Posts written by acid rain.

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    mike
    La paura dietro l’arroganza. Utilizzava spesso il suo carattere tagliente per mascherare quelle debolezze che, inevitabilmente, alla sua età, spesso comparivano sulla sua strada già di per sé tortuosa. Per questo motivo si era comportata da vera stronza. Al falò non aveva fatto altro che assecondare il suo istinto fin troppo naturale, ponendo in essere un atteggiamento vendicativo, senza alcuna motivazione valida. Gelosia? Sì, certo. Vedere Nathan approcciare con le sue amiche, per qualche assurdo motivo, le aveva smosso qualche cosa all’interno. Un sentimento fastidioso e irrazionale. Nonostante sapesse che non vi fosse nulla di male, la sua impulsività, contribuì a dipingerla come la stronza, ruolo che già, per molti, interpretava alla perfezione. Le andava bene così. Ammettere le proprie debolezze, in fondo, non sarebbe mai stata cosa facile, soprattutto per un tipo come Rain. La reazione del Grifondoro provocò un lento cambio di espressione. Un sorriso sincero comparve, addolcendo quei lineamenti così duri da confermare quella reputazione costruita sulla base di una conoscenza superficiale. Si morse il labbro inferiore e, così facendo, palesò il suo imbarazzo quando si toccò l’argomento incriminato. La gelosia. L’espressione più crudele dell’insicurezza. Da un lato era certa di non aver nessun diritto di avanzare pretese; dall’altro teneva a quel ragazzo più di quel che era disposta ad ammettere a sé stessa. Un conflitto di interessi non indifferente, capace di creare un caos ingestibile, in quella quiete fatta di menefreghismo, alla quale era abituata. Ed eccola. Messe alle strette. Davanti a quella domanda non poteva fare altro che issare bandiera bianca e invocare perdono per quella parte di lei che, in prima persona, avrebbe voluto smussare un giorno –per la persona giusta, ovviamente-. “Lo sono.” I suoi occhi scuri si fissarono, come fossero una calamita, in quelli chiari di lui. Annunciò la verità. Semplice ma dolorosa. Per la prima volta, dopo anni, la sua versione più intima, stava prendendo piede, sommergendo l’enorme ego di cui era provvista. “Non ci sono abituata.” Si era sentita spaesata. Sperimentare quell’esagerazione l’aveva stremata e, per giorni interi, si era persa nella ricerca delle varie motivazioni che avrebbero potuto spiegare quella forza invisibile che l’aveva tratta in inganno, tanto da attuare quel comportamento del cazzo e ridicolo. Tutto, però, confluiva in un’unica e scomoda spiegazione. Ora, a mente lucida, poteva affermarlo con certezza. “Sono andata in panico!” Certo il tentativo di farlo ingelosire con l’automa per eccellenza, non era stata un’idea ottimale. Aiden. Il biondino dall’aria stralunata, non rispondeva certo al suo prototipo di ragazzo e, con grande egoismo, si era servita di lui per un atto deplorevole. Andrò all’inferno! Là, dove era certa di trovare una camera doppia con idromassaggio. Mica male. Il paradiso? Sopravvalutato. Beh, forse con delle scuse, avrebbe risolto la cosa, sempre che il verde-argento si fosse accorto del torto subito. Ne dubitava. Appariva ingenuo. Candido come la neve e con la testa tra le nuvole. Certo, si trattava solo di una sua opinione ma, come sempre, la ragione stava dalla sua parte. Predicare bene e razzolare male, però, sembrava essere una sua dote nascosta. Chi era lei per comportarsi da idiota quando, fino a prova contraria, era lei stessa ad intrattenersi clandestinamente con l’unico ragazzo che, grazie anche alla sua stazza, non passava inosservato. Chissà quanti aneddoti erano già giunti all’orecchio del povero Knox, all’oscuro di tutto. Ecco perché, con estrema fatica, prese la saggia decisione di portare alla luce del sole i suoi altarini. Questione di giustizia, comunque. Non era di certo sua intenzione nascondere ciò che, invece, stava davanti agli occhi attenti di chiunque. Reputava Axel importante. Un punto di riferimento in un mondo a lei, decisamente, ostile. Accantonarlo, quindi, non corrispondeva per nulla al suo volere. Il loro rapporto sarebbe profondamente mutato, sì, senza però escluderlo dalla sua vita. Ascoltò attentamente la reazione a quella notizia e, con sua grande sorpresa, Nathan non si scompose più del necessario, nonostante stesse ammettendo di non fare i salti di gioia. Beh, chi li avrebbe fatti? Quel che gli stava chiedendo, necessitava di un grado di fiducia non indifferente e, a quanto poteva constatare, le stava conferendo un qualche cosa che mai nessuno aveva osato. Ciò la diceva lunga sul suo conto. Oh, sì. Sei fortunata, bella mia! Non sai quanto. Si disse, con grande orgoglio. “Ti puoi fidare di me?” Abbassò il tono della voce, riducendola a un soave sussurro. Fargli del male? Fuori questione. Da quando era entrato nella sua vita, la personalità della rossa, aveva subito un arresto. Come se lui riuscisse ad incanalare la sua energia negativa altrove, evitandole parecchi problemi che avrebbero, poi, trascinato dietro dei grattacapi non indifferenti. “Sa ascoltare.” Cercò di argomentare il fatto il suo dubbio, il quale si incentrava sull’amara evidenza che la Scamander, sbagliando, aveva l’abitudine di allontanare anima viva –e morta-, prediligendo la solitudine o, per lo meno, conoscenze circoscritte e ben selezionate. “Non giudica.” Una caratteristica non da sottovalutare. Lo afferrò per il colletto e gli franò contrò, cercando un rifugio. “Un buon amico. Cosa che non puoi essere tu.” Alzò lo sguardo e sorrise. “O meglio.” Non perse tempo a riflettere. Sapeva esattamente quali fossero le differenze tra i due rapporti. “Vorrei che fossi molto di più!” Sempre che fosse stato d’accordo, ovviamente. Obbligarlo non sarebbe stato possibile ma, gli ultimi tempi, le avevano suggerito quanto fosse caduta nella monogamia più totale, come una scolaretta, investita da un mix tra sentimenti e ormoni, impossibili da gestire. Si alzò in punta di piedi e gli posò un delicato bacio, all’angolo della bocca. Un semplice gesto che nascondeva un desiderio elettrico di avere di più. Sempre di più. Perché, doveva ammetterlo, una volta provate certe trepidazioni, difficilmente se ne riesce a fare a meno. Sì. Un confronto con Dragonov urgeva. Il primo possibile.

    Si lasciò trascinare. Per un attimo i suoi problemi non furono altro che un lontano ricordo. Quel luogo aveva su di lei un ascendente molto forte. Il bacio fu lento. Sentito e voluto a tal punto da maledire l’attimo in cui, purtroppo, terminò. Smorzato, tra l’altro, da una sua uscita non proprio felice sulla sua amica, creduta morta dal povero cacciatore, preso alla sprovvista dall’affermazione tetra. “Mi è uscita male.” Tentò di scusarsi, senza scusarsi realmente. Cercate di capirla. Ci pensò un po’ su e poi: “Effettivamente potrebbe essere anche morta.” Certo, Reina, non era la classica tipa tranquilla e per niente incline alle grane. In tutto quell’arco di tempo, sarebbe potuto succedere qualsiasi cosa, senza che lei ne fosse a conoscenza. “Mi piaceva quella stronza mangia formiche.” Nessun rancore, piccola Scott! “Ma un giorno è sparita.” Non proprio. Aveva avuto almeno la decenza di lasciarle un biglietto, con appuntata una richiesta singolare che, però, non era stata in grado di esaudire, dopo l’arrivo di colei che aveva preso il suo posto nella stanza. Freya era stata una degna sostituta, forse un dono dal cielo. Una ragazza che non le avrebbe fatto rimpiangere la sua ex amica, svanita nel nulla. “Ti è mai capitato di perdere qualcuno in questo modo del cazzo?” Nonostante ne avesse pochi, per Rain, gli amici costituivano il centro del proprio universo e quando, in quel giorno funesto, Reina aveva lasciato la scuola, un pezzo delle sue certezze, se ne era andato con lei, chissà dove, in giro per il mondo. Volse lo sguardo verso il panorama e aggiunse, con sconforto: “Chissà se un giorno avrò la fortuna di rivederla?” Sospirò. Pensieri inutili ma, si sa, la speranza è pur sempre l’ultima a morire, no? Stava di fatto che con lei aveva trovato quel gioiellino, durante una delle loro “uscite” alla ricerca di qualche cosa che andasse oltre la solita noia scolastica. “Mi stai sottovalutando per caso?” Aveva per caso l’aria di una santarellina? Beh, non amava trasgredire alle regole, a meno che non le facesse comodo ma era nata avventuriera. “Mi stai chiedendo un appuntamento?” Se voleva metterla in quel modo. Perché no? Avrebbe colto sempre al volo la possibilità di passare del tempo in sua compagnia. Tempo che, senza dubbio, si sarebbe trasformato in qualche cosa di estremamente interessante. “Come se potessi rifiutare.” Lo guardò dritto in volto, arrendendosi al fatto di non potersi opporre a quel sorriso e a quegli occhi che avrebbero potuto calarle le mutande, con un cenno. Vaffanculo! Sciò. Via. Allontanò ogni pensiero impuro –come no- e si concentrò sul discorso successivo, incentrato su ciò che nascondesse dietro al suo fare da stronza patentata. “Non sarai di parte, a questo punto? Eh, Signor Knox?” Lo apostrofò con un lampo negli occhi che indicava la sua volontà provocatoria. In realtà ce la stava mettendo tutto per mostrare un lato di sé inedito. Una parte intima e riservata solo a colui che, proprio in quell’istante, se ne stava davanti a lei, prendendola in giro. In tutta risposta si guadagnò un sorriso sarcastico, che incassò con estrema eleganza. ”Sono uno stronzo se dico che non vorrei condividerti?” La comodità offerta da quel divano la fece sentire a suo agio, più del dovuto. “Sono una stronza se dico che non accetterei di condividerti?” Alludeva a un rapporto esclusivo, ovviamente. “In ogni caso è ciò che penso. Non sopporterei di vederti con un’altra!” Poco ma sicuro. Avrebbe dato di matto, perdendo la testa senza dignità. “Egoista?” Domandò. “Sei riuscito dove molti hanno fallito. Non può essere una colpa, non credi?” Non ci pensò. Lasciò la sua postazione e si accomodò su di lui, divaricando le gambe, infischiandosene di quanto quel gesto potesse far saltare i freni inibitori che si era ripromessa di tener presente. Si incollò a lui, lasciando aderire i loro corpi. “Sai troppe cose!” Lo baciò come se fosse l’ultima volta e si staccò, dopo aver affondato le sue dita tra i capelli di lui. “Se dovesse andare male, beh, dovrei ucciderti!” Si rituffò sulle sue labbra, afferrandogli la mano e portandola a forza sul suoi fianchi, per poi obbligarlo a risalire all’altezza del seno. Necessitava di quel tocco e non ne poteva fare a meno.
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    mike
    Neanche sapeva il perché fosse lì. Per cosa poi? Per cercare man forte? No. Non le era mai interessato di quello che potessero pensare gli altri. Ma lui. Le loro vite erano, seppur superficialmente, legate attraverso un’intesa che raramente si instaura con qualcuno di decisamente opposto. Erano amici. Speciali, sì. I benefici che ne avevano tratto erano lì, davanti agli occhi di tutti. Mai si erano nascosti. Anzi. Non mancavano di sottolineare quanto fossero vicini. Nessun segreto. Solo ed esclusivamente la normalità per lei. Si era tirata dietro l’odio di qualcuno? Probabilmente sì. Lo aveva letto negli occhi della biondina slavata, quella che qualche assurdo scherzo del destino era riuscita ad entrare nel cuore del bulgaro. Come? Un mistero, considerando il dito in culo che pareva portare con poca grazia, tra l’altro. Brutti ricordi che, fortunatamente, era riuscita ad archiviare. Quel periodo non era stato dei migliori. Doveva ammetterlo: aveva anche sentito la mancanza del ragazzo che, seppur libero da ogni dovere, faceva sempre parte del suo equilibrio e la presenza di Skyler, Sky, Skylee –come diavolo si chiamava quella sciocca?- l’aveva compromesso. Fanculo. Tutto era passato. La natura aveva fatto il suo corso e quasi tutto, era andato sistemandosi. E il suo amico era tornato. Beh, il tempo e le nuove conoscenze, poi, avevano fatto il resto e quella compromessa, proprio in quel preciso istante altri non era che lei. Che sia dannato Merlino! O anche no. Le sensazioni che provava, potevano dirsi differenti. La presenza di Nathan nella sua vita, lentamente, era servita come una sorta di medicina. Avvertiva il miglioramento anche se, tangibilmente, in pochi riuscivano a cogliere le sfaccettature che si erano insinuate nel suo animo. Come al solito riservata fino alla nausea, nona avrebbe permesso a molti di venire a conoscenza della sua piccola –grande- debolezza. O forse sarebbe risultata subito evidente, una volta uscita allo scoperto definitivamente. Ma prima, come giusto che fosse, il suo compito era quello di prendere il coraggio e svuotare il sacco, dando spiegazioni che, in realtà, forse neanche avrebbe dovuto fornire. Poco importava perché, una volta giunta nel covo dei figli di Salazar, la prima figura imponente che i suoi occhi nocciola incontrarono fu proprio quella della pietra dello scandalo. Tra una cosa e l’altra, fingendo un’indifferenza che non aveva neanche motivo di esserci, Rain, allontanò il moro per non incontrare irreparabili incidenti di percorso che, poi, avrebbero pesato sulla sua nuova relazione con il cacciatore di Grifondoro. Il suo gesto non piacque per nulla e, in tutta risposta, mossa da una forza tremendamente maggiore, fu strattonata a tal punto da tornare al punto di partenza: schiacciata contro il suo petto. Più vicina che mai. Ne derivò un avvertimento che, a prima vista, poteva sembrare minaccioso ma il tutto fu smentito da un ghigno. “Gni gni gni!” Lo canzonò, roteando gli occhi con la certezza che si trattasse solo di una burla. Un lato ben nascosto del Serpeverde che, di tanto in tanto, riusciva ad intravedere tra un'espressione burbera e un mezzo sorriso. Insomma, ci si accontentava.
    In un attimo si trovò nelle sue mani, come una fottuta marionetta e, subito dopo, su quella dannata poltrona, sulla quale per evitare ancora per qualche attimo il discorso, riportò l’attenzione su quanto fosse stato ingiusto ad abbandonarla in favore di quell’idiota. Croce sopra. Un torto difficile da perdonare. Andiamo. Esisteva davvero un paragone tra lei e il sorcio? Assurdo. Scelta sbagliata, piccolo grande uomo! Certo, punti di vista. Ma quello della Scamander valeva un po’ più di quello degli altri, con tutta l’umiltà di questo mondo, si intende. ”Ancora questa storia?!” Fino alla morte, cocco! Con chi pensava di avere a che fare? Con una Corvonero qualsiasi? Pane e rancore facevano parte della sua dieta, poteva starne certo. Finse un colpo al cuore. Si portò la mano al petto, come se fosse stata ferita realmente. “Un paio di volte, certo!” Era certa di ricordare che quella deviazione, perché così la definiva, fosse durata più del dovuto. Un atteggiamento davvero strano per un tipo come lui, così tanto che la situazione l’aveva indotta a credere che fosse stato drogato. Avrebbe capito una relazione con chiunque avesse un po’ di carattere. Ma quella? Di interessante non vantava neanche un’unghia dei suoi piedi troppo delicati anche per giocarsi la finale di quidditch perché, ehi, le voci erano girate alla grande e la sua reputazione era colata a picco, così come la sua credibilità. Poveri Corvacci. Senza capitano. Una vera ingiustizia. Non che le fottesse del campionato ma quella chicca, ricordava che aveva contribuito a metterla di buon umore. Umore che raggiunse il massimo della felicità quando, una volta per tutti, la spilungona si era levata dai coglioni definitivamente. “Doveva essere capace di numeri inimitabili, per essersi accaparrata l’esclusiva.” Poveri noi! Non c’è più religione! “No! Non voglio saperlo!” Inorridì improvvisamente, al solo pensiero si irrigidì e non per la gelosia ma per il fatto che stavano oltrepassando un limite che no, era giusto non oltrepassare. Mai. Ci teneva a quel ragazzo e, in un certo senso, avrebbe voluto vederlo sistemato una volta per tutte con una ragazza alla sua altezza e non alla prima sciacquetta desiderosa di svendersi al miglior offerente. Un nome l’aveva in mente ma, d’altra parte, non era ancora giunto il momento di esporre le sue tesi non troppo errate, in fin dei conti. Almeno, non dal suo punto di vista. La situazione appariva ai suoi occhi chiara come il sole ma… tempo al tempo.
    E no! Stop. Strada interrotta. Divieto di accesso per l’amor di Merlino. Permettergli alcune libertà, dopo gli avvenimenti, le risultava impossibili. Si stava trasformando nel suo peggior incubo: stava diventando monogama. Di quali stregonerie era capace Knox? Accidenti. In ogni caso fermò la mano, evitando le successive –ed inevitabili- reazioni non proprio adeguate e riservate a un’altra persona. Lo allontanò, rendendo chiaro che vi fosse qualche cosa di diverso nel suo solito modo di fare sfacciato. “Lo prenderò come un complimento. Meglio strana che ordinaria!” Come la maggior parte delle ragazzine che albergavano tra quelle quattro mura, girovagando senza alcun obiettivo finale. Una tristezza infinita. Comunque problemi loro. “E va bene!” Si decise ad andare oltre alle scuse, buttate a casaccio per rimandare l’inevitabile, tralasciando anche quella condotta da coniglia. Per quale motivo poi? Mica si trovava davanti a suo padre. E meno male. Figlio di puttana! La sua mente fu portata a ripensare a quello stronzo ma, in un istante, tutto fu riportato sulla pista giusta, facendole ricordare il perché fosse lì, davanti a lui. Svelò il suo segreto, lasciando che la notizia franasse su di lui. Lo osservò ma la sua espressione rimase la stessa, come se non gli fregasse assolutamente niente di quello che gli aveva appena detto. ”Quindi?” Il sopracciglio fiammante (?) della verde-argento schizzò all’insù incredula –ma neanche tanto-. Quante volte aveva sostenuto di frequentare qualcuno e poi? Poi tanti buchi nell’acqua si erano succeduti. Uno di questi era stato formato dal Tassorosso che l’aveva umiliata l’anno precedente, andando a mostrare in pubblico la sua intesa con… neanche ricordava il nome. Ma una cosa la ricordava bene: la sua dannata casata. Corvonero. Ancora. Quelle ragazze sembravano essere state disseminate sul suo cammino, così, giusto per rompere i coglioni e farle saltare i nervi. Una bella rottura di cazzo, non c’era che dire. “Voglio che le cose tra noi funzionino.” Si lasciò sfuggire, in un flebile soffio, la realtà dei fatti. “Dico sul serio, Axel!” Nel suo sguardo, la serietà. Nessuna traccia di quell’ombra furba che spesso caratterizzava quel tipo di argomenti. “Proprio lui. A quanto pare ho un debole per gli sportivi!” Ironizzò, prima di posare le sue iridi sulla sua espressione dubbiosa. “Credi che non faccia per me?” Oh, davvero? Stava chiedendo il parere di Dragonov sui suoi affari di cuore? Ma cosa si era fumata?
    Nonostante questo pensiero, oramai si trovava a sguazzare in quelle faccende amorose, tanto valeva andare oltre e passare a ciò che, invece, lui le stava nascondendo senza ritegno. “Devi! O meglio, sarebbe gradito!” Esclamò, rispondendo alla sua domanda. “Sono pur sempre tua amica.” Vero o, almeno, lo sperava, dopo tutto quel tempo passato insieme. “Possiamo scambiarci informazioni, senza giudicare l’altro, no?” Era ciò che accadeva nelle più comuni amicizie. Che voleva sapere? Forse quel che vi era tra loro? Al falò di rientro li aveva baccati –così come il resto dei presenti- ad esplorarsi a vicenda, senza curarsi del fatto che sarebbero così finiti sulla bocca di tutti coloro che ne aspettavano solo una mezza per spettegolare invano e alle loro spalle. “Freya è mia amica.” Ci teneva ad entrambi e le sarebbe davvero piaciuto che tra loro vi fosse qualche cosa in più di una semplice attrazione fisica. Un giorno. Forse. “Cosa c’è tra di voi?” Concluse, accigliandosi, preoccupata che fosse solo un capriccio o un passatempo.

    Scusa scusa scusa scusa. TVB ma ora affonda tra le role v.v ciao!
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    mike
    L’amore travolto dalla gelosia diventa ostilità. L’ostilità si trasforma in odio e quest’ultimo in follia. Non poteva permetterlo. Conosceva alla perfezione quali sarebbero state le conseguenze di un atteggiamento poco sano ma, mai prima di allora, quel lato semi oscuro, aveva preso il largo. Si era ritrovata a provare fastidio. Certo. Come negarlo. Quando Axel l’aveva accantonata per seguire la biondina slavata, se ne era risentita. Alla stregua di una bimba alla quale avevano sottratto il suo giocattolo preferito. Un pensiero sciocco. Lei in primis non si sarebbe fatta scrupoli. Non vi era alcun tipo di sentimento. Attrazione fisica, un legame che somigliava a un’amicizia più che a un amore. Con Nathan? Tutta un’altra storia. Risultava complicato applicare la proprietà utilizzata nei confronti del libertino bulgaro. Ovviamente. Il distacco. La tolleranza nell’osservarlo mentre, ignaro, si interfacciava con un universo femminile pronto a soffocarlo nelle sue spire. Impossibile. Era giunta a questa conclusione proprio durante il falò, organizzato per celebrare –come se ce ne fosse bisogno- il ritorno tra i banchi di scuola. L’atteggiamento della Johnson non le era piaciuto. Quella sua propensione ad attaccarsi come una cozza a lui, la mandava ai matti. Anche per questo motivo aveva mandato in avanscoperta Freya, alla ricerca di risposte che confermassero la relazione tra la bionda leonessa e il taciturno Harris. Le buone nuove erano giunte e i suoi nervi sembravano aver trovato pace, evitando di schizzare via da sotto la sua pelle diafana. Una piccola, grande, vittoria a dirla tutta. Rimaneva il fatto che, durante la festa, si era cimentata in uno spettacolino di dubbio gusto, utilizzando il biondino dall’aria stralunata che, in fondo, aveva addirittura imparato a conoscere. Il suo putto personale. Riccioli d’oro in versione amante dei serpentoni. Colui che aveva deciso di prendere sotto la sua ala protettrice e trasformarlo, chissà, in una persona normale.
    Che aveva fatto di male? No. Lui non poteva minimamente conoscere il caos che regnava in quella testolina rossa. I film mentali. Le paranoie che sembravano più catastrofi. Finché, il tutto, sarebbe rimasto nascosto nelle profondità cavernose della sua psiche, beh, no. Niente di male all’orizzonte. Le sue iridi nocciola studiarono nel dettaglio la sua espressione, alla ricerca di una nota di seccatura sul suo volto. Il nulla. La sua espressione, ancora una volta, la spiazzò. Trasudava sincerità da ogni poro. “La stronza.” Ammise senza mezzi termini, abbassando lo sguardo, mostrando la vergogna che si era portata dentro. Avrebbe potuto muoversi diversamente. Ragionare sulla situazione, senza compiere passi falsi potenzialmente letali. Invece no. Si era lasciata travolgere dall’istinto, come sempre. Atti che, prima o poi, si sarebbero presentati sotto forma di karma, cogliendola nel sonno. Una giusta punizione per chi, come lei, peccava di diffidenza cosmica, anche verso chi dimostrava tutto il dimostrabile possibile. In ogni caso, data la domanda scagliata sull’impreparata verde-argento, prese ad interrogarsi su quali fossero stati i discorsi tra lui e Grace. Doveva essere stata lei ad informarlo della sua ambigua relazione con il bel Dragonov. Chi se no? Chi poteva avere interesse a gettarle fango e, così, insinuare dubbi nella mente del Grifondoro, se non quell’arpia dal volto fintamente angelico. L’avrebbe pagata. Cara. Un giorno le avrebbe restituito il favore, senza sconti di pena. Prese il coraggio a due mani e, con ostentata sicurezza, decise di imboccare il sentiero della verità. Così come giusto che fosse. Perché lui era lui e lei voleva lui, più di qualsiasi altra cosa al mondo. “Non da quando…” Andiamo, Diamond. Era pur sempre per la monogamia, una volta messa nel sacco, si intende. “… non dopo quella sera.” Quella notte era stata un qualche cosa di mai vissuto prima. Sapeva di non poter dare il solito peso che conferiva a tutte le relazioni occasionali che, di tanto in tanto, si concedeva giusto per scaldare il letto. Fino a quel momento, Rain, era sempre tornata da Axel. In lui riponeva fiducia, sì, ma sapeva bene che il sentimento non sarebbe mai sbocciato. O c’era o no. Nessuna via di mezzo quando in ballo vi erano emozioni forti. La sua voce risultò incerta, non a causa dei concetti proferiti ma per l’imbarazzo provato in una situazione completamente nuova, alla quale non si era mai nemmeno avvicinata. Aveva paura. Paura di amare. Paura di non essere ricambiata e delusa. Si trattava di un vero e proprio limite insormontabile che la bloccava. Non aveva neanche idea di come si vivesse una relazione esclusiva. Obblighi? Doveri? Dove stava la lista aggiornata degli atteggiamenti da mantenere per non rischiare il peggio? La confusione totale. Una sensazione di soffocamento che, però, riuscì a rinchiudere in un angolo remoto del suo Io, così da non sembrare quella pazza scatenata che, di lì a poco, avrebbe preso il sopravvento. “Non sarebbe un problema?” Lo stava domandando seriamente. Le interessava perché se lo avesse ferito, l’avrebbe uccisa. Si avvicinò e lui, con un gesto della mano, le scostò una ciocca di capelli, finita per caso davanti a quegli ipnotizzati. Si decise. Era giusto conoscere le intenzioni di entrambi e, sebbene fosse certa delle sue, ancora mancava un pezzo all’appello. La risposta più importante. Tirò un sospiro di sollievo. Musica per le sue orecchie. Non poteva chiedere di meglio a quel destino che, spesso, si era scagliato su di lei, così aggressivamente da lasciarla inerme. Una gioia era giunta. “Gli parlerò.” L’avrebbe fatto anche se già immaginava l’espressione accigliata del Serpeverde posarsi su di lei. “Il prima possibile.” Poteva starne certo.

    Finalmente scivolarono in quell’universo parallelo che tanto gli era caro. L’armadio senza fondò terminò, proiettandoli in quella che lei definiva isola felice. Lo era stata davvero per lei. I momenti bui non erano mancati e, ogni qualvolta sentisse il bisogno di rimanere sola con sé stessa, si rifugiava in quello spazio segreto. Lontana dagli occhi indiscreti del mondo, ritrovando l’equilibrio andato perduto. Sorrise senza farsi vedere mentre, Nathan, si aggirava per la stanza, così da potersi godere il panorama sotto diverse angolature. Per lo meno lo aveva colpito. Fece spallucce. “Te lo permetto.” Assunse un’aria fanciullesca. “Ma tutto ha un prezzo, mio caro. Lo sai?” Gli portò le braccia al collo, tirandolo a sé e posandogli un bacio sulle labbra. Casto come non mai. Come l’aveva trovata? Bella domanda. “In un giorno qualunque.” Stava giusto fuggendo da quell’idiota di Tassorosso. Lo stesso che l’aveva umiliata davanti all’intera scuola, portando al ballo la prima sciacquetta disponibile. Certo. Tipico comportamento di chi è consapevole di non poter avere di meglio. “L’ho scoperto insieme a una persona che non è più tra noi.” No. Forse si sarebbe fatto l’idea sbagliata. “Voglio dire, non è morta!” O, almeno, lo sperava con tutto il cuore, anche se non aveva mai più avuto sue notizie. “Se ne è andata.” Lasciando un grande vuoto, soprattutto in seguito a quel biglietto scritto di suoi pugno. “Eravamo alla ricerca di qualche cosa che potesse essere all’altezza delle nostre aspettative.” Stavano ficcando il naso non avrebbero dovuto. Quindi? Poteva essere considerato reato? Certo che no. “Ci siamo imbattute in ciò. Niente male, eh?” Denotava un certo fascino. Una prospettiva differente dalla solita. Proprio quello di cui avevano bisogno. Le rubò un bacio, prima di scappare. “Ehi!” Si finse offesa. “Credi che io nasconda qualche cosa di bello, quindi?” Perché no? Tutto era possibile. Non si trattava di un meccanismo di difesa qualsiasi. No. Mantenere le distanze era una specie di fissazione che aveva avuto sin da piccola. La motivazione andava fatta risalire alle modalità con le quali era stata cresciuta. In principio, i suoi genitori biologici, si erano rivelati una vera delusione. L’amore che avrebbero dovuto riversare su di lei, incondizionatamente, si era ridotto a qualche sporadico episodio. Un bacio sulla guancia. Una pacca sulle spalle. Niente di veramente importante. E poi? Poi se ne erano andati. Lei li aveva accettati, forse per natura ma dal loro tradimento, Rain, non era più riuscita a fidarsi pienamente di nessuno. Neanche di coloro che, mossi da compassione, l’avevano presa tra le braccia e confortata più di una volta. “Se dovessero ripristinarmi i dati di fabbrica.” In quel caso, forse, si sarebbe stato facile ripartire da zero. Ma che divertimento ci sarebbe stato? La sua reputazione da cattiva ragazza sarebbe andata a farsi fottere e sarebbero potuti arrivare a pensare di avere una chance di rientrare nelle sue preferenze. Giammai. Non scherziamo. Chi doveva entrarci ci era già entrato. I tutti i sensi. “Sicuro che non diverta te?” Domandò. “E poi dovresti sgomitare per avere la mia attenzione.” Come se fosse stato possibile. “Ti senti pronto a condividermi con la mondanità?” Che brivido insopportabile.
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    mike
    Alzò le spalle, come per voler sminuire quel piccolo segreto –che segreto più non era-. Poco le importava. Non aveva mai tenuto particolarmente a mantenere il riserbo su quella che era la sua natura. Per niente, se vogliamo essere precisi. Nessuno aveva mai espresso l’interesse nel conoscerla e, per questo motivo, non reputava necessario lasciar trapelare la verità. L’eccezione si era riscontrata proprio nel rapporto con Nathan. Lui sapeva. Lui capiva. Lui si batteva per mantenere in lei quell’equilibrio necessario ad impedirle di provocare vere e proprie catastrofi naturali. Le mancava. Avrebbe affrontato quella giornata in maniera differente, se solo fosse stato al suo fianco. Una sorta di protezione. Rain con Nathan si sentiva completa, protetta e voluta. Mai e poi mai si sarebbe sognata, volutamente, di farlo soffrire. Su questo punto, la sua amichetta, avrebbe potuto dormire sonni tranquilli anche se, per un istante, le venne voglia di controbattere a quella specie di avvertimento che uscì dalla sua bocca eccessivamente larga. Strinse i pugni, ingoiando il rospo. In fondo, nella sua visione della vita, stava solo proteggendo il Grifondoro, da una possibile sofferenza e, parlando della rossa, dietro l’angolo doveva pur esserci l’inculata. L’immagine che dava di sé, non era neanche lontanamente simile alla realtà. Le piaceva piacere. Certo. Come tutte le ragazze della loro età, poche cazzate. Eppure la parte sommersa era presente. Quella parte che lasciava emergere solo con coloro ai quali avrebbe consegnato la sua stesse vita nelle loro mani. Pochi ma buoni. Punti di vista. Lasciarsi andare, in ogni caso, era escluso. Mantenere quella facciata le assicurava una barriera tra lei e il mondo circostante e, seppur si stesse impegnando a migliorarsi, ancora la meta sembrava essere così lontana da spaventarla. Annuì. La sua espressione seria, sarebbe dovuta servire a porre un punto a quell’argomento che, se approfondito, avrebbe dato vita a uno scontro –visto il contesto- tra titani. Con che utilità? Quella di metterle una contro l’altro. Più di quanto già erano.
    Tornarono al punto di partenza dove, accigliata, le attendeva la despota per eccellenza, con quel suo sguardo artico da far accapponare la pelle. Andiamo. Tutto quel rigore. Le avrebbe fatto venire le rughe prima del dovuto e addio gnoccanza. La lezione proseguì con un’altra domanda a prova di idiota ma, a quanto pareva, l’ignoranza, in quel tratto di terreno, dilagava e anche potente. Dissentì, lasciando che la sua chioma oscillasse e, alla fine, rispose alla domanda nella maniera più congrua, attenendo che qualcuno si svegliasse dal suo lungo sonno. Oh. Proprio la sua compagna. Si voltò verso di lei, analizzando le informazioni che, di punto in bianco, aveva deciso di condividere con i presenti. Inarcò il sopracciglio quando un velo di imbarazzo la colse. Piccola cara. Accoppiamento. La scrutò dubbiosa, mentre la Lancaster la incalzava sul termine che stentava ad utilizzare. Ok. Forse un po’ dura ma, effettivamente, non vi era nulla di eclatante. Un puro termine in chiave tecnica. Nulla a che vedere con i numeri privati, sperimentati con l’Harris intelligente. Almeno aveva avuto buon gusto, da quel lato. Soffocò l’istinto di metterla ulteriormente sotto pressione e si limitò a scostare lo sguardo, puntandolo verso il loro obiettivo seguente.
    ”… sai controllare quella roba che fai?” Doveva immaginarselo. La curiosità era più che lecita in quella circostanza. Rispondere? Un modo come un altro per ammazzare il tempo, intanto che gli altri si cimentavano nelle loro stronzate. Magari ci scappava il morto. Ah, no. Ne aveva avuto abbastanza con la bionda faccia da culo, Dorothea Lovecraft, durante la sua straordinaria interpretazione nei panni del cadavere. Forse si era calata troppo nella parte. “No.” Breve e risoluta. Sarebbe stata una bontà divina se avesse potuto gestire la sua condizione. Invece no. Tutto lasciato al caso e, soprattutto, alla mercé di una giornata no e dei suoi nervi tesi. Che culo. “Mi succede durante specifiche condizioni fisiche e psicologiche.” Non aveva neanche idea di come spiegarlo. “Temevo per la nostra vita, poco fa! E puffff.” Mimò una specie di funghetto atomico con le mani. Diceva il vero. Niente più e niente meno. “Succede spesso quando sono incazzata.” E da lì aveva compreso che qualche cosa non andava in lei. Beh, se così si poteva dire. Tornò a fissare le coppie che una dopo l’altra si addentravano tra le braccia di quel labirinto che aveva tutta l’aria di essere una vera e propria arena, oramai. Pochi attimi e fu decretata la fine della prova effettuata dalla Serpe ciclata e l’asiatico che, a forza di spogliarla con gli occhi, l’aveva consumata. Voleva dire solo una cosa: era di nuovo arrivato il loro fottutissimo turno. Una rapida occhiata d’intesa e di nuovo via, immerse in quella natura selvaggia che, diciamocelo, non giocava affatto a loro favore. Elementalista un cazzo. La luna splendeva sopra le loro teste, rendendo ancora più difficile la visuale. “Pensa se fossi stata una mannara, Johnson!” Commentò sarcastica. Certo, dovevano essere sotto l’effetto di qualche incantesimo, ma la cosa avrebbe davvero assunto una nota comica. La punzecchiò ancora un po’ sull’argomento che, da quel che poteva comprendere, non andava a genio alla sua compagna di avventura. Eppure sembravano così legati. Carini. Innamorati. Meglio per lei, tra l’altro. Almeno si sarebbe tenuta alla larga da Nathan. Non amava avere concorrenza da sbaragliare. Che male c’era prediligere una strada spianata? Insomma, si trattava pur sempre di una mente semplice. Come no. “Prego!” Piazzò un sorriso falso, uno dei suoi migliori, prima di tornare a concentrarsi sul loro operato o, almeno, sull’idea.
    “L'Avenseguim? Non funzionerebbe.” Tagliò corto. Per usufruire di quell’incanto era necessario possedere un oggetto appartenuto a colui che si trovava disperso. A meno che non avessero trovato i suoi escrementi, non avrebbe funzionato la sua idea.
    “Sto solo cercando di fare conversazione.” Mettendo da parte l’astio, sempre presente nei loro precedenti incontri. “O forse voglio solo conoscerti meglio.” Replicò secca. Non vi era ombra di presa per il culo nel suo tono. Si trattava pur sempre di una persona cara a Nathan e, forse, uno sforzo lo meritava. “Siamo in una fase di elaborazione. Sai, l'accettazione?” Minimizzò. Conosceva bene il punto di vista di Grace. La credeva una facile e il suo commento lo confermò. “Oh, no! Lui funziona molto bene.” Avrebbe dovuto farsi un giro. “Ma sono innamorata di un’altra persona! Di Nathan.” Cosa? Che cazzo aveva appena detto? “Voglio dire. Vabbè. Ma perché non ti fai gli affari tuoi?” Arrancò, mentre la sfumatura più intima dell'imbarazzo andò a colorarle le gote.
    Quel che avvenne dopo fu un gran casino. Stava di fatto che, dopo le maniere buone, giunsero quelle pesanti e il Mooncalf fu nelle loro mani.

    Si dimenava. Troppo per i suoi gusti. Si affiancò a Grace e con tutta la forza necessaria, tentò di inibire i movimenti epilettici di quel vitello dagli occhi troppo grossi. “E piantala per l’amor di Merlino.” Commentò con non poca agitazione. Che cazzo sarebbe successo da quel momento in avanti? Tutta una grande incognita. Si guardò in giro, come per cercare una via di fuga. Il loro obiettivo era pur sempre quello di portare fuori dal labirinto, sano e salvo, occhi belli. Insomma. Chi ben comincia doveva pur essere a metà dell’opera. Era proprio la restante metà che, però, arrecava un’insensata preoccupazione nella verde-argento. L’oscurità. La presenza di quella vegetazione che, a tratti, forniva delle strane ombre di diversa dimensione. Un senso di inquietudine crebbe in lei quando, a pochi passi da loro, notò una figura alquanto difficile da descrivere. Ridusse i suoi grandi occhi color nocciola a due piccole fessure, cercando di percepire le fattezze di quella che sperava fosse frutto solo della sua immaginazione. Una speranza che si infranse nello stesso momento in cui, improvvisamente, la creatura balzò fuori dal suo nido fatto di tenebra. “Porca troia!” Sfogliò mentalmente le nozioni che possedeva in merito alla materia e si accorse dell’immensa valanga di merda che, di lì a poco, si sarebbe rovesciata sulle loro misere vite. “Hodag a ore tre!” Annunciò, per niente felice della novella. Quella faccia da rospo non era altro che il predatore per eccellenza del povero vitello dal cervello poco sviluppato. Sì, dai. Non doveva brillare di intelligenza per diventare il cibo di un cazzo di anfibio così orrido, poi. Dovevano andarsene da lì. Più veloci della luce e portare fuori da quella trappola di sterpaglie quella bestiola indifesa. Sì. Peccato che coso non fosse poi così semplice da trasportare. Anzi. Per niente. “Dobbiamo andarcene!” Ma per farlo. Una lampadina le si accese nella testa. Strinse la bacchetta nella, finalmente, libera mano destra e si adoperò a lanciare un incantesimo che riducesse le dimensioni del loro carico. Grazie, Occamy. L’aggiusta spazio per eccellenza le aveva dato una piccola ispirazione. Prima che potesse proferire parola, però, il cacciatore (?) prese ad avanzare verso il Mooncalf ad una velocità impressionante. “NON TI PERMETTERE, PICCOLO BASTARDELLO!” Perentoria. Si scostò di lato trascinandosi appresso Grace e l’amichetto. “Reducio!” Finalmente il peso si alleggerì e tutto sembrò meno assurdo e complicato. “Grace! Tutto tuo!” Si ficcò il mini Mooncalf nella tasca della divisa e prese a correre, decisa, verso un punto indefinito del labirinto, lì dove era convinta di trovare l’uscita. O forse no. Ricordò ciò che le aveva suggerito la sua compagna pochi attimi prima. Mantenere la destra. Perché no? Tentare era l’unica cosa che potevano fare. “Cerco l’uscita. Conto su di te. Tienicelo alla larga!” Era la prima volta in assoluto che Rain, di sua spontanea volontà, si affidava a qualcuno che non rientrava nella cerchia delle sue conoscenze più strette, quelle alle quali si affidava solitamente. “Ma stammi dietro.” Prese a correre, prestando particolare attenzione a mantenere l’equilibrio, evitando cadute che, primo, l’avrebbero rallentata e, secondo, avrebbero messo in pericolo la salute un Moon di quelle dimensioni. Se fosse franata sul malcapitato con tutto il suo peso, sarebbe diventato un paté invitante, pronto da consegnare alle papille gustative dell’Hodag. Si assicurò di essere abbastanza lontana dal luogo dello scontro e si voltò indietro. Ringraziò Morgana di poter vedere ancora Grace alle sue spalle, intenta a duellare. Improvvisamente accadde qualche cosa che la impietrì. Una vampata. “Che cazzo? GRACE? STAI BENE?” Non poteva essere. O si? Beh, non era di certo il momento adatto per pensieri che non avessero nulla a che fare con il salvataggio di coso. Avrebbe rimandato. Uno spiraglio. Un bagliore. Sì. Doveva essere il sentiero esatto. “Ci siamo quasi!” Ti prego, resisti e non farti cavare un occhio, Johnson!

    Rain Scamander - IV anno - Serpeverde.
    Interagisce con Grace. Risponde alla domanda della prof. Attende impaziente il turno suo e di Graziella e alla fine entra. Tornano a sparlottare e a farsi unghie e treccine e alla fine affrontano faccia da rospo. O meglio, Rain si adopera a cercare l'uscita, lasciando nelle mani di Graziella il duello con la bestiaccia.


    Edited by acid rain. - 27/1/2024, 19:16
  5. .
    mike
    Strane alleanze. Grace non era di certo la persona a lei più affine. Fino a prova contraria, però, l’obiettivo comune avrebbe, quantomeno, spinto le ragazze a collaborare per portarsi a casa con successo quella lezione che aveva tutti i requisititi per rivelarsi più ardua di quello che avevano preventivato. O forse no. Rain credeva in sé. Un po’ meno nella compagna ma, comunque, comportarsi da idiota non avrebbe giovato a nessuna delle due e poi vi era sempre tempo per lasciarsi sopraffare dall’intolleranza. Sì. Fuori dall’ambito scolastico, quando il suo voto sarebbe stato sano e salvo, magari scritto ordinatamente nel suo fottutissimo curriculum. Dopo alcuni brevi battibecchi, le forze si erano unite e l’uovo era stato recuperato. Nel farlo, però, la verde-argento, trasportata dall’impeto, si era avvalsa di uno sprazzo di magia involontaria. Incontrollabile. Uno dei suoi frequenti episodi che dimostrava la sua scarsa inclinazione a mantenere la calma. Il muro di rovi si era innalzato davanti ai suoi occhi e a quelli della partner in crime di quella giornata assurda, sollevando possibili dubbi sulla natura di quell’accadimento. Sbuffò. Non aveva alcun interesse nel raccontare, da capo, la sua storiella patetica di come avesse scoperto quella sua particolarità e di quanto, ciò, l’avesse convinta di essere un mostro. Una persona diversa dalle altre. Qualcuno da tenere alla larga. Insomma. La sua immagina ne avrebbe risentito. Specialmente davanti a colei che già, senza quell’informazione, la vedeva come un individuo molesto, evitabile ed affetto da una superficialità così grande, da arrivare a pensare addirittura che si fosse già stancata del suo amico. Neanche poteva immaginare di quanto, su quell’argomento, fosse fuori strada. Ma, in fondo, che poteva sapere? Chiunque avrebbe creduto a ciò che vedevano con i propri occhi. Non poteva di certo biasimarla. Se solo si fosse presa la briga di fermarsi e comprendere cosa si nascondesse dietro a quella facciata, forse, sarebbe giunta ad un conclusione differente. Chissà. La verità, però, stava proprio nel fatto che non le importava di quello che pensava la gente. Tantomeno una ragazza che neanche aveva idea di chi avesse davanti. “Magia involontaria!” Esclamò con indifferenza. Quasi per voler sminuire un argomento che, spesso, la metteva davanti a una realtà dura da accettare. “Sì.” Il suo tono di voce si fece serio e decise, comunque, di condividere quella che era stato il suo primo approccio con quella connessione particolare all’elemento terra. “Si è manifestato all’improvviso.” Un giorno come un altro per molti. IL giorno, per lei. “Durante la lezione della Vane. L'anno scorso!” Il piccolo terremoto avvenuto sotto i suoi piedi l’aveva colta alla sprovvista. Tutta colpa di quelle sfere di merda, nelle quali aveva visto il suo passato. La stessa sfera che, poi, aveva incontrato la sua fine sul pavimento, rompendosi in mille pezzi. Lo sgomento che ne era derivato l’aveva interdetta per qualche istante. Da lì aveva avuto inizio la sua lotta nel trattenere quel potere, così come quella di moderare le sue reazioni, evitando delle vere e proprie calamità naturali che avrebbero attirato troppo l’attenzione. “Un terremoto.” Una robetta da niente. Una piccola scossetta senza danni. Uscite da lì, la Grifondoro consegnò l’uovo alla professoressa che, immediatamente, lo depositò accanto agli altri per poi dare le spalle alle due, lasciandole lì. Che si aspettavano? Un premio. Andiamo. Con quello sguardo assassino, potevano ringraziare di essere uscite vive da quel coso. Fuori dal radar dell’insegnante, la rossa, ebbe il tempo per avvicinarsi ancora di più alla bionda, con la quale condivideva lo spazio a causa del loro legame magico, voluto dalla Signora Suprema. “Nathan mi interessa realmente!” Sospirò a bassa voce, protendendosi verso il suo orecchio, così che potesse ricevere quel messaggio forte e chiaro, senza alcuna interferenza. “Non è un capriccio come credi!” Non aveva idea del perché sentisse il bisogno di farglielo sapere. Neanche le importava. Agì d’istinto, come d’abitudine e il risultato fu quello. Si lasciò alle spalle le confidenze e passò oltre, con il prezioso aiuto della Lancaster che, intanto, si adoperava a cambiare scena. Puntò la bacchetta verso l’oggetto del mistero e lo scoprì, dando modo di potersi scontrare con una figura impaurita e tremante. Un Mooncalf. Alzò la mano, da brava sotuttoio e rispose alla domanda. “Si tratta di un esemplare di Mooncalf. Classificato dal Ministero come due X. Addomesticabile e timida a quanto pare.” Conosceva bene il comportamento di quella bestiola innocua e doveva ammettere che quel musino sarebbe potuto rientrare nelle sue grazie, solo se avesse deciso di collaborare, ovviamente. Attese ulteriori informazioni e, con sua grande sorpresa, presa da uno slancio di buon cuore –se così si poteva chiamare- l’austera insegnante, sciolse i polsi delle ragazze. “Non se ne pentirà, Professoressa.” Rispose con cortesia, poco prima che spiccasse il volo. Si massaggio il polso destro e sistemò la bacchetta nella posizione che le competeva e il turno, un po’ amareggiata ma con un’idea già bella che stampata nella sua mente. Una specie di strategia a patto che le condizioni di vita all’interno di quella spazio potenzialmente mortale lo permettessero “Catturare un Mooncalf.” Il sopracciglio schizzò all’insù. Dubitava fortemente che la Dottoressa, con anni e anni di esperienze in torture –sì, si era fatta quell’idea di lei- si sarebbe limitata a farli entrare in contatto con quel piccolo vitello dai grandi occhioni imploranti. Vi doveva essere qualche cosa sotto. L’obiettivo non era di certo quello di farli andare per campi a raccogliere margherite, come fossero la Vispa Teresa. Andiamo. Tenne per sé l’idea, non aveva alcuna intenzione di portare negatività nella coppia. Il divorzio non sarebbe stato contemplato per il momento.-

    Entrarono fianco a fianco. Con circospezione. Alzò lo sguardo e sorrise. Quella donna? Un fottuto genio. La luna piena brillava sopra le loro teste, quasi come fosse la protagonista indiscussa di quella faccenda. Effettivamente era proprio grazia alla sua presenza se, in un modo o nell’altro sarebbero entrate in possesso del Mooncalf, vista la loro bizzarra abitudine di girovagare proprio durante il plenilunio. Manco fossero dei dannati cani mannari. Si guardò indietro e osservò l’entrata svanire sotto i suoi occhi castani “Una passeggiata forzata al chiaro di luna, eh?” Commentò sarcastica. Certo, avrebbe preferito un altro tipo di compagnia ma sarebbe stata una lamentela sterile e, con tutta probabilità, Harris sarebbe stato apprezzato di più da Grace. Ma, ahimè, il destino le aveva volute lì. Insieme. “Molto romantico.” Magari era avvenuto un colpo di fulmine in una delle altre coppie. In quel caso, avrebbero potuto approfittare dell’occasione. O forse no. Certo che no. Là, da qualche parte nell’oscurità, si nascondeva un tranello. La Lancaster. Con il suo sguardo pietrificante. Chi avrebbe avuto il coraggio anche solo di scambiarsi una mezza effusione. Rabbrividì al solo pensiero della fine che avrebbero potuto fare. “Non sono Harris.” Fece spallucce. “Begli occhi il tuo ragazzo, comunque! Fate una bella coppia! Potreste generare dei figli bellissimi.” Disse distrattamente mentre si accingeva a voltare l’angolo. Qualche cosa le diceva che si trattasse della direzione giusta da seguire ma, immediatamente, si dovette ricredere. Una strada senza uscita. “Fanculo.” Possibile che non andasse mai per il verso giusto? Quel labirinto iniziava a darle su i nervi. Si voltò di scatto e si guardò intorno, alla ricerca di qualche segno che potesse suggerirle il da farsi. Inutile. Socchiuse gli occhi e riprese a riflettere. “Ok, proviamo di qui?” Svoltarono ancora. E ancora. Tante. Troppe volte. Fare conversazione. Quello avrebbe allentato il suo disagio. “State insieme da tanto?” La domanda giunse mentre, con lo sguardo, continuava a cercare la via, rimanendo leggermente indietro e seguendo la rosso-oro tutta affaccendata quanto lei. Finalmente, dopo mille peripezie, si trovarono in un luogo differente da quelli che avevano percorso. Piccoli corridoi che le avevano condotte al centro della struttura pensata a puntino proprio per la loro prova. Quel punto doveva segnalare il centro del labirinto. Durante il tragitto si era prodigata più di una volta ad affacciarsi di qua e di là per cercare quel musino carino ma, ogni volta, si era rivelato un buco nell’acqua. Dove stava quel dannato? Posò lo sguardo dubbioso sulle roccia a pochi passi da loro e… “Grace!” Fu la prima volta che la chiamò per nome, tralasciando la sua abitudine nel tenere a distanza le persone attraverso il piccolo stratagemma di rivolgersi a loro chiamandole per cognome. “Ho un’idea.” La prese per mano e la portò nei pressi di quella pietra informe. “I Mooncalf ballano. Si pensa che sia una specie di preliminare di accoppiamento.” Doveva avere capito. “Avanti.” Se fossero riuscite a catturarlo con le buone, tutto di guadagnato, no? Non aveva alcuna intenzione di usare le maniere forti. Fino a un certo punto, s’intende. “Balla. Cerca di essere convincente.” Prese a muoversi al ritmo di una musica invisibile. Imitando i movimenti che ricordava di aver visto in qualche libro della biblioteca. Doveva ammetterlo: si sentiva fuori luogo e decisamente costretta a porre in essere un atteggiamento che, se portato alla luce, avrebbe rovinato letteralmente la sua immagine così importante per lei. Poco male. Al momento le sembrava l’unica soluzione. “Muovi quelle anche!” Passo dopo passo. “Fallo innamorare di te!” Che cazzo era diventata? Una di quelle stupide idiote che i babbani chiamavano life coach. Che brutta fine. Ma. Eccoli lì. Luce in fondo al tunnel. Nell’oscurità lo vide. Un lampo. Ma ne era certa. La creatura si era interessata alle movenze delle due giovani donne. “Allora hai buon gusto!” Delfino curioso. Ghignò. Peccato per le loro cattive intenzioni ma che potevano fare? Sottrarsi al dovere? Giammai. Arrestò la danza e puntò la sua preda, come fosse un animale feroce pronto a colpire e a sfamarsi. Ok. Forse un po’ troppo bruscamente. Il Cosino si fece indietro e prese a correre via, impaurito. “NO!” Prese a correre sulla scia di quel fifone. I nervi cominciarono a risentire. La frustrazione non sarebbe stata l’alleata adatta per portare a termine quella missione. Eppure, si sa, la Scamander non era famosa per la sua tolleranza. “Basta! Addomensticabile un cazzo!” Decretò la fine del suo rapporto amicale con quella creatura che, ora, avrebbe potuto addirittura schiacciare sotto il peso del suo corpo, pur di portarsela a casa. La fuga fu breve. La bestiola si trovò in un vicolo cieco. La mano destra, questa volta libera, andò a parare sul legno candido della sua bacchetta di pioppo, sfoderandola di prepotenza. La strinse forte e si concentrò sul bersaglio in movimento. Consapevole della precisione e della rapidità che avrebbe dovuto utilizzare per beccarlo. “Jutem!” Una scintilla si sprigionò. Non aveva nessuna intenzione di perdere ulteriore tempo dietro a quel coso pauroso. Poteva bastare. Quel melodramma sarebbe terminato. Prima di subito a meno che...

    Rain Scamander - IV anno - Serpeverde.
    Interagisce con Grace. Risponde alla domanda della prof. Attende impaziente il turno suo e di Graziella e alla fine entra. Si perdono in chiacchiere non solo. Alla fine arrivano al centro del labirinto e Rain ha un'idea geniale (ssssseh) alla fine quando vede che non funziona, si altera un pochino e cerca di catturare il Mooncalf con metodi non proprio ortodossi u.u Sorry not sorry.
  6. .
    mike
    I convenevoli. Il male del mondo. Perché sforzarsi tanto per interagire con persone che, in fin dei conti, mai e poi mai sarebbero rientrate nella rosa dei favoriti? Una totale perdita di tempo. Roteò gli occhi e, finalmente, poté lasciarsi alle spalle quella fatica superflua, andandosi a concentrare su argomenti di un’importanza superiore: quelli provenienti dalla bocca della Professoressa Lancaster. ”Una manticora…” lo sguardo color nocciola della Scamander s’illuminò d’immenso. Quella donna. Quella dannata donna. Stava catturando la sua attenzione, sollevando in lei dubbi e domande che, prima o poi, avrebbe dovuto sanare. In qualche modo. Da buona orfanella, forse, l’avrebbe convinta ad adottarla. Sarebbe bastato allenarsi un po’ nei pianti. Uno qui e uno là. Ben assestati e, chissà. Fare centro nel suo cuore, ad occhio e croce, pareva pressoché impossibile. La sua aria austera, a tratti, riusciva a metterla a disagio. “Interessante!” Commentò in un sussurro. Lavorare a stretto contatto con quel tipo di pericolo, senza dubbio, aveva il poter di far sentire vivi e la sua aspirazione la spingeva proprio in quella direzione, forse mossa dalla semplice ingenuità. Eppure no. Non le importava un cazzo. L’estate appena giunta al termine l’aveva posta davanti a uno di quei pericoli potenzialmente mortali ma, senza alcun ripensamento, si era buttata a capofitto verso l’ignoto. Stupida idiota. Allontanò malamente i pensieri che attanagliavano la sua anima e decise di rimandare il tutto a tempo debito quando, inevitabilmente, si sarebbe trovata a dover affrontare il suo destino, anche contro il suo volere. Poco importava. Una presenza. Un’oscura pre… ah, no. Si accorse improvvisamente che un ragazzo, a pochi passi da lì, aveva posato i suoi occhietti asiatici su di lei. Gli riservò una specie di sorrisetto compiaciuto e alzò la candida manina, mimando un “ciao” con la bocca. Carini. Così giovani e così attratti dalle ragazze stronze ed inavvicinabili. Quelle anime pure. Incorreggibili. Quanto desiderio ardeva in loro. Quanto avrebbero voluto essere traviati verso lande più interessanti. Stava divagando e non poteva permetterselo. Assolutamente. Tornò a focalizzarsi sulla figura autoritaria davanti a lei che, come da manuale, prese ad avanzare quesiti più che pertinenti e che, con un po’ di buona memoria, sarebbero stati liquidati in pochissimi attimi. Certo, se solo avesse deciso di resistere all’impellente bisogno di sottolineare quanto la biondina Grifondoro –per lo più amica di Nate-, le stesse sullo stomaco. Una battutina. Innocente. Sì, insomma! Sarebbe potuta essere molto più cattiva ma, con estrema gioia, si rese conto di essere andata a segno e, ehilà, non solo per quanto riguardava il suo target. Le sue labbra si piegarono in un sorriso maligno. Molto maligno. Lanciò un’occhiataccia all’avvocato del diavolo e poi rilassò i muscoli del viso, tornando ad osservarle con assoluta indifferenza, la stessa che provava nei confronti di quasi tutta la popolazione del Castello che, sfortunatamente per loro, li voleva sotto lo stesso tetto ancora per anni. Ops. Forse sarebbero finite tutte in terapia, chissà. Una bella scommessa. “Dici? Credo che qualcuno non la pensi esattamente come te!” Più di qualcuno, se avesse voluto puntualizzare ma rimase umile. Mostrò un sorriso tirato. Falso. Uno dei suoi migliori, prima di voltare la testa verso il Prefetto verde-argento. Perplessa più che mai. Tutto quell’astio verso la sua amabile persona? Quale avvenimento aveva avuto luogo, così grave, per aizzare la Crain? Certo, a volte le bastava respirare per portare scompiglio in quella società abituata alla pace e all’amore. Ma no. Non riusciva a comprendere quale fosse la causa scatenante di quell’avversione. Forse stava in quel periodo del mese ma ciò non le dava il diritto di rivolgersi a lei con quell’arroganza. Gratuita. O forse si trattava solo, davvero, di voler difendere la sua amichetta. In quel caso, una ventata di tenerezza l’avrebbe pervasa, alzandole la glicemia ad un livello preoccupante e disturbante. Si portò una mano al petto, con fare melodrammatico, subito dopo aver incassato il commento sarcastico della moretta, dalla faccia perennemente imbronciata. “Mi ferisci!” O almeno, potresti farlo se solo mi interessasse la tua opinione! Un fendente dritto al cuore. Il teatrino durò troppo poco, avrebbe voluto cimentarsi in una o più scene drammatiche e, invece, la docente, pose fine al divertimento, richiamando all’ordine il pollaio. Lì dentro, in pochissimo, potevano vantare un senso dell’umorismo quantomeno accettabile. Che tristezza. Come previsto, del resto, Cosa poteva mai aspettarsi da quella gentaglia, se non una vita triste e monotona? ”Perché ti sta così antipatica quella ragazza… Grace?” Puntò l’indice sul mento, atteggiandosi da donna pensante. Che dire? Le motivazioni non erano poi molte. Si riducevano al suo ostentare quell’atteggiamento da salvatrice della patria. Intollerabile. Fece spallucce, sminuendo le eventuali ragioni. “Parla troppo.” O più semplicemente, credeva fosse una specie di polo opposto. Due rette parallele che non si sarebbero mai incontrate. Per quanto riguardava Vic, invece, rimase basita dal tentativo buttato lì dal biondino. La Crain l’aveva con lei. Dal suo punto di vista totalmente a caso. E se invece… Lasciando oscillare la chioma, Rain, si voltò furtivamente verso la ragazzina ciclata. E se… Uoooooo. Tornò a fissare il putto. “Credo tu abbia fatto centro.” Allora non in quella testolina, gli ingranaggi funzionavano realmente. Ben per lui. Gli posò la mano sulla spalla e la picchiettò delicatamente, come se il suo aiuto fosse stato utile a farla riemergere da qualche guaio. In realtà, alla luce di quelle nuove scoperte, il suo temperamento sarebbe drasticamente mutato, lasciando che la gelosia entrasse in gioco indisturbata. Una sana gelosia, certo. L’isteria l’avrebbe lasciata a coloro che, a quanto pareva, sembravano avere più dimestichezza con essa. In ogni caso, si rese conto di rischiare uno sconfinamento in territorio ostile e no, teneva al suo rendimento scolastico, metterlo a repentaglio per chi vendeva un’immagine di sé diversa dalla vera essenza che albergava in loro. Le risposte date ai suoi punzecchiamenti, ne erano state la prove inequivocabili. Dissentì con il capo e rivolse all’insegnante le sue più sentite scuse. Sincere.
    Le domande si susseguirono. Una dopo l’altra. La rossa non face altro che annotare mentalmente tutte le nozioni a lei sconosciute, nella sua attivissima mente. Lì, dove avrebbero riposato fino a quando, in qualche circostanza particolare, sarebbero servite a qualche cosa. Inarcò un sopracciglio quando, Aiden, domandò qualche cosa che aveva tutta l’aria di essere assurda. “Questa tua passione per i serpenti, comincia a farmi riflettere!” Nascondeva qualche cosa? Non che le importasse più di tanto, certo. Ma non amava aver a che fare con qualcuno, senza sapere chi fosse realmente. E lui era inquietante. In quel momento, più del solito. Altro argomento di secondaria importanza. Certo.
    Si mise a braccia conserte, cercando di immaginare quale creatura si trovasse al di là di quella struttura così… straordinariamente vegetale. Un punto a suo favore. Tra l’altro. Scostò lo sguardo solo quando percepì la possibilità sfumata di essere portati in una tomba. Faceva sul serio? Beh, qualcuno se lo sarebbe meritato. Seria. In silenzio. Elaborava una specie di strategia per giungere indenne alla meta, ovviamente senza ferire sua maestà Occamy cagatore di uova d’oro. Incassò un po’ meno bene la notizia di dover lavorare in una specie di società con… Cazzo! La sua espressione non mutò. Non si lamentò. Non le importava con chi e come. Una volta uscite da lì, nemiche come prima. ”… aumentiamo la posta, vi va?” Cambierebbe qualche cosa se rispondessi negativamente? Domandò tra sé, senza però spiaccicare una parola. Questione di un attimo. Il suo polso destro fu bloccato in una devastante mora al sinistro della Grifondoro. Abbassò le iridi su quel legame magico e si rese conto che in tutto ciò, la problematica più ardua da affrontare sarebbe stata la sua impossibilità di usare la mano predominante. La destra. Fanculo! L’ennesimo ghigno malefico. Si passo la lingua sua denti e sorrise sadicamente. “La questione si fa interessante!” Laconica. Quasi indifferente a quell’handicap che l’avrebbe comunque limitata.
    “Non farla lunga, Johnson.” Neanche si trovavano d’accordo sulla direzione da intraprendere per pensare a una strategia. Insomma. Chi ben comincia è a metà dell’opera dicevano.

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    L’ora X era scoccata. Il loro turno era giunto inesorabile ed, insieme, varcarono la soglia di quell’area organizzata appositamente per attentare alle loro inutili vite. Grace arrestò la sua camminata e, Rain, proiettata al fare in fretta, la strattonò. “Non abbiamo tutto il giorno.” Prese a camminare più veloce, infischiandosene delle lamentele provenienti dalla rosso-oro. “In questo momento, se non si fosse capito, il mio problema sei tu!” L’area, ad occhio e croce, presentava un’ampiezza considerevole e, come portatrice di sventura, avvertiva lo sguardo indagatore della Lancaster su di loro. Preoccupante, considerando il fatto che da lei dipendeva la loro riuscita o disfatta. Cercò di orientarsi. Ma come? Si trattava di un ambiente ostile, alla stregua della Foresta Proibita ma, grazie a Merlino, nessuna insidia le aspettava dietro l’angolo. Fatta eccezione per l’Occamy. Certo. Come scordare il bel serpentone. Le suole delle scarpe della divisa solcavano il terreno, lasciando impronte visibili e lasciandole uno spiraglio di speranza di poter tornare indietro, senza particolari problemi. Si trovava a proprio agio. La tranquillità di quel luogo, però, iniziava a risultare sospetta e i suoi sensi si sintonizzarono su una stessa onda. Incamerò aria e, improvvisamente, sentì un fruscio provenire dalla sua destra. Bruscamene arrestò la sua camminata e virò, infischiandosene della rotazione che avrebbe dovuto compiere la biondina. “Johnson!” La ammonì. “Pensa meno al tuo ragazzo e più a muovere quel culo!” Harris sarebbe stato ancora lì. Loro forse no. E Rain non avrebbe esitato. Tra lei e Grace, avrebbe salvato sé stessa in caso di difficoltà. Poche stronzate mielose. “Ti ho fatto male? Ops.” Il sarcasmo uscì e smorzò la tensione che, sotto sotto, iniziava a farsi largo in lei, soffocando la fiducia in sé stessa e in quell’altra. “MI STAI FAC…” Non fece in tempo a terminare la frase. I suoi piedi urtarono quello che doveva essere una radice superficiale e barcollò, trascinandosi appresso la compagna. “Sei stata tu!” La accusò. Aveva percepito lo strattone. Ne era certa. “Quanto sei fastidiosa!” Non riusciva a comprendere cosa ci trovasse Nathan in quella ragazzina troppo loquace per i suoi gusti. Amica. Come no. I toni si alzarono. I battibecchi divennero così evidenti che, di lì a poco, correre sarebbe diventata l’unica loro salvezza. Un fruscio. Ora più forte. Si guardò intorno, avvicinando a sé Grace. Dovevano esserci. Il nido del fantomatico uccello/serpente non doveva essere così lontano. E quanto avevano camminato? Non ne era certa. Aveva perso il conto della distanza e del tempo trascorso dalla loro entrata. “Siamo nella merda!” Il pericolo. Era lì dietro l’angolo. Pronto ad attaccarsi a loro come una fottuta sanguisuga. Ed infatti. “Eccola!” Dava per scontato che fosse una femmina, visto il temepramento. Estrasse la bacchetta con la mancina, così per precauzione. Sapeva bene di essere menomata da quel lato ma tentare non avrebbe fatto male. O forse si. Si spostò a sinistra e quella mamma gelosa, le inseguiva senza sosta. Diretta e ligia al proprio dovere: quello di proteggere il proprio tesoro. “Stronza isterica!” La possibilità di uno scontro diretto era molto alta. Lo sapeva sin dal principio ma non riusciva a credere che potesse essere così reale. Panico. Totale. Stava per aprire bocca quando sentì la paura pervaderle ogni singola terminazione nervosa del suo corpicino. I nervi saltarono e la sua incolumità, insieme a quella di Grace, era in grave pericolo. No. Sentì una forza crescere in lei. Una forza che conosceva molto bene. Le sue mani presero a bruciare e la sua testa si concentrò su un unico obiettivo: salvarsi. Dal nulla, proprio a pochi passi dalla loro postazione, un muro di rovi si interpose tra loro e la creatura che cercava di raggiungerle, imprigionandola momentaneamente. Era stata lei. Il suo potere si era rivelato sotto forma di ostacolo utile a rallentare l’Occamy incazzato ma, di certo, non sarebbe bastato a tenerlo a bada il tempo necessario per sottrargli l’oggetto del loro desiderio. Questo Grace sembro comprenderlo anche se, ne era certa, le domande iniziavano ad annidarsi in quel cervellino da leonessa. Annuì, in un tacito armistizio che sarebbe durato fino alla fine della prova. Insieme puntraono la bacchetta verso la gentil bestiola. "Immobilus!" Fu costretta a prestare molta attenzione al movimento della sua bacchetta, in quanto mossa dalla macina e non dalla sua mano predominante. Per questo fu grata alla Grifona quando capì le sue intenzioni. La bionda puntò la sua arma contro il coso squamoso e lo pietrificò, ponendo fine alle sue mosse assassine contro di loro. Si avvicinarono all’uovo: “Tienilo tu.” La esortò, cercando di non incontrare il suo sguardo, temendo domande scomode ma, oramai, tanto valeva ammettere la realtà. “Sono elementalista di terra, se è questo che ti stavi chiedendo.” Fece spallucce, sminuendo la condizione nella quale versava. “Possiamo tornare con calma! Il bestione starà nel mondo dei sogni per qualche ora!” Tutto sommato non era andata così male, no? Ma la lezione non era ancora giunta la termine e gli occhietti malefici dell’insegnante, ancora, pendevano su di loro come una fottuta Spada di Damocle. "Ottimo lavoro, comunque!" O forse no. Almeno era stato divertente.

    Rain Scamander - IV anno - Serpeverde.
    Interagito con Grace, Vic e Aiden. Salutato Yuki da lontano.
    Inizia l'esercizio. Si scanna un po' con Graziella, facendo battutine. Le loro voci celestiali attirano l'Occamy ed insieme lo attaccano (?) senza fare male a quel povero cuore. Si prendono l'ovetto e se levano dal caz <3 baci e abbracci.
    Addio <3
  7. .
    mike
    Si sentiva nervosa. Agitata. Stava per fare qualche cosa che non aveva mai fatto prima. Totalmente impreparata. In balia di dubbi esistenziali, lancinanti e pericolosi per una come lei, da sempre convinta di avere il coltello dalla parte del manico. Inutile puntualizzare. La faccenda stava sfuggendo di mano e la fragilità derivata, sì, la spaventava a morte. Quanto avrebbe voluto fingere indifferenza. Era sempre stata brava a mostrarsi frivola, menefreghista –a tratti narcisista-. Che era accaduto? Aveva sentito parlare delle famosissime cotte adolescenziali. Spesso si era intromessa nei discorsi di quelle povere ragazzine succubi del concetto di amore, sputando sentenze non richieste e suggerendo loro di farsi una scopata liberatoria. Facile, no? Il suo castello, dopo la breve frequentazione con Nate, si era disintegrato, travolgendo la vecchia lei e lasciando spazio a una persona nuova, sconosciuta e fin troppo seria per i suoi gusti. Tanti erano stati i cambiamenti e non solo dal punto di vista emotivo/sentimentale. L’estate le aveva lasciato un retrogusto amaro, proiettandola in una realtà drasticamente diversa da quella alla quale era abituata. I suoi genitori biologici le davano la caccia. Quelli adottivi, invece, si trovavano da qualche parte nel mondo, probabilmente sottoterra e privi di vita. Si era ritrovata sola, dall’oggi al domani. Senza neanche poter lottare per ripristinare quell’equilibrio perduto per sempre. Sospirò e terminò la sua corsa disperata verso l’unico luogo che, con estrema naturalezza, riusciva a considerare come una vera e propria seconda casa. Il suo rapporto con l’ambiente scolastico era stato conflittuale ma, dopo mille peripezie, era riuscita ad entrare nel sistema e, senza particolari problemi, a scalare la vetta della classifica degli studenti più brillanti. Sapeva cosa si diceva sul suo conto ma, d’altra parte, come si soleva dire: non ti curar di loro ma guarda e passa. Non che fosse facile ma non lo trovava neanche così arduo, grazie al suo modo di porsi nei confronti della plebe. Una volta giunta a destinazione si guardò intorno, pregando tra sé e sé di poter passare i minuti successivi in una bolla di tranquillità. Un universo parallelo che l’avrebbe protetta dagli eventi negativi e tedianti. Allo stesso tempo, la rossa, si trovava consapevole di una cosa, ossia di dover trovare il coraggio di parlare ad Axel di una certa cosa. Come avrebbe reagito alla sua confessione? Sarebbe stato felice per lei? Avrebbe finto che non fosse mai esistita? Lei stessa si era risentita quando, il bulgaro, si era dedicato alla sua amichetta bionda. Perché per lui sarebbe dovuto essere diverso? In ogni caso avrebbe accettato qualsiasi responso, non essendo nella posizione adatta per dettare legge. I suoi occhi percorrevano ogni centimetro della Sala Comune quando, in un angolo remoto, scorse l’imponente figura dell’oggetto dei suoi pensieri. Il momento era arrivato. Non le restava altro se non fare ricorso a tutto il suo sangue freddo, affrontando a muso duro la circostanza. Lo agguantò da dietro, circondandogli la vita con le esili braccia, immediatamente sovrastate da quelle possenti del ragazzo che, come sempre, non si fece trovare impreparato. Che fosse l’istinto fin troppo allenato, o qualche altro motivo a lei oscuro. Il moro, però, sembrava in perenne allerta. Poco male, avrebbe evitato problemi inutili alle coronarie. La accolse con un sorriso che e fece salire ancora di più l’ansia. Era davvero pronta a lasciarlo andare a favore della monogamia? Gli estremi sembravano esserci tutti. Dalla A alla Z. Se fosse un bene, beh, l’avrebbe scoperto in itinere, dopo le prime litigate o i primi problemi di coppia. “Bugiardo!” Replicò fintamente scettica. Che non fosse al centro dei suoi pensieri era più che assodato ma, per qualche assurdo motivo, sembrava realmente interessato a lei. Un interesse che aveva tutta l’aria di una potenziale amicizia. Con benefici, ok. Ma pur sempre amicizia. Il suo tono tradiva il suo tentativo di accondiscendenza, nonostante il divertimento. Una strana danza ebbe inizio e, finalmente, si trovarono faccia a faccia, come in un giorno qualunque, caratterizzato da gesti che avevano assunto una nota abitudinaria. Le sollevò il mento e posò le labbra sulle sue che, prontamente si serrarono. Un comportamento atipico che non sarebbe passato inosservato. Si allontanò quel tanto che bastava per ritrovare la cognizione di causa per continuare sulla retta via ma, d'altra parte, la montagna avrebbe comuunque avuto la meglio. Inutile sarebbe stato ribellarsi al suo volere di raggiungere la poltrona. Lo lasciò fare, fingendosi indispettita “Scusa.” Tossì forzatamente, sfociando nel melodramma. “Credo di aver contratto qualche malattia strana.” Certo, il vaiolo di drago. Portò la mano alla gola, stringendola leggermente e continuando la sua sceneggiata da quattro soldi, alla quale non avrebbe creduto neanche in seguito di un ictus. “Salvati!” Almeno tu. Ma andiamo. Posò una mano sul suo petto e lo spinse via, con fare angoscioso. Oh, sì! Si sarebbe reso conto che qualche cosa, nel suo comportamento, non andava e ciò avrebbe sollevato più di una domanda. Se lo meritava. Così avrebbe imparato a cacciare le palle immediatamente. Evitando mezzucci del cazzo, utili solo a rimandare l’inevitabile. Rilassò le spalle e si arrese. Piegò la testa di lato ed ascoltò le battute proprio riguardanti il loro legame. Forse sarebbe stato più facile essere, ufficialmente, la sua ragazza. In fin dei conti, le loro anime si trovavano sulla stessa lunghezza d’onda. Se solo avesse scelto lei, mesi prima, al posto della Corvonero tutto fumo e nient’arrosto, in quel momento, sarebbe stato più facile. Ma, lei in primis, non si era mai posta nei suoi confronti, avanzando pretese che si sarebbero trasformato in un dovere che non era in grado di gestire. Lei. Troppo spirito libero per essere ingabbiata, si era tenuta alla larga da ogni coinvolgimento che andasse oltre alla semplice unione fisica. Il tempo, però passa. I cambiamenti avvengono. E lì, davanti a quegli occhi dei quali conosceva anche la più piccola sfumatura, stava per ammettere anche a sé stessa di essere fuori dal mercato. Forse. “Sono ancora arrabbiata.” Non era la verità. “Preferire una bionda a una focosa rossa?” Irragionevole. “Che colpo basso!” Quella ragazza non le era mai andata a genio, soprattutto a causa dei suoi modi di porsi. Altezzosi e da principessa caduta in miseria. Ridicola. A distanza di anni, ancora non era riuscita a spiegarsi cosa avesse spinto il bulgaro ad intrattenersi con l’insipidità in persona. Ma la strana era lei. Certo, come no. “Io? Strana?” Inarcò il sopracciglio sinistro, fingendosi sorpresa. Ok. Abbandonare la nave. Prima di subito. Girare intorno alla questione, solo per temporeggiare non avrebbe cambiato le carte in tavola. “Sì!” Confermò la sua teoria basata, approssimativamente, sulle sue mancate visite in camera sua, negli ultimi giorni. “Sto frequentando una persona!” Si sentì sollevata. Come se quel macigno avesse abbandonato il suo stomaco. Lì, dove era rimasto per troppo tempo. “Credo!” Aggiunse, evidenziando la sua carenza in campo sentimentale. “Voglio dire…” Cosa? Stava di nuovo partendo per la tangente, trainata dal profondo disagio. “Sì. Mi vedo con Nathan!” Terminò, sostenendo il suo sguardo. Doveva ammetterlo, sarebbe stata dura resistere al fascino di quel ragazzone ma, da quel poco che aveva intuito, una presenza non troppo estranea, era entrata nella sua vita. Galeotto fu il falò. Rain si era astenuta dal porre domande ma, in quel frangente, le avrebbe fatto comodo giocare ad armi pari. “Credo che anche tu debba dirmi qualche cosa.” Paracula. “O sbaglio, amore mio?” Ironizzò, arricciando il naso ed avvicinandosi un po’ di più. Ruotò il busto e tentò di circondargli il collo con le braccia, al solo fine di provocarlo. Ops! Beccati. Confidati, amico mio!

    E TRE! TVB <3


    Edited by acid rain. - 6/1/2024, 01:33
  8. .
    mike
    Era riuscita a incasinare tutto? Non ne aveva l’assoluta certezza ma, tirando le somme, ogni avvenimento positivo nella sua vita, riusciva a rovinarlo con le sue stesse mani. Un potere non indifferente, se vogliamo darci un voto. Forse, però, sarebbe stato meglio mettere da parte la pateticità e concentrarsi su ciò che di buono la vita le stava offrendo su un vassoio d’argento: Nathan. Un ragazzo d’oro che, forse, neanche meritava. Le era stato vicino dal primo momento. Anche quando non erano altro che semplici sconosciuti, imbattutisi, per caso l’una nell’altro, in un giorno qualunque. Uno strambo inizio. Sì. Doveva ammetterlo. Aveva riversato su di lui informazioni non proprio degne di un primo appuntamento ma, nonostante la palese follia dimostrata, non aveva dato segno di voler fuggire via a gambe levate. Oh, sì! Ne avrebbe avuto ogni motivo. Quel ricordo, in una situazione differente, l’avrebbe fatta ghignare ma, in quel momento come non mai, la serietà avrebbe dovuto regnare sovrana. Si vergognava. A morte. Si era comportata come una perfetta idiota, nascondendo dietro al suo fare spavaldo tutta l’insicurezza che provava nei confronti di quella situazione nuova, caratterizzata da sentimenti e cazzate varie che, mai prima di allora, aveva avuto modo di sperimentare direttamente sulla sua pelle. Era capitato di provare attrazione fisica per qualcuno. Ok, più di uno. Ma la faccenda si fermava lì. Sveltine. Storielle di poco conto. Stronzate adolescenziali alle quali ricorreva per sentirsi sicura di sé e avere il controllo sugli altri. Una sorta di manipolazione che aveva lasciato andare in seguito alla decisione che la vide fare ritorno tra quei banchi di scuola che aveva rifiutato categoricamente, soffocando il suo intelletto ingiustamente e poi per quale, stupido, motivo? Neanche ricordava i fatti come fossero accaduti. Si era premurata di archiviare quei lontani ricordi, così da lasciare spazio a qualche cosa di nuovo ma, alla fine, al loro posto si erano posizionate le preoccupazioni che, ancora, le pesavano sul cuore. Di certa vi era una cosa sola e solamente: Diamond Rain Scamander non poteva più dirsi la stessa persona che in molti conoscevano o, almeno, pensavano di conoscere. In pochi, però, avrebbero potuto affermarlo con certezza. Gli altri? Feccia. Non si curava delle dicerie sputate, gratuitamente, dalla gente. Loro non potevano sapere. Niente. Né della sua famiglia. Né di ciò che provava ogni giorno, una volta messo giù il piede dal letto. Quando la sensazione di inutilità le afferrava la gola, stringendola a tal punto da farle mancare il respiro. Ma forse sarebbe stato meglio così. Crederla superficiale e vuota, avrebbe allontanato domande scomodo e indiscrete.
    ”Voglio fidarmi di te.” Ogni assillo si dissolse. La voce del Grifondoro la riportò alla realtà, allontanandola da quel baratro nel quale stava per lasciarsi andare. Senza biglietto di ritorno. Una rassicurazione che neanche si aspettava. L’ennesima. Ma avrebbe fatto bene a porre in lei così tanta fiducia? L’ansia da prestazione sarebbe stata inevitabile per un tipo come lei, irresoluto. In ogni caso la seguì dentro alla stanza, apparentemente insulsa. Non aveva tutti i torti nel suo scetticismo. Quell’aula, però, rappresentava uno dei momenti più emozionanti vissuti in compagnia di una persona che, senza neanche saperlo, si era ritagliata un posto importante nella sua quotidianità. Reina, però, non ne faceva più parte e il biglietto scritto in fretta e furia, le aveva suggerito che non avrebbe più fatto ritorno. Un’amara delusione. Un colpo al cuore ma, dopotutto, se aveva preso quella decisione, sotto ci doveva essere più che un valido motivo. “Anche. Sì! Non posso negarlo, sarei idiota!” Si trattava di due aggettivi azzeccatissimi. Incasinata. Niente l’avrebbe descritta meglio. Cullata da quell’ironia, Rain, si lasciò stringere, lieta che quelle inutili distanze si azzerassero in un attimo. Gli circondò il collo con le braccia e posò lo sguardo su di lui, senza lasciarsi scappare neanche la più piccola reazione sul quel viso così attraente. Quei gesti uscivano spontanei, tanto da farle credere realmente di aver ceduto a qualche forma di romanticismo. Beh, non tutti i mali venivano per nuocere, in fin dei conti, no? Che male vi era nell’ammettere di provare qualche cosa per un’altra persona. Prendere il toro per le corna. Affrontare quelli che, una volta, altro non erano che ostacoli da bypassare. In quel frangente, la rossa, non avrebbe avuto problemi ad ammettere quanto fosse coinvolta nel loro rapporto, se solo lui l’avesse domandato. “Forse lo sono sempre stata!” Sorrise. Questa volta non vi era alcun segno di sarcasmo nelle sue parole. Solo estrema serietà per un argomento che era giusto trattare con i guanti di velluto. “Stavo solo aspettando la persona giusta!” O quella che avrebbe reputato tale, insomma. Mai dire mai, per l’amor di Merlino, ma se non avesse avuto il coraggio di provare, non sarebbe stata in grado di comprendere quanto di vero vi era nella faccenda. Le loro labbra si cercarono. Ancora e ancora. Come se non potessero farne a meno e quando l’atmosfera scemò, per forza di cose, l’attenzione si spostò verso il protagonista indiscusso di quello scenario impolverato. L’armadio. Apparentemente un oggetto privo di alcun valore. Ma dietro a quella banalità, nascondeva un segreto nel quale si erano imbattute per caso, un anno prima. Mai avrebbe pensato che ciò che si celava dietro a quelle ante, sarebbe divenuto il suo luogo sicuro. Eppure era accaduto. La stanza segreta inglobava in sé le paure più recondite della verde-argento. Se quelle pareti avessero parlato, la verità sul suo conto sarebbe venuta a galla, mostrandola per la ragazza semplice, appena uscita da un’adolescenza più che complicata. Una ragazza sola al mondo. “Lo è!” Confermò, posando la mano destra sulla maniglia ma, prima di svelare la sorpresa, la Scamander si sentì in dovere di chiarire la sua posizione, in seguito ad alcuni fraintendimenti avvenuti durante il falò di rientro dalle vacanze estive. “Invece è mio dovere scusarmi con te!” Comportarsi da pazza sclerata, utilizzando la presenza di un ragazzo, per attirare la sua attenzione beh, era stata una meschinità. Lasciargli credere di essere quella che non era, solo per vendetta. Mossa davvero stupida. Una mossa data, meramente, dal suo essersi sentita facilmente sostituibile. “Non avrei dovuto comportarmi in quella maniera!” Si reputava migliore di così eppure, qualche volta, la rabbia prendeva il sopravvento sulla ragione, portandola a compiere atti che, a mente fredda, non si sarebbe mai sognata di mettere in piazza. Davanti a tutti, poi. No. Follia assoluta. Le piaceva. Più di quanto riusciva ad ammettere a sé stessa e, anche quella volta, non mancò di ricordarglielo. Così sarebbe stato fino a quando, lui, non si sarebbe stufato di lei e della sua voce a tratti fastidiosa e, per la maggior parte delle volte, ricola di quel tagliente sarcasmo al quale ricorreva per avere sempre il coltello dalla parte del manico. Continuò ad ascoltarlo, compiaciuta e felice delle sue parole fino a quando un solo che… non lasciò presagire nulla di buono. Sentiva che qualche cosa sarebbe piombato sulla sua serenità. Trattenne il respiro a fatica, pronta ad incassare qualsiasi cosa lui stesse per sganciare. ”… tu e Dragonov.” Cazzo, Axel! Il loro rapporto era lì, alla luce del sole. Non vi era anima viva e morta in quel castello che non fosse a conoscenza del loro piacere reciproco e, casualmente, anche Nathan era giunto a quella conclusione. Con l’aiuto di qualcuno, probabilmente. Un qualcuno di nome Grace Johnson. Colei che non si sarebbe mai e poi mai fatta i cazzi suoi, neanche sotto tortura. Era giunto il momento di dirgli la verità. Negare non sarebbe servito a nulla, così come tergiversare o arrampicarsi su degli specchi così lisci che le avrebbero assicurato solo una caduta con pochissimo stile.
    “Io e Dragonov, già…” Arrancò. Come si poteva spiegare al ragazzo che aveva deciso di frequentare, un rapporto come quello tra lei e il bulgaro? Improvvisando, ovviamente. “Non ci girerò intorno.” Sentenziò. “Andiamo a letto insieme da parecchio tempo! Avrei dovuto dirtelo prima, lo so!” Un anno? Due? Neanche ricordava esattamente quando quell’abitudine aveva avuto inizio. La nuda e cruda realtà saltò fuori. “Tra di noi non c’è altro.” Credeva non potesse essere che una magra consolazione. “Ma le cose sono cambiate, no? Vuoi sapere altro su di me? Sul mio passato?” La sua mano andò a sfiorare la guancia del rosso-oro. “Voglio te!” Axel avrebbe compreso. Forse. Sapevano entrambi che, prima o poi, così come era già successo a lui in passato, anche lei avrebbe trovato qualcuno in grado di farla capitolare. Arrendendosi ai sentimenti provati. “Lui, però, rimarrà sempre importante per me. Un amico.” Colui dal quale sarebbe corsa in caso di bisogno, se gliel’avesse permesso. “A questo punto, sarebbe meglio riflettere attentamente sulle nostre aspettative. Reciproche, intendo.” Fare chiarezza. “Quindi, Nate! Cosa ti aspetti da me?” Domandò, cercando la sua mano. Non era sua intenzione metterlo alle strette ma, anche senza ufficialità, Rain viveva quel legame all’ennesima potenza, tanto da non poter più lasciare spazio ad altri uomini. Non in quel senso, almeno.

    Insieme si addentrarono, poi, in quel pezzo di antiquariato. “Vedrai!” Seguì la sua strada e, finalmente, giunsero a destinazione. Dall’altra parte. “Benvenuto sulla mia isola felice!” Si alzò in punta di piedi e gli circondò il volto con le mani, baciandolo appassionatamente e sfogando la tensione che i discorsi precedenti le avevano provocato. “Non l’ho mai mostrato a nessuno.” Portarci chiunque altro, l’avrebbe vissuta come un’invasione della sua privacy e no, non poteva permetterselo. “Mi credi ancora pazza?” Il suo scetticismo non era valso a nulla. Era certa che quel panorama gli avrebbe mozzato il fiato e reso quel pomeriggio più interessante del solito.
  9. .
    mike
    Avvertì una fitta a livello dello stomaco. Cazzo! Il suo volto si deformò in una smorfia di fastidio e, dopo qualche istante, si decise a muovere le stanche membra. Le lezioni mattutine l’aveva prosciugata e il desiderio di infilarsi a letto stava per prendere il sopravvento. Bella vita. Una gioia. Certo, se solo fosse stata la sua. E invece no. Si alzò dalla poltrona con fare elegante, il suo solito, mascherando la stanchezza che si portava dietro da quelle stupide vacanze natalizie, passate a destreggiarsi tra l’ansia provocata dai recenti avvenimenti e il nuovo lavoro al Wonderland. I momenti liberi erano stati veramente pochi e, ora come ora, il suo fisico iniziava a cedere. Fermarsi? Impossibile. Da quando aveva rimesso piede in quel dannato castello, si era imposta di prendere parte a ogni singola attività scolastica, in maniera tale da ricevere un’istruzione più che valida per un futuro diverso da quello che, altrimenti, l’avrebbe attesa dietro l’angolo. Una disfatta dietro l’altra. Era rimasta sola al mondo o, almeno, questo era ciò che credeva. I suoi genitori biologici le davano la caccia e di quelli adottivi non aveva alcuna notizia da troppo tempo. Strinse il pugno sinistro e avanzò verso l’uscita della Sala Comune. Distratta. Fin troppo. Tanto da non accorgersi di essere finita addosso a qualcuno. Alzò lo sguardo e lì, davanti a lei, vi era il ragazzo stralunato che da un po’ di tempo si era unito all’allegra combriccola dei Figli di Salazar. “Walker! O forse sarebbe meglio: The Walker Dead?” Vista la flemma mostrata. Lo salutò con finto entusiasmo, così da celare il suo reale stato d’animo. La folta chioma della Serpe ondeggiò e, con delicatezza, posò la mano sulla spalla del compagno, mentre con l’altra andò a sistemarsi la scarpa che sembrava volerle dare problemi. La comodità prima di tutto, soprattutto visto il luogo che avrebbe dovuto raggiungere per conoscere il destino che la Signorina Lancaster aveva in serbo per loro. Sì. L’aveva sentita nominare spesso. Aveva una vaga idea di chi fosse e quali fossero le sue mansioni a livello lavorativo ma, mai e poi mai, si sarebbe immaginata di poterla avere lì, in carne ed ossa. Forse li avrebbe messi tutti in difficoltà. Chissà. Affrontare qualche cosa di pericoloso, per Rain, sarebbe stato motivante. Sentirsi viva, giorno dopo giorno, l’aiutava a perseguire quelli che erano i suoi obiettivi e ritrovarsi immersa in qualche difficoltà non la spaventava affatto. La vita era fatta di ostacoli, in fondo. “Cura delle Creature Magiche, eh!” Affermò mentre, insieme, si apprestavano a raggiungere la zona del castello in cui si sarebbe svolta quella che aveva tutta l’aria di essere un’esercitazione vera e propria. “Ti onorerò della mia compagnia!” Scherzò ma neanche troppo, andando a stringersi nel suo mantello pesante. Gennaio. Un bel mese di merda. Il freddo pungente le tagliò la faccia non appena scostò l’uscio. Sbuffò e rimpianse immediatamente il tepore dei sotterranei che, seppur gelidi, infondevano quel senso di sicurezza una volta posizionata davanti al fuoco. Chi gliel’aveva fatto fare? Avrebbe potuto tranquillamente darsi malata, in fondo anche Nathan lo era. Stupide difese immunitarie. “Spero ne valga la pena. Ho fame!” Fece spallucce. “Mi immagino qualche cosa di interessante!” La personalità della donna, lasciava presagire per il meglio ma, in fin dei conti, non vantava una conoscenza a trecentosessanta gradi di colei che avrebbe messo in piedi chissà quale missione da cedere a loro povere vittime inconsapevoli. Camminarono svelti. I minuti scorrevano via inesorabili e arrivare in ritardo non era di sua consuetudine, anzi, la rendeva inquieta. Trascinò il compagno e, finalmente, giunsero a destinazione. Dietro di loro altri studenti si apprestavano a fare il loro ingresso in quell’area dall’atmosfera strana. Rimase in silenzio, arrestando la propria corsa davanti al muro costituito da una siepe, al di là della quale vi era, forse, il motivo di tutta quella segretezza. Si sfregò le mani eccitata. “Mi piacciono le prove organizzate in esterna!” Diede una spallata amichevole ad Aiden e si piegò leggermente per leggere l’avvertimento di rimanere fuori dai piedi. Bene ma non benissimo. “Ok. Ok. Territorio ostile.” Commentò con fin troppa allegria. Aveva già cessato di proporre battute inutili quando, improvvisamente, lei, fece la sua entrata trionfale, invitandoli a fare silenzio. Giustamente. Una super star aveva bisogno di silenzio per brillare. Quante stronzate. La osservò attentamente mentre si apprestava a spiegare quanto non le fregasse un cazzo del loro eventuale non interesse per le creature magiche. Un ghigno le si disegnò sulle labbra. Quel modo di fare la incuriosiva. Aveva ragione. Imbattersi in qualche creatura particolare non era poi così impossibile. Ricevere qualche dritta, quindi, non appariva più così inutile. Piegò la testa di lato e si focalizzò sulla cicatrice mostrata dall’insegnante. Mille domande le balenarono nella mente ma si limitò a quella più scontata: “Cosa è stato?” Sinceramente incuriosita, sì, e poi le cicatrici le aveva sempre trovate interessanti. Segni sulla pelle con un significato, insomma. Ognuna di essere avrebbe potuto raccontare una storia e una come quella donna, di certo di storie ne avrebbe potute raccontare a bizzeffe. Finalmente fu avanzata la prima domanda. Si voltò verso la Johnson, giunta anche lei –purtroppo- sul luogo del delitto e sorrise sarcastica, un gesto riservato spesso alla biondina insipida con la lingua affilata e la parlantina fastidiosa. “Gli darei in pasto una Grifondoro a caso. Un pranzetto con i fiocchi. Chi lo disprezzerebbe?” Avere salva la vita era pur sempre l’obiettivo utlimo. Il fine giustifica sempre i mezzi. Sacrificare una vita, quindi, non sembrava poi così sbagliato. O forse sì. Ma quella non era una lezione di morale, no? “Che c'è? Meglio lei di me!” Fingere che quella ragazzina le piacesse non l’avrebbe portata da nessuna parte, soprattutto quando si era sentita in dovere di andarle contro per far la parte della paladina della giustizia. Disgustoso! Sorrise ancora in direzione della sua nemesi e le rifilò un occhiolino. Ordinaria amministrazione. Ascoltò le risposte provenienti dalle mente eccelse che la circondavano ed, infine, decise di prendere in mano le redini della situazione, riportandola su un binario percorribile quando l’insegnante fece riferimento a qualche cosa che catturò subito il suo interesse. Gli Occamy. Creature affascinanti. “Stupendi!” Azzardò. “Pericolosi ma stupendi!” Si corresse. “L’ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche ha classificato queste creature con quattro X.” Richiedevano un trattamento da parte di qualcuno che se ne intendesse veramente, di certo non potevano considerarsi animali da compagnia, anche se… Quando compie gli anni la piccola Johnson? Poteva essere un regalo azzeccato. “Posseggono un corpo da serpente piumato e possono raggiungere una lunghezza pari a quattro metri e mezzo su per giù.” Centimetro in più o in meno. Poco importava. Si trattava pur sempre di esserini ingombranti e capaci di mutare la loro stazza ma quel dettaglio l’avrebbe lasciato a qualcun altro. Che ragazza magnanina.

    Rain Scamander - IV anno - Serpeverde.
    Arrivata a lezione con Aiden.
    Interagito con la Professoressa esponendo la sua curiosità in merito alla cicatrice.
    Risposto alla prima domanda per dare fastidio a Grace. (TVB, LU!) e poi alla seconda seriamente.
    Addio <3
  10. .
    ... O FORSE NO!

    mike
    Quel deplorevole teatrino, finalmente, stava per avere fine. L’aveva suggerito in tutte le salse di provare a ballare il tuca tuca, passando in rassegna i “corpi del reato”. Peccato che nessuno avesse recepito i suoi messaggi subliminali. O forse sì. Una persona aveva azzeccato il compitino ma, contro ogni previsione, aveva deciso di coprire il vero assassino, consegnando nelle sue mani la vittoria di quel giochino, organizzato per passare la Vigilia di Natale in maniera differente da solito. In fondo aveva apprezzato lo sforzo dell’intero corpo docenti e, chissà, magari sarebbe potuto divenire un evento annuale, sul quale fare affidamento per evitare le solite cene mediocri e prive di divertimento. La rossa si alzò dalla sua postazione, fasciata nel suo abito scarlatto e, lentamente, affiancò quello che era stato il suo collega per tutta la durata delle recita: Aiden. Il putto, mosso da chissà quale senso di giustizia, aveva già preso la parola, andando a spiegare per filo e per segno quale fosse la risoluzione di quell’intricata vicenda. Risultato? Una psicopatica Poppy Hunt, addolorata da cotanta menzogna riversata nei suoi riguardi, si era prodigata a mettere in scena quella farsa per togliere di mezzo quella madre scellerata. Un movente come un altro, in fondo. Qualcuno, là fuori, si era sprecato anche per molto meno. Che dire? Una bella pacca sulla spalla alla colpevole. E Freya? Doveva ammetterlo, si era calata nella parte alla perfezione, fottendo i partecipanti con il suo zelante modo di spiegare il punto di vista che la riguardava. Falsa. Falsissima donna. Forse sarebbe stato meglio guardarsi le spalle da una persona simile. Sì. Per gli altri. Rain era certa di poter contare su quella faccia per niente innocente. Le piaceva. In un modo o nell’altro era riuscita a rimanere alla larga dalla personale black list della Scamander e, bene o male, averla come compagna di stanza, aveva il suo perché. “Non avevo dubbi!” Esclamò, posando delicatamente la mano sulla sull’avambraccio dell’amica avvinghiata ad Axel. BLEH. Roba da storcere il naso per quella sorta di omissione, sì, ma vi era tempo. Poi. Forse. Prima di tutto il dovere (?). Si era lasciata scappare qualche indizio, forse per essere utile alla causa, vista la sua impossibilità a prendere parte in pieno alle indagini ma, in fin dei conti, lei in primis, avrebbe adottato immediatamente la strategia dell’ispezionare uno ad uno i presenti alla ricerca di qualche strano contenitore, sporco di polvere rossa. Sì. Quella roba, in origine, doveva pur trovarsi da qualche parte ed essendo un delitto a porte chiuse, qualcuno si era assicurato di fare sparire la fialetta in qualche angolo remoto di sé stesso, magari in qualche mutanda o reggiseno. Il segreto stava nella manualità, insomma. Si voltò verso Nathan, sorridendo quel poco che bastava per ricordargli che di lì a poco tutto sarebbe terminato, lasciando che ognuno di loro potesse correre libero verso il dopo cena, di netto più interessante del resto. Era tutto pronto. Almeno nella sua testa. “Dlin dlin dlin. Abbiamo la vincitrice.” Le alzò il braccio, per poi aggrapparsi ad esso. Gesto sin troppo umano per quanto la riguardava. Se lo meritava. Era stata brava ricorrendo a quella parlantina fuorviante. Stava per ingannare pure lei, nonostante avesse la soluzione a portata di mano. Sarebbe stata una buona criminale e Rain una pessima detective. O forse le era proprio mancato quel pizzico di interesse in più. Chi poteva mai saperlo. Ma perché impegnarsi in qualche cosa che si sarebbe rivelata una farsa in piena regola? Sbuffò. I ragazzi presero a parlottare tra loro. Un brusio fastidioso si innalzò da ogni angolo della Sala Grande e, finalmente, si esaurì la messa in scena. “Sarebbe il momento di svegliare la bell’addormentata, vero?” Domandò ad Aiden, ancora fermo accanto e lei. Con il braccio liberò arpionò il biondino e, come la Vispa Teresa, si trascinò appresso sia lui che la vincitrice di quella perversione. Al tavolo degli insegnanti regnava la quiete. Inquietante. Beh, che motivo avevano per agitarsi? Si erano limitati a consumare il loro pasto in tutta tranquillità. “Guardatela! È così interessante quando dorme.” Quella papera starnazzante, sempre pronta a umiliare studenti e studentesse. Odiosa, con il vizietto di sbavare dietro a ragazzi troppo giovani. Sciolse la presa e raggiunse la finta vittima, abbassandosi e sporgendosi verso il suo orecchio. La mano di Rain andò a parare sul tavolo, per reggersi in quello sforzo. “Professoressa? Possiamo andare in pace!” Così decretò la fine ma, dall’altra parte, non vi fu nessun riscontro. “Professoressa Lovecraft?” Ancora niente. La mano libera si posò sulla spalla della donna, andando a scuoterla. Deglutì. Alzò lo sguardo sui compagni. Sul suo volto non vi era più l’espressione spavalda di poco prima. La strafottenza aveva lasciato il posto alla preoccupazione. Il terrore allo stato puro. Sfiorò le falangi della bionda e avvertì il gelo. La testa scattò verso il resto degli insegnanti, ignari di ciò che stava per avvenire. Che cazzo sta succedendo? Le sue iridi virarono per caso sul palmo della mano e notò una sfumatura rossastra. No! Stava davvero guardando in faccia la morte? Quella era la fine che avevano fatto i suoi genitori? Si sentì leggera. Tanto da sbilanciarsi all’indietro e rischiando di cadere. “Signor Fletcher!” Attirò l’attenzione del Professore di Pozioni, seduto a pochi passi da lei. Alzò il palmo ricoperto di polvere che doveva rappresentare la finta arma del delitto e lo rivolse verso di lui. Era certa che le sue pupille si erano dilatate del tutto, scurendo ancora di più i suoi occhi. “Doveva essere innocuo!” Il sono tono risultò freddo, quasi come per volersi auto convincere. “È gelida. Io…” No, non poteva essere vero. Si trattava di uno scherzo di cattivo gusto. Per forza. Qualcuno si era preso la briga di prendere tutti per il culo. “… credo sia morta.” Non si curò dei presenti. Il panico salì, raggiungendo lo stomaco. Un pugno. “Per davvero!” Terminò, nella speranza che qualcuno corresse in suo aiuto. Sentiva le forze venir meno. Un conato di vomito e i volti sorridenti dei suoi genitori, vennero spazzati via con un colpo di spugna immaginario. “Questa è la morte?” Biascicò a sé stessa.

    EBBBRAVA FREYA!
    E ops. Arrivo a rovinare la festa! Sembra essere giunto il momento di svegliare la Bella Addormentata. Rain si avvicina alla vittima, trascinando Aiden e Freya. Prova a svegliarla MA... Interagisce con il Signor Flatcher, disperatamente. SORPRESA. DOROTHEA LOVECRAFT È MORTA!

    DA QUESTO MOMENTO POSTARE DIVENTA FACOLTATIVO.
    Chi vuole può continuare per esporre la reazione del proprio pg. <3
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    POST IMPORTANTE PER LO SVOLGIMENTO

    mike
    Avrebbe voluto fare un applauso a tutti quanti. Sì. Con la loro faccia tra le mani. Schiaffi. Schiaffi ovunque. Fortuna che, di lì a poco, la stronzata dell’essere più buoni, avrebbe trovato la fine. Due giorni. Una bazzecola. E poi? Niente. Perché non ne aveva neanche per le palle di osservare quella stupidaggine, inculcata da qualche stolto genitore al fine di assicurarsi un comportamento decente da parte dei figli. Era certa che quella cagata fosse opera di qualche idiota. Stronza lo era sempre stata e un’insignificante ricorrenza non avrebbe cambiato le carte in tavola. Tornando alla finta sciagura, Rain, nutriva ben poche speranze in quei cervellini ma, d’altra parte, la laurea in magicriminologia (esisteva poi?) non si trovava affissa in nessuna delle loro stanze. Un po’ di umiltà. Ogni tanto. Osservò passivamente tutti gli spostamenti, senza aggiungere informazioni. Non vi era alcuna necessità. Ogni prova era stata posizionata a dovere e, da quel momento, ognuno avrebbe potuto fornire come più riteneva opportuno, la risoluzione del caso. Ragionando. Seguendo tracce. Andando a culo. Beh, vi erano diversi modi per affrontare l’ultimo ostacolo. Non importava come. Il risultato, però, sarebbe dovuto essere quantomeno giustificato in maniera logica. Ognuno dei presenti sembrava possedere più di una valida ragione per voler vedere morta la barbie dei poveri e, fosse stato per la rossa, li avrebbe sbattuti tutti in gattabuia a digiuno per una settimana, così il killer avrebbe confessato di sua spontanea volontà. Chi sarebbe potuto rimanere senza cibo per tutto quel tempo? Andiamo. Non si scherza con questi argomenti di vitale importanza. Ancora una volta, il suo collega, dall’aspetto pressoché identico a quello di un putto, prese la parola andando a sperperare idee. Ok. L’arma del delitto era stata identificata e che fosse artemisia o epistassi essiccata di piccione, non aveva alcunché ruolo nell’identificazione del killer. Sbuffò. Ok. Sì. Avevano ingoiato un erbolario. Ammirevole. Il Professore di Erbologia ne sarebbe stato felice ma, ahimè, non fregava nulla a nessuno. Non in quel momento, almeno. Le iridi raggiunsero il soffitto, incrociando alcune delle decorazioni scelte per l’occasione. Molto belle. Rimani concentrata, per Merlino! Si ammonì, convinta di poter contribuire a porre fine anticipatamente a quella tortura. Improvvisamente si alzò. Di nuovo. Con decisione avanzò, in direzione di Liam e Freya, quest’ultima intenta ad analizzare le mani del Grifondoro. “Poppy!” Esordì. “Che nome stupido.” Ok, si trattava di un personalissimo punto di vista. “Lascia fare a me!” Si appropriò delle mani di Liam e le osservò da vicino. “Saresti più sicura se gli leccassi il dito? Forse sì. Ma qui presente vi è il mio futuro marito. Sarebbe fuori luogo!” Sarebbe proprio da me! Confessò all’amica e compagna di stanza. “Confermo! Le mani di Liam sono immacolate. Nessun segno di quella dannata polvere!” Strizzò l’occhio al marito tradito e si allontanò, nuovamente in direzione di quello che aveva scelto come postazione definitiva. “Cosa state aspettando?” Li esortò a seguire le indicazioni più sensate, avanzate dalla Riis e dalla Lloyd. Avevano l’opportunità di mettersi le mani addosso, senza passare per forza per maniaci. Oh, sì. Come avrebbe messo le mani addosso al cacciatore rosso-oro. Solo Morgana lo poteva sapere.

    Rain si avvicina a Liam per assicurarsi che non abbia la polvere su di esse. LIAM NON HA NULLA SUALLE MANI.
    Visto che l'idea di svuotare le tasche è rimasta una richiesta, nessuno si è ancora adoperato a farlo, la risposta rimane a discrezione dei player. Se si vuole la certezza di trovarci qualche cosa di interessante, dovete essere voi a muovervi senza chiedere il permesso al vostro/a sospettato/a preferito/a (?). In caso trovaste qualche cosa, riceverete le informazioni da parte nostra. Fine delle trasmissioni.
    Vedete voi. Ve se ama. Adios.
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    POST IMPORTANTE PER LO SVOLGIMENTO

    mike
    Tutto quel cianciare. Per cosa poi? La neanche poi tanto bella addormentata sul tavolo, neanche era morta sul serio. Andiamo. Quante stronzate. Roteò gli occhi, incapace di comprendere se ci erano o ci facevano bene. Alla fine sbuffò sonoramente, infastidita da quei tentativi patetici di discolpare sé stessi, senza neanche prendere in considerazione di porre qualche domanda che avrebbe potuto cogliere il colpevole con le mani nel sacco o nella marmellata. Insomma, dove cazzo pareva a loro. Che le importava? Era stata trascinata all’interno del gioco, sì, contro la sua volontà ma, appunto perché si trovava in ballo, beh, avrebbe ballato. Ovviamente. Una sfida era pur sempre una sfida ma sicuro non sarebbe riuscita ad affrontare un gioco di quel calibro con la serietà mostrata dal robottino di fiducia. Riccioli d’oro, eccessivamente concentrato ad entrare in una parte che sembrava calzargli a pennello. Buon per lui che avrebbe dovuto dire? Incassò le spiegazioni di Axel, senza particolare interesse. Gli sfilò davanti e con un ghigno malefico, volle sottolineare la poca veridicità delle sue affermazioni, ovviamente al di là della farsa. “Mmmm mmmm!” Tornò ad accomodarsi, convinta di aver speso fin troppe energie. Continuò ad ascoltare le congetture. Quei bla bla bla infiniti, senza né capo né coda. Alzò il dito medio quando con sarcasmo annunciato, Freya, si azzardo a conferirle il nominativo “genio”. Pffff. Bell’amica. Tutti quei pensieri furono interrotti da una specie di blackout. Rapido. Indolore. Una gran rottura di cazzo, doveva ammetterlo ma solo quell’escamotage avrebbe permesso l’entrata in campo di qualche prova che, finalmente, avrebbe posto la parola fine a quella pagliacciata. “Uh, sì! Paurissima.” Commentò, accavallando le gambe e posando un gomito sul tavolo, per assumere la posizione più comoda che potesse ottenere. “Se mi importasse qualche cosa, vi farei un applauso per le vostre doti nel discolparvi.” Solo che di voi me ne frego! Un pensiero che rimase latente nella sua testa mentre, con un colpo di reni, si portò in piedi. Si abbassò e con un gesto alquanto malizioso, prese a sollevare il vestito rosso fuoco, arrivando a scoprire la coscia sinistra, sulla quale era stata posizionata una giarrettiera dello stesso colore scarlatto. Proprio lì, ben fissati, riposavano dei fogli, in attesa di essere sventolati proprio sotto ai nasi di chi sapeva lei. Una volta sfilati, la verde-argento, alzò lo sguardo, riportando il lembo dell’abito nella posizione iniziale. “Eh beh. Ho un appuntamento più tardi.” Fece spallucce, assumendo una di quelle espressioni innocenti che celavano ben altro. “Con lui!” Indicò Knox il Grifondoro, per poi mandargli un bacio volante. “Ok. Ok. Torniamo alle cose meno importanti!” Ma non doveva essere il contrario? Sì. Ovvio ma se si fosse data una mossa, avrebbe potuto godersi il piacere che attendeva. Sventolò i fogli. Così. Per fare scena. “Ebbene. Qualcuno sta per ricevere un’amara delusione!” Più di uno. Ma chi aveva ideato quella cosa così intricata? Lasciò il suo spazio e consegnò il primo foglio a Liam, posizionandogli un dito sotto al mento. “Mi dispiace, tesoro. Quella poco di buono ti ha mentito per anni. Non ti biasimerei affatto se fossi stato tu.” Gli donò una carezza e passò alla seconda destinataria del documento. “Mi dispiace coccolina. Leggi attentamente. Le tue certezze si suicideranno ma non temere. Andrà tutto bene!” Una mano sulla spalla, come volesse sostenerla e giunse al termine del suo giro di consegne. “Complimenti per gli spermatozoi più veloci del West!” Un occhiolino veloce e passò la lingua sulle labbra. La fece molto ridere che il destino avesse voluto per Axel il ruolo dell’amante fin troppo focoso e che poteva dire? Negare sarebbe stato inutile. “QUINDI!” Alzò di un tono la voce. “La verità è venuta a galla. Poppy Hunt. Non sei figlia di tuo padre, bensì di tuo zio!” Zan zaaaan!. Vabbè dovevano aver compreso. Si guardò intorno. Così da poter osservare attentamente la reazione di ognuno di loro. “Ti è più chiaro signor figlio minore?” Puntò le iridi scure sull’asiatico che interpretava il figlio piccino. “Forse ha ragione il mio… riccioli d’oro!” Ovviamente si stava riferendo ad Aiden. “Forse, prima dell’evento, hai voluto incontrare la vittima, nonché tua madre, per minacciarla di rivelare a tutti questa vitale informazione.” Ma che cazzo andava a dire? Che si stesse calando nella parte anche lei. Di che si trattava? Di una stupida malattia? Doveva ricordarsi di non frequentare mai più Aiden in futuro. “La odiavi. Forse speravi che comprasse il tuo silenzio, riammettendoti nella famiglia e nel testamento. Come se nulla fosse.” Illuso. Parenti serpenti. Ancora non lo avevano compreso?

    ED ECCOMI.
    Rain intergaisce con Axel e poi si siede per osservare ed ascoltare tutte le belle cose che vi sputate addosso. Alla fine si stufa e decide di mostrare una delle prove che reputa più importante: un documento che accerta che Poppy/Freya sia la figlia di Thomas/Axel e non di Isaac/Liam . Detto ciò azzarda un'ipotesi contro il figlio minore, disprezzato dalla vittima.
    E ORA SCANNATEVI. SIAMO QUASI ALLA FINE!
  13. .
    POST IMPORTANTE PER LO SVOLGIMENTO DELLA QUEST

    mike
    Una festa non festa. Insomma, come poteva definirsi tale un evento privo di gioie alcoliche. Impossibile. Aveva accettato di degnare la plebe della sua presenza esclusivamente per are conferire ai suoi, tristi, occhietti scuri. Infatti, Nathan, sembrava ben intenzionato a passare del tempo in compagnia quella sera e, fino a prova contraria, chi era lei per negargli un simile piacere. Perché, sì, la buona compagnia non si poteva rifiutare. E lei lo era. Senza alcun dubbio. Osservò l’ora e. con aria truce, prese a rimproverare la sua compagna di stanza, nonché semi amica, Freya Riis. Si. Gnocca quanto vi pare ma quella faccia da funerale per aver indossato in vestito che le fasciava il culo risaltandolo come solo Merlino sapeva, le stava dando su i nervi. Sbuffò e prese a camminare avanti e indietro, vestita a festa con un piccolo straccetto che la faceva sembrare una Jessica Rabbit dall’esperienza ridotta. Insomma, chi di dovere, avrebbe apprezzato, se ci aveva visto bene. Finalmente furono libere e, una volta riversatesi nei corridoi, non ci volle molto per riemergere nei pressi della Sala Grande dove, come ogni fottutissimo anno, si sarebbe tenuto il noiosissimo banchetto. “Ci risiamo.” Commentò sarcasticamente mentre, disinvolta, fece il suo ingresso nello spazio addobbato a festa. Tutto molto interessante se non fosse stato che, per lei, il Natale, aveva perso di significato quando quello stronzo di suo padre si era premurato di strapparle le uniche persone in grado di farla sentire ancora viva. Con la coda dell’occhio si assicurò che l’oggetto del suo interesse fosse nei paraggi e proprio quando si convinse a raggiungerlo, la presentazione della serata ebbe il sopravvento, lasciando in sospeso un paio di argomenti che, a causa di forza maggiore, avrebbe rimandato al dopo cena. Con sua grande gioia. I Grifondoro così dannatamente sexy. Certo. Uno su tutti ma, proprio in quell’istante, sentì lo sguardo di un altro rosso-oro addosso, un personaggio intraprendete che, se la memoria non l’ingannava, aveva tentato di spaccarsi l’osso del collo durante il falò di benvenuto. Gli restituì un’occhiata stranita, come se non riuscisse a comprendere quale fosse il fine del suo atteggiamento. Come no. Conosceva bene quel tipo di approccio e, se avesse voluto ottenere un qualche cosa in più, si sarebbe dovuto applicare con il genere femminile.
    La sua voluta distrazione fu bruscamente interrotta da una notizia devastate. “Cosa?” Sbottò incredula. Il Preside, senza pietà, aveva appena annunciato una specie di rappresentazione teatrale dove i protagonisti sarebbero stati proprio loro. Una tortura. Una fottuta ingiustizia. “Mio padre lo varrà a sapere…” Ah no, suo padre era un fuggitivo e quell’altro, boh, forse si stava già rivoltando nella tomba a causa del suo stupido black humor. Bene ma non benissimo. Si voltò di scatto e trovò la testolina bionda dell’amante delle vipere. Quelle da due soldi. Non esemplari rari come si reputava lei. “Visto il quoziente intellettivo medio in questa Sala, forse avrei dovuto optare per il nero. Probabilmente la vittima sarà proprio l’intelligenza!” Chi poteva dirlo con certezza. Seguì l’esempio altrui ed estrasse anche lei uno dei bigliettini da uno dei calderoni apparsi sulla tavolata. “Che stronzata!” Scimmiottò prima di sentirsi in dovere di intercettare lo sguardo del biondino, occupato a leggere, come se fosse qualche cosa di vitale importanza e poi? Un urlo. Straziante. “Andiamo, è solo una recita. Era il caso?” Domandò irritata mentre, un rumore sordo, segnò la chiusura definitiva delle porte e l’inizio di quel gioco mortale. Un bla bla infinito e, dopo l’intervento del suo collega si decise a prendere la parola, zittendo i presenti con un soffocato e finto colpo di tosse. “Sì, si. Grazie, Sherlock! Abbiamo capito.” Un po’ troppo nella parte. “Detective Moriarty.” Presentò il suo ruolo, senza nemmeno scomodarsi inizialmente. Solo quando iniziò a sentirsi a suo agio si alzò e prese a camminare in direzione del marito della vittima. “Quanto mi dispiace solo Merlino lo sa. Ma forse la sua mogliettina le nascondeva ben altro di più grave. Un segreto di inestimabile valore…” Lasciò intendere tutte e niente. “Forse lo meritava, in fin dei conti!” Si abbassò e gli posò un piccolo bacio sulla guancia. “Madre certa. Padre ignoto. Così va la vita!” Alzò la voce, così che potessero tutti quanti udirla, non solo il diretto interessato, ossia Liam. “In ogni caso… condoglianze anche da parte mia, Signor Hunt!” Stronza nella vita. Stronza nella finizione. Perché la bastardaggine era pure una filosofia in grado di guidare una sana esistenza. Si aggirò per quello spazio ristretto, tenendosi alla larga da quella povera donna un po’ per rispetto (come no) e un po’ perché col cazzo che avrebbe voluto rientrare nella rosa dei sospettati. Lei. Candida come la neve. Non scherziamo. Analizzò i volti. Uno dopo l’altro. Attentamente. Soffermandosi su uno in particolare. Un volto familiare. Fin troppo per alcuni versi. “Axel! No, scusa. Coso! Vabbè come ti chiami. Mia luce nel buio! Potresti essere stato tu!” Gli posò un dito sul petto, additandolo ed ammiccando nello stesso momento. “Hai la faccia colpevole.” Perché sì. Perché doveva punzecchiarlo e perché in fondo un po’ fedifrago lo era, soprattutto quando l’aveva trascurata per lasciare spazio a quella bionda slavata per niente interessante. Pffff. “Quei tuoi capelli perfetti. La tua barba incolta.” Degna teoria derivata dai suoi recenti studi presso l'università della vita. Fece spallucce e si rivolse al resto della ciurma. “Io fossi in voi lo terrei d’occhio.” Si morse il labbro inferiore e scivolò via, lontana dal suo presunto colpevole e, proprio mentre le sue intenzioni erano quelle di tornare a sedere, così da potersi occupare dei fatti propri, vide uno dei professori issarsi in piedi ed, improvvisamente l’oscurità avvolse chiunque abitasse quel luogo. Il buio totale che la obbligò a fermarsi. Sì. Ma non solo. Nonostante si sforzasse a muoversi, i suoi muscoli parvero di pietra. Qualcuno li aveva immobilizzati. Senza alcuna pietà che, diciamocelo, neanche lei avrebbe avuto. Oh, quanto le piaceva quel sadismo.

    Arriva al banchetto con Freya. Interagisce con Aiden e poi si "concentra" su quella che per lei è una seccatura.
    Rain ha il ruolo di quell'altra Detective. Anche lei come Aiden ha il compito di indagare per conto del Signor Hunt (LIam), prende la cosa meno seriamente del suo collega, questo è evidente. Più che altro getta caos in quello che è già un disastro annunciato. Perchè, dai, fa bene.
    Si avvicina al Signor Hunt (ti ho dato un bacino di consolazione) per le condiglianze ma in realtà non fa altro che spiattellargli cose, dopo aver insinuato dubbi punta il dito contro Axel per la sua faccia da latin lover e sapete perchè? Perchè anche oggi prendiamo la vita sul serio domani.

    NOTATE BENE: Improvvisamente vi troverete bloccati al buio. Un buio che non potrà essere scalfito con nulla non solo perchè è un'oscurità indotta dalla Polvere Buiopesto Peruviana ma anche perchè siete stati immobilizzati da un incantesimo. Potrete narrare che dopo qualche istante torna tutto alla normalità. Questioni di pochi minuti, così potrete tornare a muovervi alla luce del sole (?)
    Neanche i licantropi saranno favoriti per la visione. Sorry not sorry <3
    In questo lasso di tempo qualcuno si è adoperato per sparegere indizi contro di voi o a vostro favore o non lo saprete mai. Datevi da fare!
    La scadenza è sempre il giorno sabato 16 dicembre alle ore 23.59
    Buon divertimento <3
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    mike
    Una perfetta idiota. Sapeva sempre come sorprendere in negativo le persone e, proprio mentre la vita stava iniziando a sorriderle, ci aveva pensato da sola a complicarsela. Un genio. Una mente eccelsa quando si trattava di rovinare il seminato da lei, a fatica, costruito. Ordinaria amministrazione. Quel fare distruttivo le usciva totalmente naturale. Nessuno sforzo. Niente di niente. Dopo un’estate all’insegna della semi tranquillità, cullata dalla sua nuova conoscenza, Rain, aveva ben pensato di mandare tutto a puttane con un gesto tanto plateale quanto stupido. Al falò, infatti, si era approfittata della vicinanza a Aiden per tentare di urtare la sensibilità del Grifondoro al centro della sua attenzione. Perché? Beh, il suo movente non era altro che un pensiero fisso, forse sterile, che la induceva a credere che tra lui e la biondina –sua compagna di squadra-, vi fosse una relazione che si spingesse oltre il limite consentito. Il fastidio l’aveva sopraffatta, lasciandola in balia della più profonda confusione. Lo smarrimento completo, lo stesso che limitava il tentativo di razionalizzare la situazione, così da poter fornire una spiegazioni valida a quell’atteggiamento –a suo avviso- troppo amichevole. Non le importava in realtà. A lei sarebbe bastato vincere, da buona primadonna. D’altra parte, se tutti i tasselli fossero andati al loro posto e la verità non fosse la stessa da lei temuta, sarebbe stata la prima ad accettare –seppur non con felicità- la loro amicizia. Roteò gli occhi castani, arrendendosi a quella che si sarebbe probabilmente tramutata in una certezza, contando sul fatto di averci visto lungo quando, mesi prima, aveva preso la decisione di porre nelle mani di Knox la sua fiducia. A poco a poco. Lentamente. Con i piedi di piombo. Come mai si era azzardata di fare in vita sua. Agire di impulso, per lei, poteva dirsi una consuetudine e, da un lato, il suo gettarsi tra le braccia del leone ne era stato un piccolo sintomo. D’altra parte, però, il loro primo incontro era stato significativo. Così importante da passare sopra alla quantità del tempo trascorso in sua compagnia, favorendone la qualità. Ed eccola lì. A distanza di mesi, ancora più convinta che la strada scelta, fosse quella giusta che l’avrebbe condotta a ciò a cui aveva sempre ambito: la felicità Un’utopia. Un sentimento che le era stato strappato bruscamente dalle mani quando, senza alcuna pietà, i suoi genitori avevano preferito i loro affari a lei. Un trattamento per nulla di favore che, per forza di cose, aveva innescato meccanismi complessi sia nel suo essere che nella vita di tutti i giorni, Un cambio repentino di quotidianità che, con il passare del tempo, era riuscita ad assorbirla a tal punto da auto convincersi che ciò che il destino le aveva riservato, fosse un bene piuttosto che una tragedia. Si sfregò le mani con foga, cercando di ignorare l’agitazione che iniziava ad infrangere la sua apparente tranquillità, tenuta insieme da un potentissimo ego che non le avrebbe mai permesso, in pubblico, di apparire fragile e vulnerabile. Non ad un occhio estraneo, insomma. I minuti passavano inesorabili quando, finalmente, dall’entrata fece capolino il primo componente della squadra rosso-oro, reduce di quell’allenamento che li aveva tenuti occupati. Matti. Il clima, oramai, si era fatto rigido e quel desiderio di continuare a svolazzare in quel cielo colmo di nubi minacciosi, sinceramente, non lo comprendeva. Forse qualcuno teneva in ostaggio le loro famiglie? Ah, no. Quella era lei. Dissentì e si assicurò di non dover attendere ancora molto. La solita impaziente di turno. Smentirsi? Mai. Si rallegrò e quando il giovane fece la sua trionfale entrata in quel campo visivo insofferente, non perse un solo attimo. Scattò in avanti e lo raggiunse, circondandogli la vita ma celando la sua identità, soffermandosi contro la sua schiena e godendosi il momento, così come il suo profumo. Una ventata d’aria fresca. Una sensazione della quale necessitava realmente, come se servisse a riportare l’equilibrio messo a rischio da tutto ciò che, sfortunatamente, la circondava. Reagì con un sorriso al suo saluto, velocemente, prima di prendere l’iniziativa che li avrebbe condotti dritti all’obiettivo che si era prefissata non appena aveva aperto gli occhi quel mattino. Sì. Non era da lei programmare un qualche cosa che potesse assumere le sembianze di un appuntamento romantico ma, d’altra parte, non solo avrebbe voluto sopperire a quella mancanza di tatto uscita alla festa di ritorno ma la sua idea stava proprio nel regalargli un momento differente. Un momento che gli potesse spiegare la sua vera essenza. Non quella costruita. Non quella indotta da fattori esterni. Un gesto che spiegasse chi fosse Rain Scamander. Lo trascinò in lungo e in largo, sino a quando non furono esattamente dove sarebbero dovuti essere: davanti all’aula in disuso. Al suo interno sembrava tutto come una volta. Come se nessuno si fosse azzardato a liberarsi del più insignificante granello di polvere. Oh, sì! Quella stanza avrebbe avuto bisogno di una bella rassettata. Eppure no. Forse stava proprio in quel disordine il suo fascino o, almeno, così era nella mente della verde-argento, ricolma di quei tristi ricordi legata alla sua vecchia compagna di stanza. La sua amica. La persona che più le mancava tra quelle mura. Osservò il sorriso forzato di Nathan a braccia conserte e con aria imbronciata, lo stesso di una bambina capricciosa. “Allora proprio non ti fidi di me!” Per chi l’aveva presa? Per una Grifondoro scontata qualunque? Niente di più sbagliato. Mai sottovalutare una bomba a orologeria come lei. Si esibì in una mezza giravolta e lasciò la sua postazione per percorrere con lo sguardo l’arredamento discutibile che riempiva, a caso, l’ambiente. “Questa stanza, come dire…” Nascondeva ben più di quello che poteva immaginare. “Mi somiglia!” Un paragone azzeccato. Fece spallucce, quasi come se reputasse scontato il concetto che stava per proporre, anche se consapevole che fosse tutt’altra la realtà. “Io? In punizione?” Il sopracciglio sinistro schizzò all’insù. Testa di cazzo sì, lo poteva essere ma da lì a farsi confinare in qualche remoto angolo del castello a vestire i panni di Cenerentola, beh, ne passava. “Ma hai visto il mio rendimento?” Perfetto. “Macchiarlo a causa di un’infrazione al regolamento? Mai.” Dopo aver perso l’anno per i suoi colpi di testa, la giovane, si era imposta un personale schema di pensiero, al di fuori del quale non sarebbe potuta andare. Finalmente le distanze andarono a puttane e il contatto le diede quel sollievo che attendeva da quella notte d’estate, impressa a fuoco nei suoi più intimi pensieri proibiti. “Che importa dove?” Puntò le sue labbra, bramandole a tal punto dal doversi imporre di contegno che, altrimenti, avrebbe infranto una miriade di regole anche morali –alle quali badava decisamente meno-. “Tu…” Lui? Non terminò la frase ma, ancora una volta, si sporse in avanti, scegliendo il silenzio come miglior risposta, capace di completare il concetto rimasto inespresso. Si prese qualche centimetro, tornando a contemplare quello spazio angusto, per poi soffermarsi sul passaggio segreto che li avrebbe condotti davanti a uno spettacolo verso e proprio, uno di quelli che sicuramente non si sarebbe aspettato. I suoi occhi azzurri raggiunsero, confusi, il grande armadio e una domanda si levò, infrangendo il silenzio che il suo meditare aveva procurato. ”… perché stiamo guardando un armadio?” Alzò il braccio e, con delicatezza, adagiò il palmo della candida mano sulla guancia di Nathan, ancora perplesso. “Non si tratta di un armadio qualsiasi.” Anche se da fuori nessuno avrebbe scommesso un galeone. “Nate?” Pronunciò il suo nome, specchiandosi nei suoi occhi dai freddi colori. “Prima di andare…” Ma poi dove? Neanche si era degnata di accennare qualche indizio. “Volevo scusarmi. Non l'avevo ancora fatto e il peso mi uccide!” Un evento più unico che raro. “Mi sono comportata da pazza furiosa.” Tentare di farlo ingelosire? Quanti anni vantava sulle sue spalle? Dieci? Andiamo. “Dopo quella notte…” Come era stata? “… bellissima notte.” Si corresse, prima di continuare quello che in molti avrebbero reputato “un patetico monologo”. “Bhe… mi piaci molto di più di quanto io sia pronta ad ammettere!” Non era questione di intesa fisica. No. O meglio, anche! “Non mi esci dalla testa! Io non voglio che tu ci esca! Sto bene. Sono felice.” Sperava di essere stata chiara. Ciò che aveva visto non era altro che una cazzata posta in essere per alimentare il suo ego già smisurato. “Ci tengo che tu sappia che quella notte è stata importante per me!” Le aveva fatto capire che a quel mondo qualcuno teneva a lei. Qualcuno che non si sarebbe tirato indietro davanti alla complessità d’animo da lei dimostrata. “Andiamo?” Allungò la mano, richiamando a sé quella di lui. Un flebile sorriso. Un regalo che riservava a pochi.
  15. .
    mike
    Stanca ma felice. Due stati d’animo che, negli ultimi tempi, riuscivano a convivere in lei senza particolari problemi. Se da un lato avvertiva un senso di spossatezza, dall’altro sentiva il bisogno di vivere minuto per minuto quell’esistenza che, di punto in bianco, sarebbe potuta terminare per mano di coloro che, chissà in quale punto del mondo, iniziavano a muoversi per riprendersi ciò che, secondo loro, gli apparteneva senza alcuna riserva. Nel giro di poco, quindi, Rain era divenuta l’oggetto del loro desiderio e, conoscendoli bene, era certa che non si sarebbero arresi davanti a nulla. Dritti all’obiettivo. Dritti a lei, evitando giri superflui. Si trovava in pericolo. La sua visita estiva nella casa dei genitori adottivi le aveva confermato quel pensiero ma, d’altra parte, non sentiva il bisogno di vivere nell’ombra anzi, al contrario, con grande determinazione, aveva deciso di esporsi a tal punto da risultare anche un facile bersaglio. Stupida? Fatalista? Punti di vista differenti che non avrebbero cambiato il suo. Non le importava. Nessun limite. Neanche se questa libertà, avesse segnato definitivamente la sua fine. Ombre tetre. L’oscurità sembrava avvolgerla completamente e, per quanto si sforzasse ad operare per autoconvincersi, l’idea di dover affrontare la situazione in totale autonomia la spaventava. Fino a quel momento solo una persona era a conoscenza, in parte, dei fatti accaduti nei mesi precedenti. Nathan Knox. Il Grifondoro che, come un fulmine a ciel sereno, si era fatto largo nella sua quotidianità, ritagliandosi uno spazio così importante da indurla a credere di provare qualche cosa nei suoi riguardi. Galeotta fu una notte di fine estate quando, dopo una serata in compagnia, si era lasciata andare tra le sue braccia, ritrovando quella sensazione di protezione che raramente aveva riscontrato nelle relazioni precedenti. Se così si poteva dire, effettivamente. Diamond Rain Scamander. L’emancipazione fatta a persona. Così inavvicinabile. Altamente tossica e decisamente esasperante. Una persona particolare, difficile da catturare e da gestire. Impossibile da far innamorare. Rain. Colei che, dopo attente riflessioni, cominciava a vacillare, lasciandosi trasportare da emozioni semi sconosciute ma fruitrici di felicità, la stessa che, in qualche modo, riuscì ad offuscare la stanchezza, gentile regalo dell’ansia provata a raffica durante ogni singolo minuto della giornata.
    Aumentò il passo, mantenendo lo sguardo dritto davanti a sé. Fiero e sicuro. Il solito portamento indifferente. Distante. Nessuno si azzardava a rubarle neanche un istante. La sua figura si muoveva leggiadra e indispettita lungo il corridoio. Le lezioni erano giunte al termine e il bisogno di rintanarsi all’interno della sua Sala Comune, poteva dirsi la sua priorità assoluta ed indiscussa. La pesantezza delle attività si erano sommate all’esaurimento e, dopo quello stress, il suo sistema nervoso necessitava di un’attività rilassante e, allo stesso tempo, costruttiva. Optò per la lettura. Niente di impegnativo ma, comunque, utile ad aiutarla nella sue evasione momentanea da quel mondo ricolmo di preoccupazioni. Si lasciò la luce alle spalle e, più determinata che mai, scese negli inferi in quel dei sotterranei percorrendo nella semi oscurità la distanza che la separava dalla quiete. Varcò la sogli e immediatamente il tepore del camino giunse a lei, riscaldandole la pelle e provocandole un brivido confortante lungo la schiena. Si guardò intorno e, con sua grande sorpresa, constatò quanto quel luogo non fosse molto gettonato in quel frangete. Fatta eccezione per qualche anima disperata, sparsa qua e là, affaccendata a fare chissà cosa, il silenzio regnava sovrano, rotto da qualche sporadica risatina isterica da parte di mocciosi esagitati per un nonnulla. Si protese in avanti e stava per abbandonare la nave quando, a qualche metro da lei, di spalle si ergeva la possente figura più che familiare del bulgaro più famoso di Hogwarts: Axel Dragonv. Il suo amico speciale. La persona con la quale riusciva ad essere sé stessa, lasciando da parte quelle maschere alle quali era abituata a far ricorso e, soprattutto, quei freni inibitori che non facevano bene al suo spirito libero. Si avvicinò di soppiatto. Lo sguardo cadde, inevitabilmente, sul suo fondoschiena ma, per qualche assurdo motivo, non le suscitò la solita reazione per quanto perfetto risultasse ai suoi occhi. Oggettivamente, il moro, poteva essere definito un gran figo, capace di esercitare una fortissima attrazione sessuale non solo su di lei ma, anche, sulla maggior parte della popolazione femminile presente in quel castello. Un punto a suo favore. Una caratteristica fondamentale per impersonare il ruolo di playboy che gli calzava a pennello. Che le stava accadendo? Allontanò l’inevitabile pensiero, decidendo improvvisamente di palesare la sua presenza tramite un abbraccio da dietro. Gli circondò la vita e, subito dopo, uscì allo scoperto, portandosi davanti ai suo sguardo, credendo di trovarlo letteralmente perplesso. Quale mente instabile si sarebbe mai sognata di avanzare nei suoi confronti un gesto tanto intimo, senza temere una ripercussione? Beh, solo una grande faccia di merda. La faccia di merda di una rossa a caso. Si alzò sulle punte e posò lo sue labbra cremisi sulla sua guancia, strappandogli un casto bacio, come fosse un gesto consueto al quale l’aveva volutamente abituato. “Buonasera, straniero!” Si allontanò di qualche passo, attratta dalla poltrona in velluto verde scuro, posizionandosi comodamente, senza perdere il contatto visivo con il ragazzo. “Mi stavi aspettando?” Certo che no. Per quanto si fossero divertiti, era consapevole di non essere affatto al centro del suo mondo. Proprio per quel motivo, fino a poco prima di comprendere la suo nuova realtà, Rain, si era dedicata al piacere in sua compagnia, senza impegno. Nessuna pressione. Nessuna promessa. Niente che potesse etichettare un legame che, comunque, poteva definirsi solido seppur l’esclusività non era mai neanche stata sfiorata. Una perfezione che, forse, sarebbe stata infranta dai sentimenti provati nei confronti di un altro uomo. “Sono davvero felice di vederti. Un po' di intimità insime al mio amico del cuore. Mi ci voleva.” Gli impegni si erano susseguiti in una modalità devastante. Il tempo libero si era ridotto ai minimi termini e il suo rendimento scolastico si trovava in cima alle sue priorità, così da poter innalzare le sue aspettative verso un futuro roseo che, contro ogni previsione, credeva fermamente di meritare. “Allora? Non hai nulla da raccontarmi?” Piegò la testa di lato, lasciando che i suo capelli raccolti in una lunga coda ordinata, finissero sulla sua spalla. Prese tempo, conscia di dovergli una spiegazione riguardante le insinuazioni proposte al falò di inizio anno, durante il loro cammino verso la festa. Se ne era scordato? Probabilmente. Eppure, prima di congedarsi da lui, avrebbe vuotato il sacco, speranzosa di poter ricevere delle dritte sui comportamenti da tenere in quella difficoltà dalla quale non riusciva a riemergere. Un consiglio disinteressato e obiettivo. Non avrebbe potuto chiedere di meglio.


    Edited by acid rain. - 5/1/2024, 21:07
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