I will follow you into the dark

Nathan.

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    Il Natale. Una di quelle feste in cui la gente sente il bisogno di aggregarsi. Un istinto naturale. Incontrollabile. Come se non si potesse fare a meno di vivere quello spirito con l’entusiasmo tipico di quel periodo dell’anno. La famiglia. Gli affetti. Tutti elementi che, insieme, avrebbero contribuito ad infondere nel cuore delle persone, la gioia e la sicurezza di un focolare pronto ad accoglierle a braccia aperte, nel quale trovare ristoro. Giorni felici, spensierati, esattamente come quelli che, fino all’anno precedente, era riuscita a vivere anche lei, nella più totale semplicità in compagnia di coloro che, gli eventi, le avevano strappato in maniera crudele. Abbassò lo sguardo affranto e lasciò scivolare via la divisa, andando a scoprire la sua pelle diafana, poco prima che l’acqua calda della doccia prese a scorrerle addosso. Alzò la testa. I suoi grandi occhi scuri si chiusero e rimase immobile, godendo di quel momento che avrebbe contribuito a calmarla al fine di portare a termine il suo obiettivo giornaliero. Ogni pensiero negativo fu spazzato via e, al centro della sua attenzione, improvvisamente, vi fu solo un soggetto. Un soggetto così interessante da farle salire una sorta di ansia da prestazione di cui mai, prima di allora, aveva conosciuto. Una sensazione strana. Nuova e destabilizzante ma così fresca ed invitate da scacciare l’angoscia che, altrimenti, l’avrebbe travolta e spinta nell’oblio senza ritorno. Per un giorno si era imposta di dire no. I problemi sarebbero stati lì, ad aspettarla, anche l’indomani. Arrestò lo scroscio e ne uscì rigenerata. Un sospiro di sollievo la motivò a perseguire ciò che la sua testa le aveva suggerito per tentare di sorprendere quel ragazzo che, sin dal primo momento, era riuscito con una naturalezza disarmante a fare breccia in quella corazza costruita per ripararsi dal dolore immenso provocato, in primis, dall’abbandono subito in tenera età. Poco male, certo, ogni fibra del suo corpo poteva percepire il bene che, quella scelta aveva donato in favore alla sua vita, d’altra parte, all’epoca non era altro che una bambina e un trauma così grande era, di per sé, difficile da digerire. Gli strascichi si facevano ancora sentire e lei non poteva farci proprio nulla per cambiare le carte in tavola, se no auto convincersi di essere abbastanza forte da poter riscrivere la sua storia dall’inizio, facendo riferimento a ciò che di buono aveva incontrato lungo il suo tortuoso cammino, caratterizzato da alti e bassi. Nathan era il picco. Una ventata d’aria pura, giunta nel momento più opportuno. Un regalo da parte di Merlino, forse. Se solo avesse creduto alle divinità, sarebbe corsa ad accendere uno di quegli stupidi ceri che si portavano in dono, per porre nelle loro mani speranze e sogni. Insomma, cazzate. Tornò nei pressi del suo letto e ci si accasciò sopra, ancora avvolta dal suo scarlatto asciugamano, posizionato per celare le sue forme, dando quella parvenza di privacy così sopravvaluta. Era giunta l’ora. Perdere tempo si sarebbe rivelato un rischio, considerando la sua necessità di cogliere di sorpresa il malcapitato per fare di lui un prigioniero con i fiocchi. Sì. Un sequestro di persona, in fondo sembrava un vizio di famiglia, probabilmente sarebbe riuscita nel su intento, senza neanche troppa fatica. Il DNA non mentiva. Passò la mano tra i capelli bagnati e, alla fine, si decise a muovere le sue chiappe d’oro. In pochi minuti i preparativi giunsero al termine e il suo outfit impeccabile la rallegrò. Osservò l’ora e sistemò i capelli per poi rivolgere un gesto di intesa a Freya, distratta da chissà quale pensiero impuro nei confronti di chissà chi. Quella ragazza l’avrebbe mandata ai matti, se avesse continuato sulla strada del mutismo. Pffff. Abbandonò la stanza e si addentrò nel covo delle serpi dove, come al solito, a perdere tempo prezioso, vi erano quelli che lei definiva balordi. Uno su tutti David Harris che, senza alcun motivo apparente, viaggiava con quel suo muso lungo improponibile e fastidioso. “Harris grande!” Lo salutò poco cordialmente, posandogli una mano sulla spalla per poi superarlo in tutta fretta. “Morto il gatto?” Ironizzò ma neanche tanto, poi. Lei per prima si definiva stronza intrattabile ma non era affetta da una paresi facciale che le impediva di cambiare espressione in base a chi si trovasse al suo cospetto. “Stammi bene.” Non si voltò, non attese una risposta ma, in lontananza, avvertì una specie di brontolio che la portò ad alzare il terzo dito, congedandosi definitivamente da quel luogo che era fiera di poter definire casa.
    Riemerse dai sotterranei giusto in tempo per intercettare uno dei compagni di squadra del rosso-oro, al quale rivolse un sorriso di circostanza prima di pararsi davanti a lui, impedendogli di proseguire per la sua strada, lontano dalla vipera per antonomasia. “Nathan è già rientrato?” La squadrò, forse chiedendosi del perché fosse così interessata alle mosse del cacciatore. Il sopracciglio rosso fuoco schizzò all’insù, impaziente. ”Sta arrivando!” Affermò con un filo di voce, prima di essere liberato da quella morsa infernale rappresentata dalla prorompente fisicità della Scamander. “Grazie, tesoro! Che Morgana ti abbia in gloria!” Con gentilezza raggiunse la parete nei pressi della scalinata centrale e si appoggiò ad essa, in trepidante attesa che dall’entrata principale facesse capolino il destinatario delle sue attenzioni. Non passo poi molto. Il suo campo visivo fu invaso dalla sua presenza, accendendo il lei il desiderio di stringerlo a sé. Calma. Sangue freddo. Correre non sarebbe servito al fine di quello che, per lei, era un regalo di Natale anticipato. Beh, più o meno. Neanche aveva idea se quel tipo di accorgimenti sarebbero serviti per far felice il biondino. Lentamente, celando la sua presenza, gli si parò alle spalle, circondandogli la vita da dietro e, così, obbligandolo ad arrestare la sua corsa verso il meritato riposo post allenamento. Quel giorno, avrebbe fatto meglio a rinunciarci o, meglio, a spostare il suo rilassamento verso nuovi orizzonti, da lei minuziosamente scelti per loro. Insieme. Si staccò solo per prendergli la mano e, dopo essersi alzata sulle punte dei piedi per posargli un bacio sulla guancia, lo invitò a seguirla, sulla fiducia. “Vieni con me!” Un tacito invito a non porre domande. Non in quel momento. Sarebbero state superflue. Lo trascinò a lungo fino a quando, a distanza di circa cinque minuti, si trovarono davanti alla stanza in disuso, proprio lì dove, un anno prima, si era ritrovata immersa in una piccola avventura che aveva portato lei e la sua amica Reina a scoprire un luogo che aveva custodito gelosamente, come se si sentisse in dover di proteggere quel momento condiviso con chi, oramai, non faceva più parte della sua vita. L’attesa poteva dirsi terminata. Aprì la porta e il caos caratterizzante quella che prima altro non era stata che un’aula, si palesò a loro. Sempre uguale. Era certa che le visiti a quel luogo fossero ridotte ai minimi termini, altrimenti qualcuno si sarebbe preso la briga di ridare un aspetto decente a quello spazio che sarebbe potuto tranquillamente potuto utilizzare in altri modi. “Eccoci arrivati!” Lasciò la presa e si mise a curiosare in giro, alla ricerca di un piccolo Arci. Oh, sì. Quello era il covo di mille e più Arci, viste le ragnatele sistemate quasi come ornamento. Ora che la meta era stata raggiunta, però, sbrigare la parte del piacere, le avrebbe migliorato l’umore. Tornò da lui e, senza troppi complimenti, gli sfiorò le labbra con lei sue scarlatte, circondandogli il collo con le braccia per approfondire quel contatto che le era tanto mancato. “Mi sei mancato, Nate!” Dopo il falò, il loro rapporto aveva subito un cambio di direzione, minato da equivoci alimentate, forse, dalle malelingue che non attendevano altro che infangare il suo buon nome. Per quanto si fosse comportata da perfetta idiota, mossa da una gelosia immotivata, Rain, davanti a lui si sentiva fragile. Umana. Il terrore di compiere un passo falso, ora, stava alla base della sua attenzione. “Avevo bisogno di passare del tempo con te!” In maniera disinteressata, con i vestiti addosso perché, dopo parecchio tempo, la verde-argento era presa da qualcuno non solo sul piano fisico ma, soprattutto, su quello mentale. Un livello pericoloso e di difficile gestione per chi, come lei, non si era mai posta il problema di quanto potesse essere faticoso non deludere qualcuno e no, lei non aveva alcuna intenzione di vederselo scivolare via delle dita. Lei teneva a lui e neanche aveva faticato ad ammetterlo a sé stessa. “E poi…” Voltò le iridi castane verso la parte ovest della stanza, occupata dall’armadio che li avrebbe trasportati in una specie di dimensione differente da quella. “… volevo mostrarti una cosa.” Mancavano tre giorni al momento fatidico dell’apertura dei regali ma l’impazienza aveva preso il sopravvento.
     
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    Nathan Knox | III | Grifondoro


    SidZF
    Più voleva non pensarci e più quel pensiero tornava, martellante, come un picchio che tamburellava il suo becco sul tronco di un albero. Sempre lì, costante, ai confini dei suoi pensieri che da giorni ormai lo tormentavano ogni volta che si trovava solo per abbastanza tempo da permettere ai pensieri di tornare sull'argomento. Fino all'inizio della scuola tutto sembrava stesse andando per il meglio, nonostante il senso di colpa che si presentava ogni qualvolta il suo cuore si sentisse più leggero, per la prima volta dopo molto tempo si era sentito felice. Nonostante quello che aveva perso, una famiglia, ciò che aveva trovato lo aveva riscaldato, riempito di sensazioni positive. Degli amici, un tetto sulla testa, un posto in cui tornare, un posto a cui appartenere, una ragazza che no, non era la sua ragazza, ma fino quel momento aveva pensato che la cosa non avesse importanza. In effetti, non aveva mai creduto che fosse rilevante darsi degli appellativi, stabilire a parole ciò che erano, ma nessun dubbio gli si era mai presentato a rovinare quel momentaneo idillio che stava vivendo. Questo, almeno, fino a quando non tornò ad Hogwarts. Avrebbe mentito se avesse detto che, ora, le cose stavano andando male per lui, anzi, tutto era perfetto, tutto progrediva senza intoppo alcuno ma, meschini, alcuni dubbi si erano insinuati in lui stringendogli il petto tra le spire soffocanti dell'ignoranza, del non sapere, lasciandolo a galleggiare inerme in quel lago di insicurezze che ora percepiva alle sue spalle. Prima Victoria, poi Grace, avevano contribuito a far nascere in lui il dubbio che, per Rain, non fosse altro che una frequentazione come tante altre che avrebbe potuto intrattenere. In effetti, mai si era parlato di esclusiva, forse perché per lui sarebbe stato assurdo pensare di frequentare qualcuno che non fosse lei in quel momento, ma non poteva essere certo che per la Serpeverde fosse lo stesso, e non avrebbe nemmeno potuto né voluto farle una colpa se, in effetti, oltre a lui avesse dedicato le sue attenzioni ad altri. Possibile che la capisse pure, per quanto non gli facesse affatto piacere, e il ricordo di lei e Aiden, mano nella mano, per quando avesse capito che non era quello che aveva creduto, gli aveva fatto intendere quanto sarebbe stato semplice, per la rossa, trovare qualcun altro. Cos'avrebbe dovuto fare lui, questo, non lo sapeva: parlarne con lei sarebbe sembrata la scelta migliore, anche se temeva che questo potesse risultare come un impegno a cui la ragazza non era pronta, aveva già i suoi problemi a cui pensare e sembrava meschino aggiungere le preoccupazioni del Grifondoro al carico. Frequentare altre ragazze? Impensabile per lui che, ogni volta che entrava in una stanza, finiva per cercarla tra la folla senza nemmeno rendersene conto, finendo per trovarla vuota ogni volta in cui non la trovava, non importava quante altre persone vi si potevano contare. Dubbi su dubbi, domande su domande, tutte cose per cui Halley lo avrebbe preso a bacchettate sulle dita se avesse saputo quale fosse la natura dei suoi pensieri invece di concentrarsi sugli allenamenti. Scese dalla scopa scambiando i soliti convenevoli con i compagni e, stanco, si incamminò vero gli spogliatoi dove lasciò che l'acqua calda gli scorresse addosso portandosi via fatica e stanchezza, ma i pensieri no, quelli rimasero esattamente al loro posto.
    -Andate pure, arrivo tra poco!- il tempo, nemico infame, era passato senza che ne avesse coscienza, lasciandolo ora solo nel suo tormento in uno spogliatoio ormai deserto in cui si rivestì di tutto punto e libero, in un certo senso, che il suo volto esprimesse al meglio ciò che erano le sue sensazioni. Si passò una mano sugli occhi chiari, ancora spossato, e finalmente si incamminò lungo il viale che riuscì ad infreddolirlo nel suo tragitto verso l'ingresso del castello
    -Ma che..- colto di sorpresa, abbassò lo sguardo prima sulle braccia che gli circondarono la vita e, solo in seguito, tentò di vedere chi si nascondesse dietro la sua schiena, non riuscendo a vederla in viso, ma finendo comunque per cogliere, con la coda dell'occhio, una folta chioma fulva che avrebbe riconosciuto tra mille
    -Ciao anche a te- sorrise mentre si chinava per lasciare che un bacio venisse depositato sulla sua guancia. Seguirla venne naturale, fidandosi dell'istinto che nemmeno lontanamente gli suggeriva che potesse finire in qualche pasticcio, ma comunque curioso di capire cos'avesse escogitato la sua mente contorta. Non fece domande, immaginando che non avrebbe ricevuto risposte, non esaustive per lo meno, limitandosi a seguirla stringendo la piccola mano della ragazza nella sua e lasciandosi guidare, osservandola di spalle con un mezzo sorriso, senza fare caso a come quei pensieri che poco prima lo stavano ammorbando, ora, non sembrassero più nemmeno suoi, dimenticati, pronti a saltar fuori al primo momento in cui le loro strade si fossero separate per tornare ai rispettivi dormitori. Si fermarono davanti ad una delle innumerevoli porte di quel luogo e, impaziente, allungò il collo per osservare l'interno non appena questa venne spalancata
    -Ah- la delusione lampante lasciò presto il posto ad un sorriso forzato -Voglio dire: un'aula! Che bello!- cercò di sembrare entusiasta ma la cosa era pressoché impossibile -Sei finita in punizione e vuoi che ti aiuti a ripulirla?- sollevò le sopracciglia facendo vagare lo sguardo sulla polvere che, come un manto immobile, preservava e nascondeva i colori dei mobili al di sotto. Con un braccio le circondò la vita sottile mentre, con l'altra mano, le scostava i capelli dal volto mentre le loro labbra si sfioravano, facendogli desiderare non interrompere quel contatto seppur leggero e delicato -Mi sei mancata anche tu- sorrise ancora, questa volta sincero, unendo di nuovo le labbra a quelle vermiglie di lei senza approfondire troppo quel gesto, senza rendere volgare quel momento in cui poteva sentirla sua -E hai scelto un'aula impolverata- ridacchiò, comunque lusingato che avesse scelto lui tra tutti -Non che mi lamenti, eh, apprezzo comunque il pensiero- scherzò lui esitando sul lasciarla andare ma non potendo fare altrimenti quando, seguendo lo sguardo della bella verde-argento, i suoi occhi incontrarono niente di meno che.. -Un armadio- constatazione sciocca -Cioè si, bello- corrucciò le sopracciglia avvicinandosi all'oggetto e scrutandolo più da vicino. Con le nocche della mano dominante batté un paio di colpi sul fianco dell'imponente scaffale -Ottima foggia, credo. Brava- con la mancina andò a fare un delicato pat-pat sulla testa rossa della Scamander, continuando a tenere gli occhi cerulei sull'armadio da cui ora si innalzava una piccola nuvoletta polverosa a seguito del suo bussare -Rain.. Perché stiamo guardando un armadio?-

     
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    Una perfetta idiota. Sapeva sempre come sorprendere in negativo le persone e, proprio mentre la vita stava iniziando a sorriderle, ci aveva pensato da sola a complicarsela. Un genio. Una mente eccelsa quando si trattava di rovinare il seminato da lei, a fatica, costruito. Ordinaria amministrazione. Quel fare distruttivo le usciva totalmente naturale. Nessuno sforzo. Niente di niente. Dopo un’estate all’insegna della semi tranquillità, cullata dalla sua nuova conoscenza, Rain, aveva ben pensato di mandare tutto a puttane con un gesto tanto plateale quanto stupido. Al falò, infatti, si era approfittata della vicinanza a Aiden per tentare di urtare la sensibilità del Grifondoro al centro della sua attenzione. Perché? Beh, il suo movente non era altro che un pensiero fisso, forse sterile, che la induceva a credere che tra lui e la biondina –sua compagna di squadra-, vi fosse una relazione che si spingesse oltre il limite consentito. Il fastidio l’aveva sopraffatta, lasciandola in balia della più profonda confusione. Lo smarrimento completo, lo stesso che limitava il tentativo di razionalizzare la situazione, così da poter fornire una spiegazioni valida a quell’atteggiamento –a suo avviso- troppo amichevole. Non le importava in realtà. A lei sarebbe bastato vincere, da buona primadonna. D’altra parte, se tutti i tasselli fossero andati al loro posto e la verità non fosse la stessa da lei temuta, sarebbe stata la prima ad accettare –seppur non con felicità- la loro amicizia. Roteò gli occhi castani, arrendendosi a quella che si sarebbe probabilmente tramutata in una certezza, contando sul fatto di averci visto lungo quando, mesi prima, aveva preso la decisione di porre nelle mani di Knox la sua fiducia. A poco a poco. Lentamente. Con i piedi di piombo. Come mai si era azzardata di fare in vita sua. Agire di impulso, per lei, poteva dirsi una consuetudine e, da un lato, il suo gettarsi tra le braccia del leone ne era stato un piccolo sintomo. D’altra parte, però, il loro primo incontro era stato significativo. Così importante da passare sopra alla quantità del tempo trascorso in sua compagnia, favorendone la qualità. Ed eccola lì. A distanza di mesi, ancora più convinta che la strada scelta, fosse quella giusta che l’avrebbe condotta a ciò a cui aveva sempre ambito: la felicità Un’utopia. Un sentimento che le era stato strappato bruscamente dalle mani quando, senza alcuna pietà, i suoi genitori avevano preferito i loro affari a lei. Un trattamento per nulla di favore che, per forza di cose, aveva innescato meccanismi complessi sia nel suo essere che nella vita di tutti i giorni, Un cambio repentino di quotidianità che, con il passare del tempo, era riuscita ad assorbirla a tal punto da auto convincersi che ciò che il destino le aveva riservato, fosse un bene piuttosto che una tragedia. Si sfregò le mani con foga, cercando di ignorare l’agitazione che iniziava ad infrangere la sua apparente tranquillità, tenuta insieme da un potentissimo ego che non le avrebbe mai permesso, in pubblico, di apparire fragile e vulnerabile. Non ad un occhio estraneo, insomma. I minuti passavano inesorabili quando, finalmente, dall’entrata fece capolino il primo componente della squadra rosso-oro, reduce di quell’allenamento che li aveva tenuti occupati. Matti. Il clima, oramai, si era fatto rigido e quel desiderio di continuare a svolazzare in quel cielo colmo di nubi minacciosi, sinceramente, non lo comprendeva. Forse qualcuno teneva in ostaggio le loro famiglie? Ah, no. Quella era lei. Dissentì e si assicurò di non dover attendere ancora molto. La solita impaziente di turno. Smentirsi? Mai. Si rallegrò e quando il giovane fece la sua trionfale entrata in quel campo visivo insofferente, non perse un solo attimo. Scattò in avanti e lo raggiunse, circondandogli la vita ma celando la sua identità, soffermandosi contro la sua schiena e godendosi il momento, così come il suo profumo. Una ventata d’aria fresca. Una sensazione della quale necessitava realmente, come se servisse a riportare l’equilibrio messo a rischio da tutto ciò che, sfortunatamente, la circondava. Reagì con un sorriso al suo saluto, velocemente, prima di prendere l’iniziativa che li avrebbe condotti dritti all’obiettivo che si era prefissata non appena aveva aperto gli occhi quel mattino. Sì. Non era da lei programmare un qualche cosa che potesse assumere le sembianze di un appuntamento romantico ma, d’altra parte, non solo avrebbe voluto sopperire a quella mancanza di tatto uscita alla festa di ritorno ma la sua idea stava proprio nel regalargli un momento differente. Un momento che gli potesse spiegare la sua vera essenza. Non quella costruita. Non quella indotta da fattori esterni. Un gesto che spiegasse chi fosse Rain Scamander. Lo trascinò in lungo e in largo, sino a quando non furono esattamente dove sarebbero dovuti essere: davanti all’aula in disuso. Al suo interno sembrava tutto come una volta. Come se nessuno si fosse azzardato a liberarsi del più insignificante granello di polvere. Oh, sì! Quella stanza avrebbe avuto bisogno di una bella rassettata. Eppure no. Forse stava proprio in quel disordine il suo fascino o, almeno, così era nella mente della verde-argento, ricolma di quei tristi ricordi legata alla sua vecchia compagna di stanza. La sua amica. La persona che più le mancava tra quelle mura. Osservò il sorriso forzato di Nathan a braccia conserte e con aria imbronciata, lo stesso di una bambina capricciosa. “Allora proprio non ti fidi di me!” Per chi l’aveva presa? Per una Grifondoro scontata qualunque? Niente di più sbagliato. Mai sottovalutare una bomba a orologeria come lei. Si esibì in una mezza giravolta e lasciò la sua postazione per percorrere con lo sguardo l’arredamento discutibile che riempiva, a caso, l’ambiente. “Questa stanza, come dire…” Nascondeva ben più di quello che poteva immaginare. “Mi somiglia!” Un paragone azzeccato. Fece spallucce, quasi come se reputasse scontato il concetto che stava per proporre, anche se consapevole che fosse tutt’altra la realtà. “Io? In punizione?” Il sopracciglio sinistro schizzò all’insù. Testa di cazzo sì, lo poteva essere ma da lì a farsi confinare in qualche remoto angolo del castello a vestire i panni di Cenerentola, beh, ne passava. “Ma hai visto il mio rendimento?” Perfetto. “Macchiarlo a causa di un’infrazione al regolamento? Mai.” Dopo aver perso l’anno per i suoi colpi di testa, la giovane, si era imposta un personale schema di pensiero, al di fuori del quale non sarebbe potuta andare. Finalmente le distanze andarono a puttane e il contatto le diede quel sollievo che attendeva da quella notte d’estate, impressa a fuoco nei suoi più intimi pensieri proibiti. “Che importa dove?” Puntò le sue labbra, bramandole a tal punto dal doversi imporre di contegno che, altrimenti, avrebbe infranto una miriade di regole anche morali –alle quali badava decisamente meno-. “Tu…” Lui? Non terminò la frase ma, ancora una volta, si sporse in avanti, scegliendo il silenzio come miglior risposta, capace di completare il concetto rimasto inespresso. Si prese qualche centimetro, tornando a contemplare quello spazio angusto, per poi soffermarsi sul passaggio segreto che li avrebbe condotti davanti a uno spettacolo verso e proprio, uno di quelli che sicuramente non si sarebbe aspettato. I suoi occhi azzurri raggiunsero, confusi, il grande armadio e una domanda si levò, infrangendo il silenzio che il suo meditare aveva procurato. ”… perché stiamo guardando un armadio?” Alzò il braccio e, con delicatezza, adagiò il palmo della candida mano sulla guancia di Nathan, ancora perplesso. “Non si tratta di un armadio qualsiasi.” Anche se da fuori nessuno avrebbe scommesso un galeone. “Nate?” Pronunciò il suo nome, specchiandosi nei suoi occhi dai freddi colori. “Prima di andare…” Ma poi dove? Neanche si era degnata di accennare qualche indizio. “Volevo scusarmi. Non l'avevo ancora fatto e il peso mi uccide!” Un evento più unico che raro. “Mi sono comportata da pazza furiosa.” Tentare di farlo ingelosire? Quanti anni vantava sulle sue spalle? Dieci? Andiamo. “Dopo quella notte…” Come era stata? “… bellissima notte.” Si corresse, prima di continuare quello che in molti avrebbero reputato “un patetico monologo”. “Bhe… mi piaci molto di più di quanto io sia pronta ad ammettere!” Non era questione di intesa fisica. No. O meglio, anche! “Non mi esci dalla testa! Io non voglio che tu ci esca! Sto bene. Sono felice.” Sperava di essere stata chiara. Ciò che aveva visto non era altro che una cazzata posta in essere per alimentare il suo ego già smisurato. “Ci tengo che tu sappia che quella notte è stata importante per me!” Le aveva fatto capire che a quel mondo qualcuno teneva a lei. Qualcuno che non si sarebbe tirato indietro davanti alla complessità d’animo da lei dimostrata. “Andiamo?” Allungò la mano, richiamando a sé quella di lui. Un flebile sorriso. Un regalo che riservava a pochi.
     
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    Nathan Knox | III | Grifondoro


    Come chiedere, se chiedere, era qualcosa che Nathan non riusciva a figurarsi. Nonostante l'ansia di sapere se lo mangiasse vivo, aveva paura che persino una domanda di troppo avrebbe potuto incrinare quel rapporto a cui non sapeva dare una connotazione precisa, rischiando di perdere qualcosa che, finalmente, lo facesse stare bene. Non si trattava solo di curiosità, era diventato qualcosa che sentiva di aver bisogno di sapere per stare sereno o, al più, per mettersi l'anima in pace, nonostante ci fosse ancora una parte di lui che avrebbe preferito rimanere nell'ignoranza. Temeva che, a domandare a Rain come stessero le cose tra loro, non avrebbe fatto altro che aggiungere ulteriore pressione al carico che la ragazza si portava sulle spalle, appesantendo quel periodo già così difficile per lei che, era possibile, cercasse solo leggerezza. Eppure voleva scoprirlo. Sapere se era solo quello ciò che rappresentava, una parentesi del momento, attimi di spensieratezza che le servivano per distrarsi e, magari, non era neppure l'unico. Nulla di sbagliato, niente che gli avrebbe fatto puntare il dito con chissà quale giudizio verso la ragazza che aveva tutto il diritto di fare ciò che voleva senza dover rendere conto a lui di come e a chi dedicasse il suo tempo, il Grifondoro non era mai stato il tipo che avrebbe fatto pensieri maligni o che valutassero le persone da quello, il suo interesse era più che altro per salvaguardare se stesso. Si era affezionato a quella ragazza bizzarra dai modi strani, mai scontati, mai banali, di certo non prevedibili e, farsi male, era qualcosa che avrebbe voluto evitare. Tuttavia non era sicuro di essere pronto per una risposta. Che fare se le affermazioni di Grace avessero trovato un riscontro nella replica della bella Serpeverde? Un passo in dietro sarebbe stato obbligatorio, evitare di farsi male era ciò che la logica gli imponeva di fare ma, al tempo stesso, non avrebbe voluto farlo. Ed eccola li, quella parte di lui che, al contrario, voleva rimanere nell'ignoranza per continuare a viversi quel rapporto a cui, oramai, aveva capito di tenere.
    Un vigliacco, ecco cos'era. Nemmeno sapeva cosa passasse per la testa di Rain e già programmava la ritirata strategica solo per non ferirsi. Lo sguardo si indurì e le sopracciglia si corrucciarono mentre osservava la figura di spalle della ragazza che lo trascinava per i corridoi senza metterlo a parte della meta a cui stavano puntando. Di nuovo, stava dimostrando di come, alla fine, scegliesse sempre la strada più facile e di come si defilasse dalle situazioni pur di non lasciare che lo scalfissero. Forse a ragionare in quel modo si sarebbe mantenuto al sicuro, protetto da quegli agenti esterni che avrebbero scombussolato i suoi equilibri ma, vivere così, che vita era? Strinse la presa sulla mano della Scamander realizzando, ora più di prima, che no, non avrebbe voluta lasciarla andare. E magari si sarebbe fatto male, poteva anche darsi che sarebbe tornato dalla Johnson con il cuore infranto a sentirsi dire un classico “te lo avevo detto”, sperando di poter trovare nell'amica un conforto se mai fosse stato il caso, ma mollare prima ancora di provarci sarebbe stato un tale spreco. Prima o poi le avrebbe chiesto come stavano le cose, tra loro come tra lei e altri, e pure se la risposta non fosse stata quella da lui sperata, allora le avrebbe dato un motivo per scegliere lui. Certo, questo voleva dire che avrebbe dovuto anche trovarlo un motivo per permetterle di fare quella scelta, ma un passo alla volta, ci stava lavorando.
    Sjkna
    -Voglio fidarmi di te- ammise con un mezzo sorriso, racchiudendo in quella breve frase tutto il turbinio emotivo che da giorni lo stava rendendo più pensieroso del solito ma, questo, la ragazza non poteva saperlo. Osservò meglio la stanza per cercare di capirne l'attrattiva, cercando nell'arredamento e nella sua disposizione un motivo per cui si trovavano proprio li e proprio in quel momento ma, i suoi occhi indagatori, non riuscirono a cogliere nulla per cui fosse valso il tragitto all'infuori della compagnia della verde-argento “Questa stanza, come dire, mi somiglia!” sollevò le sopracciglia, concedendo all'aula una seconda occhiata di studio per capirne il paragone
    -Incasinata?- arrischiò una battuta -Misteriosa?- questa volta più serio, ma sempre con un sorriso ad incurvargli le labbra. Non sapeva cosa intendesse la ragazza e cosa ci vedesse di simile a lei. Spoglia, fredda e polverosa, nulla su cui posasse lo sguardo gli avrebbe mai fatto pensare a Rain. Un'aula come tante, quasi banale, senza particolari meriti e che, per motivi di cui non era a conoscenza, era stata messa da parte. Come lui, in effetti. La strinse a sé, annullando le distanze e beandosi di quel contatto che gli fece scordare quest'ultimo pensiero. Si, forse era stato messo da parte e aveva lasciato che la polvere si depositasse su di lui, sui suoi pensieri e sulle sue sensazioni, rimanendo ancorato per un tempo interminabile su ricordi dolorosi che gli appesantivano l'anima, ma non era più così, ed era ora di smettere di vedersi in quel modo. Nonostante il senso di colpa che rimaneva a farsi sentire, era sempre più flebile, quasi una reminiscenza lontana. Si sentiva felice da giorni, forse da mesi, ed era successo tutto in modo così graduale e spontaneo che, per assurdo, cominciava a realizzarlo solo in quel momento
    -Che importa dove?- ridacchiò fissandosi sugli occhi scuri e profondi di lei -Non mi starai diventando romantica?- la prese bonariamente in giro, nonostante le gote rosse denotassero il suo apprezzamento per quella frase che, come tante altre pronunciate dalla stessa ragazza prima di questa, aveva lo strano effetto di farlo sentire speciale. Si chinò di nuovo su di lei, rubandole l'ennesimo bacio e rafforzando la presa sui suoi fianchi. Le mani presero a scorrere sulla schiena della ragazza sfiorando i lunghi capelli rossi e, una volta separati di nuovo per la carenza di ossigeno, poggiò la fronte contro quella della ragazza -Che importa dove?- ripeté, questa volta convinto della veridicità di quelle stesse parole. Lui? Non seppe mai cosa Rain avrebbe voluto dire, ma l'assecondò trovando in un armadio una nuova fonte di interesse. O almeno così sarebbe dovuto essere. Ai suoi occhi rimaneva un semplice mobile, nemmeno troppo grande, certo non degno di nota, non gli avrebbe dedicato una seconda occhiata se non fosse stato per la ragazza che, in un certo senso, lo obbligava a prestargli attenzione -É magico?- scherzò ancora ma, subito dopo, lo sguardo si fece serio percependo il cambio di tono della sua accompagnatrice, nonché guida, che come se gli avesse letto nel pensiero si perse in discorsi ben più seri di quanto si sarebbe aspettato. Ascoltò le sue parole in religioso silenzio, arrossendo come suo solito sul finale ma senza celare il sollievo che provò per quell'ammissione che lo fece sentire da subito più leggero
    -Rain, non mi devi alcuna scusa, è stato solo un malinteso- la reazione che aveva avuto per il solo averla vista con qualcun altro era stata esagerata, lui per primo aveva sbagliato, come se la Serpeverde non potesse parlare o avere rapporti con altre persone. Era spigliata, estroversa, non aveva fatto nulla che uscisse da ciò che aveva sempre saputo di lei -E mi piaci anche tu, nel caso non si fosse capito- il rossore sul suo viso stava toccando nuove vette. Lo stomaco, dentro di lui, stava facendo le capriole nel sentirla parlare ma, non poteva negarlo, non quanto avrebbe potuto se non avesse avuto quei pensieri intrusivi che lo costringevano ad immaginarla con qualcun altro. Nella sua mente, le parole di Grace risuonavano come un campanello di allarme che gli imponevano di rimanere con i piedi per terra. Come chiedere, se chiedere. Di nuovo quei dubbi amletici che gli smorzavano ogni entusiasmo
    -Mi piaci- lo ripeté di nuovo a sottolineare la rilevanza che dava a quelle parole -E sto sempre bene quando sono con te o quando penso a te, e per la cronaca, succede più spesso di quanto vorrei ammettere- sorrise imbarazzato portandosi una mano alla nuca prima che il sorriso cominciasse a spegnersi attimo dopo attimo -Solo che..- distolse lo sguardo incerto se farlo davvero. Le scostò i capelli dalla spalla solo per non doverla guardare negli occhi -Voglio dire.. Quindi tu e Dragonov..- che razza di idiota. Alla fine non era riuscito a trattenersi
    -Merlino, non voglio farti il terzo grado- si passò una mano sugli occhi prima di trovare il coraggio di portarli di nuovo su quelli di lei -Vorrei solo capire in cosa mi sto infilando- bon. Dubbi mollati, più o meno. Non poteva certo definirsi fiero del risultato zoppicante, ma era libera di rivelargli solo ciò che voleva sulla questione.
    Nonostante i dubbi, le paure che poteva avere, gli avvertimenti e tutto ciò che avrebbero comportato, non esitò un secondo ad afferrare la mano che gli veniva offerta -Andiamo- le sorrise, mettendosi al suo fianco, ritrovandosi ancora una volta davanti al misterioso armadio che gli suscitava solo confusione -Ma, Rain, dov'è che dovremmo andare, esattamente?-

     
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    Serpeverde
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    Era riuscita a incasinare tutto? Non ne aveva l’assoluta certezza ma, tirando le somme, ogni avvenimento positivo nella sua vita, riusciva a rovinarlo con le sue stesse mani. Un potere non indifferente, se vogliamo darci un voto. Forse, però, sarebbe stato meglio mettere da parte la pateticità e concentrarsi su ciò che di buono la vita le stava offrendo su un vassoio d’argento: Nathan. Un ragazzo d’oro che, forse, neanche meritava. Le era stato vicino dal primo momento. Anche quando non erano altro che semplici sconosciuti, imbattutisi, per caso l’una nell’altro, in un giorno qualunque. Uno strambo inizio. Sì. Doveva ammetterlo. Aveva riversato su di lui informazioni non proprio degne di un primo appuntamento ma, nonostante la palese follia dimostrata, non aveva dato segno di voler fuggire via a gambe levate. Oh, sì! Ne avrebbe avuto ogni motivo. Quel ricordo, in una situazione differente, l’avrebbe fatta ghignare ma, in quel momento come non mai, la serietà avrebbe dovuto regnare sovrana. Si vergognava. A morte. Si era comportata come una perfetta idiota, nascondendo dietro al suo fare spavaldo tutta l’insicurezza che provava nei confronti di quella situazione nuova, caratterizzata da sentimenti e cazzate varie che, mai prima di allora, aveva avuto modo di sperimentare direttamente sulla sua pelle. Era capitato di provare attrazione fisica per qualcuno. Ok, più di uno. Ma la faccenda si fermava lì. Sveltine. Storielle di poco conto. Stronzate adolescenziali alle quali ricorreva per sentirsi sicura di sé e avere il controllo sugli altri. Una sorta di manipolazione che aveva lasciato andare in seguito alla decisione che la vide fare ritorno tra quei banchi di scuola che aveva rifiutato categoricamente, soffocando il suo intelletto ingiustamente e poi per quale, stupido, motivo? Neanche ricordava i fatti come fossero accaduti. Si era premurata di archiviare quei lontani ricordi, così da lasciare spazio a qualche cosa di nuovo ma, alla fine, al loro posto si erano posizionate le preoccupazioni che, ancora, le pesavano sul cuore. Di certa vi era una cosa sola e solamente: Diamond Rain Scamander non poteva più dirsi la stessa persona che in molti conoscevano o, almeno, pensavano di conoscere. In pochi, però, avrebbero potuto affermarlo con certezza. Gli altri? Feccia. Non si curava delle dicerie sputate, gratuitamente, dalla gente. Loro non potevano sapere. Niente. Né della sua famiglia. Né di ciò che provava ogni giorno, una volta messo giù il piede dal letto. Quando la sensazione di inutilità le afferrava la gola, stringendola a tal punto da farle mancare il respiro. Ma forse sarebbe stato meglio così. Crederla superficiale e vuota, avrebbe allontanato domande scomodo e indiscrete.
    ”Voglio fidarmi di te.” Ogni assillo si dissolse. La voce del Grifondoro la riportò alla realtà, allontanandola da quel baratro nel quale stava per lasciarsi andare. Senza biglietto di ritorno. Una rassicurazione che neanche si aspettava. L’ennesima. Ma avrebbe fatto bene a porre in lei così tanta fiducia? L’ansia da prestazione sarebbe stata inevitabile per un tipo come lei, irresoluto. In ogni caso la seguì dentro alla stanza, apparentemente insulsa. Non aveva tutti i torti nel suo scetticismo. Quell’aula, però, rappresentava uno dei momenti più emozionanti vissuti in compagnia di una persona che, senza neanche saperlo, si era ritagliata un posto importante nella sua quotidianità. Reina, però, non ne faceva più parte e il biglietto scritto in fretta e furia, le aveva suggerito che non avrebbe più fatto ritorno. Un’amara delusione. Un colpo al cuore ma, dopotutto, se aveva preso quella decisione, sotto ci doveva essere più che un valido motivo. “Anche. Sì! Non posso negarlo, sarei idiota!” Si trattava di due aggettivi azzeccatissimi. Incasinata. Niente l’avrebbe descritta meglio. Cullata da quell’ironia, Rain, si lasciò stringere, lieta che quelle inutili distanze si azzerassero in un attimo. Gli circondò il collo con le braccia e posò lo sguardo su di lui, senza lasciarsi scappare neanche la più piccola reazione sul quel viso così attraente. Quei gesti uscivano spontanei, tanto da farle credere realmente di aver ceduto a qualche forma di romanticismo. Beh, non tutti i mali venivano per nuocere, in fin dei conti, no? Che male vi era nell’ammettere di provare qualche cosa per un’altra persona. Prendere il toro per le corna. Affrontare quelli che, una volta, altro non erano che ostacoli da bypassare. In quel frangente, la rossa, non avrebbe avuto problemi ad ammettere quanto fosse coinvolta nel loro rapporto, se solo lui l’avesse domandato. “Forse lo sono sempre stata!” Sorrise. Questa volta non vi era alcun segno di sarcasmo nelle sue parole. Solo estrema serietà per un argomento che era giusto trattare con i guanti di velluto. “Stavo solo aspettando la persona giusta!” O quella che avrebbe reputato tale, insomma. Mai dire mai, per l’amor di Merlino, ma se non avesse avuto il coraggio di provare, non sarebbe stata in grado di comprendere quanto di vero vi era nella faccenda. Le loro labbra si cercarono. Ancora e ancora. Come se non potessero farne a meno e quando l’atmosfera scemò, per forza di cose, l’attenzione si spostò verso il protagonista indiscusso di quello scenario impolverato. L’armadio. Apparentemente un oggetto privo di alcun valore. Ma dietro a quella banalità, nascondeva un segreto nel quale si erano imbattute per caso, un anno prima. Mai avrebbe pensato che ciò che si celava dietro a quelle ante, sarebbe divenuto il suo luogo sicuro. Eppure era accaduto. La stanza segreta inglobava in sé le paure più recondite della verde-argento. Se quelle pareti avessero parlato, la verità sul suo conto sarebbe venuta a galla, mostrandola per la ragazza semplice, appena uscita da un’adolescenza più che complicata. Una ragazza sola al mondo. “Lo è!” Confermò, posando la mano destra sulla maniglia ma, prima di svelare la sorpresa, la Scamander si sentì in dovere di chiarire la sua posizione, in seguito ad alcuni fraintendimenti avvenuti durante il falò di rientro dalle vacanze estive. “Invece è mio dovere scusarmi con te!” Comportarsi da pazza sclerata, utilizzando la presenza di un ragazzo, per attirare la sua attenzione beh, era stata una meschinità. Lasciargli credere di essere quella che non era, solo per vendetta. Mossa davvero stupida. Una mossa data, meramente, dal suo essersi sentita facilmente sostituibile. “Non avrei dovuto comportarmi in quella maniera!” Si reputava migliore di così eppure, qualche volta, la rabbia prendeva il sopravvento sulla ragione, portandola a compiere atti che, a mente fredda, non si sarebbe mai sognata di mettere in piazza. Davanti a tutti, poi. No. Follia assoluta. Le piaceva. Più di quanto riusciva ad ammettere a sé stessa e, anche quella volta, non mancò di ricordarglielo. Così sarebbe stato fino a quando, lui, non si sarebbe stufato di lei e della sua voce a tratti fastidiosa e, per la maggior parte delle volte, ricola di quel tagliente sarcasmo al quale ricorreva per avere sempre il coltello dalla parte del manico. Continuò ad ascoltarlo, compiaciuta e felice delle sue parole fino a quando un solo che… non lasciò presagire nulla di buono. Sentiva che qualche cosa sarebbe piombato sulla sua serenità. Trattenne il respiro a fatica, pronta ad incassare qualsiasi cosa lui stesse per sganciare. ”… tu e Dragonov.” Cazzo, Axel! Il loro rapporto era lì, alla luce del sole. Non vi era anima viva e morta in quel castello che non fosse a conoscenza del loro piacere reciproco e, casualmente, anche Nathan era giunto a quella conclusione. Con l’aiuto di qualcuno, probabilmente. Un qualcuno di nome Grace Johnson. Colei che non si sarebbe mai e poi mai fatta i cazzi suoi, neanche sotto tortura. Era giunto il momento di dirgli la verità. Negare non sarebbe servito a nulla, così come tergiversare o arrampicarsi su degli specchi così lisci che le avrebbero assicurato solo una caduta con pochissimo stile.
    “Io e Dragonov, già…” Arrancò. Come si poteva spiegare al ragazzo che aveva deciso di frequentare, un rapporto come quello tra lei e il bulgaro? Improvvisando, ovviamente. “Non ci girerò intorno.” Sentenziò. “Andiamo a letto insieme da parecchio tempo! Avrei dovuto dirtelo prima, lo so!” Un anno? Due? Neanche ricordava esattamente quando quell’abitudine aveva avuto inizio. La nuda e cruda realtà saltò fuori. “Tra di noi non c’è altro.” Credeva non potesse essere che una magra consolazione. “Ma le cose sono cambiate, no? Vuoi sapere altro su di me? Sul mio passato?” La sua mano andò a sfiorare la guancia del rosso-oro. “Voglio te!” Axel avrebbe compreso. Forse. Sapevano entrambi che, prima o poi, così come era già successo a lui in passato, anche lei avrebbe trovato qualcuno in grado di farla capitolare. Arrendendosi ai sentimenti provati. “Lui, però, rimarrà sempre importante per me. Un amico.” Colui dal quale sarebbe corsa in caso di bisogno, se gliel’avesse permesso. “A questo punto, sarebbe meglio riflettere attentamente sulle nostre aspettative. Reciproche, intendo.” Fare chiarezza. “Quindi, Nate! Cosa ti aspetti da me?” Domandò, cercando la sua mano. Non era sua intenzione metterlo alle strette ma, anche senza ufficialità, Rain viveva quel legame all’ennesima potenza, tanto da non poter più lasciare spazio ad altri uomini. Non in quel senso, almeno.

    Insieme si addentrarono, poi, in quel pezzo di antiquariato. “Vedrai!” Seguì la sua strada e, finalmente, giunsero a destinazione. Dall’altra parte. “Benvenuto sulla mia isola felice!” Si alzò in punta di piedi e gli circondò il volto con le mani, baciandolo appassionatamente e sfogando la tensione che i discorsi precedenti le avevano provocato. “Non l’ho mai mostrato a nessuno.” Portarci chiunque altro, l’avrebbe vissuta come un’invasione della sua privacy e no, non poteva permetterselo. “Mi credi ancora pazza?” Il suo scetticismo non era valso a nulla. Era certa che quel panorama gli avrebbe mozzato il fiato e reso quel pomeriggio più interessante del solito.
     
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    Nathan Knox | III | Grifondoro


    S0igL
    Sarebbe stato questo essere un Grifondoro? Lanciarsi senza riflettere, senza valutare le conseguenze, senza paure o, anche meglio, nonostante le paure? Perché se era questo, allora, era stato messo nella Casa sbagliata. Non era il tipo di persona che parlava senza riflettere, lui rimuginava e si arrovellava anche sui concetti più semplici, anche su domande all'apparenza semplici che, tuttavia, non lo erano affatto. Sarebbe stato bello avere quel tipo di sfacciataggine che gli avrebbe fatto chiedere scusa invece che il permesso, ma non era quel tipo di persona. Era frenato, sempre, in ogni situazione, e non sapeva dire se questo suo modo di essere fosse davvero il suo, o se fosse diventato così dopo. Ricordava il ragazzo che era stato, era passato dall'essere un timido bambino abbandonato alle cure della servitù con, al massimo, la compagnia di un fratello problematico al diventare un ragazzo normale, qualunque cosa questo significasse, con una vita propria e degli amici, gli stessi che non ci avevano pensato due volte a metterlo alla porta, ripudiato a quelli che erano i suoi problemi. Non gli aveano creduto, anzi, non gli avevano nemmeno dato modo di spiegarsi, e per Merlino era loro diritto! Come era suo diritto quello di andarci cauto, ora, con le persone che incontrava e con cui intrecciava il suo percorso ma, nonostante i piani iniziali fossero quelli di muoversi in punta di piedi, di diffidare quando possibile, di non legarsi ad altri o almeno non così velocemente, non ci era riuscito. Era stato come travolto da una valanga e si era lasciato trascinare da alcune di quelle persone: Grace, Halley, i suoi compagni, tutte persone a cui non avrebbe voluto rinunciare e che ringraziava per averlo fatto sentire parte di qualcosa e, non di meno, Rain, l'uragano rosso che lo aveva investito in pieno. Con lei piano e trattenuto erano parole che perdevano ogni significato, con quella ragazza le cose andavano da zero a cento in pochissimi secondi come con le migliori scope da corsa e, questo, a volte era paralizzante. Disarmante come Rain riuscisse a conquistarlo sempre di più, pezzetto dopo pezzetto, ogni volta che gli mostrava una parte di lei che non mostrava a nessuno, tutta quella parte che era nascosta e che mancava a persone come Grace per decifrare quel rebus umano dai capelli vermigli. Si fidava della Johnson, forse più della stessa Scamander che aveva un ascendente su di lui che le avrebbe permesso di rigirarselo come voleva, sapeva che la rosso-oro non aveva alcun motivo per mentirgli e metterlo in guardia, anzi, apprezzava quel suo modo di preoccuparsi per lui. Non era rimasto nessuno che lo facesse. Da mesi, anni, badava a se stesso e, lo ammetteva, era piacevole avere una mamma chioccia che si interessasse ai suoi casini. Eppure, nonostante Grace non conoscesse il perché la Scamander si comportasse in un certo modo, attaccando, tenendo tutti a distanza, facendo la stronza anche laddove non serviva, era riuscita a sollevare dei dubbi in Nathan che nessuno, fuorché Rain, avrebbe potuto sciogliere. Ma come fare se il coraggio di domandare veniva meno? Gli avessero chiesto di saltare tra le fiamme per un giusto motivo lo avrebbe fatto, ma chiederle di chiarire la situazione lo spaventava più che duellare contro un mago oscuro. Forse non sapere era meglio, avrebbe potuto crogiolarsi nell'illusione di essere l'unico per lei, fingere che le parole di Grace riguardassero un passato ormai distante che non li avrebbe potuti tangere, permettendogli di essere felice ancora per un po'. Invece, contro ogni aspettativa, fu proprio la serpe a sollevare l'argomento, gettando la corazza e quel velo di sfrontatezza dietro cui era solita nascondersi, niente sarcasmo o acidità difensiva, solo Rain, quella che piaceva a lui
    -Andiamo, Rain, che hai fatto di male?- tra i due, quello irragionevole era stato lui. Era fermo e convinto di questo, si era lasciato ingelosire solo per averla vista con un altro, mano nella mano, anche se a dirla tutta era stato proprio quest'ultimo dettaglio ad averlo fatto risentire, quasi gli stesse facendo un torto quando, nella realtà, non si erano mai promessi niente. Le parole di Grace ancora risuonavano nella sua mente con un certo peso, la convinzione con cui l'amica lo aveva messo in guardia davanti ad una possibile presa in giro o, quantomeno, all'essere un fugace passatempo momentaneo lo aveva mortificato, facendolo sentire stupido per non averlo nemmeno preso in considerazione. Possibile che si fosse immaginato tutto? Di aver solo creduto di aver condiviso qualcosa di speciale con quella ragazza misteriosa ed illeggibile? Si era possibile, e allora eccolo li, stentato, quella puntina di coraggio rosso-oro che il Cappello Parlante era convinto che lui avesse, che gli aveva dato modo di palesare i dubbi che ora lo tormentavano. Un nome tra tutti, Dragonov, la montagna umana con cui non poteva competere. Cosa ci trovava in quell'aspro Serpeverde? O, meglio ancora, cosa trovava in lui se il suo tipo era uno come il nuovo battitore delle serpi? Così sicuro, così sfrontato, qualità che Nathan non poteva vantare e non sapeva nemmeno se mai le avrebbe volute, per non parlare dell'aspetto che, beh, che fossero diversi era li alla luce del sole. Si strinse le spalle, nervoso nel sapere quale sarebbe stata la risposta e, quando questa arrivò, gli occhi si abbassarono sul pavimento, a fissare la punta delle scarpe sotto le quali credeva che Rain avesse aperto una voragine. Non era così, ma la sensazione fu la stessa “Andiamo a letto insieme da parecchio tempo! Avrei dovuto dirtelo prima, lo so!” Andiamo. Quindi lo facevano ancora. Poi altre parole che ebbero solo il potere di confonderlo di più -Vi vedete ancora o fa parte del tuo passato? Non sto capendo- la faceva più complicata di quanto in realtà non fosse e, da parte di Nathan, vi era più che altro disagio nell'affrontare un discorso che, in quel momento, lo terrorizzava. Chiedeva ma non voleva sapere. Non era esatto, avrebbe voluto che la risposta fosse in suo favore ma, non avendone la certezza, avrebbe quasi preferito rimanere nell'ignoranza -Amico, visagista, può essere quello che vuoi, non mi importa- si ammutolì un secondo ripensando alla frase appena proferita -Beh, no, non è vero che non mi interessa. Però insomma, sii sincera- si avvicinò di nuovo a lei scostandole una ciocca ribelle da davanti i suoi occhi scuri -Se le cose cambiassero, oggi, domani, o quando sarà, dimmelo-
    “Cosa ti aspetti da me?” che domanda semplice e allo stesso tempo complicata. Lasciò che lei gli afferrasse una mano, stringendola a sua volta. Forse era anche ora di fare il Grifonscemo e smetterla di arrovellarsi la testa con pensieri superflui, di tutti qui “ma”, “e se” o “ma magari” di cui era solito circondarsi e auto-infliggersi per smorzare ogni suo entusiasmo e farlo restare con i piedi per terra. E così fece, spense ogni pensiero, ogni vocina allarmata che gli risuonava nella mente, niente razionalità, solo la prima cosa che gli passava per la testa senza alcun filtro -Che tu sia mia- le rispose, questa volta sicuro e, senza darle modo di replicare l'attirò di nuovo a sé accompagnandola con una mano dietro la nuca, annullando di nuovo quella distanza superflua di cui non sentiva affatto bisogno.

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    Si lasciò guidare, di nuovo, in questa nuova e singolare avventura dentro un armadio. Certo non si poteva dire che Rain fosse una ragazza noiosa, ma chiudersi in un armadio superava qualunque aspettativa potesse aver avuto. Invece rimase interdetto quando, una luce innaturale, li inondò non appena le ante vennero aperte, rivelando quanto quello non fosse un armadio come gli altri. Sorpreso, lasciò che gli occhi vagassero per la stanza per quel breve attimo prima di ritrovarsi di nuovo a stretto contatto con la ragazza, facendo passare in secondo piano il fatto che fossero in una stanza, segreta, dentro un armadio -Com'è possibile?- domandò più a se stesso una volta che la carenza di ossigeno si fece sentire -Oh, ma dai!- come un bambino al parco giochi si avvicinò alle enormi vetrate che si tuffavano nelle profondità del Lago Nero, dandogli una nuova prospettiva su quel mondo sommerso che non aveva mai esplorato -Mi permetti di stare nella tua isola felice?- si voltò ad osservarla, sorridendo, con una nuova luce nello sguardo -Come hai fatto a trovarla?- passò le braccia attorno alla vita sottile della verde-argento, stringendosela contro senza darle modo di sfuggire -Certo che sei pazza, ma sull'armadio avevi ragione- scherzò lui prima di rifilarle un bacio a fior di labbra e scappare, letteralmente, andando a visionare la scarna mobilia che quel posto conteneva -É per questo che dicevi che l'aula ti somiglia? Perché nasconde qualcosa di bello?- si accomodò sul divano facendo segno alla ragazza di raggiungerlo. I rumori soffocati delle profondità del lago riempivano i silenzi che si creavano tra i due tra una frase e l'altra, dando loro l'impressione di fluttuare tra quelle stesse acque -Credi che un giorno smetterai di tenere tutti a distanza?- era curioso, oltre che speranzoso e al tempo stesso reticente. Da una parte avrebbe voluto che tutti potessero vedere quella parte bella di lei che teneva nascosta e segregata, dall'altra, più egoista, avrebbe preferito che quella fosse una parte destinata a lui e a lui soltanto -Ammettilo, un po' ti diverte- ghignò verso quel piccolo diavolo dalla lingua velenosa che, quando voleva, sapeva trovare una parola malefica per tutti. E lo ammetteva, a volte divertiva anche lui.

     
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    Serpeverde
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    L’amore travolto dalla gelosia diventa ostilità. L’ostilità si trasforma in odio e quest’ultimo in follia. Non poteva permetterlo. Conosceva alla perfezione quali sarebbero state le conseguenze di un atteggiamento poco sano ma, mai prima di allora, quel lato semi oscuro, aveva preso il largo. Si era ritrovata a provare fastidio. Certo. Come negarlo. Quando Axel l’aveva accantonata per seguire la biondina slavata, se ne era risentita. Alla stregua di una bimba alla quale avevano sottratto il suo giocattolo preferito. Un pensiero sciocco. Lei in primis non si sarebbe fatta scrupoli. Non vi era alcun tipo di sentimento. Attrazione fisica, un legame che somigliava a un’amicizia più che a un amore. Con Nathan? Tutta un’altra storia. Risultava complicato applicare la proprietà utilizzata nei confronti del libertino bulgaro. Ovviamente. Il distacco. La tolleranza nell’osservarlo mentre, ignaro, si interfacciava con un universo femminile pronto a soffocarlo nelle sue spire. Impossibile. Era giunta a questa conclusione proprio durante il falò, organizzato per celebrare –come se ce ne fosse bisogno- il ritorno tra i banchi di scuola. L’atteggiamento della Johnson non le era piaciuto. Quella sua propensione ad attaccarsi come una cozza a lui, la mandava ai matti. Anche per questo motivo aveva mandato in avanscoperta Freya, alla ricerca di risposte che confermassero la relazione tra la bionda leonessa e il taciturno Harris. Le buone nuove erano giunte e i suoi nervi sembravano aver trovato pace, evitando di schizzare via da sotto la sua pelle diafana. Una piccola, grande, vittoria a dirla tutta. Rimaneva il fatto che, durante la festa, si era cimentata in uno spettacolino di dubbio gusto, utilizzando il biondino dall’aria stralunata che, in fondo, aveva addirittura imparato a conoscere. Il suo putto personale. Riccioli d’oro in versione amante dei serpentoni. Colui che aveva deciso di prendere sotto la sua ala protettrice e trasformarlo, chissà, in una persona normale.
    Che aveva fatto di male? No. Lui non poteva minimamente conoscere il caos che regnava in quella testolina rossa. I film mentali. Le paranoie che sembravano più catastrofi. Finché, il tutto, sarebbe rimasto nascosto nelle profondità cavernose della sua psiche, beh, no. Niente di male all’orizzonte. Le sue iridi nocciola studiarono nel dettaglio la sua espressione, alla ricerca di una nota di seccatura sul suo volto. Il nulla. La sua espressione, ancora una volta, la spiazzò. Trasudava sincerità da ogni poro. “La stronza.” Ammise senza mezzi termini, abbassando lo sguardo, mostrando la vergogna che si era portata dentro. Avrebbe potuto muoversi diversamente. Ragionare sulla situazione, senza compiere passi falsi potenzialmente letali. Invece no. Si era lasciata travolgere dall’istinto, come sempre. Atti che, prima o poi, si sarebbero presentati sotto forma di karma, cogliendola nel sonno. Una giusta punizione per chi, come lei, peccava di diffidenza cosmica, anche verso chi dimostrava tutto il dimostrabile possibile. In ogni caso, data la domanda scagliata sull’impreparata verde-argento, prese ad interrogarsi su quali fossero stati i discorsi tra lui e Grace. Doveva essere stata lei ad informarlo della sua ambigua relazione con il bel Dragonov. Chi se no? Chi poteva avere interesse a gettarle fango e, così, insinuare dubbi nella mente del Grifondoro, se non quell’arpia dal volto fintamente angelico. L’avrebbe pagata. Cara. Un giorno le avrebbe restituito il favore, senza sconti di pena. Prese il coraggio a due mani e, con ostentata sicurezza, decise di imboccare il sentiero della verità. Così come giusto che fosse. Perché lui era lui e lei voleva lui, più di qualsiasi altra cosa al mondo. “Non da quando…” Andiamo, Diamond. Era pur sempre per la monogamia, una volta messa nel sacco, si intende. “… non dopo quella sera.” Quella notte era stata un qualche cosa di mai vissuto prima. Sapeva di non poter dare il solito peso che conferiva a tutte le relazioni occasionali che, di tanto in tanto, si concedeva giusto per scaldare il letto. Fino a quel momento, Rain, era sempre tornata da Axel. In lui riponeva fiducia, sì, ma sapeva bene che il sentimento non sarebbe mai sbocciato. O c’era o no. Nessuna via di mezzo quando in ballo vi erano emozioni forti. La sua voce risultò incerta, non a causa dei concetti proferiti ma per l’imbarazzo provato in una situazione completamente nuova, alla quale non si era mai nemmeno avvicinata. Aveva paura. Paura di amare. Paura di non essere ricambiata e delusa. Si trattava di un vero e proprio limite insormontabile che la bloccava. Non aveva neanche idea di come si vivesse una relazione esclusiva. Obblighi? Doveri? Dove stava la lista aggiornata degli atteggiamenti da mantenere per non rischiare il peggio? La confusione totale. Una sensazione di soffocamento che, però, riuscì a rinchiudere in un angolo remoto del suo Io, così da non sembrare quella pazza scatenata che, di lì a poco, avrebbe preso il sopravvento. “Non sarebbe un problema?” Lo stava domandando seriamente. Le interessava perché se lo avesse ferito, l’avrebbe uccisa. Si avvicinò e lui, con un gesto della mano, le scostò una ciocca di capelli, finita per caso davanti a quegli ipnotizzati. Si decise. Era giusto conoscere le intenzioni di entrambi e, sebbene fosse certa delle sue, ancora mancava un pezzo all’appello. La risposta più importante. Tirò un sospiro di sollievo. Musica per le sue orecchie. Non poteva chiedere di meglio a quel destino che, spesso, si era scagliato su di lei, così aggressivamente da lasciarla inerme. Una gioia era giunta. “Gli parlerò.” L’avrebbe fatto anche se già immaginava l’espressione accigliata del Serpeverde posarsi su di lei. “Il prima possibile.” Poteva starne certo.

    Finalmente scivolarono in quell’universo parallelo che tanto gli era caro. L’armadio senza fondò terminò, proiettandoli in quella che lei definiva isola felice. Lo era stata davvero per lei. I momenti bui non erano mancati e, ogni qualvolta sentisse il bisogno di rimanere sola con sé stessa, si rifugiava in quello spazio segreto. Lontana dagli occhi indiscreti del mondo, ritrovando l’equilibrio andato perduto. Sorrise senza farsi vedere mentre, Nathan, si aggirava per la stanza, così da potersi godere il panorama sotto diverse angolature. Per lo meno lo aveva colpito. Fece spallucce. “Te lo permetto.” Assunse un’aria fanciullesca. “Ma tutto ha un prezzo, mio caro. Lo sai?” Gli portò le braccia al collo, tirandolo a sé e posandogli un bacio sulle labbra. Casto come non mai. Come l’aveva trovata? Bella domanda. “In un giorno qualunque.” Stava giusto fuggendo da quell’idiota di Tassorosso. Lo stesso che l’aveva umiliata davanti all’intera scuola, portando al ballo la prima sciacquetta disponibile. Certo. Tipico comportamento di chi è consapevole di non poter avere di meglio. “L’ho scoperto insieme a una persona che non è più tra noi.” No. Forse si sarebbe fatto l’idea sbagliata. “Voglio dire, non è morta!” O, almeno, lo sperava con tutto il cuore, anche se non aveva mai più avuto sue notizie. “Se ne è andata.” Lasciando un grande vuoto, soprattutto in seguito a quel biglietto scritto di suoi pugno. “Eravamo alla ricerca di qualche cosa che potesse essere all’altezza delle nostre aspettative.” Stavano ficcando il naso non avrebbero dovuto. Quindi? Poteva essere considerato reato? Certo che no. “Ci siamo imbattute in ciò. Niente male, eh?” Denotava un certo fascino. Una prospettiva differente dalla solita. Proprio quello di cui avevano bisogno. Le rubò un bacio, prima di scappare. “Ehi!” Si finse offesa. “Credi che io nasconda qualche cosa di bello, quindi?” Perché no? Tutto era possibile. Non si trattava di un meccanismo di difesa qualsiasi. No. Mantenere le distanze era una specie di fissazione che aveva avuto sin da piccola. La motivazione andava fatta risalire alle modalità con le quali era stata cresciuta. In principio, i suoi genitori biologici, si erano rivelati una vera delusione. L’amore che avrebbero dovuto riversare su di lei, incondizionatamente, si era ridotto a qualche sporadico episodio. Un bacio sulla guancia. Una pacca sulle spalle. Niente di veramente importante. E poi? Poi se ne erano andati. Lei li aveva accettati, forse per natura ma dal loro tradimento, Rain, non era più riuscita a fidarsi pienamente di nessuno. Neanche di coloro che, mossi da compassione, l’avevano presa tra le braccia e confortata più di una volta. “Se dovessero ripristinarmi i dati di fabbrica.” In quel caso, forse, si sarebbe stato facile ripartire da zero. Ma che divertimento ci sarebbe stato? La sua reputazione da cattiva ragazza sarebbe andata a farsi fottere e sarebbero potuti arrivare a pensare di avere una chance di rientrare nelle sue preferenze. Giammai. Non scherziamo. Chi doveva entrarci ci era già entrato. I tutti i sensi. “Sicuro che non diverta te?” Domandò. “E poi dovresti sgomitare per avere la mia attenzione.” Come se fosse stato possibile. “Ti senti pronto a condividermi con la mondanità?” Che brivido insopportabile.
     
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    Nathan Knox | III | Grifondoro


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    Rain era una stronza. O meglio, faceva la stronza, ed era ben diverso. Lo sapeva, era stata proprio lei a metterlo a parte di quel suo modo di fare per non permettere a nessuno di avvicinarsi abbastanza da scorgere cosa nascondesse sotto quell'armatura di indifferenza e sdegno verso il prossimo, ma mai, prima di quel falò, era ricorsa a quell'espediente con lui -Non lo negherò- l'accenno di un sorriso si disegnò sulle labbra del biondino che, seppur aveva faticato a farsi passare quel fastidio, era riuscito a gettarsi quella storia alle spalle fidandosi delle parole dell'ammaliante ragazza a cui, aveva scoperto, era facile far perdere le staffe e farla tornare alle vecchie abitudini -Anche se non ho capito il perché- era sempre andato tutto bene, anzi, più che bene. Poi, quel colpo basso che non capiva da cosa fosse dovuto che lo aveva lasciato interdetto e infastidito come un bambino che non riceve le giuste attenzioni. Ci aveva ripensato più volte di quanto gli piacesse ammettere e, alla fine, era riuscito a trovare solo una motivazione plausibile per quanto assurda fosse secondo lui -Senti, non è che eri gelosa?- sollevò le sopracciglia, ora divertito da quel paradosso. Tuttavia il divertimento passò in secondo piano quando si andò a toccare l'argomento che più gli premeva da quando aveva parlato con Grace quel pomeriggio alla torre: Dragonov. Il seme del dubbio era stato piantato in lui ed era cresciuto indisturbato senza aver mai trovato il coraggio di rivelare alla ragazza quelli che erano i suoi timori ma, solo perché non ne parlava, non voleva dire che non vi fossero. Dire che lui e il bestione di Serpeverde fossero simili sarebbe stata una bella cavolata, nulla avevano in comune tranne quell'ascendente che una certa rossa aveva su di loro e, per la cronaca, a Nathan andava bene così. Lo aveva osservato in giro per il castello quando ne aveva avuta l'occasione, sempre arcigno, sempre musone tranne quando riusciva a farsi spuntare qualche ghigno beffardo sul viso. Non poteva dire gli facesse simpatia, con la sua faccia arcigna ed imbronciata, soprattutto ora che era a conoscenza di quel passato nemmeno troppo lontano in cui si divertiva a fare bisboccia sotto la doccia con la ragazza per cui, ormai era innegabile, provava dei sentimenti. Per lui, oramai, riusciva solo a provare fastidio ed astio ingiustificati, senza nemmeno conoscerlo e senza che ci fosse interesse nel farlo, solo per quella gelosia nata dall'insicurezza che faceva parte del suo essere e che dubitava, nonostante tutto quello che Rain potesse dirgli, sarebbe mai passata. Non era mai stato un presuntuoso o un arrogante, uno di quei ragazzi sicuri di sé che se la cantavano e se la suonavano da soli, così convinti di essere i migliori da risultare, infine, solo ridicoli. A volte li invidiava, avrebbe voluto avere quell'ingenuità per potersi dichiarare meglio di altri, avrebbe vissuto sicuramente meglio, come uno sciocco ignaro del mondo intorno a loro, più tranquillo, con meno paranoie. Invece era un pensatore seriale, si faceva mille problemi anche quando non ce n'era bisogno e finiva sempre per non sentirsi mai all'altezza. Persino in quel momento, davanti a quella ragazza dall'animo libero, non capiva perché stesse scegliendo lui quando avrebbe potuto avere chiunque in quel fin troppo popolato castello. Ma lo stava facendo, sceglieva lui invece che quello strano rapporto libertino che aveva condiviso fino a quel momento con quella montagna umana. Che poi, come faceva ad essere così grosso? Era forse incrociato con un gigante? Condivideva il DNA di un minotauro? Era cresciuto ad omogenizzati e steroidi? O cosa? Che vita ingiusta.
    -Un problema no, certo non faccio i salti di gioia, ma non arriverei mai a dirti di chi essere o non essere amica- geloso si, possessivo no. Era abbastanza evoluto da ripudiare qualsiasi comportamento tossico, non avrebbe mai nascosto Rain dietro ad una teca di vetro come fosse un suo oggetto, da tenere lontano da chiunque, nonostante avrebbe voluto farlo per proteggerla da altro schifo che la vita avrebbe potuto gettarle addosso. Non era la vita che la serpe avrebbe voluto, né quella che si sarebbe meritata. Il suo spirito libero sarebbe dovuto rimanere tale, restare con lui doveva essere una sua scelta, e di nessun altro -E poi è così raro sentirti parlare di amici, dato che tieni tutti a distanza, qualcosa di positivo dovrà pur averla.. ma non voglio sapere cosa!- serrò gli occhi mentre le immagini peggiori a cui potesse pensare gli si palesarono davanti agli occhi. Maledetti pensieri intrusivi e fervida immaginazione. No, non voleva sapere quali erano questi aspetti di Dragonov tanto apprezzabili da fargli meritare un posto tra le rare persone degne di considerazione per la rossa. Era già un conforto sapere che era disposta a cambiare i paradigmi di quel rapporto, era molto più di quanto si sarebbe aspettato.
    Le sorprese sembravano non voler finire e, ancora una volta, la Scamander riuscì a sorprenderlo. Quella stanza era un piccolo tesoro segreto, un luogo che in pochi avrebbero potuto osservare. Chissà in quanti, prima di loro, avevano messo piede in quello spazio nascosto, protetto, e lui era uno di quei privilegiati. Vagò per la stanza osservandone gli spazi e l'arredamento essenziale, in un posto del genere non serviva altro, quando i suoi occhi tornarono a soffermarsi sulla figura della ragazza che, rimasta in disparte, se la ghignava nell'osservare la reazione di lui. Doveva esserle sembrato un bambino in un parcogiochi.
    -Pagherò- sorrise appena prima di ricambiare quel bacio, stringendole le braccia attorno alla vita e limitandosi ad ascoltare il racconto di come, una giovane avventuriera dai capelli color del fuoco, era riuscita a scoprire un luogo così singolare e, a suo modo, magico “L’ho scoperto insieme a una persona che non è più tra noi” panico. Semplice e chiaro, era proprio quella la sensazione che traspariva dagli occhi chiari e ora leggermente sgranati del biondino che, boccheggiando, cercava qualcosa da dire che fosse adatto. Possibile che quella ragazza fosse circondata da perdite? Morte e disperazione sembravano inseguirla come se si divertissero a darle il tormento e, lui, da bravo incapace non sapeva trovare le parole adatte per consolarla. Forse la ragazza lo notò, tutta quella preoccupazione disegnata sul volto del Grifondoro non era stata ben mascherata, e fu abbastanza rapida da spiegare bene la situazione così che lui potesse trarre un sospiro di sollievo -Merlino, vuoi farmi venire un infarto?- sorrise sollevato della non morte della persona di cui stava parlando, anche se una partenza era pur sempre una perdita. Magari sentiva la sua mancanza, magari era un argomento delicato -Tu, in giro per il castello in cerca di avventure- sollevò un sopracciglio che svettò sul suo sguardo beffardo -Molto “Grifondoro” come cosa- in un certo senso si sentì fiero di lei, quasi quel modo di fare gliela facesse sentire ancora più vicina -Ti andrebbe di rifarlo? Potrebbero esserci altre stanze del genere!- in più, lui, sarebbe rimasto. Pazza era pazza, era un dato di fatto, ma non era sempre un male. Quel lampo di follia che intravedeva in Rain non era altro che la sua totale libertà nel suo modo di fare e di porsi, il suo modo di vivere senza freni totalmente opposto rispetto a quello del rosso-oro che, invece, aveva fatto del frenarsi la sua principale caratteristica -No, non credo tu nasconda qualcosa di bello. Ne sono sicuro- ne aveva la certezza perché era stata lei a mostrarlo. Per motivi inspiegabili, forse una strana combinazione, forse fortuna, forse destino, lei si era aperta con lui mostrandogli com'era davvero, dietro quella maschera di sarcasmo e pungente acidità, dietro la sua lingua serpentina che usava come arma per non permettere a nessuno di scorgere cosa nascondesse all'interno, per non rischiare che qualcuno percepisse quella fragilità che, invece, l'avvolgeva come una coperta. Era certo che vi fossero tante altre sfaccettature della ragazza di cui, ancora, non era a conoscenza, ma non aveva fretta. Avrebbe scoperto ogni lato di lei, poco alla volta, quando lei avrebbe deciso di mostrarlo, fiducioso che, presto o tardi, lo avrebbe fatto -Beccato! Lo ammetto, a volte è proprio divertente- non che apprezzasse quando diventava crudele con gli altri senza alcuna ragione apparente, ma la velocità con cui sembrava trovare una risposta a tutto, così piccata e serpentina, era a suo modo ammirevole. Portò il braccio sullo schienale del divano, poggiandovi contro il capo voltando il busto verso la ragazza per osservarla -Sono uno stronzo se dico che non vorrei condividerti?- onesto, non gli costò alcuno sforzo quell'ammissione sincera. Non gli andava che le confidenze che faceva a lui venissero fatte ad altre persone, era bello potersi sentire speciale in un certo qual senso, ai suoi occhi, quasi fosse lui l'unico meritevole di tale privilegio. Un po' infantile, per niente realista, ed era pure un controsenso perché in realtà gli avrebbe fatto anche piacere vederla sfilarsi l'armatura e vivere i rapporti in modo sereno, come qualunque persona della loro età avrebbe dovuto fare -Mi piace che con me sei diversa rispetto a come ti mostri agli altri. Immagino questo mi renda un egoista- con la mancina andò a sistemarle dei capelli fuori posto, soffermandosi poi a sfiorarle il volto con la punta delle dita -Mi fai venire voglia di essere egoista- se quello fosse un bene o meno non era dato saperlo. Nella sua testa, era solo la riprova che teneva davvero a lei, abbastanza da temere che qualcuno potesse portarla via da lui.

     
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    La paura dietro l’arroganza. Utilizzava spesso il suo carattere tagliente per mascherare quelle debolezze che, inevitabilmente, alla sua età, spesso comparivano sulla sua strada già di per sé tortuosa. Per questo motivo si era comportata da vera stronza. Al falò non aveva fatto altro che assecondare il suo istinto fin troppo naturale, ponendo in essere un atteggiamento vendicativo, senza alcuna motivazione valida. Gelosia? Sì, certo. Vedere Nathan approcciare con le sue amiche, per qualche assurdo motivo, le aveva smosso qualche cosa all’interno. Un sentimento fastidioso e irrazionale. Nonostante sapesse che non vi fosse nulla di male, la sua impulsività, contribuì a dipingerla come la stronza, ruolo che già, per molti, interpretava alla perfezione. Le andava bene così. Ammettere le proprie debolezze, in fondo, non sarebbe mai stata cosa facile, soprattutto per un tipo come Rain. La reazione del Grifondoro provocò un lento cambio di espressione. Un sorriso sincero comparve, addolcendo quei lineamenti così duri da confermare quella reputazione costruita sulla base di una conoscenza superficiale. Si morse il labbro inferiore e, così facendo, palesò il suo imbarazzo quando si toccò l’argomento incriminato. La gelosia. L’espressione più crudele dell’insicurezza. Da un lato era certa di non aver nessun diritto di avanzare pretese; dall’altro teneva a quel ragazzo più di quel che era disposta ad ammettere a sé stessa. Un conflitto di interessi non indifferente, capace di creare un caos ingestibile, in quella quiete fatta di menefreghismo, alla quale era abituata. Ed eccola. Messe alle strette. Davanti a quella domanda non poteva fare altro che issare bandiera bianca e invocare perdono per quella parte di lei che, in prima persona, avrebbe voluto smussare un giorno –per la persona giusta, ovviamente-. “Lo sono.” I suoi occhi scuri si fissarono, come fossero una calamita, in quelli chiari di lui. Annunciò la verità. Semplice ma dolorosa. Per la prima volta, dopo anni, la sua versione più intima, stava prendendo piede, sommergendo l’enorme ego di cui era provvista. “Non ci sono abituata.” Si era sentita spaesata. Sperimentare quell’esagerazione l’aveva stremata e, per giorni interi, si era persa nella ricerca delle varie motivazioni che avrebbero potuto spiegare quella forza invisibile che l’aveva tratta in inganno, tanto da attuare quel comportamento del cazzo e ridicolo. Tutto, però, confluiva in un’unica e scomoda spiegazione. Ora, a mente lucida, poteva affermarlo con certezza. “Sono andata in panico!” Certo il tentativo di farlo ingelosire con l’automa per eccellenza, non era stata un’idea ottimale. Aiden. Il biondino dall’aria stralunata, non rispondeva certo al suo prototipo di ragazzo e, con grande egoismo, si era servita di lui per un atto deplorevole. Andrò all’inferno! Là, dove era certa di trovare una camera doppia con idromassaggio. Mica male. Il paradiso? Sopravvalutato. Beh, forse con delle scuse, avrebbe risolto la cosa, sempre che il verde-argento si fosse accorto del torto subito. Ne dubitava. Appariva ingenuo. Candido come la neve e con la testa tra le nuvole. Certo, si trattava solo di una sua opinione ma, come sempre, la ragione stava dalla sua parte. Predicare bene e razzolare male, però, sembrava essere una sua dote nascosta. Chi era lei per comportarsi da idiota quando, fino a prova contraria, era lei stessa ad intrattenersi clandestinamente con l’unico ragazzo che, grazie anche alla sua stazza, non passava inosservato. Chissà quanti aneddoti erano già giunti all’orecchio del povero Knox, all’oscuro di tutto. Ecco perché, con estrema fatica, prese la saggia decisione di portare alla luce del sole i suoi altarini. Questione di giustizia, comunque. Non era di certo sua intenzione nascondere ciò che, invece, stava davanti agli occhi attenti di chiunque. Reputava Axel importante. Un punto di riferimento in un mondo a lei, decisamente, ostile. Accantonarlo, quindi, non corrispondeva per nulla al suo volere. Il loro rapporto sarebbe profondamente mutato, sì, senza però escluderlo dalla sua vita. Ascoltò attentamente la reazione a quella notizia e, con sua grande sorpresa, Nathan non si scompose più del necessario, nonostante stesse ammettendo di non fare i salti di gioia. Beh, chi li avrebbe fatti? Quel che gli stava chiedendo, necessitava di un grado di fiducia non indifferente e, a quanto poteva constatare, le stava conferendo un qualche cosa che mai nessuno aveva osato. Ciò la diceva lunga sul suo conto. Oh, sì. Sei fortunata, bella mia! Non sai quanto. Si disse, con grande orgoglio. “Ti puoi fidare di me?” Abbassò il tono della voce, riducendola a un soave sussurro. Fargli del male? Fuori questione. Da quando era entrato nella sua vita, la personalità della rossa, aveva subito un arresto. Come se lui riuscisse ad incanalare la sua energia negativa altrove, evitandole parecchi problemi che avrebbero, poi, trascinato dietro dei grattacapi non indifferenti. “Sa ascoltare.” Cercò di argomentare il fatto il suo dubbio, il quale si incentrava sull’amara evidenza che la Scamander, sbagliando, aveva l’abitudine di allontanare anima viva –e morta-, prediligendo la solitudine o, per lo meno, conoscenze circoscritte e ben selezionate. “Non giudica.” Una caratteristica non da sottovalutare. Lo afferrò per il colletto e gli franò contrò, cercando un rifugio. “Un buon amico. Cosa che non puoi essere tu.” Alzò lo sguardo e sorrise. “O meglio.” Non perse tempo a riflettere. Sapeva esattamente quali fossero le differenze tra i due rapporti. “Vorrei che fossi molto di più!” Sempre che fosse stato d’accordo, ovviamente. Obbligarlo non sarebbe stato possibile ma, gli ultimi tempi, le avevano suggerito quanto fosse caduta nella monogamia più totale, come una scolaretta, investita da un mix tra sentimenti e ormoni, impossibili da gestire. Si alzò in punta di piedi e gli posò un delicato bacio, all’angolo della bocca. Un semplice gesto che nascondeva un desiderio elettrico di avere di più. Sempre di più. Perché, doveva ammetterlo, una volta provate certe trepidazioni, difficilmente se ne riesce a fare a meno. Sì. Un confronto con Dragonov urgeva. Il primo possibile.

    Si lasciò trascinare. Per un attimo i suoi problemi non furono altro che un lontano ricordo. Quel luogo aveva su di lei un ascendente molto forte. Il bacio fu lento. Sentito e voluto a tal punto da maledire l’attimo in cui, purtroppo, terminò. Smorzato, tra l’altro, da una sua uscita non proprio felice sulla sua amica, creduta morta dal povero cacciatore, preso alla sprovvista dall’affermazione tetra. “Mi è uscita male.” Tentò di scusarsi, senza scusarsi realmente. Cercate di capirla. Ci pensò un po’ su e poi: “Effettivamente potrebbe essere anche morta.” Certo, Reina, non era la classica tipa tranquilla e per niente incline alle grane. In tutto quell’arco di tempo, sarebbe potuto succedere qualsiasi cosa, senza che lei ne fosse a conoscenza. “Mi piaceva quella stronza mangia formiche.” Nessun rancore, piccola Scott! “Ma un giorno è sparita.” Non proprio. Aveva avuto almeno la decenza di lasciarle un biglietto, con appuntata una richiesta singolare che, però, non era stata in grado di esaudire, dopo l’arrivo di colei che aveva preso il suo posto nella stanza. Freya era stata una degna sostituta, forse un dono dal cielo. Una ragazza che non le avrebbe fatto rimpiangere la sua ex amica, svanita nel nulla. “Ti è mai capitato di perdere qualcuno in questo modo del cazzo?” Nonostante ne avesse pochi, per Rain, gli amici costituivano il centro del proprio universo e quando, in quel giorno funesto, Reina aveva lasciato la scuola, un pezzo delle sue certezze, se ne era andato con lei, chissà dove, in giro per il mondo. Volse lo sguardo verso il panorama e aggiunse, con sconforto: “Chissà se un giorno avrò la fortuna di rivederla?” Sospirò. Pensieri inutili ma, si sa, la speranza è pur sempre l’ultima a morire, no? Stava di fatto che con lei aveva trovato quel gioiellino, durante una delle loro “uscite” alla ricerca di qualche cosa che andasse oltre la solita noia scolastica. “Mi stai sottovalutando per caso?” Aveva per caso l’aria di una santarellina? Beh, non amava trasgredire alle regole, a meno che non le facesse comodo ma era nata avventuriera. “Mi stai chiedendo un appuntamento?” Se voleva metterla in quel modo. Perché no? Avrebbe colto sempre al volo la possibilità di passare del tempo in sua compagnia. Tempo che, senza dubbio, si sarebbe trasformato in qualche cosa di estremamente interessante. “Come se potessi rifiutare.” Lo guardò dritto in volto, arrendendosi al fatto di non potersi opporre a quel sorriso e a quegli occhi che avrebbero potuto calarle le mutande, con un cenno. Vaffanculo! Sciò. Via. Allontanò ogni pensiero impuro –come no- e si concentrò sul discorso successivo, incentrato su ciò che nascondesse dietro al suo fare da stronza patentata. “Non sarai di parte, a questo punto? Eh, Signor Knox?” Lo apostrofò con un lampo negli occhi che indicava la sua volontà provocatoria. In realtà ce la stava mettendo tutto per mostrare un lato di sé inedito. Una parte intima e riservata solo a colui che, proprio in quell’istante, se ne stava davanti a lei, prendendola in giro. In tutta risposta si guadagnò un sorriso sarcastico, che incassò con estrema eleganza. ”Sono uno stronzo se dico che non vorrei condividerti?” La comodità offerta da quel divano la fece sentire a suo agio, più del dovuto. “Sono una stronza se dico che non accetterei di condividerti?” Alludeva a un rapporto esclusivo, ovviamente. “In ogni caso è ciò che penso. Non sopporterei di vederti con un’altra!” Poco ma sicuro. Avrebbe dato di matto, perdendo la testa senza dignità. “Egoista?” Domandò. “Sei riuscito dove molti hanno fallito. Non può essere una colpa, non credi?” Non ci pensò. Lasciò la sua postazione e si accomodò su di lui, divaricando le gambe, infischiandosene di quanto quel gesto potesse far saltare i freni inibitori che si era ripromessa di tener presente. Si incollò a lui, lasciando aderire i loro corpi. “Sai troppe cose!” Lo baciò come se fosse l’ultima volta e si staccò, dopo aver affondato le sue dita tra i capelli di lui. “Se dovesse andare male, beh, dovrei ucciderti!” Si rituffò sulle sue labbra, afferrandogli la mano e portandola a forza sul suoi fianchi, per poi obbligarlo a risalire all’altezza del seno. Necessitava di quel tocco e non ne poteva fare a meno.
     
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    Da una parte la capiva, sapeva bene cosa volesse dire lasciarsi prendere dal tarlo della gelosia, cullato dalle sue insicurezze era solito farsi sopraffare da mille e più supposizioni che non avrebbero fatto altro che turbare i suoi pensieri, come un cane che si morde la coda, un ciclo senza fine che non faceva che aumentare la mole di dubbi su cui si crogiolava e che, di conseguenza, non lo facevano mai sentire all'altezza. Da qui nasceva quel velo di gelosia, come se fosse tutto in bilico, precario, destinato ad interrompersi alla minima interferenza. Eppure, che una ragazza come Rain potesse provare la stessa cosa era, per Nathan, inspiegabile. Bella, sveglia, divertente, dava l'impressione di essere sempre sicura di sé, perché mai avrebbe dovuto farsi prendere da un sentimento di incertezza?
    -In panico? Solo perché parlavo con un'amica?- sorrise, involontario, sperando che non credesse che stesse ridendo di lei, ma incapace di non sentirsi lusingato da quella situazione. Era difficile crederci ma, Rain, teneva a lui. Per motivi che ancora non capiva e che, era probabile, mai avrebbe compreso -Te l'ho detto, io e Grace siamo solo amici, buoni amici! Ma non è il tipo di rapporto che ho con te- le gote, come al solito, si differenziarono dal resto del suo viso per quel colore vibrante che metteva a nudo le sue sensazioni -O almeno che vorrei- si affrettò ad aggiungere. Non era chiaro quali fossero i paradigmi del rapporto che avevano, ma sapeva bene quali avrebbe voluto che fossero. Sperava, in sostanza, che il legame che si stava creando con la rossa fosse diverso da quello che la stessa aveva tenuto con il Signor Maciste di Serpeverde e che, allo stesso tempo, fosse sua intenzione cambiare quel rapporto con lo stesso Dragonov. Non si trattava di competizione, quanto più uno smodato interesse verso un legame esclusivo che non aveva il coraggio di chiedere per paura che gli venisse rifiutato. Non pretendeva che la loro connessione si tagliasse di netto, così come non l'avrebbe mai messa davanti ad un ultimatum nudo e crudo per forzarle una reazione. Sperava fosse una sua libera scelta quella di proseguire in quella direzione, e rimase piacevolmente sorpreso quando lei gli rivelò l'intenzione nel troncare quello che vi era stato con Axel fino quel momento, quella connessione di cui Grace lo aveva messo a parte, rimanendone però amica, cosa a cui non avrebbe mai potuto opporsi -Mi fido già di te- ed era stata proprio lei a metterlo nelle condizioni di farlo, aprendosi con lui, dimostrandosi sincera e, talvolta, persino cruda. Di fatto, Nathan non aveva alcun motivo per non fidarsi di lei. Era vero, Grace gli aveva fatto nascere dei dubbi che la stessa Rain aveva ben pensato di chiarirgli senza necessità di mentire o negare l'evidenza e, questo, era ancora un punto a suo favore. Fino a quando non gli avesse dato dei motivi per dubitare delle sue parole, non vi erano ragioni per far crollare quella fiducia istintiva che aveva riposto nella verde-argento e, era convinto, non gliene avrebbe mai dati. Troppo diretta, troppo schietta, se mai la situazione le fosse venuta a noia glielo avrebbe sbattuto in faccia senza inutili giri di parole. Sarebbe successo, era convinto anche di questo, ma precludersi la bellezza di quello che stava vivendo solo per la possibilità che potesse andare male, beh, sarebbe stato un grande spreco “Vorrei che fossi molto di più!” le circondò la vita con le braccia, accogliendo quella vicinanza e lasciando che i volti si avvicinassero -Oh, beh, se proprio insisti- finse in modo palese di sforzarsi ad accogliere quella richiesta, ghignando e rubandole l'ennesimo bacio della giornata. Sarebbe stato un duro lavoro, ma qualcuno avrebbe dovuto farlo.

    Per tanto tempo era rimasto immobile, osservatore della vita che gli scorreva davanti agli occhi, con quella sensazione di vuoto costante di chi aveva perso tutto e, per tutto quel tempo, aveva temuto anche di perdere se stesso. Non era successo. Forse il caso, oppure il destino, una strana convergenza di fattori e, soprattutto, di nuove conoscenze gli avevano teso la mano e spazzato via in un lampo quella sensazione di abbandono. Si, gli era capitato di perdere qualcuno, esattamente come alla stessa Scamander, entrambi sopravvissuti ad un destino infame -C'è un modo non del cazzo per perdere qualcuno?- domandò retorico stringendola di più a sé -Ma sono sicuro che la rivedrai, quando meno te lo aspetti- era sempre così che succedeva. Magari a lavoro, magari mentre faceva la spesa, se la sarebbe ritrovata davanti, come nulla fosse, pronta a riprendere li da dove si erano interrotte. O, almeno, questo era il suo lato ottimista che parlava. Non avrebbe avuto cuore di fare cenno all'eventualità che non si sarebbero più viste. In quel caso, avrebbe fatto del suo meglio per sopperire alla sua mancanza.
    -Sottovalutare te? Ti sembro tanto pazzo?- la rossa era il tipo di persona che quando si metteva in testa una cosa difficilmente vi avrebbe rinunciato e, dubitare delle sue capacità, sarebbe stato da sciocchi -Però è divertente immaginarti nei panni di un'avventuriera- era un altro lato di lei che ancora non aveva scoperto del tutto e che avrebbe decisamente voluto scoprire di più -Si, ti sto chiedendo un appuntamento- fu con rinnovato coraggio che la fissò di rimando ancorando il suo sguardo in quello di lei, sostenendolo, accennando un sorriso per mascherare il tumulto interiore che si stava sviluppando dentro di lui. Non sarebbe stato il primo, me gli dava ancora un brivido di eccitazione riuscire ad organizzare altro tempo da passare insieme a quella formidabile ragazza strana.
    Poco alla volta, la situazione parve scaldarsi, per usare un eufemismo. Poco alla volta, quasi in punta di piedi, piccole rivelazioni erano state portate alla luce, rivelando la volontà di entrambi di mantenere quel rapporto elitario -Non ho alcuna intenzione di cercare un'altra- ammise, disarmato davanti alle movenze di lei che, subdola, gli si avvicinò fino a ritrovarsela spalmata addosso, annebbiando i suoi sensi con il suo profumo e con il contatto con quel corpo perfetto che stava imparando a conoscere sempre di più. Non rispose alle sue affermazioni, non aveva intenzione di valutare la possibilità che potesse andare male, non era un'opzione che poteva accettare, non in quel momento in cui ogni briciolo di razionalità veniva mandato all'aria dalle labbra di Rain che gli davano il tormento. Di nuovo, la strinse per la vita e, con un colpo di reni, sovvertì le posizioni imprigionandola tra lui e quel divano, baciandola a sua volta, sfiorando la sua pelle, scoprendola e lasciando che lei facesse altrettanto. Dimentico di dove si trovassero, forte del fatto che una stanza tanto segreta non fosse poi troppo frequentata. Spense ogni pensiero, lasciando che desiderio e brama avessero la meglio su di lui, su di loro, lasciando che quella passione chiarisse i dubbi che avrebbero potuto esserci.



    Conclusaaaa :cuore:
     
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9 replies since 7/12/2023, 02:40   212 views
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