I’ll stand by you

with Victoria.

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    Grifondoro
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    «Oh andiamo! È stato eccezionale invece» allargò un ampio sorriso dando di gomito al Serpeverde cercando, al meglio delle sue possibilità, di smorzare quell’apparenza malumore che sembrava caratterizzare il volto di Michael facendo tendere i lineamenti verso il basso. Ridacchiò della sua espressione piccata stringendosi al suo braccio poggiandovi insieme la guancia su di esso. «Rimani comunque il mio preferito» sentenziò scoccando un bacio sulla pelle scoperta dell’altro prima di allungarsi, schiarita di gola annessa, per constatare se la sua uscita fosse riuscita a strappare almeno un timido sorriso all’algido cacciatore. Avrebbero continuato a camminare, magari mano nella mano, non fosse stato che ad un certo punto la giovane Grifondoro avvertì una forte stretta alle viscere che la costrinse a fermarsi sul posto, lo sguardo interrogativo mentre il palmo si posizionava sul ventre. Cosa stava succedendo? Qualcosa non stava andando e palesò quell’indisposizione anche al ragazzo mettendolo al corrente senza mezzi termini.
    «Non credo di sentirmi bene» mormorò mentre anche l’altra mano raggiungeva la gola, toccava quel nodo che era andato formandosi come quando le accadeva quando era troppo nervosa, arrabbiata e le lacrime minacciavano di scendere ma lei, testarda, cercava di resistere a quell’impulso per non mostrarsi come la debole ragazzina che era. Avvertì un calo di tensione nella sua magia che per poco non la fece ondeggiare muovendo un passo instabile verso il Serpeverde ma fu quando invece la sua magia raggiunse un picco che si spaventò. Che diavolo stava succedendo? «Io devo…» Non sapeva nemmeno lei cosa ma sentiva che doveva allontanarsi da quella gente e soprattutto da Michael perché quando quel potere si faceva così instabile la spaventava e per nessuna ragione al mondo avrebbe voluto fargli del male come aveva fatto, ne era assolutamente convinta, con sua sorella. Teneva troppo al ragazzo e ai suoi amici per metterli in pericolo. Quindi scattò e a passo spedito quanto svelto prese una direzione di cui lucidamente non ne aveva comando ma che il suo istinto, invece, conosceva per certo. Lasciò che fossero i piedi a guidarla e, quando sollevando lo sguardo, mise a fuoco la sagoma di Victoria Crain capì qual era il suo scopo: raggiungerla.
    La intercettò cercando di richiamare la sua attenzione ma la ragazza era completamente presa ed assorta da quello che era il suo obiettivo. Non demorse alzando il passo, mettendosi alle sue calcagna mentre con decisione la richiamava fino a che, intestardita, non la investì aggrappandosi al suo braccio frenandola e deviandola in altra direzione. Che diamine le stava succedendo? Avvertì il suo navigatore interiore segnarle l’arrivo ma quella sensazione spaventosa di essere sull’orlo del tracollo non sembrava volerla lasciare e, toccando la Serpeverde, percepì quell’energia distruttiva aumentare.
    «Che… Che sta succedendo? Non eri con Nate?» Perché era così sconvolta, così arrabbiata? Sembrava come se l’amico avesse fatto chissà quale torto alla ragazza e da come conosceva Nathan le sembrava impossibile una cosa del genere. Victoria scalpitò, non sembrava volersi calmare. «Oi!» Si fece intransigente bloccandola sul posto, mantenendola con ambo i palmi sulle braccia nell’intento di frenare quell’avanzata distruttiva. «Parlami!» Le ordinò e non sapeva nemmeno lei il perché di quell’ordine come se avesse potuto avanzare e pretendere qualcosa dall’altra, eppure, sentiva che doveva farlo che doveva esserci per lei. Una forza arcana, istintiva ed inspiegabile che la spingevano a stare lì e con lei in quel momento rassicurandola che quella fosse la cosa giusta da fare.
    «Nate ha di meglio da fare. Con Rain.» Sbottò furibonda mentre i suoi occhi si facevano più lucidi. Rain! Sempre Rain di mezzo! Quella maledetta stronza! Grace non l’aveva mai vista di buon occhio per i suoi modi di fare così spocchiosi e da snob. Andiamo chi andava vestito a quel modo in una festa informale in giardino quasi si credesse una diva di Hollywood, ma dove pensava di stare? Senza contare il modo, e questo l’aveva mandata fuori dai gangheri, con cui aveva apostrofato Madoka a lezione. Che la Corvonero fosse strana era risaputo e aveva sentito dire che fosse così per problemi personali che l’avevano toccata a quel modo. Era indifesa e soprattutto innocua che senso aveva atteggiarsi con lei a quel modo trattandola da sciocca, facendo la bulla? Era questo che l’aveva fatta scattare, questo che l’aveva spinta a proteggerla elevandosi a paladina non richiesta e questo che, ovviamente, l’aveva fatta scattare in cima alla lista degli indesiderabili della Serpeverde. Beh, si diceva, è condiviso non si preoccupi! Non aveva nemmeno per sbaglio paura di una bulla e non si sarebbe posta lo scrupolo di affrontarla se fosse stato necessario soprattutto se aveva toccato uno dei suoi amici.
    «Senti, non ne voglio parlare ok? Io-io ho di meglio da fare, adesso» Il suo volto ebbe uno spasmo che, forse nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto richiamare un sorriso. Scosse il capo scoccando stancamente la lingua sul palato. Dio quanto le avrebbe tirato i capelli a quella stronza!
    «…Non ne voglio sapere niente.» La sua voce le parve incrinarsi ed il cuore della Grifondoro subì un colpo spezzandosi di riflesso nel dolore dell’altra.
    «Ora divertiti, io vado a cercare Halley.» Concluse divincolandosi per continuare la sua fuga. Halley, cavolo, sbuffò. L’aveva visto con Harris - quello idiota - e da lì era sparita. Pensò a Mike, al modo in cui lo aveva piantato in asso ed espirò con una smorfia. Che casino! E dato che ormai il danno con il ragazzo era fatto scosse il capo tornando ad affiancare la Serpeverde.
    «No, non stai bene. Permettimi di aiutarti.» Sentenziò mantenendo la calma ma senza passare come perentoria. Victoria era scossa, arrabbiata e terribilmente ferita e tutto ciò che non avrebbe voluto era qualcuno che le dava ordini. Grace doveva esserci, doveva farle capire che le sarebbe stata vicino ed avrebbe accolto il suo sfogo. «Halley ora è», sbuffò sollevando le sopracciglia, «impegnata» poteva intuire con chi. «Vieni» la invitò indicandole con il palmo aperto e disteso la parte opposta della tenuta, lontano dal caos dettato dai festeggiamenti. «Per favore Vic, parlami. Non riesco a vederti così, cos’è successo? Ti ha fatto qualcosa?» Nate? No, impossibile. Era sicuro colpa di quella strega ma ciò che non riusciva a comprendere era cosa c’entrasse l’amico con lei. Cos’era successo?!


    Edited by Dragonov - 16/10/2023, 10:57
     
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    Victoria Crain | terzo anno | serpeverde


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    Vengo costretta a fermarmi. Dipendesse da me, raggiungerei quel decerebrato figlio di troll che si è tuffato da un'altezza improponibile e sfogherei su di lui tutta la mia fottuta frustrazione; invece vengo bloccata - braccata, stalkerizzata, impossibilitata a proseguire (?) - a metà strada da Grace. Grace, che cazzo fai? All'inizio nemmeno riesco a metterla a fuoco, tanto sono infervorata da quello che mi è appena successo sotto al naso, ma poi la Grifondoro mi parla e mi tocca e non posso ignorarla oltre. La squadro da capo a piedi, alla fine poso gli occhi sul suo viso che mi appare ancora sfocato nei dettagli. La riconosco solo perché mi è familiare, ad essere sincera. Mi sento come sul punto di esplodere e l'ultima cosa che desidero è restare in mezzo a tutte queste persone. Credevo di avere conquistato una sorta di equilibrio con la magia involontaria, di essere cresciuta e maturata molto sotto quest'aspetto frequentando l'istituto, invece mi ritrovo a dover fare i conti con picchi improvvisi e, lo sento, ancora più pericolosi. Ne sono spaventata perché si sono intensificati nell'ultimo periodo e non mi sembrano affatto i tipici incidenti dei piccoli maghi. No: c'è sempre e solo il fuoco di mezzo. Dev'essere qualcos'altro. Non ne voglio parlare, non c'è nemmeno niente di cui parlare! mi dico e provo a ripeterlo ad alta voce per magari scoraggiarla a trattenermi. Non so che cosa mi prenda quando siamo insieme ma è come se mi si aprisse il rubinetto delle parole: mi fa dire cose che ho sempre tenuto per me e soprattutto le parlo con una franchezza che sa di dolce e familiare che non riesco ad usare con nessun altro. "Permettimi di aiutarti". Non voglio essere aiutata, io non ho bisogno di aiuto, non ho bisogno di nessuno! penso. Allora apro e chiudo entrambe le mani e guardo oltre le sue spalle, brevemente. Un po' la sua gentilezza mi ammorbidisce, come al solito: essere rude con lei sarebbe davvero imperdonabile... accenno ad una smorfia, cerco la scusante di Halley e faccio per andare via di nuovo ma è testarda. Tipico del Grifondoro. Halley è impegnata, mi dice, e non ho problemi a intendere con chi. Stringo le labbra e sollevo un sopracciglio. Dovrebbe darle un po' di tregua; finirà per consumarla, cazzo. Poi sbatto le palpebre mentre, meschina, penso anche A chi tanto, a chi niente. È forse una colpa quella di avere probabilmente un tipo e che questo tipo sia difficile da raggiungere? Alan, dopotutto, è un professore; ha intorno a sé quell'aura sexy da nerd tormentato, la faccia pulita e i modi cortesi... Senza contare l'innegabile fascino del proibito. Nate è bello, bello da togliere il fiato e adoro vederlo arrossire, specie quando si incarta nei suoi stessi discorsi. Bello e anche desiderato.
    « Ok. Falla finita, ti seguo » non lo dico in modo scortese, ma è chiaro che abbia una certa fretta.

    Muoviamo i primi passi, io non mi curo se mi sia di fianco o indietro preoccupata come sono di fare una strage proprio il primo giorno. Mi stringo le mani, poi le nascondo sotto la maglietta, poi nelle tasche. Sono loro il mio problema, sono loro. E i miei dannatissimi sentimenti. La mia compagna si preoccupa, pensa che Nate abbia fatto qualcosa di sbagliato nei miei confronti. Mi strappa un sorrisetto isterico.
    « A parte mollarmi per seguire Rain? » fare i conti con il cuore spezzato, chi non c'è passato? Ti prendi una cotta e nel peggiore dei casi scopri che è già impegnato. A parlare adesso è proprio quello, il mio cuore pieno di crepe e fratture. Non che sia stata abituata a vincere, e quindi adesso soffro perché mi è stata preferita un'altra quando avevo la certezza di essere io la prescelta (su quali basi, poi?), solo ero certa i nostri "tipi" non fossero uguali e che non ci saremmo mai trovate a contenderci le attenzioni di qualcuno. Anche perché lo sa tutta Hogwarts che se la rivale è Rain... c'è poco da fare. Dio, non potevo restare focalizzata sul mio piano principale? Un adulto, non un coetaneo? Un tipo responsabile, con una buona carriera già avviata, magari ricco da fare schifo?
    « La stava aspettando. È venuto per lei. » e anche qui è palese il mio risentimento. Come ho potuto non accorgermene? Come ho potuto permettere a questi sentimenti di svilupparsi? I suoi occhi quando l'hanno vista: credo sia stato quello il momento in cui mi sono un po' rotta.
    « E io non me ne sono accorta! Credevo fosse solo troppo impegnata nei cazzi suoi per condividere le cose belle capisci? Invece doveva farsi la cosa bella. Tipico di lei, no? Lei condivide solo quando trova un nuovo giocattolino » neanche mi preoccupo di specificare il soggetto in questione, tanto sono agitata. Si prevede che prima di parlare si pensi... e pensando si visualizzano immagini. Nel mio caso, tutto questo funziona come benzina sul fuoco. Letteralmente.
    « Argh, che scema! » scuoto la testa e visualizzo di nuovo il viso di Nate che si illumina, Rain nel suo bellissimo costume... assurdo come possa sentire il cuore pulsarmi in gola e le mani bruciare. Le tiro fuori dalle tasche e me ne porto una sulla fronte. Non mi sento molto bene, quando mi agito così tanto succedono cose strane.
    « Basta. Ok? Basta. » inizio a mormorare, poi la guardo. In genere mi calmo quando siamo insieme, non so quale tipo di cristallo possieda ma funziona. Per questo mi avvicino di un passo.
    « Grace. Non- io devo calmarmi. Perché sento che sto per esplodere. Letteralmente. »


     
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    Grifondoro
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    Quanta pazienza serviva ed era necessaria per situazioni di quel genere. Per situazioni dove è lampante e percepibile il bisogno che ha la persona cara di sfogarsi e parlarne o anche solo della vicinanza di un qualcuno che possa capire e farlo senza il più freddo dei giudizi. A volte, quelle stesse persone bisognose, non sono in grado di capire quella necessità ed è compito dei cari, degli amici, di prendere in mano la situazione, direttamente occupandosene e se necessario, a volte, forzando persino la mano magari arrogandosi il diritto di pensare di sapere cosa sia meglio come in quel caso specifico dove la Grifondoro, Grace, era totalmente convinta con ogni fibra del suo essere che la Serpeverde, Victoria, avesse bisogno di qualcuno che in quel momento l’affiancasse e le impedisse di commettere qualcosa di cui in un secondo momento se ne sarebbe certamente pentita. Grace ne era certa totalmente. Il suo istinto, e/o quella strana forza che albergava dentro di lei e che si attivava in prossimità della Serpeverde, le dicevano di essere nel giusto, di perseverare poiché l’altra, l’amica, aveva bisogno di lei. Victoria era scossa e visibilmente su tutte le furie e questo era comprensibile dal modo i cui le mani si stringevano con forza in pugni arrivando a sbiancarne le nocche o nel modo in cui i suoi bellissimi occhi verdi fossero velati dal luccichio delle prime lacrime che la ragazza avrebbe certamente combattuto affinché non oltrepassassero la linea cigliare esponendola in tutta la sua meravigliosa fragilità. A differenza di Grace, Victoria sembrava essere quel tipo di persona che mai avrebbe esposto le sue possibili debolezze. Fiera, orgogliosa. Era una tigre, era una roccia e per quanto la giovane Grifondoro l’apprezzasse anche e non solo per quella forza d’animo inarrestabile era anche convinta che chiunque avrebbe avuto bisogno di un sostegno, di qualcuno che, spontaneamente, si fosse preso cura prestando attenzioni ed interesse per l’altro. Se per lei quella persona avrebbe voluto fosse Michael sapeva per certo che in realtà quella figura era spesso stata incarnata dai suoi amici. Non si pentiva di questo, né della scelta fatta poiché era fiera e orgogliosa di ognuno di loro ma non poteva continuare a negare ulteriormente a sé stessa quel bisogno viscerale quanto febbrile che il suo rapporto con il cacciatore dei Serpeverde cambiasse, evolvesse, che uscisse da quella sfera superficiale ma per farlo avrebbe dovuto guadagnarsi quella fiducia che il ragazzo non sembrava volesse concederle così facilmente, anzi, all’opposto, sembrava necessitare di un punto di ferrea convinzione. E lei, quella fiducia, gliel’aveva concessa? Per un breve attimo si guardò le mani, le stesse mani che in più occasioni aveva avvertito bruciare innaturalmente. Lei gliene aveva parlato? La risposta era no. Ipocrita. Era un’ipocrita a pensare di accusare lui di una negligenza che lei stessa aveva messo in atto. La consapevolezza faceva male e più di quanto fosse disposta ad ammettere ma era oramai convinta che il tempo di quell’impasse fosse giunto agli sgoccioli ed era sempre più andata convincendosi che avrebbe affrontato la situazione al prossimo momento utile ma in quell’adesso doveva concentrarsi unicamente sull’amica.
    «Victoria» la esortò in un soffio sollevando solenne le folte sopracciglia di un tono più scure del suo biondo. Un esortazione che fortunatamente riuscì ad andare a segno richiamando la resa nell’altra che finalmente, seppur recalcitrante, lasciò che la Grifondoro la conducesse al polo opposto della tenuta dove la festa era un ricordo lontano e dove, soprattutto, erano sole. Lì, ben lontane da occhi indiscreti e protette da ciò che ne costituiva il paesaggio la Serpeverde avrebbe forse potuto trovare il modo di aprirsi e confidare ciò che il suo cuore infranto custodiva.
    «A parte mollarmi per seguire Rain?» Inveì lei contro le sue domande poste con dolcezza, con l’intenzione di accoglierla e consolarla. Grace rimase di sasso davanti a quell’informazione. Perché diavolo Nathan avrebbe dovuto seguire l’altra Serpeverde? Nemmeno si conoscevano per quanto ne sapeva lei. Lì aveva visti chiacchierare alla lezione di Cura ma come aveva fatto chiunque per presentarsi al ragazzo “nuovo” quindi che motivo avrebbe avuto di andare con quella? «La stava aspettando. È venuto per lei.» Impossibile. «Impossibile» fu anche ciò che disse talmente era incapace di reputare considerabile un’affermazione simile. Doveva esserci un’altra spiegazione, qualcosa che giustificasse quelle parole ma non ebbe il tempo, almeno in quell’immediato momento, di andare alla ricerca di un approfondimento poiché, come un fiume in piena, Victoria aprì la diga dei suoi sentimenti riversando tutto lo sgomento, la frustrazione e la rabbia per quanto aveva appena subito. «D-deve esserci una spiegazione Vic, magari… Magari quella stronza si è offerta di dargli ripetizioni. Lo fa con chiunque, no? Va lì con quei modi da smorfiosa facendo tutta l’ochetta e si propone e Nathan deve averle dato corda. È tanto timido ed ingenuo… le avrà creduto quando gli ha fatto gli occhi dolci», figurarsi! Lei aveva scoperto da relativamente poco che i ragazzi potevano essere colpiti da una cosa del genere e lei era a sua volta un’ingenua, lo sapeva ma una come Rain no, anzi, era più avanti rispetto a loro e doveva aver capito da molto tempo quel segreto e come usarlo. Questo spiegava perché cambiasse i ragazzi come gli outfit. «Non avevi detto che Nate si era mostrato interessato?» Non capiva. Non del tutto ma le mani cominciarono a bruciarle di colpo costringendola ad aprire e chiudere i palmi. Fosse stata altrove avrebbe cominciato ad impanicarsi ma doveva trovare la calma e soprattutto doveva dissimulare quanto stesse provando in quel momento per non agitare ulteriormente Victoria per questo quasi nascose di scatto le mani quando ella si avvicinò, i grandi occhi supplichevoli.
    «Grace. Non- io devo calmarmi. Perché sento che sto per esplodere. Letteralmente.» E lo capiva come sentiva - per assurdo - quella sensazione di pienezza al limite. Anche lei si sentiva esplodere. «No, okay. Manteniamo la calma.» Ma come? Sollevò il palmo della dominante facendole irrazionalmente cenno di seguirla decidendo di portarsi in prossimità della casa del guardiacaccia dove alcuni ceppi giacevano dimenticati. La spinse a prendere posto al di sopra di uno di essi. «Respira. Analizziamo la situazione senza lasciarci prendere dal panico. Spiegami cos’hai visto. Perché pensi che Nathan sia preso da lei? L’ha detto? E lei che ha fatto?» Fece una pausa analizzando il viso della Serpeverde. «Va tutto bene, Vic» mormorò stringendole le mani con affetto, trovando e trasferendo calore in quella stretta. «È un ragazzo e si sa che sono scemi Tentò di farla ridere. «A perderci è solo che lui se anche fosse.» Per quanto le avrebbe dato un dispiacere veder soffrire Nathan per colpa di quella, doveva saperne di più e di conseguenza agire per il bene d’entrambi: supportare l’amica, starle vicino in quel momento e poi, a tempo debito, parlare con Nathan per capire il suo punto di vista e se quanto Victoria asseriva corrispondeva al vero lo avrebbe certamente messo in guardia da una mangia uomini come lo era Rain.
     
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    Victoria Crain | terzo anno | serpeverde


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    Potessi scegliere, non ne parlerei. Innanzitutto perché non sono abituata ad esprimere i miei sentimenti - a meno che non sia arrivata al limite della sopportazione e quindi, per forza di cose, il mio malessere viene fuori senza controllo - e poi dire ad alta voce quello che ho appena realizzato mi farebbe sentire stupida, debole e sfigata. Mi considero una ragazza attenta quindi come ho potuto non notare prima ciò che mi stava succedendo praticamente sotto al naso? Devo essermi distratta molto: la prova che sia tutto sbagliato.
    Grace dal canto suo non ne sa niente. Cade dal pero, proprio come me poco fa. "D-deve esserci una spiegazione Vic, magari…", mi fa. "Magari quella stronza si è offerta di dargli ripetizioni. Lo fa con chiunque, no? Va lì con quei modi da smorfiosa facendo tutta l’ochetta e si propone e Nathan deve averle dato corda. È tanto timido ed ingenuo… le avrà creduto quando gli ha fatto gli occhi dolci" a me fa solo salire di più il nervoso perché non credo sia andata così. Ora che finalmente ho incenerito i prosciutti vegani che avevo davanti agli occhi, ricordo la chimica che c'è stata alla prima lezione in cui siamo stati insieme. Ricordo i gesti e gli sguardi e li leggo in un'altra chiave, più consapevole. Si conoscevano, erano già in confidenza e c'era chimica. Benzina sul fuoco. Stringo il pugno sinistro molto forte, le unghie quasi mi si conficcano nella carne; continuo a darle le spalle e inveisco. "Non avevi detto che Nate si era mostrato interessato?" a questo punto freno il passo e mi volto a mezzo busto, semi sconvolta.
    « Cosa? No! Io » ho gli occhi sgranati e lucidi per la rabbia, le punte delle orecchie rosse e qualche chiazza sul decolleté.
    « IO lo sono » muovo un passo in avanti mentre la frustrazione si impadronisce di me. Allargo appena il braccio destro e porto la mano sinistra sul petto, indicandomi in modo anche piuttosto teatrale.
    « Lui interessava a me, ho chiesto... per me » non so perché ma, per quanto rassicuranti siano il suo viso e la sua energia, l'unica cosa che vorrei davvero in questo momento è esplodere. Liberarmi di questo peso che mi opprime il petto, mi annebbia il cervello e mi appesantisce tutta. Tuttavia siamo a scuola, è il primo giorno e si suppone che a quest'ora io abbia il pieno controllo dei miei poteri. L'anno scorso ho fatto esplodere una torta, sarebbe un upgrade fin troppo esagerato far saltare per aria mezza radura. Anche se il pensiero di vedere pezzi di cappello e un occhietto azzurro piovermi davanti alla faccia è allettante. Inizio a fare respiri più pesanti e brevi per l'agitazione e trovo la forza di dirle che devo fermarmi perché rischio di esplodere: quindi mi tengo le mani, nascondo il collo nelle spalle e le rivolgo uno sguardo supplichevole. Non ho idea di che cosa succederebbe se liberassi tutta la pressione che sento. A sensazione, direi che finirebbe male.

    La Grifondoro mi suggerisce di allontanarci da dove ci troviamo; fa strada verso l'interno del boschetto ed io la seguo senza dire una parola, preoccupandomi soltanto di tenere a bada quel fuoco che mi brucia dentro. Sono incredula: avevo letto da qualche parte di maghi incapaci di controllare la loro magia, maghi che devono essere seguiti e controllati e a volte perfino isolati perché pericolosi, ma non ho mai pensato di poter essere tra questi. Mi sono imposta di imparare come e più degli altri, di dominare il mio potere alla perfezione entro un anno ed ora? Ora mi ritrovo confinata in un boschetto in compagnia della persona più dolce che conosca col serio rischio di esplodere e farla saltare in mille pezzi. La osservo: mi affianca senza il benché minimo timore né ripensamento. A quest'ora potrebbe essere a divertirsi alla festa, a mangiare muffin o bere acquaviola in compagnia di Harris e dei suoi millemila amici... invece ha scelto di seguire me.
    « Non è necessario che resti » è il mio modo di dirle che voglio si metta al sicuro, che non voglio finisca col farsi del male, e lo faccio con un tono piuttosto severo. Lo sento che qualcosa dentro di me non va come dovrebbe, che sono instabile e pericolosa. Se le succedesse qualcosa per colpa mia non me lo perdonerei mai. Tuttavia la Johnson è testarda: mi ignora e mi chiede come sia giunta alla conclusione che Nate sia cotto di Rain. Vorrebbe aiutarmi a razionalizzare le emozioni e quindi calmarmi, ma c'è un piccolissimo dettaglio che sottovaluta perché forse non lo conosce: quando mi arrabbio, non vedo più niente. Non sento ragioni. Colpisco e basta. Siamo nei pressi della capanna del guardiacaccia: posso sentire nitidamente lo scoppiettio delle torce, il movimento delle fiamme, il loro calore che mi avvolge. È così attraente per me quasi fosse il canto delle sirene per i marinai. Alzo gli occhi al cielo e sbuffo un po'. Mi impegno per concentrarmi su di lei e non sul dolce richiamo che sento, pur conservando il collegamento.
    « Non c'è bisogno di dirle certe cose se hai degli occhi che parlano ma, per essere completamente chiari, io ho guardato Nate come lui ha guardato Rain quando è spuntata tra le braccia del prode destriero. Credo sia abbastanza evidente come prova, no? C'era desiderio, c'era attenzione, c'era... aspettativa OH INSOMMA la stava aspettando, che altro serve? Io non gareggio con nessuno, io ho una mia corsia preferenziale e non ho intenzione di condividere interessi con nessuno a meno che non si tratti di gossip spicciolo o dell'ultimo episodio di una serie di Flanagan! » ho straparlato. Ho straparlato, realizzo con gli occhi sbarrati mentre con tono calmo e affettuoso mi dice che è tutto ok e mi stringe le mani. Prova a strapparmi un sorriso e straordinariamente ci riesce. Conquista perfino l'espressione sorpresa di chi non si aspettava di calmarsi, alla fine. Non l'ho notato ma mentre parlavo, mentre cercavo di spiegarle che io non sono il tipo di persona che si presta a giochi e competizioni di nessun tipo, le fiamme hanno manifestato un certo movimento: depressione nella prima fase, incremento nella seconda fino a tornare stabili nel momento in cui Grace ed io abbiamo stabilito un contatto.
    La cosa pazzesca dell'averla con me è che inspiegabilmente le nostre energie si stabilizzano nel momento stesso in cui ci tocchiamo. Ora che ci penso, è capitato poco tempo fa qualcosa di simile a parti invertite: lei era molto agitata ed io ho provato a tranquillizzarla. Parlare l'ha di certo aiutata ma credo che il gioco di equilibri sulla bilancia emotiva sia cambiato quando ci siamo connesse. Mi aiuta a distribuire meglio il carico e a non sentirlo più pesante come un macigno che mi comprime.
    « Sì, chissene. Il mare sarà anche pieno di pesci ma io troverò quello d'oro. » sminuisco così la mia delusione che ancora scotta. Credo mi servirà del tempo per smaltirla ma ne uscirò vittoriosa. Come sempre. Sorrido vagamente più rilassata e abbasso gli occhi sulle nostre mani; mordicchio l'interno della guancia e le studio. Inizio a farmi delle domande.
    « C-come ci riesci, Grace? Come riesci a dare alle persone quello di cui hanno bisogno? Ad aiutarle sempre? » ricordo che questa cosa all'inizio mi dava un enorme fastidio. Madre Grace da Hogwarts, l'avevo rinominata per la sua indole da crocerossina. Ora mi rendo conto che senza di lei oggi con molta probabilità avrei messo su un vero e proprio casino.
    « Non ti secca? A quest'ora dovresti essere a divertirti, non a giocare all'artificiere »


     
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    Praticamente non aveva capito niente. Un gran bel niente e quello era il dannato risultato di tutta quella dannata faccenda la cui colpevole in parte se non addirittura completamente, era lei. Già lei, Grace, in quanto colta e completamente fomentata dall’entusiasmo altro non aveva fatto che spingere da ambo i lati i due giovani affinché la fatidica scintilla scoccasse ignara invece – o non abbastanza recettiva ai segnali – che quella interessata tra le due parti fosse unicamente la Crain. Aveva visto male e ancor peggio aveva fatto con i segni finendo per credere che anche da parte dell’amico ci fosse dell’interesse verso l’altra. Invece s’era rivelato essere quanto di più sbagliato, poiché a quanto dannatamente pareva Nathan era interessato sì ad una Serpeverde ma questa non portava il nome di Victoria quanto della sua acerrima nemica: Rain Scamander.
    «Lui interessava a me, ho chiesto... per me» sbottò lei ferita oltremisura da quanto appena vissuto. Un cuore irrimediabilmente infranto da ciò che i suoi occhi dovevano aver visto scontrandosi con la dura realtà che di lì a poco avrebbe raccontato ad una esterrefatta Grifondoro. Era così certa, così sicura che anche da parte dell’altro ci fosse stato interesse ma Nathan era semplicemente la persona più gentile che avesse mai conosciuto fino a quel momento: così attento alle esigenze del prossimo, magnanimo e di buon cuore tanto da portarla in errore su colei che doveva essere la protagonista del suo interesse. Aveva davvero letto male i segni, gli sguardi mentre i due ragazzi interagivano immaginando un innamoramento da parte dell’amico che, come una secchiata d’acqua fredda, scoprì non esserci. Che disastro che aveva combinato. Si sentì terribilmente in colpa e più osservava l’amica struggersi per il cuore infranto più quel dolore, quella colpa in petto le cresceva, più sembrava stesse cominciando ad alimentarle un sentimento di rivalsa, un desiderio di rimettere insieme le cose, d’aggiustarle. Ma era possibile aggiustare una situazione di quel tipo? Come aveva potuto sbagliarsi così platealmente? Eppure. Eppure, le suonava così strano. Eppure le sembrava d’aver scorto nello sguardo assorto dell’amico quella scintilla d’interesse quella scintilla di un di più. Possibile si fosse sbagliata così amaramente? Pareva proprio essere quella la situazione e Victoria stava pagando per il suo errore di valutazione, per quell’ostinazione a mettersi in mezzo che aveva avuto e della quale in quel momento si sentiva nel dannato obbligo di fare qualcosa, qualsiasi cosa che offrisse sollievo al suo cuore spezzato, qualsiasi cosa che riuscisse a placare quell’ondata di dolore, rabbia e frustrazione che riempiva ogni fibra dell’essere della Serpeverde.
    Era straordinario come la Johnson riuscisse a percepire così distintamente il dolore dell’altra. Non aveva mai creduto d’essere un soggetto così recettivo all’empatia per quanto il suo buon cuore la spingesse sempre ad aiutare il prossimo ma con Victoria era un di più, come riuscisse a sentire ciò che provava lei o non si sarebbe spiegata quell’ondata di panico crescente, di magia crescente che la costrinse a nascondere le mani tremanti. Stava empatizzando, forse persino troppo, tanto che l’istinto la spinse ad allontanarsi ed allontanare entrambe dal luogo della festa; cercare un luogo isolato, un posto che avrebbe permesso loro – lei – di sfogare ciò che sentiva dentro.
    Bloccò quindi il discorso, solo momentaneamente, spingendo l’altra a seguirla mentre la conduceva seguendo il percorso che le gambe, ancor prima della mente, conoscevano e la fece sedere su uno dei ceppi abbandonati in prossimità della casupola del guardiacaccia.
    «La smetti di provare a liberarti di me? Non vado da nessuna parte.» Replicò quando l’altra, ostinatamente, cercò ancora una volta di allontanarla per spingerla a prendere nuovamente parte alla festa. Forse avrebbe dovuto ma la realtà dei fatti era che non ci sarebbe riuscita. Non le fregava nulla della festa. Non avrebbe goduto di un singolo istante pensando invece all’amica, avvertendo quel dolore che inspiegabilmente risuonava in lei come un richiamo sordo, profondo, intrascurabile, presente.
    Cercò di portarla sull’onda della razionalità spingendola a concentrarsi ad analizzare la situazione e un po’ funzionò poiché se d’un primo momento l’analisi sembrò intristirla a mano a mano che andava sviluppando il discorso il fuoco della sicurezza – e del focolare all’interno della casupola – tornò ad ardere seguendo l’andamento di quelle emozioni. Sognava ad occhi aperti? Aveva davvero visto il fuoco alimentarsi delle sue emozioni? Ingollò la saliva cercando di concentrarsi sulla questione: quindi Nathan aveva un debole per quell’oca giuliva della Scamander e, a detta di Victoria, la stava persino aspettando. Non le aveva detto nulla, perché? Mise da parte quei pensieri cercando invece un contatto diretto con la Serpeverde. Cercò le sue mani, le strinse dolcemente accarezzando con i pollici il dorso delle stesse. Era strano, era balsamico e avvertì una strana sensazione, una strana consapevolezza che le fece credere fossero legate a doppio filo. Era straordinario. Era assurdo. Poteva un legame d’amicizia ancora così acerbo rivelarsi tanto profondo? Era un qualche legame magico antico? Tipo la magia protettiva dell’amore?
    «Esattamente. E credimi se ti dico che vali molto più di quella», con maggiore enfasi si soffermò su quel contatto alzando in un secondo momento lo sguardo verso la casa avvertendo, ma senza effettivamente vederlo davvero, l’ardere del focolare stabilizzarsi. Era possibile fosse così? Espirò.
    «L’artificiere?» Rise, leggermente presa in contropiede per quanto fosse calzante quella similitudine. «È così che ti sei sentita? Come una bomba ad orologeria?» Sollevò le sopracciglia accompagnando quelle parole con una nota ironica nella voce atta a voler smorzare maggiormente l’aria. «Boh io non... Non credo di fare nulla di particolare. Ascolto e basta» era difficile dare una risposta effettiva a ciò che aveva fatto. Aveva semplicemente ascoltato il suo sfogo e lo aveva metabolizzato? Era corretto dire questo?
    «Ho fatto quello che hai fatto tu quando ho avuto... Beh quando mi hai aiutata con Mars. Mi sentivo persa, sopraffatta. Pensa che la mia magia è andata addirittura fuori controllo quei giorni. Come passavo le torce faceva uuu-uuuuh!» Le lasciò andare una mano per mimare il movimento di un’onda. «Quella volta è stato necessario razionalizzare. Tu mi hai fatta razionalizzare e ho fatto lo stesso adesso. Sono contenta abbia funzionato!» E lo era davvero, nella maniera più sentita. «Oh non ti preoccupare. Michael non è un tipo da feste... capirà, immagino» non ne era realmente sicura in quanto non gli aveva dato poi tante spiegazioni. In realtà nessuna. Aveva preso e se ne era andata e lo avrebbe rifatto. «Era la cosa giusta. Non so forse ti sembrerà strano ma ho sentito che dovevo essere qui.»
    Le lasciò andare definitivamente le mani sollevando i palmi priva di una risposta razionale. Pazienza, ciò che era fatto era stato fatto. Avrebbe pensato poi alle conseguenze e se il Serpeverde avrebbe preteso spiegazioni gliele avrebbe date. Non si sarebbe mai sentita in colpa per aver aiutato qualcuno in difficoltà. Era lei, parte di lei.
    «Vabbè lascia stare!» Fece poi, di corsa, questi vergognandosi dell’affermazione alla quale si era lasciata andare. «Come l’ho detta sembra una cosa mistica. Non farci caso faccio schifo a spiegarmi!» Tentò di sviare.
     
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    Victoria Crain | terzo anno | serpeverde


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    Dall'esatto momento in cui entrambe lasciamo la festa per nasconderci in un posto meno affollato, viviamo un'escalation di emozioni che com'era prevedibile coinvolge il fuoco. Io sono quella che le innesca, Grace quella che subisce. Mi sembra di avere già vissuto qualcosa di simile prima, proprio con lei, ma è una considerazione così debole e rapida che lascia un segno troppo blando per poter essere interpretato. Il fuoco già vivo intorno a noi, presente sulle torce che illuminano la casetta del guardiacaccia, reagisce al mio turbamento e lo asseconda: scoppietta, si alza e si fa più luminoso nel momento di maggiore rabbia, poi quasi soffoca prima di stabilizzarsi grazie al tocco magico della grifondoro. Non sono nella condizione di accorgermene in prima persona perché concentrata a sfogarmi ma posso intuire cosa sia successo: lo sento dentro, chiaramente, e sono spaventata da quanto potrebbe ancora succedere per colpa mia. Manifestazioni magiche di questo tipo non mi sono nuove, nell'ultimo periodo si sono solo fatte più intense e pericolose. Assicuro che non è una sensazione piacevole quella di sentire il controllo di se stessi scivolare via dalle mani come sabbia, percepirsi come una bomba pronta ad esplodere da un momento all'altro e lo dico chiaramente anche a lei nella speranza che preferisca tornarsene alla festa e mettersi al sicuro. La Johnson ci ride sopra ma io no.
    « Sì. » e la guardo dritto in faccia, seria, mentre le stringo un po' di più le mani.
    « E credimi: non è una banale metafora. » non voglio fare scena e nemmeno amplificare una piccolezza per impressionarla. Io temo davvero di finire col fare un casino di proporzioni così grandi e drastiche che mi rinchiuderebbero ad Azkaban per il resto dei miei giorni. O al San Mungo, nel reparto psichiatrico se ne esiste uno. Allo stesso modo ho vergogna di parlarne: se lo dico ad anima viva la cosa diventa automaticamente vera; dovrei farci i conti, trovare un adulto che possa guidarmi ed aiutarmi nella gestione di una cosa fuori dalla mia portata e che esula dalla magia tradizionale. Perché sentirsi un tutt'uno col fuoco non è cosa da tutti, proprio come il saper parlare con i serpenti o avere inspiegabili doti curative. I maghi che non imparano a controllare la loro magia rischiano delle conseguenze terrificanti: in quest'anno di scuola mi sono impegnata davvero tanto per riuscire a far quadrare tutto, ho cercato di imparare a padroneggiare i miei poteri e controllare le emozioni ma adesso sento che è diverso, che non si tratta più solo di far esplodere torte oppure teste quando sono arrabbiata, di riordinare fogli portati via dal vento o allacciare i lacci delle scarpe della bambina più antipatica della classe facendola cadere col mento a terra. C'è di più.
    Il contatto diretto con Grace mi aiuta a tenere i piedi per terra e distribuire meglio il carico di ansia e preoccupazione, come se lo stessimo dividendo; tuttavia più mi parla e spiega cose che lei stessa ha vissuto nel recente passato più ho l'impressione di essere stata scoperta. Quante probabilità ci sono che due persone così diverse come lo siamo noi possano attraversare le stesse vicende e nello stesso identico modo? Rilasso le spalle e le braccia così tanto che le mani quasi si staccano da quelle di Grace, poi corrugo le sopracciglia.
    « Stai scherzando » Le torce che reagiscono al passaggio quando si è emotivamente instabili, sentire di dover raggiungere l'altra senza avere la benché minima idea del perché: lei non sta descrivendo se stessa, sta parlando di me. Sta descrivendo me e quello che mi è successo quando l'ho trovata sotto il porticato, in lacrime per quello spilungone inutile. Non può che essere così!
    « Sei una che legge le menti, o robe simili? » so che non può averlo saputo da me: suonava tutto così assurdo che, per quanto di mente aperta e comprensiva sia Grace Johnson, mi avrebbe presa per pazza. Per me che ho passato tutta la vita a sentirmi chiamare in questo modo, ad essere trattata così da tutti comprese le persone che dicevano di volermi bene, è naturale guardarmi dal parlare di tutte le cose strane e inspiegabili che mi sono successe. Quindi com'è possibile che lei sappia descrivere la cosa così tanto bene? Ed ecco che si fa di nuovo strada in me la diffidenza, la paranoia, la paura di essere tornata prigioniera dei vecchi schemi nonostante gli sforzi immani. Interrompo immediatamente il nostro contatto ed indietreggio di un paio di passi con i palmi rivolti verso di lei.
    « Trovi divertente che la pazza non sia in grado di controllarsi e se ne vada in giro a giocare alla piromane? Visto che siamo in pista balliamo, te lo dico: no, Johnson. Non è divertente bruciacchiare i tuoi compiti all'improvviso, dare fuoco alle cose che hai in mano solo perché ti agiti, nemmeno rischiare di arrostire tutti quanti perché non sei in grado di controllarti! Spoiler: non è divertente neanche convivere con la paura costante di finire rinchiusa tra quattro mura, magari sedata o legata, perché sei una mina vagante anche per questo mondo! Ah, già! Vogliamo parlare dell'inspiegabile forza che mi ha portata da te quando ne avevi bisogno? Ops, buco nell'acqua: non me lo so spiegare nemmeno io. Nemmeno lo sapevo dove stavo andando, figuriamoci che ci fossi tu ad aspettarmi dall'altra parte! » i ricordi si mescolano a questo punto: riemergono le tristi esperienze dell'ospedale psichiatrico, i timori per il futuro e la paura di essere additata e giudicata anche da chi ho creduto fosse buono. Sono così triste in questo momento, oltre che delusa e amareggiata, che ovviamente dev'esserci la ciliegina sulla torta: la manifestazione del mio fuoco, il quale mi incendia le mani - letteralmente - e alza in maniera importante le fiamme delle torce ai lati della capanna del guardiacaccia. S'innesca per l'ennesima volta il circolo vizioso di chi più capisce di essere agitato e più si agita. Indietreggio ancora di un passo, mi avvicino senza volerlo ad un cespuglio secco che prende fuoco subito. Sgrano gli occhi, terrorizzata, mentre le fiamme prendono piede.

     
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    Sembrava tipico, qualcosa di già visto, ma Vic, così come la stessa Grace, non avrebbe mai trovato qualcuno crudele con lei quanto era in grado di esserlo con se stessa poiché non c’era più grande giudice del tribunale interiore messo su in pompa magna dalla proprio coscienza. Il risvolto della stessa medaglia, esattamente speculare per quanto assurdo ed inspiegabile fosse. Perché loro due? Perché una e perché l’altra? Non c’era spiegazione alcuna. Non avevano nemmeno niente in comune! Victoria era ligia alle regole, alla disciplina e all’ordine e non aveva stupito nessuno la sua nomina a prefetto di Serpeverde quell’anno scolastico. Grace era abbastanza disordinata seppur nel suo caos – principalmente dettato dalle sensazioni di pancia – ritrovasse il suo ordine. Le regole per lei non erano mai stato qualcosa di tassativo soprattutto se, alla fine della fiera, infrangerle non avrebbe arrecato danno a nessuno. La Johnson era una sportiva ed il quidditch ne era la dimostrazione. Teneva a quello sport con tutta sé stessa e come s’impegnava durante gli allenamenti non lo faceva nemmeno in classe per la sua materia preferita. Era una persona fisica e pratica che non faceva certo fatica a socializzare con il prossimo entrando quasi sempre nelle grazie dell’altra persona con la quale stava parlando. La sua risata era pressoché contagiosa così come la spontaneità del suo sorriso. Grace era un piccolo sole che si aggirava per il castello di Hogwarts. Dal canto suo Victoria era inflessibile, il suo carattere talvolta chiuso e la sua indole non sembrava incline nell’apertura verso il prossimo. Victoria il prossimo lo attaccava e lo stendeva “a botte” di superiorità verbale e per questo poteva essere fraintesa, non apprezzata. Dispotica per certi versi ed un peperino per altri e questo lo stava dimostrando proprio in quel frangente stringendo le mani della Grifondoro riportandola ad una realtà priva di battute che lasciassero spazio ad un poco di leggerezza.
    «O-kay Vic» replicò la Johnson aggrottando di un poco le sopracciglia. Capiva il suo mal d’amore ma non riusciva realmente e appieno a comprendere perché la Crain fosse così tanto suscettibile sull’argomento. «Va bene. Non intendevo prenderti in giro, assolutamente, ma ora respira» cercò d’intimarla in quanto era palese quanto la Serpeverde non fosse in lei. Tormentata, paranoica e rabbiosa. Un’anima in pena su tutta la linea la cui magia, peraltro, sembrava star condizionando l’ambiente intorno a loro. Grace poteva percepirlo. Un calore, quasi dal terreno si stesse sollevando una patina invisibile di energia. Percepiva distintamente il chiarore del fuoco, la forza con la quale ardeva e l’intensità di propagazione della fiamma. I suoi picchi, in positivo ed in negativo. Ogni percezione legata all’elemento era amplificata. Sentiva di poterne appropriarsene di quel calore per quanto quella riflessione fugace come si materializzò nella sua mente così scomparve. Troppo surreale per essere realmente presa in considerazione. Grace aveva bisogno di elementi tangibili.
    Distratta quindi dalle parole della Serpeverde lasciò andare – in parte – quel pensiero per raccontare alla Crain quale fosse il suo non segreto. Lei non stava facendo nulla. Era il suo istinto che, come una bussola, aveva puntato a lei, al nord. Non avrebbe saputo spiegarglielo – e infatti non ci riuscì – come mai proprio il nord di quella bussola fosse lei ma lo percepiva distintamente. Un richiamo, una necessità viscerale: lei doveva trovarsi lì dov’era, esattamente con lei.
    «Stai scherzando.» Esordì Victoria scattando quasi fosse risentita, offesa da quelle parole.
    «Sei una che legge le menti, o robe simili?»
    «N-no! Io parlavo di me.» Aggrottò le sopracciglia, confusa. Era come se, in quel momento, avesse perso un grosso pezzo del puzzle ed ora non riuscisse più ad andare avanti. Ciò che riusciva a capire dalle sue parole era che anche Victoria si fosse sentita e forse si sentisse ancora a quel medesimo modo ma non riusciva a comprendere perché la Serpeverde ne fosse arrabbiata, infuriata addirittura! Perché era un male?
    «Trovi divertente che la pazza non sia in grado di controllarsi e se ne vada in giro a giocare alla piromane?» Boccheggiò. La pazza? Chi era pazza? Lei? Victoria allora si lanciò, furente, continuando in quel monologo di domande retoriche che doveva aver posto lei, Grace, mettendogli in bocca assunzioni che in realtà la Grifondoro non aveva nemmeno lontanamente pensato. Non riusciva a capire perché se la prendesse così animatamente con lei come se l’avesse offesa pesantemente insultandola ma nulla di quanto proferito dalla Serpeverde aveva mai trovato voce o pensiero nella Johnson.
    «Vic! Basta! Io non ho mai detto tu sia pazza! Non mettermi in bocca cose che nemmeno penso.» Scattò infastidendosi fisiologicamente per quelle assunzioni del tutto sbagliate associate alla sua persona. «Certo che non è divertente, ci mancherebbe! Non ho mai detto che lo sia ma non sapevo nemmeno che fosse capitato anche a te... Cazzo non sei pazza! Smettila!» O pazza avrebbe dovuto esserlo anche lei quando ad inizio anno le era successo quell’episodio, quello scatto d’ira in cui, presa dalla rabbia, aveva dato fuoco a quello scherzo, quell’insulto, che le era stato recapitato. Ma furono solo parole, parole al vento. Victoria doveva essere collassata in una spirale di rabbia ed ansia il cui risultato si manifestò attraverso la sua magia che in un impeto incontrollato le incendiò le mani. Esattamente com’era successo alla Johnson.
    «CAZZO VICTORIA!» Urlò scattando istintivamente in avanti verso la Serpeverde che a sua volta si ritirò in un passo indietro mentre attorno a loro, le fiamme, erano come influenzate dal loro tumulto interiore e non seguendo confusionariamente prima una poi l’altra alzandosi. Victoria indietreggiò ancora avvicinando un cespuglio rinsecchito che prese immediatamente fuoco. Le fiamme si alzarono immediatamente ma la Johnson ancora una volta non perse tempo estraendo la sua bacchetta, non cercò lo strumento per eccellenza che, con un Aguamenti ben castato avrebbe risolto la situazione. Si avventò sulla Serpeverde afferrandole di forza i polsi. Non sapeva nemmeno lei perché stesse facendo ciò, anzi, non aveva la più pallida idea di cosa stese facendo in generale ma le si fiondò addosso stringendoli, racchiudendo quelle mani infuocate con le sue.
    «BASTA!»
     
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    Accade tutto molto in fretta.
    Stiamo parlando e all'improvviso Grace dice qualcosa che rompe definitivamente il mio equilibrio già precario. Le sue parole sono la classica goccia che fa traboccare il vaso, o l'insignificante colpo che manda in frantumi un vetro fino a quel momento intatto. Credo davvero che mi stia etichettando come una pazza che si diverta ad incendiare ogni cosa che tocca, una lunatica dalla mente frammentata che si muove spinta da un inspiegabile istinto. L'ho sentito così tante volte venir fuori, anche dalle bocche di chi diceva di volermi bene, che non dovrebbe fare più così male; eppure detto da lei è come ricevere un diffindo dritto al cuore. Grace Johnson, la madre Teresa di Hogwarts, la crocerossina della scuola che mi da della pazza. Mi ferisce e di conseguenza esplodo. Tocco un cespuglio secco che va a fuoco, mentre le torce esterne della capanna del guardiacaccia rispondono al mio picco incontrollato di energia: le fiamme si innalzano, vibrando, e diventano più gialle e luminose. Grace deve notarlo perché le guarda spaventata, comincia a gridare il mio nome implorandomi di smetterla ma io non ci riesco, non ce la faccio, non posso. L'energia che divampa è il frutto di tanta rabbia, delusione, frustrazione, eccessiva pressione esercitata su me stessa in tutti questi anni. Provare a spegnerla e relegarla in uno spazio strettissimo e piccolo è pura utopia. Eppure...

    L'erba è secca per via delle temperature elevate: il fuoco, quindi, si espande a vista d'occhio tutt'intorno a noi insieme al fumo grigio, iniziando a rendere l'aria irrespirabile. Sono spaventata anch'io dalle proporzioni che questo incendio potrebbe raggiungere nel giro di pochi minuti, dalla mia paura che non farà altro che fomentarlo... sono terrorizzata dalle conseguenze, è chiaro. Incrocio lo sguardo di Grace, che nonostante tutto non accenna a scappare via né a chiamare un adulto perché risolva la situazione. Piuttosto, coraggiosamente si avvicina a me e mi prende le mani. Le stringe forte: le mie sono caldissime e anche le sue. Ho le guance rigate di lacrime e le labbra rosse mentre sussurro il suo nome.
    « Grace » sono cosciente di aver fatto un casino. Appiccare un incendio durante la festa di benvenuto non è assolutamente una cosa che può passare inosservata, specie se a farlo è un prefetto. Me lo sentivo e l'avevo avvertita. La mia colpa? Non essere stata abbastanza brava per evitarlo.
    Vorrei chiederle aiuto per la prima volta, vorrei potermi affidare a qualcuno che ritenga meritevole di fiducia, ma dalla mia bocca non esce più un suono. So di non voler morire, di non voler essere cacciata via dall'unico posto in cui mi sia sentita finalmente a casa, soprattutto non voglio farle del male. Questo casino è tutta opera mia, se continuo ad agitarmi e lasciare che i pensieri intrusivi prendano il controllo della mia mente non ne verrà fuori niente di buono... non avremmo scampo. Quindi, piangendo in silenzio, chiudo gli occhi e mi concentro. Desidero porre fine a tutto ciò, che torni tutto esattamente com'era prima, calmarmi. Mi focalizzo soprattutto sulla sua presa salda e vigorosa, che rappresenta in questo momento il mio punto fisso. Non mi accorgo che la fonte di luce e calore più intensa sia proprio tra noi due e che, quindi, non sia io l'unica ad avere un problema col fuoco.

    Man mano che scemano i singhiozzi anche le fiamme diminuiscono la loro potenza; il mio dispiacere si affievolisce e così la pressione sul petto. C'è ancora lo scoppiettio del fuoco in sottofondo ma non appare più pericoloso e prepotente come prima, soprattutto non sembra più alimentato dal mio malessere. E quando finalmente riapro gli occhi, rossi e gonfi, sento di non aver più tanta paura di affrontare le conseguenze. Sono alleggerita, ecco. Alleggerita. Come quella volta in cui ho incontrato Grace sotto i porticati: ero agitata, quasi quanto lei, e mi è bastato così poco per sentirmi nel posto giusto, al momento giusto, con la persona giusta. Mi guardo intorno e mi rendo conto che c'è davvero una brutta situazione.
    « Cazzo. » mormoro. E adesso? intendo. Torno sulla Grifondoro.
    « Mi dispiace tanto. » ho la voce che ancora trema ma la richiesta appare chiara.
    « Risolverò questo casino ma, te lo chiedo per favore, non giudicarmi. Imparerò a controllarla ma adesso devo... devo ripulire tutto. S-sono un prefetto, è mio dovere. » mi asciugo le guance col dorso della mano che un po' ancora trema e tiro fuori la bacchetta dal fodero che porto al fianco, nascosto dietro la camicia in tessuto leggero. Deglutisco ed inizio a spegnere le fiamme, intenzionata a castare tutti gli aguamenti necessari. Non faccio riferimento a quello che le ho involontariamente rivelato, alla storia che c'è dietro i miei malumori e la mia diffidenza, né tanto meno alla volontà di raccontarle tutto un giorno. Almeno, non subito.

     
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    Era qualcosa di già visto, di già vissuto, quelle sensazioni viscerali che partivano da dentro e, per qualche motivo, finivano per esplodere in modo così violento, le erano familiari. Grace poteva non capirne appieno il motivo, in quel caso specifico, e soprattutto non ne capiva la frase d’innesco ma capiva benissimo come si sentiva Victoria: inadeguata, fuori posto, incompresa, respinta. Era la stessa sensazione che aveva provato e provava ogni volta che tornava a casa da sua madre. Era assurda una considerazione simile, se ne sentiva in colpa ma era ciò che inevitabilmente provava ogni qualvolta tornasse lì, in quello che avrebbe invece dovuto rappresentare il suo rifugio, il suo posto sicuro nel mondo. Un luogo dove l’accettazione avrebbe dovuto regnare sovrana. Quanto non lo era nemmeno lontanamente. Com’era brava Heather a scaricare ogni singola colpa, frustrazione su di lei. Com’era brava ad etichettarla come l’incapace che non era o la sciagura della sua vita. Perché poi? Non era dato saperlo.
    Per quanto tempo aveva desiderato che in quell’incidente a perdere la vita fosse stata proprio lei? Quella odiata, quella non voluta, lasciando finalmente ai genitori la figlia tanto adorata, la figlia perfetta: Elisabeth. Colpe su colpe infinite, il più delle volte persino inappropriate perché prive di fondamento ma la sua vita all’interno del focolare domestico era stato solo che questo: rifiuto e di quello insensato proprio perché privo di motivo. Che aveva fatto lei per generare tutto quell’odio da ben prima della dipartita di Elisabeth? Non ne aveva idea né le era stato spiegato. Era sempre stato così. Un dato di fatto di quelli inopinabili. Sua madre, i suoi genitori, la odiavano. La consapevolezza d’un pensiero simile era disarmante, scioccante, totalizzante. E qualcosa del genere doveva essere per Victoria che, in preda alla furia, le aveva puntato il dito mettendole in bocca un aggettivo che mai si sarebbe sognata di affibbiarle: pazza. Lei? No, non per come l’aveva conosciuta fino a quel momento. Victoria per lei era solidità, razionalità, lei così come Nathan, avevano il potere innato di calmarla. Di portare i suoi pensieri – ed il respiro – nei binari della logica, del senso quando tutto si faceva troppo grande ed opprimente. Ed era quello il suo compito adesso, lì con la Serpeverde: riportarla con i piedi per terra, calmarla, poiché, e riusciva a sentirlo inspiegabilmente nelle ossa, era fuori di sé. Lo sentiva come fosse parte di ogni fibra del suo essere, come fossero legate a doppio filo e per qualche ragione lei potesse appieno sapere e sentire cosa si scatenava dentro la verde-argento pertanto era suo compito e di nessun altro correre in suo aiuto, esserci per lei. Arrogante un pensiero simile? Possibile ma la natura inspiegabile di quel sentimento portava ad oscurare qualsiasi logica vi potesse essere al suo interno. Grace sapeva fosse così. Grace sentiva d’essere nel suo posto lì in quel momento. Un urgenza che non le avrebbe permesso di far altro se non aiutare la sua amica.
    «Victoria» cercò di richiamarla ancora all’ordine ma era come se l’altra fosse andata troppo oltre, obnubilata dalle sue sensazioni tanto che le sue mani presero a brillare di una luce sovrannaturale. Le mani della Johnson a loro volta presero a pizzicare e quando l’altra sfiorò un cespuglio seccato dal sole estivo, questi prese fuoco immediatamente incendiandosi quasi esso fosse prima stato cosparso di benzina. «Cazzo!» E adesso? Che avrebbero dovuto fare?
    Ma non ci fu spazio per pensare, almeno non per la Grifondoro che istintivamente si mosse in avanti lasciando che fosse il suo corpo a prendere il sopravvento. Lui sapeva cosa fare. Le mani pizzicanti andarono a sovrapporsi a quelle ardenti della Crain. Bruciavano. Grace urlò di dolore ma non si mosse. Continuò ad avvolgerle con stoica testardaggine e lì avvenne l’inspiegabile. Entrambe le giovani chiusero gli occhi ed il bagliore delle loro mani giunte esplose, implose, assorbendo tutto il fuoco che aveva preso a divampare tra loro.
    Aprì gli occhi con timore sbattendo le ciglia incredula di fronte a quanto successo poi lo sguardo si posò in quello lucido della Crain ed ancora una volta l’istinto ebbe la meglio. Grace l’abbracciò stringendola forte a sé. Erano vive. Vive.
    «Cazzo. mi dispiace tanto.» Esordì la verde-argento liberandosi dalla sua stretta, guardandosi attorno in quel cumulo di cenere che aveva visivamente deturpato il paesaggio. Sì, era un bel casino. «Risolverò questo casino ma non giudicarmi. Imparerò a controllarla ma adesso devo... devo» era sconvolta. «Vic non devi far da sola.» Non sei sola. E non lo sarebbe stato nessuno di quelli che considerava suoi amici. Erano la sua seconda – prima – famiglia e li avrebbe protetti ed amati a qualsiasi costo.
    Spensero ciò che rimaneva delle fiamme e con pratici Diffindo la Johnson passò a tagliar via le parti rovinate dai rami. Lo fecero in silenzio, ognuna immersa nei propri pensieri poiché avevano tanto su cui riflettere e Grace non poté fare a meno di domandarsi se quanto fosse successo fosse stato reale. Nonostante la fatica, nonostante la tangibilità dei rami secchi che staccava e nascondeva nella boscaglia le sembrava tutto così oltre, inimmaginabile.
    «Sono piena di fuliggine…» Una constatazione? Una presa di coscienza? Si guardò le mani annerite dallo sporco ma intatte, illese dalle fiamme. Com’era possibile? Né una scottatura, né una ferita, eppure il calore eccessivo lo aveva percepito.
    «Non capisco» mormorò più a sé stesa che all’altra rigirandole. Cos’era realmente successo? Era stato reale? Stava impazzendo forse?
    «Dobbiamo pulirci anche noi prima che qualcuno si accorga.» I rumori della festa ancora impazzavano dalla distanza indice che ancora tutto il castello fosse lì a divertirsi. Era il momento ideale per sgattaiolare come niente fosse. Dovevano tornare dentro. «A-andiamo» Spronò quindi entrambe per quanto lo sguardo non fosse lucido ma perso nei meandri della propria mente nel tentativo di dare una spiegazione logica. Sarebbe riuscita? Forse, ma certamente non era quello il giorno. Lentamente tornarono al castello.


    CITAZIONE
    CONCLUSA.


    Edited by Dragonov - 18/1/2024, 16:23
     
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