Once Upon a DecemberBallo di Natale ─ ufficiale.

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    Serpeverde
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    Michael Harris

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    17 anni - II anno
    mood: disorientato

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    "Michael, lasciami cazzo!” Non poteva. Lasciarla avrebbe significato dare un pretesto a David di amplificare le sue emozioni, portandolo a sfiorare l’apice del suo malumore. Grace sarebbe dovuta stare fuori dalla follia della famiglia Harris, compresa dalla sua. Iniziava a chiedersi se avesse fatto bene a invitare la Grifondoro, di punto in bianco, obbligandola ad accettare a scatola chiusa, senza conoscere i rischi che la sua persona, portava appresso, tediando anche coloro che orbitavano intorno a lui. La teneva stretta a sé, approfittando del vantaggio dato dalla sua fisicità. Nonostante tutto, però, aveva ragione. David meritava una lezione non indifferente e, certamente, non si sarebbe sottratto una volta faccia a faccia con il fratello maggiore. Nel momento opportuno, magari non davanti al corpo docenti. Farsi espellere per una cazzo di camicia? Alquanto imbarazzante anche per loro. La giovane donna sembrava una tempesta tropicale, pronta ad investire quello che aveva appena definito pallone gonfiato, utilizzando ancora una terminologia gentile che non si adattava a David, il quale, con la solita faccia da schiaffi, godeva nel vedere reazioni spropositate in seguito alle sue provocazioni da quattro soldi. Un vero stronzo, ne era consapevole ma, in fondo, si trattava pur sempre del fratello e non poteva lavarsi via quel sangue che li legava indissolubilmente, neanche se avesse voluto.
    Finalmente riuscirono ad allontanarsi da quello che era diventata l’attrazione principale della serata. Fanculo al profilo basso, insomma. Spinti da un’orda di ragazzini impazziti, i due si trovarono uno accanto all’altro. Faccia a faccia e Grace, iniziò un tentativo che andava a giustificare le sue azioni. Michael sorrise divertito, lasciandola sfogare, come era giusto. La pressione, poco prima, era salita alle stelle e, ora, non rimaneva che lasciare andare quel che era rimasto inespresso. Non si sarebbe mai permesso di ridere di lei, per niente. Ma comprendeva a pieno il suo stato d’animo e trovava buffo che si fosse scagliata contro, senza pensarci due volte. Davvero interessante, ogni minuto di più. Quella tipa, ai suoi occhi attenti, acquistava valore ad ogni gesto compiuto. “Lo è! A tutti gli effetti!” Non poteva definirlo diversamente. “Non ti devi scusare. Qualcun altro avrebbe fatto di peggio.” Come disegnare sulla sua pelle con un coltello da cucina. Cosa avrebbe pensato di lui, se alcuni segreti sul suo conto, sarebbero venuti a galla? Probabilmente sarebbe scappata da Marshall, invocando la sua protezione dal mostro che era colui che l’aveva ingannata. Era convinto che il passato non avesse così tanto ascendente sul presente eppure, ogni volta che chiudeva gli occhi, balenavano scene di vita prima di quel tentativo di redenzione. “Mi dispiace. È colpa mia, invece. Non dovevo trascinarti in questa situazione di merda!” Già. Un portatore poco sano di grane. “E forse non dovrei neanche chiederti di darmi una seconda possibilità!” Egoista fino al midollo. Stava parlando con il cuore in mano, come mai aveva fatto prima anzi, in realtà neanche era certo di possedere la sensibilità adatta a quel tipo di situazione. Tenere a qualcuno, a volte, coincideva con la saggia decisione di lasciarlo libero di trovare una strada più adatta. Quella era la sua occasione di fare un passo indietro netto ma non lo fece. Non sono te, David. O forse ci somigliava più di quello che era disposto ad ammettere.
    Una serata di merda con un’unica nota positiva: Grace.
    Che poteva esserci di peggio? E invece…. Quel dannato pennuto.
    Perché? Perché proprio quella sera? Quel vizio di merda di riuscire a rovinare ogni fottuto attimo della sua vita che si avvicinava alla decenza. Un ballo. Un evento che sarebbe potuto rivelarsi fondamentale per la sua integrazione in quella scuola, mandato a puttane dai capricci di colui che era, evidentemente, sprovvisto di quella pazienza che, a fatica, aveva acquistato lui stesso, dopo anni di sforzi e parecchi fallimenti. La sua espressione mutò radicalmente in un misto di terrore e preoccupazione. Porca troia. La sicurezza di aver coperto le sue tracce, andò in frantumi, facendolo sentire un vero idiota. Non gli rimaneva che pagare le sue mancanze nel sistema di sicurezza personale. Pagare un conto salato. ”Che merda!” Si lasciò sfuggire quella specie di imprecazione, senza pensare che avrebbe, così, insinuato ancora più dubbi in colei che sarebbe dovuta rimanere all’oscuro di quella scomoda situazione che, volente o nolente, avrebbe dovuto affrontare. Solo? Dipendeva da David. Indossò la maschera dell’indifferenza, nei riguardi di quel pezzo di pergamena che, in tutta probabilità, sanciva la fine di un periodo della sua esistenza, senza la certezza che ne sarebbe iniziato un altro, più florido. “Sì…” Certo, più convincente. Andiamo. “Tutto ok.” Manco per il cazzo! Assunse un tono convincente o, per lo meno, lo sperava. Non servi degnare di un altro sguardo il fratello, sbiancato poco prima. “Niente di grave. La mia famiglia vuole vedermi! Una specie di rimpatriata natalizia.” Una bella stronzata. “Non lo facciamo da tempo…” Beh, quello non si discostava molto dalla verità. Che cazzo voleva da loro quel dannato? Aveva già reso impossibile la loro vita, cosa pretendeva ancora? Spremerli fino ad annientarli del tutto? Si arrese. Si trovava ad un passo dall’inferno ed, autonomamente, ci sarebbe entrato, soccombendo miseramente perché sì, non era pronto ad affrontare un colosso della portata di Dean Harris.
    I suoi occhi si spensero della luce che, poco prima, li caratterizzava. Continuò a stringerla, assaporando quel momento, fino all’ultimo istante. Si accorse di essere stato un pessimo bugiardo. Il turbamento di Grace ne era un chiaro sintomo. Si ammutolì. ”… non vado da nessuna parte.” Ma lui? Non poteva dire lo stesso. Si abbassò, raggiungendo lentamente le labbra della ragazza. Le mani si spostarono sul suo viso e, con estrema delicatezza, la baciò. Un attimo, senza esagerare e senza forzarla in qualche cosa che, forse, non avrebbe apprezzato. “Io tornerò! Aspettami.” Una promessa dal sapore dolce amaro nei confronti della ragazza. Una scommessa con sé stesso. Un’incognita che avrebbe potuto sciogliere solo quando, di lì a poco, insieme al fratello, si sarebbe ritrovato in un vortice diretto a Londra. La resa dei conti era alle porte e non poteva fare nulla. Anche se fosse scappato, il padre l’avrebbe trovato. Sempre. Ovunque.



    Interagito con Grace e ops... ciao, Mars (tvb) <3
     
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    «Tu non hai fatto nulla, per favore smettila!» Istintivamente protese la mano cercando e afferrando quella del Serpeverde per stringerla nella sua. Non riusciva a capire perché si addossasse tutte quelle responsabilità proprio lui che in tutta quella situazione era rimasto calmo, persino verso il gesto di Marshall che aveva acceso la miccia di tutto quel casino. Certo lo aveva apostrofato con una buona dose d'irritazione ma chi non lo avrebbe avuta dopo essersi visto sporcare il vestito in un’occasione simile? Persino lei, Grace, l’immagine della cordialità, avrebbe perso le staffe per una figura simile, quindi, cosa chiedeva a sé stesso? Non aveva né senso né motivo così come a non avercela, ai suoi occhi, era stata la reazione che il mago aveva avuto leggendo la missiva. Era come se il ragazzo, dall’espressione, avesse visto la vita scorrergli innanzi e con la stessa naturalezza con la quale la Grifondoro gli aveva stretto la mano poco prima, lui, aveva cercato tra la folla lo sguardo del fratello. «Che merda!» Commentò tornando ad osservare il pezzo di carta che ripiegò con un certo fastidio per infilarselo all’interno del taschino della giacca. Grace inclinò il capo cercando il suo sguardo, cercando d’incontrare quegli occhi di ghiaccio tanto belli quanto sfuggenti che persero di luce nel momento in cui si congiunsero ai suoi. «Sì... Tutto ok.» Sollevò un sopracciglio. Pensava di dargliela a bere? Era pallido per la barba di Merlino! «Non mi sembra la reazione di una persona felice la tua...» Cercò d’indagare con un certo tatto pur rimanendo conscia che avrebbe potuto intimarle di farsi gli affari suoi. «Se può in qualche modo consolarti nemmeno il mio Natale avrà questa gran prospettiva. Mia madre sicuramente m’interrogherà circa i miei pessimi risultati ad Erbologia come se lo sguardo inquisitorio di Blackwood non fosse sufficiente!» Azzardò una risata tentando di risollevare l’animo dell’altro smorzando l'atmosfera tesa che era venuta nuovamente a crearsi. In fin dei conti che fosse una frana in quella materia e conseguentemente in Pozioni non era un segreto noto a pochi, anzi, era la croce di quei due docenti che matematicamente sbiancavano quando la vedevano entrare nelle loro classi. Ma non era colpa della Johnson, almeno, non totalmente, lei davvero cercava d’applicarsi nella riuscita di quelle materie ma era come se i pianeti s’allineassero di proposito affinché il calderone facesse straboccare tutto il suo contenuto o perché la pianta, che fino a due secondi prima appariva rigogliosa, cominciasse ad afflosciarsi inesorabilmente. Negata, c’era poco da fare per quanto impegno ci mettesse. Fu il suo improvviso abbraccio che la zittì da quelle chiacchiere volte a riempire il silenzio. Michael la strinse a sé così stretta da sentire quasi dolore per quella presa tanto decisa ma non disse nulla limitandosi a ricambiare quel gesto affondando a sua volta il viso nel petto del ragazzo. Non capiva cosa lo stesse agitando ed il ragazzo sembrava deciso a dissimulare – malamente – quello che era il suo reale stato interiore, questo la mandava in confusione oltre che preoccuparla. Odiava non sapere le cose e odiava quella sensazione d'impotenza di fronte ad una persona che soffriva perché era palese che il Serpeverde fosse tormentato da qualcosa, che in quella lettera – per quanto si fosse sforzato di dissimulare il contrario – era contenuto e quel qualcosa lo turbava ma, evidentemente, non era pronto a condividere quel pezzo di sé. “Ci sta”, dovette ammettere con sé stessa. Si conoscevano da quanto? Nulla, perché avrebbe dovuto aprirsi così di getto con lei? Chi era per lui se non la tipa che gli piaceva? Nemmeno lei aveva divulgato ad anima viva di sua sorella e c'erano conoscenze ben più approfondite rispetto al Serpeverde, conoscenze che, per l'appunto, non erano state messe a parte di quel doloroso bagaglio che si portava dietro. Sospirò, parlandogli poi con dolcezza, rassicurandolo che, se avesse voluto confidarsi, lei sarebbe rimasta lì ad ascoltarlo perché per quanto David si fosse comportato da totale stronzo non sarebbe bastato di certo questo ad allontanarla da lui. Ci voleva ben altro per scalfire il muro di testardaggine della Grifondoro e non sarebbe stato un bullo che aveva più l’aria d’essere un pallone gonfiato privo di contenuto a tenerla lontana dal fratello minore. «Sono qui, okay?» Continuò parlando al suo petto. Sentì la presa allentarsi ma non ebbe tempo di reagire perché le mani di Michael s’aggrapparono al profilo del suo viso e la sua bocca, finalmente, fu sulla sua. Un attimo breve, quasi un battito di ciglia talmente veloce da lasciarle l'impressione d’esserselo immaginato. Arrossì, il ritmo cardiaco alle stelle mentre appena percepiva le parole di lui: «ti accompagno al dormitorio.» In silenzio e stringendo la sua mano lasciò che la conducesse al settimo piano dinanzi l’ingresso del suo dormitorio dove, Grace, non riuscì ad abbandonare la sua stretta. Era tutto così strano, sbagliato ed il suo istinto le diceva che non era naturale ciò che stava succedendo. «Io tornerò! Aspettami.» Perché sembrava stesse andando al patibolo?
    Qualsiasi cosa tu debba fare... «Torna.» Gli ordinò con decisione fissandolo dritto negli occhi e lui la baciò ancora, questa volta davvero, in un bacio che sapeva di un addio.


    Interagito con Michael.
    Lo tranquillizza(?) e si lascia riaccompagnare alla torre di Grifo. Dove saluta il Serpeverde (ciao Ele 🖤)
    Usciti entrambi dal ballo


    Edited by Dragonov - 6/1/2023, 01:36
     
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    Prof.ssa Olivia "Liv" Vane

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    Nonostante la sua imponente altezza, non lo aveva per nulla notato. Era più impegnata a osservare i millemila input presenti all’interno della grande sala, che le rendevano impossibile concentrare la propria attenzione su un unico soggetto o avvenimento, nonostante fosse parecchio presa dallo spettacolo musicale in corso, in realtà; apprezzava quel Marshall con studente, per altro sempre molto gentile con lei, e non immaginava affatto potesse avere doti canore simili. Quei ragazzi erano davvero pieni di sorprese! E questo era il motivo principale per cui trovava per lavoro così interessante: non c’era mai da annoiarsi, e lei stessa aveva iniziato a riconoscere che non si smetteva mai di imparare, neppure grazie a loro. In poco tempo si era già affezionata ad ognuno di loro; faceva scivolare lo sguardo da uno studente all’altro, alla ricerca di uno o dell’altro, curiosa della loro mise e dei loro accoppiamenti, che magari le avrebbe fatto capire qualcosa in più sul loro conto. Infondo anche i gossip su ciò che avveniva all’interno di quelle mura le piacevano, e le piaceva tenersi informata, per quanto apparentemente negasse tale interesse, e anzi, lo scoraggiava. Ciò la aiutava, ad esempio, a capire meglio come accoppiarli durante gli esercizi di gruppo in classe, le compatibilità vincenti quanto quelle problematiche, come uno dei tanti modi per cercare di tirar fuori il meglio da loro. Stava giusto osservando integrare una coppietta inaspettata, tali Barnes e Saint-Clement, due elementi che non si sarebbe mai aspettata di vedere insieme a un evento simile. Il ragazzo era problematico, ma vedendolo compiere un baciamano nei confronti di una grifondoro si rese conto che forse lo aveva mal giudicato. Con quei pensieri in testa, dunque, non si accorse di aver intralciato il movimento dell’unico dipendente scolastico – forse – che non si sarebbe aspettata di trovare lì. Le lunghe dita affusolate della professoressa andarono, per breve un attimo fuggente, ad abbracciare il dorso largo e caldo di quell’uomo non meglio identificato. Quel tocco l’aveva fatta sussultare. Stava per scusarsi, quando quello si voltò, e fu come se la donna divenisse di colpo una statua di ghiaccio; fu forse il calore intenso che andò a concentrarsi con una certa violenza sulle sue guance delicate, il quale trucco curato sperò bastasse a nasconderlo, a discioglierla e tornare a farle sbattere le ciglia, enormemente rapita, in un primo momento, dal nero intenso degli occhi del Bibliotecario. Lo aveva osservato molto da dietro le copertine degli antichi libri della biblioteca del castello, durante i suoi pomeriggi dedicati all’erudizione, realizzando solo di volta in volta che lui stesso fosse diventato uno dei motivi principali della sua presenza lì. Ciò, a pensarci la faceva sentire una stupida; non molto differente da una ragazzina del terzo anno, comunque, presa dalla sua infatuazione del momento. Lei, in genere, non era una che si facesse molto prendere da quel genere di cose… le infatuazioni. Anzi, nel tempo era riuscita a convincere il proprio cervello ad abbandonare ogni genere di pensiero romantico. Ne aveva semplicemente passate troppe. Eppure… quell’uomo aveva qualcosa di particolare. Non era l’aspetto, no. Era qualcosa nel suo modo di fare, qualcosa legato ai suoi silenzi e alle sue affermazioni poco comuni. La personalità di quell’uomo la incuriosiva; assomigliava a qualcosa che non aveva mai conosciuto.
    Comunque sia, non aveva mai avuto modo di osservarlo così da vicino. Le sue pupille non poterono fare a meno di dilatarsi in una breve contemplazione, mentre i suoi occhi passavano dal nero capello curato al modo in cui teneva la barba, passando per le labbra dolcemente disegnate, fino al suo elegantissimo completo…e ritorno.
    “Professoressa Vane”. Il modo in cui pronunciava il suo nome le faceva uno strano effetto che non avrebbe saputo meglio descrivere – non in quel momento, per lo meno. Sapeva solo che suonava giusto. Terribilmente giusto. E caldo.
    – È terribilmente elegante, questa sera, Bibliotecario. Quasi regale. Credo che la sua impressione sia del tutto corretta – non che di solito non lo fosse, in realtà, ma non poté fare a meno di dar voce ai propri pensieri, con l’impressione che a tenerli dentro sarebbe potuta scoppiare. – E, mi dica, in che modo dovrebbe arrecare disturbo? – la donna piegò la testa di lato, versandosi del liquido color prugna nel bicchiere e osservandolo in tralice. Liv riusciva a pensare a tutto tranne che al disturbo, di fronte a quell’uomo. Erano due elementi che semplicemente non potevano convivere nella stessa frase.
    – Oh, non è suo compito vegliare sui ragazzi: per quello ci siamo noi professori. Si tranquillizzi e si goda la festa, la prego. Ogni tanto mettere il naso fuori dai libri può essere piacevole, lo dico per esperienza. – un sorriso gentile si disegnò sul volto della donna, prima di portare il calice alle labbra e bere un lungo sorso, senza distogliere i suoi grandi occhi da cerbiatta dalla contemplazione del suo volto, quando quello non guardava. Non riusciva a capire se fosse nervoso per qualche motivo, oppure se semplicemente volesse giocare di sarcasmo. Quell’uomo, per lei, era un totale mistero.
    – Awh, sono teneri, vero?? – si prese la libertà di dare un leggero colpetto di spalla sul suo braccio sinistro, una mano premuta sul petto a balconcino, per accennargli a osservare la dichiarazione in corso in favore della stessa grifondoro che aveva adocchiato prima. Quel Marshall aveva appena guadagnato +1000 punti ai suoi occhi. Era un ragazzo così pieno di sentimento…!
    – Uhm, lo immaginavo… – Liv si morse le labbra osservando il liquido viola e facendolo ballare dentro al calice, nervosa. – È che, uhm… sarebbe dovuto essere qui da un pezzo. – ammise in un soffio fra il deluso e l’infastidito, ritenendo già un’enorme mancanza di rispetto quella di non farsi trovare davanti alla porta delle sue stanze private.
    – Beh… sì. Circa. – sì, no, boh? Non lo sapeva neanche lei. Credeva di sì, che fosse un invito ufficiale… ma allora perché di lui non c’era traccia?
    – Credo che andrò a cercarlo, magari è dietro qualche colonna… a dopo! – svuotò il fondo del bicchiere in un unico gesto, il capo portato all’indietro, decisa a non rimanere lì come uno stoccafisso in attesa che le sbucasse semplicemente davanti, non ora che il caos si era quadruplicato.

    Un’oretta più tardi, Liv si trovava distesa ai piedi della brevissima scalinata che portava al tavolo degli insegnanti, semi-nascosta dalla vista da quest’ultimo, almeno da chi proveniva dalla direzione opposta. Si fissava con aria placida le scarpette rosse, assorbita da una quasi assenza di emozioni, come se fosse momentaneamente anestetizzata, le gambe unite piegate lateralmente, col lungo vestito che scivolava con grazia da una parte.
    Non trovandolo nella sala, né all’ingresso, si era decisa ad andare a cercarlo direttamente in Infermeria, bussando alla porta delle sue stanze private, ma probabilmente sarebbe stato molto meglio se non lo avesse fatto. Non ricevendo risposta, infatti, piegò la maniglia e notò che non fosse neanche chiusa a chiave. All’interno, tutto sembrava stranamente vuoto. Troppo vuoto. Scoprì presto che nessun lenzuolo fosse applicato al materasso, e che gli armadi non avessero contenuto, così come i cassetti del largo comò legnoso, o i pensili della credenza. Liv non si spiegò tutto ciò. Non aveva il minimo senso.
    Eppure… significava chiaramente una cosa: se n’era andato. Forse per le feste, anche se il rimbombo in quelle stanze le sembrava abbastanza definitivo. Non sapeva il perché, ma, forse, infondo neanche le interessava… questo per un semplice motivo: l’aveva palesemente presa in giro. Per l’ennesima volta. Come aveva sempre fatto. Siegfried non era cambiato. Esattamente come aveva pensato inizialmente. Avrebbe dovuto sapere di non doversi fidare, di non dover cedere.
    Ora aveva ottenuto di prendersi gioco di lei, ma per l’ultima volta. Perché, se lo avesse visto dopo quella sera, non gli avrebbe mai più rivolto la parola, né uno sguardo.
    Tuttavia rimaneva una situazione non semplice da digerire, soprattutto dopo tutti i vecchi trascorsi che colmavano un bicchiere ormai pronto a rovesciarsi. Lì, a un ballo a Hogwarts, dopo la bellezza di tredici anni, si sentiva nuovamente una ragazzina sbeffeggiata. E questa volta era stato fatto nel peggiore dei modi, lasciandola nel dubbio che, forse, certe cose non cambiassero mai.


    Citati Marshall/Grace e Harry/Violette e interagito col Bibliotecario. Al momento si trova seduta su degli scalini, giù di morale.
     
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    Marcel Anhalt-Dessau | III | Ravenclaw

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    Cinque segni scuri, ovali come petali di un fiore amato da un dio crudele – è salvo questo sangue il lancio del tuo disco, figlio di Giove? – spiccavano brutali sul collo del giovane duca, macchie sulla pelle candida, nascosta solo in parte dal cotone di un colletto inamidato e dalla luce di un sorriso bianco e predatorio del lussemburghese.
    C’è sempre del marcio nascosto in certe bellezze, è il naturale rovescio della medaglia, giace come un serpente d’acqua sotto il velo azzurro delle onde, pronto a riaffiorare per disturbare l’illusione della quiete.
    Giorni buoni fatti di ore crudeli, adatti a confondere il fuori col dentro, l’unica scelta possibile in un mondo che non si è mai voluto.
    Potevano gli altri cogliere quel marcio nel Duca di Anhalt? Sentirne la natura mefitica sotto i bei vestiti e il sorriso sfavillante?
    Cinico e maligno nel profondo – non si risaldano davvero mai le costole spaccate dalla mannaia dell’amore violento – Marcel era molte cose, ma un idiota non era tra quelle.
    Ovviamente sapeva di essere attraente, se non altro i suoi diciassette anni al mondo gli avevano insegnato quantomeno quello, ma sapeva anche che non era abbastanza. Non con tutti quantomeno.
    Qualsiasi, eh? Non ti si addica questa modestia.” ribatté inarcando un sopracciglio e lanciando un’occhiata divertita alla giovane rossa, ovviamente non le credeva assolutamente. Frequentavano gli stessi corsi da mesi e Rain era stata disinteressata fino a quel momento.
    Annuì con un sorrisetto quando lei ammise di essere attratta da lui, continuando però ad ascoltarla in silenzio.
    Sentiamo, sono davvero curioso, meng Jolene.” La incoraggiò con un piccolo ghigno divertito, avvicinandosi appena a lei, come fossero sul punto di condividere un qualche segreto proibito.
    Quando la rossa indicò un biondo familiare all’ingresso – Will qualcosa, tassorosso – il ghigno sul volto di Marcel parvi acuirsi, una coppia di fossette che facevano la loro comparsa sul suo volto.
    Sospettavo qualcosa del genere.” Commentò, lasciando che le iridi azzurri danzassero dal ragazzo alla mora al suo fianco e poi di nuovo su Rain, una luce malignamente divertita che ora ardeva dentro di essi.
    Qualcosa, qualcosa di maligno, stava passando nella mente del giovane duca.
    Oh, sono certo che tu sappia di essere mozzafiato, meng Jolene.” Concordò con un sorriso interessato, chinandosi per compiere un elegante baciamano – le labbra morbide che solo sfioravano la pelle morbida della ragazza - gli occhi azzurri che però non lasciavano mai quelli scuri della serpeverde.
    Rain era splendida, una goccia di sangue su neve bianchissima, e Marcel non aveva mai mancato di notarlo.
    Stringersi a lei, posarle delicatamente la mano sul fianco o chinarsi col capo verso le sue labbra per sentirla meglio fu assolutamente naturale; mentre in volto aveva un’espressione rilassata e interessata tale che guardandoli difficilmente si sarebbe intuito che quello era il loro primo vero incontro.
    Uh, vendetta, delizioso. Considerami il tuo sgherro, meng rubis.” Rispose divertito, un sorriso mefistofelico che compariva sulle labbra del giovane corvonero mentre si avvicinavano alla coppietta.
    Andiamo.” Accettò con entusiasmo, seguendola verso l’altra corvonero con un sorrisetto divertito in volto.
    Una volta che furono di fronte a lei si stampò un sorriso falso in volto, osservando Mackenzie con divertito disinteresse.
    Temo di non aver mai avuto il piacere.” Rispose invece con tranquillità a Rain, intercettando il suo sguardo con un sorriso, non era vero ovviamente, si erano incrociati diverse volte in sala comune o a lezione sebbene non avessero mai parlato.
    E’ un piacere Mack, che nome… originale.” Che nome kitsch sembrava suggerire il suo tono lievemente disgustato e l’inarcare ironico del suo sopracciglio.
    Che outfit delizioso, complimenti. Una scelta davvero coraggiosa da parte tua.” Calcò volontariamente l’accento sul coraggioso, il tono appena divertito, come a implicare che era davvero coraggioso da parte di una come lei mettersi quel tipo di vestito. Un sorrisetto da stronzo completava l’insulto neanche troppo velato nelle sue parole.
    Ovviamente cara, non aspettavo altro” rispose poi diretto a Rain, apparentemente impaziente di liberarsi di Mackenzie, neanche fosse stata quest’ultima a interrompere il loro appuntamento e non l’esatto opposto.
    Ciao ciao Marzia.” Salutò brevemente la corvonero, lo sguardo già diretto su Rain, una scintilla di malizioso divertimento nello sguardo.
    Il tuo amichetto ha cattivo gusto se preferisce lei.” Sussurrò avvicinandosi all’orecchio di Rain una volta che si furono allontanati dall’altra ragazza. Nell’attraversare la folla, se l’altra non l’avesse lasciato andare per prima, avrebbe continuato a stringere la sua mano nella propria.
    Raggiunsero il centro della pista, un’occhiata in giro gli confermò che il biondo oggetto dell’affetto della rossa non era esageratamente distante, la stanza del resto non era neanche esageratamente affollata.
    Il cretino sembrava preso da chissà cosa in mezzo ad altra gente, ma Marcel non avrebbe potuto importare di meno di che cosa stesse combinando.
    Con un sorriso gli posò le mani delicatamente sui fianchi di Rain, i corpi vicinissimi che si muovevano assieme a ritmo della musica, e gli occhi chiari incatenati a quelli della ragazza.
    Che ragazza cattiva, pensò divertito. Era interessante ed era quasi un peccato che si sprecasse correndo dietro a quel codardo di un tassorosso, ma alla fine era la sua scelta e Marcel non si sentiva nella posizione di giudicarla. Pessima scelta era praticamente il suo secondo nome.
    Del resto non era lui stesso una cattiva scelta che Rain sceglieva di fare? Era la serata adatta per una pessima scelta.
    Baciami
    Non ci fu bisogno di ripetersi per Rain: le labbra di Marcel calarono rapide su quelle vermiglie della rossa, calde ed esperte, scoprendo il sapore delle labbra della serpeverde, la mano destra che saliva lungo la sua schiena fino a incorniciarle il volto chiaro. Il suo profumo, un aroma inebriante che non riconosceva, gli invase il naso.
    Avrebbe dovuto controllare che il tasso stesse guardando, certo, ma alla fine non era davvero così interessato, preferiva concentrarsi sulla rossa e sul bacio che si scambiavano.



    Nomina Will e interagisce con Rain e Mack, che provvede a perculare, prima di andare a ballare e poi limonare con Rain. Bye Will
     
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    Halley Wheeler

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    Un’altra serata di merda. Se lo sentiva nel profondo delle viscere. Si sarebbe pentita di aver messo piede in quel luogo che l’aveva già vista protagonista di una disavventura non proprio piacevole. Dovevo farmi i cazzi miei. Iniziava a credere di essere una calamita per le grane di alto livello. Basso profilo un cazzo. Oramai aveva raggiunto la postazione alla quale doveva stare alla larga. E invece no. Come una dilettante era caduta nella trappola del suo spiccato senso di giustizia. Osservò la scena in silenzio, stranita da quelle miriadi di parole uscite dalle loro bocche, volte a ferire chiunque si gettasse in quella tossica mischia. Marshall, David e Michael, sembravano non mandarsele a dire ma, con sua grande sorpresa, anche Grace, dall’alto della sua pacatezza, perse il controllo, sputando sentenze in direzione del Serpeverde esagitato. Era preoccupata, non poteva farne a meno e, quando si trattava della sua compagna di stanza, entrava in modalità di protezione. Decise di non intervenire, vista la grinta dimostrata. Sapeva che uscire con un Harris non sarebbe stata la scelta migliore ma, in fondo, tra tutti, Mike, appariva calmo, come se la cosa gli scivolasse addosso, incapace di scalfirlo. Dal lato, una voce amica, giunse alle sue orecchie. Si voltò e Chloe, allegramente e ignara dell’accaduto, le stava chiedendo che si era persa. “Chloe. Che tempismo.” Affermò ironica. “Uno spettacolo deplorevole. Ma sei bellissima!” La Thompson faceva parte della sua Casata e, per qualche motivo, si era trovata, giorno dopo giorno, a parlare con lei, stringendo una qualche sorta di legame che si avvicinava molto a quello di amicizia –anche se superficiale, per il momento-.

    Dissentiva a ogni frase proferita. Che cosa aveva scatenato quella stupida diatriba? Una camicia macchiata? Roba da matti. Aveva abbassato la guardia, convinta che la cosa potesse scemare da un momento all’altro, riportando la serata verso una piega dignitosa, senza che nessuno potesse far visita a White. ”… sei sempre in mezzo al cazzo” Parlava proprio lui. Non sarebbe riuscito ad intimidirla neanche con tutto l’impegno che poteva metterci e, lui, ne era a conoscenza di questo piccolo particolare. ”… da quando mi chiami David!” Neanche ci aveva fatto caso nel pronunciare il suo nome di battesimo. Improvvisamente, per chissà quale motivo, ebbe gli occhi dei presenti puntati addosso. Che cazzo volete? Scomporsi? Mai. “Vuoi essere chiamato per cognome? È così che gonfi il tuo ego? Con i convenevoli da due soldi? Chiudi quella bocca. Ti chiamo come mi pare, stronzo.” Un sorriso sul suo volto sarcastico, così, per sottolineare il concetto che non si sarebbe mai piegata a lui. Mai. Assurdo. Quell’atteggiamento l’accendeva di quel fuoco non sano. Lo stesso fuoco che l’aveva portata a pensieri –ma soprattutto ad azioni- poco puri. Roteò gli occhi smeraldini, portandoli al soffitto. Kai aveva sbottato dopo aver captato lo sguardo del compagno di stanza, rivolto proprio a lui. “Sei serio?” Rispose. Ma che volevano tutti da lei, quella sera? Una congiura. “Ci siamo affrontati sul campo di quidditch così tante volte. Come potrei non conoscerlo? E non c’è un cazzo.” Tagliò corto, senza troppe cerimonie.
    Fece qualche passo indietro quando, la folla, la costrinse. “Chloe, mi dispiace!” L’aveva raggiunta e neanche aveva avuto modo di scambiare due parole in pace. “Ti devo una burrobirra. Ma dimmi, dove sta il tuo accompagnatore?” Si alzò sulle punte, cercandolo tra la folla. Nel farlo, però, incrociò David tornare ad affrontare Marshall. “Cazzo!” Sarebbe finita molto male. Perché? Senza congedarsi, Halley, iniziò ad avanzare verso il Tassorosso. No. No. ”Sicuro di non essere tu la testa di cazzo? Un triste epilogo. Marshall era suo amico e non gli avrebbe permesso di compiere un gesto sconsiderato. “Marshall!” Lo chiamò a gran voce, nella speranza di arrivare in tempo per porre fine a quello schifo. “Non farlo!” Per chi lo stava facendo? Con maestria, affinata durante gli allenamenti, la Wheeler, acchiappò il braccio del biondo, prima che misurasse il volto del maggiore degli Harris. Si mise in mezzo, dando le spalle a David e guardando dritta negli occhi Marshall. “Mars. Per favore.” Lei, uno scricciolo alto un metro e sessanta appena, davanti al musicista, che avrebbe potuto tranquillamente scavalcarla senza troppi problemi. “Non sei così.” Proprio per niente, al contrario. Sarebbe bastata un po’ di diplomazia se solo, dall’altra parte della barricata, non ci fosse stato David. Si voltò di scatto, lasciando fluire i lunghi capelli castani che si fermarono lì, proprio sulla spalla che qualche mese prima era stata uno degli oggetti del desiderio di colui che, quella sera, stava dando spettacolo. “Sei davvero uno stronzo!” Ribadì il concetto, puntando il suo sguardo nel quale ardeva un qualche cosa di inspiegabile. Desiderio? Rabbia. Non le fregava un emerito cazzo. Doveva allontanarsi da lì. “Andiamo a prendere da bere. Hai ancora del lavoro da svolgere. Le tue fan ti aspettano!” Si sforzò di sorridere, stringendo il braccio del Tasso. Sentiva il bisogno di andarsene in dormitorio, non sapeva ancora per quanto avrebbe sopportato quel caos.
    Passò qualche minuto in compagnia di Mars e, dopo aver calcolato i pro e i contro, raggiunse nuovamente Chloe e Kai. Abbassò gli occhi. Era andato tutto a rotoli ma, per lo meno, aveva evitato dei seri guai per l’amico. “Mi dispiace, ragazzi.” Iniziò, confusa. Le era venuto mal di testa, tanto da aver paura che fosse in arrivo una qualche visione. Mancava solo quello. “Credo di aver bisogno di dormire. Non mi sento bene!” La serata, per lei, era giunta al termine. Troppi avvenimenti. Troppi dubbi e troppe difficoltà in una volta sola. Riservò un sorriso ai due e si affrettò verso l’uscita. Fanculo a tutto. Fanculo, Halley! E alle sue idee di merda.

    Interagito con Chloe, appena arrivata. Risponde per le rime a David e si chiede cosa abbiano tutti da guardare in quel modo. Si allonrana con Chloe e Kai ma, da lontano, intravede Marshall e David litogare e si fionda a fermare il Tassorosso incazzato, sventando una rissa. Lo porta a bere e, alla fine, torna da Kai e decide di andare via.
     
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    Non nego di sentirmi osservato. Sinceramente, la cosa non mi fa sentire a disagio; anzi, in tutta franchezza non mi fa né caldo né freddo. Mi scomporrebbe molto di più trovare un libro fuori posto, lontano dal suo scaffale, piuttosto che gli sguardi di studenti ed adulti evidentemente disabituati a vedermi fuori dal mio contesto usuale. Non ne faccio loro una colpa, hanno ragione: il mutamento, anche il più piccolo e in apparenza insignificante, destabilizza. Perciò che guardino, che s'interroghino. Anche il pettegolezzo è uno strumento che serve a tenere viva la mente per l'elaborazione di ricche - e talvolta articolate - congetture che mi divertirei a smontare pezzo per pezzo. Io stesso oggi mi permetto di osservare gli studenti vivere al di fuori della mia area di competenza: lì è richiesto religioso silenzio oltre che una rigida attenzione nel comportamento. Diciamo che nel loro habitat naturale molti di loro sono diversi. Assottiglio lo sguardo e lascio andare l'attenzione lontano dalla professoressa Vane, incuriosito da ciò che per me è nuovo (l'interazione tra le nuove generazioni, la nascita e lo sviluppo di relazioni sociali, la mutevolezza delle stesse).
    Noto che tutti indossano qualcosa di rosso ed una maschera: mi domando il perché e cerco, in totale autonomia, di trovare una risposta tra le mie conoscenze. Non posso fare riferimento all'esperienza perché questo è il primo ballo a cui partecipo in quasi vent'anni... sono certo qualcosa sia cambiato rispetto ad allora.
    Credo di avere frainteso il senso di questa serata. Perché indossare una maschera ad un ballo natalizio? le chiederei se, quando finalmente torno a guardarla, non m'interrompesse.
    Dice di trovarmi regale, terribilmente elegante; a questo punto sollevo un sopracciglio e guardo verso il basso, a voler studiare il completo per capire se, in effetti, sia troppo.
    - Oh - Mi accorgo di aver accennato ad un sorrisetto nel farlo, nemmeno so bene perché. Sarà per questo strano formicolio dietro la nuca, che mi solletica, o per via del modo strano in cui le sue parole mi suonano. La professoressa Vane è curiosa di sapere in che modo disturberei lo statu quo. Alzo il bicchiere mentre le spiego il mio punto di vista, col solito tono modulato che tuttavia stona in questa stanza rumorosa.
    - Beh, non è difficile immaginarlo - provo a forzare la voce per essere ascoltato ma, alla fine, decido di ridurre la distanza di qualche centimetro - ed un passettino verso di lei.
    - Non sono famoso per essere visto frequentare altri posti oltre alla biblioteca; immagino che sia strano per molti vedermi ad una festa, per di più in maschera. Ecco, saprebbe spiegarmi il perché delle maschere? Credevo fosse un ballo natalizio - non c'è polemica, solo sana curiosità. Incasso il colpo sul mio ruolo di semplice invitato e mando giù un sorso bello grosso di acquavite. Vorrà dire che mi divertirò a studiare le persone - anche perché non sono molto avvezzo ad intrattenermi in chiacchiere con nessun'altro degli adulti che lavorano a scuola; probabilmente questa con Miss Vane è la chiacchierata più lunga che abbia mai avuto dalla mia assunzione dopo il colloquio col Preside Edavane - e quando ne avrò avuto abbastanza potrò tornare senza sensi di colpa ai miei libri e soprattutto al mio incantesimo.
    Non ho tempo per ragionarci troppo sopra, però: la professoressa Vane sta cercando una persona, il Guaritore per esattezza, che deduco essere il suo accompagnatore per la serata. La seguo mentre s'interroga.
    - Buona serata - alzo il calice in sua direzione, non capendo il suo turbamento, e la guardo andar via prima di tornare ad osservare la sala e allontanarmi verso il centro della stessa.

    Non ho idea di preciso di quanto tempo abbia passato alla festa, di quanti bicchieri abbia svuotato né di quante altre frasi abbia spiccicato. Sta di fatto che quando la Sala Grande ha iniziato a diventare troppo rumorosa per i miei gusti non mi sono fatto problemi ad alzare i tacchi e fare per tornarmene in biblioteca. So di poter impiegare meglio il mio tempo, in modo decisamente più costruttivo e divertente. Lascio il calice vuoto su un vassoio fluttuante e accarezzo barba e baffi con la mano destra incamminandomi verso la porta, salvo rallentare poco dopo fino a fermarmi del tutto davanti alla figura della professoressa Vane.
    Se ne sta seduta da sola sui gradini che anticipano il tavolo dei professori. Non ha l'aria di essere felice né soddisfatta ma sono confuso... ecco, la sfera delle emozioni umane per me è ancora un piccolo mistero: non riesco ad interpretarle a dovere. In questo momento la donna potrebbe essere triste, stanca o arrabbiata e non sarei in grado di percepire la differenza. Cosa faccio? Mi limito a sistemare il doppiopetto con la mano destra e a spostare lo sguardo negli immediati dintorni: magari il signor Muller si è allontanato per qualche secondo. Mi sento inspiegabilmente inquieto, come se avessi dei piccolissimi folletti della Cornovaglia a sfarfallarmi tra le budella. Una sensazione orribile, se posso dire. Quando alza il viso è più facile intuire cos'abbia. Stringo le labbra e mi avvicino, fermandomi ad appena due passi da lei.
    - Non mi sembra molto entusiasta per l'esito della serata, miss Vane. È troppo azzardato insinuare che il signor Müller si sia rivelato un pessimo ballerino? -
    inarco il sopracciglio destro e attendo una risposta a quell'irriverente affermazione. Di nuovo un tono di voce troppo basso per la musica assordante che ci circonda. Dubito abbia sentito, così mi guardo intorno prima di chiederle, gridando:
    - Le andrebbe di prendere una boccata d'aria? - se rispondesse di sì, le offrirei la mano per aiutarla ad alzarsi.



    Interagisce con Liv e poniamo le basi per una role futura raggiungendola verso la fine della Sala Grande, in prossimità del tavolo dei professori.


    Edited by Il bibliotecario. - 8/1/2023, 23:37
     
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    Carrie Marshall

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    Tutto quel dimenarsi di gruppo era stato estenuante. Mi ero messa in ginocchio come se volessi chiederle di sposarmi, effettivamente, quando nella mia testa pensavo più al presentatore di un circo. Perché poi è quello che era stato: un circo. Forse avevo esagerato, ma infondo era un modo significativo per mettere alla prova la sua amicizia nei miei confronti: “vuoi ballare o vuoi scappare?”. Se fosse stata la seconda, l’avrei perfettamente compresa; me la figuravo benissimo a rivolgermi un’aria truce, sopracciglio svettante, volendo convincere chiunque che neanche mi conoscesse. Non l’avrei biasimata. Tuttavia non me lo aspettavo davvero: in quei mesi mi aveva già dimostrato di non essere una che ama tirarsi indietro (e altrimenti che Grifondoro sarebbe, giusto?), e da parte mia ne aveva sopportate di ogni, lei come tutte le mie compagne di stanza. Ma, forse, quello era stato eccessivo: il mio sorriso andava pian piano spegnendosi, mentre i secondi passavano, un breve lasso di tempo riempito solo dal mio ansimare, il petto che andava visibilmente crescendo e svuotandosi. E pensare che mi ero messa tutta in tiro, per una volta, per colpirla: con quella stramba performance, invece, sembravo averla delusa. Ecco, stava scuotendo il capo… a dimostrazione di tutto il suo disgusto! Il peggior rifiuto di sempre… “Carrie Marshall, te lo ha mai detto nessuno che sei completamente matta?” – Cazzo, non sai quanto… – testa abbassata, feci per tirarmi su, avendo ormai capito l’antifona. Beh, non mi restava che darmene a gambe… o ributtarmi sul buffet, già che c’ero. I dolci erano sempre stati per me la migliore delle consolazioni. Stava anche ridendo di me, cazzo. Che gran figura di merda… a quel punto avrei solo voluto tornare indietro, e magari prenderla in giro soltanto un pochino, così, per divertimento personale… senza farle fare una brutta figura davanti a tutta la scuola! Avrei… “Sarei felice di ballare insieme a te.” – Tu…cosa?? – a quel punto non ci credevo più, e la mia mascella si aprì di stupore quando quella mi prese la mano per farmi girare su me stessa. – Solo tu avresti potuto accettare. – sorrisi con le labbra, con gli occhi, mentre ogni muscolo del mio viso si rilassava dalla gioia di avere accanto, al contrario suo, la migliore delle accompagnatrici. In quel momento realizzai che non avrei dovuto metterla alla prova, se non altro perché non ce ne fosse affatto bisogno. Sapevo già che Alexis fosse speciale, nonché la migliore amica che potessi desiderare, e quella che non mi sarei proprio immaginata di trovare a Hogwarts: provenivamo dalla stessa città, con gusti e un passato simili alle spalle; era come se fossimo destinate, infondo, a conoscerci e a diventare amiche. Proprio nell’ultimo dei posti possibili… quello dove regnava l’impossibile, nascosto allo sguardo del mondo. Un posto segreto, un posto che era nostro. Unico quanto lei.
    – Non farmi più il gioco dell’attesa, occhi-di-gatto. Stavo per liquefarmi dalla vergogna. – mi lasciai trascinare fino al centro della sala, sorridendo come una ebete.
    Ora, era “mondialmente" saputo che io non sapessi muovermi, sulla pista come da sola. Ballare era una cosa che non faceva proprio per me, che avevo una coordinazione pessima. Però mi piaceva la sensazione di shakerarmi, doveva rilasciare in circolo delle endorfine, o come si chiamavano… un po’ come il sesso. Non che di quello ne avessi la prova… comunque sia era un modo come un altro per ridere al suo fianco, mostrandole tutte le movenze del mio stupido repertorio di danza – sì, non le avevo ancora messe in atto tutte! – e ogni volta che riuscivo a strapparle un sorriso sincero, per me era una reale vittoria. Amavo vederla ridere, amavo farla sentire spensierata, amavo vedere i suoi bellissimi occhi illuminarsi. E a proposito di occhi…
    Le luci si fecero man mano più soffuse, e la musica mutò lentamente, ma perentoriamente, in un motivetto classico e rilassante; attorno a noi, vidimo metà delle coppie lasciare la pista, scontenti di quella scelta dall’impronta decisamente romantica. Stavo per fare la stessa cosa, quando la moretta mi porse una mano, e io alzai entrambe le sopracciglia, stranita ma emozionata.
    In silenzio, lasciai che avvolgesse le mani attorno alla mia nuca, mentre io, d’istinto, portai le mie braccia attorno alla sua vita. Quegli enormi occhi verdi mi fissavano, più intensamente del nostro primo incontro alla Stanberga. Più consapevoli, poiché rispetto ad allora conoscevamo bene l’altra persona. In quello sguardo ora c’era affetto, era più che evidente, e talmente intenso che per qualche momento mi ipnotizzò. Così elegante, ma senza per questo abbandonare l’originalità che la contraddistingueva, non potei fare a meno che riportare alla mente il mio primissimo pensiero su di lei, ossia che fosse la ragazza più bella che avessi mai visto. Oggi quell’impressione si era dimostrata, ormai, una solida realtà.
    – Come avrei potuto? Dopo un invito del genere sarei stata pazza a non accettare… era ovvio che ci tenessi moltissimo. Non potevo deluderti. Mi farei tagliare un braccio piuttosto che deluderti. Mi sono costretta anche a questo abito esagerato… non potevi meritarti nulla di meno – ammisi candidamente, seguendo il ritmo lento di quel movimento intimo e tranquillo. – Stai palesemente osservando la tua immagine attraverso lo specchio dei miei occhi. Poco carino da parte tua. – non potei che ironizzare, come ogni volta in cui mi sentivo in imbarazzo. E con lei succedeva spesso. Lei lo sapeva talmente bene che lo spezzò facendomi girare nuovamente su me stessa, questa volta in modo più dolce. Una cosa, però, non mi sarei mai aspettata: di incontrare le sue labbra sul gesto di ritorno. Le mie labbra si schiusero, spalmandosi praticamente sulle sue. Spalancai gli occhi, in un primo momento, sconvolta da quel gesto; poi, però, sentii le mie palpebre rilassarsi da sole, abbandonata a quel bacio. Le sue labbra vermiglie erano morbidissime, più di quanto avrei pensato E di baciarla, effettivamente, lo avevo immaginato parecchio. Era praticamente inevitabile.
    Dopo un tempo che mi parve interminabile le nostre labbra si separarono, lasciandomi visibile nel calore sul mio volto, che doveva essersi acceso come una miccia.
    Ora ero colta dal panico. Cosa significava quel bacio? Era stato intenzionale? Io le piacevo? E perché non lo avevo mai notato? – I-io… devo andare, adesso. Si è fatto tardi. La mia carrozza si ritrasformerà in zucca… – sì, davvero una bella scusa, Carrie, per abbandonarla al centro della pista e sfrecciare fuori dalla sala grande come se ti avesse punto una medusa nel culo. Non avevi detto che non volevi deluderla? Allora perché corri, e corri, fino alla Signora Grassa? Perché la spalanchi, sali la scala a chiocciola e ti fiondi in una camera che sai bene non essere la tua?
    – Carrie, che ci fai qui? – disse la grifondoro della stanza di fronte alla sua; Carrie sapeva bene che odiasse l’idea di quel ballo, e che per quella sera sarebbe rimasta in camera a leggere.
    – Nina, posso dormire qui, questa notte? –
    – Cos’è successo? –
    – Non fare domande, per favore –
    Nina annuì, e le fece spazio nel suo letto. Carrie si distese e alzò le coperte fino alla testa, nascondendosi dal mondo, senza neppure sapere bene il perché.




    Interagito con Alexis e poi corsa via dalla festa per infilarsi in una camera di dormitorio che non è la sua, impanicata, per non rivederla fino all'indomani.
     
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    Mars Carter-Johnson

    Mars, per favore. La supplica di Grace gli rimbombava ancora nella testa mentre si allontanava dal gruppetto in cui si era trasformato il trio iniziale. Quel David sembrava riuscire a tirar fuori il peggio di ogni sfortunato si trovasse abbastanza vicino a lui da esser coinvolto nelle sue cazzate. In pochi minuti era stato in grado di alzare un polverone così grande da trasformare uno stupido incidente - o meglio, un errore banale com'era stato il teatrino messo in scena da Mars - in un vero e proprio disastro cosmico. Così, quella che sarebbe dovuta essere un'insignificante discussione tra ragazzi adolescenti con gli ormoni a palla aveva cominciato ad assomigliare ad uno spettacolo dai risvolti inaspettati che poco aveva a che vedere con Mars, o Grace, o Michael. No, era David il nuovo protagonista e Mars, che aveva già ascoltato abbastanza e non sopportava né la vista, né la spazzatura di bocca che si ritrovava quel tizio, abbandonò il gruppo intenzionato probabilmente a sparire tra la folla, o persino dalla festa. Lo fece malgrado Halley si fosse fatta coinvolgere da quel coglione che era il moro. In un altro momento, non avrebbe lasciato che la ragazza lo affrontasse da solo, Marshall era sempre stato un tipo protettivo, soprattutto con le amiche, ma quella sera sapeva che - se non si fosse lasciato alle spalle il moro e le sue stronzate - avrebbe fatto qualcosa di cui sicuramente si sarebbe pentito. «Giuro che lo smonto come un mobile, se non mi allontano da qui.» confidò a Will, il suo compagno di stanza, mentre superava anche lui nel tentativo di raggiungere una sorta di pace interiore che avrebbe potuto conseguire solo lontano da lì.
    Incapace di pensare, tanto era il nervosismo che lo muoveva, non si rese conto che il moro lo aveva seguito finché quello non gli si parò davanti, bloccandogli volontariamente il passaggio. Alto poco più di lui, il biondo lo fissò dall'alto della sua statura contraendo la mascella mentre quello gli sputava addosso una verità che il Carter-Johnson non voleva sentirsi dire, non ad alta voce, non da un sadico come si stava dimostrando essere l'Harris. Grace aveva scelto un altro, uno qualunque che probabilmente non aveva mai visto prima, ignorando completamente quello che il tassorosso aveva tentato di fare dedicandole una canzone davanti a tutta la scuola. Un gesto che - a giudicare da com'era finita la serata - la Johnson non aveva apprezzato. Ipotesi, quella, che Marshall non aveva nemmeno preso in considerazione quando aveva deciso di mettersi a nudo davanti a tutte quelle persone. David, al contrario, sembrava goderne al punto da sentirsi autorizzato a ficcare il dito nella piaga. Mars inspirò profondamente e fece un passo indietro cercando di raccogliere una forza che davvero non aveva dopo tutto quello che era stato costretto a vedere. Sì, il Serpeverde aveva proprio scelto la serata sbagliata per provocarlo. Mars stava giusto per alzare il pugno che avrebbe colpito lo zigomo dell'altro, quando Halley gli bloccò il braccio e gli si piazzò davanti. «Mars, per favore. » A quelle parole, il Carter-Johnson abbassò lo sguardo sulla ragazza. Ironica la scelta delle parole della Grifondoro, ma furono proprio quelle esatte parole che dissuasero il biondo dallo sfogare tutte le sue frustrazioni sull'Harris. «Andiamocene prima che gli spacchi quella faccia da culo che si ritrova.» pregò Halley, dopo che la Grifondoro ebbe insultato David, facendo qualche passo indietro. Guardò il Serpeverde per un'ultima volta con disprezzo e si allontanò insieme alla Wheeler.
    Recuperati due bicchieri da un tavolo vicino, Mars ne passò uno ad Halley e ingurgitò qualunque bevanda ci fosse all'interno. «Grazie, per prima. Quel tizio si merita che qualcuno gli cambi i connotati.» le fece notare, osservando distrattamente la folla di ragazzi che - coraggiosamente - ancora occupava la pista da ballo. Al pensiero che tra quelle coppie ci sarebbero dovuti essere anche lui e Grace, se tutto fosse andato secondo i piani, sorrise amaramente. «Penso che le mie fans se la caveranno anche senza di me, questa sera.» sospirò infine, appoggiando il bicchiere vuoto contro la prima superficie che incontrò. «Buon natale, Wheeler.» le disse, tirandola a sé per un abbraccio, prima di scomparire oltre la grande porta d'ingresso della Sala Grande.
    Marshall Carter-Johnson, IV anno, Tassorosso.

    - Interagito con Will, David, Halley; - Citati Grace e Mike (vi odio gfy);
    - Dopo essersi allontanato dal gruppo, oltrepassa anche Will e cerca di andarsene, ma viene intercettato da David, il quale si piazza davanti a lui. A quel punto, Mars sta per tirargli un bel pugno sul naso, quando Halley gli afferra un braccio e lo convince a non fare stronzate. Insieme si allontanano, bevono qualcosa e poi vanno a nanna <3

    Ci ritiriaaaaamo :bla: Grazie a tutti quelli che hanno interagito <3 Spero di non aver dimenticato nessuno!
     
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    Harry Barnes

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    17 anni - III anno

    – Non riconosci il tuo Dio? – Harry ironizzò, con una bella faccia tosta, dedicandogli un sorrisetto sornione, sinceramente divertito dal modo del cugino di far finta che non lo conoscesse. Erano giochetti che gli rendevano particolarmente piacevole rompergli le uova nel paniere grazie alla sua sola presenza.
    Grace. Un bel bocconcino, senza dubbio. Non l’aveva mai notata granché, in classe, visto il suo stile tipicamente acqua e sapone, ma conciata a quel modo sembrava tutt’altra persona. Per lui, le donne avrebbero sempre dovuto uscire dalla propria toilette in condizioni impeccabili, come a quell’evento. Era il loro compito. Oltretutto Harry, dal canto suo, lo faceva. Ora avrebbe visto Grace sicuramente con altri occhi, e il suo primo pensiero fu che le avrebbe molto volentieri dato una bella ripassata. L’essere la “ragazza” di suo cugino Michael – o almeno così sembrava – non poteva che aumentare tal desiderio; in passato gli era già successo di farsi qualcuna delle sue ragazzette, per il solo gusto di dargli fastidio. Un modo come un altro di dimostrarsi affetto tra cugini, no?
    – Grace, perdonami, non ti avevo riconosciuta. Sono rimasto completamente abbagliato. – il giovane Barnes intendeva sempre – o, beh, quasi sempre – ciò che diceva, per quanto fosse facile ai complimenti in presenza di belle ragazze, come uno dei modi per farle sentire apprezzate e, per questo, entrare nelle loro grazie. Era certo, inoltre, che il suo baciamano avrebbe infastidito a morte il cugino, che ovviamente rilanciò con una frase che dimostrasse tutta sua frustrazione.
    – Oh, non credo che il tocco delle mie labbra sia un problema, visto con chi sta a contatto – lo punzecchiò di rimando, godendo nel battibeccare. Michael non aveva mai capito che, dandogli retta, non faceva che servirgli il gioco semplice, servendogli le battutacce su un piatto d’argento, come in quel caso. Harry si assicurò che notasse il modo in cui squadrava quella grifondoro dall’alto al basso e a risalire, riuscendo a stento a contenere una leccata laterale del labbro inferiore prima che la sua accompagnatrice per quella sera facesse il suo arrivo, di gran carriera, con l’abito che lui stesso le aveva comprato. – Anche tu stai molto bene, Saint-Clement. Dove hai preso questo magnifico abito? – un’ironia il quale scopo ultimo fosse sentirsi gratificato e, dunque, importante, per il gesto che aveva compiuto di donarle quel vestito. Il ragazzo amava viziare le proprie gallinelle, per due ragioni principali: far in modo che, al suo fianco, la loro bellezza fosse sempre al suo culmine, e far sentire loro in debito. A quel punto, partendo da un bacio, fino a qualcosa di più, il passo era generalmente breve. Almeno per com’era abituato lui.
    – Michael, Michael… ci sono delle ragazze, non vedi? Potresti, per una volta, comportarti come se non avessi una Firebolt su per il culo? Scusatelo, ragazze… è nato frustrato – sperò che Grace facesse caso a quelle parole, e che, in sua presenza, il cugino riuscisse a tirar fuori il peggio da sé, in modo da far brutta figura e dimostrarsi meno appetibile, sia mentalmente che fisicamente. Non che ci volesse molto, a suo avviso. Gli aveva sempre ricordato Cucciolo dei sette nani, con quelle orecchie a sventola e l’aria da bimbetto idiota… Grace avrebbe potuto meritarsi molto di meglio… come lui, ad esempio.
    – Oh, sì, Violette ha un vero talento sulla scopa. Una cosa che ci accomuna. – con un movimento delicato della mano, Harry le spostò i capelli al di là della spalla, scoprendo le eleganti clavicole che sfiorò coi caldi polpastrelli, mostrando cura e fierezza nel trovarsi al suo fianco.
    La sua attenzione fu poi colpita da un cambio di luci che lanciò un faro di luce proprio nella direzione di Grace, che ricevette non meno di una dedica musicale in piena regola. Harry non poté evitare di sghignazzare, concentrandosi sull’espressione attonita del cugino. Praticamente non c’era neanche bisogno del suo passionale lavoro nel metterlo in imbarazzo, quel tassorosso ci aveva già pensato egregiamente. Distrutto da un tasso… diamine, che caduta di stile. Che drama. Harry aveva già iniziato a tifare, inconsapevolmente, per quel tipo. Avrebbe persino potuto farselo amico, solo per infastidire l’Harris.
    – Certo, tesoro… vedo che qui non c’è più bisogno del mio intervento. Grace cara, ti auguro una buona serata… e tu, Harris, cerca di farti valere, per l’amor del cielo… – era pur sempre suo cugino, alla fin fine. Sarebbe stato doppiamente imbarazzante, dopo quel gesto plateale, far sapere della loro parentela. Ma, dopotutto, tutti sapevano della sua vicinanza con David, e ciò non gli dispiaceva, essendo uno dei pochi famigliari che gli andasse a genio. Si chiedeva proprio dove fosse, mentre, una mano sul fianco, accompagnava Violette verso gli alcoli-… ehm… verso le bevande.
    – Va tutto bene, Viole? Ti vedo un po’ strana. Aspetta, ci penso io – Harry sorrise gentilmente, esibendo marcatamente le proprie fossette – che gli davano tanto una falsa aria angelica – mentre con un gesto riempiva un calice alla bionda, proprio di una delle caraffe che aveva personalmente manomesso. Vedere una Viole brilla gli avrebbe fatto proprio piacere. Credeva fermamente che, su di giri, ognuno desse il meglio di sé.
    – Devi perdonare mio cugino, ha avuto molti traumi infantili. Il suo lato della famiglia è un po’… complicato, come dire. I Barnes sono la migliore annata. – ci tenne a precisare, pensando che il suo comportamento “tirato” fosse dovuto all’interazione di poco prima, porgendole il calice di alcolico sotto mentite spoglie. In realtà, non è che il suo ramo della famiglia fosse poi così impeccabile come voleva sembrare. Ma Harry avrebbe fatto vedere sempre la faccia migliore, anche quando riguardava quel bastardo di suo padre. “La facciata prima di tutto” – così gli era stato insegnato.
    – Com’è la tua famiglia, invece, Viole? Di cosa si occupano i tuoi? – fece per informarsi, prendendo una grande sorsata dal proprio calice; la ragazza sembrava una di buona famiglia, a giudicare dai propri indumenti, oggetti di valore, e per finire ai propri modi aggraziati, ma voleva assicurarsene, perché avere a che fare con gente di basso livello non gli piaceva particolarmente.

    La festa, intanto, continuò nel caos generale, che sembrò arrivare al culmine quando una specie di flash mob natalizio creò il panico; quando questo fu cessato, Harry ricompose la propria espressione schifata e commentò con un: – È stata la cosa più orribile che abbia mai visto. Ah, i grifondoro… – sospirò; non li avrebbe mai capiti. Oltre ad essere incoscienti, erano strambi forte, cazzo. – Vieni, igienizziamo la pista con la nostra presenza. Ti va? – si piegò leggermente verso di lei, la mano stretta a pugno al livello della propria spalla, con un’aria da principe.
    Nel frattempo, vide dei gufi entrare in sala con la coda dell’occhio, e si chiese chi diamine facesse recapitare la posta ai suoi cugini a quell’ora tarda della sera. Una posta che non sembrarono prendere bene, almeno a giudicare dai volti serissimi, a qualche metro di distanza da lui.

    Interagito con: Grace, Michael, Violette.
    Citati: Mars e David.
    Trangugiato gli alcolici, assicurandosi che lo facesse anche Violette, a cui ha poi chiesto di ballare.
    Ha notato l’arrivo della posta ai due fratelli Harris, chiedendosi di cosa si trattasse.



     
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    Wilder Singh

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    – Mars? Che cazzo è successo? – Will gli poggiò le mani sulle spalle, scuotendo leggermente il suo compagno, piegando la testa e cercando i suoi occhi, ma questi erano fuggenti come ogni parte di lui in quel momento, senza che Will riuscisse a capire. Marshall si allontanò, superandolo, senza ulteriori spiegazioni; doveva essere successo qualcosa con quegli Harris, ma immaginò che gliene avrebbe parlato a tempo debito; quella sera, in dormitorio, o magari l’indomani. Se aveva dei problemi con qualcuno voleva saperlo, e in caso avrebbe fatto tutto il possibile per prestargli il proprio aiuto. I bulletti non gli piacevano, gli erano sempre stati profondamente sul cazzo, e quegli Harris non sembravano dissociarsi da quella categoria fastidiosa che era il Serpeverde medio. Solo Rain, per il momento, gli era sembrato che possedesse una certa luce dentro di sé, che ai suoi occhi la distingueva dal resto della casata. A proposito, dov’era adesso?
    Will si guardò intorno, girando sul posto, alla ricerca della testa rossa che meno di chiunque passasse inosservata, quella sera come, d’altronde, il resto del tempo. Se non erano la sua chioma e il suo rossetto fiammanti, il suo stile o la sua generale bellezza, era il suo carattere deciso a fare rimbombare la sua presenza come una cassa stereo ovunque ella passasse. Eppure, non riusciva a trovarla. Quando la vide parlare con Mac, la sua Mac, gli prese un colpo. “Che cosa diavolo si staranno dicendo?”, pensò allarmato. A distanza, vedeva quel sorrisetto tipico dell’Anhalt-Dessau che non preannunciava nulla di buono.
    Si fece dunque strada attraverso la folla di studente, impegnata a chiacchierare o a ballare, mentre le luci della festa accarezzavano la sua chioma bionda. Quando finalmente arrivò a destinazione, i due se n’erano andati; Mac era stata di nuovo lasciata a sé stessa, e un senso di colpa invase il Singh: non avrebbe dovuto allontanarsi, nonostante il suo desiderio fosse di aiutare un amico in difficoltà. Probabilmente, raggiungendo Marshall, aveva messo lei in difficoltà. In quel momento non riusciva neppure a decifrare la sua espressione.
    – Mac, tutto a posto. La situazione, per fortuna, non è sfociata in nulla di grave. Al solito, sono quei delinquenti delle serpi a far casino – si fece tremendamente vicino e le raccolse una mano nelle sue, piene di cicatrici, portandosela al petto. – Ho visto che ti hanno raggiunta. Erano amici tuoi? Cosa ti hanno detto? – Will fissava i suoi occhi azzurri in quelli neri di lei, cercando un qualche cosa di non detto; sembrava visibilmente preoccupato, perché non li aveva mai notati interagire prima di allora. Non che ci potesse mettere una mano sul fuoco, chiaramente.
    Una parte di Will pensava che volesse fargli un torto, visto che dal canto suo l’aveva praticamente ghostata per mesi. Non che lei si fosse fatta avanti al suo posto, comunque. Forse quei pensieri erano esagerati; non credeva davvero di essere così importante, per lei. Non per un semplice giorno d’estate… passato bene, sì… indimenticabile. Ma non per questo voleva dire qualcosa.
    Le portò una mano sulla guancia, sfiorandola delicatamente. – Vieni con me. È un ballo, allora balliamo. – la prese per mano e la condusse gentilmente al centro della pista, mentre, contemporaneamente, un abbassamento improvviso di luci e una musica lenta e piacevole si disperdeva per la sala. Con un gesto lento, occhi negli occhi, come a voler capire, passo per passo, se le sue iniziative le andassero bene, portò le sue braccia oltre il proprio collo; dopodiché, fece scivolare lentamente le mani sulla sua schiena, passandovi una larga mano in una carezza.
    – Puoi perdonarmi per prima? Non avrei dovuto allontanarmi. Puoi chiedermi qualunque penitenza, e la farò. – dondolavano lentamente, quando lui le poggiò il mento sopra il capo corvino, vista la differenza di altezza. Un gesto dolce che gliela fece sentire sua, anche solo per un momento, mentre le note della canzone scivolavano come acqua sui loro sensi, tanto che Will, a un certo punto, chiuse gli occhi, godendosi il momento.
    – Sembri così piccola – mormorò a bassa voce, sorridendo fra sé e sé. Quella sensazione gli piaceva, e anche tanto. – Posso avvolgerti... – la sua voce era calda e piacevole mentre le sollevava una mano, portando un palmo contro l’altro per poi circondarla con la sua.
    Quando rialzò lo sguardo da quel gesto, raggelò. Rain e Marcel si stavano baciando, a pochi centimetri da loro. Will si sentì avvampare dalla punta delle scarpe fino a quella dei capelli, e per un attimo non capì più niente.
    In un movimento rapido e inaspettato, per lei quanto per lui, le fece fare un casquette e la baciò, assicurandosi che il bacio fosse tenero e delicato, ma allo stesso tempo d’intensità maggiore rispetto a quello che aveva visto.
    Si assicurò che durasse abbastanza a lungo da farsi notare da Rain. Voleva che vedesse. Voleva che si ingelosisse, e che le fiamme dei capelli le arrivassero fino al cuore, dove in quel momento, lui, si sentiva distrutto.
    E lei doveva sentirsi come lui.
    Spezzata.




    Interagito con Marshall, Mac, citati Rain, Marcel e i fratelli Harris
     
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    Suo fratello era calmo, quello che gli diceva sembrava non scalfirlo, ma David sapeva che quella era tutta una recita. Micheal era sempre stato bravo ad ingannare il prossimo, recitando la parte del buon samaritano, educato e gentile quando, in realtà, era un bastardo tanto quanto lui. Solo che mostrava la sua vera natura dopo un po'. Ignorò le sue provocazioni e passò a offendere non molto velatamente la ragazzina, o meglio, la nana, che era accanto a suo fratello. Davvero credeva di essere speciale per lui? Non aveva idea di chi fosse davvero Micheal Harris. La piccoletta iniziò ad urlarle nel bel mezzo della sala, certo che le ragazze lì dentro erano tutte delle oche starnazzanti. Tra la musica di merda del poeta sfigato e le urla della tipa che lo aveva rifiutato, gli pulsavano le orecchie. E tutto per aver detto come stavano realmente le cose, invece di ringraziarlo gli davano addosso, che ingrati. «Sto tremando di paura, ragazzina! Però prima di fare minacce, assicurati di arrivarci alla mia faccia.» E poi, forse, ne potevano parlare. Nel mentre, Micheal la trascinò via e David, da ragazzo educato qual era, la salutò da lontano con la mano. Adesso avrebbe recitato la parte del pentito, l'avrebbe consolata, rassicurata e altre stronzate simili, e lei, come qualsiasi altra ragazza, gli avrebbe creduto. Ah, povera illusa. Era meglio se accettava l'invito del cantante sfigato, lui, almeno, non l'avrebbe presa per il culo. Forse. Il rifiuto davanti all'intera scuola era stata una bella botta per il suo orgoglio e, se era un vero uomo, si sarebbe consolato con un'altra dopo un' umiliazione del genere. In mezzo a tutto quel casino, la Wheeler, non poteva mancare all'appello. Dopo aver trattato con quella che sembrava essere la sua amichetta del cuore, si girò, e lui non poté fare a meno di provocarla. Tra loro funzionava così. Aveva la mano stretta intorno alla vita di Rose, ma David era un fottuto pezzo di merda e, per tutto il tempo, ebbe occhi solo per la battitrice dei grifondoro. Il fuoco che aveva sentito in Sala Trofei era ancora lì. «Ma non ti scocci di stare sempre in mezzo alla palle? Merlino, sei davvero fastidiosa e chiudi quella cazzo di bocca, Wheeler! O te la chiudo io.» La guardò in cagnesco. Se fossero stati soli l'avrebbe zitta a modo suo, proprio come aveva fatto quella notte. Erano passati quasi due mesi, ma lui ricordava bene il sapore della sua pelle. La voce di Rose lo riportò con i piedi per terra e lui, stanco di quel ballo, la allontanò, trascinandola verso l'uscita. Cos'era Rose, per lui, a questo punto? Non ne aveva idea. Con lei era stato diverso, però quella non era la sua vera natura. Aveva soppresso i suoi istinti, l'aveva aspettata, l'aveva rassicurata. Ma era stato davvero se stesso? David era sempre stato uno dalle emozioni forti, dagli istinti incontrollati, ossessivo, possessivo e crudele. Quei lati, con Rose, non erano usciti.
    Era faccia e faccia con il poeta fallito che ebbe anche l'ardire di provare a prenderlo a pugni. Non voleva iniziare una rissa, ma se quel coglione lo avesse colpito, non avrebbe esitato a rompergli le dita delle mani. Ma non successe niente perché la sua cara nanetta si mise in mezzo. Proprio non ne voleva sapere di farsi i cazzi suoi, era sempre lì, pronta a fare la cosa giusta. In apparenza, almeno, perché con lui aveva mostrato un altro lato di sé. «E tu una rompicoglioni. E non scordare di dare un fazzoletto al tuo amico che sta per frignare!» E con quello la serata poteva dirsi conclusa. Prese Rose per mano e si diresse verso l'uscita, si era rotto il cazzo di stare in mezzo alla gente, aveva bisogno di stare solo e di fumarsi una canna. Poi era successo l'impensabile: Dean Harris ,suo padre, il capofamiglia era a Londra. Incrociò lo sguardo terrorizzato del fratello dall'altro lato della sala e poi lo vide aggrapparsi Grace con tutte le sue forze. Quel gesto non era falso, Micheal era sempre stato debole da quel punto di vista. E pensare che non aveva mai subito una Cruciatus, né gli erano mai state spezzate le ossa, eppure aveva paura di quell' uomo perché sapeva ciò che gli aveva fatto. Le sue urla disumane le aveva sentite. Solo una volta aveva assistito a quella tortura per volere di quella puttana, lo aveva anche deriso all'epoca ma David sapeva che era tutta una finzione. E anche Dean.
    Rimase immobile per qualche secondo, non era pronto a incontrarlo, non era abbastanza forte da tenergli testa. La bestia che albergava nel corpo di suo padre era un mostro assetato di sangue e lui ne aveva il pieno controllo, aveva raggiunto il massimo potenziale del lupo. Ancora, la voce di Rose lo riportò alla realtà, sbatté le palpebre e la guardò. Poi la sua faccia divenne di marmo, serrò la mascella e la lasciò finire. Aveva detto cose che non avevano senso per lui, come poteva anche solo pensare che quella lettera fosse da parte da una ragazza? Si era gelato e tutti in quella cazzo di sala avevano capito quanto fosse spaventato e lei se ne usciva così? Di punto in bianco? Aveva fatto quella sparata sulla base di cosa? Perché lui non aveva sentito niente, nessuna frase ambigua né altro ed era un mannaro. La musica in sottofondo neanche aiutava. Ma forse lei sì o aveva notato qualche atteggiamento strano, non poteva saperlo. E, in quel momento, nemmeno gli intreressava perché aveva questioni più urgenti da risolvere. Rischiava di crepare per mano di quel bastardo. «Buonanotte Rose.» Tagliò corto. Lei corse via e lui aspettò il fratello, poi insieme andarono verso la fine.



    Interagito con Mike, Grace, Halley, Mars e Rose. Dopo aver risposto a Halley, evita lo scontro con Mars per mezza sua, poi va via con Rose ma riceve la lettera del daddy. Interagisce con Rose e poi va via insieme a fratello. Uscito dal ballo e niente, come al solito ha fatto la piaga -.-
     
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    Prof.ssa Olivia "Liv" Vane

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    La sua mente veniva riempita da flashback, passando da uno all’altro come un film a velocità doppia; la maggior parte riguardavano i suoi anni a Hogwarts, e in particolare gli eventi mondani ai quali partecipava sempre senza troppa voglia, visto che, in un modo o nell’altro, riuscivano a deluderla sempre. Ai tempi non badava molto al proprio aspetto, benché meno ai ragazzi, e non riusciva a vedere in quelle circostanze altro che una costrizione sociale, che vedeva la tua assenza come un segnale di “sfigataggine”, così come la mancanza di un accompagnatore. Non che le importasse poi molto, alla fine della fiera. A dir la verità, non la notavano poi molto.
    Quando aveva iniziato a prendersi maggiore cura di sé stessa, però, tutto cambiò. Improvvisamente era come se vedessero, dopo anni interi passati ad essere invisibile, dietro ai suoi occhiali e ai suoi capelli crespi. Tolti gli occhiali, messo il rossetto e curando pelle e capelli con i giusti prodotti, sembrava del tutto un’altra persona: le rivolgevano la parola più spesso, la invitavano alle feste e, addirittura, le facevano la corte. Aveva praticamente una fila di spasimanti dietro la porta, visto anche il suo sviluppo fisico non indifferente. Un po’ era anche il modo di portare gli indumenti, che era cambiato: era stata una sua compagna di casata a spingerla a fare a meno dei maglioni eccessivamente ingombranti, ad tirare su la gonna fino alla vita e ad aprire la camicetta. Doveva anche essersene pentita, quando il suo ragazzo iniziò a fare la corte proprio alla sua “vecchia amica racchia”. Di fatto, quell’amicizia esplose come una caccabomba senza che Liv potesse farci poi molto. Gran parte delle sue amicizie femminili iniziarono a provare invidia nei suoi confronti, un sentimento malsano che ora gliela rendeva odiosa. Liv scoprì che la gente poteva essere superficiale in ambo le direzioni, e per questo non tornò indietro sui suoi passi, ma abbracciò comunque il cambiamento. Chi l’abbandonava, non era mai stato davvero suo amico.
    E poi, in compenso, c’era Christian. Un tassorosso che, come tanti, aveva iniziato a notarla, tanto da spingersi a voler diventare suo amico. Diventò per lei, di fatto, il migliore amico. Al diavolo quelle femminucce invidiose, essere amica di un ragazzo, ora, le sembrava la cosa migliore del mondo. I due condividevano quasi ogni momento libero insieme: Liv si fidava ciecamente di lui. L’ultimo anno, alle porte di quello stesso ballo d’inverno, lui la invitò perfino come sua partner. Liv non poteva che accettare, chiaramente in amicizia.
    Durante quello stesso ballo, lui la sorprese dichiarandosi, sotto al magico vischio. Liv non sapeva che dire. Alla fine pensò che ricambiare il sentimento del suo migliore amico non potesse che essere la base per la migliore storia d’amore. Quando avvicinò il capo per baciarlo, prima che le loro labbra potessero toccarsi, Liv venne inondata di punch. Qualcuno, da dietro, le scarmigliò i capelli sporchi di liquido appiccicoso e le mise gli occhiali (aventi una gradazione che le rendeva confusa la visuale). Attorno a lei, si misero a ridere, chiamandola con brutti nomignoli. “Sarai per sempre una sfigata, Vane”, sentì dire a qualcuno.
    I suoi occhi iniziarono ad inumidirsi. Si tolse la montatura sporca e mise a fuoco Christian, che teneva il braccio attorno una delle sue ex “amiche”. Liv non avrebbe saputo dire se i due si fossero messi d’accordo dall’inizio, al solo scopo di prendersi gioco di lei, o se fosse stata una cosa recente. Non lo scoprì mai.
    In mezzo alle risa altrui, non poté che scappare lontano, desiderando solo di intascarsi il diploma il prima possibile, sbandierando in aria un punteggio che quei bulletti potevano solo sognare.
    Compreso Siegfried. Che era stato sempre un bugiardo. Che voleva solo ripetere l’ennesimo copione imbarazzante a suo sfavore. Che avrebbe certamente ricevuto una bella fattura, qualora lo avesse rivisto.
    Se lo avesse rivisto.
    “Non mi sembra molto entusiasta per l'esito della serata, miss Vane. È troppo azzardato insinuare che il signor Müller si sia rivelato un pessimo ballerino?”
    Liv alzò lo sguardo, per posarlo nuovamente sul Bibliotecario. Lo distolse quasi immediatamente, a disagio, facendolo vagare in punti non specifici.
    – Sì… qualcosa del genere. Credo di poterle dare una risposta alla sua domanda di prima, Warmswizzler: forse le maschere servivano per assistere l’eventualità di voler passare inosservati a fronte di una terribile serata nella quale non si vorrebbe essere riconosciuti. Per quanto, nel mio caso, essendo un’adulta in mezzo a tanti studenti di statura inferiore alla mia, sarebbe comunque sciocco quanto inutile – la sua maschera ce l’aveva lì, al polso; ci stava giocherellando per il nervosismo.
    Decise di abbandonarla proprio lì, sulla scalinata, quando porse una mano al Bibliotecario, come richiesta silenziosa di aiutarla a tirarsi su. – Sì, la prego. – gli sorrise, ma in maniera spenta, di circostanza, nell’intento di nascondere le sue reali emozioni.


    Interagito con il bibliotecario, citato Siegfried.
     
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    Il ballo era stata una stronzata colossale ed esserci andato con Halley si era rivelato un bel buco nell'acqua. Per una volta che voleva fare le cose per bene, mettere in luce la sua parte buona e cercare di rimediare a tutti i casini che aveva causato alla grifondoro, il fottuto destino aveva deciso di mettersi in mezzo e stravolgere tutti. Era stato trascinato in un litigio con cui centrava ben poco, solo perché la Wheeler voleva a tutti i costi fare la paladina della giustizia e salvare il culo a qualche suo amico. Non aveva opposto resistenza e non perché non aveva nulla da ridire sul fatto compiuto ma perché ci teneva a mantenere un temperamento calmo, sapendo che prima o poi se ne sarebbero andati e avrebbero continuato a passare la serata da soli come da programma. E invece no. Quella testa di cazzo di David doveva sempre avere l'ultima parola e giocare a chi ce l'aveva più grosso, minacciando in qualche modo la grifondoro. Ed era stato proprio quel comportamento a fare scattare in Kai qualcosa. Non gli piaceva quel tipo e soprattutto non gli andava a genio che avesse potuto avere a che fare in qualche modo con Halley. L'idea di lei insieme ad un altro, lo faceva proprio impazzire. Non riusciva a restare calmo pensando che potesse vedersi con qualcun altro e la cosa che più lo infastidiva era che non aveva voce in capitolo perché lui e la mora non avevano nessun tipo di relazione. Fanculo. Stava cercando di mantenersi calmo e ci aveva provato anche quando si era messo in mezzo tra David e Halley però la risposta della grifondoro alla sua domanda fu la goccia che fece traboccare il vaso. Sai che c'è? Me ne sbatto il cazzo. Sbottò all'improvviso, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. Scusa se mi sono preoccupato, visto che ci vivo con quell'essere. Fai un po' il cazzo che ti pare. Vide la Wheeler allontanarsi e questa volta non la seguì ma decise di lasciarla alle sue congiure, alle sue maledette abitudini di voler sempre fare la cosa giusta. A cosa cazzo aveva pensato quando aveva spedito l'invito anonimo ad Halley? Probabilmente aveva fumato troppa erba e quella gli aveva dato il sentore che tutto sarebbe andato per il verso giusto, illudendolo. Era agitato e aveva bisogno di qualcosa con cui calmarsi ma fumare lì con tutti i professori a controllare ogni loro singolo movimento, non era un'idea così geniale. Mentre cercava una via d'uscita, vide ancora una volta Halley sfidare David per difendere quel suo stupido amico. Improvvisamente si sentì il terzo in comodo, uno stupido ripiego, una piccola apostrofo nella vita della Wheeler e la cosa lo annoiava parecchio. La doveva lasciar perdere e questa volta per sempre, tanto tra di loro non ci sarebbe mai stato nulla. Per una volta che aveva trovato una persona con cui sentiva di poter dare il meglio di sé, questa aveva deciso che non c'era nulla da fare. Si odiava, detestava l'aver dato la possibilità ai suoi sentimenti di entrare nel suo cuore e abbassare quel muro che aveva sempre messo come scudo tra lui e il resto del mondo. Era meglio restare uno stronzo, un bastardo che probabilmente sarebbe morto da solo piuttosto che restare un sentimentalista sfigato e smidollato. Quella sarebbe stata la prima e ultima volta che si innamorava di una ragazza, anche se di amore non si poteva parlare. Anche il tuo accompagnatore ti ha lasciato perché troppo impegnato ad intromettersi nei cazzi degli altri? Rivolse la parola a Chloe, la ragazza che si era avvicinata prima per parlare con l'altra concasata, riferendosi palesemente ad Halley e ai casini in cui si era intromessa senza che centrasse nulla. Ti va di fare qualcosa nel frattempo che gli altri ci raggiungano? Erano soli entrambi, tanto valeva fare qualcosa per non farsi ammazzare dalla noia. Posso offrirti qualcosa da bere? Visto che Halley si divertiva a giocare alla supereroina, lui poteva divertirsi in un altro modo e senza sentirsi minimamente in colpa. La Wheeler, però, tornò prima che loro potessero fare qualcosa e quando sentì le sue stupide scuse non potette fare a meno di dipingersi un ghigno deluso sul volto. Fa' come credi. Rispose secco, dandole subito le spalle e scegliendo volontariamente di non chiederle cosa avesse. Non gli importava, aveva mandato tutto a puttane e di certo non meritava la sua compassione. Si era stufato, si era davvero stancato di come le cose andavano con lei. Ogni fottuta volta c'era un cazzo di problema che mandava tutto a farsi fottere. Va sempre a finire così ma questa sarà l'ultima volta, pensò. Sì, Halley Wheeler non avrebbe più dovuto avere a che fare con lui perché avrebbe levato le tende e avrebbe continuato a vivere la sua vita da povera anima dannata qual era. Era ciò che si meritava, per lui non c'erano vissero per sempre felici e contenti ma solo un triste destino a cui abbandonarsi e rassegnarsi.


    Kai Parker, III anno, Serpeverde.

    Interagito con Halley e Chloe.
     
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    Alexis Pierce

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    «Tu…cosa??» mi domandò Carrie incredula, spalancando la bocca, mentre il suo petto faceva ancora su e giù per l'affanno dovuto al balletto di gruppo che aveva messo sù. Le sue iridi cercarono ulteriori conferme nelle mie, ma quando vidi gli angoli delle sue labbra svettare per trasformarsi ben presto in un sorriso che le illuminò il volto, pensai che non avrei potuto prendere decisione migliore. Carrie era dannatamente espressiva, era una ragazza semplice, naturale, autentica, ed io davanti a tutta quella purezza d'animo non riuscivo a rimanere indifferente. C'erano stati momenti, in quei mesi, durante i quali mi ero sentita così vicina a lei che avrei voluto ridurre ulteriormente le distanze, confessarle che non importava se la notte russava, se mi rubava le magliette senza chiedermi il permesso o se la sua risata era buffa; la trovavo bellissima, speciale nella sua unicità. Sì, avrei voluto ammettere tutte quelle cose ad alta voce, ma poi il timore di rovinare quella leggerezza che caratterizzava il nostro rapporto mi frenava, così come lo faceva il timore di ferirla, di non poterle dare abbastanza, di sporcarla con il mio passato difficile e tutti quei cazzo di traumi che mi portavo dietro. Banalmente, pensavo che esserle amica sarebbe stato l'unico modo per proteggerla da tutti, persino da me. «Solo tu avresti potuto accettare.» «Per fortuna.» risposi flirtante, trascinandola in pista. Il fatto era che quando avevo scoperto del ballo, non ero riuscita a pensare a nessuna che avrei voluto invitare più di lei e tutte le mie buone intenzioni si erano volatilizzate, sparite, puff. «Non farmi più il gioco dell’attesa, occhi-di-gatto. Stavo per liquefarmi dalla vergogna.» Sorrisi e, una volta tanto, mi lasciai contagiare dall'energia che caratterizzava Carrie tipo 24 ore al giorno, sette giorni su sette.
    Ballammo, lo facemmo libere, senza pensarci o imbarazzarci del nostro essere incapaci a farlo. In fondo, quanti - tra tutti quegli studenti - sapevano davvero ballare? La musica sovrastava ogni rumore, qualsiasi voce o altro suono, e noi ci muovevamo a ritmo, o anche no, ma lo facemmo insieme, senza mai smettere di ridere. Un bel risultato, dopotutto.
    Quando le note di quel lento si diffusero intorno a noi ed io mi aggrappai al suo collo, approfittammo di quel momento di quiete per scambiare qualche parola. «[...]Mi sono costretta anche a questo abito esagerato… non potevi meritarti nulla di meno.» ammise lei, ed io non potei fare a meno di abbassare lo sguardo per guardarla - ancora una volta - prima di riprendere la parola. «Sono lusingata tu lo abbia fatto per me.» dissi solo, e avrei voluto aggiungere che non ce n'era bisogno, che alla fine a me lei piaceva pure con addosso un pigiama, ma optai per tacere, consapevole che lei aveva dovuto fare un vero e proprio sforzo per spogliarsi dei suoi soliti abiti e mettersi a tiro in quel modo. Che lo avesse fatto per me, poi, era probabilmente uno dei tanti segnali che Carrie mi aveva inviato, consapevolmente o meno.
    «Stai palesemente osservando la tua immagine attraverso lo specchio dei miei occhi. Poco carino da parte tua.» la voce della Marshall mi riportò con i piedi per terra e, nel tentativo di smorzare il suo ed il mio imbarazzo dovuto al fatto che i nostri sguardi si erano incrociati per degli istanti interminabili, lasciai che volteggiasse su sé stessa, salvo poi tirarla a me e posare le labbra sulle sue. Fu un bacio morbido, dolce, inaspettato, e - nel momento in cui lei riaprì gli occhi, mi accorsi - fin troppo breve. La vidi arrossire e agitarsi e prima che potessi tranquillizzarla, lei perse il controllo. «I-io… devo andare, adesso. Si è fatto tardi. La mia carrozza si ritrasformerà in zucca…» «Carrie...» provai a dirle. «Carrie, aspetta Troppo tardi. Fu tutto inutile. La vidi sfrecciare via come se scappasse. Sì, era proprio scappata da me. Arresa, mi portai le mani tra i capelli e alzai lo sguardo al cielo, cercando di prendere un profondo sospiro.

    Mi trascinai nel dormitorio qualche mezz'ora più tardi, solo dopo aver annegato il dispiacere nelle bevande corrette sparse in giro per la Sala Grande. Sebbene in camera regnasse la penombra, riuscii a vedere le sagome delle mie compagne di stanza: Khyntia riposava già, ma Halley e Grace erano state al ballo, ed io sperai che almeno una di loro fosse ancora lucida perché io, di sicuro, non lo ero. Attraversai la stanza barcollando e urtai almeno un paio di bauli, prima di cadere di schiena sul mio letto. Poi, trascorsi pochi minuti, una consapevolezza si fece spazio nella mia mente alticcia. «Ragazze... credo di aver rotto Carrie.»
    Interagito con Carrie, Grace ed Halley.
    Ballo con Carrie e, non appena quella se ne scappa via (kodardaH), Alexis si butta sull'alcol e torna in camera, dove condivide una perla con le sue compagne di stanza <3
     
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    i'm sleeping
    Will era un ragazzo davvero semplice, genuino e Mackenzie non poteva che apprezzare quelle qualitá. Il tassorosso, sebbene fossero ancora agli inizi, si stava dimostrando un ottimo accompagnatore. «Will, non ti ci abituare cosí velocemente.» Scherzó volontariamente mentre gli sfioró il mento con l'indice, andando in contrasto con quanto detto precedentemente. La corvonero non era una di quelle ragazze che civettavano con chiunque, non perché non ne fosse capace ma perché riteneva che quei comportenti dovessero essere riservati per qualcuno di importante. E Will, a modo suo, lo era. L'aveva portata al ballo e l'aveva fatta sentire desiderata, sensazione che non aveva ancora provato in quel castello. «Sembravo cosí disperata?» Domandó mentre ripensava alla facilitá con la quale aveva risposto di sí all'invito del tassorosso. «Avrei potuto dirti di no ma a primo impatto mi sei sembrato un ottimo accompagnatore con cui passare la serata, cosí non ci ho pensato due volte ad accettare.» Sorrise sincera prima di prenderlo sotto braccio e iniziare la loro camminata verso la Sala Grande. Ad Ilvermony probabilmente non avrebbe mai scelto un ragazzo come lui con cui presenziare ad una festa solenne ma si era promessa di essere diversa ad Hogwarts e di abbandonare le sue vesti da stronzetta. La conversazione viró sulle decorazioni e su come era stata allestita la stanza in cui normalmente si riunivano per consumare i pasti.
    «La prossima volta che c'é un'altra festa da organizzare, saró felice di aiutarvi con le decorazioni.» La corvonero aveva uno spiccato senso estetico che sarebbe stato utile in quelle circostanze. «Non é il mio genere musicale ma devo ammettere che é forte, é davvero bravo quel ragazzo.» Rivolse lo sguardo verso il palco e successivamente verso la ragazza su cui erano state puntate le luci, iniziando a sognare ad occhi aperti. Quanto é fortunata, pensó. Avrebbe tanto desiderato ricevere quel tipo di attenzioni, essere il centro dell'universo di qualcuno e invece era maledettamente sola. Si rabbuió in volto, questa volta presa da un pó di invidia. Fortunatamente Will la risveglió da quella specie di trance ok cui si era ritrovata. «Sí, si trova in America ed é davvero molto diversa da Hogwarts.» Su questo poteva giocarsi qualsiasi cosa, persino la sua collanina di perline. «Potrei annoiarti per quante cose vorrei dirti su Ilvermony perció ti diró solo una delle cose che piú mi piace di Ilvermony, ovvero lo smistamento.» E lei lo aveva vissuto sia in prima persona, quando stava per iniziare, sia da studentessa ormai giá avviata. «Il resto della scuola osserva dalla balconata circolare i nuovi studenti. Si dispongono lungo le pareti, e uno ad uno vengono invitati a collocarsi sul simbolo del nodo gordiano nel mezzo del pavimento di pietra. La scuola attende in silenzio che i quattro intagli reagiscano. Se il Serpecorno vuole lo studente, il cristallo che ha incastonato sulla fronte si illumina. Se è il Wampus a volerlo, ruggisce. Il Tuono Alato manifesta la sua approvazione battendo le ali, mentre il Magicospino solleva la freccia in aria. Mentre se più di un intaglio segnala di voler arruolare lo studente nella propria casa, sta all'alunno scegliere.» Faceva un certo effetto sostare al centro della stanza, al cospetto dei quattro intagli e con gli occhi di tutta la scuola puntati addosso. La giovane Rosier ricordava il battito del suo cuore accellerato, le mani che sudavano e la testa che girava vorticosamente. Aveva pensato anche di svenire ma fortunatamente ció non accadde. «É dura la vita di fratello maggiore?» Chiese con un sorriso divertito. «Ho un fratello maggiore anche io ed é il prof di volo.» Disse con un tono sarcastico, cercando di far capire all'altro che non era uno dei suoi argomenti preferiti e che preferiva parlare d'altro. In un certo senso fu accontentata, anche se abbandonarla lí a se stessa non era proprio ció a cui pensava. «Certo, vai pure.» Acconsentí a quella scelta mentre si versava un bicchiere di succo dal colore rosso. La sua solitudine fu presto interrotta dall'arrivo di due nuove presenze: Rain in compagnia di Marcel. Ah davvero? E da quando questi due se la fanno? Pensó mentre di accingeva a salutare Rain con un sorriso stampato in volto. «Rain sei meravigliosa.» Rivolse all'amica quel complimento sincero mentre le baciava le guance lisce e perfette come lei. «Di sfuggita, sí ma non abbiamo mai avuto modo di interagire.» Per fortuna e ci teneva che quella frase uscisse proprio in maniera sarcastica per sottolineare il suo disappunto nei confronti del ragazzo. Perché proprio lui, Rain? Continuava a disapprovare la scelta della rossa ma cercó di non palesarlo troppo. «Il mio nome completo é Mackenzie.» Prego. Un sorrisetto infastidito comparve sulbsuo volto, disprezzando la scelta del concasato di utilizzare quel tono risoluto nei suoi confronti. «Ti pregherei di evitare di sentenziare giudizi affrettati e non richiesti, Marcel. Non con me, almeno.» Poi parli proprio tu che non resenti la perfezione come invece vuoi far credere. La Rosier non era stupida e riconosceva quando qualcuno non era sincero. «Il mio accompagnatore sta per tornare, si é allontanato qualche istante.» Marcel prova a dire anche un solo commento su quanto ho detto e giuro che il mio succo lo assaggerai anche tu. Guardó di traverso il ragazzo, odiava chi le mancava di rispetto. «Ma si, andate a divertirvi.» Grazie a Dio, se lo porta via quell'idiota. «Sono Mackenzie per te.» Ma guarda tu sto deficente. Per fortuna Will tornó al momento giusto. «Se le serpi non infastidiscono qualcuno, non sono contente. No?» Alzó gli occhi al cielo e incrociando le braccia al petto spazientita. Quel Marcel aveva urtato la sua pazienza e aveva fatto tornare la Mackenzie stronza di Ilvermony, prima o poi gliela faccio pagare. «Soltanto la ragazza é mia amica, almeno credo. L'altro no, é soltanto un mio concasato.» Palesó tutto il suo astio nei confronti del corvonero. «Nulla di che, i soliti convenevoli ma sappi che stavo per rovesciare il mio bicchiere sulla testa di quell'insolente.» Ammise ancora in preda alla rabbia. «Mi domando perché tra tutti i ragazzi tra cui poteva scegliere, abbia scelto proprio quel tipo.» L'ho giá detto che non le piaceva? «Saró molto felice di ballare con te, Will.» Strinse delicatamente la mano del tassorosso e si fece condurre fino alla pista da ballo. Si lasció guidare da lui, andando ad intrecciare delicatamente le sue braccia intorno al collo di lui senza mai distogliere lo sguardo dai suoi occhi. Sotto quelle luci fioche, poteva apprezzare i lineamenti del tassorosso e il fascino che emanava. Una leggerezza, una tranquillitá improvvisa la pervase dal momento in cui Will le pose una mano sulla sua schiena. Poteva percepirne il calore e un brivido si espanse su tutta la parte dorsale del suo corpo. Sorrise dolcemente quando sentí il ragazzo scusarsi con lei per l'essersi allontanato e averla lasciata sola, a quel punto fece scivolare la sua mano lungo il collo del ragazzo fino a sfiorargli una guancia. «Will non devi scusarti, é tutto ok. Come vedi mi so difendere da sola.» Poggió la testa corvina sul suo petto, lasciandosi travolgere da quel senso di sicurezza che il ragazzo le infondeva. Lui le poggió il mento sopra la sua testa mentre entrambi dondolavano lentamente, seguendo la musica. Chiuse gli occhi, godendosi a pieno quel momento come se qualcuno potesse strapparglielo via. Si sentiva strana, non aveva mai provato quelle sensazioni con qualcuno ed era immaginabile che le provasse con un ragazzo appena conosciuto. Cosa le stava succedendo? Forse era l'atmosfera circostante a rendere tutto cosí facile, semplice, dolce e lei ci si era abbandonata completamente a quelle sensazioni. Sentí la sua voce calda e piacevole pronunciare parole che mai si era sentita dire, il tutto mentre il tassorosso le circondava la sua mano con la sua. L'atmosfera sembró cambiare all'improvviso quando, in una mossa inaspettata, si ritrovó a fare un casquette. Non ebbe il tempo di realizzare che sentí le labbra calde e soffici del ragazzo, sfiorare le sue in un bacio lento e dolce quanto appassionato. Gli occhi che prima erano spalancati per lo stupore, si chiusero man mano che il bacio cresceva d'intensitá. Portó una mano sulla guancia del ragazzo, non sapendo esattamente cosa stesse accadendo e gliela accarezzó dolcemente. Non sapeva cosa pensare in quel momento ma forse per una volta poteva evitare di analizzare tutto ció che le capitava e agire come una ragazza della sua etá, ovvero godendosi il momento e lasciando tutto al caso. «Scusa, ti ho morso il labbro.» Si era allontanata solo per quello, preoccupata di avergli potuto fare male. «Dove eravamo rimasti?» E si sarebbe avvicinata, lasciandosi andare ad un altro bacio se solo non avesse notato che il ragazzo aveva qualcosa che non andava. «Will, tutto bene?» Il bacio era stato cosí brutto?

    Mackenzie Rosier, III anno, corvonero.
    Ho saltato il giro precedente quindi ho cercato di recuperare il tutto, scusate il sormone. Allora: Mackenzie ha interagito con Will fino a quando non é andato a soccorrere il suo amico. É stata raggiunta da Rain e Marcel con i quali ha interagito, diprezzando un pochino il ragazzo. Successivamente é tornata ad interagire con Will con il quale ha ballato e con cui c'é stato un bacio.
     
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