Training day

Freya.

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    Grifondoro
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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Doveva concentrarsi su sé stessa. Lei. Lei e nient’altro se non il silenzio. Forse era davvero giunto il momento di lasciar trapelare quel sano egoismo di cui, evidentemente, sentiva il bisogno. Si era sempre assicurata che chiunque orbitasse intorno a lei fosse felice, perdendo di vista l’unica con la quale avrebbe dovuto convivere per il resto dei suoi giorni. Un male non necessario. La parola fine doveva essere posta, proiettandola in un futuro decisamente più audace e menefreghista. Sì, ma come? La sua natura non prevedeva neanche una di queste caratteristiche. Soffriva. Soffriva a tal punto da non comprendere più cosa potesse giovare a quel morale oramai sotterrato dai recentissimi avvenimenti. La paura di non essere abbastanza. Il peso delle responsabilità. Tutti fattori che concorrevano a tramortirla, lasciandola lì, senza soluzioni che potessero sollevarle quel morale che, oramai, credeva irrecuperabile. Fragile come non mai. Si rigirò nel letto, agitata. Infilò le mani gelide sotto il suo cuscino, trovando quel poco di sollievo che svanì non appena si rese conto di dover svolgere, assolutamente, il compito di alchimia che l’avrebbe vista cimentarsi in una relazione dettagliata per accaparrarsi qualche attenzione in più da parte di Fletcher. Concentrarsi sul rendimento scolastico, in quel momento, sembrava l’idea giusta per lasciarsi alle spalle quel senso di vuoto inflitto dal suo ragazzo, senza pietà e senza alcuna consapevolezza. Forse era destinata a quello. Il tradimento. Iniziava a crederlo sul serio. Prima sua zia, poi sua madre e ora anche colui che le aveva promesso di proteggerla. Perché? Perché quelle ingiustizie? Con un colpo di reni si portò a sedere, aggrappandosi con forza al lenzuolo, rischiando di lacerarlo in più punti. Una forza sovraumana, della quale era totalmente ignara. Sospirò e lasciò la sua postazione, raggiungendo controvoglia lo specchio, osservando attentamente quel riflesso che non sembrava più appartenerle. Calò le palpebre, ricercando in lei un equilibrio che le permettesse, per lo meno, a portare a termine il suo obiettivo giornaliero. Portiamoci a casa la giornata, Wheeler! Pensò tra sé, sistemandosi attentamente la divisa e voltandosi verso i letti vuoti delle sue compagne, sorridendo. Sì, loro avrebbero saputo come tirarla su di morale, tra un insulto e un altro. Poco male, le avrebbe affrontate più tardi, quando finalmente la serata le avrebbe riunite tutte lì, nel loro luogo sicuro. Raccattò il suo materiale e si lasciò la stanza, in direzione della biblioteca, l’unico spazio dove il silenzio era pressoché garantito. Percorse in tutta fretta il corridoio, sguardo basso e circospetto di chi non aveva nessuna intenzione di cadere preda di un’inutile conversazione di circostanza con il primo incontrato per puro caso e si portò dritta nei pressi del portone che l’avrebbe proiettata in quella dimensione fatta di nozioni e lo stretto indispensabile per il suo compito. Ancora non aveva ben compreso quali fossero stati i suoi sbagli, soprattutto durante lo scontro con il golem di David ma, d’altra parte, non aveva necessità di riportare la mente a quegli episodi che, inevitabilmente, portavano appresso a sé il disagio vissuto. Sbuffò sonoramente e varcò la soglia stringendo la sua tracolla. Dopo una rapida panoramica, intercettò la postazione perfetta, in grado di conciliare i suoi pensieri ed incanalarli nella direzione corretta, lasciando da parte tutte quelle riflessioni superflue su altrettanti argomenti che, fino a prova contraria, si sarebbero potuti affrontare in un secondo momento, magari lucidamente, evitando di prendere decisioni affrettate a riguardo. Pochi cenni con il capo per salutare i presenti e, finalmente, poté accomodarsi. Posò i palmi sul legno della scrivania e poi, gradualmente, tentò di concentrarsi sul da farsi. Facile per chi l’argomento la masticava, come fosse nulla. Piuma in mano, prese a stilare qualche informazione estrapolata qua e là negli angoli remoti della sua piccola testolina bacata. Poca roba. Nulla che lasciasse presagire la scrittura di una relazione soddisfacente. Che si aspettava? Aveva seguito la lezione, certo, ma non con una concentrazione tale da riuscire a facilitarle la vita durante un ipotetica esercitazione futura. Scostò la pagina di pergamena e la allontanò, quasi come se la stesse ripudiando e, con energia si alzò per immergersi tra gli scaffali, alla ricerca di qualche cosa che le suggerisse la strada giusta da imboccare per levarsi da quell’impiccio. Sfregò l’indice, percorrendo ogni titolo presente che la ispirasse e, alla fine, si trovò a scontrarsi con qualche cosa di interessante. Se ne appropriò e decise di tornare al posto. L’intenzione era buona ma, durante il suo tragitto, i suoi occhi incrociarono la figura familiare di una ragazza, anch’essa china su quello che doveva essere il suo stesso compito. Freya Riis. La Serpeverde alla quale David aveva rivolto le sue attenzioni. Che poteva dire? Bella. Statuaria. Innegabile. Nonostante la sua fisicità, però, era stata in grado di dimostrarle una sorta di empatia, una solidarietà della quale poche ragazze erano in grado. La sua premura nell’avvicinarsi a darle un consiglio disinteressato l’aveva colpita tanto da sentirsi in debito. In pochi attimi si decise a raggiungerla e, dopo aver palesato la sua presenza, sorrise amichevolmente, senza sforzo. “Posso?” Domandò cautamente, consapevole della possibilità che potesse arrecarle un disturbo. Si sedette accanto alla mora e, riordinando i pensieri, si sentì di proferire una semplice parola: “Scusa.” Sapeva che non spettava a lei quel tipo di comportamento ma non le era affatto piaciuto il modo in cui era stata trattata. “Per quanto vale il mio parere, credo tu abbia fatto delle ottime performance in campo.” Che la fortuna non avesse baciato i figli di Salazar era lì, evidente ma l’atteggiamento che avevano tenuto era stato motivo di vanto. Quanto volte si era ritrovata a pensare di non essere stata all’altezza del suo ruolo? Ma lo sconforto, puntualmente, passava in secondo piano ogni volta che tornava in sella al suo manico di scopa nuovo fiammante. Passò in rassegna il suo spazio personale. “Alchimia, eh!” Un male comune da debellare una volta per tutte. “Tutto sommato ce la siamo cavata, no?.” Per lo meno ne erano uscite vive, non come quella volta durante la lezione di incantesimi, uscite per miracolo da quella giungla di follia.



     
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    Freya Estrid Riis | V | Serpeverde


    Sid9b
    Oltre al danno anche la beffa, sembrava che in quella scuola nessuno apprezzasse più niente. Studenti o professori che fossero, gli sforzi altrui non erano mai graditi, tutti troppo presi da chissà cosa da biasimare qualsiasi sforzo facessero gli altri. Non era mai stata una campionessa in Pozioni e quello era li, sotto gli occhi di tutti, ma aveva cercato di sopperire alle sue mancate capacità mostrando quantomeno interesse in quello che era il tema della lezione. Gesto apprezzato? Ma figuriamoci! Una relazione. Una fottuta relazione non solo per lei, ma per tutta la classe, si perché già era brava ad attirare simpatie, ora proprio non sarebbe riuscita a contenere quell'ondata di nuove amicizie che la punizione mascherata le avrebbe portato. Fanculo. Muta, da ora in avanti non avrebbe mai più fiatato fingendo un improvviso mutismo che sperò, una volta che si fosse sommato alle facce addormentate dei suoi compagni, che portasse i professori a dubitare delle loro capacità nel risvegliare qualsivoglia interesse. Vagava per le corsie della grande biblioteca afferrando di tanto in tanto qualche tomo che potesse fare al caso suo, beandosi del silenzio e della quiete che quel posto offriva, per poi tornare al tavolo da lei scelto e su cui aveva già sparso l'occorrente per redigere il compito. Era infastidita? Ovvio che si, ma avrebbe scritto la più accurata relazione che le sue abilità le avessero concesso forte del fatto che, per lo meno, quando si trattava di studiare e scrivere la parte teorica era una vera e propria secchiona. Maledetto Flatcher e i suoi sorrisini da bravo ragazzo, in realtà il suo animo nascondeva l'acidità di una donna in menopausa. Quelli con la faccia per bene erano sempre quelli da cui diffidare di più, si era capito.
    Eppure, non essere apprezzata sarebbe dovuta essere un'abitudine per lei. Si sedette, stanca, sulla dura seggiola in legno posando i libri sul piano di lavoro e spargendoli nell'ordine in cui, credeva, le sarebbero tornati utili. Stava per mettersi a lavoro quando, autolesionista com'era, affondò la mano nella tasca del mantello estraendole un bigliettino che un grosso gufo le aveva recapitato durante la colazione
    “Non tornare per Natale”

    Seguito dall'elegante e studiata firma di sua madre. Nessuna novità, niente che non si sarebbe aspettata, ma leggerlo nero su bianco non la lasciava comunque indifferente. Niente che avrebbe mai detto, fatto o raggiunto avrebbe mai potuto cambiare gli occhi con cui la madre la guardava, non si trattava di qualcosa che avrebbe mai potuto risolvere, era proprio la sua esistenza a dare noia a quella donna algida che non mancava mai di farla sentire come l'ultima nullità da schiacciare con qualunque mezzo fosse a sua disposizione. Con un impeto di rabbia accartocciò il biglietto stringendolo nel pugno chiuso per poi gettarlo sul tavolo in mezzo agli altri fogli di pergamena che aveva già preparato, ignorando la tentazione di far volare l'intero tavolo lanciandolo via come sapeva sarebbe riuscita a fare. Quello, senza dubbio, avrebbe fatto nascere domande. Nella sfortuna generale, avrebbe potuto sfruttare quel compito per non pensare ad altro, approfittando di quelle ore che avrebbe passato china sui rotoli di pergamena per spegnere quella parte di pensieri che le arrovellavano la testa. Primo tomo alla mano, intinse la piuma nell'inchiostro nero come la pece e lasciò che questa graffiasse sulla pergamena con una scrittura ordinata
    “Posso?” aveva iniziato solo da pochi minuti quando una voce la interruppe, il capo si voltò spontaneo verso la figura che aveva parlato incontrando così il Capitando dei Grifondoro
    -Wheeler- doveva essere un saluto, si strinse le spalle lasciando che si sedesse al suo stesso tavolo senza nascondere, aggrottando le sopracciglia, il suo stupore per quella strana scelta. Non si erano mai considerate fuori dal campo da Quidditch, dubitava avessero qualche cosa in comune al di la della passione per quello sport più violento e competitivo di quanto si volesse ammettere. Si scusò, e Freya rimase ancora più stupita non capendo a cosa si riferisse ma, le parole che seguirono, riuscirono a darle un quadro più preciso di ciò di cui stava parlando. Harris, quel pallone gonfiato che l'aveva umiliata davanti a tutti. Ecco un'altra cosa che, in effetti, accomunava le due brunette
    -Non dovresti scusarti per gli altri, mai- strane persone i Grifondoro, pronti ad accorrere con la loro scintillante armatura per farsi carico delle colpe degli altri anche quando non era necessario. Dovevano farsi più furbi -Soprattutto per persone che nemmeno capiscono perché dovrebbero farlo- afferrò un secondo volume, cominciando a sfogliarlo fino ad arrivare all'argomento che avrebbe dovuto trattare e lasciandolo aperto sul piano ligneo del tavolo -E comunque non è vero, soprattutto nell'ultima partita ho fatto schifo, ma succede- scrollò le spalle. Capitavano a tutti giornate no, in cui non importava quanto ci si impegnasse, le cose non andavano mai come si sperava. Questo l'avrebbe fatta sentire meno in colpa? Chiaramente no -Ho visto la finale, siete stati bravi- poteva non essere la simpatia fatta a persona, ma Freya rimaneva una persona piuttosto onesta quando si trattava di competizione, almeno quella sportiva -Ve la siete meritata la vittoria del campionato, ma la prossima sarà nostra- ghignò, ora che aveva cambiato ruolo sperava di poter essere più utile alle sorti della squadra, per quanto dovesse partire di nuovo da zero e cambiare in toto il tipo di allenamenti a cui era abituata. Inclinò il capo scrutando meglio il viso della battitrice che tornò a parlare di quella lezione maledetta -Cavata? Il tuo golem non è stato distrutto?- e dal suo stesso ragazzo, se così si poteva definire. Al contrario, lei era riuscita ad ottenere un pareggio con niente di meno che l'assistente del professore, era abbastanza orgogliosa del risultato, così come di quello che era avvenuto dopo, avevano pareggiato anche li. Si lasciò andare contro lo schienale, mettendo per un attimo in pausa il compito e cercando di capire anche cosa cosa volesse Alina da lei -Dovrei scusarmi per avervi fatto guadagnare un compito extra?- chiese arcuando un sopracciglio, se erano delle scuse che voleva, poteva stare li ad aspettare tutto il giorno ma, se invece avesse voluto collaborare per finire prima quella tortura, avrebbe anche potuto acccettare.
    -Quindi, mmm, stai ancora con il troglodita?- girarci attorno non era certo una sua dote, tra le tante che invece aveva.



    Edited by -RedFlag- - 14/12/2023, 22:45
     
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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    La riconoscenza. Un sentimento forte. Scomodo. Un vero sacrificio per l’orgoglio. Durante quella lezione si era consumata una scena che, probabilmente, avrebbe guidato le sue decisioni future. Verso cosa? Non ne era certa. Se da un lato, il suo istinto stava inducendo a fuggire lontano da quel ragazzo che, in un anno, era stato in grado di infliggerle un male infinito ed immotivato; dall’altro era rimasta scioccata dalle rivelazioni avvenute in Sala Trofei, poco dopo l’accaduto. Un conflitto d’interessi logorante. A tratti devastante. Come devastanti erano le domande che, ad una ad una, si erano fatte largo in lei. Domande alle quali solo lui avrebbe potuto rispondere. Dubbi. Perplessità. Infinite incognite ma, sicuramente, in quel momento più che mai, una questione se ne stava al centro della sua certezza: mai più avrebbe sofferto per lui. In un modo o nell’altro. Qualsiasi fosse stato l’epilogo di quella relazione, fondamentalmente, malata. Basta. Il limite era stato raggiunto e, nonostante fosse realmente dispiaciuta per la condizione in cui versava David, non gli avrebbe permesso di utilizzare quella scusa per accanirsi su di lei, al solo fine di scaricare le frustrazioni represse. Abbassò lo sguardo e si rese conto di non aver tempo per concedersi quei pensieri che, vista la situazione, avrebbe potuto rimandare in un secondo momento, magari a mente lucida. Più avanti. Una volta elaborato tutto ciò che, quel giorno, era venuto a galla. Nel frattempo sarebbe stato meglio dedicarsi ad attività proficue, come ad esempio la sua relazione o quel che era. Insomma, un buon modo per distrarsi. Tutta affaccendata si immerse tra gli scaffali e quando ne uscì, teneva stretto tra la braccia un libro dalla copertina marrone, reputato da lei utile alla causa. Convinta della sua scelta, Halley, si apprestò a tornare al proprio posto quando, a pochi passi da lei, notò Freya Riis, l’oggetto delle attenzioni -spiattellate meschinamente davanti al suo naso- di David. Bella. Statuaria e, da quel che ne poteva sapere, pure intelligente. Fastidiosa, quindi. Eppure, quello stesso giorno, si era rivelata più umana di colui che, a suo dire, avrebbe fatto di tutto per proteggerla addirittura da sé stesso. Stronzate. Ghignò e, con decisione, si portò accanto alla mora, cautamente, sperando di non rovinare il suo equilibrio.
    ”Wheeler.” Non nascose affatto la sorpresa nel vedersela lì. Per fare cose poi? In ogni caso, con forse qualche riserva, accettò la sua richiesta di sederle a fianco, così da poter venire a capo di quell’enigma. Chiedere scusa, le sortì fin troppo facile. Nonostante fosse ben consapevole di essere la vittima di quella giornata, sapere che qualcuno potesse provare disagio per le parole proferite, senza alcuna cognizione di causa, dal maggiore dei fratelli Harris, le faceva ribollire il sangue nelle vene. Soprattutto se quella qualcuno si era rivolto nei suoi riguardi con estrema cortesia e la solidarietà femminile che mancava alla gran parte delle ragazze presenti in quel castello, che non si sarebbero fatte nessun problema ad additarla come la poverina di turno. Forse lo era per davvero ma, almeno, anche se fosse stato un suo pensiero, si era assicurata di tenerlo confinato da qualche parte nella sua testa, evitando di dargli voce. Una somma verità. Scusarsi per chi? Per una persona che neanche possedeva i mezzi necessari a comprendere la gravissima natura del suo sgarbo? Sospirò e poggiò le braccia sul legno, di bassa qualità, convenendo con quanto affermato dalla verde-argento. “È un coglione!” Un coglione senza alcun rispetto. Trattare con sufficienza il prossimo si trovava in cima alla sua scale di priorità. Viveva per sé stesso, per accentuare il suo piacere e dedicandosi esclusivamente a ciò che avrebbe reso a lui un tornaconto. I sentimenti altrui non aveva alcun significato e, con rigore, non mancava mai dal dimostrarlo sul campo, mettendo a rischio anche la loro relazione. “Ci tenevo solo a farti sapere che non l’ho con te!” E perché mai avrebbe dovuto avercela? Non aveva mosso un dito per incentivare il suo atteggiamento libertino, arrivando addirittura a puntualizzare il fatto che mai e poi mai si sarebbe fatta mettere le mani addosso da lui. “Forse neanche t’interessa.” Terminò, lasciandosi sfuggire un sorriso stanco. “Ho apprezzato il tuo interessamento.” Probabilmente si trattava solo di un mero atto dovuto, neanche potevano vantare un legame di amicizia ma, d’altra parte, sarebbe potuto rivelarsi un punto di partenza. Perché no? Qualche interesse in comune vi era. Il quidditch, ad esempio. Argomento che fu subito toccato in seguito all’esternazione di David, sullo scarso rendimento ottenuto l’anno precedente, quasi come volesse lavarsi la coscienza. Come se non fosse colpa sua e del suo essere poco incline a trascinare la squadra della quale stava al comando. Era logico, quindi, che le sue mancanze sarebbero costate care all’intera formazione. Per questo motivo si impegnava tanto non solo dal punto di vista agonistico ma anche a livello umano, così da rendere i suoi compagni più che mezzi per raggiungere un obiettivo comune, dei veri propri amici. Ci era riuscita? In parte ma il miglioramento stava al centro della sua attenzione. Ogni fottutissimo giorno. “Non sei stata la peggiore, puoi credermi!” E non si era persa neanche un’azione delle partite altrui. L’allusione, quindi, non giunse a caso ma, anzi, voleva essere ben mirata. “Ma mi hai vista?” Il tono di voce, seppur basso, si mostrò calmo e rilassato, tipico di quando l’argomento le interessava più del dovuto. “Mi sono rotta una gamba!” Lo scontro con Grace era stato, come dire, spettacolare. Impossibile da ignorare, anche se la motivazione non era neanche lontanamente riconducibile ad uno sbaglio suo o della cacciatrice. “Siamo omologati per questo, dopotutto.” Chi sceglieva volontariamente di entrare a far parte della squadra, accettava tacitamente i termini e le condizioni dietro a quel gioco, spesso, pericoloso. “Mi è giunta voce di un tuo cambio di ruolo.” Voci di corridoio? No. L’aveva notato durante l’attesa di entrare in possesso del campo per il loro allenamento ma fare scena le riusciva così bene. “Che vinca il migliore, allora!” Fece uno sforzo. Amichevole sì! Quando si trattava di quidditch, però, la sua personalità subiva una leggera modifica. Piccola. Insignificante. Credeteci. La competitività stava di casa. Motivo per il quale perdere contro il golem di David l’aveva messa, se fosse stato possibile, ancora più di malumore. Strinse il pugno, lo stesso che avrebbe voluto infrangere sullo zigomo del suo ragazzo. Roteò gli occhi smeraldini e si arrese all’amara evidenza, annuendo. “Assurdo, eh!” Eppure le era sembrato che il suo golem fosse ben più promettente di quel mostro creato dal moro. “Ero convinta di poter avere la meglio sul quel coso!” E anche su David stesso. Dati alla mano, il suo rendimento lasciava a desiderare, confronto al suo. Eppure, per qualche strano scherzo del destino, l’aveva massacrata. “La solita fortuna del principiante.” Lo stesso che neanche si sprecava ad aprire un libro per dargli aria. Fanculo!
    ”Dovrei scusarmi per avervi fatto guadagnare un compito extra?” Dissentì, lasciando intendere che non provava alcuna forma di risentimento per quel compito che, tutto sommato, sarebbe servito per ampliare la conoscenza di un argomento che, altrimenti, avrebbe cancellato dalla mente il giorno successivo. “Però…” Si alzò di scatto, raggiungendo ad ampie falcate i suoi libri abbandonati sul tavolo scelto al suo arrivo. Raccolse il materiale in fretta e furia e tornò dalla Serpe. “… lavoro di squadra?” Un modo come un altro per uscire da quella merda senza intaccare una sanità mentale utile per arrivare almeno alle vacanze natalizie. “Mal comune…” Si sapeva. I proverbi babbani un fondo di verità l’avevano. “Che ne dici?” Entrambe ne avrebbero tratto beneficio, andando a colmare a vicenda eventuali lacune. Tutto troppo semplice. Infatti una domanda giunse a dare quel non sapeva che di complicato. ”… stai ancora con il troglodita?” Alzò lo sguardo, fingendo di non essere stata colta impreparata. Sostenne i suoi occhi. Impavida ma totalmente incerta sulla risposta da darle. “Credo di aver bisogno di tempo!” E non solo per decretare quale fosse la cosa migliore da fare ma, soprattutto, per digerire le confessioni del mannaro. “E tu? Stai con qualcuno?” Non che fossero affari suoi ma, al falò, aveva notato uno strano movimento tra lei e Dragonov. La curiosità si fece largo e, come al solito, non riuscì a reprimerla. Bene ma non benissimo.



     
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    Freya Estrid Riis | V | Serpeverde


    SiDyd
    Più parlava con la Grifondoro e meno capiva. Non che questo fosse capitato spesso, le occasioni erano state poche e, c'era da dire, nessuna delle due era mai andata alla ricerca dell'altra. Però la sua stranezza era li, lampante, sotto gli occhi di chiunque avesse anche solo voltato lo sguardo in sua direzione, non sembrava una persona a cui mancassero le capacità, ma si perdeva comunque in un bicchiere d'acqua. Chiedere scusa, un'arte a cui Freya non era mai stata troppo avvezza, a suo dire perché aveva sempre ragione o quasi, ma quando lo faceva, ed era capitato pure a lei di ammettere i propri sbagli seppur rari, non era mai così, tanto per. Dov'era finito il rinomato orgoglio dei rosso-oro che credeva fosse insito in ognuno di loro? Dov'era il temperamento verace? Che fine aveva fatto la combattività tipica anch'essa dei prediletti di Godric? Andati, sepolti. Mentre guardava la mora al suo fianco non notò niente di tutto questo. Un guscio vuoto, un'anima spenta. Non avrebbe trovato altri modi per descrivere l'immagine che la ragazza le rimandava. Era questo ciò a cui ambiva? Era così che si sarebbe sempre immaginata? La Riis non capiva niente di sentimenti, a stento si capacitava dei suoi e, il più delle volte, fingeva di non provarne affatto ma, era sicura, quella non era l'immagine di sé a cui avrebbe mai potuto ambire. Cosa vedeva, la Wheeler, quando si guardava allo specchio? Se quello che vedeva era ciò che credeva fosse la felicità, allora i suoi problemi erano più grandi di quanto la Serpeverde si sarebbe aspettata da lei. La testardaggine, tipica dei Grifondoro, era l'unica cosa di quella Casa che ancora riusciva a leggere nella moretta ora seduta al suo fianco, solo quel loro modo di incaponirsi su qualcosa era ancora presente, in pratica l'unica cosa che avrebbe dovuto lasciare andare. Sforzarsi di fare andare qualcosa che la riduceva in quello stato era stupido, non aveva altri modi per definirlo.
    “É un coglione” din din din! Risposta esatta! Non era stato poi così difficile farglielo ammettere, non si era sforzata proprio, doveva essere qualcosa a cui, Alina, era arrivata tutta da sola, che brava bambina
    -Ora va meglio- ghignò sollevando di nuovo lo sguardo dalla pergamena e riportandolo sulla ragazza -Ma “peggio dei coglioni, sono quelli che li frequentano”, credo di averlo letto in un libro- certo, come no, e il sorrisetto canzonatorio era la prova di quanto quello fosse solo un suo pensiero -Le fiabe di Beda il Bardo, possibile?- le bruciava ancora il modo in cui l'aveva fatta passare per incapace davanti a tutti anche se, era ovvio, l'entità da cui arrivava l'offesa non era qualcuno che potesse essere preso sul serio. Ma rimaneva la scottatura dell'umiliazione che, per una permalosa e orgogliosa come lei, ci avrebbe messo un bel po' a passare. Ma a chi voleva darla a bere? Non sarebbe passata e basta, ormai il Serpeverde era stato bollato come vermicolo da evitare e dubitava sarebbe mai riuscita a vederci qualcosa di buono. C'era una parte di lei che non è che si sentisse in colpa, ma era dispiaciuta per la cosa, non per Daivde, questo mai, quanto più per Mike a cui aveva promesso che avrebbe fatto un tentativo, ma non era colpa sua se suo fratello ce la metteva tutto per rendersi odioso agli occhi di chiunque camminasse a meno di 5 metri da lui!
    -Vorrei anche ben vedere che non l'hai con me, per una volta che non faccio nulla!- il che era vero, proprio come sua filosofia di vita, Freya, si teneva ben distante dalle rotture di cazzo in generale. Mai le erano interessati i ragazzi fidanzati e, di sicuro, non avrebbe cambiato la sua opinione in merito proprio per Harris grande. Anche Axel lo aveva sempre ritenuto carino, ma se ne era tenuta alla larga fino a quando lo aveva visto gironzolare attorno a quella biondina slavata. Maledizione! I pensieri andavano da soli, incontrollati, e anche se non voleva finivano sempre li, a Dragonov. Era innegabile che stesse diventando un bel problema, un bel dilemma, ma pur sempre un grattacapo in cui si era ficcata da sola senza sapere nemmeno se volesse uscirne. In realtà lo sapeva che non avrebbe voluto, così come sapeva che, invece, sarebbe stato molto meglio e molto più facile tenersene alla larga.
    “Ho apprezzato il tuo interessamento” la bruna sospirò, raddrizzandosi sulla sedia e voltando il busto in direzione della sua interlocutrice -Alina, la stai facendo più nobile di quanto non sia, non mi piace intromettermi nelle storie, se così vuoi definire la tua, così come non mi piace che le altre si intromettano nelle mie- scrollò le spalle per la semplicità della questione. Non era per lei che aveva messo in chiaro come stessero le cose, non per lei nello specifico, lo avrebbe fatto per qualunque altra ragazza si fosse trovata al suo posto, alla mercé di un ragazzo che non sapeva neppure apprezzarle o dare loro un valore. E perché non voleva essere accostata a lui, altro fattore da non sottovalutare. Le due ragazze erano parecchio diverse, una di cuore, l'altra di pancia ma, se c'era una passione che poteva accomunarle quella era proprio il Quidditch. La Serpeverde non era una a cui piacesse vantarsi a caso, era sincera con gli altri come lo era con se stessa anche nell'ammettere i propri limiti e, per quanto sapesse di non essere una giocatrice da quattro soldi, era consapevole di non aver portato in campo le sue performance migliori, ed erano le uniche a contare. Erano state partite difficili e combattute, gli avversari ci sapevano fare e, infatti, li avevano battuti anche grazie al suo non contributo. Quello, era un dato di fatto. Così come era consapevole di non essere stata la giocatrice peggiore in campo
    -Si beh, nel Quidditch gli incidenti non capitano di rado- gli occhi smeraldini si abbassarono involontarie sulle gambe della Wheeler non appena vennero nominate, quasi a cercare segni residui dell'incidente che sapeva già non ci sarebbero stati -Più che omologati, direi che voi Grifondoro non sapete proprio quando è ora di fermarvi, non è così?- le sopracciglia si alzarono mentre tornò ad incrociare lo sguardo della rosso-oro, seria, alludendo ad altro oltre che a quello sport duro e pericoloso a modo suo. Si stava improvvisando psicologa e non sapeva nemmeno perché, forse proprio per rompere le uova nel paniere di quell'Harris, vendicandosi a modo suo e dando man forte ai dubbi già presenti, era evidente, in quella che doveva essere la sua ragazza -Si, il ruolo da portiere proprio non mi si addiceva- ridacchiò pensando a tutte le volte in cui aveva lasciato gli anelli sguarniti, prendendo la Pluffa e lanciandosi in mezzo alla mischia solo per la soddisfazione di compiere qualche azione -Non ho voglia di fare da spettatrice passiva mentre gli altri giocano, c'è stata la possibilità e l'ho colta, magari sarà più divertente- non aveva mai avuto ambizioni sportive, in realtà non aveva nemmeno idea di dove l'avrebbero spinta quelle sue ambizioni che le imponevano di fare il meglio in tutto ciò che studiava, lo scopo di quegli allenamenti e quelle partite era solo divertirsi, e lo avrebbe fatto in prima persona. Se poi avesse fatto schifo anche li, beh, allora avrebbe potuto valutare una resa, ma non lasciando le cose intentate. Tra tutte le squadre, i Grifondoro erano di certo i più temuti reduci dalla vittoria del campionato precedente, avversari contro cui sperò di potersi scontrare presto
    “Che vinca il migliore, allora!” il ghigno si accentuò sul suo volto, mentre un luccichio eccitato attraversò i suoi occhi affilati e pronti allo scontro, seppur sportivo -Grazie, lo faremo- forse non proprio ciò che l'altra intendeva, ma era giusto mettere le cose in chiaro. Non le avrebbe lasciato vita facile in campo, pur augurandosi di non rompersi una gamba come era toccato a lei. Freya non giocava mai per partecipare, amava la competizione in tutte le sue forme e puntava sempre al risultato migliore, ecco perché a lezione non si era limitata a fare il compitino statico facendo fare qualche strano balletto al suo golem, ma facendosi avanti e cercando lo scontro con quello che, ai suoi occhi, rimaneva “quello da battere”, ottenendo addirittura un pareggio. Non un ottimo risultato, ma visto che si trattava di Axel, era comunque accettabile
    -Avrà sicuro avuto delle dritte da parte del prof, quel tipo è strano- per non dire stronzo. Quella faccetta da bravo ragazzo non la ingannava più. Era un trucco, una montatura, che nascondeva in realtà un uomo frustrato e in andropausa passivo-aggressivo. Era riuscito a scalare tutte le classifiche con quella dannata relazione che si era guadagnata attirando commenti e sguardi furiosi, non che questi la scalfissero più di tanto. A darle fastidio era più la punizione mascherata da buone intenzioni, non gliela dava a bere. Osservò curiosa i movimenti dell'altra ragazza in silenzio, studiando quello che stava facendo e capendo dove volesse arrivare prima ancora che iniziasse a parlare. Studiò la sua proposta ed i libri che aveva recuperato, certo tomi che le sarebbero tornati utili -Mh. Dico che in due finiremmo prima- sollevò un angolo delle labbra, come tacito assenso a quella proposta inaspettata. Forse, e sottolineò forse, quella storica rivalità tra Serpeverde e Grifondoro poteva essere anche superata. E poi sarebbe stato interessante capirne l'attrattiva visto e considerato che, la maggior parte delle persone a cui si sentiva più legata, sembrava aveva una passione per il genere. Almeno avrebbe potuto capirne il motivo. Si ma quindi? Che dovevano fare? Limitarsi a leggere e abbozzare qualcosa sulle pergamene in un silenzio tombale non sembrava qualcosa che avrebbe potuto fare, si sarebbe annoiata e avrebbe finito per trovarla superflua, senza contare che voleva capirci di più di quella strana ragazza dai comportamenti incomprensibili
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    -Tempo, aria, ritrovare la ragione. Ti servirebbero davvero diverse cose- commentò senza guardarla, continuando a sfogliare le pagine di un libro ben selezionato nel mucchio a loro disposizione -Onestamente Alina, cosa diavolo ci trovi?- la fissò di nuovo leggendone le espressioni e posando il libro sul ripiano del tavolo. Le mostrò una mano su cui svettavano tre dita -Dammi tre motivi validi per cui ti sforzi tanto. Non sono poi molti- di nuovo, soppesò la sua figura con lo sguardo soffermandosi, in ultimo, sul suo viso stanco e provato -Perché se questi sono i risultati, beh..- lasciò la frase in sospeso. Non aveva nemmeno senso proseguire, era evidente come stesse. Tuttavia doveva aspettarselo, quella curiosità sarebbe stata ripagata alla stessa maniera e per poco non cadde dalla sedia alla domanda della Wheeler. Stare con qualcuno. Merlino. Una domanda banale ma su cui si trovò dannatamente combattuta. In realtà la risposta era semplice: no, non c'era ufficialità in nulla che stesse portando avanti. Quindi perché era così difficile rispondere? Avrebbe mentito a se stessa se avesse detto di non aver mai pensato al bulgaro in quei termini, già dopo l'incontro con Mike si era ritrovata con più domande che risposte, e tutte con al centro lo stesso, dannato, soggetto. Non sapeva cosa provasse per lui, ma era chiaro che sentisse qualcosa. Avrebbe voluto che lui fosse suo? In un certo senso si, la sicurezza di non perdere quella persona con cui potesse essere se stessa al cento per cento senza remore, senza il bisogno di trattenersi, senza dover mentire pareva confortante, ma non era nemmeno solo quello. Al di la del suo aspetto che aveva sempre apprezzato, e non era un segreto, aveva scorto qualcosa in quel ragazzo brusco solo all'apparenza, attento ai dettagli e disponibile in modo silenzioso, mai plateale, come se non si aspettasse una medaglia al merito e che, a modo suo, la faceva anche ridere. Dannazione. Avrebbe voluto sentirsi sua? Forse anche di più. Avere la certezza di avere qualcuno che l'accettasse e l'apprezzasse sarebbe stata rassicurante, e il pensiero che quel “qualcuno” potesse essere lui le causava un certo trambusto allo stomaco che non sapeva come prendere. Era una domanda difficile, perché quello che avrebbe voluto rispondere era in totale disaccordo con quello con cui avrebbe dovuto rispondere. E non solo perché erano quelli i fatti, quanto più perché non credeva sarebbe mai stato possibile, i suoi genitori non glielo avrebbero permesso, avevano altri progetti per lei, piani che aveva avuto la fortuna di ascoltare e che non aveva mai rivelato a nessuno.
    -No- ammise quindi, voltandosi a riportare lo sguardo basso sui libri -Non ho un ragazzo, se è quello che intendi- certo che era quello che intendeva, che discorsi -Le relazioni sono.. Non credo di esserci portata- per non dire che fosse meglio starne alla larga e vivere serena quella libertà che le rimaneva. Questione di mesi, pochi anni al massimo. Ma solo Merlino sapeva quanto avrebbe voluto che le cose fossero diverse -Uhm.. guarda qua- indicò un passaggio sul libro cercando di sviare l'argomento -Potrebbe essere utile parlare di questo?- Mangia la foglia, Alina, fammelo credere.



    Edited by -RedFlag- - 17/12/2023, 16:54
     
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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Sarebbe stato più semplice perdonare un tradimento. Ne era certa. Ma quell’umiliazione? Non era certa di riuscire a superarla. Ci aveva messo tempo. Sprecato energia per riuscire a riammettere David nella sua quotidianità. Facendo ricorso a tutta la sua buona volontà. Quel giorno, però, la sua fiducia si era nuovamente sgretolata tra le sue dita. Così come la speranza di aver preso la decisione giusta quando, mossa dalla più profonda ingenuità, aveva riposto la sua anima, il suo segreto, sé stessa, nelle mani di colui che non aveva perso occasione di deluderla. Nuovamente. Nonostante le sue scuse e il fatto che si fosse aperto a lei, come mai aveva fatto prima, Halley non riusciva a comprendere il perché dei suoi atteggiamenti. Forse non si trovava abbastanza in alto nella sua personale scala gerarchica delle priorità. Non aveva mai preteso nulla da lui. Mai. Gli aveva lasciato tutta la libertà possibile, fino a quando non si era accorta di non poter più accettare la sua promiscuità. Anche in quel caso, però, non si era permessa di obbligarlo a essere ciò che non era. Così l’aveva lasciato andare. Una decisione difficile. Dolorosa ma giusta. Era stato lui a tornare da lei. Promettendo mari e monti. Assicurandole che non le avrebbe più inflitto alcun tipo di male. Parole al vento. L’aveva dimostrato proprio quella mattina. Davanti al resto dei suoi compagni, molti dei quali amici. Quello sguardo a Freya si trovava ancora lì, davanti ai suoi occhi. Così limpido che un brivido si sprigionò lungo la colonna vertebrale, arrivando a martellarle in testa. Lei non aveva mai chiesto nulla. Solo essere l’unica e in quel momento si rese conto di pretendere quell’amore che era certa di meritare e che, probabilmente, lui non sarebbe mai stato in grado di darle. Lo sentiva. Si sarebbe arresa. Non avrebbe più lottato perché, fino a quel giorno, la mora, aveva lottato per entrambi. Sacrificando una parte di sé così importante da farla sembrare uno stupido involucro vuoto. Lo definì per quel che era. Un coglione. Ma il commento della sua interlocutrice la spiazzò, portandola ad abbassare lo sguardo sul legno del tavolo. Ne era certa. Questa era l’impressione di sé che tutti avevano. Annuì, interdetta a tal punto da non trovare le parole adatte utili a una sua difesa. Colpita e affondata. La sua mortificazione crebbe, così come il desiderio di sparire da quel luogo, ora più che mai, nemico. Fare la vittima della situazione, però, le stava stretto. La colpa era solo sua. Sua e di nessun altro. L’avevano messa in guardia in mille modi differenti. Il nulla. Testarda e incosciente, la Wheeler, si era decisa ad andare fino in fondo, consapevole di avere un’altissima percentuale di probabilità di prendersi una sdentata epica. Cosa le era rimasto? Un segreto di una portata pressoché insostenibile e un legame tossico, potenzialmente mortale. Trovò il coraggio di alzare gli occhi, pronti ad incontrare quelli di una Riis all’oscuro di gran parte della storia. “È questo che si dice di me, eh?” Domandò, mentre un finto sorriso le incurvava le labbra. Dopo quella lezione, poi, la sua credibilità sarebbe colata a picco. Già immaginava il suo volto sulle pagine del giornalino scolastico, pronto a divorarsela in poche righe ben assestate da qualche malalingua. Che poteva fare? Oramai il danno era stato fatto e in quel caso, probabilmente, sarebbe stata costretta anche a lasciare la squadra che tanto amava per tutelare i suoi compagni. Essere lo zimbello della scuola non poteva giovare all’immagine di coloro che volavano lassù, al suo fianco. “Lo penserei anch’io al vostro posto.” Autocommiserarsi non era il suo obiettivo ma, d’altra parte, si trattava del suo più semplice pensiero. Lei stessa avrebbe storto il naso davanti a un atteggiamento simile, eppure il sentimento per quell’idiota era lì. Negarlo sarebbe stato inutile e controproducente. Forse avrebbe dovuto affrontarlo a muso duro o, almeno, prima di sapere la verità su tutto. Fanculo a lui. Fanculo al suo essere mannaro e fanculo a me! Chi è causa del suo male, pianga sé stesso, no? Così si diceva in giro e la verità non stava proprio lontano. Sorrise all’esternazione di non colpevolezza da parte della nuova cacciatrice dei verde-argento. L’idea che fosse colpa sua non le era neanche lontanamente balenata in testa. Anzi, al contrario, l’aveva reputata vittima, tanto quanto lo era stata lei e forse anche un po’ di più. David aveva osato ridicolizzare la compagna, per lo scarso rendimento in campo. Stronzate. Non vi era un singolo individuo lassù, ma una squadra. Coesione. Devozione. Fiducia. Elementi fondamentali per attivare meccanismi efficaci, al fine di raggiungere la vetta della classifica. Certo la colpa non poteva accollarsela un solo giocatore per una partita andata nel verso sbagliato. Un’uscita fuori luogo. L’ennesima di quello che sarebbe dovuto essere il suo ragazzo. “Nobile o meno. Ha poca importanza!” Obiettò. Pochissime volte in vita sua aveva assistito a quella sorta di solidarietà tra donne e, proprio per quel motivo, sentiva il bisogno di farle sapere che il suo gesto era stato apprezzato e che avrebbe fatto tesoro dei suoi consigli. “Posso avere tantissimi difetti…” Un puro eufemismo. Una riduzione ai minimi termini imbarazzante. “… ma non pecco di megalomania. So che lo avresti fatto per chiunque.” Aveva inquadrato il tipo di persona, ne era ben consapevole ma non avrebbe fatto alcuna differenza. Le era grata e aveva appena fatto la sua comparsa nella lista delle persone a lei non indifferenti, avvantaggiata dal suo interessamento al quidditch. Insomma, un punto in comune. L’incidente avvenuto in campo durante la finale le era costato un soggiorno prolungato tra le mura dell’infermeria ma non solo. Quell’episodio aveva spinto suo madre a presenziare direttamente al capezzale della figlia, cogliendola di sorpresa e in atteggiamenti intimi con il vice capitano delle Serpi. Che orrore! Scrollò lo spalle e tornò a concentrarsi sullo scambio di “punti di vista” con Freya. Che dire? Il quidditch? Sport pericoloso sotto molteplici aspetti ma, a dirla tutta, si sarebbe volentieri tenuta alla larga da quel tipo di fratture subite. “Ne sono certa! In questo caso: niente di personale!” In fondo sarebbero state nemici naturali, sul campo da gioco. Tutto nella norma. Così come sarebbe dovuto essere, senza esclusioni di colpi perché perdere non faceva parte dei suoi piani, così come non lo era stato soccombere la golem di David. Oltre il danno anche la beffa. Beh, avrebbe dovuto prevederlo, considerato l’andamento dell’intera giornata. “O semplicemente è questione di fortuna!” Forse se avesse dovuto utilizzare l’intelletto, il responso sarebbe stato nettamente differente ma si trattava di forza e in quella, lei, sarebbe sempre risultata in difetto contro di lui e, ora, sapeva anche il perché. Annuì quando accettò la proposta di un ipotetico lavoro di squadra. Perché no? Tutte quelle stronzate della rivalità tra leoni e serpi, per quel che la riguardava, si trovavano ampiamente superate. In più, la mole di lavoro sarebbe stata divisa in due. Tempo dimezzato. I pro erano davvero tantissimi. I contro giunsero quando, inevitabilmente, si toccò l’argomento che non avrebbe voluto affrontare. ”… cosa diavolo ci trovi?” Una domanda all’apparenza innocua. Buttata lì. Sicura. Fredda. Capace di trascinarla nel limbo fatto di dubbi atroci che non l’avevano abbandonata neanche dopo l’uscita da quella Sala Trofei dove aveva compreso che, in un modo o nell’altro, David si era deciso ad ammettere una scomoda verità. Rimase in silenzio, avvolta da quella profonda insicurezza che l’assaliva ogni volta che al setaccio venivano passati i suoi sentimenti. “Io…” Ripensò alla fine dell’estate quando, contro ogni previsione, si era offerto di stare con lei, allontanandola da ciò che in quel preciso momento le stava realmente arrecando un doloro forte. O al capodanno precedente quando, spogliato di ogni difesa, le aveva chiesto di rimanere con lui. Ma poi? Poi l’Africa e il suo modo di fare pari a quello di un sociopatico. Perché? L’aveva ferita più e più volte, anche senza rendersene conto. “… sono fatta così.” Semplicemente. La sua indole la portava ad esporsi per coloro a cui teneva. L’aveva fatto per Kai in passato e poi David aveva preso il suo posto, rimescolando le carte in tavola a tal punto da confonderla. L’unica certezza stava proprio nel suo credere che Parker, però, avrebbe potuto darle quello che cercava: l’amore. Quello vero. Disinteressato e privo di sofferenza. Se ne stava pentendo? No. Così come non sarebbe mai e poi mai tornata sui suoi passi. “Non doveva andare in questo modo.” Rivelò il suo clamoroso errore di calcolo, così, senza pensarci poi tanto. “E poi tre validi motivi? Non ti sembrano troppi?” Cercò di sdrammatizzare. Non poteva fare appello all’amore perché amare una persona implicava la conoscenza approfondita, gesti importanti e David, per lei, non si era sprecato poi così molto. Il sesso? Valido, sì. Fino a un certo punto. La chimica. Il trasporto fisico si trovavano sul gradino della banalità. “Posso solo dirti che quando sto con lui, dimentico la merda che ho fuori.” Sì. Lui rappresentava la sua libertà. La rivalsa verso il mondo. Ammetterlo costava grande fatica. Una sorta di isola felice ma non del tutto. Ma la Riis non poteva neanche lontanamente sospettare delle problematiche che l’affliggevano, ben più grandi di qualche idiozia amorosa. La scomodità delle interazioni fu portata al culmine quando, mossa da una sincera curiosità, Halley domandò senza malizia, della sua situazione sentimentale. Dichiarò di non essere impegnata eppure qualche cosa suggeriva un velo di imbarazzo nelle sue parole schive. Piegò la testa di lato e la osservò attentamente mentre, esaurita la risposta alla domanda diretta, scostò immediatamente l’attenzione sul compito. La rosso-oro puntò le iridi smeraldine verso il libro, scorrendo velocemente le poche righe che, a suo parere, sarebbero potute essere utili e dopo averle riportare sul suo foglio, alzò lo sguardo: “Dici sul serio? Io credevo che tra te e Dragonov vi fosse una relazione! O qualche cosa di simile, insomma.” E anche abbastanza seria da quel che aveva potuto snocciolare tra il falò e la stessa lezione di quella mattina. “Sono davvero così lontana dalla verità?” L’aria ingenua. “Io non credo…” Sorrise. Eh no, Freya! La foglia non me la mangio!



     
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    Freya Estrid Riis | V | Serpeverde


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    Cosa fossero disposte a fare le persone per dare retta ai loro sentimenti era, per Freya, qualcosa di nuovo e, sotto molti punti di vista, persino sciocco. Non era solita mettere gli altri prima di se stessa e, ad essere del tutto onesti, non era neppure sicura che ci sarebbe mai potuta riuscire. Non era qualcosa di cui vantarsi, almeno non secondo la maggior parte delle persone, ma senza ombra di dubbio era qualcosa di utile per proteggere se stessi. Si era trovata a chiedersi più di una volta cosa avrebbe mai accettato di fare per seguire un impulso scaturito dalla sua sfera affettiva, fino a che punto si sarebbe potuta spingere, ed era consapevole che, istintiva e precipitosa com'era, sarebbe anche potuta arrivare a fare follie, ma piegarsi? Umiliarsi? Implorare per avere un briciolo di considerazione che dovrebbe essere scontata in ogni rapporto che non fosse occasionale? Questo mai, non sarebbe mai arrivata a tanto, e proprio per questo non sarebbe mai riuscita a capire fino in fondo quella ragazza a cui era da poco stata calpestata la dignità e che, nonostante questo, sembrava persistere per la sua strada. Perché? Quanto amor proprio doveva mancarle per perpetrare la sua scelta? La osservò con attenzione: il viso provato, le spalle ricurve, lo sconforto negli occhi chiari, nessuno aveva il diritto di ridurre così una persona, e nessuno avrebbe dovuto accettare tanto poco. Il suo primo istinto fu quello di farsi un appunto mentale ed andare direttamente da Mike e Rain, a far loro promettere che se mai si fosse ridotta in quello stato, avrebbero dovuto prenderla a schiaffi in pieno viso finché non fosse rinsavita e, forse proprio per questo non scelse la via della delicatezza con Alina. Niente di fisico, non era sempre certa di controllare la sua forza anormale, ma la sua lingua sapeva essere affilata quando voleva, a volte melliflua e capace di risultare delicata, ma che sapeva colpire tutti i punti giusti se le persone sapevano cogliere i riferimenti e, a giudicare da come la Wheeler abbassò lo sguardo, era sicura che avesse colto il riferimento non troppo velato. Crudele? Forse un po'. Evitabile? Assolutamente si, ma era un peccato avesse perso la sua fierezza e, per quanto non fosse una sua amica, non le erano mai andati a genio i ragazzi che si divertivano a fare il bello ed il cattivo tempo approfittandosi di qualche sciocca ragazza, ed era proprio così che in quel momento vedeva Alina.
    -Non ho idea di cosa si dica di te in giro- si strinse le spalle sostenendo quello sguardo che aveva trovato il coraggio di rialzarsi, quindi non era sopito del tutto quel fuoco rosso-oro che, ora, in lei appariva più come una brace sulla via dello spegnimento -Ma è l'impressione che hai dato a me. Un peccato però- arricciò le labbra, delusa per ciò che la sua figura le rimandava -Ti consideravo più di così, di solito sono più brava a farmi un'idea delle persone- tornò ad osservare i suoi fogli scribacchiati, facendo mente locale sul punto a cui era arrivata, gettando un ultimo sguardo sulla mora che si ostinava a rimanere ritta nella sua posizione immobile al suo fianco -Chi lo sa, Alina. Magari non mi sono sbagliata del tutto e solo il tempo ce lo dirà- strinse gli occhi vermigli e si fermò di nuovo a prestarle attenzione -Scommetto ancora su di te, per ora- non sapeva bene perché glielo stava dicendo, era venuto spontaneo, forse un po' di quella solidarietà femminile che ogni tanto cicciava fuori a caso e le imponeva di prendersela con la pulce della situazione, in quel caso Harris, e quel desiderio di rivalsa femminile a cui fin da piccola aveva anelato, quando ancora sentiva i genitori fare progetti su di lei e su possibili matrimoni come se non avesse diritto di scelta, succube, prima che ai loro occhi diventasse niente più che una merce di scambio per favori che sapeva che prima o poi avrebbero richiesto e da cui avrebbe voluto scappare. Alina aveva un futuro pieno di possibilità e le stava sprecando tutte dietro ad un tizio che preferiva mortificarla in pubblico senza farsi il minimo scrupolo, non si preoccupava per lei, e che fosse per mancanza di interesse o di raziocinio, poca importanza avesse. Stava sprecando tempo, risorse, salute, orgoglio, per cosa? La verità era che Freya la invidiava, proprio per quel mare di scelte, per quella libertà che aveva e stava buttando via. Una libertà che Freya avrebbe dovuto faticare per ottenere, sparendo se fosse stato necessario, e che comunque non avrebbe mai eguagliato quella di qualsiasi altra ragazza che, al contrario suo, non era vincolata ad una maledizione che la condizionava così tanto e così a fondo, limitando le sue aspettative per un futuro che, in certi aspetti, non sarebbe mai potuto cambiare. Fosse anche riuscita a tranciare ogni legame con i suoi genitori, sarebbe rimasta sempre e solo lei, nulla di più, e non era sicura che avrebbe mai trovato qualcuno a cui sarebbe potuta bastare -Come ti pare- ghignò agitando una mano davanti al viso come a scacciare una mosca. Che strana quella sensazione di disagio solo perché qualcuno aveva apprezzato un gesto fatto da lei, qualcosa a cui non era abituata e che, ammetteva anche questo, le era venuto senza pensare alle possibili ripercussioni, come ad esempio che altri potessero credere che fosse una brava persona. No, non si doveva sapere, ne andava della sua reputazione! Lasciò che si accomodasse al suo fianco, mettendo in chiaro chi fosse la squadra che avrebbe dovuto vincere il campionato finale peccando di forse troppa sicurezza, ma prendere parte ad un torneo senza essere sicuri di vincere era come darsi per spacciati in partenza. L'idea di unire le forze per terminare quella ridicola relazione non era poi così male, avrebbe voluto dire finire prima e potersi dedicare finalmente ad altro che meritasse più attenzioni, nel suo caso un bagno caldo, nel caso della Grifondoro un paio di ore da uno strizzacervelli, forse. Davvero non riusciva a capacitarsi di cosa la spingesse a perdere il suo tempo con uno come Harris, il Mike dei poveri insomma, e ancora una volta non riuscì a trattenersi dal domandarlo. L'ascoltò, questa volta frenando ogni impulso che le avrebbe fatto obiettare ad ogni frase stentata che sentiva proferire da quella ragazza, vittima di uno stronzo e, soprattutto, di se stessa, e mantenne quel silenzio fino a quando non finì, persino oltre, ragionando su cosa o quanto dire, facendo ricorso al tatto che sapeva di possedere a cui, seppur di rado, sapeva far ricorso. La osservò, così fragile e spaesata davanti a quella domanda la cui risposta sarebbe dovuta essere spontanea e naturale, ma che invece parve solo metterla in difficoltà. Freya era perfettamente in grado di tirare le redini quando serviva, lo percepiva quando non era più il caso di insistere e di lasciare agli altri il proprio spazio, lo aveva fatto con Mike e non di meno con Axel, poteva essere delicata quando lo voleva e, percependo la debolezza della figlia di Godric, seppe che era il momento di arrendersi a quell'omissione. E invece no, nemmeno per tutto l'oro della Gringott. Vaffanculo a Harris. E vaffanculo pure alla Wheeler. Schiaffi in faccia metaforici, ecco cosa le serviva, e magari anche una doccia fredda visto e considerato che, da quella non risposta, pareva che l'unico motivo per cui ci stava era perché fosse bravo a letto, cosa di cui comunque dubitava
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    -“Perché è gentile”, “perché mi tratta bene”, “perché mi fa divertire”, “perché si prende cura di me”, “perché amo come mi sento quando sto con lui”, sono le risposte più stupide e banali che avresti potuto dire e le avrei accettate comunque- posò la piuma tra le pagine di un libro, ruotando il busto di nuovo verso la mora, le sopracciglia corrucciate a sottolineare il fastidio che le prudeva sotto la pelle -Dimenticare la “merda che hai fuori” facendoti scaricare addosso altra merda, non è una soluzione, al più un diversivo momentaneo, poi?- che nervoso. Non si spiegava nemmeno perché se la prendesse così tanto, vedeva solo un gran potenziale sprecato. I Grifoni erano fastidiosi, ma battibeccare con loro per i corridoi era sempre stato divertente, erano combattivi e temprati ma, la Wheeler almeno negli ultimi tempi, era diventata un muro di gomma contro cui ogni parola rimbalzava senza lasciare traccia -Ti piace la persona che sei diventata?- era facile, a volte, nascondere la testa sotto la sabbia ed evitare di prendere atto della realtà, coprire gli specchi che rimandavano immagini che non si volevano vedere, ma Freya non era una sua amica che avrebbe cercato di fare il meglio per lei senza arrischiarsi a dire una parola di troppo per non ferirla ulteriormente, al massimo sarebbe stata lo specchio che la Grifonscema non sarebbe stata in grado di evitare -Sicura di non aver semplicemente paura di stare da sola?- alzò un sopracciglio, questa volta più curiosa che accusatrice ma, per quanto avrebbe potuto perdere l'intera giornata sull'argomento, sembrava inutile infierire -Meglio finirla qua, ho già esagerato, credo-. Riprese in mano la penna, ritornando ad intingerla nella boccetta d'inchiostro e a far grattare la punta sulla superficie della pergamena ancora troppo vuota per considerarsi soddisfatta, gettando di tanto in tanto un'occhiata alla rosso-oro per verificarne l'umore. Che fatica. Pareva di avere a che fare con un bambino a cui insegnare l'ABC. Sospirò sollevando gli occhi al cielo -Ok, magari dovrei farmi un po' di più i fatti miei, mi spiace.. di essere stata troppo sincera- di quello, mica del contenuto. Era ancora convinta che il ragionamento fosse logico e dalla sua parte. Eppure il karma era una medaglia a due facce che ripagava sempre, ed eccole li quelle domande a cui non avrebbe voluto rispondere e che sperava di aver sapientemente evitato. Invece no, quella dannata testardaggine rimaneva intonsa nell'animo della gnoma Capitano “Io credevo che tra te e Dragonov vi fosse una relazione! O qualche cosa di simile, insomma” Merlino ti abbia in gloria. Strinse i denti per come le cose si erano rivoltate contro di lei con una velocità a cui non era preparata. Silenzio. Tuttavia Alina non demorse, anzi, rincarò la dose -Siamo.. compagni di squadra- se arrampicarsi sugli specchi fosse stato uno sport, Freya avrebbe avuto sicuramente il potenziale per finire sul podio. Nonostante i discorsi di Mike, aveva preferito non avviare il discorso con quel burbero Serpeverde straniero quanto lei, ben più propensa a lasciare le cose come stavano invece di rischiare di rovinarle con discorsi che non sapeva nemmeno lei se avesse o meno voglia di affrontare. Le piaceva, con lui si sentiva al sicuro e non per via di quei muscoli monumentali, in quel senso bastava a se stessa, ma sentiva di poter essere se stessa, protetta da ogni forma di giudizio. Mai, prima di Axel, avrebbe potuto pensare che qualcuno a conoscenza del suo piccolo problema mensile avrebbe mai potuto accettarla ma, con lui, non solo quello avveniva, ma riusciva persino a sentirsi desiderata, e lo avvertiva nel modo possessivo con cui faceva scorrere le mani sul suo corpo, nel modo in cui la stringeva e tratteneva a sé, e il modo in cui la guardava la faceva sempre sentire spoglia di ogni costrutto si potesse mettere addosso per affrontare il resto del mondo -Vuoi sapere se ci vado a letto? Hai forse deciso di cambiare Serpeverde?- gli occhi, involontari, si strinsero in due fessure dal taglio sinistro. L'idea che guardasse qualcun altra in quel modo le mandava il sangue in ebollizione, il pensiero che un'altra vi mettesse sopra gli artigli le faceva prudere i canini sotto le gengive, e fu solo il rumore secco della penna vistosa che si spezzava sotto le sue dita a risvegliarla da quel sentore di rabbia che si stava risvegliando. Axel era suo. Lui non lo sapeva, ma questa era un'altra storia.
    -Reparo- estratta la bacchetta, sistemò il piccolo incidente di percorso prima di riporla nella tasca da cui era stata estratta. Si schiarì la gola e lasciò che tutto scivolasse via, riprendendo il suo naturale -ma nemmeno troppo- auto controllo -Non saprei come definirlo- ammise infine, non sapendo neppure quanto potesse raccontare, visto che non aveva mai parlato neppure di quello con il bulgaro fin troppo richiesto. Non sembrava il tipo che nascondesse le sue scappatelle, ma raccontarlo ai quattro venti avrebbe dato alla cosa proprio quel tipo di immagine: un'avventuretta, un capriccio da nulla, e non era ciò che lei sentiva in quel momento. Allo stesso tempo, far intuire alla Wheeler che ci fosse qualcosa, era un modo per marcare un territorio che avrebbe voluto fosse invalicabile -Ma tu non volevi fare la relazione? Cos'è adesso tutta questa curiosità?- si portò i pugni sui fianchi, pur rimanendo seduta, mentre osservava la moretta con sguardo serio e labbra tirate. Ma vedi tu questa. Rimase in silenzio ancora qualche secondo quando, improvvisa, un'idea le balzò alla mente -Non è che invece vuoi provarci con me? Scusa Alina, ma io l'ostrica non la mangio proprio!-

     
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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Una grande confusione. Essa nasceva dal tentativo di convincere il cuore e lo spirito di quanto fosse nel giusto, quando la mente suggeriva tutt’altro. Un conflitto forte. Una guerra tra ragione e sentimento, come da manuale. Se da un lato le era costato chiedere tempo a David; dall’altro aveva avvertito una sensazione di leggerezza, come se fosse stata sollevata da una responsabilità enorme che le premeva il petto, togliendole il fiato. Non si trattava solo della confessione nuda e cruda. Quella riguardante la sua vera natura. In fondo non poteva fargliene una colpa se la sua composizione genetica l’aveva condannato a quel delirio? No. Vi era di più, alla base dei dubbi che l’attanagliavano, martellandole in testa. Il tutto si riduceva a una sola domanda: sarebbe stato in grado di amarla senza riserve? Un amore puro. Uno di quelli di cui si legge spesso tra le pagine dei libri, nati dalla mente di personalità sognatrici come la sua. Lo stesso amore che, lei in primis, credeva di non riuscire a sostenere, essendo inesperta in campo sentimentale. Sospirò amareggiata, convinta di conoscere la risposta esatta a quel quesito. Il tempo, però, si sarebbe potuto rivelare un ottimo alleato. Proprio per questo motivo, quindi, aveva deciso di avvalersi di un periodo di lontananza forzata, utile ad elaborare un contesto davvero complicato, nel quale si sarebbe dovuta muovere. Se dentro sé, sapeva che si trattava della scelta più giusta per sé stessa, da fuori appariva come la martire sfigata, sotto l’influsso di un bastardo senza cuore. Punti di vista, ovviamente. Halley non avrebbe neanche cercato di farle cambiare idea. La credeva stupida? Ne aveva tutto il diritto e se, appena dopo la lezione, si era ritrovata certa di non avere più nulla da dire al suo ragazzo, dopo il loro incontro in Sala Trofei –dove tutto era iniziato-, beh, ogni convinzione era andata sbriciolandosi tra le sue dita. “Mi dispiace!” Affermò, senza mai abbassare lo sguardo, all’interno del quale ribolliva una rabbia così intensa data dalla serie di delusioni che, a quanto pareva, continuava ad infliggere a chiunque si trovasse sul suo cammino. Un destino infausto il suo. Chiunque le orbitasse intorno si era dileguato. Chi con una scusa, chi con l’altra. Individui che non facevano altro che aspettarsi da lei qualche cosa. Sua madre. Sua zia. I suoi amici. Persino gli amici di sua madre l’avevano guardata con aria rassegnata, come si guarda una ragazza priva di alcun futuro. Aspettative. Decine e decine di tacite richieste che avrebbe dovuto esaudire, anche andando contro il suo volere, pur di rendere felici i suoi cari. Uno sforzo che David non le aveva mai chiesto. Forse era riuscita ad apprezzarlo proprio per questo suo modo di fare superficiale. A lui bastava quel poco che, inizialmente, si era preposta di concedergli. Niente di più e niente di meno. Una semplicità che, a distanza di un anno, sembrava ridicola perché, proprio in quel preciso istante, gli stava chiedendo di amarla o di sparire per sempre dalla sua vita, attraverso a una stupida pausa di riflessione che lo avrebbe messo alla prova e, allo stesso tempo, gli avrebbe permesso di riflettere sui suoi sentimenti. “So quello che faccio.” Sorrise sincera, dopo l’affermazione ricolma di solidarietà femminile, che la vedeva oggetto di una scommessa.
    ”Come ti pare.” Piegò la testa di lato e andò a focalizzarsi sul gesto della mano, volto a minimizzare il suo interessamento mostrato a lezione. Un sorriso si aprì sul volto della Wheeler, quasi volesse cogliere in silenzio l’autenticità della reazione che lasciava trasparire un animo gentile, per niente egoista. Caratteristiche che, si vociferava, non far parte della lista appartenuta proprio ai figli di Salazar. Stronzate. Lo sapeva bene, essendo entrata in contatto con Corvonero e Tassorosso della peggior specie. “Qualche cosa mi dice che non sono poi molte le persone che apprezzano i piccoli gesti.” Commentò sarcastica, ripensando a tutti quei sacrifici posti in essere anche solo per dare un conforto a coloro che, in fin dei conti, neanche lo meritavano. Fatica sprecata. Forze preziose da preservare con attenzione.
    Errore. Senti il suo cervello spegnersi davanti alla domanda diretta della Riis. Consapevole del fatto che, sino a quel momento, nessuno aveva compreso le motivazioni alla base del suo intestardirsi appresso a quell’idiota, Halley, rispose in maniera piatta, insipida. Una risposta che non avrebbe esaudito la richiesta avanzata. In fondo aveva la più totale ragione. David si era dimostrato essere il mostro che tutti dipingevano ma, al loro contrario, lei aveva potuto osservare in prima persona quanto potesse essere pericoloso e, dopo la confessione, era a conoscenza –in parte- anche del perché. Un segreto che si sarebbe portata nella tomba, certo ma che non poteva giustificare i suoi comportamenti nei riguardi di colei di cui –a suo dire- era innamorato. Assunse un’espressione neutra, attenendo di poter ribattere al fiume inarrestabile di concetti messi insieme da una mente brillante e ricolma di dubbi. Era stato gentile. Sì. Ma le volte che l’aveva fatta soffrire erano state nettamente superiori. La trattava bene? Negli ultimi tempi, quando si era accorto che le stava scivolando via per la seconda volta in pochi mesi. Sì. Poteva concederlo. Si era sentita protetta. David era riuscito, attraverso la sua presenza, a farle accantonare le sue preoccupazioni e tutti in quei pochi giorni passati con lui, a Londra. Ma sarebbe bastato? Non ne era certa. “Posso solo dirti che hai ragione!” Avrebbe potuto ridurre tutto al sentimento che provava per lui, al quale non riusciva a dare un nome ma poi? Se si fosse rivelato una chimera? Di base avrebbe voluto dimostrazioni più che valide che sostenessero la tesi che lo vedeva innamorato di lei. Una prova. Un periodo di lontananza che potesse sanare quei dubbi che, inevitabilmente, si erano incastonati nella sua mente. Forse, se fosse stato in grado di aspettarla in quel suo periodo di riflessione –e aveva tanto sul cui riflettere-, sarebbe riuscita a concedergli di più. Dipendeva da lui. Da lui soltanto. Non avrebbe mai più mosso un dito per andargli incontro. Tutto quello che poteva fare l’aveva fatto, compreso il rimanergli vicino quando nessuno si sarebbe preso la briga di sostenerlo anche se, a dirla tutta, neanche era certa che gli interessasse rimanere solo al mondo. “Quello che sono diventata non dipende da David.” Affermò, portando lo sguardo sul foglio. Non si sarebbe mai sognata di ammorbare quella ragazza con i suoi problemi esistenziali ma, la sua persona era mutata per problemi ben più gravi, capaci di rendere quei battibecchi amorosi un nonnulla. “Non sarò mai più la stessa!” Concluse amareggiata da quella verità che pesava come macigno sulle sue spalle stanche. “Con o senza Harris.” Aveva preso in esame tutte le possibilità. Comunque fosse finita con lui, la tematica al centro della sua ansia, l’avrebbe comunque distrutta, portandosi appresso la persona che un tempo sarebbe saltata dentro a cerchi infuocati. Fragile. Impaurita da un futuro che non riusciva a vedere. Questioni che non sarebbero state risolte, anche se David fosse sparito dalla sua esistenza ma che, anzi, sarebbero peggiorate considerando che lui era la sua costante. Colui che vi era sempre stato sin dal principio e che conosceva la sua verità. La scrutò per un attimo, percependo il suo quesito riguardante la paura di rimanere sola. “Non sarei sola.” Di quello ne aveva l’assoluta certezza. I suoi amici ci sarebbero sempre stati per lei, nella buona e nella cattiva sorte. L’unica suo timore risiedeva nella natura del legame con il battitore. E se si trattasse solo di ossessione? In quel caso, forse, a soffrirne sarebbero stati entrambi e poi? Poi l’unica soluzione sarebbe stata quella di lasciarsi andare. Cosa che da un anno a quella parte non erano riusciti a fare, contro ogni stupido pronostico. “Invece credo che io debba ringraziarti!” Aveva sollevato argomentazioni più che valide che l’avrebbero aiutata a ricercare risposte in quel periodo di lontananza dal giovane uomo che sperava di ritrovare, una volta fatta chiarezza tra i suoi pensieri. “Mi hai dato spunti sui quali riflettere in questo periodo tutto mio.” Sì, si sarebbe dedicata alla cura di sé stessa. Fisica e mentale. Senza scordarsi di considerare quale sarebbe stata la sua esistenza se avesse deciso di accettare un mannaro nella sua quotidianità.
    ”Siamo compagni di squadra.” E io alta e bionda! Si morse la lingua, evitando commenti sarcastici che non avrebbero certo aiutato ad intavolare un discorso che aveva tutta l’aria di essere scomodo. Non riuscì, però, a fare a meno di incurvare leggermente le labbra, formando un sorrisetto che indicava di non essere affatto convinta che non vi fosse dell’altro sotto. Certo, non si trattava di affari che la riguardavano ma la curiosità, ogni tanto, si affacciava desiderosa di essere sfamata. “Una squadra vincente.” Un duo, per essere più specifici. Non erano passati inosservati al falò, anche per una come lei che si trovava impegnata in effusioni simili. “Un doppio interessante.” Si stava parlando ancora di quidditch? Pareva più una partita di quello stupido sport praticato dai babbani. Il tennis. ”Vuoi sapere si ci vado a letto?” Nel suo tono le parve di avvertire un leggero astio, scaturito da qualche cosa che probabilmente si trovava all’interno della sua testa. ”Hai forse deciso di cambiare Serpeverde?” Rabbia. Uno strano scintillio attraverso lo sguardo della mora. Si risentì e, senza neanche accorgersene, si pose sulla difensiva. “No…” Le parole morirono in gola, come se non avesse idea di cosa dire per tranquillizzare Freya, convincendola del suo totale disinteresse nei confronti del bulgaro. “Io, davvero non…” Che cazzo! “… per quanto mi converrebbe cambiare Serpeverde, credo che non sia possibile.” Cercò di smorzare quell’atmosfera tetra venutasi a creare. “Ti chiedo scusa. Come non detto.” Forse sarebbe stato meglio concentrarsi sul lavoro da svolgere, senza tirare in ballo concetti che esulavano dalla sua competenza. “Qualsiasi cosa sia, ti auguro il meglio.” Perché qualche cosa le suggeriva che lo meritasse sul serio.
    “Hai ragione. Speravo che mi deliziassi con qualche aneddoto che mi distraesse dalla mia sfiga!” Non fece in tempo ad aggiungere altro. Scoppiò a ridere, ricordandosi solo in seguito del luogo nel quale si trovavano. Ma fanculo. Non le importava nulla. “Forse sarebbe più semplice!” Effettivamente confrontarsi con lo stesso sesso magari l’avrebbe resa meno nevrotica ma, ahimè, sarebbe mancato qualche cosa di essenziale nel rapporto. Un qualche cosa del quale non avrebbe potuto fare a meno. “Ammettilo! Anche a te piace complicarti la vita! Sbaglio?” Poggiò i gomiti comodamente sul legno, lasciandosi trasportare dalla parlantina che, stranamente, sembrava ricomparsa dal nulla.



     
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    Freya Estrid Riis | V | Serpeverde


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    -Non dispiacerti- gli angoli della bocca della mannara si piegarono, per un breve istante, verso il basso per sottolineare, in modo involontario, la leggerezza con cui aveva affrontato quel discorso -Scelte tue, non sta a te soddisfare le aspettative altrui. È un problema loro o, in questo caso, mio- il peso delle aspettative, qualcosa che non gravava più sulle spalle di Freya da tantissimo tempo. Ne aveva avute anche lei, come qualunque ragazza nata in una famiglia purosangue dalla mentalità retrograda che ancora era tanto presente nel mondo magico. Più che figli erano trattati come opportunità per le loro mire sociali, nulla di che, eppure tutto era svanito nel giro di una notte. Ogni progetto, ogni idea, qualsiasi tipo di considerazione, seppur egoistica, era crollata infrangendosi al suolo. Avrebbe dovuto esserne contenta, ma a quale prezzo? Lo era stata per un po', nei suoi anni più ribelli, quando era convinta che qualsiasi prezzo sarebbe stato un giusto pagamento per quella anelata libertà che tutti sognavano di avere. Solo in seguito, sentendosi stupida ed illusa, si rese conto che, quella libertà, non l'aveva mai avuta. Le spire soffocanti dei suoi genitori la tenevano imbrigliata a loro, pur se controvoglia, solo per marcarne il possesso, solo per usarla a loro piacimento quando l'avessero trovato opportuno. Erano pronti a legarla come un salame, infiocchettarla, e gettarla nella cantina di qualche loro collaboratore psicopatico e amante delle torture, o degli esperimenti, o Merlino solo sa cos'altro, solo per ottenerne i favori e, allo stesso tempo, liberarsi di quel peso che ai loro occhi altro non era che una vergogna. Era convinta che quel suo passato, a tratti traumatico, le fosse servito. Aveva imparato a giudicare i momenti, a valutare le espressioni, a leggere i silenzi per non dire più del necessario, per farsi piccola e, dove possibile, diventare invisibile per non attirare quelle attenzioni negative che non avrebbero fatto altro che appesantirla. Era diventata recettiva verso le persone che le stavano attorno e credeva che questo le fosse servito per imparare a capirle ma, come Halley aveva dimostrato, non sempre le sue supposizioni erano corrette, a volte riuscivano ancora a sorprenderle, persino in negativo “So quello che faccio” voltò il capo per distogliere lo sguardo da quel volto sofferente che le creava un fastidio che, ancora, non si spiegava. Quanto ottimismo immotivato, quanta sicurezza. La lingua schioccò contro il palato e riprese a scribacchiare sulla pergamena ingiallita -Non lo sappiamo mai- il tono di voce basso non era dovuto solo al fatto che fossero nella biblioteca della scuola. Quella frase era più un monito per se stessa perché, da poco più di un mese a quella parte, Freya non aveva la minima idea di cosa stesse facendo. Nessun pentimento per ciò che stava vivendo, nemmeno il minimo dubbio, ma, e c'era sempre un ma, non aveva idea di dove questo l'avrebbe portata. Nella sua testa, mille campanelli di allarme l'avvertivano di fare attenzione, e la confusione era tale da non capire a quale voce dare ascolto.
    Più quella strana conversazione proseguiva, più il nervoso montava, forse a causa degli strascichi che si portava dietro dopo l'umiliazione subita da Harris a lezione, era probabile fosse quello a fomentare quella voglia di sentire la Wheeler affermare di essersi liberata di lui, e sentirla così convinta di quel tipo, che nemmeno la degnava della più basilare considerazione, sulla base del nulla, perché nulle erano state le sue risposte stentate a delle domande tanto semplici, le fece sollevare gli occhi al cielo così tanto da dolerle
    -Lo so, io ho sempre ragione- annuì convinta guardandola di sottecchi. Aveva ragione, ma persisteva nella sua idea, buffo. Sciocco. Masochista. Il modo in cui si riducevano le persone in virtù di un sentimento era, per lei, assurdo. Perdevano loro stesse, si prostravano e, spesso, si lasciavano calpestare pur di non perdere quello che era, a tutti gli effetti, il loro carnefice -Scelta tua, Alina- continuava a non guardarla, persistendo a mantenere gli occhi chiari sui libri che, ora, le facevano da diversivo per non guardare quello che, temeva, non fosse altro che il fantasma del suo futuro -Ma se ti vedrò piangere per i corridoi non ti sorprendere se ti tirerò un calcio nel culo- finalmente si voltò, un sorriso soddisfatto ad incresparle le labbra -E no, non in senso metaforico- era convinta che, per un solo incontro, avesse infierito a sufficienza su quella nanerottola già visivamente provata che, per tutta risposta, la ringraziò. Quando lo spirito autolesionista era tale da sentirsi grata verso una persona che aveva solo cercato di farla sentire cretina, c'era ben poca speranza. Ridacchiò scuotendo la testa -Sei un caso perso, te lo hanno mai detto?- faceva quasi simpatia. Quasi, non ci allarghiamo. Eppure era innegabile che non avesse usato parole gentili verso di lei, non era stata delicata né, tanto meno, comprensiva. Si era espressa senza troppi filtri senza preoccuparsi di ferirla e, doveva aspettarselo, il karma aveva già fatto il giro pronto ad incularla. Sentiva già le mani sui fianchi mentre la chinava a novanta gradi. Ottimo. Axel. Perché, nell'ultimo periodo, tutti sembravano aver notato i movimenti tra i due? Perché tutti chiedevano e si incuriosivano?
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    Non aveva risposte per loro, non ne aveva nemmeno per se stessa. Cercò di dissimulare, ignorò le frasi ambigue di lei nascondendo il volto tra le pagine di un tomo pesante dall'odore leggermente ammuffito ma, incontrollabile, sentì un moto interiore riversarsi all'esterno. Rabbia, agitazione, qualcosa di simile alla paura la colsero tutto ad un tratto. Il loro rapporto era stato così ambiguo che era impensabile trovare un nome o una definizione a quello che sentiva. Che le piacesse era qualcosa che non poteva negare a se stessa, difficile imporre al proprio fegato di non stringersi quando la guardava o al suo cuore di non accelerare quando la baciava, ma quella reazione fu eccessiva persino per lei. I canini quasi esposti, la piuma spezzata tra le dita, il nervoso montato tutto in una volta sfuggendo al suo controllo. Troppo. Persino per lei. Sapeva che non era una reazione normale, non naturale, che era dovuta a quella sua natura animalesca, la bestia sopita ma non soppressa, qualcosa con cui faceva i conti ogni giorno ma, seppure fosse quello il motivo, come aveva detto allo stesso Dragonov in quell'aula nei sotterranei, dove tutto si era fatto più serio, era sempre lei. Non era solo quella territorialità che sapeva fosse parte integrante del suo modo di essere, c'era altro: la paura. Davanti al pensiero di qualcun altro interessato al bulgaro, aveva avuto paura che tutto le scivolasse via dalle dita, che finisse prima ancora che fosse iniziato, senza nemmeno sapere se sarebbe mai potuto cominciare. Sapeva com'era lui, di quanto non si fosse mai privato della compagnia di altre ragazze e non poteva neppure fargliene una colpa. Fosse stata come lui, avrebbe approfittato della compagnia di altri anche lei, per distrarsi, per passare oltre. Ma non era quel tipo di ragazza, e mai prima di quel giorno aveva desiderato esserlo. Guardò la mora con sguardo colpevole mentre questa balbettava frasi a cui cercò di dedicare attenzione per distogliersi da quelli che erano i suoi pensieri, senza riuscirci. Era quello che l'aspettava? Se quell'interesse appena nato per il bulgaro fosse continuato, o peggio fosse cresciuto, e se lui non fosse mai riuscito a ricambiare? Si considerava brava a sapere interpretare le sue espressioni, poco alla volta aveva cominciato a decifrarlo, ma capire quali fossero i suoi pensieri era tutto un altro paio di maniche. Lui la desiderava, e lo poteva affermare dal modo in cui lui la guardava, vedendola realmente per ciò che era, dal modo in cui la sfiorava, ma se per lui fosse solo un corpo e un bel faccino con cui divertirsi, questo, non poteva dirlo. A volte, rarissime, aveva avuto il sentore di riuscire a penetrare la scorza dura che lo avvolgeva, ma quanto di quello era reale, e quanto una sua fantasia? Stava giocando un gioco pericoloso nella speranza di vedere un segno, anche stentato, qualcosa che le desse il sentore di non essere solo una tra tante, un punto di partenza che la spronasse a continuare “Qualsiasi cosa sia, ti auguro il meglio” sbuffò all'apparenza indispettita, in realtà solo frustrata -Senti noi.. noi non stiamo insieme- e quello era un dato oggettivo -Se ti interessa, non ti fermerò- strinse la mandibola prima di iniziare a mordicchiarsi l'interno della guancia, nervosa che accettasse davvero l'invito. Che doveva fare? Eliminare la concorrenza fino a restare l'unica pretendente. Col cazzo. Avrebbe voluto che lui scegliesse lei per lei, non perché non avesse alternative. Vedeva qualcosa in lui, in loro, la possibilità di una scelta che non aveva mai creduto di poter desiderare, qualcosa che voleva scoprire cos'era, continuando quel rapporto strano e ambiguo finché avesse creduto che il gioco valesse il rischio. Sembrava il tipo di persona per cui valesse la pena rischiare, e non quel burbero spaccone che la faceva comunque ridere, quanto più quella persona ricca di debolezze che le aveva lasciato intravedere senza che a lei venisse mai il desiderio di servirsene o su cui affermare la sua forza. Quella persona era quella da cui avrebbe voluto essere accettata -E Merlino! Alina, la vuoi smettere di scusarti sempre? Mi fai saltare i nervi!- la guardò torva, ma un mezzo ghigno stonava con il tono duro -Sei abituata a scusarti per tutto?- poco sopportava le persone piagnucolose che si scusavano anche di respirare, forse perché lei lo faceva di rado e, di certo, non per aver espresso un parere. Corrucciò le sopracciglia inclinando il capo, fissando gli occhi sulla figura minuta della Grifondoro. Che non fosse li solo per la relazione, in fondo? Sollevò un sopracciglio, curiosa e confusa, stava cercando di fare amicizia? -Uhm.. Una volta ho tirato una Pluffa in faccia al professor Lennox. Gli ho rotto il naso- era stato Seth ad offrirsi di darle qualche lezione privata l'anno precedente, non era colpa sua se si distraeva così facilmente! E doveva ammettere di aver riso parecchio -Tipo questo?- aveva scoperto che era più semplice, per lei, rapportarsi con i membri della sua stessa Casa, sentiva di avere con loro più cose in comune e che non servissero sforzi eccessivi mentre, con gli altri, partiva sempre frenata, prevenuta. Tuttavia non avrebbe negato un tentativo, nemmeno ad una strana quanto la rosso-oro che le stava a fianco -Forse sarebbe più facile davvero- ridacchiò anche lei di quella assurda possibilità ma no, non era proprio nei suoi progetti passare all'altra sponda -Io non mi complico mai la vita!- commentò piccata mantenendo il sorriso -Sono gli altri che si impegnano a farlo!- si, certo. Fosse stata furba, avrebbe puntato a ben altre strade e a ben altri ragazzi -Ma diciamocelo, le cose facili non piacciono a nessuno, sbaglio?- chi meglio della Wheeler per parlare di auto-complicazioni? -Spero tu non faccia schifo a scrivere quanto a costruire golem- sollevò le sopracciglia interrogativa -O vuoi raccontarmi qualche aneddoto tu? Ma ti prego, in caso, non su Harris- un brivido le percorse la spina dorsale per il terrore che finisse per raccontarle qualcosa avvenuto in camera da letto. Per Salazar e tutti i suoi discendenti, quella sarebbe stata un'immagine che poi si sarebbe dovuta far cancellare magicamente dalla memoria.



    Edited by -RedFlag- - 26/1/2024, 12:45
     
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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Soddisfare le aspettative altrui. Una sciocca abitudine perpetrata per anni. Una specie di rito. Tutto per non contraddire colei che, dall’alto della sua autorità, aveva giostrato la sua vita fino all’anno precedente. Una storia triste, se vogliamo dirla tutta. Halley si era sempre ben guardata dalla remota possibilità che vi fosse una strada anche per lei. Una strada diversa da quella che, per lungo tempo, le era stata inculcata a forza nella mente, tanto da riuscire a convincerla che fosse l’unica percorribile e possibile. Si era fatta coraggio. E dopo l’ennesima delusione aveva compreso qualche cosa di vitale importanza: nessuno le avrebbe più restituito gli anni migliori. Certo, le scelte successive lasciavano a desiderare ma, d’altra parte, non avendo un metro di paragone, non doveva esserle andata così male. O sì? Beh, questo l’avrebbe scoperto, assaporando gioie e dolori che la sua rinascita, giustamente, disseminava lungo il percorso, rigorosamente ad ostacoli. Lo dimostrava proprio quel frangente, ricco di controsensi e dubbi esistenziali, scioglibili esclusivamente attraverso a una scelta drastica. Porre fine alla sua relazione con il maggiore dei fratelli Harris. Lo scapestrato immeritevole della sua attenzione. Oh, sì! Quella sarebbe stata l’unica decisione saggia. Sulla carta, però, risultava più facile che sul campo. Soprattutto dopo il loro incontro/scontro in Sala Trofei. Che tu possa essere dannata, stupida Sala! Lì era avvenuto il loro primo incontro e lì si era azzardata a chiedergli quella pausa necessaria per riflettere sul da farsi. Ma era davvero certa di sapere ciò a cui andava incontro? Ovviamente no. Avrebbe voluto tanto essere a conoscenza del futuro che l’attendeva ma, per quanto il suo potere potesse mostrarle scene di vita di chissà quale tempo futuro, non funzionava in quella maniera. Troppo semplice, altrimenti. E poi, anche fosse stato, quanto poteva essere attendibile? Potere ciarlatano! Non lo credeva veramente. Non dopo aver visto con i suoi occhi la fine del padre ma, di certo, non possedeva nessuna prova che quelle immagini si sarebbero tramutate in realtà. Riprese le redini di quella labile attenzione e addolcì i lineamenti, come se, a quel punto, si fosse convinta di potersi fidare di quella ragazza senza peli sulla lingua –qualità che apprezzava davvero molto in una persona-. Pochi giri di parole. Consigli ben mirati. Indorare la pillola sarebbe servito solo agli stolti. Ottimo modo di affrontare il mondo. “In fondo sono una Grifondoro.” Un dato di fatto innegabile. Questa poteva essere utilizzata come scusa quando, immancabilmente, si prendevano decisioni azzardate e discutibili. “Il pericolo è il mio mestiere.” Anche se, a dirla tutta, ne avrebbe fatto volentieri a meno, optando per un periodo senza quella grande costellazione di merda che orbitava intorno a lei e alla sua dannata esistenza. Chiedere troppo, evidentemente. Merlino e Morgana dovevano davvero essere occupati per guardare giù ed evitarle quei supplizi. Ben per lei che non aveva mai creduto ad un bene superiore. Io rido in faccia al pericolo! E allora perché passava le notti a soffocare in singhiozzi in un fottutissimo cuscino? Bella domanda.
    Le scappò un sorriso quando, sicura di sé, la verde-argento andò a sbandierare la sua convinzione di essere nella ragione. Altro punto messo a segno. “Ne avresti tutto il diritto!” Si era, comunque, ripromessa di evitare di piagnistei inutili, soprattutto in pubblico. Ridicolo. Per quanto potesse soffrire, mai e poi mai, si sarebbe lasciata cogliere in fallo nella sua totale fragilità. “E non in senso metaforico!” Riprese le sue parole. Le stava palesemente dando l’autorizzazione a prenderla a calci nel culo anche se solo avesse osato lamentarsi della sua condizione. Scelta da lei in persona. Stupida. Un destino infausto, probabilmente già scritto nelle stelle. ”… te lo hanno mai detto?” Il sorriso apparso poco prima sulle labbra della giovane Wheeler, si spense repentinamente. Cancellato da una consapevolezza alla quale non riusciva a dare voce certa. “Sei mai stata innamorata di qualcuno?” Una domanda del cazzo. Posta a bruciapelo, senza neanche rendersi conto che quella che aveva davanti, non era altro che una potenziale conoscente, della quale sapeva poco e nulla ma che era riuscita a fare breccia in lei, seminando quello spiraglio di speranza che, forse con il tempo, si sarebbe rivelata un’ottima amica o qualsiasi cosa si avvicinasse a quella figura. Halley non aveva alcuna idea di come definire il sentimento positivo che nutriva nei confronti di quell’idiota. Neanche era certa di volerlo etichettare perché, come sempre, una volta determinato, l’inculata se ne stava lì dietro l’angolo, pronta a centrarla in piena fronte. Ma era certa di non aver mai provato per nessuno quella tolleranza innaturale. Qualche cosa, dunque, doveva pur voler dire. Che fosse amore o meno, poco importava. Le parole valevano molto poco per quel che la riguardava. L’amore andava dimostrato. Giorno dopo giorno. Non vantato senza una base solida composta di fatti. Gesti. Anche i più piccoli e semplici. Questo pretendeva da David. Accorgimenti che, probabilmente, non sarebbe stato in grado di donarle così facilmente. Accorgimenti che, al contrario, forse il bulgaro aveva riservato alla sua interlocutrice. Li aveva intercettati al falò. Quello scambio di effusioni non era passato di certo inosservato agli occhi attenti di coloro che, senza ombra di dubbio, ce l’avrebbero messa tutta per ricamarci su un gossip di tutto rispetto. Certo, non si erano nascosti. Doveva ammetterlo: insieme appagavano l’occhio. Alla grande. Come negarlo. La osservò in silenzio, per tutto il tempo che si prese per scegliere la risposta da appiopparle. Quella giusta. Quella che avrebbe limitato il danno. L’aveva esternato con estrema sincerità. Le augurava davvero il meglio. Con chiunque fosse perché, a pelle, reputava che se lo meritasse. La reazione della mora, però, portò le difese ad innalzarsi. Spazientita. Quasi indispettita. Come se le avesse rivolto chissà quale tipo di affronto. Andò a delirare. Corrucciò la fronte. Domandandosi quale fosse la verità dietro a quell’atteggiamento, di punto in bianco, strano. “Freya!” La chiamò per nome. Il suo tono di voce non tradì alcuna titubanza. “Che succede?” Domandò con fare affabile. Se solo avesse voluto, sarebbe rimasta lì anche tutta la notte ad accogliere qualsiasi tipo di frustrazione. In silenzio. Al solo scopo di liberarla da quei demoni che, se aveva ben inteso, albergavano in lei, sotto forma di timore per qualche cosa che doveva ancora essere ignoto. Incerto. Non andò oltre e smise immediatamente di scusarsi perché stava divenendo ciò che aveva sempre odiato.

    Un aneddoto. Faceva schifo in quel tipo di racconti ma, allo stesso tempo, avrebbe voluto esserne capace. Così. Anche solo per distrazione. Eppure, in quel momento, non riusciva a ricordare nulla di realmente interessante, da valere la pena di condividere. Freya, invece, sempre sul pezzo. Subito immaginò il volto tumefatto del povero professore di Volo. Rovinare quel suo bel faccino era davvero un peccato. “La sua faccia è patrimonio dell’umanità!” Commentò. Insomma, quell’uomo accendeva l’animo spento di qualsiasi donna all’interno di quelle quattro mura. “Come hai osato?” Chissà quante volte si era ritrovato a dover fare i conti con incidenti di quel tipo. Il quidditch. Uno sport davvero pericolo. Lo sapeva bene lei. La finale di campionato non solo le aveva assicurato la vittoria della coppa delle case, ma anche un biglietto di sola andata per l’infermeria –e una visita a sorpresa di sua madre, che avrebbe evitato tranquillamente, soprattutto per via del suo incontro con quello che era il suo ragazzo-. Ecco perché sarebbe stato più semplice passare dall’altra sponda. Come avrebbe reagito Seira alla notizia che a scoparsi sua figlia, altri non era che David Harris? Allontanò l’idea della testa di David su una picca e tornò vigile, ridendo allo scambio di battute. Era chiaro. Entrambe sembravano portate a prediligere quella sponda, sulla quale si erano adagiate. “Se avessi optato per la strada semplice…” Non poteva averne la certezza matematica ma, visto l’andazzo precedente alla sua storia con il battitore delle serpi, era comunque una possibilità. “… probabilmente avrei ceduto alle lusinghe di Parker.” E per quanto fosse stato un signore con lei, l’avrebbe mollata per seguire cosa? Sé stesso in giro per il mondo? Forse sì, dal momento che era sparito senza lasciare traccia, solo dopo averle sputato in faccia quel veleno che poi si era riversato sul proprietario. A quanto pareva a scegliersi gli uomini faceva pena, un po’ come nel ricreare golem dal nulla. Che poi, dai, tanto male non era quella piccola creatura. Sempre meglio di quella del suo avversario che doveva aver imbrogliato. Altrimenti non si spiegava la sua vittoria con quella statuina sciancata e zoppa. “David ha avuto solo una gran botta di culo!” Si risentì. Come aveva sperato di dargli una lezione, almeno dal punto di vista accademico. “In ogni caso…” Doleva ammetterlo. “Ho una vita davvero piatta.” Quidditch. Scuola e nulla più. Però poteva azzardare a quella divertente scenetta avvenuta in infermeria, dopo la partita di quidditch. “La cosa più divertente che mi è successa negli ultimi mesi, riguarda l’incontro poco fortuito avvenuto tra il mio ragazzo e Crudelia De Mon. In infermeria.” Assunse un’aria pensierosa. Sì. Ripensandoci aveva quel non sapeva cosa di ironico. Loro due nella stessa stanza, al suo capezzale. Pochi istanti ma intensi. “Voglio dire, mia madre.” Era stato un po’ come un’esperienza pre morte, quando tutta la vita passa davanti agli occhi. Inarrestabile.



     
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    Freya Estrid Riis | V | Serpeverde


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    Ma quante ne voleva sapere! Non solo rispondeva ad una sua domanda con un'altra domanda, cosa che le aveva sempre creato un certo fastidio, ma addirittura una scomoda! “Sei mai stata innamorata di qualcuno?” chiedeva la Grifondoro con la migliore delle sue facce depresse, e si aspettava che Freya le facesse rivelazioni tanto personali? La serpe la fissò, seria in volto, per lunghi istanti senza proferire parola, studiando l'altra ragazza e la situazione in cui si era andata a ficcare. Cosa rispondere? Doveva rispondere? Lei stessa si era interrogata proprio su quell'argomento, e di recente per giunta, arrivando alla conclusione che, con tutta probabilità, non lo era mai stata. Lo aveva creduto, fortemente. Si era convinta che quello che provava per Seth fosse amore ma, in realtà, era solo ciò che poteva provare una ragazzina di quell'età. Non aveva i mezzi per provare un sentimento del genere ma, a quel tempo, era il massimo che potesse provare e vi si era aggrappata, come una bambina attaccata alla sottana della propria madre. Si era riempita di quel sentimento, l'aveva usato come scudo contro odio e disprezzo che provava verso se stessa, verso la sua condizione, verso i suoi genitori per non sprofondare in un vortice di negatività e repulsione, per provare qualche cosa di positivo in mezzo allo schifo e, benché ancora tenesse tanto a quel ragazzo, ormai uomo, era riuscita a ridimensionare quelli che erano ed erano stati i suoi sentimenti verso di lui. Avrebbe sempre pensato a lui come “il suo primo amore”, perché era quello che aveva rappresentato in quei giorni e perché, dentro di sé, non era sicura di volersi affezionare a qualcuno in quel modo. I sentimenti erano pericolosi, legavano le persone, le rendevano dipendenti, le imbrigliavano e, benché dorata, una gabbia rimaneva una gabbia. E lei la temeva. Per lei era tutto o bianco o nero, totalizzante anche nelle emozioni, era abituata ad essere forte, fisicamente e non, a tenere testa a chi aveva davanti, a non darla vinta a nessuno nemmeno nella consapevolezza che avesse ragione l'altra persona, le piaceva pensare di essere uno spirito libero e, da una parte, era anche convinta che avrebbe mantenuto quella sua verve in ogni circostanza, ma poteva metterci la mano sul fuoco? Che sarebbe successo se quello che provava in quel momento per Dragonov fosse cresciuto? Da un lato era più che convinta che non ne sarebbe mai diventata succube in ogni caso, dall'altro il fatto che quella fosse comunque una possibilità le metteva i brividi. Fosse stata davvero furba come credeva di essere, si sarebbe allontanata da quel ragazzo strano quanto carino, evitando così che le sue preoccupazioni diventassero realtà ma, forse, non era così scaltra come credeva perché, invece di evitarlo come avrebbe dovuto, lo cercava, lo stuzzicava, giocava con lui e si lasciava avvicinare a sua volta. Sapeva che Axel era differente dai ragazzi che aveva frequentato, perché per la prima volta desiderava la compagnia di qualcuno più della sua solitudine e, questo, era un problema.
    -Si- si decise alla fine a rispondere -O almeno lo credevo. Ma solo perché ti convinci di qualche cosa, non vuol dire che sia reale- che era un po' ciò che credeva stesse succedendo proprio alla mora, che stava con un ragazzo che nemmeno la trattava come meritava, e lei stessa non sembrava saperne il motivo. In fin dei conti, lei stessa non era stata in grado di darle una ragione per cui lo frequentava, nemmeno una, e se questa non era un prova lampante della tossicità di quella relazione basata su Merlino sa cosa, allora non sapeva che altro servisse alla rosso-oro. Dalle informazioni che aveva fornito proprio negli ultimi minuti, la lupa era arrivata alla conclusione che lo frequentasse solo per non pensare ai problemi reali che aveva, niente di più che un diversivo momentaneo, una distrazione che tuttavia non le stava nemmeno facendo bene. Con un mezzo sorriso a distorcerle le labbra, scrollò le spalle sperando che quel discorso fosse così terminato, eppure Alina non demordeva, continuando a rigirare il coltello in una piaga che causava alla mannara già fin troppi problemi. Aveva gettato la maschera, mostrato la sua gelosia ingiustificata verso Axel- l'inafferrabile -Dragonov, per poi ritrattare e fingere un disinteresse che non le apparteneva. Se solo un asteroide l'avesse colpita in testa in quel momento, invece no, doveva continuare a fronteggiare la grifoncina che, imperterrita, non mollava l'osso “Freya!” si voltò di nuovo verso di lei con lo sguardo colpevole di chi non sapeva che fare o cosa dire, perché non poteva fare o dire nulla. Lui non era suo, per quanto avrebbe voluto lo fosse, e non ci poteva fare nulla -Senti, ignorami ok?- mise un punto al discorso, non volendo ritornarci per quanto più tempo possibile.
    Rise al ricordo della faccia di Seth dopo il suo lancio, arrossata, insanguinata, confusa e persino imbarazzata, e continuò a ridacchiare per le parole della compagna -Allora i tuoi gusti non sono del tutto rotti, Alina! Ma se vogliamo parlare di patrimonio dell'umanità, allora non possiamo non menzionare il suo sedere- nulla da dire. Il professore di Volo riusciva a guadagnarsi sguardi indiscreti anche quando dava loro le spalle, e nessuno avrebbe potuto negarlo e, per sua fortuna, aveva avuto il piacere di ammirarlo anche senza pantaloni, ma questo non avrebbe potuto dirlo a nessuno, sarebbe rimasto il suo piccolo segreto peccaminoso.
    -David ha avuto parecchie botte di culo, e a quanto pare nemmeno le sa apprezzare- lo disse senza guardarla, ma il riferimento a lei era evidente. La Wheeler era una bella ragazza, sembrava intelligente anche se le sue scelte romantiche erano discutibili, una giocatrice capace e, di certo, non una di quelle ragazzette noiose e piagnucolose, dubitava che il moro sarebbe stato in grado di trovare di meglio ma, supponente com'era, doveva essere convinto che la ragazza gli avrebbe fatto da zerbino e sarebbe rimasta al suo fianco a prescindere dal modo in cui lui la trattava e, la stessa Wheeler, glielo stava confermando. Un vero peccato. Un vero spreco. Ma, egoisticamente, l'unica cosa positiva a cui Freya riusciva a pensare era che, finché la Grifondoro fosse stata interessata al maggiore dei fratelli Harris, sarebbe stata una ragazza in meno nel letto di Axel, quindi meglio per lei -Beh, allora mi dispiace anche per tua madre, non solo per te- e lei? Avrebbe mai presentato un ragazzo ai suoi genitori? Ghignò immaginando le loro facce impietrite, sarebbe stato divertente -Ma ora basta chiacchiere. Mi aiuti o no con questa cosa?- di nuovo, prese uno dei libri tra le mani, rigirandoselo e leggendovi le parti che le interessavano, fermandosi di tanto in tanto ad appuntarsi parti salienti sulla pergamena posta davanti a lei. Era ora di finire quello che aveva cominciato e, come la stessa Alina aveva detto poco prima, due teste erano meglio di una, di solito. Prima terminavano, prima sarebbero potute tornare ai loro reali interessi: quei malefici, contorti, complicati ragazzi che complicavano le loro esistenze.



    Conclusa :volevi:
     
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9 replies since 3/12/2023, 15:53   181 views
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