Now, speak!

With Michael.

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Grifondoro
    Posts
    301

    Status
    i'm sleeping
    grace
    Quante volte aveva sbagliato e quante volte ancora avrebbe dovuto ricadere nei soliti errori prima di riuscire a cambiare quel meccanismo che, inconsciamente, metteva in atto quando c’era un problema? Continuava a cadere nel solito errore, nel solito silenzio che la portava ad indugiare in alcune situazioni che vedeva e percepiva essere scomode eppure, proprio quel coraggio che veniva tanto decantato alla sua casa, le mancava nel momento del bisogno. Nel momento in cui al posto di fare e rifare e perpetrare lo stesso comportamento avrebbe dovuto affrontare di petto la situazione sovvertendo lo schema che era andato a crearsi. «Invece no, Grace!» Sentenziò rivolta a sé stessa ad alta voce mentre, ondeggiando le gambe sul davanzale di marmo, le andava tirando su per avvolgerle dalle braccia coperte dal maglioncino leggero che la leggera brezza autunnale le costringeva a mettere nonostante il timido sole che ancora si mostrava all’orizzonte. La Grifondoro ce l’aveva con sé stessa per un motivo ben preciso: l’impasse. Ancora una volta aveva scelto di attendere nella speranza che fosse la controparte a prendere l’iniziativa, a metterla con le spalle al muro magari con l’accusa ben precisa di cosa non le era andato giù invece, Michael, da questo punto di vista era più subdolo, prendeva le distanze e con i suoi occhi azzurri chiarissimi la squadrava dalla distanza, impassibile, impedendole di comprendere cosa davvero passasse per la testa del mannaro e perché avesse optato per quell’apparente trattamento del silenzio. La faceva impazzire. Più si dimostrava freddo e più la Grifondoro cadeva nella spirale degenerativa dei suoi pensieri che la portavano a vedere tutto più nero di quanto fosse realmente. Se solo si fosse decisa a fare la prima mossa. Sbuffò. “E va bene”, si disse. Avrebbe fatto l’uomo della situazione... doveva solo capire dove il suo ragazzo fosse in quel labirinto di corridoi e luoghi che era il castello di Hogwarts. Che ci vuole? Tirò la testa all’indietro roteando i grandi occhioni cerulei per il fastidio ed il nervoso. Le viscere cominciarono ad aggrovigliarsi per l’agitazione ma, Grace, era del tutto ben intenzionata a porre fine a quella faccenda. Non avrebbe lasciato passare un minuto di più, avrebbe sovvertito quella situazione, avrebbe finalmente messo in atto il suo cambiamento. Decisa si slanciò dal davanzale di marmo del giardino interno, uno dei suoi luoghi preferiti a metà strada tra la natura – il giardino – e la vita del castello – gli stessi corridoi che si diramavano per le varie direzioni e si mise in moto verso la sua destinazione: la bacheca dell’atrio. Sulla bacheca erano riepilogate le varie attività del castello e, soprattutto, era appesa una copia del calendario delle prenotazioni del campo da Quidditch. Quindi, alla mercé di tutti era possibile capire chi avesse bloccato il campo per gli allenamenti individuali.
    «Grifondoro, Grifondoro, Grifondoro, Tasso... Corvo... Grifo, Grifo, Grifo... Oh eddai Hal» bofonchiò scorrendo a ritroso nelle date e notando come l’amica avesse fondamentalmente monopolizzato il campo. Di quel passo le sarebbe uscita la tartaruga o due bicipiti da far invidia a quel colosso che avevano proprio a Serpeverde. Espirò mettendosela già via in partenza poi la sua aguzzina preferita sapeva già sarebbe stata irremovibile ma, in fondo, le andava anche bene così. Le ore passate a cavallo della scopa erano liberatorie e mai come durante gli allenamenti la sua testa riusciva ad essere davvero sgombra. Lì sulle nuvole tutto acquistava una prospettiva diversa!
    «Ah haaa!» L’indice si fermò con soddisfazione picchiettando sulla riga del giorno identificando i Serpeverde come i detentori del campo per i successivi venti minuti. “Finalmente David torni utile a qualcosa!” Lasciò cadere le pagine e con un sorriso soddisfatto si avviò a passo svelto fuori dalla scuola affondando le scarpe nell’erba leggermente alta per gli standard del guardiacaccia in direzione del campo da Quidditch. Una volta giunta diede un occhio all’orologio affisso nel corridoio d’ingresso e constatò che l’allenamento doveva essere in dirittura d’arrivo ed infatti nel giro di qualche minuto avvertì proprio il maggiore degli Harris dare l’ordine fine. Andò a nascondersi nell’altra coppia di spogliatoi, quella libera dall’utilizzo e pazientemente attese che la squadra terminasse di sistemarsi post allenamento ascoltando il casino di schiamazzi proveniente dallo spogliatoio maschile mentre da quello femminile poteva udirsi appena appena e sforzandosi la voce dell’unica ragazza facente parte della squadra che canticchiava coperta dallo scrosciare dell’acqua. «Ovviamente sa anche cantare, e certo» bofonchiò sottovoce tra sé tirando un sospiro piuttosto infastidito. C’era qualcosa che la Serpeverde non sapesse fare? Bellissima era bellissima, aggraziata anche, talentuosa in quello sport pure ed ora, come se non bastasse, Grace, scopriva che aveva anche una bella voce. Dava fastidio tutta quella perfezione e ancor di più che ronzasse attorno al suo ragazzo. Roteò gli occhi al cielo cominciando ad inviperirsi per la gelosia ma fu quando avvertì le voci farsi più vicine che comprese che i ragazzi dovevano aver cominciato ad uscire dagli spogliatoi. Scattò in piedi avvicinandosi allo stipite e da lì sbirciò l’uscita dei ragazzi, obiettivo: non incrociare quella palla al piede del maggiore tra i due fratelli. Origliò ancora e quando fu certa che quasi tutti i componenti fossero usciti, stupendosi ancora una volta dell’incredibile fortuna che voleva Michael ancora in procinto di sistemarsi. Uscì allo scoperto palesandosi alla vista della Serpeverde che le rivolse una delle sue occhiatine furbette dal significato misterioso che ricambiò inespressiva dirigendosi invece verso lo spogliatoio maschile dove trovò il Serpeverde con ancora i capelli umidi dalla doccia.
    Avanzò decisa anticipando i suoi movimenti e stendendo il palmo lo spinse contro la panca sperando d’averlo colto sufficientemente di sorpresa da farlo sbilanciare sedere togliendo almeno il suo vantaggio dell’altezza.
    f7685a9ed16788c113bc01bedf05a0b0
    Gli circondò le guance con i palmi tirandolo a sé per baciarlo, sfrontata ma decisa a riprendersi ciò che era suo. Si strinse al ragazzo passando a circondargli le ampie spalle muscolose accoccolandosi sulla panchina con lui.
    «Sei una testa di rapa Michael Harris» esordì perentoria poi chiuse gli occhi traendo un respiro. «Perché cavolo sei sparito dalla festa? Ti ho cercato dopo... e...» il suo viso si corrucciò in un broncio mentre lo sguardo si fissava sul suo pettorale che puntellò con il dito. «Non mi hai cercata in questi giorni...» soffiò più triste, più ferita. Ed eccola lì, la paura che bussava alla bocca dello stomaco.


    Edited by Dragonov - 18/10/2023, 17:10
     
    .
  2.  
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Serpeverde
    Posts
    178
    Location
    Bronx, USA.

    Status
    i'm sleeping
    mike
    C’era qualche cosa in quella ragazza che riusciva a smuoverlo nel profondo. Una sensazione nuova. Mai provata. Una fortuna. Un appiglio. Un qualche cosa che avrebbe potuto aiutarlo a riemergere da quel buio pesto nel quale si era ritrovato in seguito alla sua condotta deviata dal volere di un padre padrone, tiranno e deciso a rovinare l’esistenza ai suoi due figli. Il senso di colpa gli attanagliava il petto e, giorno dopo giorno, lottava per non lasciarsi sopraffare dalle ore che scorrevano inesorabili, avvicinandolo all’incontro successivo con quel destino che lo attendeva dietro l’angolo, con tutta l’angoscia annessa per via dei “compiti” a lui riservati. Fanculo. Si lasciò sfuggire maldestramente la pluffa, attirando l’attenzione di un David, pronto a sottolineare le mancanze altrui senza, però, badare alle sue. Nulla di nuovo. Un atteggiamento che, sotto molti aspetti, riusciva a tendere quei nervi che non avevano bisogno di ricevere ulteriori colpi. Sbuffò e attese le direttive del fratello mentre, i suoi compagni, sfrecciavano sulla sua testa, impegnati a rincorrere la gloria persa miseramente sul campo, nella stagione precedente. Alzò al cielo lo sguardo colpevole e incassò tutta la frustrazione del moro, convinto che con quell’atteggiamento avrebbe ottenuto il benestare della squadra. Illuso. Così facendo, era quasi certo, sarebbe riuscito a scavarsi la fossa con le sue stesse mani, tirando a sé il disappunto di chiunque passasse sotto alla sua forma di dittatura. Problemi suoi, finché la sua rabbia non si fosse scagliata, gratuitamente, su di lui. “Il tempo è scaduto.” Sentenziò distrattamente ma con tono secco, scandendo il tempo che, terminato, andava a sancire il loro ritiro in ambienti decisamente più salubri. Prima di ciò, però, urgeva una doccia ristoratrice, utile a lavare via non solo la stanchezza data dall’allenamento ma anche la coscienza dai suoi innumerevoli errori. Così avrebbe fatto. Si lasciò cadere per un attimo su una delle panchine e, una volta che tutti uscirono dal suo campo visivo, prese a liberarsi della divisa da quidditch, riponendola ordinatamente nel borsone adibito proprio al trasporto della stessa. Più leggero e svuotato di qualsiasi tipo di pensiero, si godette quel momento privato e intimo, lontano da quel mondo che tanto lo spaventava da impedirgli di essere sé stesso, quello vero che esulava dalle sue stesse gesta ancora inspiegabili nella sua testa. Nonostante reputasse che il suo essere fosse di gran lunga migliore di così, la realtà indicava ben altro e le bugie che era costretto a propinare alle persone alle quali teneva. Grace in primis. Strinse i pugni, sbattendo il destro contro il muro, senza calibrare quella forza che negli ultimi tempi era diventate un vero e proprio problema, quando si trattava di trattenerla, così da celare anche la sua natura non propriamente umana o, almeno, non del tutto. Che avrebbe fatto quando la verità sarebbe venuta a galla, consegnandolo al mondo per ciò che era veramente? Sarebbe riuscito ad uscirne indenne, senza lasciarsi dietro pezzi importante di sé. Pezzi irrecuperabili di quello che era il puzzle della sua breve vita, costruita a fatica. Sì. Si era messo in gioco, cercando di mettere da parte i suoi deficit di fiducia nel prossimo. Si era aperto, aveva lasciato che Grace entrasse nella sua personale realtà, senza per forza sconfinare in discorsi che l’avrebbero portata ad un allontanamento certo, almeno per come stavano le cose tra loro in quel determinato frangente. L’inizio di una storia? Un periodo delicato. Fragile. Un passo falso e l’avrebbe persa per sempre e no, non era ciò che voleva. Lo scrosciare dell’acqua lo trascinò in un universo parallelo, nel quale non vigevano più le regole del tempo e dello spazio ma, al di là del muro, qualcuno batté con violenza, palesando la propria disturbante presenza. “Me ne vado. Ti aspetto in Sala Comune.” Il tono di voce seccato di David raggiunse le sue orecchie, strappandolo a quella perfezione venutasi a creare con il silenzio. Non rispose. Lasciò che quel grugnito si dissolvesse, accompagnato dai pesanti passi intenti ad allontanarsi dallo spogliatoio e, finalmente, la quiete tornò a regnare sovrana, così come aveva sperato. Terminò di lavarsi e, dopo essersi circondato la vita con un asciugamano, tornò nel punto in cui aveva lasciato la divisa verde-argento, perfettamente ripulita e piegata, quasi maniacalmente. La infilò ma non si preoccupò di andare a sistemare i suoi folti capelli biondi che, quindi, rimasero in disordine, in attesa di trovare la loro naturale piega una volta asciutti. Pazienza zero, come la maggioranza della popolazione maschile, senza tratti narcisistici. Si alzò in piedi, portando entrambe le mani sulla cinta, così da facilitare il gesto di andare ad allacciarla ma, improvvisamente, qualcuno si insinuò all’interno di quello spazio, senza chiedere il permesso di entrare. Tornò a sedersi, indifferente. Alzò gli occhi azzurri, sperando di non dover scontrarsi con qualche energumeno, alla ricerca di grane –e con lui le avrebbe trovate- ma, davanti a lui trovò una gradita sorpresa. La piccola Johnson, per qualche assurdo motivo, si era presentata lì, per chi? Per lui? Beh, per chi se no? Sicuro si sarebbe ben guardata da un possibile incontro con suo fratello. Avanzò con decisione, spudorata e dannatamente sicura di sé. Un punto a suo favore. La lasciò fare, senza opporre resistenza ma, anzi, incentivando quell’atteggiamento che, diciamocelo, lo pungeva sul vivo, risvegliando un desiderio assopito ma per niente dimenticato. La attirò ancora più a sé, ricambiando il bacio, approfondendolo e addirittura aumentando il ritmo, così da lasciare intendere quanto gli fosse mancato il contatto con lei. Si sedette su di lui, approfittandone nel prenderla tra le braccia, con intento romantico e delicato. ”Sei una testa di rapa Michael Harris.” Testa di rapa. Gli erano stati riservati parecchi epiteti ma mai nessuno lo aveva definito in quel modo. Ne scaturì un sorrisetto, appena percettibile ma presente. Capiva il motivo per il quale avesse utilizzato quel particolare appellativo ma, d’altra parte, aveva deciso di abbandonare la nave per una motivazione più che valida secondo il suo punto di vista. La libertà. Lasciare spazio all’altra metà, credeva fosse cosa buona e giusta, così da non soffocare un sentimento appena nato con l’eccessiva foga nel voler presenziare nella vita dell’altro. Lui era lì e se avesse chiesto la sua assistenza, non avrebbe esitato ad intervenire. Punti di vista ancora da esporre per ampliare la conoscenza l’una dell’altro. “Credevo fosse meglio così.” Non aveva la benché minima idea di cosa fosse successo alla sua amica e, di certo, non erano affari che lo riguardavano da vicino. “Sono stato occupato.” A tenere a bada i miei sensi di colpa! Certo, questo lo tenne per lui. “Come sta la Crain?” Si era ritrovato faccia a faccia con lei più e più volte ma il loro rapporto si riduceva ai meri convenevoli imposti dall’educazione di base. “Perdonami.” Una semplice parole. Un duplice significato. Uno evidente, l’altro latente che non avrebbe trovato espressione facilmente. Le baciò la fronte, stringendola ancora un po’ di più. “E tu? Come stai?” In caso di risposta negativa, beh, la colpa andava fatta ricadere su lui stesso, incompetente quando si trattava di rapporti interpersonali, accentuati da quello che era un palese interesse verso quella ragazzina che forse, un giorno, non si sarebbe più accontentata delle sue risposte tanto vaghe da neanche apparire risposte vere e proprie.
     
    .
  3.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Grifondoro
    Posts
    301

    Status
    i'm sleeping
    grace
    grace
    La nuova Grace. Un concetto che era andato formandosi negli ultimi mesi a partire dalla presa di posizione che aveva dovuto avere con Marshall, a tutta l’estate in cui aveva avuto modo di riflettere su sé stessa e la sua condizione, sul suo modo di reagire agli eventi. Non voleva più essere spettatrice delle sue disdette e soprattutto non voleva attraversare ciò che l’amica stava passando. Grace non vedeva di buon occhio la sua relazione col maggiore tra i due fratelli e da un lato la intristiva perché, almeno inizialmente, avrebbe dovuto fomentarla in quell’aspetto che avevano in comune che le aveva portate ad avvicinarsi ulteriormente complici di quelli che erano gli aspetti medesimi dati dal frequentare i membri di una stessa famiglia. Condizionale. Semplice condizionale poiché sin dalla loro prima interazione David Harris aveva fatto in modo di apparire come la persona più sgradevole sulla faccia della terra approcciandosi a lei con un’arroganza e delle manie di controllo nei confronti del fratello che la giovane Grifondoro era piuttosto sicura nessuno gli avesse accordato. Beh, lei non di certo. Non le era piaciuto insomma, due personalità che alla stregua degli eventi non avevano fatto altro che cozzare e nel momento in cui era saltato fuori che proprio quell’individuo frequentasse colei che reputava una migliore amica alla stregua di una sorella maggiore non aveva potuto nasconderle le sue perplessità. Mai gliele aveva nascoste arrivando persino sull’orlo della discussione proprio quell’estate quando sulla spiaggia s’erano sedute sui loro teli da mare affrontando a cuore aperto le questioni che tediavano i loro animi, soprattutto quello dell’amica. I problemi della Johnson in fin dei conti potevano dirsi questioni da niente ma ciò che aveva finito per spaventarla era stato il modo in cui Michael aveva risposto alla sua “fuga” al falò d’inizio anno, quando lei, presa da una forza interiore inspiegabile s’era mossa alla volta di Victoria sentendo il bisogno di parlare con la Serpeverde, percependo la necessità che aveva avuto l’altra del suo aiuto per quanto esternamente, d’un primo acchito, la ragazza avesse tentato di ribellarsi negando quella lampante richiesta d’aiuto per la Grifondoro. Ciò che però l’aveva ferita era stato il comportamento del suo ragazzo, Michael. Nei giorni successivi lui non l’aveva cercata rimanendo invece a distanza sia moralmente che fisicamente gettando la giovane nello sconforto e nella paranoia. Lentamente tra loro era calato una sorta di gelo non dissimile dal colore delle sue iridi chiare, di ghiaccio. Grace adorava il colore dei suoi occhi così espressivi ed in grado di rivelarle la presenza di ombre ad oscurare la sua bella anima ma odiava il freddo, odiava i non detti e odiava non parlare con quel ragazzo che lentamente aveva conquistato il suo cuore. Le procurava dolore, irrequietezza e una sorda gelosia s’insinuava tra i suoi pensieri portandola a sviluppare scenari di pura fantasia di cui ignorava la distanza con la realtà. Se si fosse stancato di lei? Se si fosse stancato della sua impasse? Non voleva nemmeno pensarci e da lì la decisione era stata piuttosto semplice. Era ricorsa alle consulenze di uno dei suoi più fidati amici lasciando per una volta stare Halley ai suoi problemi ed era corsa ai ripari. Avrebbe voluto parlare anche con l’amica ma l’aveva vista piuttosto provata negli ultimi giorni e temeva, per quanto fosse ignara dei fatti, che qualcosa fosse successo anche tra lei ed il maggiore. Sarebbe stata lì, silenziosamente, accarezzandole la schiena ma trovandosi perfettamente al suo posto quando l’amica l’avrebbe cercata per parlarle. Tempo al tempo, pur sapendo che forse quel discorso non si sarebbe presentato così facilmente sapendo benissimo quali fossero le remore della Johnson in merito al soggetto.
    Corse quindi ad informarsi sulla prenotazione del campo da Quidditch non sapendo altrimenti dove trovare il ragazzo e la fortuna, una volta tanto, sembrò assisterla rivelando le serpi come i detentori del campo per quel pomeriggio. Non avrebbe lasciato andare allo scatafascio quella relazione, non dopo tutto il dolore che era costato alle varie parti chiamate in gioco. Non l’avrebbe data vinta nemmeno a quell’energumeno vacante che aveva per fratello che non sembrava aspettare altro se non la sua dipartita. Col cazzo! Non da parte sua almeno! Attese pazientemente il concludersi dell’allenamento guardando perplessa al lavoro della squadra – così differente rispetto al loro – e si nascose nella coppia di spogliatoi vacanti ed in disuso al di fuori dei match attendendo che il ragazzo uscisse dallo stesso. Non sembrò accadere, anzi, Michael parve attardarsi in quella stanza mentre a mente la Grifondoro calcolava i membri della squadra che avevano lasciato il campo. Dragonov, la bellissima Riis che aveva scoperto cantare bene – che fastidio! – il loro cercatore, altro cacciatore, finalmente David ma lui no, lui rimase nella stanza. Ingollò la saliva espirando con uno sbuffo tutta la possibile agitazione e si fiondò nello spogliatoio maschile prendendolo alla sprovvista mentre lo spingeva a sedersi sulla panca, sedendoglisi addosso cavalcioni sulle sue cosce cercando disperatamente quella bocca che gli era mancata come l’aria dopo un’apnea. Si strinse al lui avvertendo immediatamente le sue ampie mani scorrerle lungo la schiena mentre a sua volta la bocca la cercava approfondendo quel bacio tanto da aumentarle il battito cardiaco piegando le labbra in un sorriso accennato. Idiota.
    «Sei una testa di rapa Michael Harris!» Aveva quindi esordito cercando di nascondere la soddisfazione e la gioia dietro un’espressione severa ed un lungo respiro che le gonfiò il petto. Scivolò sulle sue cosce d’un poco rimanendo comunque tra le sue braccia ma mettendo quella fisiologica distanza che le permettesse di parlare perché era questo che le premeva fare. Era giunto il momento. Lo sentiva dentro di sé e sentiva d’aver raggiunto il limite nei riguardi di quel silenzio che il cacciatore Serpeverde s’ostinava a mantenere con lei. Basta silenzi, basta omissioni o tentativi di sviare l’attenzione. Aveva bisogno di lui e aveva bisogno della sua sincerità.
    «Credevo fosse meglio così.» Le sopracciglia della Grifondoro si sollevarono a quelle parole. Come poteva essere meglio così?
    «Sono stato occupato.»
    «A fare cosa?!» Replicò di getto piccata da quelle parole. Cos’era più importante da metterla, anzi, da mettere loro in secondo piano. Sentì il fastidio, sentì una vaga rabbia montarle dentro. Non era ciò che si aspettava.
    «Come sta la Crain?»
    «Sta... bene. Vic è un osso duro e anche se adesso ha il cuore spezzato presto si riprenderà. Lei è inarrestabile... Spero lo stesso valga per lui», Rain Scamander. Ebbene, proprio lei, la mangia uomini per eccellenza. Lui no che non l’avrebbe superata benissimo ma oltre ad avvertirlo che avrebbe potuto fare? Era preso, così come lo era Halley e l’unica soluzione era sbatterci contro. Stava facendo anche lei lo stesso errore?
    «Perdonami. E tu? Come stai?» La attirò a sé poggiando delicato le labbra sulla sua fronte. Grace chiuse gli occhi beandosi di quel contatto ma allo stesso tempo avvertendo gli occhi pizzicare: rabbia, frustrazione e tanto, davvero tantissimo amore nei riguardi di quel ragazzo che sembrava rivelare più zone d’ombra del previsto.
    «Sono arrabbiata, Mike. Con te.» Sentenziò portando lo sguardo a sostenere quello del ragazzo. «Non mi hai detto nulla. T-ti sei nascosto e sei rimasto a guardare da distante. Non voglio spazio, non da te.» Concluse mentre le guance si coloravano di un leggero rossore a causa della dualità del significato di quelle ultime parole. Lo aveva intuito? Aveva capito la sua richiesta, il bisogno che sentiva che le stesse addosso? «Ceh... a te è andato bene che me ne sono andata così? Mi aspettavo ti arrabbiassi. Mi aspettavo di dovermi giustificare.» Corrucciò lo sguardo. Come faceva ad essere così zen, perennemente. «Io mi sarei arrabbiata. Non capisco... Non... Non t’importa?» Il cuore si fermò.


    Edited by Dragonov - 26/11/2023, 20:22
     
    .
  4.  
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Serpeverde
    Posts
    178
    Location
    Bronx, USA.

    Status
    i'm sleeping
    mike
    Moriva dalla voglia di vuotare il sacco. Liberare la coscienza che, per un motivo o per l’altro, lo spingeva lontano da Grace. Bugie. Mezze verità. Una vita di omertà. Ecco a cosa avrebbe costretto la Grifondoro se le avesse permesso di stare al suo fianco. Il pensiero lo torturava, smuovendolo dall’interno e obbligandolo a una chiusura parziale nei confronti di chiunque si cimentasse a scalfire la sua sfera privata. Forse sarebbe stato meglio a svanire nel nulla. Uscendo di scena esattamente come ci era entrata tempo addietro. Avrebbe potuto considerarlo un fulmine a ciel sereno. Un bel ricordo da conservare ma nulla di più. Sospirò e richiuse l’acqua, lasciando che i pensieri scivolassero via esattamente come gocce sulla pelle. Facile. Troppo facile lasciarsi cullare da un sentimento. Il difficile giungeva quando l’immagine che la controparte aveva di lui non rispecchiava la realtà. E, allora, come avrebbe reagito una volta a conoscenza dei suoi scheletri nell’armadio? L’avrebbe persa? L’avrebbe denunciato alle autorità competenti o, peggio, si sarebbe rifugiata nell’indifferenza fingendo che fosse morto. Tutte opzioni più che valide che, al suo posto, avrebbe vagliato con attenzione. Possibilità che sarebbero state causa della sua disfatta. Perdere la ragazza, per lui, sarebbe stato l’inizio della sua discesa negli inferi, proprio là dove, con impazienza, lo aspettava la sua intera discendenza, David incluso. Con la mente persa tra i meandri della sua insignificante esistenza, Mike, si estraniò dal mondo circostante, vittima di un’alienazione capace di mettere in dubbio la sua identità. Chi era? Un personaggio abietto o un ragazzo offerto in sacrificio a quelle avverse circostanze? Non aveva risposte ma, poco prima di essere inghiottito dall’oblio, un rumore lo scosse, tanto da riammetterlo in quella realtà tanto crudele da volerla cancellare una volta per tutte. Pronto al peggio. Chi si sarebbe mai sognato di sopraggiungere in quel luogo, a quell’ora relativamente tarda? Forse qualcuno lo stava cercando o aspettando per regolare qualche conto. Impossibile. Mike si teneva a debita distanza da quelle stronzate che, malamente, avrebbero potuto mandare a fanculo la sua copertura. Alzò lentamente lo sguardo e quando si rese conto del pericolo scampato, il verde-argento, si lasciò andare ad un sorriso liberatorio, quasi a voler ringraziare Morgana per la sorpresa. La piccola Grace Johnson se ne stava lì, davanti a lui, pronta a un testa a testa che avrebbe lasciato il segno o, per lo meno, quella era l’impressione che aveva avuto al primo sguardo. La biondina non perse tempo e, con estrema naturalezza, si posò sulle sue gambe mantenendo una distanza consona al suo scopo: parlare. Doveva essere un incubo. Nessun’altra spiegazione. Niente di niente. Il sangue si gelò nelle vene. Avvertiva una sensazione strana. Come se fosse stato messe alle strette, senza neanche avere la possibilità di reagire e a sottrarsi a tutto ciò. Che fare, quindi? Improvvisare. Sì, per quanto fosse possibile, senza sconfinare in un mutismo selettivo utile solo a insinuare ancora più dubbi nella testolina sempre in attività della sua ragazza. Colei che aveva scelto, nonostante il suo carattere esplosivo e spesso in contrasto con la sua calma apparente. Era dinamite e, ora, gli stava per esplodere tra quelle mani desiderose di lei. Pensieri che si infransero quando la discussione prese vita. La ragione stava nel mezzo ma, effettivamente, il comportamento tenuto alla falò di rientro, somigliava tanto a quello di uno stronzo. Dalla sua aveva l’intenzione di lasciarle i suoi spazi. Si era tenuto alla larga a favore della privacy della sua amica, dalla quale era corsa per X motivi che non era tenuto a sapere. Buttò lì una scusa semi-sincera ma non le bastò o, almeno, non del tutto. ”A fare cosa?” A rimettere insieme i pezzi della mia vita. Questo avrebbe voluto dire ma no, agitare le acque non sarebbe stato saggio, soprattutto in quell’occasione priva di vie d’uscita. La osservò per qualche istante in silenzio, riflettendo attentamente sul da farsi. Pro e contro. Qualsiasi cosa che la allontanasse dal reale motivo che l’aveva tenuto lontano, ossia le sue turbe mentali. Inconsciamente, Mike, non stava facendo altro che esasperarla per allontanarla dal pericolo che lui rappresentava. “Affari di famiglia. I miei sono così esigenti ed impegnativi.” Sminuì senza particolare enfasi. “Niente di interessante.” Effettivamente gran parte del tempo era andato perso sui libri, nella speranza di trarne un’idea che potesse servire alla sua personalissima causa. Un buco nell’acqua, ovviamente e ora avrebbe anche pagato un prezzo molto alto per non essersi fatto vivo. Sviò per qualche attimo, assicurandosi delle condizioni della Crain, visibilmente provata al termine di quella festa per motivazioni a lui sconosciute. Questione di cuore, probabilmente ma chi, a quell’età, si salvava da quel tipo di faccende scottanti? Un accenno di assenso e subito si passò oltre, senza rimandare l’inevitabile. ”Sono arrabbiata, Mike. Con te.” La sua espressione non cambiò. Rimase impassibile, pronto a sostenere quello sguardo dai tratti indecifrabili. Più che una ragione avvaloravano il suo stato d’animo ma, d’altra parte, non avrebbe saputo come gestire la questione meglio di così. Una mente complessa la sua, così complessa da partorire soluzioni scontate e, forse, errate. Un controsenso, come il resto. Inarcò il sopracciglio sinistro quando lo accusò di essersi nascosto, lasciandola libera di raggiungere la sua amica in difficoltà. “La tua amica sembrava avere bisogno di te.” Cercò di difendersi mettendo in campo quella che gli era sembrata la realtà dei fatti, quella oramai lontana domenica sera. “Sarei stato di troppo.” Sentenziò, facendo leva su un ipotetico imbarazzo che la sua presenza avrebbe provocato. Che ci azzeccava? Di certo non sarebbe voluto essere di troppo e la conoscenza superficiale nei riguardi di Victoria gli aveva suggerito che comportarsi in quella maniera sarebbe stata la scelta più consona. “Non capisco, Grace.” Lapidario. Serio. Perché mai avrebbe dovuto arrabbiarsi per il fatto di aver raggiunto una persona in difficoltà? Quale era il suo ragionamento? Che si aspettava da lui? “Per cosa mi sarei dovuto arrabbiare, esattamente?” Era vero, l’aveva lasciato lì, su due piedi, senza alcuna spiegazione ma era certo che se non fosse stata una questione urgente, la bionda, non si sarebbe mai sognata di lasciarlo sul posto per un mero divertimento. “Non mi è andato bene, ma non sono te. Le mie reazioni sono... mie.” Gli era dispiaciuto ma non per questo si sarebbe permesso di ficcare il naso in qualche cosa che non lo riguardava. “Mi è dispiaciuto. Certo.” Ammise a cuor leggero, come se fosse scontato. “Ma non ti metterei mai nella condizione di doverti giustificare.” Non ne sapeva molto di relazioni ma, di certo, questo punto rimaneva alla base di un legame sano. ”… non t’importa?” Il suo cuore perse un battito. La guardò attonito, notando il volto provato dalla preoccupazione che il suo interesse non andasse più in là del dovuto. Mike si spense. Il suo volto si fece scuro e la delusione nel sentire quelle frasi lo coinvolse così tanto da avvertire una stretta allo stomaco. Non stava dimostrando abbastanza. I suoi timori si stava, lentamente, traducendo in realtà. A Grace quei silenzio pesavano come un macigno sul petto. “Non era mia intenzione farti dubitare del mio interesse nei tuoi confronti.” Non ci aveva dato troppo peso, forse. La strinse leggermente, così da infondere cosa? Sicurezza? Non lo sapeva. “Mi importa di te.” Non aveva neanche idea quanto fosse distrutto per il fatto di non poterla rendere partecipe a pieno della sua vita. “Più di quanto io possa ammettere, Grace.” E non avrebbe voluto. Sarebbe stato tutto più facile. “Ci tengo a te.” Bella scoperta. “A noi.” Ma tenerci non esulava dal fatto che l’ignara Johnson sentiva il bisogno di comprendere la motivazione dei suoi silenzi forzati. “Voglio stare con te.” Coglione. In un attimo le paranoie lasciarono spazio alla consapevolezza che senza la presenza l’oscurità l’avrebbe inghiottito definitivamente. E allora che fare? Prepararsi al tutto per tutto, a costo della sua stessa vita. L’avrebbe difesa da possibili attacchi esterni e/o interni. Protetta. Si sarebbe premurato a mettere in campo ogni sua competenza per fare in modo che non le succedesse nulla. “Ti fidi di me?” Già una volta gliel’aveva chiesto ma, ora, a quanto pareva, vi era un’ufficialità palese che caratterizzava il loro rapporto e, quindi, la risposta avrebbe avuto un peso differente. Più importante.
     
    .
  5.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Grifondoro
    Posts
    301

    Status
    i'm sleeping
    grace
    grace
    grace
    Nervosismo. Era questo ciò che provava ed era esattamente questo che non si aspettava – almeno non del tutto – da un confronto con il Serpeverde. Grace aveva messo in conto la possibile rabbia di lui, il possibile sentimento che lo avrebbe potuto spingere a richiedere una giustificazione sensata per il suo comportamento ma ciò che non si aspettava era quell’arrendevolezza, quel modo con cui Michael, all’apparenza, sembrava lasciarsi scivolare tutto addosso. Le sarebbe andato bene se questo tipo d’atteggiamento fosse stato indirizzato per altra tipologia d’argomento ma non questo, non questa indifferenza che la feriva, nell’ego e non solo, portandola a pensare che il Serpeverde si lasciasse scivolare anche lei. Era questo che pensava di lei? Erano queste la considerazione e l’importanza che era disposto a darle? O semplicemente il gioco aveva perso d’attrattiva una volta ottenuto? Le sembravano tutte congetture distanti, incredibilmente distanti, da quello che era sempre stato fino a quel momento lo stile del biondo, eppure, l’allarme del dubbio era scattato sonoro quando Michael aveva proferito quelle parole: “credevo fosse meglio così. Sono stato occupato”. Parole gettate così su due piedi ma che avevano gelato la giovane come se fosse stata esposta ad una doccia d’acqua fredda. Con quelle parole Michael sembrava credere che la distanza fosse un bene, che la mancata comunicazione fosse un bene e magari non avendola tra i piedi si sarebbe potuto concentrare su dell’altro. Dell’altro che fosse realmente importante rispetto a lei, fastidiosa bambina capricciosa. Quest’ultima cosa, ad onor del vero, il giovane Harris non l’aveva nemmeno pronunciata, forse persino nemmeno pensata, ma l’impeto collerico della Grifondoro era già andato oltre riempiendo gli enormi spazi vuoti lasciati dalle omissioni del ragazzo. Cosa diamine c’era di più importante di loro? Chi?! Il solo pensiero che le attenzioni del Serpeverde si fossero indirizzate verso altri lidi le riempiva la bocca di nausea torcendole lo stomaco mentre gli occhi cerulei si facevano più lucidi. Non avrebbe pianto, no, col cavolo. Avrebbe combattuto con le unghie e con i denti per quella relazione se ci fossero stati i giusti appigli per farlo e lei sapeva, sentiva e credeva ci fossero. Con tutto il cuore, quel cuore destinato a quel ragazzo dallo sguardo perennemente incupito.
    Ma il suo di sguardo, questa volta, non fu in grado di sostenerlo, incapace in quel momento di mantenere e reggere quello algido del ragazzo insieme a quelle parole che, come bastoni, l’avevano colpita ma non si diede per vinta e, stringendo i denti, partì immediatamente al “contrattacco” non lasciando che possibili non detti aleggiassero nell’aria intorno a loro. Cos’era stato quindi più importante? Risposta: la famiglia. Questa famiglia misteriosa e all’apparenza oscura che sembrava esigere dai figli cose alla Grifondoro sconosciute. Che volevano da loro? Grace non riusciva a capirlo ed i caratteri tanto diversi dei due eredi Harris le rendevano difficile, se non impossibile, l’impresa di riuscire a venire a capo del mistero di quella famiglia. «Niente di interessante.» Pure. Sul suo viso per qualche frazione di secondo si dipinse una smorfia. Delusione e rabbia lottavano per prendere il sopravvento eppure la Johnson si tratteneva, si tratteneva esternamente così per istinto e natura per quanto dentro di lei albergasse un vero e proprio tumulto che, se il Serpeverde fosse stato attento, avrebbe intuito dall’agitarsi improvviso delle fiaccole presenti nello spogliatoio. Del loro improvviso movimento quasi una brezza le solleticasse infastidendo il loro lento bruciare e glielo disse, gli disse che era arrabbiata con lui così senza ulteriori mezzi termini perché di quelli si era stancata da un po’.
    «La tua amica sembrava avere bisogno di te. Sarei stato di troppo.»
    «No!» Replicò di getto, fin troppo. In realtà il Serpeverde aveva ragione e sarebbe stato effettivamente di troppo in quella conversazione che poi ne era seguita con Victoria ma da un lato la Johnson proprio sentiva di non poter fare a meno di quel ragazzo in ogni aspetto della sua vita. Morbosa? Forse un po’ ma dal canto suo era un modo che aveva di vivere i rapporti umani al di fuori del suo nucleo familiare così freddo, così anaffettivo ed ora che in casa erano rimaste solo lei e la madre, persino asettico. Heather non sembrava apprezzarla, tantomeno amarla e la piccolina ricercava quell’affetto sconosciuto negli amici e proprio in quel ragazzo per cui non sapeva dosare i sentimenti.
    «Perché sono fuggita via! Perché ti ho lasciato lì senza una spiegazione... I-io non capisco!» Non riusciva ad immedesimarsi, né a mettersi nei suoi panni. Come faceva a farsi andare bene... tutto? Era inspiegabile, assolutamente inspiegabile ai suoi occhi.
    «Non mi è andato bene, ma non sono te. Le mie reazioni sono... mie.» E aveva senso, senso e fottuta ragione eppure l’ansia non le permetteva di capire un concetto così semplice, naturale. «Ma perché non me ne hai parlato?» Se lo aveva scontentato come diceva, perché sempre quel dannato silenzio?! «Perché non mi parli mai di niente?!» Era frustrante, a quel punto persino logorante quella situazione. E poi glielo domandò. Le parole sfuggirono dalle sue labbra tormentate dai morsi ancor prima che potesse anche solo pensare di ponderarle: non t’importa?
    Sollevò lo sguardo rivolgendolo contrita in quello algido del Serpeverde e, ignara della possibile reazione del ragazzo, il cuore di entrambi si fermò. Lo sguardo di Michael si velò di un’ombra e, dopo qualche istante, le mani del ragazzo l’attirarono stingendola quasi a volerle infondere la sua tangibile presenza: lui era lì, c’era davvero ma a lei non bastava più. Non così.
    «Mi importa di te. Più di quanto io possa ammettere, Grace. Ci tengo a te.» La pressione delle sue mani sulle sue braccia era una sensazione piacevole così come l’urgenza nel suo sguardo. «A noi. Voglio stare con te.» Gli occhi della Grifondoro si riempirono di lacrime. Commozione e sollievo la facevano da padroni a sentire il trasporto di quelle parole. Qualcuno avrebbe potuto mettere in dubbio frasi del genere, maligni avrebbero persino potuto insinuare che fossero frasi fatte ma Grace leggeva in quegli occhi la purezza della verità. Mike non stava mentendo, non quando le parlava di ciò che provava.
    «Allora perché fai così?» Perché si tratteneva di continuo? Perché sviava le sue domande. Lei avrebbe davvero voluto donargli tutta sé stessa ma non così, non finché tutte quelle ombre avrebbero continuato a gravare sul loro rapporto. Non finché spariva adducendo impegni di famiglia finendo per tornare poi zoppicante o dolorante o chissà che altro! Che gli facevano quei bastardi?!
    «Ti fidi di me?»
    Scorretto.
    «Io voglio fidarmi ma tu non me lo permetti. Tu e i tuoi dannati silenzi. Non posso stare con una persona che non mi parla e non capisco perché tu non lo faccia!» Sbottò lasciando che per una volta tutto ciò che si teneva dentro da mesi venisse a galla. Aveva lasciato correre per troppo. «È perché sono più piccola?» Era quello il problema? Di quanto poi? Si parlava di meno di due anni. «Sono maggiorenne Mike, non sono più una bambina. È... È offensivo che» una lattante. Si fermò cercando di mantenere la calma. Spostò lo sguardo dal Serpeverde inspirando, chiudendo gli occhi per ritrovare il giusto controllo.
    «Stare con una persona vuol dire fidarsi. Io mi fido di te se tu ti fidi di me. È sostenersi. A vicenda. Tu... Tu svii. Me ne sono accorta, sai? E non capisco perché e più non lo capisco e più mi manda ai matti e mi fa arrabbiare che tu non abbia una considerazione di me che mi renda degna di... di-di di qualsiasi cazzo di cosa! Non mi stai parlando, Mike! Non. Mi stai. Parlando!»
    Recuperò il fiato pesantemente affannata dallo sforzo che le era costato tutto quel discorso e, come rispondendo ad un comando, le fiaccole persero d’intensità spegnendosi insieme alla Grifondoro.


    Edited by Dragonov - 26/11/2023, 20:33
     
    .
  6.  
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Serpeverde
    Posts
    178
    Location
    Bronx, USA.

    Status
    i'm sleeping
    mike
    Utilizzava il suo fare ermetico per evitare i problemi. Una tattica strana che, però, allontanava i giudizi altrui. Meno informazioni avevano sul suo conto, meno si sarebbero spinti a pronunciarsi sulle sue mosse. Si sentiva al sicuro dietro quella maschera indossata appositamente per evitare di rispondere a domande, spesso, scomode. Tutto bene fino a quando, la sua stessa modalità, si ritorceva contro, trasformandosi in un’arma a doppio taglio, pronta a conficcarsi nella sua carne e a mettere a repentaglio tutto ciò che aveva costruito a fatica, mettendosi in gioco e scommettendo su sé stesso, quando le circostanze non erano delle migliori. Grace era lì, davanti a lui. Nei suoi occhi le sfumature di una giovane donna confusa, impaurita. Come se iniziasse a mettere in dubbio la natura della loro relazione ed, in questo caso, lui non avrebbe potuto darle torto. Si era chiuso in sé stesso. Totalmente. Ignorando la realtà nella quale, a causa di forza maggiore, viveva. Ciò che era diventato. Ciò che provava. Tutti elementi che avevano contribuito ad innalzare quelle difese naturali che lo isolavano dal mondo circostante, quello fatto di quegli elementi reali che vertevano verso un solo punto: Mike aveva perduto la sua innocenza, privando un uomo della propria vita. Aveva volontariamente sottratto un padre ai suoi figli. Un marito a una moglie devota che, quel giorno, probabilmente lo attendeva tra le mura di casa sua, chiedendosi il perché del suo ritardo. Abbassò lo sguardo per qualche attimo, incapace di sostenere l’azzurro delle iridi della ragazza per la quale provava una vasta gamma di sentimenti o forse qualche cosa in più, se fosse stato possibile. Come poteva tenere a lui? Non meritava la sua attenzione. La sua gentilezza, né la sua comprensione. Niente di niente. Iniziò a credere che David nutrisse un briciolo di ragione. Solo la morte lo avrebbe sollevato da quel peso che avrebbe portato, per sempre, nell’anima. D’altra parte, quella ferita prima o poi avrebbe smesso di sanguinare e, nonostante non sarebbe mai riuscito a perdonarsi, forse, avrebbe trovato la pace, vendicando ogni singola vittima di suo padre, togliendo quest’ultimo di mezzo una volta per tutte. Il mondo, allora, sarebbe stato un posto migliore e tra lui e Grace non vi sarebbero più state omissioni o mezze verità. Una pura utopia al momento, ma aggrapparsi ai desideri era tutto ciò che poteva permettersi per tornare a respirare nuovamente, di tanto in tanto. La Grifondoro replicò di getto, decisa. L’atteggiamento del verde-argento, da quel che si poteva intendere, l’aveva ferita e neanche troppo superficialmente. Aveva scambiato il suo tentativo di lasciarle i suoi spazi, in un menefreghismo cosmico. Eppure avrebbe dovuto saperlo che non si trattava di ciò. Le fiaccole alle sue spalle presero a danzare, mosse da una forza invisibile. “Che cosa…” A cosa aveva assistito esattamente? “Grace!” Scandì il suo nome, lasciando a lei la possibilità di ribattere per spiegare quello strano avvenimento ma no, non era quello il cuore della questione. Non ancora, almeno. Rimase in silenzio. Impietrito da quella lapidaria risposta, sferrata senza neanche pensarci su. Il suo agire in buona fede, aveva provocato uno tsunami di incomprensioni da lasciarlo interdetto, impossibilitato a trovare una spiegazione valida che potesse colmare le perplessità avanzate da quella che, proprio in quel momento, sembrava più piccola che mai. “Perché mi fido di te.” Commentò semplicemente, dopo aver ossigenato adeguatamente il cervello. Era partito da presupposto che dietro al suo comportamento vi fosse qualche cosa di importante, una faccenda da risolvere nel più breve tempo possibile. “Se hai ritenuto opportuno raggiungere la tua amica, sarà stato per un motivo più che valido.” Un motivo che non lo riguardava di certo in prima persona, altrimenti sarebbe stato trascinato nella mischia dalla bionda stessa. Poteva anche comprendere il suo stato d’animo ma, d’altra parte, non si sarebbe mai permesso di risultare uno di quei fidanzati morbosi, inclini a reputare una ragazza di proprietà. Entità distinte. Ecco cos’erano. Persone differenti con differenti interessi e amicizie. “Non c’è nulla da capire, Grace.” Era esattamente ciò che sembrava e le paranoie non sarebbero servita a nulla, in quell’occasione. Certo, forse, la mancanza si era presentata in un secondo momento quando, distrattamente, si era lasciato scivolare il tempo tra le dita, barricandosi dietro a un muro fatto di silenzio, in attesa che fosse proprio lei ad infrangerlo con la sua presenza. Avrebbe potuto evitarselo, senza dubbio ma qualche cosa era andato storto e poi erano sopraggiunte notizie di famiglia che avevano smosso in lui ulteriori preoccupazioni. Ne aveva, così, approfittato per tenerla alla larga da sé e dai pericoli che ne sarebbero derivati. ”Ma perché non me ne hai parlato?” In un certo verso, beh, era abituato a scontrarsi contro atteggiamenti che non arrecavano affatto in lui contentezza. Ci aveva fatto il callo ma quella volta era stato diverso. Se in un primo momento il suo allontanamento l’aveva indotto a storcere il naso, ripensandoci a mente lucida si era convinto che, a parte invertite, si sarebbe comportato nello stesso modo, se a soffrire fosse stato uno dei suoi amici più cari. Aveva, quindi, stretto i denti, sorvolando sulle decine di interrogativi ce avrebbe voluto porre alla sua attenzione. “Voglio che con me tu possa sentirti libera.” Senza preoccuparsi di reazioni esagerate. “Libera di raggiungere in un qualsiasi momento una tua amica in difficoltà, senza dovermi delle spiegazioni!” Sospirò, consapevole che ne sarebbe uscito distrutto da quel faccia a faccia. “Libera di abbracciare un tuo compagno di squadra durante un festeggiamento.” Ed ecco le ulteriori differenze che trapelavano e sottolineavano l’abissale differenza tra lui e suo fratello maggiore. “Questo per me è alla base di un rapporto.” L’importante era che poi, al termine di questi episodi, sarebbe tornata da lui, tra le sue braccia e senza alcuna esitazione. Il tono di voce si elevò e quella che, oramai, aveva assunto i connotati di una vera e propria discussione, si accese così tanto da cadere in argomenti ben più grandi e quasi impossibili da affrontare con il semplice silenzio assenso. ”Perché non mi parli mai di niente?” Un colpo basso che, però, avrebbe dovuto aspettarsi da un momento all’altro. Aveva tirato la corda e, questa, ad una certo punto tendeva a rompersi. Percepiva la frustrazione ma non aveva scelta.
    “Basta, Grace!” Cercò di imporsi davanti a quell’impeto di rabbia mista a disperazione. Arginare un tipo come la rosso-oro no era semplice ma l’alternativa sarebbe stata investirla di informazioni che avrebbero giocato a suo sfavore, rendendola un bersaglio facile per coloro che non aspettavano altro che liberarsi di lui. “Faccio solo ciò che ritengo possa andare bene per noi.” La pazienza, lentamente, andava affievolendosi ma perdere il controllo avrebbe potuto mostrare in parte la sua natura animale, gettando al vento mesi di lavoro per celarla adeguatamente. No. Respirò a pieni polmoni, senza staccare i suoi occhi chiari da quelli della sua ragazza. “Posso non essere perfetto.” Sicuramente. “Faccio errori.” Più di quelli che si immaginava. “Sono umano.” O, almeno, era ciò che voleva credere. “Ma sto cercando di cambiare. Perché ciò che ero potrebbe non piacerti.” Era la prima volta che dava voce alla sua paura più grande. Peccato che non potesse spingersi oltre quel dato di fatto che l’aveva appena reso fragile e meno automa del solito. “Quindi, te lo chiedo per favore…” Basta. “Fidati di me.” La domanda che ne derivò, fu quasi di rito ma non bastò a spegnere quel fuoco che ardeva in lei, incontrastato. Perché non lo faceva? “Perchè sto facendo il tuo bene, Johnson!” La chiamò per cognome. Come se volesse dare un senso di solennità a quanto appena le sue labbra avevano lasciato andare. Serrò la mascella, conficcandosi gli artigli nei palmi di entrambe e nascondendoli adeguatamente alla sua visuale, fino a quando il dolore non lo riportò con i piedi a terra, ricercando nuovamente quella parvenza di calma. Lo stava portando fuori dalla grazia di Merlino e Morgana. “Non è la tua età. Cazzo!” I due stupidi anni che li differenziavano non avevano il benché minimo significato per lui. Non ci aveva neanche mai pensato a una frivolezza simile. “Stai zitta!” Ringhiò. Un rumore grottesco si sprigionò dalla sua gola. Non si era mai rivolto a lei in quei termini e gli piangeva il cuore ma non avrebbe tollerato ulteriormente quelle accuse gratuite mosse a suo carico. “Hai ragione! Non sai niente.” Che ne poteva mai sapere lei di ciò che era costretto a subire per non rischiare che diventasse l’oggetto dell’interesse malato di suo padre. “Se le cose stanno in questo modo, non vedo come possa esserci un futuro per noi.” Il cuore perse un battito. “Credi che io sia uno stupido? Che io mi diverta a fare lo stronzo?” Certo che no. Tenersi dentro quel fardello costava troppo. “Per il tuo bene, Grace, sopporterei ogni male. Che tu ci creda o no.” Ed è ciò che sto facendo!


    Edited by Harris Jr. - 28/11/2023, 09:20
     
    .
  7.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Grifondoro
    Posts
    301

    Status
    i'm sleeping
    grace
    grace
    Pensieri, frustrazioni, fantasie, tutto le vorticava in testa come preda d’una tempesta, d’un forte vento pronto a dar vita al più burrascoso dei tornadi. Quella rabbia, quell’incapacità – nemmeno più velata – di comprendere il perché delle scelte messe in atto dal Serpeverde la faceva impazzire e con esso tutto il bagaglio di non detti che oramai da tempo aleggiava nell’aria. Era da sempre stato un loro problema quello. Il non parlare, il non mettere in tavola quelli che erano gli argomenti cardine per mandare avanti la loro relazione. Grace aveva omesso di quella sua instabilità magica che, in più di un occasione, s’era palesata tra loro. Aveva fatto finta di nulla e Michael, dal canto suo le aveva dato quello spazio che lei giudicava non avere bisogno. Aveva bisogno d’affrontare la realtà e, in alcuni casi, d’essere persino messa alle strette. Doveva affrontare quella situazione, prendere il coraggio a due mani e renderlo reale parlando ad alta voce del suo problema: il calore. Cos’era quella strana vicinanza all’elemento. Com’era possibile che, se si concentrava, era in grado di visualizzare e percepire ogni singola fiamma presente in una stanza. Anche gli altri ci riuscivano? Anche gli altri, se arrabbiati, si collegavano ad un elemento manifestando la proprio inquietudine attraverso la manipolazione dello stesso? Non aveva avuto il coraggio di chiederlo ai suoi amici. Nè ad Halley né tantomeno a Nathan. La prima era lampante non stesse passando il miglior periodo della sua vita e ricevere un “no” proprio da lei avrebbe potuto metterla in guardia costringendola a preoccuparsi ancora e ancora per quella ragazzina dai capelli biondi che giorno dopo giorno incarnava sempre più una sorellina minore da proteggere. Grace non voleva darle preoccupazioni, ne aveva passate e tutt’ora ne passava abbastanza e la causa di quel suo malessere era da ricercarsi sicuramente nell’odiata figura del di lei ragazzo, David. L’idiota. Non era riuscita a parlarne nemmeno con Nathan e lì c’era da dire non ci fosse un problema preciso. Con il ragazzo riusciva a parlare di davvero tante cose e su sua stessa richiesta, il Grifondoro, l’aveva pregata di utilizzarlo alla stregua di un confessionale quando ne avrebbe avuto bisogno. Perché non lo aveva fatto allora? Per paura. Paura di ammettere di non riuscire a controllarsi. Paura di ammettere di avere un problema, un vero problema e che quel problema era la causa per la quale sua sorella Elisabeth era morta. Il suo dannato, stramaledetto, potere incontrollato che aveva portato l’auto a sbandare e... tutto quello che ne era conseguito dopo. Parlarne avrebbe voluto dire trasformare quella congettura in realtà. Avrebbe voluto dire assumersi la colpa. Avrebbe voluto dire richiedere l’aiuto di un adulto, qualcuno che, con la sua esperienza, avrebbe potuto aiutarla... se c’era qualcosa da poterci fare. E se fosse stata prima di speranze? Spacciata? Una sciagura esattamente come sua madre la definiva quando s’arrabbiava con lei. Era stata davvero tutta colpa sua? In cuor suo sentiva fosse così ma non era pronta né sentiva di avere le forze d’affrontare quella verità. Una cosa per volta.
    «Perché mi fido di te. [...] Non c’è nulla da capire, Grace.» Una smorfia le increspò i lineamenti. La rabbia non le permetteva di apprezzare una risposta simile, una tale maturità da parte di quello che era il suo ragazzo. Era offuscata, completamente obnubilata nella ragione da quello che era il suo obiettivo tanto da non riuscire stimare la meravigliosa persona che Michael dimostrava d’essere. Lui la voleva libera, la voleva sé stessa senza la preoccupazione di dover badare a quello che era il suo essere per lui. Certo anche lui era umano e, come ammise qualche istante dopo, un po’ ne era rimasto contrariato almeno inizialmente ma era stato un pensiero, un misero pensiero del tutto umano prima che la fiducia nei riguardi della Grifondoro zittisse quella possibilità di dubbio. Ma per Grace fu l’ennesimo tassello che andò ad aggiungersi a quella montagna di omissioni, di quella parvenza di menefreghismo; il sassolino che, scivolando, avrebbe trainato con se il terreno dando vita ad una vera e propria frana. Perché Michael stava zitto? Perché non le parlava dei suoi pensieri, dei suoi dubbi o di qualsiasi dannata cosa gli passasse per la testa? Grace lo faceva, a volte persino pensando di annoiarlo con i suoi immensi monologhi dove gli raccontava la sua giornata o gli allenamenti, le sue impressioni ed i “gossip” che aveva raccattato sul campo. Gli parlava dei suoi sogni e di quello che avrebbe voluto fare “da grande” e Michael? Michael non diceva niente se non risposte, mezze risposte, che però non includevano sé stesso in quella futura visione. Sperava il meglio per lei, faceva il tifo per lei ma non s’includeva mai in quel disegno e Grace aveva iniziato a notarlo con una certa apprensione ed ora eccola lì la resa dei conti.
    «Basta, Grace!»
    «NO!» Sbottò ancora, frustrata. Era finito o almeno per lei finiva lì, in quel dannato istante il tempo dell’indifferenza selettiva verso determinati modi di fare messi in atto dal Serpeverde. O parlava e lo faceva all’istante o l’avrebbe persa per quanto non fosse pronta a perderlo, non sentiva di poterlo fare ed il solo pensiero razionale in quel verso le avrebbe infranto il cuore in mille pezzi.
    «Quindi ritieni sia sano non parlare? Non dirmi niente di te. L’ho capito che c’è qualcosa che non va Michael. Non sono stupida! Permettimi di... di-di esserci, dannazione. Di essere qualsiasi cosa tu abbia bisogno.» Perché non glielo lasciava fare? Lui accoglieva le sue confidenze, le dava consigli o semplicemente l’ascoltava sfogarsi ma la medesima cosa non avveniva mai dall’altra parte. Grace si sentiva bloccata in una relazione a senso unico dov’era unicamente il suo cuore quello messo in gioco, quello a gonfiarsi di sentimento per l’altro ma dall’altra parte? Il verde-argento la riempiva di belle parole, belle promesse e riflessioni ma nel concreto? Le aveva posto un muro, una barriera impenetrabile. Impossibile – o quasi – d’aggirare. Perché la teneva a distanza?
    «Sto cercando di cambiare. Perché ciò che ero potrebbe non piacerti» Grace voltò lo sguardo stringendo le labbra carnose in una linea sottile. Perché non capiva che già così facendo non le piaceva?
    «Non mi fiderò mai di te se non mi parli!» Sbottò, gli occhi gonfi di lacrime che non avrebbe voluto oltrepassassero il confine delle ciglia. Strizzò gli occhi azzurri, lucidi di tormento mentre quella sensazione, quel legame a doppio filo con l’elemento sfogava tutto il tumulto interiore nell’intensità della fiamma. Michael l’aveva notata ma non Grace, non la Grifondoro che stoicamente aveva ignorato quel potere cercando invece di focalizzare l’attenzione su quelli che erano i loro problemi, loro come coppia e non i suoi.
    «Impossibile» sussurrò, “impossibile”, ripeté scuotendo la testa. Ciò che sentiva per il ragazzo non le avrebbe mai permesso di prendere davvero le distanze da lui.
    «Che cazzo ne sai di qual è il mio bene?!» Strillò in replica. Non era una questione d’età eppure Michael con quelle parole dimostrò quanto fosse invece il contrario. Perché doveva decidere per lei? Per loro? Perché era immatura per farlo? Troppo sciocca?
    «’STA ZITTA LO DICI A QUALCUN’ALTRA! » Esplose furente insieme al fuoco delle fiaccole ignorando il ringhio animale nella quale si era tramutata la voce del Serpeverde. Non le aveva mai rivolto la parola a quel modo né lei a lui. Non erano loro. «N-non sono una bambola che puoi muovere a tuo piacimento.» La voce di Grace tremava così come le fiamme nelle fiaccole. Strinse i pugni percependo l’energia concentrarsi nelle mani, il calore sprigionarsi in essere. «Non puoi prendermi e posarmi come ti torna comodo! Sono la tua ragazza! Merito di sapere!» Perché la faceva così difficile così complicata. «Michael, parlami... ti prego!» Era arrabbiata, disperata.
    «Se le cose stanno in questo modo, non vedo come possa esserci un futuro per noi.» Le fiaccole si spensero, il cuore si fermò per un’istante mentre una crepa ne infrangeva la superficie. Le lacrime sfuggirono alla barriera delle ciglia.
    «Credi [...] che mi diverta a fare lo stronzo?» Lo sguardo rimase puntato alle mani strette spasmodicamente in un groviglio inespugnabile. Il fiato le mancava, insieme al respiro mentre nelle orecchie un fischio sordo copriva le parole del verde-argento. Si allontanò scivolando sulla panca, mettendo della distanza tra i loro corpi. Le mani le tremavano.
    «Non so cosa credere.» Sussurrò. «Voglio crederti quando dici di tenere a me ma poi ometti, non parli. Non mi degni... Non mi reputi all’altezza. Decidi persino per me.» Scosse il capo, delusa, incapace di spiegarsi cosa lo avesse portato a maturare una tale considerazione di lei tanto da renderla indegna delle sue confessioni. Indegna persino di potersi assumere le responsabilità delle sue scelte. Diceva di non considerarla troppo piccola, asseriva di volerla libera eppure dimostrava il contrario proprio imponendo la sua scelta come unica visione plausibile. «Non è normale questo. Non lo capisci che mi ferisce? Non mi reputi degna... Non credi in me!» Non aveva considerazione dei suoi sentimenti. Non credeva che ciò che provasse fosse sufficiente. «Mi hai sempre chiesto un atto di fede. Ora sono io a chiedertelo Mike. Abbi fiducia in me. Per favore Michael, ti prego. Fallo per noi. Se davvero provi ciò che dici... parla con me. Cavolo ma non lo capisci che ti amo? Come diavolo devo mettertelo in testa? Ma tu no, tu rimani chiuso ad offendermi con la distanza. A metterti da solo in testa che qualsiasi cosa tu nasconda possa allontanarmi. Non succederà okay? Non può perché maledizione mi sono innamorata di te e solo l’idea... L’idea... » Ma le parole le morirono in gola, strozzate dalle lacrime e dai singhiozzi incontrollati di quel panico generato da alcune semplici parole ma pesanti come il piombo: non può esserci futuro, la fine.
     
    .
  8.  
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Serpeverde
    Posts
    178
    Location
    Bronx, USA.

    Status
    i'm sleeping
    mike
    La paura. Una delle emozioni più difficili da gestire. Il dolore si piange. La rabbia si urla. Ma la paura? Era riuscita ad aggrapparsi al suo cuore, rendendolo fragile. Quante volte aveva maledetto il fatto di non essere come suo fratello. David. Un fottuto menefreghista, capace di affrontare le difficoltà di petto, senza guardare in faccia a nessuno, nemmeno a coloro che si sforzavano ad accettarlo per lo stronzo che era a causa della sua esistenza priva di stimoli positivi. David. Il suo opposto senza anima. Colui che si era fatto trascinare ed inghiottire dall’oscurità, senza esitazione, lo stesso che aveva incentrato la sua intera esistenza sulla vendetta, tralasciando ciò che per il resto del mondo costituiva una priorità: l’amore. Un male necessario? Mike non ne era affatto convinto e gli occhi di Grace, ogni volta, avvaloravano la sua teoria. Per questo motivo il timore di non poterli più incrociare e fonderli nei suoi lo mandava ai matti. Sì. Come se rinunciare a lei, sarebbe equivalso a porre la parola fine alla sua esistenza, la stessa che si era impegnato così tanto a migliorare, dopo il suo arrivo a Hogwarts. Rischiava. Ne era consapevole ma, allora, cosa sarebbe stato meglio per lei? Dimenticarlo? Se l’avesse lasciata andare, se lei l’avesse odiato a tal punto da ripudiarlo, la sua vita sarebbe stata salva. A quel punto le loro strade si sarebbero divise definitivamente ma, se il piano fosse andato in porto? Se lui e suo fratello fossero riusciti nel loro intento di togliere di mezzo Dean, una volta per tutte? Il rimpianto l’avrebbe consumato, proiettandolo in un futuro vuoto, inutile. Un’esistenza miserabile. Un’esistenza che non sarebbe valsa la pena di essere vissuta. Nessun obiettivo. Da solo con la sua coscienza e no, non era di certo quello a cui aspirava. E allora, cosa fare? Adagiò lo sguardo sulla ragazza, così piccola e delicata. Il suo volto provato lo fece trasalire ancora una volta. La colpa era sua. Sua e di nessun altro. I suoi silenzi, le sue mezze verità. Le sue importanti omissioni. Fattori che avevano contribuito a creare in lei dubbi lancinanti che, in quel momento, stava portando alla sua attenzione, senza far ricorso a mezzi termini completamente inutili alla sua causa. Aveva ragione. In tutto e per tutto e, il ragazzo, avvertì la sensazione devastante di non meritare la sua pazienza infinita. Lui l’aveva aspettata ma lei era riuscito a ripagarlo in maniera tale da renderlo ancora debitore nei suoi confronti. Come cazzo era potuto accadere? Portò la mano alla testa, scompigliandosi il ciuffo, palesando il suo profondo stato di disagio. Mai prima di allora si era trovato in una posizione simile. Non gli era mai importato di qualcuno a quel livello e i suoi rapporti superficiali non erano mai stati motivo di confusione. Stava vivendo un contesto totalmente nuovo, difficile da gestire su due piedi, così, senza la dovuta preparazione. Si sforzò. Ricostituendo l’integrità di quella maschera fatta di un’espressione neutra, quasi impassibile, come se nessun pensiero scalfisse la sua anima, macchiata da un avvenimento che l’avrebbe accompagnato fino alla fine dei suoi giorni. E Poi? Il non ritorno. Una richiesta stanca, alla quale non tardò una risposta altrettanto esausta.
    ”NO!” Le sue intenzioni risultarono immediatamente chiare: non si sarebbe fermata a quello stupido tentativo di arginare la sua piena. La frustrazione di entrambi stava raggiungendo un livello mai visto prima ma, d’altra parte, da ambo le parti vi erano alla base motivazioni più che valide. Esigeva. Grance sentiva il bisogno di comprendere quali fossero i reali motivi che lo spingevano a chiudersi a riccio, con lei e con il resto del mondo. Osservò la sua esagitazione, reprimendo l’esigenza di alzare la voce. No. Non era come suo fratello. Lui non si sarebbe mai adoperato per dimostrare la sua superiorità dal punto di vista fisico. Si costrinse, così, a reprimere il dolore, la paura e tutti i sentimenti che, come in un vortice, gli attanagliavano il petto, senza lasciargli via d’uscita. Che fosse realmente giunto il momento di lasciar trapelare alcune informazioni proibite? Non ne era certo e andarci cauto sembrava essere l’unica via percorribile per non rischiare il suo intero mondo, fatto di merda ma anche di elementi degni di essere vissuti a pieno. Come lei. Dissentì con il capo. Certo che non riteneva sano il suo comportamento ma se fosse servito a tenerla al sicuro, beh, non avrebbe esitato a fare ricorso a tutta la sua parte peggiore. “Ah, per l’amor del cielo, Grace! Chi ha mai pensato a una cosa simile?” Stupida. Se l’avesse ritenuta tale, l’avrebbe tenuta a debita distanza dal minuto zero, senza perdere un secondo. Fuori strada. Completamente. Il suo tono stremato la diceva lunga. “Hai ragione!” Riacquistò quel minimo di calma per rispondere con i dovuti modi, evitando di sconfinare in territori che sarebbero dovuti rimanere inesplorati. Ammise l’inevitabile. Oramai era chiaro che dietro ai suoi sotterfugi ci fosse qualche cosa di decisamente più grande, quasi impossibile anche solo da accettare. “Grace…” Prese tempo. Elaborò velocemente le diverse opzioni e nessuno gli sembrò così sensata da aiutarlo ad uscire da quell’impiccio senza ripercussioni irreversibili. Forse avrebbe addirittura fatto bene a non fidarsi di lui, a dirla tutta. I suoi occhi si gonfiarono di quelle lacrime che mai avrebbe voluto vedere rigare il suo volto perfetto e delicato. È colpa mia! Si sentì inutile. Spiazzato dalla semplicità di una frase, ricolma di un più che giusto significato. “Forse neanche merito la tua fiducia!” A denti stretti proferì quella che per lui altro non era che un’ovvietà. Quando la verità sarebbe stata svelata, probabilmente, sarebbe corsa via, lontano da lui e dal suo status di assassino, così come qualunque persona sana di mente. Vero era che le circostanze l’avevano costretto ad assumersi una responsabilità più grande di lui, così che potesse essere sanato un bisogno ben più grande. Se solo fosse riuscito a liberare sé stesso dalla sua prigionia, senza per forza destabilizzare l’equilibrio della bionda. Eppure, da qualsiasi angolazione analizzasse i fatti, non vedeva una facile risoluzione. “No, Grace! È una certezza. Non saresti stata fiera di me. Delle mie azioni.” Anche se queste erano state rivolte a suo fratello maggiore, da lei tanto detestato. Per quanto l’odio segnasse il loro rapporto, David, era pur sempre un essere umano fatto di carne, ossa e poca anima. “Per me è motivo di vergogna.” La difficoltà nel guardare al passato, solo in quel momento, fu chiara. Non ci aveva mai pensato, forse nella speranza di gettare il tutto in un angolo remoto della sua mente, dove l’avrebbe riposto per sempre. Ghignò ironico. Iniziava a credere di essere da lei sopravvalutato, come se credesse di avere a che fare con una specie di bravo ragazzo, perfetto e completamente estraneo al mettere in atto azioni deplorevoli.
    ”Che cazzo ne sai di qual è il mio bene?” Poco e niente. Quel che certo, però, stava nel fatto che finché Dean Harris fosse stato in vita, restare al fianco di suo figlio non sarebbe stata una scelta saggia. Di questo ne era più che certo. Il rigore con il quale quell’essere disumano si muoveva, rasentava l’infernale. I suoi figli erano una sua proprietà e chiunque si fosse preso la briga di introdursi in quel rapporto duale, l’avrebbe pagata cara. Perché poi? Di cosa aveva paura? In fondo, lui per primo, aveva preso moglie, perché per loro sarebbe dovuto essere diverso. Leggende metropolitane. “So quel tanto che basta!” Lapidario. Inespressivo. Come se i suoi gelidi occhi si fossero spenti all’improvviso. Il suo bene era lontano da lui. A quel pensiero, una miccia si accese, lasciando che il fuoco puro ardesse in lui, tanto da condurlo al limite. Le intimò di stare zitta ma subito si pentì. L’animale non poteva prendere il sopravvento. Conficcò gli artigli nei palmi della mano e quando il dolore si acutizzò, Mike, si rese conto di aver oltrepassato il confine. “Io…” Afono. Si sentì morire dentro mentre Grace riversava su di lui una valanga di constatazioni sulle quali poteva dirsi perfettamente d’accordo. “No!” Tentò di farsi largo tra una parola e l’altra ma si sentì braccato. “NO!” Il suo tono si fece grottesco. Spaventoso. “Se fosse una questione di comodità, mi dispiace, ma non sarei qui.” Secco. Duro. Apparentemente senza cuore ma sincero fino in fondo e questo lei l’avrebbe potuto sapere se solo fosse stata a conoscenza della sua storia, sin dal principio. Sarebbe stato senz’altro facile lasciarsi tutto alle spalle e tornare da dove era venuto. Oltreoceano, almeno, non avrebbe rischiato di mettere a repentaglio la vita delle persone alle quali teneva. Ma no. Aveva deciso di rimanere, impegnandosi a proteggere quella fragilità che andava conservata sotto una campana di vetro, per non essere scalfita. “Sono stato chiaro?” Tagliò corto. Il bivio era lì, davanti a lui. Restava solo scegliere la strada da percorrere. Sei uno stronzo. Eppure quegli argomenti cavavano fuori il suo lato oscuro, indomabile. Si irrigidì, pentendosi immediatamente delle parole uscite dalla sua bocca. Trattenne il fiato ed intorno a lui qualche cosa di apparentemente strano accadde. Si guardò intorno, preoccupato per poi tornare ad indugiare su di lei, bisognoso anche solo di una tacita conferma che fosse proprio lei, attraverso il suo stato d’animo a giocare con il fuoco.
    ”… decidi persino per me.” E non avrebbe dovuto? Il suo dovere glielo imponeva e il resto era il nulla. “So esattamente ciò di cui sto parlando!” Cosa che lei non poteva dire. “Quindi, sì! Decido per te! Per la tua sicurezza.” Si lasciò scappare un dettaglio significativo. Aveva appena consegnato nelle sue mani uno stralcio di autenticità che sapeva avrebbe sollevato più dubbi che mai. Cazzo! Tutto gli stava sfuggendo dal suo controllo. Il panico era lì, in agguato, pronto a scaraventarsi addosso a quel ragazzo che, mai come in quell’istante, sarebbe voluto sparire dalla faccia della terra. … non credi in me!” Lo stava esasperando, incalzandolo in una maniera eccessiva, quasi come per ridurlo all’angolo. In silenzio. Ancora una volta. Affranto ma allo stesso tempo pronto ad incassare qualsiasi concetto, nato da quel fiume di parole. ”… non lo capisci che ti amo?” Il cuore gli balzò in gola. Il tempo parva fermarsi e lo smarrimento scivolò via, sostituito dalla rassicurazione nata dalla semplicità di quella frase. Nessuno si era mai espresso in quei termini nei suoi riguardi e, di riflesso, neanche lui. Il sentimento nei confronti della giovane leonessa era un qualche cosa di inspiegabile. Forte. Deciso. Lo stesso che l’aveva tenuto in vita quando il desiderio di soccombere, per evitare le torture inferte da quel padre senza scrupoli, era così forte ed invitante da trascinarlo con sé. Era quella la vera essenza dell’amore? Non ne era certo ma sospettava fosse proprio lei. Le braccia della bionda potevano essere considerate il suo luogo sicuro in cui sarebbe sempre tornato, se gliel’avesse permesso. Non si era mai preoccupato di dare un nome a quelle percezioni ma il suo discorso gli stava spianando la via. Le lacrime si sprigionarono copiose e Mike, tralasciando il suo stato mentale, si protese in avanti, avvolgendola in un abbraccio che sarebbe valso più di mille concetti buttati al vento. “Va bene!” Mormorò al suo orecchio, mentre la mano destra le accarezzava la testa dolcemente, per poi andare a parare sulla guancia per raccogliere con il pollice una lacrima. “Risponderò ad ogni tua domanda.” Sarebbe stato un libro aperto, affrontando a testa alta le sue angosce. “Prima, però…” Le sfiorò le labbra, evitando di approfondire il bacio. “Voglio che tu sappia che hai reso la mia esistenza migliore.” Da ogni prospettiva la si guardasse. Poggiò la fronte a quella della sua ragazza, sancendo il passaggio ad un livello superiore di quella relazione. “Hai reso me un uomo migliore!” Un uomo con un futuro, al di là della vendetta.
     
    .
  9.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Grifondoro
    Posts
    301

    Status
    i'm sleeping
    grace
    grace
    C’era un pensiero intrusivo, minaccioso, pericoloso, a cui non avrebbe voluto credere, quello di non essere all’altezza. Un pensiero ricorrente che, al pari di una ruota, tornava ciclicamente a tormentare la vita della piccola Grace Johnson che altro non aveva fatto se non sentirsi fuori posto vuoi per un motivo, vuoi per un altro. Troppo piccola di statura. Troppo piccola d’età. Troppo vivace, troppo silenziosa, troppo bionda, pallida o poco aggraziata. Ogni giudizio era stato sentenziato dalle strette labbra di sua madre che non perdeva la minima occasione per svalutare quella figlia che poi così male in realtà non era. Commenti gratuiti privi del benché minimo fondamento in quanto Grace non dava problemi a livello caratteriale o di ribellione né era così male come essere umano in sé e per sé. Era la classica adolescente modello – quasi, era pur sempre una ragazzina con quelli che potevano essere i “capricci” dell’età – ricca di sogni ed aspettative per il futuro, che avrebbe voluto, con tutto il suo cuore, essere apprezzata da quella famiglia alla quale la giovane, invece, sembrava stare stretta. Tanto odio, tanta insofferenza e del tutto privi di motivo. Così Grace aveva riversato quella frustrazione nello sport trasformandolo dapprima in uno strumento per scaricare tensioni e frustrazioni e da lì scoprendo quanto fosse invece nelle sue corde, nella sua natura. Era portata. Prima la scherma, nella quale era stata in grado d’eccellere portando a casa diverse coppe e campionati lasciando che sulle mensole della cameretta in quel di Londra andassero a cumularsi in un’ordinata fila i premi conquistati con il puro talento dato dal sudore della fronte. Avrebbero dovuto essere motivo di vanto ma agli occhi di Heather Somer, sua madre, altro non era che ciarpame a differenza di quanto invece, con gli studi, aveva conquistato sua sorella, la perfetta Elisabeth. Grace amava sua sorella ma così, in quello stato di perenne competizione, persino ora che la ragazza era morta, era impossibile non provare almeno una punta di insofferenza. Sentiva il suo ricordo intaccato e per certi versi odiava sua madre per starle facendo proprio questo. Aveva provato ad eccellere ma era stato tutto inutile e, a malincuore, poi, aveva dovuto lasciare quel mondo – dove era davvero apprezzata – per dedicarsi ai suoi studi al castello, alla sua vera identità di strega. Quello era stato un momento complesso nella quale la Grifondoro aveva avuto una certa difficoltà a comprendere quella nuova identità di cui non aveva avuto particolare sospetto se non quegli episodi di magia incontrollata che la sua mente, e quella di chi la circondava, aveva tentato di giustificare con la logica. C’era una logica dietro a tutto per gli altri e così, a seguito di quelle spiegazioni a volte campate stentatamente s’era quietata non immaginando nemmeno lontanamente quanto speciale in realtà fosse. Era una strega e solo in seguito a ciò avrebbe scoperto quello che sarebbe stato il suo problema peggiore: non sapeva controllare quel potenziale magico e, soprattutto, in presenza del fuoco, quella sua magia così instabile sembrava legarsi con l’elemento a doppio filo, manipolandolo. Un disastro senza precedenti e su tutta la linea ma, a distrarla da quei pensieri totalizzati era giunto in suo aiuto il quidditch. Uno sport che all’apparenza poteva sembrare una passeggiata ma che in sé richiedeva immenso sforzo e spirito di sacrificio. Allenarsi era la parola chiave e non solo a livello di mira per una cacciatrice come lei ma anche a livello di resistenza fisica. Su in cielo l’aria si faceva rarefatta ed allenare la capacità polmonare era di vitale importanza. Il quidditch s’era rivelato essere la giusta valvola di sfogo ammettendo ben pochissimi sconti finendo per riuscire a scalare qualsiasi classifica stanziandosi indiscussamente sul podio delle preferenze. Era quel passatempo in cui le era consentito spegnere il cervello da attività nella quale altrimenti si sarebbe crogiolata fin troppo ed a lungo: i suoi pensieri. Il suo più grande nemico era proprio quella testa che non smetteva di pensare, non fermandosi mai un attimo per passare sotto la lente del giudizio le situazioni analizzando da qualsiasi possibile angolazione lo svolgimento del suo cruccio del momento. Giudice e boia in quello che era il suo personalissimo quanto intransigente tribunale interiore. Non c’era azione che non venisse passata al vaglio, poi, ed era questo che la infastidiva maggiormente di sé stessa: l’istintività. Mai una volta che riuscisse a ponderare le sue azioni meditandole prima, no, doveva gettarsi di pancia facendo quello che l’istinto le comandava per poi, in secondo luogo, arrivare a pentirsene. Un po’ come in quel caso, lì, nello spogliatoio ad inseguire il suo ragazzo che credeva arrabbiato con lei per il modo in cui lo aveva piantato in asso alla festa d’inizio anno. Grace era convinta d’averlo infastidito con il suo comportamento, era pronta a giustificarsi per esso permettendo a lui di capire i motivi che l’avevano spinta ad abbandonarlo per correre in soccorso alla sua amica ma Michael l’aveva stupita: non gliene importava. O questo era ciò che aveva interpretato dalle sue stentate risposte iniziali. Che non gliene potesse fregare di meno. La Grifondoro era ammutolita, basita da cotanto menefreghismo dimostrato dal ragazzo. Un livello tale da percepire il suo cuore scalfirsi. Stava sbagliando tutto? S’era forse innamorata della persona sbagliata? Non riusciva a crederlo e quel roller-coaster d’emozioni non fece altro che ripercuotersi nelle fiaccole presenti all’interno dello spogliatoio che immediatamente cominciarono ad ondeggiare in quel sali-scendi emotivo costituito dal sentito della Grifondoro.
    Non poteva crederci. No! Non lo accettava. Grace scosse il capo a più riprese mettendo da parte quel cuore infranto, lasciando che l’animo, così come quell’elemento alla quale pareva essere legata, s’infiammasse non riuscendo a credere che il suo Michael, il ragazzo che era convinta d’amare fosse un troglodita al pari del fratello. No. Doveva esserci una spiegazione e proprio per questo, adirata, prese a rispondere colpo su colpo impedendo all’altro di riprendere persino fiato per incalzarlo con domande ed affermazioni che l’altro, eventualmente, avrebbe dovuto smentire. Lo stava portando all’esasperazione se ne rendeva conto, in parte, ma non le importava, non davvero. Se doveva mettere un punto a quella storia non lo avrebbe fatto accontentandosi di risposte buttate lì su due piedi o richieste di silenzio. Col cavolo! L’era del silenzio finiva lì in quell’istante con lei piena rasa di quell’atteggiamento. Aveva pazientato a sufficienza, aveva tentato di comprendere cercando di misurare quella sete di curiosità che aveva per l’altro ma dopo tutto quel tempo che stavano insieme reputava che non avere la benché minima idea del passato del suo ragazzo fosse letteralmente ridicolo. Non sapeva nulla di lui né della sua famiglia o del suo parentado, né capiva perché per tutta l’estate non l’avesse invitata da loro mentre Halley era persino riuscita a passare alcuni giorni con David. Non poteva essere legato all’astio vigente col di lui fratello maggiore, c’erano mille ed uno mezzi in grado di bypassare il problema. Doveva esserci altro ed ora come ora l’unica risposta che riusciva a darsi era che Michael non fosse coinvolto da lei tanto quanto lo era lei da lui. Si era stancato? Aveva realizzato che lei non fosse ciò che si doveva essere immaginato mentre frequentava Marshall? Doveva saperlo e se per farlo sarebbe stato necessario portarlo al limite lo avrebbe fatto, senza se e senza ma. Ancora una volta avrebbe imboccato la strada dell’istinto che le diceva di forzare pesantemente la mano per ottenere delle risposte che a quel punto le erano dovute.
    «Per l’amor del cielo, Grace! Chi ha mai pensato a una cosa simile?»
    «Lo penso io!» Sbottò passando poi a rincarare la dose. «E sai perché? PERCHÉ TU NON PARLI!» Finì per urlare fregandosene altamente della sceneggiata che stava mettendo in atto. «Non posso sapere cosa ti passa per la testa se non me ne parli. Posso immaginare, ipotizzare e sai cosa? Penso al peggio perché tu mi costringi a fare questo!» Se le avesse parlato, se le avesse raccontato di sé avrebbe avuto la chiave per comprenderlo meglio, per immaginare le sue reazioni ma Michael rimaneva sempre freddo, impenetrabile con solo i suoi occhi ad illuminarsi per brevi spiragli di spensieratezza. Dio quanto lo amava! Quanto amava quegli occhi tristi ed infelici che non facevano altro che farle desiderare di dar loro la gioia che meritavano ma lui, maledetto, non glielo permetteva.
    «Forse neanche merito la tua fiducia!»
    «Vaffanculo» replicò di getto affranta e sfiduciata da ciò che quella discussione stava rivelando della loro relazione: Michael non aveva fiducia in lei. Nemmeno un briciolo, nemmeno un po’ per aprirsi e raccontarle cosa portava dentro. La sua “scusa” era il timore che ciò che le avrebbe rivelato l’avrebbe portata ad allontanarsi ma lui cosa ne sapeva di cosa avrebbe fatto lei? Ne era certo? Avrebbe potuto metterci la mano sul fuoco? E cosa aveva fatto di tanto grande e terribile? Il Serpeverde le aveva chiesto, quando ancora non stavano assieme, un atto di fede nei suoi riguardi, d’avere fiducia in lui ed in quella che era la sua verità. Grace gliel’aveva concessa, credendo in lui, perché non poteva restituirle almeno una piccola parte di quella fiducia?
    «So quel tanto che basta!»
    «Allora non sai niente! Non hai capito niente!» Se pensava di poter comandare sulle sue scelte, su di lei, pensando che remissiva avrebbe accettato ogni cosa... Beh, si sbagliava di grosso. Non era nella sua natura darsi per vinta, in nessun campo. Avrebbe dovuto capirlo anche solo dal suo stile di gioco. La discussione progredì portando entrambi gli animi a raggiungere e superare un limite che invisibilmente ed inconsapevolmente i due sembravano essersi imposti. Non avevano mai litigato in maniera così accesa nemmeno quando la Grifondoro era arrivata a schiaffeggiarlo nei corridoi. Questo era peggio proprio perché le parole, i toni, erano puntati a colpire, a far soffrire.
    «Nessuno deciderà mai per me» sibilò, la voce tremante appena udibile in quella che era una promessa che la Johnson stava facendo più a sé stessa che all’altro. Non avrebbe mai più permesso a qualcuno di decidere per lei né di trattarla come non meritava. Prese fiato mentre alle loro spalle le fiamme tremavano quasi l’incendio si stessa caricando di nuova energia e poi la Grifondoro colpì e come un fiume in piena rovesciò sul ragazzo quella che sarebbe stata la sua ultima parola, l’ultima disamina che l’avrebbe esposta irrimediabilmente portandola a porgergli il suo cuore incurante di ciò che l’altro ne avrebbe fatto e poi, quando le parole le sarebbero morte in gola sopraffatte dal pianto avrebbe raccolto ciò che rimaneva di sé stessa, i cocci, alzandosi e togliendosi di mezzo.
    Ma ciò non avvenne. Michael l’avvolse immediatamente tra le sue braccia tirandola a sé. Grace si ribellò, istintivamente, colpendo il suo torace con pugni privi di qualsiasi intenzione. Non poteva farle questo. Non ora. Si accasciò contro di lui, stremata, piangendo disperatamente contro il suo petto mentre la dolcezza del suo tocco leniva ed allo stesso tempo feriva ulteriormente il suo cuore.
    «Va bene!» Sussurrò contro il suo orecchio mentre le dita andavano a cercare la guancia per asportarne le lacrime. Tirò su con il naso sollevando lo sguardo lucido in quello del Serpeverde. Cosa voleva dire?
    «Risponderò ad ogni tua domanda.» Lo avrebbe fatto davvero? Senza più omissioni? Senza più silenzi incomprensibili? «Prima, però voglio che tu sappia che hai reso la mia esistenza migliore. Hai reso me un uomo migliore!» Aggrottò le sopracciglia, confusa. Quelle parole erano bellissime ma non aveva gli elementi per dar loro un contesto, per capirle. Perché diceva questo? Non reputava d’aver fatto nulla. Tentò di parlare ma finì per boccheggiare non sapendo da quale parte cominciare.
    «Io...» Cominciò infine. «Io voglio sapere tutto.» Ammise candidamente ma da che parte avrebbe dovuto iniziare il verde-argento e soprattutto, di che calibro di rivelazioni si parlava? Era pronta? «Permettimi di capire, di capirti...» perché non ci sto riuscendo. Da che parte cominciare? «La tua famiglia... ?» Cosa gli avevano fatto? Perché al ballo di Natale lui e suo fratello erano sbiancati all’arrivo di quella lettera? Perché a maggio, al suo rientro, aveva zoppicato per qualche giorno? Perché? Perché perché perché?

    Buon Natale, Zoc 🖤
     
    .
  10.  
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Serpeverde
    Posts
    178
    Location
    Bronx, USA.

    Status
    i'm sleeping
    mike
    Non gli capitava spesso di perdere le staffe. Quando avvertiva la possibilità, però, nutriva sempre quel timore di non riuscire a mantenere il controllo. Si era allenato in maniera assidua. Devoto alla causa. Come se da quello dipendesse la sua intera esistenza e, a dirla tutta, la verità non si trovava così lontana da quel concetto. Mai e poi mai avrebbe desiderato trovarsi ad avere a che fare con una sua ipotetica esplosione di rabbia, soprattutto in presenza di coloro ai quali teneva realmente. Un rischio che, oramai, aveva accettato nella sua quotidianità. Una possibilità che, spesso, aveva minacciato di tramutarsi in realtà grazie alla presenza assidua di David. Suo fratello non perdeva occasione per tentare di portarlo fuori dalla grazia di Merlino e di Morgana, senza neanche pensare cosa ciò potesse significare per lui. Scontrarsi con l’animale che albergava in lui era l’ultima cosa di cui aveva bisogno anche se, a dirla tutta, i suoi crimini erano avvenuto in forma umana. Portò la mano alla fronte. Segno del suo più totale disagio. Grace, quel giorno, appariva diversa. Motivata. Inverosimilmente più del solito, se fosse stato possibile. Che era accaduto? Possibile che se la fosse presa esclusivamente per la sua reazione pacata durante lo svolgimento del falò? Impossibile. Dietro a quell’atteggiamento doveva esserci ben altro. Di più. Più di quello che riusciva anche solo lontanamente ad immaginare. L’agitazione della giovane, però, ebbe un ascendente negativo sul mannaro che, a seguito di quelle accuse mosse nei suoi confronti, si sentì del tutto in balia dell’istinto. Quella sensazione di essere portato al limite, lo consumò, obbligandolo a fare ricorso a tutto il suo autocontrollo per non risultare ambiguo, ponendo in essere atteggiamenti del tutto fuori luogo per un diciottenne qualunque. Le parole della bionda lo colpirono, come una di quelle piccole navi bersagliate, in una partita del gioco babbano chiamato battaglia navale. Questo era riuscito a dimostrarle? Indifferenza. In tutto quel tempo non si era visto altro di lui? L’interesse? L’amore provato nei suoi confronti. Il desiderio di proteggerla da tutto e da tutti? Niente. Si sentì sconfitto, su ogni fronte. Come se i suoi sforzi non fossero serviti a mostrare, anche se in minima parte, ciò che era realmente: un ragazzo innamorato. Uno come tanti, fatta eccezione per un qualche cosa che, per il momento, sarebbe dovuto rimanere lì, nel dimenticatoio. Avvertiva in pieno petto il dolore mostrato dalla rosso-oro. Inerme, davanti a quel fiume in piena, costituito da sentimenti contrastanti che avrebbe giurato di conoscere in parte. Lui. Lui doveva essere il suo argine. Lui avrebbe potuto fermare il male che l’affliggeva ma, purtroppo, riversare su di lei la verità, sarebbe stato peggio del previsto e, forse, si sarebbe pentita anche solo di aver accettato –un anno prima- il suo invito a quel maledetto ballo. Il loro scambi di punti di vista, presto, si trasformò in vero e proprio litigio dove, contro ogni pronostico, anche Mike si trovò a dover alzare i toni per enfatizzare il suo disappunto, provocato da diverse esternazioni compiute da quella che, oramai, dopo mille peripezie, poteva considerare la sua ragazza. Perché, sì, per lui si trattava di una relazione più che seria. Nessun’altra avrebbe preso il suo posto. Lo accusò senza mezzi termini di non parlare. Di escluderla dalla sua vita e la cosa peggiore stava proprio nel fatto che aveva pienamente ragione. A nulla valeva spiegare quanto fosse importante che non venisse a conoscenza di alcuni dettagli. Non le importava. Grace voleva esserci dentro con tutti i piedi. Voleva lui senza alcuna riserva. Senza timore di ciò che si celava dietro quel muro di ghiaccio, costruito proprio per tutelarla. Quante volte si era nascosto dietro a un dito, fingendo che tutto fosse al proprio posto. Come poteva credere di riuscire a portare avanti quella messa in scena da quattro soldi, sotto il naso dell’unica persona che poteva dire di amare? Un codardo. Ecco come si reputava. Un codardo buono a nulla. Forse David aveva ragione. Dean avrebbe sfruttato quella sua debolezza e in pochissimo tempo lo avrebbe fatto fuori, cancellandola non solo dalla faccia della terra, ma anche dalla vita di tutti quelli che orbitavano intorno a lui. Forse si sarebbero abituati. Qualcuno neanche se ne sarebbe accorto della sua assenza ma lei sì! Lei avrebbe sofferto a tal punto da fargli sperare che non esistesse un aldilà. Un punto di osservazione superiore. A che cazzo stai pensando, idiota? Cercò di darsi una mossa, così da poter cercare di calmare quelle acque fin troppo agitate per i suoi gusti. L’aveva costretta. In qualche modo, era stato lui a portarla fuori strada, lasciandole credere cose che non corrispondevano al vero. La colpa era da attribuirsi, esclusivamente, alla sua omertà e alla mancanza di palle. Ricercò in sé quella parvenza di calma, senza la quale, sarebbe caduto nella trappola, preparata accuratamente dall’altra sua natura, quella pericolosa. Passò la mano tra i capelli, nervosa e veloce. Si stava esponendo. Eccessivamente, forse. Ma se non voleva perdere colei che rappresentava la sua umanità, un esame di coscienza parve d’obbligo. Ribattere? Inutile. L’agitazione della Johnson lo irritò per qualche istante ma, razionalmente, elaborò le motivazioni che l’avevano portata a esplodere a quei livelli. La lasciò sfogare a pieno ritmo. Anche quando lo mandò a fanculo, senza passare dal via. Quell’atteggiamento lo eccitava inspiegabilmente. Come se fosse in grado di trasformare la rabbia in una sorta di tensione sessuale che, inevitabilmente, provavano fin da tempi non sospetti. Sarebbe stato in grado di piombare su di lei. Prenderla in quel sudicio spogliatoio. Farla sua più e più volte. L’adrenalina pensava per lui ma, come sempre, il senso di giustizia, riusciva a prendere il sopravvento, portandolo a razionalizzare quell’impulso animalesco. Su una cosa però sbagliava. Sapeva più del dovuto. Michael era cosciente di essere il male puro per lei. Questa consapevolezza, quindi, lo tramutava in un attimo nel più egoista delle persone all’interno di quella scuola.
    “Ti sbagli!” Fu proprio in quel momento che decise di intervenire, al solo fine di puntualizzare qualche cosa che non poteva essere noto. “So ciò che è meglio per te!” Ribadì. “Semplicemente perché so di non essere il tuo bene!” Recitò quelle parole, apparentemente senza senso, con aria afflitta. Triste. Come se si fosse autonomamente posto davanti a ciò che aveva ignorato per troppo tempo. “Ma su una cosa hai ragione, Grace!” Alzò lo sguardo su di lei, scandagliandone ogni dettaglio che sarebbe rimasto impresso nella sua mente, qualsiasi fosse stata poi l’epilogo. “Nessuno può decidere per te. Non permetterlo mai!” Così da non fare la sua stessa fine. Perché, sì. Lui non era altro che il frutto di decisioni prese da qualcun altro. Qualcuno che sapeva che mettendolo al mondo, con tutta probabilità, lo avrebbe condannato a una vita in catene. Nel vero senso della parola. Senza pensarci due volte, il minore dei fratelli Harris, la prese tra le braccia, cercando di infondere in lei, almeno una piccola parte di sicurezza che meritava perché, nonostante fosse il pericolo numero uno, Grace con lui sarebbe stata al sicuro. La giovane tentò di dimenarsi, con una forza atipica per un tipo minuto come lei. Una grinta irrefrenabile. Uno degli aspetti che più lo attraevano. Pochi istanti e poi la resa. Si accasciò contro il suo petto e lui stette molto attento a non lasciarsela sfuggire. Non in quel momento, almeno. Forse l’avrebbe persa in seguito alla sua confessione e, per questo motivo, voleva viversi a pieno gli ultimi istanti. Quelli, forse, più significativi che avrebbero decretato il loro futuro. ”Io voglio sapere tutto.” Si trattava di un gran numero di informazioni e, di certo, non sarebbero potute essere ridotte ai minimi termini. Per questo decise di andarci piano. Un passo alla volta e, forse, con quella tattica, avrebbe potuto guadagnare tempo prezioso per la riuscita del suo piano contro la sua famiglia. Annuì. ”La tua famiglia…?” Gli sembrò una domanda più che logica. Ricordava l’occhiata cupa rivolta a suo fratello un anno prima quando, nel bel mezzo del ballo dedicato al Natale, suo padre aveva imposto loro di presenziare al suo cospetto in quel di Londra, dove poi era avvenuta la sua prima trasformazione. In quell’occasione Grace aveva assistito a quello scambio di terrore. “Parto dal principio. Il mio arrivo qui, Grace, non è stato casuale.” Sarebbe partito dal motivo per il quale aveva deciso di frequentare Hogwarts, andando contro il parere materno. “Ho deciso di frequentare questa scuola solo per David.” Ammise. Inizialmente nessun altro motivo avrebbe spiegato la sua presenza tra quelle mura. “L’avevo con lui.” A morte. “Volevo portare a termine ciò che avevo iniziato mesi prima quando, una notte, ho tentato di ucciderlo!” Abbassò lo sguardo. Si vergognava ma quella che era appena uscita dalla sua bocca non era altro che la realtà. “Ho passato molti anni a subire i suoi scatti d’ira.” Il suo intento non era di certo quello di farle odiare ancora più intensamente David. No. Al contrario. La sua volontà si fermava al mero racconto. “Violenze fisiche, intendo.” Tralasciò alcuni dettagli. “Io e lui abbiamo ricevuto un trattamento differente.” Anche se non di molto. “Io sono stato più fortunato di lui, grazie a mia madre.” La donna che l’aveva sottratto alle grinfie di un marito totalmente instabile mentale, con manie di grandezza così spiccate da poter vincere una discesa agli inferi diretta. “David ha sofferto, sì, ma non riuscivo a perdonarlo di aver scaricato la sua frustrazione su di me!” Frustrazione scaturita dall’essere stato il bersaglio prediletto di Dean. “La nostra è una famiglia disfunzionale, basata sull’aggressività.” Le storie di violenza si sprecavano. Erano così tante da averne perso il conto. “Mio padre non ha avuto alcuno scrupolo.” Ricordava come non aveva battuto ciglio nello spaccargli una gamba a mani nude, così, ridendogli in faccia. “La lettera la notte di Natale, giungeva proprio da lui. Ci invitava a raggiungerlo per…” Come spiegare? “Eseguire alcune direttive.” Non aveva avuto scelta. Attirare Dean a scuola, sarebbe stata una mossa stupida. Ma lo era stata anche quella di consegnarsi a lui, senza avere un’adeguata preparazione. “Abbiamo avuto uno scontro.” Si bloccò improvvisamente, tornando alla notizia scioccante di pochi attimi prima. “Voglio che tu sappia che sono pentito.” Per una miriade di cose, certo. Ma una su tutte. “Per quello che ho tentato di fare a David. Ero fuori di me. Non ragionavo.” Con il tempo aveva compreso il perché dei suoi atteggiamenti. “Non ti ho cercata perché non potevo!” Certo che no, era troppo occupato a prendere coscienza di quanto appena avvenuto e, soprattutto a curare le ferite inflitte da colui che, secondo natura, sarebbe dovuto essere il primo a proteggere i propri figli che, invece, aveva massacrato senza alcuna pietà, risparmiandogli la vita esclusivamente per il fatto che gli sarebbero serviti. “Non parlo di lui. Non parlo del mio passato.” Non volentieri, per lo meno. “Non voglio essere come lui.” Per poco una lacrima non andò a rigargli la guancia pallida. “In quei giorni, sarei voluto svanire nel nulla. Prima di varcare il cancello della scuola, ci ho pensato su. Se fosse la scelta giusta.” Ammise. “Ma sono tornato. L’ho fatto per te.” Ed ora poteva dirlo con certezza. “E ho fatto bene. Ora so cosa vuol dire amare.” Doveva ringraziarla. “Ti amo, Johnson!” Non la trattenne. Sapeva che quanto detto avrebbe potuto provocare un maremoto di emozioni. In fondo le aveva confessato di aver tentato di togliere la vita a una persona, che per quanto fastidiosa potesse essere, non meritava un trattamento simile. Illegale. Condannabile.

    BOOM BABY
    E UNA, ZOC!
     
    .
  11.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Grifondoro
    Posts
    301

    Status
    i'm sleeping
    grace
    grace
    Tutto deleterio. Tutto così assurdo, eppure, non accennava a raggiungere una fine. Un crescendo continuo dove sia il Serpeverde che la Grifondoro sembravano trovarsi al capolinea di quella che era la pazienza di entrambi. Perché sì, la Johnson ne aveva portata molta dall’inizio di quella che poteva finalmente prendere il nome di una relazione ma il tutto era iniziato ancora prima, prima ancora che stessero insieme ed una cosa aveva sempre caratterizzato il loro rapporto: il silenzio di Michael.
    Michael non parlava, non si sfogava. Qualsiasi cosa gli passasse per la testa, qualsiasi problema oscurasse l’azzurro gelido dei suoi occhi rimaneva lì dietro, celato, non trovando mai la via d’uscita che avrebbe messo a parte la Grifondoro smaniosa, invece, di rappresentare realmente qualcosa per il ragazzo esattamente come aveva cominciato lei a nutrire nei suoi riguardi. La sua roccia, la sua metà. Glielo aveva detto in passato d’essersi affezionata a lui nonostante il poco tempo insieme eppure, per lui, non sembrava essere sufficiente o almeno era quanto arrivava alla percezione della giovane donna che non più riusciva a mettere da parte quel sentimento che aveva preso ad agitarle l’animo. Era arrivata ad un punto di non ritorno. Non poteva più ignorare e, dopo aver ragionato sia da sola sia con l’ausilio delle persone giudicate da lei fidate, aveva deciso che il tempo dell’impasse doveva terminare. Lei meritava di sapere. Lei meritava e basta e non avrebbe dovuto pretendere niente di meno se davvero per Michael fosse stato lo stesso come per lei. Un rapporto alla pari, questo chiedeva.
    «So ciò che è meglio per te! Ribadì Michael quasi in un ringhio ignorando ogni buon senso di fronte alla rabbia, al fuoco che brillava nell’azzurro degli occhi della Grifondoro. «Semplicemente perché so di non essere il tuo bene!» Che idiozia! La bocca della bionda lasciò che un colpo di risa sgomenta abbandonasse le sue labbra. Era serio? All’apparenza sembrava davvero credere in quello che andava millantando, alla stronzata che altro non faceva che annebbiare ulteriormente la ragione ferita della Grifondoro spingendola ad infervorarsi cancellando ogni traccia dei freni inibitori posseduti, portandola a cadere nella mera scurrilità. Cosa che la giovane non era minimamente. Grace non era scurrile ma quando si lasciava andare a determinate imprecazioni più o meno colorite, si poteva intuire la gravità del disagio della giovane leonessa.
    «Fottiti» replicò quasi in una sussurro, minacciosa. Se lui non le portava rispetto prendendola così apertamente per i fondelli con risposte di uno stampo che nemmeno al medioevo lei, a sua volta, non si sentiva tenuta a rispettarlo. Era umiliante, triste che stesse finendo così. Mai Grace si sarebbe aspettata che quella relazione fosse destinata a concludersi in un modo tanto becero. In cuor suo sperava durasse per sempre ma sapeva che quello era frutto del retaggio dei sogni che film e telefilm le avevano messo in testa. Eppure, era così un peccato sperare? Sapeva il loro non sarebbe stato un idillio in quanto la loro relazione non era partita sotto la migliore delle stelle ed il fato non sembrava essere dalla loro mettendo sul percorso mille ed un problema ma che fosse proprio il verde-argento a mostrare una considerazione così bassa, così sessista mai Grace lo avrebbe detto. Mai vi avrebbe scommesso. Vi avrebbe messo la mano sul fuoco riguardo la nobiltà d’animo del Serpeverde. Invece. Quale orribile incubo. Delusa, amareggiata oltre che arrabbiata con sé stessa e con lui per ciò che quella discussione stava rivelando di entrambi.
    «Ma su una cosa hai ragione» Che faceva? La prendeva anche in giro ora? La scherniva? Dopo che fino a quel momento l’altro non aveva fatto che sostenere la sua tesi negando persino l’evidenza dei fatti spiattellata lì davanti a lui, nero su bianco avrebbe persino potuto metterla per iscritto.
    «Sentiamo!» Lo incalzò spronandolo a dar voce alla successiva sciocchezza di cui ormai aveva ben perso le speranze.
    «Nessuno può decidere per te. Non permetterlo mai!» Questa poi! La prendeva anche per il culo adesso. Ma no, basta! Basta davvero! La Grifondoro racimolò ciò che rimaneva della sua dignità, prese la sua fierezza e con sguardo deciso puntò a quello del Serpeverde in un ultimo disperato tentativo: quello di mettere in tavola sé stessa e nessun altro, completamente a nudo ed alla sua mercé dandogli la possibilità di fare di lei e dei suoi sentimenti qualsiasi cosa avesse voluto. Importava più qualcosa? C’era più qualcosa da perdere? Non agli occhi di Grace che con estremo coraggio pronunciò ciò che il suo cuore da tempo aveva identificato dando un nome a quel sentimento puro e spontaneo nato e provato per quel ragazzo tanto problematico quanto pieno di tristezza: amore. “Aggrappati a me” parve volergli dire, disperata in quell’ultimo tentativo di salvare il salvabile e, Michael, lo fece. Il verde-argento la strinse tra le sue braccia accogliendo silenziosamente la ribellione nata da quel cuore combattivo che non desiderava d’essere messo a tacere, mansueto ma che infine, stremato, si arrese a quelle braccia che stringendola parvero tenere in saldo tutti quei pezzi infranti. Grace si strinse alla sua camicia inspirando quel profumo solo e soltanto suo e chiuse gli occhi beandosi di quel calore e della forza con la quale la stringeva. Un balsamo in grado di lenire il bruciore delle sue ferite. “Non lasciami più andare!” Nel pugno strinse il tessuto mentre il dolce sussurro della sua voce decretò finalmente la resa. La resa per entrambi ma la rinascita di un nuovo “noi” più forte di prima. Forse. Titubante si sollevò dal suo petto facendosi leggermente più indietro quel tanto da consentirle di tornare a guardarlo in viso mentre incerta pronunciava quella che era la sua volontà di venire a conoscenza di ogni cosa. Era tanto? Era poco ciò che nascondeva? Sarebbe stata preparata a ciò che le sue orecchie avrebbero udito? La realtà era che la Grifondoro non avrebbe nemmeno potuto immaginarlo in quale sfida si sarebbe trovata invischiata. Lo vide incerto dinanzi alla sua volontà e, riflettendoci, provò a rendergliela più semplice fornendogli quello che avrebbe dovuto rappresentare un input atto ad agevolargli la partenza: la sua famiglia. Che gli Harris non fossero la classica famiglia tradizionale sponsorizzata nelle pubblicità babbane lo aveva intuito e, la breve frequentazione con il di lui cugino, Harry Barnes, gli aveva fornito piccoli indizi i cui puntini faticavano a legarsi nel suo pannello mentale dedicato al caso. Quanto aveva capito però la portava a credere, con un margine d’errore che rasentava lo scarso, che quella di Michael e di suo fratello David non fosse una famiglia nella quale albergasse l’amore ma, a dispetto della sua, nemmeno l’indifferenza. Da ciò che aveva visto sul corpo di Harry, la violenza scorreva gratuita nelle famiglie Harris-Barnes ed il rientro di Michael zoppicante era stato per lei la conferma a quel timore che era andato a stanziarsi come un germoglio infestante.
    «Il mio arrivo qui, Grace, non è stato casuale.» Esordì lui raccontandogli di come avesse scelto il castello scozzese unicamente per seguire il fratello.
    «L’avevo con lui.» Come dargli torto. Grace non faticava a credere fosse possibile un tale sentimento rivolto nei riguardi del moro in quanto proprio il ragazzo in primis non rendeva semplice la vita al prossimo facendo ogni cosa in proprio potere per suscitare disprezzo nella controparte. Lo faceva con tutti e forse, con lei, un pochino di più e per motivi del tutto sconosciuti alla Johnson.
    «Volevo portare a termine ciò che avevo iniziato mesi prima quando, una notte, ho tentato di ucciderlo Ucciderlo. Era una scelta casuale quel verbo? Un tentativo d’esagerare la percezione del sentimento nutrito... giusto? Grace aggrottò lievemente le sopracciglia. Le labbra si schiusero nel tentativo di domandare, di far luce ma la voce non uscì ed il verde-argento continuò, sguardo basso, il suo racconto.
    «Io e lui abbiamo ricevuto un trattamento differente.» Eppure non riusciva a nutrire un briciolo di compassione per l’altro. Quanto miserabile? Quanto piccolo doveva essere come uomo per scegliere di sfogare le sue frustrazioni su qualcuno le cui scelte non avrebbero potuto in alcun modo influenzare il loro destino. Michael non c’entrava niente eppure, David, aveva scelto la strada semplice prendendosela con un bambino invece che con i veri autori e fautori della sua miseria. Stronzo.
    «Non ti biasimo» sussurrò cercando le mani del ragazzo per intrecciarle alle sue. «Non è giusto ciò che ti ha fatto.» Ma ciò che aveva fatto lui? L’intenzione di uccidere? Si parlava davvero di questo? Il cuore accelerò il suo ritmo mentre l’inquietudine sedimentava nel suo ventre quasi potesse percepire la brutta notizia che l’attendeva.
    «Lui... Lui ti ha fatto del male?» David o suo padre? Quando era rientrato zoppicante cos’è successo? Cosa gli avevano fatto? Era stato David ad infliggergli quella pena o era stato suo padre? Non capiva e forse stava saltando temporalmente più avanti nelle sue conclusioni ma la foga di sapere era tanta così come il timore che quello fosse un episodio isolato. Avrebbe dovuto chiedere ed ottenere finché poteva o ci sarebbero state altre occasioni come quella?
    «In quei giorni, sarei voluto svanire nel nulla. Prima di varcare il cancello della scuola, ci ho pensato su. Se fosse la scelta giusta.» Se ne era pentito? Il cuore saltò un battito, angosciato all’idea che lui potesse sparire da un momento all’altro così come nell’incubo che, ricorrente, dalla notte in infermeria, tormentava la tranquillità dei suoi sogni. La famiglia lo avrebbe strappato portandolo via da lei?
    «Me l’hai promesso» mormorò in un soffio, il battito accelerato, ricordandogli le parole che gli aveva rivolto nel laboratorio di pozioni e in altre mille occasioni: sarebbe sempre tornato da lei. Così le aveva sempre ripetuto. Eppure, per quanto quella semplice frase avrebbe dovuto rappresentare un sollievo le implicazioni che nascondeva al suo interno erano molteplici ed ognuna causava una preoccupazione nell’ignara Grifondoro che altro non poteva fare se non aspettare. Aspettare l’ignoto. E se un giorno non fosse più tornato da lei? Ma questo, quantomeno, non sarebbe accaduto nel breve termine. No. Perché lui l’aveva scelta e, dichiarandosi, aveva sancito la condivisione di quel sentimento che faceva impazzire la giovane leonessa. Grace strinse le labbra abbassando di poco il mento mentre l’emozione rendeva lucidi i suoi occhi chiari, le mani strette in quelle del verde argento in una presa che pareva essere indissolubile agli occhi del mondo. Lui l’amava, l’amava come lei amava lui. Schiuse le labbra espirando via parte della tensione che le aggrovigliava le membra poi gli lasciò andare le mani ma unicamente per gettargliele al collo e baciarlo crogiolandosi nella consapevolezza di quel sentimento condiviso.
    «Torna sempre da me» sussurrò sollevando lentamente lo sguardo fino a scorgere i suoi occhi ricercandovi all’interno la sincerità della risposta.
    «T-tuo padre... cosa ha fatto?»
     
    .
  12.  
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Serpeverde
    Posts
    178
    Location
    Bronx, USA.

    Status
    i'm sleeping
    mike
    Decidere per qualcun altro, era giusto o solo un mero atto di egoismo? La seconda opzione si addiceva meglio. Certo. Se non fosse stato per la gravità della situazione in cui versavano, anche se inconsapevolmente. Grace non aveva la minima idea del grosso rischio al quale, lui in primis, la stava esponendo. Per questo motivo, dal suo punto di vista, aveva agito da puro egoista. Gli andava bene così. Avrebbe preferito essere odiato. Ripudiato. Dimenticato. Ma sicuro di tenerla lontana dalle grinfie di colui che non si sarebbe fatto alcuno scrupolo nel colpirlo attraverso l’unica persona che contava davvero. Una pedina. Ecco cosa sarebbe stata, nelle mani di quel sadico burattinaio, già colpevole di atroci ingiustizie nei confronti di troppi individui, inclusi i suoi stessi figli. La sua risolutezza, però, non sortì l’effetto sperato. Doveva immaginarlo, vista la testardaggine della Johnson. Ciò che si era sentito di dirle, però, non esulava dalla realtà Lui non sarebbe mai stato il suo bene. La sua natura non era compatibile con quella di chiunque non fosse stato toccato da quella maledizione. Probabilmente avrebbe fatto meglio a lasciare Hogwarts, almeno fino a quando non fosse stato certo di poter gestire al meglio la sua forza e tutto ciò che derivava dal suo piccolo problema. Ne aveva avuto la possibilità ma, mosso da una forza ben più grande, aveva deciso di non coglierla. Rimanere al fianco di Grace, gli assicurava la possibilità di proteggerla da qualsiasi potenziale pericolo. Sì. Non considerando che l’insidia più grande si nascondeva proprio nel suo più profondo essere. Lì. Confinata da qualche parte, vi era il suo lato bestiale, contro il quale lottava per soffocarlo il più possibile. Senza particolare successo, ovviamente. Forse avrebbe solo dovuto imparare ad accettarlo. Una volta per tutte. Forse un giorno… Riflettendoci non sarebbe stata un’idea malvagia. Al contrario, continuare a colpevolizzarsi per qualche cosa che non dipendeva da lui, lo avrebbe condotto dritto alla follia, mettendo a repentaglio tutti i suoi affetti. Strinse la mandibola ed incassò l’invito ad andare a farsi fottere. Che poteva dirle? Probabilmente avrebbe reagito esattamente come stava facendo, giustamente, la Grifondoro, confusa dalle scuse gettate al vento che, di primo acchito, parevano prive di alcun senso logico. Ci aveva provato ad avvertirla. In tutti i modi. Mettendola in guardia più e più volte sul suo conto. Farla soffrire non rientrava nei suoi piani o, per lo meno, non lo avrebbe fatto intenzionalmente. Ci stava provando con tutte le sue forze ad essere un uomo migliore. Per lei. Per il loro futuro. Se mai ne avessero avuto uno insieme. Eppure ancora non riusciva a esprimere fino in fondo la sua essenza. Il perché stava tutto nella paura di perderla. Definitivamente. Ma per evitarlo, avrebbe comunque rischiato. Allora il gioco valeva la candela? A quel punto non sarebbe stato meglio vuotare il sacco e lasciare che fosse lei a decidere se fosse valsa la pena coltivare quel sentimento che, ora, ardeva in loro. Un sentimento martellante che impediva di lasciarsi andare, nonostante la quantità enorme di incomprensioni che vi erano state.
    Occhi negli occhi. Quei bellissimi occhi verdi che, come calamite, avevano attirato i suoi sin dal principio. Un tacito grido di disperazione. Lo poteva leggere. Chiaramente. Non provava rabbia ma paura. Paura di ritrovarsi a dover fare a meno di lei. L’unica che era riuscita a strapparlo dall’oscurità, permettendogli di riemergere dall’oblio di sé stesso. Le parole sarebbero state superflue. Tutto il mondo in quell’abbraccio. Un significato profondo. Rimase in silenzio per interminabili minuti e poi si lasciò andare a una delle più cruenti verità. Mettersi a nudo gli sarebbe costato più di quello che credeva. Si vergognava. Avrebbe voluto cancellare con un colpo di spugna tutti gli atti deplorevoli posti in essere, non solo durante il suo soggiorno in America. Partendo dal principio, Mike, si era macchiato di qualche cosa che lo aveva segnato per il resto dei suoi giorni. Il tentato omicidio nei confronti di suoi fratello era vivido nella sua mente. Ricordava ogni passo. Ogni rumore. E persino l’odore di sigarette, impresso in quella dannata stanza, teatro di quella scena. Il suo respiro pesante. L’angoscia mista alla determinazione di porre fine a quelle vessazioni, perpetrate per anni nei suoi confronti. Ne aveva abbastanza. Così come era saturo di tenersi per sé quei dettagli.
    ”Non ti biasimo.” Nelle sue iridi, balenò un senso di sorpresa. Che a Grace, David non andasse a genio era risaputo. Ma fino a quel punto? Da un lato la comprendeva. In fondo, suo fratello, aveva avuto più di una possibilità per imboccare la via della redenzione. Una di queste era rappresentata proprio dall’amica della rosso-oro. Eppure aveva lasciato che la sete di vendetta prendesse il sopravvento, offuscandogli la mente e rendendolo una specie di macchina da guerra, pronta ad esplodere, non appena ne avesse avuto modo. “Non è giusto ma è mio fratello!” Affermò. “Ho sbagliato.” Era diverso. Lo aveva sempre pensato. Non era fatto per la violenza e i sensi di colpa, come da previsione, si erano manifestati anche se a distanza di mesi. In quel momento, però, la situazione era ben più complicata. Il fatto che avesse posto fine alla vita di un uomo, faceva sembrare quel tentativo imbranato di mettere fuori gioco il fratello, una scaramuccia tra ragazzini. “Ha solo scelto la strada sbagliata, perchè nessuno si è mai preoccupato di indicargli quella esatta!” Era un mostro? Sì. Lo era per suo volere? No. Nessuno gli aveva mai insegnato ad amare, per il semplice fatto che non era mai stato amato o voluto.
    Ma no. Quella notte, David, gli aveva salvato la vita, permettendogli di tornare dalla sua ragazza. “David mi ha salvato.” Se non ci fosse stato lui, Dean lo avrebbe ucciso. Ricordava poco e niente di quei momenti. Solo immagini sfuggenti della sua trasformazione. Il dolore lancinante e il buio che ne era derivato subito dopo. Suo fratello si era scagliato contro il padre, avendo la peggio. Insieme si erano risvegliati. L’uno accanto all’altro. “È stato Dean a ridurmi in quel modo.” Ammise a denti stretti. “Quell’uomo è pericoloso.” Un figlio di puttana degno del suo nome. Un bastardo senza cuore. Godeva nell’infliggere il male. Aveva imparato ad obbedire al suo volere, solo ed esclusivamente in vista di un bene superiore. Continuava a perseverare sulla sua strada. Se avesse ottenuto la sua fiducia, mostrandosi devoto, probabilmente avrebbe avuto modo di distruggerlo dall’interno, senza particolari problemi. Sì. Ma questo voleva dire sobbarcarsi decine di morti, che si sarebbero accatastate sulle proprie spalle. Era davvero pronto a reggere un peso simile? Aveva davvero scelta? Se l’obiettivo finale fosse stata la libertà, essa aveva un prezzo.
    “Te l’avevo promesso!” Si sforzò di sorridere. Era proprio quello il motivo che l’aveva spinto a varcare nuovamente il cancello. Le promesse andavano sempre mantenute e lui di giocarsi la fiducia della ragazza della quale era innamorato, beh, non ci pensava minimamente.
    I sentimenti furono condivisi, trovando terreno fertile l’una nell’altro. Sensazioni evidenti che non aspettavano altro che emergere, anche se dettate da una grande frustrazione. Ricambiò quel bacio, desiderando che il tempo si fermasse lì, impedendogli di proseguire con il suo racconto che, prima o poi, avrebbe preso una piega così macabra da divenire quasi irreale. Impossibile agli occhi di chi guarda come immenso amore. Avrebbe temporeggiato. Rimandando l’inevitabile, forse. Sì. Ma rivelandole la parte più intima di quella verità che si era sempre tenuto per sé, nascondendola agli occhi indiscreti di quel mondo che non lo avrebbe mai compreso. “Farò di tutto per tornare sempre da te!” Avrebbe smosso mari e monti, se necessario, pur non avendo la certezza di ciò che sarebbe stato.
    “Sono sfuggito al suo controllo.” Principalmente era quella la causa che aveva scatenato le ire più funeste di Dean. “La sera del ballo ci ha richiamati all’ordine, se così si può dire!” Il carico da novanta scaricato sulla rosso-oro, gli sembrava eccessivo per essere rincarato anche del perché avesse preteso il loro ritorno. “Lo abbiamo raggiunto.” Le ferite riportate in seguito, parlavano da sole. “Me l’ha fatta pagare per la mia ribellione!” Lo disse con naturalezza, quasi come se la cosa non lo tangesse fino in fondo. “David si è schierato dalla mia parte, assicurandosi un posto all’inferno!” Da quella notte, le loro vite erano cambiate. “Ecco perché non sono il tuo bene, Grace!” Si spiegò meglio. “Con me saresti in costante pericolo.” Perché questo gli era stato destinato. Una situazione del cazzo. Ingestibile per un ragazzo di appena diciotto anni. “Se ti dovesse succedere qualche cosa, ne morirei!” La strinse ancora. Con più forza, sempre prestando attenzione a non esagerare, ma aggrappandosi a quel momento, come fosse la sua ancora purificatrice.
     
    .
  13.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Grifondoro
    Posts
    301

    Status
    i'm sleeping
    grace
    grace
    Shock, confusione, erano tante le reazioni e le sensazioni che quella rivelazione avrebbe dovuto provocarle, eppure, Grace percepiva uno strano senso di calma, di risolutezza. Ogni pezzo di quell’intricatissimo puzzle stava trovando il suo posto in quella vicenda e situazione che più di una volta le avevano tolto il sonno per l’agitazione per l’impasse in cui l’avevano costretta a vivere. Finalmente capiva, non tutto, chiaramente, ma gran parte di quel quadro della quale fino a quel momento aveva posseduto pochi e scarni indizi che il più delle volte potevano voler dire e rappresentare lo zero assoluto. Una ricerca spasmodica di quella che era la verità affidandosi a questo o quel commento, questo o quello sguardo, espressione, che il giovane enigmatico s’era lasciato sfuggire e soprattutto quanto le aveva raccontato il cugino che, sempre della stessa pasta per quell’aspetto, non aveva lasciato trasparire granché di più ma che le cui necessità lo avevano portato a doversi aprire seppur forzatamente poiché necessitava dell’aiuto della Grifondoro. Alla fine il loro era stato un dare-avere. Quello di Grace era stato un aiuto disinteressato, dettato unicamente dalla sua etica compassionevole e da quella moltitudine di caratteristiche che alla fin fine aveva portato il cappello parlante a smistarla – giustamente – tra i rosso-oro. Grace sentiva il bisogno di aiutare chi in difficoltà anche se, a trovarsi in difficoltà, era un omaccione la maggior parte del tempo fastidioso il cui passatempo sembrava fare il filo a qualsiasi essere vivente del genere umano la cui peculiarità principale era possedere la coppia di cromosomi “XX”. Fortunatamente però i loro incontri erano scemati ancor prima che il giovane Barnes potesse anche solo pensare di lasciarsi andare in quella direzione e la frequentazione cominciata con il di lui cugino aveva smorzato ogni possibile idea sul nascere. Non era lui l’interesse della biondina. Certo era che la sua scomparsa non aveva fatto altro che sollevare ulteriori ansie nella ragazza che aveva guardato al suo ragazzo, ai suoi silenzi e soprattutto alle sparizioni durante il corso dell’estate con maggiore apprensione nei riguardi di quel destino che se in certe occasioni pareva lì disteso davanti a loro, tornando a quella che era la brusca realtà Grace ne visualizzava le incertezze. Cosa celavano gli Harris-Barnes? Harry l’aveva aiutata unicamente a visualizzare la punta di quell’iceberg di guai. Alla fine, un’unione di piccoli punti che non avevano trovato la benché minima conferma provata ma che la Grifondoro aveva preso sostanzialmente per veri poiché il contrario non avrebbe avuto lo stesso senso compiuto. Doveva essere così. Doveva esserci del marcio, dell’oscuro in quella famiglia. Ma di quanta oscurità si parlasse, quello, non avrebbe potuto immaginarlo nemmeno lontanamente.
    Calma ma anche sgomento, crescente sgomento, presero il sopravvento mentre ascoltava avidamente ogni parola pronunciata dal Serpeverde non mancando di cogliere ed assorbire ogni singolo sguardo e micro-movimento lasciatosi sfuggire dal suo bel viso. Quella sincerità sarebbe stata frutto di un singolo momento che sarebbe stato difficile replicare, oppure, come sperava, il loro rapporto aveva finalmente raggiunto un ulteriore crescita scalando un ulteriore gradino che altro non avrebbe fatto che fortificare la loro unione? Osservò il suo viso, imprimendo quell’espressione, i suoi tratti.
    La Johnson aveva sempre trovato intriso di una tiepida malinconia il volto del biondo. Una tristezza appena accennata in quei lineamenti altrimenti algidi che difficilmente lasciavano trapelare una qualsivoglia informazione. Stoico nel suo silenzio che al più lasciava spazio ad una leggera aurea di giudizio in base all’inclinazione superba che potevano acquisire le sue sopracciglia. Ma lui non l’aveva mai guardata così, mai Michael Harris aveva posato il suo giudizio più cinico sulla piccola Johnson, anzi, scoprire d’aver attirato la sua attenzione in positivo tanto da chiedere la sua mano al ballo l’aveva lasciata di sasso. Senza poi non mancare di considerare la testardaggine con la quale s’era impuntato su di lei. Perché lei? Si domandava guardando a sé stessa come nulla di particolare che meritasse quel tipo d’attenzione poiché si vedeva normale, persino anonima, tralasciando invece quelle che erano le caratteristiche che il biondo più di tutti insieme ai suoi amici la vedevano come il centro di un piccolo universo di legami di cui lei era il sole che con le sue attenzioni scaldava e sanava quei piccoli pianeti altrimenti freddi dei loro traumi.
    «Si… Okay. Ma perché prendersela con te? Eri solo un bambino.» Aggrottò le sopracciglia. Non avrebbe mai potuto capire il perché e tantomeno giustificare David – non con quei pochi dati – per aver portato Michael allo strazio, allo sfinimento. Tutt’ora sembrava continuare a perpetrare atteggiamenti di quel tipo con chiunque e per gli argomenti più disparati. Le bastava pensare alle poche interazioni che aveva avuto con il moro per far rinvenire alla luce il fastidio ed il disagio suscitati dal Serpeverde. I due non erano chiaramente compatibili e, la Johnson, per evitare di snaturare sé stessa ed allo stesso tempo mettere in difficoltà i suoi cari preferiva svicolare da possibili incontri ravvicinati che includessero il ragazzo in questione.
    «È troppo comodo fargliele passare tutte solo perché ha avuto un’infanzia difficile. Tutti hanno dei problemi ma non per questo possono comportarsi da stronzi con chiunque» sentenziò ignorando per l’appunto la totalità dei fatti e, innocentemente, sottostimando quelle che erano le parole del ragazzo. Uccidere… era un’iperbole la sua, no? «Tu non sei stronzo» concluse in un filo di voce. Nella sua testa quell’ultima frase sarebbe dovuta uscire come un’affermazione del tutto convinta, poiché, lo pensava o almeno lo aveva sempre pensato fino a quel momento ma qualcosa in quel momento d’intimità, di confessioni, portò il suo tono a vacillare. Quanto conosceva davvero quel ragazzo? Michael gliel’aveva detto più volte, a più riprese, di quanto invece dovesse temerlo. Glielo aveva detto anche un attimo prima fino a che stavano litigando furiosamente. “Non sono il tuo bene”. Cominciava, poco alla volta, a capire di più ma ciononostante non era disposta a lasciarlo andare, non era disposta a perderlo ed il motivo lo aveva disperatamente urlato ad alta voce: lo amava. Lo amava di un amore bruciante, puro, che le rendeva necessaria la sua solida presenza e la sua calma. Lui era la sua roccia, il pianeta intorno alla quale voleva orbitare.
    «T-tuo padre?» Deglutì. Una nuova conferma a ciò che l’istinto le aveva suggerito. Le mani si strinsero più saldamente poco più su dei polsi percependo appena la medesima stretta del ragazzo. Allora lasciò che le dita scivolassero fino a congiungersi ed intrecciarsi con le mani di lui. Come poteva un padre ridurre un figlio in quello stato? Come?! Per un breve istante fu riconoscente a David per ciò che doveva aver fatto, rischiato. Quell’uomo era un folle! Da denuncia. Si strinse al petto del ragazzo ascoltando il battito del suo cuore, vivo e pulsante, che in qualche modo riuscì a mantenere saldi i suoi nervi. La paura di perderlo era sempre più palpabile, vera e non solo uno strisciante presentimento.
    Erano quelle stesse preoccupazioni che smarrivano lo sguardo della sua migliore amica? Anche lei sapeva? Era forse quello il motivo per la quale non riusciva a sopportare il fatto che frequentasse Michael? Perché non gliene aveva parlato? O forse anche lei era all’oscuro e David era semplicemente David? Le riusciva difficile pensare che non sapesse dopo tutto quel tempo seppur la loro relazione – dalle domande che le aveva rivolto quell’estate – non fosse, come dire, lineare.
    «Ma cosa vuole da voi? Siete solo dei ragazzi…» Per quanto fossero in procinto di diventare degli uomini fatti e finiti la realtà dei fatti era che erano dei ragazzini appena ventenni. Cosa poteva mai volere da loro? «P-perché non lo denunciate?» Domandò scostandosi dal suo petto per fissarlo in viso. Anche lui avrebbe riso sprezzante come aveva fatto suo cugino? Erano davvero così deboli le autorità? Sin dalle scuole babbane le avevano sempre riempito la testa con la bella favola della polizia, del loro ruolo nel rispetto dell’ordine e di quanto fosse importante rispettare la legge. Nel mondo magico si chiamavano diversamente ma il funzionamento era il medesimo con gli auror a fare rispettare quelle che erano le regole a protezione della civiltà ma possibile non fossero abbastanza? Possibile ci fossero persone in grado di scamparla aggirando quella legge? Quanto era ingenua e quanto si sentiva dannatamente impotente in quel momento. Così piccola, fragile, incapace di poter rappresentare un vero aiuto per il Serpeverde. Così inadatta esattamente come sua madre non perdeva occasione di sottolineare.
    Tirò su con il naso.
    «Con me saresti in costante pericolo. Se ti dovesse succedere qualche cosa, ne morirei!»
    «Non m’importa. Voglio stare con te!» Terribilmente immatura ma allo stesso tempo profondamente sincera. Voleva solo stare con lui e lui soltanto. Dividersi per questo era insensato poiché avrebbe continuato a pensarlo, a morire d’ansia senza conoscere come stesse. Avrebbe rischiato e non le sarebbe importato diversamente proprio perché lo amava. «Sono pronta a rischiare», qualsiasi cosa questo volesse dire. Allungò il braccio finendo per affondare le dita tra i capelli biondi del Serpeverde. «Sono testarda, ricordatelo» Abbozzò un sorriso cercando di stemperare la tensione di quell’attimo e successivamente lo ringraziò per quelle confidenze con la quale, finalmente, sarebbe riuscita a comprenderlo un po’ meglio. Intanto, attraverso le finestre a ribalta degli spogliatoi, il timido sole andava a nascondersi oltre le fronde degli alberi sancendo l’arrivo della sera sul castello di Hogwarts.
     
    .
12 replies since 18/10/2023, 16:05   307 views
  Share  
.
Top
Top