacito armistizio entrambe le giovani sembravano aver colto l’occasione per mettere da parte i reciproci disprezzi deponendo l’ascia di guerra in favore di quello che lo stesso Grifondoro in comune doveva aver chiesto ad entrambe. Quantomeno come compagna era cascata bene a differenza della Crain il cui piglio irritato e più serioso del normale le aveva dato da supporre che non ci fosse stato l’adeguato feeling con il Grifondoro. Sì le era andata bene ma da qui a rivelarlo all’altro ne passava d’acqua sotto i ponti!
    Acchiappato il vitello bitorzoluto questi non volle giustamente saperne di collaborare cominciando a dimenarsi muggendo (?) impaurito.
    «Ssssh! Sssssh! Tranquillo! Buono! Non vogliamo farti nulla!» Parole al vento che rischiavano di mettere in seria difficoltà entrambe le ragazza in quanto quel coso non era affatto piccolo ma a momenti alto proprio quanto la cacciatrice. E si dimenava. Violentemente. Rischiando più d’una volta di riuscire a liberarsi mandando in frantumi tutta l’umiliazione del balletto messo in atto poco prima e la corsa a suon di incantesimi per catturarlo. Fortunatamente fu proprio la Serpeverde a risolvere la situazione con il suo tatto alquanto discutibile quanto, almeno in quell’occasione, provvidenziale. Stufa delle continue rimostranze afferrò il sacco di iuta caduto nelle vicinanze e senza troppi complimenti lo infilò sul capoccione della creatura che, oscurato e senza la sua luna piena, si ammutolì inerme. Non avrebbero potuto chiedere di meglio e la Grifondoro, seppure non condividesse appieno i modi, non avrebbe in alcun modo potuto contestarli proprio perché sprovvista di valide alternative. Con un Lumos accese nuovamente la punta della bacchetta e facendo mente locale raccontò all’altra quanto appreso da ore ed ore di documentari mandati in onda dalla tv babbana – le gioie di avere una dittatrice come madre – e convennero entrambe, sempre perché sprovviste di alternative, per tentare quell’opzione. Ognuna afferrò una delle corde che legavano il Mooncalf quasi fossero delle briglie e la Johnson stese la bacchetta lungo il muro di destra cominciando a farsi strada tra la vegetazione nel più totale e – anomalo – silenzio.
    «Porca troia!» La Grifondoro s’arrestò di scatto voltandosi immediatamente verso la compagna che gli indicò la presenza di un’altra creatura. «Merda» borbottò la Grifondoro stringendo la presa sulla bacchetta. «Spegni la luce!» Suggerì all’altra sperando di guadagnare un po’ di vantaggio con l’oscurità.
    «Dobbiamo andarcene!» E quanto era d’accordo con lei! Il lucertolone le individuò girando lentamente il grosso corpo nella loro direzione con ogni probabilità attirato dall’odore del suo piatto preferito avvolto nella confezione regalo. «Dai Moon muoviti dobbiamo alzare i tacchi!» Cercò di spingere la creatura poggiando i palmi sul fondoschiena peloso per accelerarne il passo ma questi pesava, molto, e ancora una volta non sembrava avere nessuna intenzione di collaborare. L’Hodag scattò nella loro direzione e le ragazze, in uno slanciò d’adrenalina, si spinsero simultaneamente riuscendo ad evitarlo. Non andava bene così! Soprattutto non con il Mooncalf che non collaborava e questo doveva essere sintonizzato anche il pensiero della Scamander che, forse un po’ bruscamente, fece da parte la Grifondoro per puntare la bacchetta contro il vitello riducendolo immediatamente di dimensioni.
    «Geniale!» Adesso avrebbero potuto trasportarlo senza sforzo! Il tempo di ficcarselo in tasca che il lucertolone tentò un nuovo attacco:
    «STUPEFICIUM Non avrebbe voluto fargli male ma non gli lasciava molta scelta.
    «Grace! Tutto tuo! Cerco l’uscita. Conto su di te. Tienicelo alla larga!»
    «COSA?!» Ovviamente! Doveva aspettarsi una cosa del genere da parte della Serpeverde che colta l’occasione aveva optato per salvarsi il culo lasciando a lei la gestione della patata bollente.
    «Cazzo cazzo cazzo!» Borbottò tra sé rinsaldando la presa sulla bacchetta per ingaggiare una sorta di duello con la creatura lanciando fatture atte a difendere la loro ritirata mentre la Scamander avanzava alla ricerca spasmodica dell’uscita con la Grifondoro impegnata a coprire le retrovie. «E smettila dai!» Sbottò rivolta alla creatura che non sembrava minimamente intenzionata a lasciar perdere l’impresa d’impossessarsi del loro Mooncalf. Il richiamo del cibo era così potente per i predatori? Tutto dava ad intendere che così fosse costringendo la Johnson ad adottare misure non più solo difensive ma d’attacco nei confronti della creatura.
    «Reducto Scagliò facendo poi per correre all’indietro ma il piede poggiò in fallo scivolando sulla sporgenza di una radice che la mise immediatamente a terra, la bacchetta caduta a qualche passo da lei. Si metteva male, molto. Cercò di gattonare all’indietro mentre le mani tastavano il terreno alla ricerca del catalizzatore non riuscendo a trovarlo. «RAIN!» Chiamò in soccorso l’altra che si voltò nel momento in cui l’Hodag fece per buttarsi addosso.
    Buio.
    Istinto.
    Unicamente il battito cardiaco accelerato mentre paura e adrenalina scorrevano nelle vene ma non solo esse anche la sua magia. Avvertì come un flusso di liquido caldo scorrerle in circolo, i palmi farsi brucianti in quella frazione di secondo prima che le fiamme si ergessero al pari di un muro a separare lei dalla creatura. Ma Grace non rimase a guardare. Diede di spalle alla creatura e recuperò la sua bacchetto seguendo le urla dell’altra che la guidarono fino all’esterno. Cos’era stato? Guardò l’altra con occhi sbarrati, il respiro corto e pesante. Era stata lei?
    Lo sguardò si sollevò incontrando quello di Victoria.


    Grace Johnson – III Anno – Grifondoro

    Interagito con Rain. Citate la prof e Vic

    E che fanno? Ficcano il sacco di iuta in testa al pene-con-gli-occhi e cercano di trascinarselo dietro finché non compare il lucertolone faccia-di-rana che complica la situa. Ingaggiano una specie di duello per tenerlo distante ma la cosa non funziona. Rain lo rimpicciolisce e se lo ficca in tasca lasciando a Grace il compito di coprire le retrovie concentrandosi a parare il culo ad entrambe. L'Hodag non molla e manco Grace solo che inciampando in una radice sporgente finisce culo a terra e disarmata con il coso che vuole piombarle addosso but alla nostra amica parte la fiammata. Un muro di fuoco - elementalista di fuoco, biiiitch! - che lo blocca (cosa succede al lucertolone non è specificato di proposito, prof a te il suo eventuale destino) e raccatta armi e bagagli lanciandosi fuori dal labirinto dove gli parte un trip mentale su cosa sia successo. aquamärine a te lo spunto :<:


    Edited by Dragonov - 28/1/2024, 17:06
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    «Quindi sei stata tu» mormorò sorpresa, il tono nient’affatto accusatorio mentre un tassello di conoscenza volteggiava inserendosi al suo posto. Ricordava quella lezione, il disagio che le aveva lasciato il confronto con Mikhail per quelle strane immagini di pessimo gusto che il Serpeverde aveva pensato di propinarle ma una cosa, su tutte, ricordava alla perfezione: il modo in cui, sollecitata, la sfera aveva finito per scaldarsi e creparsi nella superficie. Immediatamente quella volta s’era arrestata e con un semplice Reparo era riuscita ad aggiustare la situazione per poi afferrarla al volo, e scottarsi, quando quel piccolo terremoto aveva scosso la stanza. Nulla di preoccupante ma all’epoca l’avvenimento non le aveva suscitato chissà quali domande presa com’era dalle vicissitudini e Rain non era la prima ad avere, soprattutto nei primi anni di studio, episodi di magia involontaria. Piccoli incanti di locomozione, problemi con la gestione degli elementi tipo il fuoco nel suo caso o checché si voglia erano pressoché all’ordine del giorno tanto da permettere alla Scamander di confondersi e distogliere qualsivoglia attenzione dalla sua persona. Annuì, pensierosa, mentre dentro di sé qualcosa – la consapevolezza – sedimentava permettendo ad un altro tassello interiore di raggiungere quello che era il suo posto. “Victoria!” Gli occhi si sgranarono mentre il pensiero corse all’amica poco distante. La fissò con i suoi grandi occhi azzurri mentre dentro di se la testa delineava un’urgenza che sentiva avrebbe dovuto condividere con la Serpeverde. E se quella condizione di Rain, l’elementalismo, fosse stata anche la loro? Doveva parlarne con la Crain, assolutamente, ma per fare questo avrebbe dovuto attendere il concludersi della lezione.
    «Nathan mi interessa realmente!» Le fece la rossa chinandosi al suo orecchio in quel breve attimo di pausa. «Non è un capriccio come credi!» Sottolineò ulteriormente. Grace si tirò indietro ponendo nuovamente della distanza e le lanciò una lunga occhiata indagatrice.
    «Ti conviene.» Una minaccia la sua? Beh, avrebbe lasciato che la rossa lo credesse in quanto non era affatto distante dalla realtà. L’avrebbe tenuta d’occhio e avrebbe vegliato sul suo amico perché Nathan poteva anche cascarci al suo sbattere di ciglia, al suo fare da femme fatale per cui tutti i ragazzi perdevano la bussola ma lei no, con lei non attaccava e se solo avesse fatto del male al suo amico le avrebbe fatto come minimo lo scalpo. Strinse lo sguardo sostenendo quello della rossa fino che una delle due non lo avesse distolto e poi, i pensieri, tornarono ad inghiottirla nuovamente facendole perdere la cognizione spazio-tempo. Troppe, troppe cose alla quali pensare poi un tonfo e solo in quel momento si accorse di una grossa gabbia coperta che si andò a depositare al fianco della professoressa Lancaster. Che diamine? Scosse il capo, accorgendosi solo in quel momento della professoressa intenta ad andare avanti con la lezione. Cosa si era persa? Qualcosa di fondamentale? Strinse le labbra guardandosi bene dal chiedere suggerimenti alla Scamander al suo fianco conscia che il loro armistizio poggiasse su labili basi e focalizzò la sua attenzione sulla docente cercando di evincere dalla stessa l’argomento di discussione.
    «Si tratta di un esemplare di Mooncalf. Classificato dal Ministero come due X. Addomesticabile e timida a quanto pare.» E ovvio! Sua Altezza Reale la Principessa So-Tutto-Io aveva inghiottito il libro di Cura. Si ravviò all’indietro la chioma bionda celando al suo sguardo la roteata d’occhi che le riservò. Le pungeva, chiaramente, ma questo perché a differenza dell’Occamy, sul Mooncalf, non era altrettanto preparata e non sentiva le sue conoscenze sufficientemente solide da poter elargire un intervento degno di tale nome. Rimase in silenzio facendo mente locale sulle poche sparse informazioni in suo possesso e confezionando il piccolo discorsetto alla fine sollevò comunque la mano:
    «Tendenzialmente sono creature schive per natura ma il loro carattere cambia durante le notti di luna piena. Durante i pleniluni infatti si cimentano in particolari danze sulle zampe posteriori» quel particolare le era rimasto impresso proprio per la sua peculiarità. «Dovrebbe essere un danza d-d’accoppiamento... se non sbaglio» fece incespicando sulla parola mentre un rossore andava lievemente diffondendosi sulle gote. Schiarì la gola incassando il capo e si zittì cercando di memorizzare gli altrui interventi in quanto lo sentiva, ed era piuttosto palese in fin dei conti, che la successiva parte della lezione avrebbe coinvolto la creatura dai grandi occhioni. Ed infatti... trova cattura e riconsegna (?) la creatura al mittente. Fantastico. Ed ora come lo acchiappavano quel coso da legate? L’uovo, in quanto inanimato, era stato relativamente semplice, ma quel cosino si muoveva saltando e correndo, come minimo si sarebbero rotte i denti nel tentativo di riprenderlo in quella boscaglia. Ma come avesse captato quel pensiero impanicato la Lancaster s’avvicinò loro spezzando l’incantesimo che le teneva legate l’una all’altra. Finalmente! La Johnson si massaggiò il polso e si voltò verso l’altra domandandole se avesse qualche idea in merito anche se, a rifletterci, per una strategia vincente avrebbero dovuto quantomeno conoscere le condizioni all’interno del recinto che questa volta parve inghiottirsi i primi partecipanti.
    «Ma quindi... Tu sai controllare quella roba che fai? L’elementalismo?» Le domandò. Forse se la Scamander fosse stata in grado avrebbe avuto una sorta di vantaggio in mezzo a tutto quel verde. Tipo una gabbia di rami o corde di liane... Cosa avrebbe potuto fare?
    Il tempo scorse e presto venne anche il momento della seconda coppia. Cercò lo sguardo della Serpeverde, che la salutò e ricambio il suo saluto con un incoraggiante «spacca!» e quando anche quella coppia uscì, con uno sbuffò, espirò l’aria alzandosi per prendere posizione al fianco della rossa. Si scambiarono una nuova occhiata d’intesa e, bacchette alte alla mano, s’inoltrarono nuovamente nel labirinto. Per fortuna che la Lancaster le aveva slegate! Non si vedeva ad un palmo di naso almeno non finché, dissipata la tenda di vegetazione innanzi i loro nasi non si trovarono avvolte dalla luce del plenilunio.
    «Meraviglioso» commentò in risposta al sarcasmo dell’altra passando poi ad accendere la punta della sua bacchetta. E adesso? Da dove potevano cominciare per trovare il Mooncalf?
    «Non sono Harris.» Si voltò a fissarla nell’oscurità illuminata appena dalle loro bacchette e dalla luce lunare. «E fin qui» me n’ero accorta. Sospirò. Quanta pazienza!
    «Begli occhi il tuo ragazzo, comunque!» L’irritazione le montò dentro. Ovviamente lo aveva notato, figurarsi! Come qualsiasi essere vivente di sesso maschile, in quanto tale, riusciva ad attirare la sua attenzione e Michael dal canto suo era tutto meno che anonimo. Il suo Mike era bellissimo e ben più di una ragazza lo aveva notato ma lui l’aveva scelta. Lui vedeva solo lei.
    «Sì. Grazie.» Replicò secca cercando di mettere da parte il fastidio ai fini del compito. «Secondo me di...» Ecco, esattamente ciò che stava per dire. L’istinto le diceva quello fosse un vicolo cieco. Spostò altre ramaglie illuminando con la bacchetta il terreno in cerca di tracce. «Ti ricordi come faceva l’incantesimo di localizzazione? Se non sbaglio ne avevano parlato una volta.» Avec? Aven? Non se lo ricordava proprio. Sbuffò alla risposta negativa dell’altra ed il silenzio tornò a piombare tra loro rotto solo da foglie e rami spezzati sotto i loro passi.
    «Per Merlino cos’è tutto questo interesse?!» Sbottò infastidendosi di tutte quelle attenzioni rivolte al suo Serpeverde. Non aveva detto che Nathan le interessava davvero? Quindi perché andare ad indagare nel suo? «Stiamo insieme da maggio» più o meno. Cioè maggio era il mese in cui era tornato da quella dannata settimana passata con la sua famiglia, il mese in cui le aveva detto di Marshall e... il mese del loro primo bacio, quello vero che avrebbe poi sancito la loro indissolubile unione fino a quel momento. «Tu e Nate invece?» Chiese un po’ brusca ma curiosa. Il biondino s’era tenuto dentro per lungo tempo di quella frequentazione ma Grace non aveva avuto cuore d’infierire, almeno non sulle tempistiche di quel rapporto. Quando era diventato un di più? «Come mai lui? Il colosso... lì... non ha funzionato?» Tra tutti e due non sapeva chi avesse una fama peggiore. Poi la Scamander la chiamò d’improvviso e, seguendo la sua bacchetta vide all’orizzonte due scintillanti occhioni puntati al cielo. Ed ora? Come potevano attirarlo loro? Ma sempre la rossa ebbe un’idea. Inaspettatamente l’afferrò per il polso cominciando a muoversi al ritmo di una musica che sentiva solo lei ed al contempo avvicinandosi verso la creatura.
    «Sì lo so! L’ho detto prima!» Ed ecco l’idea geniale anche se... discutibile ma magari il fascino della rossa avrebbe attratto anche quel vitello bitorzoluto.
    «Muovi quelle anche! Fallo innamorare di te!» Per Merlino e Morgana a braccetto cosa toccava loro fare. Però Grace non era in grado di improvvisare una danza come lo stava facendo lei perciò dapprima stentatamente e poi facendosi prendere dalla melodia cominciò ad intonare un motivetto:
    «But I keep cruisin’ / Can’t stop, won't stop movin’ / It’s like I got this music / In my mind sayin’, “It’s gonna be alright”!» Si voltò verso la rossa oramai completamente immersa ad imitare I movimenti della sua beniamina. «’Cause the players gonna play, play, play, play, play / And the haters gonna hate, hate, hate, hate, hate / Baby, I’m just gonna shake, shake, shake, shake, shake / I shake it off, I shake it off» Ed eccolo lì il loro amico che, saltellando, s’incuriosì quel tanto d’avvicinarsi ma dovette cogliere le intenzioni della Serpeverde poiché di scatto si ritrasse cominciando a battere in una sfrenata ritirata che costrinse le due giovani a mollare il “piano A” per dedicarsi ad un più concitato “piano B”: corrergli appresso.
    «MOON! Fermati!» Come se questi gli avesse dato retta. Seh! Corsero a perdifiato per un tempo scagliando incantesimi a raffica. Allungò il braccio e socchiuse un occhio cercando di prendere la mira prima di castare un Falsabuca nel momento opportuno che avrebbe portato l’animale ad inciampare quel tanto da consentire al successivo incantesimo, un Incarceramus, di legarlo come un salame. Mai mettersi contro una cacciatrice, bitch! Raggiunsero l’animale che si dimenava come un ossesso ma a nulla servirono i vari tentativi per calmarlo. «Andiamo... shhh! Buono!» Ma fu la Serpeverde a risolvere il tutto afferrando il frutto del suo incantesimo impigliato poco più in là. Afferrò il sacco di iuta e lo piazzò sulla testa oblunga della creatura che si immobilizzò. «Drastico» commentò la Grifondoro ammirata, «ma efficace.» Si passò una mano sulla fronte asportando il sudore. «E adesso da che parte sarà l’uscita? Un volta alla tv ho sentito che per uscire da un labirinto basta toccare il muro con la destra e continuare a seguire la parete.» Era l’occasione per provare quella teoria. «Aiutami a tenere Moon utilizzando le corde tipo guinzaglio avrebbero guidato la creatura tra loro mentre Grace protendeva la mano dominante, quella con la bacchetta, a sfiorare la muraglia di vegetazione sulla destra.


    Grace Johnson – III Anno – Grifondoro

    Interagito con la proffa, Victoria e Rain

    Reacta alla rivelazione sull'elementalismo di Rain la cui implicazione le da da pensare e farsi degli enormi voli pindarici che si concludono con: devo parlare con Vic. Questa la porta a distrarsi da cosa sta succedendo e non si accorge immediatamente della gabbia poi, comunque sia, si prepara na risposta decente giusto per non farsi vedere impreparata ed abbozza un intervento. Incoraggia Victoria al suo turno e successivamente, quando è il suo entra nel labirinto con Rain con la quale continua un po' a pizzicarsi soprattutto quando questa tira fuori il suo ragazzo - piccolo delfino geloso - cercando di restituirle la palla (e no elisa non puoi chiedere solo tu dei tuoi stessi pg, a questo gioco si gioca in due! è__é)
    Individuano il mooncalf e si mettono a ballare a ritmo di Nostra Signora TayTay (Shake it off) tanto da attirarlo ma il testadipene capendo le loro intenzioni fugge ma le due riescono a fermarlo e imbavagliarlo(?)
    Anche Grace ricorda la cosa della destra e si accingono a mettere in pratica il suggerimento, prof permettendo 👀


    Edited by Dragonov - 23/1/2024, 18:00
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    grace
    grace
    Tutto deleterio. Tutto così assurdo, eppure, non accennava a raggiungere una fine. Un crescendo continuo dove sia il Serpeverde che la Grifondoro sembravano trovarsi al capolinea di quella che era la pazienza di entrambi. Perché sì, la Johnson ne aveva portata molta dall’inizio di quella che poteva finalmente prendere il nome di una relazione ma il tutto era iniziato ancora prima, prima ancora che stessero insieme ed una cosa aveva sempre caratterizzato il loro rapporto: il silenzio di Michael.
    Michael non parlava, non si sfogava. Qualsiasi cosa gli passasse per la testa, qualsiasi problema oscurasse l’azzurro gelido dei suoi occhi rimaneva lì dietro, celato, non trovando mai la via d’uscita che avrebbe messo a parte la Grifondoro smaniosa, invece, di rappresentare realmente qualcosa per il ragazzo esattamente come aveva cominciato lei a nutrire nei suoi riguardi. La sua roccia, la sua metà. Glielo aveva detto in passato d’essersi affezionata a lui nonostante il poco tempo insieme eppure, per lui, non sembrava essere sufficiente o almeno era quanto arrivava alla percezione della giovane donna che non più riusciva a mettere da parte quel sentimento che aveva preso ad agitarle l’animo. Era arrivata ad un punto di non ritorno. Non poteva più ignorare e, dopo aver ragionato sia da sola sia con l’ausilio delle persone giudicate da lei fidate, aveva deciso che il tempo dell’impasse doveva terminare. Lei meritava di sapere. Lei meritava e basta e non avrebbe dovuto pretendere niente di meno se davvero per Michael fosse stato lo stesso come per lei. Un rapporto alla pari, questo chiedeva.
    «So ciò che è meglio per te! Ribadì Michael quasi in un ringhio ignorando ogni buon senso di fronte alla rabbia, al fuoco che brillava nell’azzurro degli occhi della Grifondoro. «Semplicemente perché so di non essere il tuo bene!» Che idiozia! La bocca della bionda lasciò che un colpo di risa sgomenta abbandonasse le sue labbra. Era serio? All’apparenza sembrava davvero credere in quello che andava millantando, alla stronzata che altro non faceva che annebbiare ulteriormente la ragione ferita della Grifondoro spingendola ad infervorarsi cancellando ogni traccia dei freni inibitori posseduti, portandola a cadere nella mera scurrilità. Cosa che la giovane non era minimamente. Grace non era scurrile ma quando si lasciava andare a determinate imprecazioni più o meno colorite, si poteva intuire la gravità del disagio della giovane leonessa.
    «Fottiti» replicò quasi in una sussurro, minacciosa. Se lui non le portava rispetto prendendola così apertamente per i fondelli con risposte di uno stampo che nemmeno al medioevo lei, a sua volta, non si sentiva tenuta a rispettarlo. Era umiliante, triste che stesse finendo così. Mai Grace si sarebbe aspettata che quella relazione fosse destinata a concludersi in un modo tanto becero. In cuor suo sperava durasse per sempre ma sapeva che quello era frutto del retaggio dei sogni che film e telefilm le avevano messo in testa. Eppure, era così un peccato sperare? Sapeva il loro non sarebbe stato un idillio in quanto la loro relazione non era partita sotto la migliore delle stelle ed il fato non sembrava essere dalla loro mettendo sul percorso mille ed un problema ma che fosse proprio il verde-argento a mostrare una considerazione così bassa, così sessista mai Grace lo avrebbe detto. Mai vi avrebbe scommesso. Vi avrebbe messo la mano sul fuoco riguardo la nobiltà d’animo del Serpeverde. Invece. Quale orribile incubo. Delusa, amareggiata oltre che arrabbiata con sé stessa e con lui per ciò che quella discussione stava rivelando di entrambi.
    «Ma su una cosa hai ragione» Che faceva? La prendeva anche in giro ora? La scherniva? Dopo che fino a quel momento l’altro non aveva fatto che sostenere la sua tesi negando persino l’evidenza dei fatti spiattellata lì davanti a lui, nero su bianco avrebbe persino potuto metterla per iscritto.
    «Sentiamo!» Lo incalzò spronandolo a dar voce alla successiva sciocchezza di cui ormai aveva ben perso le speranze.
    «Nessuno può decidere per te. Non permetterlo mai!» Questa poi! La prendeva anche per il culo adesso. Ma no, basta! Basta davvero! La Grifondoro racimolò ciò che rimaneva della sua dignità, prese la sua fierezza e con sguardo deciso puntò a quello del Serpeverde in un ultimo disperato tentativo: quello di mettere in tavola sé stessa e nessun altro, completamente a nudo ed alla sua mercé dandogli la possibilità di fare di lei e dei suoi sentimenti qualsiasi cosa avesse voluto. Importava più qualcosa? C’era più qualcosa da perdere? Non agli occhi di Grace che con estremo coraggio pronunciò ciò che il suo cuore da tempo aveva identificato dando un nome a quel sentimento puro e spontaneo nato e provato per quel ragazzo tanto problematico quanto pieno di tristezza: amore. “Aggrappati a me” parve volergli dire, disperata in quell’ultimo tentativo di salvare il salvabile e, Michael, lo fece. Il verde-argento la strinse tra le sue braccia accogliendo silenziosamente la ribellione nata da quel cuore combattivo che non desiderava d’essere messo a tacere, mansueto ma che infine, stremato, si arrese a quelle braccia che stringendola parvero tenere in saldo tutti quei pezzi infranti. Grace si strinse alla sua camicia inspirando quel profumo solo e soltanto suo e chiuse gli occhi beandosi di quel calore e della forza con la quale la stringeva. Un balsamo in grado di lenire il bruciore delle sue ferite. “Non lasciami più andare!” Nel pugno strinse il tessuto mentre il dolce sussurro della sua voce decretò finalmente la resa. La resa per entrambi ma la rinascita di un nuovo “noi” più forte di prima. Forse. Titubante si sollevò dal suo petto facendosi leggermente più indietro quel tanto da consentirle di tornare a guardarlo in viso mentre incerta pronunciava quella che era la sua volontà di venire a conoscenza di ogni cosa. Era tanto? Era poco ciò che nascondeva? Sarebbe stata preparata a ciò che le sue orecchie avrebbero udito? La realtà era che la Grifondoro non avrebbe nemmeno potuto immaginarlo in quale sfida si sarebbe trovata invischiata. Lo vide incerto dinanzi alla sua volontà e, riflettendoci, provò a rendergliela più semplice fornendogli quello che avrebbe dovuto rappresentare un input atto ad agevolargli la partenza: la sua famiglia. Che gli Harris non fossero la classica famiglia tradizionale sponsorizzata nelle pubblicità babbane lo aveva intuito e, la breve frequentazione con il di lui cugino, Harry Barnes, gli aveva fornito piccoli indizi i cui puntini faticavano a legarsi nel suo pannello mentale dedicato al caso. Quanto aveva capito però la portava a credere, con un margine d’errore che rasentava lo scarso, che quella di Michael e di suo fratello David non fosse una famiglia nella quale albergasse l’amore ma, a dispetto della sua, nemmeno l’indifferenza. Da ciò che aveva visto sul corpo di Harry, la violenza scorreva gratuita nelle famiglie Harris-Barnes ed il rientro di Michael zoppicante era stato per lei la conferma a quel timore che era andato a stanziarsi come un germoglio infestante.
    «Il mio arrivo qui, Grace, non è stato casuale.» Esordì lui raccontandogli di come avesse scelto il castello scozzese unicamente per seguire il fratello.
    «L’avevo con lui.» Come dargli torto. Grace non faticava a credere fosse possibile un tale sentimento rivolto nei riguardi del moro in quanto proprio il ragazzo in primis non rendeva semplice la vita al prossimo facendo ogni cosa in proprio potere per suscitare disprezzo nella controparte. Lo faceva con tutti e forse, con lei, un pochino di più e per motivi del tutto sconosciuti alla Johnson.
    «Volevo portare a termine ciò che avevo iniziato mesi prima quando, una notte, ho tentato di ucciderlo Ucciderlo. Era una scelta casuale quel verbo? Un tentativo d’esagerare la percezione del sentimento nutrito... giusto? Grace aggrottò lievemente le sopracciglia. Le labbra si schiusero nel tentativo di domandare, di far luce ma la voce non uscì ed il verde-argento continuò, sguardo basso, il suo racconto.
    «Io e lui abbiamo ricevuto un trattamento differente.» Eppure non riusciva a nutrire un briciolo di compassione per l’altro. Quanto miserabile? Quanto piccolo doveva essere come uomo per scegliere di sfogare le sue frustrazioni su qualcuno le cui scelte non avrebbero potuto in alcun modo influenzare il loro destino. Michael non c’entrava niente eppure, David, aveva scelto la strada semplice prendendosela con un bambino invece che con i veri autori e fautori della sua miseria. Stronzo.
    «Non ti biasimo» sussurrò cercando le mani del ragazzo per intrecciarle alle sue. «Non è giusto ciò che ti ha fatto.» Ma ciò che aveva fatto lui? L’intenzione di uccidere? Si parlava davvero di questo? Il cuore accelerò il suo ritmo mentre l’inquietudine sedimentava nel suo ventre quasi potesse percepire la brutta notizia che l’attendeva.
    «Lui... Lui ti ha fatto del male?» David o suo padre? Quando era rientrato zoppicante cos’è successo? Cosa gli avevano fatto? Era stato David ad infliggergli quella pena o era stato suo padre? Non capiva e forse stava saltando temporalmente più avanti nelle sue conclusioni ma la foga di sapere era tanta così come il timore che quello fosse un episodio isolato. Avrebbe dovuto chiedere ed ottenere finché poteva o ci sarebbero state altre occasioni come quella?
    «In quei giorni, sarei voluto svanire nel nulla. Prima di varcare il cancello della scuola, ci ho pensato su. Se fosse la scelta giusta.» Se ne era pentito? Il cuore saltò un battito, angosciato all’idea che lui potesse sparire da un momento all’altro così come nell’incubo che, ricorrente, dalla notte in infermeria, tormentava la tranquillità dei suoi sogni. La famiglia lo avrebbe strappato portandolo via da lei?
    «Me l’hai promesso» mormorò in un soffio, il battito accelerato, ricordandogli le parole che gli aveva rivolto nel laboratorio di pozioni e in altre mille occasioni: sarebbe sempre tornato da lei. Così le aveva sempre ripetuto. Eppure, per quanto quella semplice frase avrebbe dovuto rappresentare un sollievo le implicazioni che nascondeva al suo interno erano molteplici ed ognuna causava una preoccupazione nell’ignara Grifondoro che altro non poteva fare se non aspettare. Aspettare l’ignoto. E se un giorno non fosse più tornato da lei? Ma questo, quantomeno, non sarebbe accaduto nel breve termine. No. Perché lui l’aveva scelta e, dichiarandosi, aveva sancito la condivisione di quel sentimento che faceva impazzire la giovane leonessa. Grace strinse le labbra abbassando di poco il mento mentre l’emozione rendeva lucidi i suoi occhi chiari, le mani strette in quelle del verde argento in una presa che pareva essere indissolubile agli occhi del mondo. Lui l’amava, l’amava come lei amava lui. Schiuse le labbra espirando via parte della tensione che le aggrovigliava le membra poi gli lasciò andare le mani ma unicamente per gettargliele al collo e baciarlo crogiolandosi nella consapevolezza di quel sentimento condiviso.
    «Torna sempre da me» sussurrò sollevando lentamente lo sguardo fino a scorgere i suoi occhi ricercandovi all’interno la sincerità della risposta.
    «T-tuo padre... cosa ha fatto?»
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    grace
    Era qualcosa di già visto, di già vissuto, quelle sensazioni viscerali che partivano da dentro e, per qualche motivo, finivano per esplodere in modo così violento, le erano familiari. Grace poteva non capirne appieno il motivo, in quel caso specifico, e soprattutto non ne capiva la frase d’innesco ma capiva benissimo come si sentiva Victoria: inadeguata, fuori posto, incompresa, respinta. Era la stessa sensazione che aveva provato e provava ogni volta che tornava a casa da sua madre. Era assurda una considerazione simile, se ne sentiva in colpa ma era ciò che inevitabilmente provava ogni qualvolta tornasse lì, in quello che avrebbe invece dovuto rappresentare il suo rifugio, il suo posto sicuro nel mondo. Un luogo dove l’accettazione avrebbe dovuto regnare sovrana. Quanto non lo era nemmeno lontanamente. Com’era brava Heather a scaricare ogni singola colpa, frustrazione su di lei. Com’era brava ad etichettarla come l’incapace che non era o la sciagura della sua vita. Perché poi? Non era dato saperlo.
    Per quanto tempo aveva desiderato che in quell’incidente a perdere la vita fosse stata proprio lei? Quella odiata, quella non voluta, lasciando finalmente ai genitori la figlia tanto adorata, la figlia perfetta: Elisabeth. Colpe su colpe infinite, il più delle volte persino inappropriate perché prive di fondamento ma la sua vita all’interno del focolare domestico era stato solo che questo: rifiuto e di quello insensato proprio perché privo di motivo. Che aveva fatto lei per generare tutto quell’odio da ben prima della dipartita di Elisabeth? Non ne aveva idea né le era stato spiegato. Era sempre stato così. Un dato di fatto di quelli inopinabili. Sua madre, i suoi genitori, la odiavano. La consapevolezza d’un pensiero simile era disarmante, scioccante, totalizzante. E qualcosa del genere doveva essere per Victoria che, in preda alla furia, le aveva puntato il dito mettendole in bocca un aggettivo che mai si sarebbe sognata di affibbiarle: pazza. Lei? No, non per come l’aveva conosciuta fino a quel momento. Victoria per lei era solidità, razionalità, lei così come Nathan, avevano il potere innato di calmarla. Di portare i suoi pensieri – ed il respiro – nei binari della logica, del senso quando tutto si faceva troppo grande ed opprimente. Ed era quello il suo compito adesso, lì con la Serpeverde: riportarla con i piedi per terra, calmarla, poiché, e riusciva a sentirlo inspiegabilmente nelle ossa, era fuori di sé. Lo sentiva come fosse parte di ogni fibra del suo essere, come fossero legate a doppio filo e per qualche ragione lei potesse appieno sapere e sentire cosa si scatenava dentro la verde-argento pertanto era suo compito e di nessun altro correre in suo aiuto, esserci per lei. Arrogante un pensiero simile? Possibile ma la natura inspiegabile di quel sentimento portava ad oscurare qualsiasi logica vi potesse essere al suo interno. Grace sapeva fosse così. Grace sentiva d’essere nel suo posto lì in quel momento. Un urgenza che non le avrebbe permesso di far altro se non aiutare la sua amica.
    «Victoria» cercò di richiamarla ancora all’ordine ma era come se l’altra fosse andata troppo oltre, obnubilata dalle sue sensazioni tanto che le sue mani presero a brillare di una luce sovrannaturale. Le mani della Johnson a loro volta presero a pizzicare e quando l’altra sfiorò un cespuglio seccato dal sole estivo, questi prese fuoco immediatamente incendiandosi quasi esso fosse prima stato cosparso di benzina. «Cazzo!» E adesso? Che avrebbero dovuto fare?
    Ma non ci fu spazio per pensare, almeno non per la Grifondoro che istintivamente si mosse in avanti lasciando che fosse il suo corpo a prendere il sopravvento. Lui sapeva cosa fare. Le mani pizzicanti andarono a sovrapporsi a quelle ardenti della Crain. Bruciavano. Grace urlò di dolore ma non si mosse. Continuò ad avvolgerle con stoica testardaggine e lì avvenne l’inspiegabile. Entrambe le giovani chiusero gli occhi ed il bagliore delle loro mani giunte esplose, implose, assorbendo tutto il fuoco che aveva preso a divampare tra loro.
    Aprì gli occhi con timore sbattendo le ciglia incredula di fronte a quanto successo poi lo sguardo si posò in quello lucido della Crain ed ancora una volta l’istinto ebbe la meglio. Grace l’abbracciò stringendola forte a sé. Erano vive. Vive.
    «Cazzo. mi dispiace tanto.» Esordì la verde-argento liberandosi dalla sua stretta, guardandosi attorno in quel cumulo di cenere che aveva visivamente deturpato il paesaggio. Sì, era un bel casino. «Risolverò questo casino ma non giudicarmi. Imparerò a controllarla ma adesso devo... devo» era sconvolta. «Vic non devi far da sola.» Non sei sola. E non lo sarebbe stato nessuno di quelli che considerava suoi amici. Erano la sua seconda – prima – famiglia e li avrebbe protetti ed amati a qualsiasi costo.
    Spensero ciò che rimaneva delle fiamme e con pratici Diffindo la Johnson passò a tagliar via le parti rovinate dai rami. Lo fecero in silenzio, ognuna immersa nei propri pensieri poiché avevano tanto su cui riflettere e Grace non poté fare a meno di domandarsi se quanto fosse successo fosse stato reale. Nonostante la fatica, nonostante la tangibilità dei rami secchi che staccava e nascondeva nella boscaglia le sembrava tutto così oltre, inimmaginabile.
    «Sono piena di fuliggine…» Una constatazione? Una presa di coscienza? Si guardò le mani annerite dallo sporco ma intatte, illese dalle fiamme. Com’era possibile? Né una scottatura, né una ferita, eppure il calore eccessivo lo aveva percepito.
    «Non capisco» mormorò più a sé stesa che all’altra rigirandole. Cos’era realmente successo? Era stato reale? Stava impazzendo forse?
    «Dobbiamo pulirci anche noi prima che qualcuno si accorga.» I rumori della festa ancora impazzavano dalla distanza indice che ancora tutto il castello fosse lì a divertirsi. Era il momento ideale per sgattaiolare come niente fosse. Dovevano tornare dentro. «A-andiamo» Spronò quindi entrambe per quanto lo sguardo non fosse lucido ma perso nei meandri della propria mente nel tentativo di dare una spiegazione logica. Sarebbe riuscita? Forse, ma certamente non era quello il giorno. Lentamente tornarono al castello.


    CITAZIONE
    CONCLUSA.


    Edited by Dragonov - 18/1/2024, 16:23
  7. .
    grace
    Qualcuno le aveva detto “buongiorno” quella mattina? Perché di “buon” fino a quel momento non vi aveva visto nulla. Le sue persone preferite al castello erano in totale k.o. tecnico a causa dell’epidemia che era andata diffondendosi a macchia d’olio e più, durante Cura, i minuti passavano più, nella sua mente, si faceva largo serpeggiando attraverso la sua etica il desiderio che anche una certa verde-argento si fosse trovata vittima della peste. Invece no! Diamond Scamander brillava in tutta la sua fulgida essenza intrisa di fastidio – per la Johnson – e malignità. Non ce l’avrebbe fatta a reggere a lungo e a riprova di quell’ulteriore pensiero fu la risposta al vetriolo che servì all’altra coadiuvata dall’intervento di un’altresì piccata Victoria Crain, la cui ferita inferta durante il falò d’inizio anno doveva ancora bruciare a giudicare dal modo in cui la moretta era andata a rivolgersi alla concasata. Sulle labbra della Grifondoro si dipinse un ghigno soddisfatto. “Ben fatto, Vic!” Se quell'arpia pensava d’essere la regina del mondo per motivi del tutto noti solo che a lei si sbagliava di grosso e di certo lei non avrebbe lasciato che la rossa le mettesse i piedi in testa o la intimorisse con il suo fare da bulla. Per come la vedeva la Johnson altro non faceva che mostrare la sua natura e presto o tardi anche il suo amico Nathan si sarebbe risvegliato dall’incanto dell’innamoramento vedendo la verde-argento per ciò che era: marciume. Un bel contenitore sì, innegabile, ma privo di contenuto.
    «Probabile, qualcuna non ha niente di meglio da fare» replicò sottovoce alla compagna di stanza piuttosto infastidita da tutto quel battibeccare ma davvero, almeno in quell’occasione, la colpevole non era da ricercare nella Johnson che aveva optato per evitare qualsivoglia forma d’interazione con l’altra peccato che proprio l’altra avesse scelto la strada della provocazione. La sua colpa, insomma, era stato solo cedervi ma sufficiente da ottenere un rimprovero da parte della docente che, con i suoi occhi taglienti come la lama di un coltello, zittì tutte le parti interessate.
    'Sta stronza, della Scamander! Riusciva a tirarla dentro anche quando partiva con tutte le buone intenzioni!
    «Mi scusi» bofonchiò chinando il capo dinanzi l’occhiata della professoressa tuttavia stirando le labbra in una smorfia che avrebbe palesato tutto il fastidio provato per quella situazione. Che palle! Tutto voleva meno che attirarsi le attenzioni in negativo dell’insegnante di una delle materie che più le stava a cuore. Non aveva ancora un giudizio sulla donna, per quanto la intimorisse ed attraesse allo stesso tempo, ma di certo non avrebbe compiuto l’azzardo di mettersela contro. A prescindere sembrava ed era un tipo tosto e quantomeno sarebbe stato auspicabile averla dalla propria parte che contro. Però forse, nonostante il pessimo siparietto, qualcosa di buono doveva averla fatta perché proprio la docente riconobbe l’assennatezza della sua risposta. Il sorriso tornò ad incresparle le labbra e lo sguardo non poté fare a meno di cercare la figura fulva della sua nemica. “Prendi e porta a casa!” Una soddisfazione! Ma non disse niente evitando di accendere gli animi e quindi di beccarsi ulteriori richiami. Si sarebbe fatta bastare quella gioia e chissà magari avrebbe trovato modo in un secondo luogo di farglielo presente. Buona sì ma non fessa e quella ragazza riusciva a mandarla in bestia come pochi.
    Si schiarì la gola ascoltando i successivi interventi lasciandosi andare qui e lì da piccoli commenti che fungevano da rafforzo positivo per i propri compagni prendendo qualche sporadico appunto estremamente schematico.
    «Immagino che qualcuno si sarà chiesto cosa ci sia dietro il recinto» esordì dopo qualche istante di pausa l’insegnante prendendosi il giusto tempo per fissarli uno ad uno. Poteva dirlo forte! E nel caso specifico della Johnson era dall’apparizione di quell’intricato groviglio di vegetazione che la curiosità era stata risvegliata portandola ad intercettare tutti i vari pettegolezzi che aveva recepito nei corridoi. «Non mi è stato dato il permesso per portarvi con me in una tomba, quindi ho pensato di creare per voi una situazione analoga.» WHAAAAAT?! In che razza d’avventura li stava cacciando? Gli occhi della Grifondoro brillarono immediatamente d’eccitazione ricercando lo sguardo della Lloyd quasi a chiederle un parere: “ma che figata?” Strinse le labbra trattenendo l’entusiasmo ed allungò il collo per ascoltare il proseguo del discorso: «vi troverete in una foresta fatta e finita. Fango, buche, sassi e cavoli vari...» easy insomma. Non avrebbero dovuto aspettarsi chissà cosa ma era proprio qui che la Johnson sbagliava e non poteva nemmeno immaginare di quanto!
    «Quanto a voi due... Visto che sembrate amarvi così tanto non disdegnerete passare un po’ di tempo l’una con l’altra.» In men che non si dica i polsi delle due ragazze andarono a legarsi lasciando sgomente le due giovani.
    «Ma!»
    «Lamentatevi e vi legherò anche i piedi!» Dannazione! Grace si morse immediatamente la lingua abbozzando mentre cercavano, spingendo in direzioni opposte, un luogo dove studiare la strategia in attesa del loro turno.
    «Per l’amor del cielo!» Sbottò in seguito all’ultimo tirone che il suo polso ricevette strattonato dalla Scamander. Ma non poteva trovarsi legata con Mike? Avrebbe collaborato decisamente meglio con il Serpeverde seppur, immaginava, avrebbe avuto l’orticaria come in qualsiasi situazione in cui l’incolumità della rosso-oro veniva messa in discussione. Fino a quel momento la Johnson gli aveva sempre dato contro, più o meno fervidamente, ma da quando entro quelle mura si era addirittura commesso un omicidio la Grifondoro non s’era sentita di ribattere con la stessa enfasi. Qualcosa non andava. A scuola come nel mondo magico ed un leggero timore cominciava a serpeggiare minando la stoica sicurezza che l’aveva sempre distinta.
    «Come?» Toccava a loro? I pensieri l’avevano distratta facendole perdere la cognizione del tempo e parte del farneticare della rossa. Spazientita si sentì tirare ed ingollando il rospo – almeno davanti alla Lancaster – entrarono all’interno di quello che scoprirono essere un vero e proprio labirinto. Fantastico. Grace si fermò un attimo sulla soglia nel tentativo di valutare la direzione ma il polso le venne strattonato nuovamente e bruscamente.
    «La smetti di tirarmi?! So camminare benissimo» Replicò a sua volta strattonando la Serpeverde per il puro spirito d’infastidirla a sua volta. Glielo aveva già detto: era in grado di camminare anche da sola ma la Scamander non sembrava dello stesso avviso.
    «Si può sapere che diavolo di problemi hai?»
    «In questo momento, se non si fosse capito, il mio problema sei tu!» Che stronza! Che gigantesca, intergalattica stronza! Con che faccia Nathan le chiedeva pure di fare uno sforzo nei suoi riguardi e, magari, riuscire a vedere ciò che vi vedeva lui. Ma precisamente cosa ci vedeva lui? La gentilezza, la simpatia di cui le aveva parlato non sembravano nemmeno fare parte dei suoi possibili pregi.
    «Smettila Rain!» Di tirarla, di aggredirla… Tutto quanto! Rapidamente il budget pazienza di cui la leonessa disponeva stava scendendo ai minimi storici. La strattonò a sua volta per il puro spirito di restituirgliela ma tuttavia la seguì cercando di mantenere lo stesso passo svelto tenuto dalla Serpeverde che faceva d’apripista in quella foresta di buche, sassi, rovi e radici semi nascoste dalla vegetazione. «Va piano!» La esortò al fine di farla ragionare che così facendo, presto o tardi, una delle due sarebbe inciampata portandosi l’altra dietro e così poco dopo accadde quando Rain, mettendo il piede in fallo, inciampò in una radice portandosi dietro la Johnson addosso. «Te l’avevo detto, cretina!» Sbottò sempre più nervosa constatando i graffi che la caduta le aveva procurato sui palmi. «IO? “Pensa meno a” Nathan!» Continuò infervorata per poi lasciarsi scappare un commento ben più maligno ed acceso. «Ah no è vero! Già non t’interessa più. Ha già puntato un altro? Tipico…» Commentò acida riferendosi al ragazzo con la quale era venuta accompagnata. L’input, com’era prevedibile, mandò su tutte le furie la rossa che non mancò di rispondere per le rime attirandosi a sua volta la collera della Johnson. Presto i toni s’alzarono e con esso, il rumore, attirò anche il o la – come la etichettò la Scamander – protagonista di quello che sarebbe stato l’esercizio: l’Occamy. Mosse da un unico spirito le ragazze, inaspettatamente, presero a collaborare correndo nella medesima direzione scagliando fatture alla rinfusa atte a rallentarla ma sembrava tutto inutile. Il serpente piumato riusciva ad evitare ogni colpo sgusciando rapidamente a lato, avvicinandosi pericolosamente a loro in quello che all’apparenza sembrava un vicolo cieco. Erano fottute. O forse no. Le mani di Rain proiettarono una luce inaspettata, potere, che parve legarsi al proprio elemento innalzando dal terreno un grezzo muro di rovi proprio davanti al muso della bestia che ruggì indispettita.
    «Di qua!» Grace tirò la Serpeverde in quello che apparve come un sentiero nascosto dalla vegetazione che riuscì a farle spuntare nel nido della creatura ma non c’era tempo da perdere perché ancora, la bestia, fu loro alle calcagna! Annuì a sua volta alla compagna sancendo quello che aveva l’aria d’essere un armistizio ed impugnando al meglio la bacchetta si prepararono allo scontro che vide la rossa rallentare visibilmente la creatura e la bionda pietrificarla con un preciso Petrificus.
    «CE L’ABBIAMO FATTA!» Esplose quando la creatura si pietrificò e fu in quel momento che la Scamander la stupì cedendole l’uovo:
    «Tienilo tu» Inaspettato. Grace afferrò quell’uovo d’oro contemplandolo qualche istante prima d’infilarselo sotto braccio.
    «Quella roba con i rovi…» Tentò per poi rimangiarsi la domanda. Era giusto chiedere? Eppure, quello strano avvenimento le aveva sollevato molteplici domande ed una stretta non indifferente alla viscere, quasi un richiamo. Anzi! Un richiamo vero e proprio, innato, come se qualcosa le stesse urlando al medesimo modo. Abbassò lo sguardo scrutando le proprie di mani. Quelle che si scaldavano quando s’innervosiva e che, poco prima, avevano cominciato a pizzicarle quando il battibecco aveva superato il limite. Calore. Fuoco. Quel fuoco che rispondeva alla sua magia come un serpente al proprio incantatore. Possibile ci fosse un nesso anche per lei?
    «Elementalista?» Questo voleva dire… «Cioè sei affine alla terra… ?» Non era del tutto una domanda ma il modo in cui lo pronunciò lo rese tale.
    Annuì stringendo l’uovo sotto il braccio e con la verde-argento s’incamminò verso l’uscita. «Come hai… Lascia stare» Ancora una pausa. Quante cose avrebbe voluto chiederle ma era pur sempre Rain. Non era tenuta e men che meno con lei. Poi non voleva nemmeno confidarsi con lei per quanto quell’argomento la stesse a cuore. Che fare? Quanto avrebbe voluto Mike al suo fianco in quella circostanza. Lui avrebbe saputo che dire, che fare. La mancanza le montò dentro bruciandola ardentemente per qualche istante. Espirò ed i pensieri presero a rincorrersi, accavallarsi, sommarsi. «Sì… Nemmeno tu sei stata male» La fissò lasciando poi che un sorriso divertito s’aprisse naturalmente sulle labbra.
    «Professoressa» ancora un sorriso all’inaspettata compagna.
    «A lei!»

    Grace Johnson – III Anno – Grifondoro

    Interagito brevemente con Kynthia, Victoria e la proffa. Interagito principalmente con la Gallina, citato Aiden.

    Si punge ferocemente con Rain con la quale è costretta a svolgere l’esercizio. Inciampano, s’insultano, si fanno male (?) e così facendo attirano l’Occamy che le insegue. Cercando di rallentarlo grazie anche all’elementalismo di Rain che accorre in loro aiuto. Rallentano definitivamente (???) il Biscione volante con una combo Immobolus+Petrificus Totalus e gli fottono l’uovo che portano allegramente alla proffa. Amaci, grz 🖤


    Edited by Dragonov - 16/1/2024, 16:14
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    grace
    grace
    Quando iniziava, era difficile per lei frenarsi, era come una valanga che travolgeva qualsiasi cosa si trovasse lungo il suo cammino. Non le piaceva quella parte di sé. Quella parte cruda e priva di qualsivoglia freno atto ad indorare la pillola che avrebbe servito al prossimo ma a volte, e anche lei doveva ammetterlo, risultava essere necessario. Persino di vitale importanza in alcuni casi. Lei lo avrebbe voluto per sé stessa e non poteva negare che seppur le parole di Halley fino a quel momento non avevano trovato riscontro nel minore dei fratelli Harris, il tarlo del dubbio era sempre lì, presente, dietro l’angolo e pronto a rosicchiare la polpa del legno di cui erano composte le sue intenzioni. E se? E se, e se e se. Mille interrogativi che però non avrebbero ricevuto risposta fino a che lei, codarda, non avesse trovato il coraggio d’impuntare i piedi per ottenere le risposte che meritava. Ma ciò che vedeva era reale? C’era davvero un problema? O era quella strana ansia che prendeva il sopravvento sulla sua lucidità mentale a parlare per lei? A volte pensava d’esagerare, a volte pensava che fosse lei quella rotta e compromessa che nel momento esatto in cui era e si sentiva felice doveva necessariamente mettersi i bastoni tra le ruote minando a quel sentimento così puro e genuino. Non sapeva bene cosa pensare in quel frangente ma la cosa che sapeva era che quello non fosse il momento adatto per lasciarsi andare a tali elucubrazioni in quanto il protagonista indiscusso delle sue attenzioni doveva essere Nathan in quel momento. Nathan che, come la loro migliore amica in comune, possedeva la stessa calamita attira casi umani, nel suo caso quella grandissima troia di Diamond Scamander. Odiava rivolgere un tale aggettivo verso un’altra donna ma da ciò che aveva avuto modo di vedere, Rain, non faceva altro per smentire quell’accezione. La Scamander era in grado d’incarnare tutto ciò che la infastidiva dell’universo femminile. Così frivola, sopra le righe e dannatamente estrosa ma non in senso positivo come lo poteva essere una persona come William, il Grifondoro era quasi un pagliaccio che volontariamente amava mettersi in mostra per portare gioia ed un sorriso nel prossimo, mentre Rain non mirava a nulla di tutto questo. Rain era la definizione di mean girl. Sempre pronta a giudicare gli altri pizzicandoli con la sua lingua biforcuta – degna della sua casa d’appartenenza – puntando un riflettore sul povero malcapitato di turno che difficilmente avrebbe avuto la forza per rispondere a tono alle frecciate subdole ed al vetriolo propinate dalla rossa che non possedeva un’etica e questo era forse la cosa che più riusciva a mandare in bestia la rosso-oro. Il modo in cui Rain non guardasse nessuno in faccia, forte o soprattutto debole che fosse come era stato il caso della Corvonero, Madoka, alla precedente lezione di Cura delle Creature Magiche. L’aveva trattata con disprezzo prendendola in giro con una cattiveria totalmente gratuita che aveva immediatamente acceso lo spirito da paladina della giustizia insito nella Johnson. Perché non se la prendeva con qualcuno della sua stessa taglia? Ed eccolo lì, l’inizio della loro inimicizia, del disprezzo reciproco alla quale difficilmente sarebbero state in grado di mettere un punto al fine di un bene comune: Nathan. Eppure di lì a poco sarebbe dovuta entrare nell’ottica di farlo.
    «Davvero, l'ho capito che non ti sta simpatica» del tutto un eufemismo quello proferito dal rosso-oro che trovò ulteriore conferma negli occhi sbarrati della bionda. Che non le fosse simpatica era semplicemente riduttivo!
    «Non ti sto chiedendo di fartela piacere, ma puoi darle almeno il beneficio del dubbio?» Certo che no! Ed era lampante alla luce di quella risposta che l’amico non fosse a conoscenza – paradossalmente – di tutto ciò che invece la Johnson sapeva. Come poteva darle il beneficio del dubbio se ogni due per tre l’attaccava? Se la trovava ad ogni angolo del castello intenta a scambiarsi saliva con il suo toy-boy di turno? Era disgustosamente sfacciata, arrogante e pure presuntuosa ed il modo altezzoso con cui s’atteggiava le chiudeva la vena. Era davvero necessario tutto quello snobismo? Come se lei fosse la migliore al mondo? Su che base poi?
    «Vorrei anche farlo questo sforzo ma è un po’ difficile considerato che mi provoca tutte le cavolo di volte. Ceh dai Nate! Come fai? Ha sfottuto anche Madoka, Madoka per Merlino e Morgana!» Letteralmente come sparare sulla croce rossa! Bisognava possedere una cattiveria innata per prendersela anche con quella povera strega. «Dai!» Lo sapevano tutti – poiché l’avevano divulgato i prof – che la Corvonero fosse rimasta sotto a causa di problemi personali importanti in casa e accanirsi così contro di lei era davvero meschino. Che cazzo di gusti aveva l’amico?! Però per quanto lei sostenesse, Nathan, sembrava sordo a tutti i fatti oggettivi posti dalla bionda. Era cieco e sordo di fronte all’evidenza esattamente come lo era Halley. E a tal proposito dov’era finita la loro amica grazie alla sua ostinazione? A fare il fantasma di sé stessa dietro ad un viscido imbecille. Se solo non fosse stato il fratello del suo ragazzo sarebbe andata ad affrontarlo senza guardare in faccia al fatto che fosse decisamente più grosso di lei. Non gliene importava. Pazza Grifondoro! Si sarebbe rotta l’osso del collo pur di difendere i suoi ideali.
    «Ho fatto un casino, vero?» Grace arricciò il naso portando anche le labbra a piegarsi in quella smorfia. «Un pochino» confermò incapace di nascondergli anche in quel caso la verità, anche se, in quel frangente, pensava di riuscire a comprendere come le attenzioni della Crain fossero passate in secondo piano: chi non era cieco di fronte all’amore? E chi era tanto coraggioso da mostrare apertamente il suo interesse verso l’oggetto del proprio desiderio? In pochi lo erano poiché il mettersi in gioco, il consegnare all’altro il proprio cuore non era questione da poco. Era un salto nel vuoto e chiunque avrebbe voluto un minimo di certezze prima di intraprendere un simile azzardo dalla quale era impossibile tornare indietro. Una volta che i sentimenti finivano nel piatto, una volta che l’attrazione veniva confermata anche a parole si poteva solo giacere nudi, inermi, di fronte all’altra persona nella speranza che questi avesse la decenza di non schernire quel sentito, di non prendere quel sentimento per gettarlo privo di qualsivoglia tatto nel cestino. Nathan quantomeno non era stato indelicato, non aveva schernito Victoria. Il suo peccato risiedeva nell’ignoranza, nel non sapere cosa la Serpeverde covasse nei suoi riguardi. Una cotta nel migliore dei casi, una preferenza nel caso dell’amica che prima o poi, solo col tempo, sarebbe passata. «Dalle tempo e soprattutto non forzarla. Sii normale con lei o finirai per metterla a disagio» e lì sarebbero stati cavoli amari in quanto, se portata sulla difensiva, la Crain scattava immediatamente sulla difensiva passando al contrattacco atto a ferire senza la benché minima pietà. Decisamente fuori discussione un’escalation simile, indi per cui meglio tornare al vero cruccio fuoriuscito da tutta quella vicenda: la cotta del Grifondoro per la Scamander. O forse qualcosa di più dal modo in cui Nathan le parlò della rossa. I modi gentili, il sorriso e la fiammella andatasi ad accendere nello sguardo dell’amico... tutti segni che le fecero intuire che il Knox si fosse preso una sbandata e non indifferente per Miss Crudelia. Quanto si sarebbe fatto male alla fine di quella vicenda? Quanto Rain ci avrebbe messo a stufarsi di lui per correre a sedurre il prossimo obiettivo? Quanto la disprezzava! Non poteva mettere gli occhi su qualcun altro? Tipo quello scimmione di David Harris? Almeno avrebbero fatto schifo insieme! Il re e la regina del fastidio.
    «... Mi fa sentire cose che non credevo nemmeno più di riuscire a provare.» Un po’ melodrammatico considerando l’età? L’espressione della biondina si corrucciò insieme al rammarico provato. Più Nathan esternava quelli che erano i suoi più puri sentimenti, per quanto riposti nella persona più discutibile che la Johnson conoscesse, più accresceva in petto il magone della consapevolezza di ciò che avrebbe dovuto fare: metterlo in guardia e, così facendo, forse, spezzargli il cuore. Era necessario, per quanto doloroso, che l’altro fosse consapevole di ciò nella quale si stesse imbarcando e perché no, magari, rivalutare alla luce delle nuove conoscenze il tutto.
    «Grace, io non ho niente!» Le braccia del ragazzetto caddero a peso morto lungo i suoi fianchi mentre di riflesso l’espressione sul volto della Grifondoro s’increspò rivelando confusione e, successivamente, un pizzico di dissenso. Non le piacquero quelle parole poiché non le trovava veritiere. Nathan non era solo. Aveva lei, aveva la squadra ed il fatto che sparissero così come nulla fosse dalla sua considerazione in parte la feriva.
    «Quando non sono qui, passo il tempo in una casa deserta che ho riempito di eleffrodomestici, e quando sono con lei riesco a non pensarci.» Cosa le stava dicendo? Era solo? Perché? E i suoi genitori? Mille ed uno interrogativi cominciarono ad affollarsi nella testa della ragazza che tuttavia non proferì parola incapace in quel momento di riuscire a chiedere con il tatto necessario. «Tu non sei solo», però tenne a sottolineare incapace di starsene zitta. «Hai me. Halley... tutto il resto della squadra. Noi... Io ci sono e sarò sempre.» E non lo diceva tanto per dire, Grace credeva in quelle parole e se Nathan avesse incrociato le iridi azzurre della Grifondoro vi avrebbe letto unicamente fermezza. «Non so se sia lo stesso per te» e forse non lo era se dava tutta quell’importanza alla Scamander dimenticandosi di lei, di loro. «Ma io ti considero il mio migliore amico. Non ti libererai facilmente di me e proprio perché tengo a te è mio dovere metterti in guardia.» Prese un respiro. Non era semplice. «Io non credo Rain sia la persona giusta per te. Credo ti farà del male e non lo dico perché mi sta antipatica ma perché è un dato oggettivo. Lei non è fatta per le relazioni.» Sentenziò prima di passare allo sgancio della bomba vera e propria, quella che avrebbe sicuramente ferito l’altro. Ed infatti l’espressione sul volto dell’amico gelò. Quanto faceva male!
    «No... Però se ti ha baciato voglio sperare che qualcosa debba esserci.» Quanto sarebbe stata meschina altrimenti? Se il suo modus operandi fosse stato dispensare baci a destra e a manca?
    «Tu cosa vuoi da lei?» E la domanda andava al di là dei motivi più superficiali alla quale Nathan potesse pensare. Era più profonda e manifestava tutto lo sforzo che la biondina stesse impiegando per mettere da parte i milioni di motivi che si tramutavano in una sentita avversità nei riguardi dell’altra. «Perché se la risposta è che stia unicamente con te soltanto non hai molta scelta. Devi dirglielo. Devi pretenderlo perché non meriti niente di meno. Hai capito?» Insomma che non gli saltasse in mente di farsi andare tutto pur di averla ancora intorno.
    Passato il momento cruciale la tensione andò naturalmente stemperandosi e, quasi all’unisono trassero un profondo respiro.
    «Da quanto te lo stavi portando dentro?» Il sopracciglio scattò interrogativo verso l’alto mentre finalmente, dopo tutto quel tempo, un sorriso prendeva forma sulle sue labbra. «Non dirmi che avevi paura della mia reazione!» Un po’ se lo aspettava anche se, come tutte le volte, la cosa la faceva rimanere un po’ male perché non avrebbe voluto ispirare quel tipo di soggezione, anzi, al contrario, avrebbe voluto che soprattutto i suoi amici fossero tranquilli da potersi rifugiare in lei.
    «E tu invece? Qualche novità? Come vanno le cose? Ancora in luna di miele?» Lo sguardo della Grifondoro s’abbasso mentre le labbra si schiusero nel tentativo d’articolare qualcosa. Se l’intenzione dell’amico era quella di passare ad argomenti decisamente più gioviali e leggeri non sapeva quanto si sbagliasse di grosso.
    «Ehm» abbozzò. Ed ora come glielo diceva. «In realtà...» Espirò in visiva difficoltà cominciando a tormentarsi le dita per poi passarle tra i lunghi capelli biondi.
    «Ti... ti dispiace aiutarmi a capire?» Mormorò attendendo un cenno da parte dell’altro e, quando lo ebbe ottenuto passò a raccontagli con difficoltà parte di quanto accaduto alla festa. Gli raccontò di Victoria e di come l’aveva vista furente partire in quarta verso il suo compagno di stanza e dell’istinto tassativo quanto impellente d’aiutarla che l’aveva portata a mollare così su due piedi il Serpeverde. Glissò su quanto successo con il fuoco con la Crain e passò a parlargli del modo in cui era convinta Michael la stesse punendo: il silenzio. Michael la guardava da distante con i suoi freddi occhi azzurri senza mai avvicinarsi. S’era offeso? Era stato imperdonabile quanto aveva fatto? «Poi ho la sensazione mi nasconda qualcosa. Non so cosa, credimi. Ma qualcosa c’è e quando cerco d’intavolare il discorso lui svia o peggio fa finta di nulla. Perché secondo te?» Sollevò gli incerti occhioni in quelli del ragazzo. Era davvero immeritevole di fiducia?
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    grace
    Tutti ammalati. Un’epidemia quella che sembrava essersi spanta nel castello e che aveva portato la Johnson, quel mattino, a trotterellare sconsolata giù dalle scale del dormitorio maschile. Nate era a letto con l’influenza da quanto aveva potuto intravedere dallo spiraglio di porta che il suo compagno di stanza, William, le aveva lasciato aperto. Il Grifondoro era poi uscito richiudendosi quella stessa porta alle spalle e, con il suo solito fare estroso, l’aveva in qualche modo consolata rifilandole un’arringa sullo spirito combattivo dell’amico in comune e la finale promessa che lo avrebbe portato anche di peso al successivo allenamento. «Oh andiamo! Halley non è così cattiva! Capirà... forse!» Aveva riso lei indugiando in quelle battute totalmente prive di cattiveria dietro che altro non facevano che alimentare la fama della “Tiranna”. Oramai era più un mito quello affibbiato all’amica che vera e propria rigidità da parte sua in quanto sapevano tutti quanto il prefetto fosse intransigente sul ruolo ed in campo ma fosse, una volta svestita di quei ruoli, una delle persone più dolci e comprensive presenti in quel castello. «Va bene, va bene Liam. Ci vediamo dopo allora o faccio tardi!» Congedò l’altro Grifondoro affiancandosi a Kynthia che avrebbe avuto la sfortuna di subire le totali attenzioni della compagna di stanza sempre fin troppo iperattiva. «Anch’io ho Trasfi alla prima ora!» Pensa te che fortuna! Si prospettava una mattina pregna per la solitaria Lloyd che si sarebbe trovata l’ingombrante compagnia della Johnson il cui becco faticava a rimanere chiuso durante le lezioni, anche se, c’era da dire, in quelle di Trasfigurazione forse complice proprio un certo professore di bell’aspetto, la biondina rimaneva stranamente muta in totale adorazione per il bel professore. Per una volta avrebbe persino potuto goderselo senza particolari sensi di colpa in quanto, a quanto pareva, anche il suo ragazzo, Michael, non sembrava stare affatto bene. Se da un lato l’occhiata penetrante di Michael la imbarazzava e la sua assenza le permetteva di sentirsi più libera di vivere quella crush del tutto innocente dall’altro lato il non poterlo vedere poiché chiuso nel suo dormitorio – per quanto ne poteva sapere – le faceva percepire la mancanza costante del suo tocco delicato o la sua rassicurante presenza alle spalle. Era una sensazione nuova quella, o meglio l’aveva già sperimentata in precedenza quando l’apprensione per la sua sorte saliva indisturbata sul gradino più alto del podio delle sue emozioni. Era come un fuoco che sotto pelle la logorava in quell’attesa snervante del loro prossimo incontro. Era possibile percepire una mancanza così bruciante? Ardere per qualcun altro? Grace non sapeva spiegarselo per certo ma ciò di cui era certamente sicura era che le lezioni senza il Serpeverde non avevano lo stesso gusto. Con un sospiro malinconico uscì dall’aula e istintivamente si guardò attorno prima di schiaffeggiarsi interiormente: era malato, come avrebbe potuto trovarlo lì? Sciocca, sciocca, sciocca!
    «Tu cos’hai adesso?» Fece voltandosi verso la compagna di stanza. «Ah però, inseparabili!» E se la giornata fosse continuata a quel modo sarebbero state insieme fino a cena. Ma non ti senti un po’ fortunata, Kynthia?
    «Tu che ne pensi della Lancaster?» Posizionò meglio la tracolla in spalla appropinquandosi verso gli scalini e, per estensione, verso l’uscita del castello dove la professoressa li avrebbe attesi in prossimità della casupola del guardiacaccia. Da ciò che aveva capito e racimolato tramite il vario gossip, dilagante nel castello, era spuntato una sorta di recinzione fatta interamente con vegetazione e questo non rappresentava nulla di buono. Non che avesse paura – figurarsi! Era pur sempre una figlia di Godric – ma non aveva ancora capito se quella donna le piacesse o meno. Austera, tagliente... decisamente un’approccio differente rispetto alla zia di Halley.
    «Non so, non ho ancora capito se mi piace» confidò all’altra titubante. «È sicuramente diversa... Più aggressiva, mh» non voleva sbilanciarsi ma era innegabile per lei che le preferenze fossero rivolte tutte verso la precedente insegnante. «Secondo te che ci farà fare?» La richiesta era abbastanza insolita poiché Cura si teneva in tre luoghi precisi: in classe, per la classica teoria; ai recinti, per prendersi ovviamente cura delle creature e poi rimaneva parte della foresta o del lago quando erano autorizzati a mettervi piede. Di recarsi in quel luogo dove sapeva non esserci nulla – almeno solitamente – lasciava presagire ben poco di buono.
    Giunsero quindi al luogo stabilito e lì, seppur in orario, con sommo fastidio notò la presenza – difficile non farlo – della sua nemesi per eccellenza: Rain. Mugolò un verso di fastidio che, in quel contesto, privo del suo migliore amico non avrebbe scaldato nessun animo ed alzò gli occhi al cielo. Ovviamente, era lì. Sbuffò, facendo del suo meglio per non degnarla di ulteriori attenzioni e, salutando discretamente le facce note, si mise poi in ascolto della docente quando quest’ultima prese parola. Il preambolo le parve chiaro sin da subito: avrebbero affrontato una prova più o meno pericolosa e l’idea del pericolo mandò immediatamente in circolo una scarica d’adrenalina non indifferente che le risvegliò i sensi soprattutto quando la Lancaster espose lo squarcio che dal collo le dilaniava la pelle fino alla clavicola. «Wow» commentò in un soffio ricolma d’ammirazione per quella donna così cazzuta.
    «Cosa è stato?» Signore e signori: la delicatezza. Sgranò i grandi occhi cerulei prima di sbattere più volte le sopracciglia soffocando un commento arcigno rivolto alla sua nemesi. «Che tatto!» Compito che chiaramente non le riuscì in quanto il fastidio provato per la verde-argento dalla chioma fulva superava qualsiasi cosa. «Wow, anche a simpatia ne abbiamo a buttare» chiaro sarcasmo il suo, incapace di poter proferire di più sotto lo sguardo arcigno della donna. Ancora una volta si trovò a domandarsi cosa ci trovasse Nate in lei. Okay, era sicuramente bellissima ma poi? Antipatica e snob come pochi, acida, insensibile e dio quanto le faceva salire il crimine quando faceva la gatta morta! Tipo con quel biondino che si portava appresso anche in quel momento. Doveva essere lui il tipo con cui ce l’aveva Nathan. Sì, per forza, dal modo in cui orbitava attorno alla Scamander. Non aveva nessun rispetto per Nate! «Concordo, persino i mostri ti schiferebbero» ribatté all’occhiata che la rossa le riservò. Quanta superbia. Fosse stata almeno motivata poi!
    «Secondo me, a parte le sciocchezze» le stava dando della stupida? Sì. «Cercherei di mantenere la calma per evitare che l’animale percepisca la mia paura e si metta sulla difensiva e poi cercherei di allontanarmi se la situazione lo consentisse senza scontri» di certo non avrebbe attaccato per prima. Al più si sarebbe difesa lasciando il territorio della creatura. Tutto cambiava se era la creatura ad infrangere il suo di territorio, lì il suo istinto l’avrebbe guidata a contenere la stessa creatura prima di affidarla alle cure di un magizoologo o chi per esso. Insomma! Tutta teoria ma poi nella pratica che avrebbe fatto davvero?
    «... Oppure rimpicciolirsi in quanto Aggiustaspazio! Le loro dimensioni possono variare in base al... mh... alla stanza o contenitore che li contiene» lanciò un’occhiata di traverso alla Scamander, questa non se la ricordava? Peggio per lei! Poi il suo tono e sguardo si fecero più grevi quando aggiunse di quanto l’animale fosse preda ambita tra i bracconieri per la purezza del materiale di cui erano costituite le sue uova. Si lasciò andare in un sospiro mentre rabbia e tristezza di mescolavano in un connubio denso quanto plumbeo come tutte le volte in cui l’argomento andava a toccare lo schifo commesso dal genere umano. Com’era possibile? Solo persone di merda potevano pensare d’attaccare esseri così innocenti, privi della cattiveria altrimenti insita nella sua specie. Con un altro sospiro si fece da parte lasciando la parola ed ascoltando passivamente gli interventi altrui.

    Grace Johnson – III Anno – Grifondoro

    Arriva a lezione con Kynthia (rob ho supposto venissi, spero d'aver fatto bene 👀) con la quale interagisce.
    Risponde ad entrambe le domande della Lancaster ovviamente punzecchiandosi con la gallina dai capelli rossi (tvb vacca 🖤)
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    grace
    grace
    C’era un pensiero intrusivo, minaccioso, pericoloso, a cui non avrebbe voluto credere, quello di non essere all’altezza. Un pensiero ricorrente che, al pari di una ruota, tornava ciclicamente a tormentare la vita della piccola Grace Johnson che altro non aveva fatto se non sentirsi fuori posto vuoi per un motivo, vuoi per un altro. Troppo piccola di statura. Troppo piccola d’età. Troppo vivace, troppo silenziosa, troppo bionda, pallida o poco aggraziata. Ogni giudizio era stato sentenziato dalle strette labbra di sua madre che non perdeva la minima occasione per svalutare quella figlia che poi così male in realtà non era. Commenti gratuiti privi del benché minimo fondamento in quanto Grace non dava problemi a livello caratteriale o di ribellione né era così male come essere umano in sé e per sé. Era la classica adolescente modello – quasi, era pur sempre una ragazzina con quelli che potevano essere i “capricci” dell’età – ricca di sogni ed aspettative per il futuro, che avrebbe voluto, con tutto il suo cuore, essere apprezzata da quella famiglia alla quale la giovane, invece, sembrava stare stretta. Tanto odio, tanta insofferenza e del tutto privi di motivo. Così Grace aveva riversato quella frustrazione nello sport trasformandolo dapprima in uno strumento per scaricare tensioni e frustrazioni e da lì scoprendo quanto fosse invece nelle sue corde, nella sua natura. Era portata. Prima la scherma, nella quale era stata in grado d’eccellere portando a casa diverse coppe e campionati lasciando che sulle mensole della cameretta in quel di Londra andassero a cumularsi in un’ordinata fila i premi conquistati con il puro talento dato dal sudore della fronte. Avrebbero dovuto essere motivo di vanto ma agli occhi di Heather Somer, sua madre, altro non era che ciarpame a differenza di quanto invece, con gli studi, aveva conquistato sua sorella, la perfetta Elisabeth. Grace amava sua sorella ma così, in quello stato di perenne competizione, persino ora che la ragazza era morta, era impossibile non provare almeno una punta di insofferenza. Sentiva il suo ricordo intaccato e per certi versi odiava sua madre per starle facendo proprio questo. Aveva provato ad eccellere ma era stato tutto inutile e, a malincuore, poi, aveva dovuto lasciare quel mondo – dove era davvero apprezzata – per dedicarsi ai suoi studi al castello, alla sua vera identità di strega. Quello era stato un momento complesso nella quale la Grifondoro aveva avuto una certa difficoltà a comprendere quella nuova identità di cui non aveva avuto particolare sospetto se non quegli episodi di magia incontrollata che la sua mente, e quella di chi la circondava, aveva tentato di giustificare con la logica. C’era una logica dietro a tutto per gli altri e così, a seguito di quelle spiegazioni a volte campate stentatamente s’era quietata non immaginando nemmeno lontanamente quanto speciale in realtà fosse. Era una strega e solo in seguito a ciò avrebbe scoperto quello che sarebbe stato il suo problema peggiore: non sapeva controllare quel potenziale magico e, soprattutto, in presenza del fuoco, quella sua magia così instabile sembrava legarsi con l’elemento a doppio filo, manipolandolo. Un disastro senza precedenti e su tutta la linea ma, a distrarla da quei pensieri totalizzati era giunto in suo aiuto il quidditch. Uno sport che all’apparenza poteva sembrare una passeggiata ma che in sé richiedeva immenso sforzo e spirito di sacrificio. Allenarsi era la parola chiave e non solo a livello di mira per una cacciatrice come lei ma anche a livello di resistenza fisica. Su in cielo l’aria si faceva rarefatta ed allenare la capacità polmonare era di vitale importanza. Il quidditch s’era rivelato essere la giusta valvola di sfogo ammettendo ben pochissimi sconti finendo per riuscire a scalare qualsiasi classifica stanziandosi indiscussamente sul podio delle preferenze. Era quel passatempo in cui le era consentito spegnere il cervello da attività nella quale altrimenti si sarebbe crogiolata fin troppo ed a lungo: i suoi pensieri. Il suo più grande nemico era proprio quella testa che non smetteva di pensare, non fermandosi mai un attimo per passare sotto la lente del giudizio le situazioni analizzando da qualsiasi possibile angolazione lo svolgimento del suo cruccio del momento. Giudice e boia in quello che era il suo personalissimo quanto intransigente tribunale interiore. Non c’era azione che non venisse passata al vaglio, poi, ed era questo che la infastidiva maggiormente di sé stessa: l’istintività. Mai una volta che riuscisse a ponderare le sue azioni meditandole prima, no, doveva gettarsi di pancia facendo quello che l’istinto le comandava per poi, in secondo luogo, arrivare a pentirsene. Un po’ come in quel caso, lì, nello spogliatoio ad inseguire il suo ragazzo che credeva arrabbiato con lei per il modo in cui lo aveva piantato in asso alla festa d’inizio anno. Grace era convinta d’averlo infastidito con il suo comportamento, era pronta a giustificarsi per esso permettendo a lui di capire i motivi che l’avevano spinta ad abbandonarlo per correre in soccorso alla sua amica ma Michael l’aveva stupita: non gliene importava. O questo era ciò che aveva interpretato dalle sue stentate risposte iniziali. Che non gliene potesse fregare di meno. La Grifondoro era ammutolita, basita da cotanto menefreghismo dimostrato dal ragazzo. Un livello tale da percepire il suo cuore scalfirsi. Stava sbagliando tutto? S’era forse innamorata della persona sbagliata? Non riusciva a crederlo e quel roller-coaster d’emozioni non fece altro che ripercuotersi nelle fiaccole presenti all’interno dello spogliatoio che immediatamente cominciarono ad ondeggiare in quel sali-scendi emotivo costituito dal sentito della Grifondoro.
    Non poteva crederci. No! Non lo accettava. Grace scosse il capo a più riprese mettendo da parte quel cuore infranto, lasciando che l’animo, così come quell’elemento alla quale pareva essere legata, s’infiammasse non riuscendo a credere che il suo Michael, il ragazzo che era convinta d’amare fosse un troglodita al pari del fratello. No. Doveva esserci una spiegazione e proprio per questo, adirata, prese a rispondere colpo su colpo impedendo all’altro di riprendere persino fiato per incalzarlo con domande ed affermazioni che l’altro, eventualmente, avrebbe dovuto smentire. Lo stava portando all’esasperazione se ne rendeva conto, in parte, ma non le importava, non davvero. Se doveva mettere un punto a quella storia non lo avrebbe fatto accontentandosi di risposte buttate lì su due piedi o richieste di silenzio. Col cavolo! L’era del silenzio finiva lì in quell’istante con lei piena rasa di quell’atteggiamento. Aveva pazientato a sufficienza, aveva tentato di comprendere cercando di misurare quella sete di curiosità che aveva per l’altro ma dopo tutto quel tempo che stavano insieme reputava che non avere la benché minima idea del passato del suo ragazzo fosse letteralmente ridicolo. Non sapeva nulla di lui né della sua famiglia o del suo parentado, né capiva perché per tutta l’estate non l’avesse invitata da loro mentre Halley era persino riuscita a passare alcuni giorni con David. Non poteva essere legato all’astio vigente col di lui fratello maggiore, c’erano mille ed uno mezzi in grado di bypassare il problema. Doveva esserci altro ed ora come ora l’unica risposta che riusciva a darsi era che Michael non fosse coinvolto da lei tanto quanto lo era lei da lui. Si era stancato? Aveva realizzato che lei non fosse ciò che si doveva essere immaginato mentre frequentava Marshall? Doveva saperlo e se per farlo sarebbe stato necessario portarlo al limite lo avrebbe fatto, senza se e senza ma. Ancora una volta avrebbe imboccato la strada dell’istinto che le diceva di forzare pesantemente la mano per ottenere delle risposte che a quel punto le erano dovute.
    «Per l’amor del cielo, Grace! Chi ha mai pensato a una cosa simile?»
    «Lo penso io!» Sbottò passando poi a rincarare la dose. «E sai perché? PERCHÉ TU NON PARLI!» Finì per urlare fregandosene altamente della sceneggiata che stava mettendo in atto. «Non posso sapere cosa ti passa per la testa se non me ne parli. Posso immaginare, ipotizzare e sai cosa? Penso al peggio perché tu mi costringi a fare questo!» Se le avesse parlato, se le avesse raccontato di sé avrebbe avuto la chiave per comprenderlo meglio, per immaginare le sue reazioni ma Michael rimaneva sempre freddo, impenetrabile con solo i suoi occhi ad illuminarsi per brevi spiragli di spensieratezza. Dio quanto lo amava! Quanto amava quegli occhi tristi ed infelici che non facevano altro che farle desiderare di dar loro la gioia che meritavano ma lui, maledetto, non glielo permetteva.
    «Forse neanche merito la tua fiducia!»
    «Vaffanculo» replicò di getto affranta e sfiduciata da ciò che quella discussione stava rivelando della loro relazione: Michael non aveva fiducia in lei. Nemmeno un briciolo, nemmeno un po’ per aprirsi e raccontarle cosa portava dentro. La sua “scusa” era il timore che ciò che le avrebbe rivelato l’avrebbe portata ad allontanarsi ma lui cosa ne sapeva di cosa avrebbe fatto lei? Ne era certo? Avrebbe potuto metterci la mano sul fuoco? E cosa aveva fatto di tanto grande e terribile? Il Serpeverde le aveva chiesto, quando ancora non stavano assieme, un atto di fede nei suoi riguardi, d’avere fiducia in lui ed in quella che era la sua verità. Grace gliel’aveva concessa, credendo in lui, perché non poteva restituirle almeno una piccola parte di quella fiducia?
    «So quel tanto che basta!»
    «Allora non sai niente! Non hai capito niente!» Se pensava di poter comandare sulle sue scelte, su di lei, pensando che remissiva avrebbe accettato ogni cosa... Beh, si sbagliava di grosso. Non era nella sua natura darsi per vinta, in nessun campo. Avrebbe dovuto capirlo anche solo dal suo stile di gioco. La discussione progredì portando entrambi gli animi a raggiungere e superare un limite che invisibilmente ed inconsapevolmente i due sembravano essersi imposti. Non avevano mai litigato in maniera così accesa nemmeno quando la Grifondoro era arrivata a schiaffeggiarlo nei corridoi. Questo era peggio proprio perché le parole, i toni, erano puntati a colpire, a far soffrire.
    «Nessuno deciderà mai per me» sibilò, la voce tremante appena udibile in quella che era una promessa che la Johnson stava facendo più a sé stessa che all’altro. Non avrebbe mai più permesso a qualcuno di decidere per lei né di trattarla come non meritava. Prese fiato mentre alle loro spalle le fiamme tremavano quasi l’incendio si stessa caricando di nuova energia e poi la Grifondoro colpì e come un fiume in piena rovesciò sul ragazzo quella che sarebbe stata la sua ultima parola, l’ultima disamina che l’avrebbe esposta irrimediabilmente portandola a porgergli il suo cuore incurante di ciò che l’altro ne avrebbe fatto e poi, quando le parole le sarebbero morte in gola sopraffatte dal pianto avrebbe raccolto ciò che rimaneva di sé stessa, i cocci, alzandosi e togliendosi di mezzo.
    Ma ciò non avvenne. Michael l’avvolse immediatamente tra le sue braccia tirandola a sé. Grace si ribellò, istintivamente, colpendo il suo torace con pugni privi di qualsiasi intenzione. Non poteva farle questo. Non ora. Si accasciò contro di lui, stremata, piangendo disperatamente contro il suo petto mentre la dolcezza del suo tocco leniva ed allo stesso tempo feriva ulteriormente il suo cuore.
    «Va bene!» Sussurrò contro il suo orecchio mentre le dita andavano a cercare la guancia per asportarne le lacrime. Tirò su con il naso sollevando lo sguardo lucido in quello del Serpeverde. Cosa voleva dire?
    «Risponderò ad ogni tua domanda.» Lo avrebbe fatto davvero? Senza più omissioni? Senza più silenzi incomprensibili? «Prima, però voglio che tu sappia che hai reso la mia esistenza migliore. Hai reso me un uomo migliore!» Aggrottò le sopracciglia, confusa. Quelle parole erano bellissime ma non aveva gli elementi per dar loro un contesto, per capirle. Perché diceva questo? Non reputava d’aver fatto nulla. Tentò di parlare ma finì per boccheggiare non sapendo da quale parte cominciare.
    «Io...» Cominciò infine. «Io voglio sapere tutto.» Ammise candidamente ma da che parte avrebbe dovuto iniziare il verde-argento e soprattutto, di che calibro di rivelazioni si parlava? Era pronta? «Permettimi di capire, di capirti...» perché non ci sto riuscendo. Da che parte cominciare? «La tua famiglia... ?» Cosa gli avevano fatto? Perché al ballo di Natale lui e suo fratello erano sbiancati all’arrivo di quella lettera? Perché a maggio, al suo rientro, aveva zoppicato per qualche giorno? Perché? Perché perché perché?

    Buon Natale, Zoc 🖤
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    grace
    grace
    L’amicizia, che cosa meravigliosa. Uno di quei legami che, se fortunati, avrebbe investito le parti in causa dei sentimenti più puri che l’essere umano avrebbe potuto sperimentare quali altruismo e amore del tutto incondizionato. Grace lo provava seppur, una di quelle parti, fosse da poco entrata nella sua cerchia più ristretta ma la Grifondoro non era quel tipo di persona che stabiliva l’importanza di un’amicizia dal tempo trascorso quanto proprio dalla qualità di quel tempo investito e con Nathan, ne era certa, era tempo ben speso. Il rosso-oro la ascoltava sempre a prescindere da qualsiasi cosa lei dicesse che fosse o meno sensata e, riflettendoci, davvero le proponeva sempre una risposta adeguata al contesto soprattutto quando si parlava di affari di cuori. Lui, insieme a Victoria, erano stati decisivi nel momento in cui la Grifondoro s’era dovuta decidere a troncare una relazione che in un primo acchito sembrava essere partita nel migliore dei modi ma solo successivamente era andata spegnendosi nel giro di poco. Un fuoco di paglia il suo che l’aveva lasciata con non poco amaro in bocca soprattutto per la reazione avuta da quello che ormai poteva definire un ex. Marshall se ne era andato, di punto in bianco e senza la benché minima spiegazione se non quella pungente propinata da Aaron, il suo migliore amico, che l’aveva ripresa con i suoi modi piuttosto bruschi “tranquillizzandola” di non essere lei la causa di quella sparizione. Aveva addotto come motivazione il concerto che avrebbero dovuto tenere proprio quell’estate e di cui la Johnson era anche in possesso dei biglietti ma qualcosa le stonava in quanto credeva che se fosse davvero stato nelle intenzioni del Tassorosso partire così anticipatamente credeva che l’avrebbe messa a parte di quella decisione. Nulla era stato fatto ed anzi era venuta a sapere, attraverso il magico portale babbano del web dove era possibile reperire qualsiasi informazione (o quasi), che il ragazzo aveva anche presentato una canzone del tutto inedita. Aveva guardato le live di quello show e, a disagio, aveva successivamente chiuso le finestre. Quella canzone parlava di lei? Il tarlo le sarebbe sempre rimasto ma aveva scelto di lasciar andare quel problema, almeno fino a che il suo nome non fosse stato fatto. Era quindi stato abbastanza semplice dimenticarsi della questione per passare a qualcosa d’interesse maggiore: Michael. Come avesse potuto dubitare che ciò che stava facendo era la cosa giusta aveva capito fosse solo un freno della paura. Non sapeva spiegarselo del tutto, eppure, per il Serpeverde provava qualcosa di sincero, di puro e mai volontariamente avrebbe messo a repentaglio ciò che avevano anche se, nonostante tutto, l’idillio fosse compromesso già di per sé dell’attitudine ermetica del suo ragazzo che proprio a seguito degli eventi intercorsi al falò sembrava aver deciso di chiudersi in un silenzio che Grace non sapeva come interpretare. La stava punendo? Non capiva il perché di quella e forse proprio Nate, in quanto esponente della fazione maschile, avrebbe potuto far luce sulle possibili motivazioni addotte. Questo però se il ragazzo avesse ancora voluto rivolgerle la parola a seguito di quanto gli avrebbe detto.
    Ebbene, i fatti erano di colpo diventati chiarissimi e il malinteso iniziale dissipato: non c’era stato nessun bacio tra la verde-argento, Victoria, ed il Grifondoro. Non tra loro quantomeno ma tra lui e niente poco di meno che la sua acerrima nemica: Diamond Rain Scamander e proprio lì sorgevano i problemi. Grace non aveva nulla di carino da proferire in favore della Serpeverde, al contrario, aveva mille ed uno aneddoti per scoraggiare il ragazzo dalla frequentazione con la rossa. Ma quanto in là le era consentito spingersi prima che anche lui si voltasse male nei suoi riguardi? Era umano, del tutto comprensibile e lei stessa aveva perpetrato quello stesso atteggiamento quando inizialmente Halley era venuta a conoscenza della sua frequentazione con il minore di casa Harris. Era stata categorica e lo aveva ricoperto delle peggiori sentenze senza tuttavia conoscerlo affatto. Grace non l’aveva ascoltata ma lo stesso nemmeno l’amica lo aveva fatto finendo proprio per mettersi insieme al battitore delle serpi. Da che pulpito!
    «Non credo» replicò all’amico abbassando intristita lo sguardo verso le fronde degli alberi che si stagliavano contro l’orizzonte. Sospirò e quello prima o poi sarebbe stato un altro punto da affrontare per quanto ci avesse già provato durante la loro mini vacanza a Brighton. Lì era arrivata molto vicina dall’indisporre l’amica ma una caratteristica della Johnson era proprio quella: la sincerità ad ogni costo. Se c’era un qualcosa che non andava Grace era la persona che veniva a dirtelo a maggior ragione se di mezzo c’era il benessere psico-fisico dell’altro ed Halley non stava bene, ora ne aveva la certezza. Non conosceva i dettagli ma le bastava incrociare gli occhi smeraldini della capitana per notare quanto qualcosa non andasse per il verso giusto e la Johnson era pronta a scommettere che la causa di quel malumore risiedesse proprio nel suo ragazzo. La mano sul fuoco! La paghetta di un anno!
    Sollevò lo sguardo incrociando i limpidi occhi azzurri dell’amico ed un nuovo sospiro lasciò le rosee labbra carnose della cacciatrice. Anche lui, stesso tranello. Possibile che entrambi i suoi migliori amici fossero affetti della stessa incapacità quando si trattava di scegliere le persone giuste? E ora come poteva dirglielo? Come poteva essere proprio lei quella che avrebbe infranto le sue aspettative, il suo cuore?
    «Lo so che non la sopporti, sei stata molto chiara, ma nemmeno la conosci.» Scattò immediatamente lui quando la Grifondoro toccò l’oggetto del suo desiderio. Il sopracciglio della Johnson ebbe un fremito d’indignazione, tuttavia, abbassò lo sguardo. Nathan era l’ultima persona – così come lo era stata Halley – con cui voleva litigare. Teneva al loro rapporto, era prezioso, per cui si zittì istantaneamente. «Non come la conosco io almeno» nascosta com’era dall’inclinazione del suo viso tirò le labbra in una smorfia amara. Era sicuro di conoscerla davvero? O conosceva solo la maschera da smorfiosa che Rain propinava a tutto il pubblico maschile. Possibile che i ragazzi soffrissero di memoria a breve termine? Possibile che non l’avesse notata fare la gatta morta con mezzo castello? Lei sì, lei l’aveva vista eccome soprattutto con quel colosso del cacciatore dei Serpeverde, a braccetto con lui mentre il tipo faceva di lei ciò che voleva senza il minimo pudore. Non sopportava quelle scene quando le si presentavano davanti lo sguardo, la privacy sapevano cosa fosse? Chiaramente no come chiaramente Nathan non aveva nemmeno lontanamente intuito l’interesse di Victoria nei suoi riguardi che lo gettò nel panico più totale. Grace allungò le mani cercando di confortarlo al meglio che poté. Si sporse verso di lui tuttavia non arrivando mai a toccarlo.
    «Io non lo sapevo, dovrei scusarmi? Dovrei parlarle? Grace, che devo fare?» Cominciò a farneticare completamente scioccato. La Grifondoro scosse il capo. «No, lascia stare. Non fare niente.» Fece attirandosi la reazione ancora più scioccata dell’altro. «Ormai è fatto e Vic è una persona orgogliosa. Negherebbe tutto. Non ha senso.» Lo avrebbe mangiato vivo nella collera come aveva fatto peraltro con lei. «Le passerà, è una tipa forte ma Nate, davvero?» Davvero s’era preso una sbandata per Rain Scamander? Il tutto era forse più grave del previsto tanto che anche lei sbraitò.
    «Tu avrai tutti i tuoi motivi per avercela con lei o trovarla odiosa, ma non è quello che vedo io» Roteò lateralmente gli occhi. Uomini: una ragazza mezza svestita sbatteva le ciglia e subito ai loro piedi. Sinceramente lo pensava migliore di così ma a quanto pareva era un caso disperato tanto quanto il loro capitano.
    «Non ti so dire esattamente cosa, magari ci vedo tutto quello che non riesci a vederci tu.» Mh. Aveva qualche dubbio, decisamente più di uno e per mera curiosità avrebbe tanto voluto indossare le lenti colorate che permettevano di vedere quell’arpia nel modo in cui la vedevano i maschi. Era davvero estremamente scettica e per questo forse appariva lei stessa antipatica in primis. «Non è lo stesso con il tuo Mike?» Il nome risuonò come un amo gettato a richiamarla dai cattivi sproloqui interiori che avevano preso piede. Incontrò il suo sguardo limpido arrossendo di un poco al nome del suo ragazzo che, come sempre, le suscitava un’alterazione a livello del ritmo cardiaco.
    «Non che mi sembri un cattivo ragazzo», il sopracciglio della Johnson si sollevò scattando immediatamente sulla difensiva. Guai a toccarle il suo Mike! «Quanti a parte te possono vantare una conoscenza? Non potrebbero farsi idee sbagliate su di lui come tu te ne fai su di lei?» Le intenzioni bellicose immediatamente si sgonfiarono lasciando spazio a quelle riflessioni che proprio il Knox era in grado di farle mettere in atto. Aveva ragione. Aveva dannatamente ragione e l’esempio chiaro e lampante lo aveva proprio in Halley che non riusciva nemmeno lontanamente a vedere di buon occhio il cacciatore verde-argento nonostante la frequentazione in atto con il di lui fratello. «Okay, okay» sollevò le mani in segno di resa porgendo un ramoscello d’ulivo con una battuta atta a schernire tutta la situazione. Possibile che di due migliori amici, due su due, fosse pessimi nelle scelte sentimentali? Nathan rise e con lui anche gli angoli delle labbra della Grifondoro si sollevarono. Pace fatta.
    Ascoltò il suo breve racconto notando con una certa inquietudine come lo sguardo di lui s’illuminasse raccontando dell’altra, come i suoi lineamenti s’addolcissero e le guance prendessero il familiare colorito che faceva di entrambi due libri aperti. Era cotto, cotto totalmente per la Scamander e questo rendeva il suo compito ancora più mesto, difficile soprattutto quando la temuta domanda arrivò bussando cristallina alla porta: Rain andava con tutti? Era una poco di buono? Lo sguardo della Johnson si perse in qualche dettaglio del tutto superfluo della divisa dell’altro mentre rovistava nella sua mente in cerca delle parole migliori con la quale indorare la pillola. Rain era una poco di buono. Lo era dannazione e non sopportava che l’altro fosse stato così cieco fino a quel momento quando l’altra non si era manco mai presa la briga d’essere più discreta.
    «Nate...» odiava con tutte le sue forze la posizione nella quale la Scamander l’aveva messa. Proprio al suo amico doveva puntare?! «Credimi ti voglio bene ma non so come dirtelo» in un modo che facesse quanto meno un male minore. «Lo penso perché l’ho vista.» Bomba sganciata pronta ad entrare in collisione in tre... due... uno. Si sentì male per la piega in cui tramutò il volto dell’altro ma doveva sapere. Doveva sapere a cosa andava incontro. «Dragonov su tutti ma l’ho vista anche con altri. Nate non direi mai una cosa così di qualcuno ma Rain è... così. Forse nemmeno lo fa a posta.» Cos’era? Un tentativo di spezzare una lancia in suo favore? «Ma non credo proprio sia una persona fedele.» Concluse e poi, in un impeto di sentimento cercò le mani del ragazzo nel tentativo di stringerle, di fargli forza. «Sta attento con lei, non voglio tu ti faccia male ma dovevi saperlo» e le dispiaceva con tutto il cuore essere proprio lei il boia.


    Edited by Dragonov - 7/1/2024, 18:35
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    grace
    grace
    Pensieri, frustrazioni, fantasie, tutto le vorticava in testa come preda d’una tempesta, d’un forte vento pronto a dar vita al più burrascoso dei tornadi. Quella rabbia, quell’incapacità – nemmeno più velata – di comprendere il perché delle scelte messe in atto dal Serpeverde la faceva impazzire e con esso tutto il bagaglio di non detti che oramai da tempo aleggiava nell’aria. Era da sempre stato un loro problema quello. Il non parlare, il non mettere in tavola quelli che erano gli argomenti cardine per mandare avanti la loro relazione. Grace aveva omesso di quella sua instabilità magica che, in più di un occasione, s’era palesata tra loro. Aveva fatto finta di nulla e Michael, dal canto suo le aveva dato quello spazio che lei giudicava non avere bisogno. Aveva bisogno d’affrontare la realtà e, in alcuni casi, d’essere persino messa alle strette. Doveva affrontare quella situazione, prendere il coraggio a due mani e renderlo reale parlando ad alta voce del suo problema: il calore. Cos’era quella strana vicinanza all’elemento. Com’era possibile che, se si concentrava, era in grado di visualizzare e percepire ogni singola fiamma presente in una stanza. Anche gli altri ci riuscivano? Anche gli altri, se arrabbiati, si collegavano ad un elemento manifestando la proprio inquietudine attraverso la manipolazione dello stesso? Non aveva avuto il coraggio di chiederlo ai suoi amici. Nè ad Halley né tantomeno a Nathan. La prima era lampante non stesse passando il miglior periodo della sua vita e ricevere un “no” proprio da lei avrebbe potuto metterla in guardia costringendola a preoccuparsi ancora e ancora per quella ragazzina dai capelli biondi che giorno dopo giorno incarnava sempre più una sorellina minore da proteggere. Grace non voleva darle preoccupazioni, ne aveva passate e tutt’ora ne passava abbastanza e la causa di quel suo malessere era da ricercarsi sicuramente nell’odiata figura del di lei ragazzo, David. L’idiota. Non era riuscita a parlarne nemmeno con Nathan e lì c’era da dire non ci fosse un problema preciso. Con il ragazzo riusciva a parlare di davvero tante cose e su sua stessa richiesta, il Grifondoro, l’aveva pregata di utilizzarlo alla stregua di un confessionale quando ne avrebbe avuto bisogno. Perché non lo aveva fatto allora? Per paura. Paura di ammettere di non riuscire a controllarsi. Paura di ammettere di avere un problema, un vero problema e che quel problema era la causa per la quale sua sorella Elisabeth era morta. Il suo dannato, stramaledetto, potere incontrollato che aveva portato l’auto a sbandare e... tutto quello che ne era conseguito dopo. Parlarne avrebbe voluto dire trasformare quella congettura in realtà. Avrebbe voluto dire assumersi la colpa. Avrebbe voluto dire richiedere l’aiuto di un adulto, qualcuno che, con la sua esperienza, avrebbe potuto aiutarla... se c’era qualcosa da poterci fare. E se fosse stata prima di speranze? Spacciata? Una sciagura esattamente come sua madre la definiva quando s’arrabbiava con lei. Era stata davvero tutta colpa sua? In cuor suo sentiva fosse così ma non era pronta né sentiva di avere le forze d’affrontare quella verità. Una cosa per volta.
    «Perché mi fido di te. [...] Non c’è nulla da capire, Grace.» Una smorfia le increspò i lineamenti. La rabbia non le permetteva di apprezzare una risposta simile, una tale maturità da parte di quello che era il suo ragazzo. Era offuscata, completamente obnubilata nella ragione da quello che era il suo obiettivo tanto da non riuscire stimare la meravigliosa persona che Michael dimostrava d’essere. Lui la voleva libera, la voleva sé stessa senza la preoccupazione di dover badare a quello che era il suo essere per lui. Certo anche lui era umano e, come ammise qualche istante dopo, un po’ ne era rimasto contrariato almeno inizialmente ma era stato un pensiero, un misero pensiero del tutto umano prima che la fiducia nei riguardi della Grifondoro zittisse quella possibilità di dubbio. Ma per Grace fu l’ennesimo tassello che andò ad aggiungersi a quella montagna di omissioni, di quella parvenza di menefreghismo; il sassolino che, scivolando, avrebbe trainato con se il terreno dando vita ad una vera e propria frana. Perché Michael stava zitto? Perché non le parlava dei suoi pensieri, dei suoi dubbi o di qualsiasi dannata cosa gli passasse per la testa? Grace lo faceva, a volte persino pensando di annoiarlo con i suoi immensi monologhi dove gli raccontava la sua giornata o gli allenamenti, le sue impressioni ed i “gossip” che aveva raccattato sul campo. Gli parlava dei suoi sogni e di quello che avrebbe voluto fare “da grande” e Michael? Michael non diceva niente se non risposte, mezze risposte, che però non includevano sé stesso in quella futura visione. Sperava il meglio per lei, faceva il tifo per lei ma non s’includeva mai in quel disegno e Grace aveva iniziato a notarlo con una certa apprensione ed ora eccola lì la resa dei conti.
    «Basta, Grace!»
    «NO!» Sbottò ancora, frustrata. Era finito o almeno per lei finiva lì, in quel dannato istante il tempo dell’indifferenza selettiva verso determinati modi di fare messi in atto dal Serpeverde. O parlava e lo faceva all’istante o l’avrebbe persa per quanto non fosse pronta a perderlo, non sentiva di poterlo fare ed il solo pensiero razionale in quel verso le avrebbe infranto il cuore in mille pezzi.
    «Quindi ritieni sia sano non parlare? Non dirmi niente di te. L’ho capito che c’è qualcosa che non va Michael. Non sono stupida! Permettimi di... di-di esserci, dannazione. Di essere qualsiasi cosa tu abbia bisogno.» Perché non glielo lasciava fare? Lui accoglieva le sue confidenze, le dava consigli o semplicemente l’ascoltava sfogarsi ma la medesima cosa non avveniva mai dall’altra parte. Grace si sentiva bloccata in una relazione a senso unico dov’era unicamente il suo cuore quello messo in gioco, quello a gonfiarsi di sentimento per l’altro ma dall’altra parte? Il verde-argento la riempiva di belle parole, belle promesse e riflessioni ma nel concreto? Le aveva posto un muro, una barriera impenetrabile. Impossibile – o quasi – d’aggirare. Perché la teneva a distanza?
    «Sto cercando di cambiare. Perché ciò che ero potrebbe non piacerti» Grace voltò lo sguardo stringendo le labbra carnose in una linea sottile. Perché non capiva che già così facendo non le piaceva?
    «Non mi fiderò mai di te se non mi parli!» Sbottò, gli occhi gonfi di lacrime che non avrebbe voluto oltrepassassero il confine delle ciglia. Strizzò gli occhi azzurri, lucidi di tormento mentre quella sensazione, quel legame a doppio filo con l’elemento sfogava tutto il tumulto interiore nell’intensità della fiamma. Michael l’aveva notata ma non Grace, non la Grifondoro che stoicamente aveva ignorato quel potere cercando invece di focalizzare l’attenzione su quelli che erano i loro problemi, loro come coppia e non i suoi.
    «Impossibile» sussurrò, “impossibile”, ripeté scuotendo la testa. Ciò che sentiva per il ragazzo non le avrebbe mai permesso di prendere davvero le distanze da lui.
    «Che cazzo ne sai di qual è il mio bene?!» Strillò in replica. Non era una questione d’età eppure Michael con quelle parole dimostrò quanto fosse invece il contrario. Perché doveva decidere per lei? Per loro? Perché era immatura per farlo? Troppo sciocca?
    «’STA ZITTA LO DICI A QUALCUN’ALTRA! » Esplose furente insieme al fuoco delle fiaccole ignorando il ringhio animale nella quale si era tramutata la voce del Serpeverde. Non le aveva mai rivolto la parola a quel modo né lei a lui. Non erano loro. «N-non sono una bambola che puoi muovere a tuo piacimento.» La voce di Grace tremava così come le fiamme nelle fiaccole. Strinse i pugni percependo l’energia concentrarsi nelle mani, il calore sprigionarsi in essere. «Non puoi prendermi e posarmi come ti torna comodo! Sono la tua ragazza! Merito di sapere!» Perché la faceva così difficile così complicata. «Michael, parlami... ti prego!» Era arrabbiata, disperata.
    «Se le cose stanno in questo modo, non vedo come possa esserci un futuro per noi.» Le fiaccole si spensero, il cuore si fermò per un’istante mentre una crepa ne infrangeva la superficie. Le lacrime sfuggirono alla barriera delle ciglia.
    «Credi [...] che mi diverta a fare lo stronzo?» Lo sguardo rimase puntato alle mani strette spasmodicamente in un groviglio inespugnabile. Il fiato le mancava, insieme al respiro mentre nelle orecchie un fischio sordo copriva le parole del verde-argento. Si allontanò scivolando sulla panca, mettendo della distanza tra i loro corpi. Le mani le tremavano.
    «Non so cosa credere.» Sussurrò. «Voglio crederti quando dici di tenere a me ma poi ometti, non parli. Non mi degni... Non mi reputi all’altezza. Decidi persino per me.» Scosse il capo, delusa, incapace di spiegarsi cosa lo avesse portato a maturare una tale considerazione di lei tanto da renderla indegna delle sue confessioni. Indegna persino di potersi assumere le responsabilità delle sue scelte. Diceva di non considerarla troppo piccola, asseriva di volerla libera eppure dimostrava il contrario proprio imponendo la sua scelta come unica visione plausibile. «Non è normale questo. Non lo capisci che mi ferisce? Non mi reputi degna... Non credi in me!» Non aveva considerazione dei suoi sentimenti. Non credeva che ciò che provasse fosse sufficiente. «Mi hai sempre chiesto un atto di fede. Ora sono io a chiedertelo Mike. Abbi fiducia in me. Per favore Michael, ti prego. Fallo per noi. Se davvero provi ciò che dici... parla con me. Cavolo ma non lo capisci che ti amo? Come diavolo devo mettertelo in testa? Ma tu no, tu rimani chiuso ad offendermi con la distanza. A metterti da solo in testa che qualsiasi cosa tu nasconda possa allontanarmi. Non succederà okay? Non può perché maledizione mi sono innamorata di te e solo l’idea... L’idea... » Ma le parole le morirono in gola, strozzate dalle lacrime e dai singhiozzi incontrollati di quel panico generato da alcune semplici parole ma pesanti come il piombo: non può esserci futuro, la fine.
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    grace
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    Sembrava tipico, qualcosa di già visto, ma Vic, così come la stessa Grace, non avrebbe mai trovato qualcuno crudele con lei quanto era in grado di esserlo con se stessa poiché non c’era più grande giudice del tribunale interiore messo su in pompa magna dalla proprio coscienza. Il risvolto della stessa medaglia, esattamente speculare per quanto assurdo ed inspiegabile fosse. Perché loro due? Perché una e perché l’altra? Non c’era spiegazione alcuna. Non avevano nemmeno niente in comune! Victoria era ligia alle regole, alla disciplina e all’ordine e non aveva stupito nessuno la sua nomina a prefetto di Serpeverde quell’anno scolastico. Grace era abbastanza disordinata seppur nel suo caos – principalmente dettato dalle sensazioni di pancia – ritrovasse il suo ordine. Le regole per lei non erano mai stato qualcosa di tassativo soprattutto se, alla fine della fiera, infrangerle non avrebbe arrecato danno a nessuno. La Johnson era una sportiva ed il quidditch ne era la dimostrazione. Teneva a quello sport con tutta sé stessa e come s’impegnava durante gli allenamenti non lo faceva nemmeno in classe per la sua materia preferita. Era una persona fisica e pratica che non faceva certo fatica a socializzare con il prossimo entrando quasi sempre nelle grazie dell’altra persona con la quale stava parlando. La sua risata era pressoché contagiosa così come la spontaneità del suo sorriso. Grace era un piccolo sole che si aggirava per il castello di Hogwarts. Dal canto suo Victoria era inflessibile, il suo carattere talvolta chiuso e la sua indole non sembrava incline nell’apertura verso il prossimo. Victoria il prossimo lo attaccava e lo stendeva “a botte” di superiorità verbale e per questo poteva essere fraintesa, non apprezzata. Dispotica per certi versi ed un peperino per altri e questo lo stava dimostrando proprio in quel frangente stringendo le mani della Grifondoro riportandola ad una realtà priva di battute che lasciassero spazio ad un poco di leggerezza.
    «O-kay Vic» replicò la Johnson aggrottando di un poco le sopracciglia. Capiva il suo mal d’amore ma non riusciva realmente e appieno a comprendere perché la Crain fosse così tanto suscettibile sull’argomento. «Va bene. Non intendevo prenderti in giro, assolutamente, ma ora respira» cercò d’intimarla in quanto era palese quanto la Serpeverde non fosse in lei. Tormentata, paranoica e rabbiosa. Un’anima in pena su tutta la linea la cui magia, peraltro, sembrava star condizionando l’ambiente intorno a loro. Grace poteva percepirlo. Un calore, quasi dal terreno si stesse sollevando una patina invisibile di energia. Percepiva distintamente il chiarore del fuoco, la forza con la quale ardeva e l’intensità di propagazione della fiamma. I suoi picchi, in positivo ed in negativo. Ogni percezione legata all’elemento era amplificata. Sentiva di poterne appropriarsene di quel calore per quanto quella riflessione fugace come si materializzò nella sua mente così scomparve. Troppo surreale per essere realmente presa in considerazione. Grace aveva bisogno di elementi tangibili.
    Distratta quindi dalle parole della Serpeverde lasciò andare – in parte – quel pensiero per raccontare alla Crain quale fosse il suo non segreto. Lei non stava facendo nulla. Era il suo istinto che, come una bussola, aveva puntato a lei, al nord. Non avrebbe saputo spiegarglielo – e infatti non ci riuscì – come mai proprio il nord di quella bussola fosse lei ma lo percepiva distintamente. Un richiamo, una necessità viscerale: lei doveva trovarsi lì dov’era, esattamente con lei.
    «Stai scherzando.» Esordì Victoria scattando quasi fosse risentita, offesa da quelle parole.
    «Sei una che legge le menti, o robe simili?»
    «N-no! Io parlavo di me.» Aggrottò le sopracciglia, confusa. Era come se, in quel momento, avesse perso un grosso pezzo del puzzle ed ora non riuscisse più ad andare avanti. Ciò che riusciva a capire dalle sue parole era che anche Victoria si fosse sentita e forse si sentisse ancora a quel medesimo modo ma non riusciva a comprendere perché la Serpeverde ne fosse arrabbiata, infuriata addirittura! Perché era un male?
    «Trovi divertente che la pazza non sia in grado di controllarsi e se ne vada in giro a giocare alla piromane?» Boccheggiò. La pazza? Chi era pazza? Lei? Victoria allora si lanciò, furente, continuando in quel monologo di domande retoriche che doveva aver posto lei, Grace, mettendogli in bocca assunzioni che in realtà la Grifondoro non aveva nemmeno lontanamente pensato. Non riusciva a capire perché se la prendesse così animatamente con lei come se l’avesse offesa pesantemente insultandola ma nulla di quanto proferito dalla Serpeverde aveva mai trovato voce o pensiero nella Johnson.
    «Vic! Basta! Io non ho mai detto tu sia pazza! Non mettermi in bocca cose che nemmeno penso.» Scattò infastidendosi fisiologicamente per quelle assunzioni del tutto sbagliate associate alla sua persona. «Certo che non è divertente, ci mancherebbe! Non ho mai detto che lo sia ma non sapevo nemmeno che fosse capitato anche a te... Cazzo non sei pazza! Smettila!» O pazza avrebbe dovuto esserlo anche lei quando ad inizio anno le era successo quell’episodio, quello scatto d’ira in cui, presa dalla rabbia, aveva dato fuoco a quello scherzo, quell’insulto, che le era stato recapitato. Ma furono solo parole, parole al vento. Victoria doveva essere collassata in una spirale di rabbia ed ansia il cui risultato si manifestò attraverso la sua magia che in un impeto incontrollato le incendiò le mani. Esattamente com’era successo alla Johnson.
    «CAZZO VICTORIA!» Urlò scattando istintivamente in avanti verso la Serpeverde che a sua volta si ritirò in un passo indietro mentre attorno a loro, le fiamme, erano come influenzate dal loro tumulto interiore e non seguendo confusionariamente prima una poi l’altra alzandosi. Victoria indietreggiò ancora avvicinando un cespuglio rinsecchito che prese immediatamente fuoco. Le fiamme si alzarono immediatamente ma la Johnson ancora una volta non perse tempo estraendo la sua bacchetta, non cercò lo strumento per eccellenza che, con un Aguamenti ben castato avrebbe risolto la situazione. Si avventò sulla Serpeverde afferrandole di forza i polsi. Non sapeva nemmeno lei perché stesse facendo ciò, anzi, non aveva la più pallida idea di cosa stese facendo in generale ma le si fiondò addosso stringendoli, racchiudendo quelle mani infuocate con le sue.
    «BASTA!»
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    grace
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    Che dire? Non avrebbe insistito se quella era davvero la volontà del Grifondoro! Certo la metteva a disagio e non poco poiché la faceva riflettere in primis sulla sua situazione finanziaria che, a dispetto di molti suoi compagni di scuola, persino dei suoi amici più stretti, non brillava per il lusso che avrebbe potuto concedersi, anzi. La Johnson e sua madre vivevano unicamente dello stipendio di lei che molto umilmente svolgeva il lavoro di segretaria in un ufficio della Londra bene ed uno a questo punto avrebbe potuto pensare che la signora Somer godesse di una buona remunerazione... niente di più sbagliato, o meglio, era uno stipendio okay ma ciò non permetteva alla donna e alla sua oramai unigenita di vivere nello sfarzo. Un modesto appartamento, un’ordinaria utilitaria per auto. Questo era il tutto. Niente di eccessivo. Stavano bene e Grace era quindi da sempre stata abituata a cavarsela con poco, umilmente, con ciò che la natura le aveva dato come talento: lo sport. Chissà, magari un giorno sarebbe davvero riuscita ad entrare in una squadra famosa e questo le avrebbe consentito di ripagare completamente il mutuo che pendeva sul loro appartamento, magari sarebbe persino riuscita ad acquistare a sua madre una villetta! Sarebbe stata contenta di lei allora? O l’avrebbe ancora e ancora disprezzata come faceva assiduamente?
    «Mio padre non mi considera così tanto come coi suoi figli legittimi.» L’espressione sul volto della giovane si gelò. Figli legittimi, quindi lui non era... ? E Roy, forse leggendo la sua espressione interrogativa partì in una piccola spiegazione di quello che era il suo contesto familiare. Assurdo. Discutibile. Persino ingiusto. Dannatamente ingiusto. Le sopracciglia della biondi si corrucciarono ascoltando tutta quella dose di ingiustizie che il rosso-oro aveva dovuto subire del tutto gratuitamente nel suo contesto familiare. Come se fosse stata colpa sua nascere, come se, gravasse su di lui il peso dell’infedeltà di quell’uomo che gli aveva donato il suo cognome quasi fosse una concessione, un onore. Grace si scoprì ad odiarlo. Senza se e senza ma esattamente come odiava ogni forma d’ingiustizia.
    «O per vergogna magari. Per non farsi puntare il dito contro come quella che è stata tradita. Se ci pensi accettando ci fa una figura migliore. Tipo fosse magnanima...» Rifletté mentre lo sguardo si perdeva nel vuoto di fronte a sé. Che schifo. Si riprese. «Mi dispiace» asserì spostando lo sguardo negli occhi verdi del Grifondoro. «Nessuno dovrebbe subire o essere trattato come fosse di serie B. Tu non lo sei.» Affermò decisa salvo poi sbarrare i grandi occhioni azzurri rendendosi conto che quell’affermazione avrebbe potuto essere fraintesa, magari interpretata come pietà da parte sua:
    «Oddio scusa! Spero... spero non ti abbia offeso, insomma. Io volevo dire... Aaah!» Certe volte andava impelagandosi nei discorsi più complessi rendendosi conto poi della possibile gaffe pronunciata. «Mi farò perdonare. Assolutamente e sì... va bene, accetto il tuo regalo» ma lo avrebbe fatto solo in cambio di una condizione inderogabile: lo avrebbe allenato trasformandolo in un portiere provetto. La cosa sembrò entusiasmarlo accendendo di riflesso un sorriso sul volto della bionda. Era contenta di averlo reso felice con così poco accettando e proponendo quello scambio che di equo aveva poco ma era il minimo che era riuscita a strappare al ragazzo che dal canto suo non voleva proprio desistere sulla questione protezioni. Questo le avrebbe risparmiato grattacapi con la madre che tanto non si sarebbe curata circa la qualità della sua strumentazione magica. D’altronde non le era mai fregato niente! L’unico dubbio era insito nel suo ragazzo... Michael avrebbe storto il naso di fronte ad un dono di quella portata posto da un altro ragazzo? Il sorriso perse di un punto d’intensità. Ormai era fatta. Ci avrebbe pensato per bene poi. Non che avesse intenzione di mentirgli – lungi da lei! – ma magari imbastendo il discorso in un determinato modo avrebbe potuto indorare la pillola?
    «Un mobile... Mh. Sta a vedere che le avete fregate a qualche Serpeverde! Quelli hanno la Sala là sotto! Bella lì!» Gli allungò la mano a modo che l’altro potesse schiaffeggiarne il palmo con un “cinque” sonoro.
    «MISS JOHNSON È L’ORA DELLA POZIONE!» Riecheggiò una voce oltre le tende tirate che portavano nella piccola parte d’infermeria adibita alle visite. I lineamenti della Grifondoro si piegarono in una smorfia di disgusto:
    «Ewww! Non ne posso più! A saperlo che faceva così schifo non mi sarei rotta» bofonchiò arricciando il naso in direzione delle tende. «Se tutto va bene domani, se la tiranna mi lascia.»
    «Oh! Signor Hargraves che ci fa qui?! Non lo sa che l’orario delle visite parte dalle sedici? Forza! Fuori dalla mia infermeria!» Fece la donna impettita poggiando i palmi ai lati dei fianchi mentre dal grembiule fuoriusciva parte del flacone di Ossofast. «FUO-RI!» Strillò costringendo la Johnson a stringere i denti incassando il volto nelle spalle. “Grazie” mimò con le labbra prima che l’altro venisse definitivamente scortato fuori.
    «E lei se non la pianta di ribellarsi non vedrà una scopa nemmeno con il binocolo!» Questa era bella poi! Non aveva fatto nulla!


    Edited by Dragonov - 27/11/2023, 17:19
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    grace
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    Nervosismo. Era questo ciò che provava ed era esattamente questo che non si aspettava – almeno non del tutto – da un confronto con il Serpeverde. Grace aveva messo in conto la possibile rabbia di lui, il possibile sentimento che lo avrebbe potuto spingere a richiedere una giustificazione sensata per il suo comportamento ma ciò che non si aspettava era quell’arrendevolezza, quel modo con cui Michael, all’apparenza, sembrava lasciarsi scivolare tutto addosso. Le sarebbe andato bene se questo tipo d’atteggiamento fosse stato indirizzato per altra tipologia d’argomento ma non questo, non questa indifferenza che la feriva, nell’ego e non solo, portandola a pensare che il Serpeverde si lasciasse scivolare anche lei. Era questo che pensava di lei? Erano queste la considerazione e l’importanza che era disposto a darle? O semplicemente il gioco aveva perso d’attrattiva una volta ottenuto? Le sembravano tutte congetture distanti, incredibilmente distanti, da quello che era sempre stato fino a quel momento lo stile del biondo, eppure, l’allarme del dubbio era scattato sonoro quando Michael aveva proferito quelle parole: “credevo fosse meglio così. Sono stato occupato”. Parole gettate così su due piedi ma che avevano gelato la giovane come se fosse stata esposta ad una doccia d’acqua fredda. Con quelle parole Michael sembrava credere che la distanza fosse un bene, che la mancata comunicazione fosse un bene e magari non avendola tra i piedi si sarebbe potuto concentrare su dell’altro. Dell’altro che fosse realmente importante rispetto a lei, fastidiosa bambina capricciosa. Quest’ultima cosa, ad onor del vero, il giovane Harris non l’aveva nemmeno pronunciata, forse persino nemmeno pensata, ma l’impeto collerico della Grifondoro era già andato oltre riempiendo gli enormi spazi vuoti lasciati dalle omissioni del ragazzo. Cosa diamine c’era di più importante di loro? Chi?! Il solo pensiero che le attenzioni del Serpeverde si fossero indirizzate verso altri lidi le riempiva la bocca di nausea torcendole lo stomaco mentre gli occhi cerulei si facevano più lucidi. Non avrebbe pianto, no, col cavolo. Avrebbe combattuto con le unghie e con i denti per quella relazione se ci fossero stati i giusti appigli per farlo e lei sapeva, sentiva e credeva ci fossero. Con tutto il cuore, quel cuore destinato a quel ragazzo dallo sguardo perennemente incupito.
    Ma il suo di sguardo, questa volta, non fu in grado di sostenerlo, incapace in quel momento di mantenere e reggere quello algido del ragazzo insieme a quelle parole che, come bastoni, l’avevano colpita ma non si diede per vinta e, stringendo i denti, partì immediatamente al “contrattacco” non lasciando che possibili non detti aleggiassero nell’aria intorno a loro. Cos’era stato quindi più importante? Risposta: la famiglia. Questa famiglia misteriosa e all’apparenza oscura che sembrava esigere dai figli cose alla Grifondoro sconosciute. Che volevano da loro? Grace non riusciva a capirlo ed i caratteri tanto diversi dei due eredi Harris le rendevano difficile, se non impossibile, l’impresa di riuscire a venire a capo del mistero di quella famiglia. «Niente di interessante.» Pure. Sul suo viso per qualche frazione di secondo si dipinse una smorfia. Delusione e rabbia lottavano per prendere il sopravvento eppure la Johnson si tratteneva, si tratteneva esternamente così per istinto e natura per quanto dentro di lei albergasse un vero e proprio tumulto che, se il Serpeverde fosse stato attento, avrebbe intuito dall’agitarsi improvviso delle fiaccole presenti nello spogliatoio. Del loro improvviso movimento quasi una brezza le solleticasse infastidendo il loro lento bruciare e glielo disse, gli disse che era arrabbiata con lui così senza ulteriori mezzi termini perché di quelli si era stancata da un po’.
    «La tua amica sembrava avere bisogno di te. Sarei stato di troppo.»
    «No!» Replicò di getto, fin troppo. In realtà il Serpeverde aveva ragione e sarebbe stato effettivamente di troppo in quella conversazione che poi ne era seguita con Victoria ma da un lato la Johnson proprio sentiva di non poter fare a meno di quel ragazzo in ogni aspetto della sua vita. Morbosa? Forse un po’ ma dal canto suo era un modo che aveva di vivere i rapporti umani al di fuori del suo nucleo familiare così freddo, così anaffettivo ed ora che in casa erano rimaste solo lei e la madre, persino asettico. Heather non sembrava apprezzarla, tantomeno amarla e la piccolina ricercava quell’affetto sconosciuto negli amici e proprio in quel ragazzo per cui non sapeva dosare i sentimenti.
    «Perché sono fuggita via! Perché ti ho lasciato lì senza una spiegazione... I-io non capisco!» Non riusciva ad immedesimarsi, né a mettersi nei suoi panni. Come faceva a farsi andare bene... tutto? Era inspiegabile, assolutamente inspiegabile ai suoi occhi.
    «Non mi è andato bene, ma non sono te. Le mie reazioni sono... mie.» E aveva senso, senso e fottuta ragione eppure l’ansia non le permetteva di capire un concetto così semplice, naturale. «Ma perché non me ne hai parlato?» Se lo aveva scontentato come diceva, perché sempre quel dannato silenzio?! «Perché non mi parli mai di niente?!» Era frustrante, a quel punto persino logorante quella situazione. E poi glielo domandò. Le parole sfuggirono dalle sue labbra tormentate dai morsi ancor prima che potesse anche solo pensare di ponderarle: non t’importa?
    Sollevò lo sguardo rivolgendolo contrita in quello algido del Serpeverde e, ignara della possibile reazione del ragazzo, il cuore di entrambi si fermò. Lo sguardo di Michael si velò di un’ombra e, dopo qualche istante, le mani del ragazzo l’attirarono stingendola quasi a volerle infondere la sua tangibile presenza: lui era lì, c’era davvero ma a lei non bastava più. Non così.
    «Mi importa di te. Più di quanto io possa ammettere, Grace. Ci tengo a te.» La pressione delle sue mani sulle sue braccia era una sensazione piacevole così come l’urgenza nel suo sguardo. «A noi. Voglio stare con te.» Gli occhi della Grifondoro si riempirono di lacrime. Commozione e sollievo la facevano da padroni a sentire il trasporto di quelle parole. Qualcuno avrebbe potuto mettere in dubbio frasi del genere, maligni avrebbero persino potuto insinuare che fossero frasi fatte ma Grace leggeva in quegli occhi la purezza della verità. Mike non stava mentendo, non quando le parlava di ciò che provava.
    «Allora perché fai così?» Perché si tratteneva di continuo? Perché sviava le sue domande. Lei avrebbe davvero voluto donargli tutta sé stessa ma non così, non finché tutte quelle ombre avrebbero continuato a gravare sul loro rapporto. Non finché spariva adducendo impegni di famiglia finendo per tornare poi zoppicante o dolorante o chissà che altro! Che gli facevano quei bastardi?!
    «Ti fidi di me?»
    Scorretto.
    «Io voglio fidarmi ma tu non me lo permetti. Tu e i tuoi dannati silenzi. Non posso stare con una persona che non mi parla e non capisco perché tu non lo faccia!» Sbottò lasciando che per una volta tutto ciò che si teneva dentro da mesi venisse a galla. Aveva lasciato correre per troppo. «È perché sono più piccola?» Era quello il problema? Di quanto poi? Si parlava di meno di due anni. «Sono maggiorenne Mike, non sono più una bambina. È... È offensivo che» una lattante. Si fermò cercando di mantenere la calma. Spostò lo sguardo dal Serpeverde inspirando, chiudendo gli occhi per ritrovare il giusto controllo.
    «Stare con una persona vuol dire fidarsi. Io mi fido di te se tu ti fidi di me. È sostenersi. A vicenda. Tu... Tu svii. Me ne sono accorta, sai? E non capisco perché e più non lo capisco e più mi manda ai matti e mi fa arrabbiare che tu non abbia una considerazione di me che mi renda degna di... di-di di qualsiasi cazzo di cosa! Non mi stai parlando, Mike! Non. Mi stai. Parlando!»
    Recuperò il fiato pesantemente affannata dallo sforzo che le era costato tutto quel discorso e, come rispondendo ad un comando, le fiaccole persero d’intensità spegnendosi insieme alla Grifondoro.


    Edited by Dragonov - 26/11/2023, 20:33
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