Shivers

Axel

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    Freya Estrid Riis | V | Serpeverde


    S6UdL
    Era un pomeriggio come tanti altri, la routine scolastica era ormai entrata nel vivo e le lezioni, tra le varie cose, li impegnavano per la maggior parte del tempo. Non che se ne lamentasse, era piacevole avere finalmente qualcosa da fare invece che fissare il soffitto stesa in un letto vuoto. Camminava a passo svelto per i corridoi dei sotterranei nel tentativo di precedere i suoi compagni di ritorno alla Sala Comune ora che, per quel giorno, i professori avevano terminato di cercare di insegnare loro qualcosa di utile, non voleva essere importunata per quello che aveva in mente, né voleva che gli altri vedessero quello che aveva intenzione di preparare per evitare che si sollevassero domande per cui sarebbe dovuta ricorrere alla menzogna, tanto per cambiare.
    Le piaceva Hogwarts, era stato amore a prima vista, con i suoi colori, il suo clima ben più mite rispetto a Durmstrung, la scuola nordica che aveva frequentato per molto più tempo, la sua foresta che era proibito esplorare ma, per quanto bella, lati negativi doveva averne per forza, uno tra tutti la disturbava e la stressava più di quanto si sarebbe aspettata: la solitudine. Buffo, perché in un castello tanto grande e tanto popolato l'ultimo dei problemi era proprio quello di trovarsi soli, ed infatti non si riferiva alla vita di tutti i giorni, quella era anche fin troppo affollata, il suo non era altro che uno stupido capriccio dettato dall'abitudine. Fin da bambina si era abituata, per tre notti al mese, a passare quei momenti con suo fratello che si era sempre premurato di non farla sentire sola, con quei suoi modi iperprotettivi e apprensivi verso quella che forse sentiva più come una figlia che una sorella. I due si isolavano nei boschi, dando sfogo a quello che erano e cercando anche di divertirsi laddove possibile e, in un certo senso, questo lo faceva sembrare meno straziante. Era più facile accettare quel dolore iniziale sapendo che il dopo sarebbe stato divertente, a suo modo. Eppure, da quando aveva messo piede nella scuola scozzese, le cose erano cambiate e anche di molto. I suoi genitori l'avevano fatta registrare al Ministero, forse cercando di giocarle un brutto tiro e farle fare la vita da emarginata ma, al contrario, la scuola non solo l'aveva accettata ma le aveva pure concesso un luogo in cui potersi trasformare in sicurezza. Qui erano iniziati i suoi problemi. La Stamberga era sporca, angusta, a tratti le metteva i brividi e, trasformarsi riversa a terra su quei tappeti sudici era tutto fuorché piacevole. Era sola ed era rinchiusa, e per quanto potesse capire il perché fosse così, tutto contribuiva ad aggiungersi a quella costante consapevolezza di essere sbagliata. Poco alla volta aveva preso a detestare quel posto, a sentirsi sempre più turbata quando i giorni si avvicinavano alla data fatidica di Luna piena e, se durante il giorno riusciva a non pensarci e a rimanere tranquilla, erano le notti quelle che l'agitavano di più. Più si avvicinavano quei giorni, più il suo sonno diventava inquieto, lasciandola nervosa ed esausta. Ed era proprio per questo motivo che si ritrovò a varcare la soglia della classe di Pozioni. Mancavano una decina di giorni alla prossima trasformazione, sapeva bene che presto sarebbero iniziate quelle notti insonni o, al massimo, ricche di strani sogni che era troppo stanca per sopportare, era del tutto intenzionata a farlo finire. Poggiò la borsa con i libri a terra, accanto alla grande cattedra del Professore che sapeva bene avrebbe dovuto avvisare ma che, ovviamente, non aveva fatto, premurandosi tuttavia di tenere con sé il il libro scolastico che avrebbe dovuto permetterle di creare la pozione che le serviva. Aveva grossi dubbi in merito, in quella materia era una sega, pochi giri di parole ed era inutile accampare scuse, non vi era tagliata e basta, non importava quanto ci si potesse applicare ma, questo, non era un motivo sufficiente per non provarci. Arrivò alle pagine che le interessavano, quelle sulla pozione per il sonno senza sogni, e scorse rapidamente le righe per leggerne gli ingredienti e l'occorrente e lo lasciò aperto sul primo banco che avrebbe utilizzato. I numeri nella sua mente da discalculica si confondevano già ma doveva sbrigarsi prima di essere beccata. Si avviò in fondo alla stanza, recuperando calderone, bilancia, e più attrezzi di quanti avrebbe dovuto essere in grado di portare ma, distratta per la fretta, inciampò sul pavimento irregolare finendo a terra con tutto ciò che era riuscita a recuperare e causando un frastuono non indifferente. Perfetto, “come passare inosservata”, il film.
    -Maledizione!- si massaggiò le ginocchia doloranti per la botta subita, guardandosi attorno per valutare l'entità del danno. Nulla sembrava essersi rotto, almeno un lato positivo poteva trovarlo ma, ovviamente, il mestolo era finito sotto una delle tante teche piene di ingredienti. Avrebbe potuto utilizzare la bacchetta, tuttavia questo avrebbe voluto dire alzarsi, recuperarla e tornare indietro, troppa fatica quindi, faccia a terra e culo a ponte, allungò il braccio sotto al mobile cercando di afferrare il malefico mestolo senza notare la porta dell'aula che veniva aperta e lasciando passare fin troppo tempo in quell'ambigua posizione -Preso!- esclamò una volta che le dita raggiunsero lo strumento di legno, pronta ad infilarlo nel calderone e portarlo li dove aveva deciso si sarebbe messa a lavoro
    -Oh! Ciao!- un primo momento di sorpresa venne poi sostituito da un sorriso colpevole quando i suoi occhi incontrarono la figura che riempiva l'intero ingresso ora aperto, il piano di non farsi scoprire non sembrava essere andato a buon fine -Uhm.. se ti dicessi che quando sono arrivata era già tutto così, ci crederesti?- si issò di nuovo in piedi passandosi le mani sulla gonna della divisa nervosamente senza togliere lo sguardo dal ragazzo che, solo di recente, aveva scalato tutte le classifiche per la curiosità che riusciva a provocarle. Che certo non era l'unica cosa che riusciva a provocarle, in effetti
    -Sono nei guai? È che mi serve proprio una pozione!- inclinò appena il capo verso la spalla, corrucciando le sopracciglia ed allargando gli occhi chiari fissi in quelli di lui, un blando tentativo di intenerire il burbero Serpeverde pensando già a come corromperlo.

     
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    «Sì, signore» mano al petto, modo di fare accondiscendente con tanto di lieve inchino quasi a volere sottolineare quella forma di rispetto che stava dedicando allo smilzo docente per la quale non nutriva il benché minimo rispetto. Agli occhi del bulgaro Fletcher era un inetto. Sì per carità sapeva il fatto suo come pozionista e l’abilità delle sue mani era innegabile ma era così... così... minuto, mingherlino e porca miseria, porcaccia di una miseria ladra, quando balbettava i suoi stentati ordini con quel sorriso da babbeo al mannaro saliva il crimine! Lo avrebbe preso e sbattuto al muro con tanto di canini e artigli ben esposti magari intimandogli di chiamarlo Signor Duca Dragonov, così, giusto per mettere i puntini sulle “i” di chi avrebbe potuto realmente comandare tra i due.
    Invece, sorriso forzato ben stampato a piegare i lineamenti, il ragazzo sollevò mansueto le sopracciglia fingendo di ascoltare il farneticare dell’uomo che lo istruiva su quali compiti gli avrebbe lasciato per quel pomeriggio. «Signore? ...Se posso permettermi» attese che l’altro, interdetto voltasse il suo visino glabro in sua direzione, i grandi occhioni azzurri sgranati d’innocente sorpresa mentre abbassava lentamente la mano altrimenti ferma a mezz’aria. «Mi perdoni signore ma dopo le lezioni oggi c’è il seminario di duelli per il settimo anno, quello tenuto dal professor White...» Un lampo indefinito passò nello sguardo dell’omuncolo prima che si mettesse compostamente in posizione d’ascolto annuendo solenne alle parole del ragazzo. Oh sì, chi avrebbe mai voluto contraddire White mettendoglisi contro? Come avrebbe giustificato all’uomo l’assenza di uno dei suoi Serpeverde al suo corso? Di certo non lui, non il piccolo, timido e chissà, magari persino precario professor Alan Fletcher.
    «Se per lei non fosse problema potrei eseguire questi compiti nel tardo pomeriggio», non ne sembrò soddisfatto ma non aveva altra opzione che finire per annuire all’altro. «Prima di cena, le posso assicurare professore» cercò di mimetizzare il disprezzo nel tono piegando la bocca in una sorriso, «che troverà tutto pronto.» Ricevuto il benestare si piegò nuovamente con rispetto uscendo dall’aula che solo molto più tardi avrebbe rivisto la sua presenza. Si avviò quindi al corso tenuto dal vicepreside in persona che, in altri frangenti, avrebbe sicuramente trovato noioso ma da quello che era stato l’incipit del docente in classe aveva l’aria d’aver trovato finalmente la chiave di volta con la quale conquistare i suoi alunni: finalmente avrebbero potuto picchiarsi con il benestare di ambo le parti e, guardando al suo tornaconto, avrebbe mantenuto allenate le sue abilità nel più classico duello tra maghi che gli sarebbe sicuramente servito quando il padrino lo avrebbe chiamato per le sue “commissioni”. Non tutto poteva risolversi con le mani e, alcune cose, richiedevano un tocco più pulito fatto magari con l’aiuto del suo catalizzatore.
    Ma la lezione non fu esattamente ciò che s’era immaginato o aveva sperato. Il tutto era ancora fin troppo soft per i suoi gusti e decisamente poco utile alla sua causa ma decise comunque che avrebbe dato altre chance alla cosa poiché comprendeva anche che non avrebbero potuto partire subito in quarta, d’altronde non era nemmeno lo stile dell’uomo. Sbuffando quindi si rollò una sigaretta che avrebbe successivamente depositato dietro l’orecchio avviandosi verso l’esterno. Ora il tarlo lo portava ad un bivio: sigaretta rilassante e poi procedere con la rottura di coglioni di Fletcher oppure levarsi il dovere per dedicarsi indiscussamente poi al piacere magari cercando la Scamander che alla fine non gli aveva ancora chiesto ciò di cui aveva bisogno ma quello non sarebbe stato un problema, l’avrebbe fatta cantare come un usignolo o, nel caso fosse stato davvero fortunato, magari avrebbe trovato la lupa e li cazzo avrebbe lasciato che fosse la loro chimica a prendere il sopravvento. Optò per levarsi dalle palle il dovere pensando proprio che prima se lo fosse tolto e prima sarebbe stato libero quando un frastuono proveniente proprio dal laboratorio lo portò a scattare aumentando il passo verso l’aula. Se qualche imbecille osava distruggere tutto creandogli casino che avrebbe dovuto poi lui giustificare col docente poteva ritenersi morto. La porta dell’aula era spalancata e silenziosamente il mannaro vi entrò notando come una figura stesse riordinando oggetti e poi, esattamente in quell’istante, procedesse chinandosi al di sotto del mobile – il fondo schiena ben esposto alla sua visione – per recuperare Dio solo sa cosa. Axel chinò il capo identificando immediatamente una ragazza in quella figura vestita dalla caratteristica divisa femminile, che apprezzava oltremodo e, accentuando ulteriormente l’inclinazione della testa, seguì il movimento del sedere dell’altra scorgendo appena al di sotto dell’ondeggiare del tessuto l’intimo utilizzato. Espirò avvertendo immediatamente un picco nella sua libido soprattutto in quel periodo del ciclo lunare sempre più vicino al suo apice.
    «Preso!» Esordì lei e quando si tirò su con piacevole sorpresa scoprì fosse proprio la lupa. “Due piccioni con una fava!” pensò dimentico del caos che l’altra aveva fatto per attirarlo di corsa nell’aula.
    «Oh! Ciao!» Fece Freya accorgendosi di lui che sollevandosi dallo stipite esordì: «no ma continua pure» si avvicinò alla cattedra prendendo un gessetto per lanciarlo a terra voltandosi con espressione furba ma allo tempo fintamente innocente verso l’altra. L’avrebbe solo guardata un altro po’ mentre chinata recuperava anche quello dandogli una meravigliosa panoramica del suo lato B così perfetto.
    «Uhm... se ti dicessi che quando sono arrivata era già tutto così, ci crederesti?» Certo che ci avrebbe creduto ma solo perché era stato prima in quella stanza e, a parte il casino che aveva fatto lei, le cose fuori posto si poteva dire fossero le stesse di prima ma al posto di consolarla assottigliò lo sguardo fingendo un rigore che non provava.
    «Sono nei guai? È che mi serve proprio una pozione!» Scoccò la lingua sul palato facendo sollevare anche il sopracciglio destro dando l’idea che ci stesse effettivamente riflettendo e nel farlo affrettò qualche passo nella sua direzione.
    «Lo sei» era effettivamente così, «non credo tu abbia il permesso di Fletcher per stare qui e lui non mi ha lasciato note in merito.» Si fermò davanti alla ragazza incrociando le braccia fasciate dalla camicia bianca al petto per guardarla direttamente nei suoi occhi giada spalancati a restituirgli lo sguardo mentre il piglio si faceva dolce, innocente. Quanto era fottutamente adorabile e scopabile, quello sempre era dannatamente scopabile in ogni circostanza. Espirò arrendendosi.
    «Che pozione stavi cercando di ricreare, sentiamo.» Gli occhi si scostarono da quelli chiari di lei per osservare l’attrezzatura che aveva preso e disseminato, materiale generico che non gli avrebbe fornito l’informazione necessaria quindi, avanzando alcuni passi si fermò a lato del banco dove un tomo di pozioni giaceva solitario ed aperto. Sfiorò la superficie del pianale con le dita arrivando alle pagine ma voleva fosse lei ad ammettere le sue intenzioni per cui s’arrestò in attesa sollevando nei suoi, i seri occhi di smeraldo. «Però si da il caso che io possa stare qui e sia anche autorizzato ad usare il laboratorio» circa, i vantaggi di essere l’assistente del professore. Sollevò il sopracciglio, quindi?


    Edited by Dragonov - 6/11/2023, 14:40
     
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    Che mestizia. Pozioni era una di quelle materie affascinanti e interessanti che, fin dal primo momento, avevano attirato la sua attenzione. L'idea di creare qualcosa sfruttando le proprietà di così tanti ingredienti differenti era esaltante, la messa in pratica un po' meno, soprattutto quando il risultato era sempre qualcosa di simile a melma o acqua sporca. Ci aveva provato e riprovato, aveva studiato e fatto pratica persino a casa, niente da fare. Non solo non vi era portata ma, dopo aver fatto saltare o fondere ben più di un calderone ed essersi bruciata anche le sopracciglia in più di un'occasione, era ovvio che fosse una di quelle attività da cui si sarebbe dovuta tenere alla larga. Eppure era testarda, finiva sempre per ricadere nei suoi stessi sbagli per poi doverne pagare le conseguenze ancora e ancora, carica di quell'iniziativa che sapeva che prima o poi l'avrebbe messa in casini seri, proprio come era successo quella stessa estate quando si era fatta venire un'idea su due piedi e per poco non finì per uscirne pazza a causa dei suoi stessi pensieri e ricordi in cui si era ritrovata intrappolata. Lei e quelle sue idee del piffero. Aveva imparato la lezione? Ovviamente no, ed infatti eccola a cercare di cavarci le gambe in quell'impresa che non aveva idea di come sarebbe finita. Sarebbe potuta andare direttamente dal professore e chiedere a lui quello che le serviva o, ancora, in infermeria dove magari, se presa con le buone, persino l'infermiera avrebbe potuto fornirle quella stessa pozione ma no, a lei le cose facili non erano mai piaciute e, a ricordarle proprio quest'ultimo concetto, ecco spuntare dal nulla quel ragazzo da cui nemmeno lei sapeva cosa volesse, e in una situazione più compromettente di quanto avrebbe voluto.
    Aveva sempre immaginato Axel -e le voci di corridoio rafforzavano questa idea- come il classico burbero e dispotico ragazzo un po' piacione che ci provasse con ogni ragazza trovasse minimamente attraente, ed era abbastanza sicura fosse anche questo ma, lo doveva ammettere, quella giornata al lago rientrati dalle vacanze estive le avevano fatto scorgere altro, persino una persona piacevole al di la di quella tensione che in qualche modo creavano ad ogni interazione. Quasi ci fosse una parte che, visto che si incontravano solo a qualche lezione e agli allenamenti, non fosse mai stata in grado di recepire e che, in un certo senso, non si era mai sforzata di vedere. Quelle risate erano state inaspettate quasi quanto quel bacio leggero che le aveva concesso davanti ad occhi indiscreti, a suo modo privo di malizia o secondi fini che l'aveva lasciata in un primo momento di sale ma che, credendo anche di non essere osservata dal moro, le aveva strappato un sorriso. Ecco, quel sorriso, nella testa di Freya, era suonato come un campanello di allarme più di quello che avevano poi fatto nella stanza delle necessità, messo però subito a tacere dal profumo di spiedini che il mannaro aveva rubato e che lei aveva seguito con gli occhi a cuoricino. Il vassoio, non Axel, ovviamente.
    Il sopracciglio destro scattò verso l'altro mentre un angolo della bocca si allungava in un mezzo ghigno divertito quando il Serpeverde lanciò il gesso a terra solo il gusto di farla tornare in quella posizione ambigua. Ed eccolo li il ragazzo che aveva sempre immaginato che fosse
    -Niente che tu non abbia già visto, in effetti- commentò allungandosi di nuovo per recuperare il piccolo pezzetto bianco che tenne poi stretto nella mano anche quando ritornò dritta sulle sue gambe. Sapeva che non si sarebbe dovuta trovare li ed Axel, in quanto assistente di quella stessa materia, avrebbe potuta metterla nei guai. Il rigore nel suo sguardo le fece incassare un po' la testa tra le spalle, allo stesso modo di quando la riprendeva durante le partite a causa di un'azione sbagliata. Aveva quest'aura imponente che, se da una parte le avrebbe fatto venire voglia di fare le fusa, dall'altra le imponeva di abbassare le orecchie, metafora adeguata visto ciò che entrambi erano e di cui continuavano a non parlare mai. Non che fosse dovuto, certo, ma la curiosità riguardo questo aspetto di lui se la mangiava viva. Rimase immobile come un soldatino mentre lui si avvicinava, in soggezione davanti a quell'aria minacciosa che le stava propinando, ma subito sostituita da altri pensieri nel vedere la camicia tendersi nell'incrociare le braccia al petto e ricordando perfettamente cosa nascondesse al di sotto. Aveva provato ad intenerirlo ma, a giudicare dall'espressione sul suo viso, non sembrava funzionare ma, invece di preoccuparsi di quelle che sarebbero potute essere le conseguenze, la fantasia la portò ad immaginare quali sarebbero potuti essere i modi per corromperlo. Da grandi e supplicanti, gli occhi della lupa si assottigliarono intanto che un ghigno malizioso si faceva strada sulle sue labbra
    -No, in effetti non ho alcun permesso- il gessetto le scivolò di mano finendo tra lei e il ragazzo, se fosse un caso, o fatto di proposito, questo lui non avrebbe potuto saperlo. Incastrando gli occhi in quelli più scuri di lui e senza mai interrompere il contatto visivo, si abbassò flettendo le gambe e recuperando ciò che le era caduto, rimanendo d'innanzi a lui quasi in ginocchio sul freddo pavimento di pietra inumidendosi le labbra -Potrei rimediare?- rimase ad osservarlo dal basso della sua posizione ancora per qualche secondo prima di risollevarsi e posare, finalmente, il pezzo di gesso sul primo banco a portata di mano.
    “Che pozione stavi cercando di ricreare, sentiamo” una fortuna che lui non perdesse mai il focus. Seguì i suoi movimenti fino alla postazione incasinata che aveva lasciato, domandandosi se fosse o meno il caso di rivelargli quello che era un suo reale problema. Si avvicinò a sua volta iniziando a riordinare l'attrezzatura così che, in teoria, potesse fare un lavoro migliore
    -Sei curioso o fai semplicemente il tuo dovere?- ridacchiò lei cercando di tergiversare
    “Però si da il caso che io possa stare qui e sia anche autorizzato ad usare il laboratorio” Touchè
    -Mi aiuteresti?- ed eccolo li il ragazzo che aveva creduto di aver scorto. Gli diede le spalle ritornando alle scaffalature in fondo all'aula contenenti gli ingredienti più disparati, osservandone le etichette e arraffandone qualcuno in modo del tutto casuale non ricordando quali fossero indicati sul libro ora tra le mani del bulgaro
    -La pozione per il sonno senza sogni- Occhi di rana, ali di fata.. ma si, prendiamo anche prendiamo anche il fluido del corno di Erumpent! Non le piaceva parlarne, era una di quelle cose che credeva la facessero apparire debole, mentalmente fragile e, soprattutto, una ragazzina capricciosa che si faceva venire gli incubi al pensiero di stare tre notti da sola e, soprattutto con lui, in un certo qual modo, il discorso sembrava anche più complicato. Non sembrava il tipo di persona che amasse lamentarsi, cosa che invece stava dimostrando di fare lei con quell'intruglio
    -Quando.. Più si avvicina la Luna piena e meno dormo bene- tornò sui suoi passi posando accanto al calderone barattoli e fialette che aveva afferrato senza alcun senso logico -Mi agita- continuò a riordinare i contenitori cercando di non guardarlo
    -A te capita nulla del genere?- Non sapeva dire quale fosse il limite, cosa fosse consentito e cosa no, ma forse proprio quella libertà che sentiva di avere con lui la fece domandare senza riflettere una volta che aveva preso il via. Si voltò di scatto verso Axel, uno sguardo mortificato a dilatarle gli occhi smeraldini credendo di aver fatto il passo più lungo della gamba -No! Scusa! Non sei tenuto a rispondere!- sapeva quanto tutta quella faccenda potesse essere un tasto dolente, e non aveva certo alcuna intenzione di tirare fuori argomenti tabù. Molto meglio lasciar correre e provare a cambiare argomento -Come mai sei così bravo a fare pozioni? Semplice talento naturale o ti esercitavi a preparare veleni per sbaragliare la concorrenza?- sorrise sollevando le sopracciglia sedendosi sul banco alle sue spalle. Qualche cosa di quel morettino dal bel sedere voleva scoprirla.



    Edited by -RedFlag- - 27/10/2023, 19:22
     
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    Ed eccola lì la sua ragazza sempre pronta a tenerlo col fiato sospeso, a stuzzicarlo con dei metaforici artigli a solleticargli la pelle per tenerlo vincolato a sé e lui, dal canto suo, non aveva alcun tipo di problema a lasciare che il gioco prendesse quella piega fin tanto che lo faceva stare bene, fintanto che lo divertiva e, loro due, stavano scoprendo di divertirsi parecchio quando passavano quel tempo che ormai si poteva indicare come di qualità, insieme. A gessetto gettato in terra la mannara non ci pensò due volte e, osservando il bulgaro, con occhi velati di lussuria si voltò chinandosi e soffermandosi quel tempo necessario per il verde-argento di studiare nuovamente la situazione creando immediatamente un picco nella pressione del bulgaro. Cazzo se era brava, cazzo se lo mandava in tilt e cazzo se stava comandando al suo corpo di rimanere immobile, di non avventarsi su di lei posizionandole una mano aperta al ventre mentre la premeva contro il suo bacino, la sinistra che le avrebbe tenuto fermo il collo lasciando che fosse la sua bocca a tormentarle la pelle sottile costringendo anche la giovane a quella bramosia che la loro condizione altro non faceva che accentuare. Axel rimase immobile, le narici dilatate ostentando un’impassibilità di cui non era realmente padrone ma di cui, fortunatamente, erano la sua stazza ed aspetto a fare il lavoro sporco. Le folte sopracciglia scure sui fermi occhi smeraldo, taglienti come l’acciaio, permettevano che fosse un’altra la sensazione trasmessa mantenendo il suo vero io celato dalle barriere che teneva quasi costantemente ben erette. La vide incassare la testa nelle spalle reagendo alle sue parole come se avesse ricevuto un richiamo ben più severo di quella che era stata la sua intenzione ed immediatamente, quell’innocenza, riuscì di un poco ad addolcirlo mentre le si avvicinava imponendole la sua presenza statuaria a braccia conserte. Passò a studiarla mentre attendeva che rispondesse al suo avvertimento/richiamo in quanto a prescindere da ogni intenzione lei non avrebbe comunque dovuto trovarsi in quell’aula e soprattutto a fare qualsiasi cosa stesse cercando di fare prima del trambusto. Era fortunata se a beccarla era stato lui e non il professore. Certo, uno smidollato come Fletcher le avrebbe – secondo la sua stima – fatto la ramanzina ondeggiando il suo indice del cazzo che il bulgaro avrebbe con piacere spezzato, rimandandola nella sua Sala Comune mentre proprio per sua fortuna la lupa aveva trovato proprio lui, decisamente più corruttibile se avesse perseguito nella strada che il verde-argento le aveva nemmeno troppo velatamente suggerito. Avrebbe colto?
    I grandi occhioni giada lentamente passarono ad assottigliarsi mentre le labbra carnose presero ad incurvarsi in un ghigno che aveva imparato a conoscere. «No, in effetti non ho alcun permesso» mormorò in un soffio mentre il gessetto scivolava dalla presa strategicamente allentata balzando dalle sue mani, alla piega della gonna fino a che chiassoso ma non abbastanza da distrarre i loro sguardi incatenati, tentennò in alcuni salti prima d’arrestarsi sul pavimento di pietra. Freya lentamente si chinò distendendo le gambe sul pavimento, inginocchiandosi proprio all’altezza della sua vita passando innocentemente a recuperare quel pezzetto di pietra bianca per poi tornare ad osservarlo servendogli la stoccata finale in quel mordicchiarsi sensuale delle labbra per umettarle. Il doppio senso era lampante, la visione reale ed evocativa di una qualcosa che avevano entrambi vissuto nella foresta dove il mannaro le aveva scostato i lunghi capelli dal viso raccogliendoli in una coda.
    CAZZO!
    Non poteva saltarle addosso! O sì? Poteva farlo? Che ore erano? Fletcher sarebbe potuto tornare lì a controllare il suo lavoro o avrebbe potuto caricarla in spalla per trascinarla nella loro Sala Comune? In fin dei conti non era troppo distante... Ma che pensava? Sgranò gli occhi, sbattendoli e schiarendo la gola mentre la mano abbandonava il petto per passare frenetica nei capelli scuri. Dannazione quanto lo mandava in tilt. «Potrei rimediare?»Dio ‘sta zitta!” Sbottò dentro di sé mentre l’altra si muoveva ancora per alzarsi e poggiare il gesso da qualche parte. Esasperato fece allontanarsi espirando silenziosamente dalle narici alla stregua ricerca di un contegno che doveva possedere ma che faticava a trovare in un contesto così esplicito che urlava tutt’altra presa di posizione che solo il fato sapeva quanto avrebbe voluto prendere. Come doveva fare con quella ragazza? Come doveva fare con quella sua natura animale che la giovane riusciva a richiamare a galla così semplicemente? Sembrava progettata per mandare all’aria ogni sua forma di controllo. Si allontanò ostentando serietà e professionalità circa quello che era il suo ruolo mettendo quella distanza necessaria per riacquistare il possesso della ragione. Sfiorò con le dita il bordo del libro che la Riis aveva abbandonato sul banco scivolando rapidamente con gli occhi sulle immagini degli ingredienti senza riuscire a prestare la concentrazione richiesta.
    «Sei curioso o fai semplicemente il tuo dovere?» Sollevò lo sguardo squadrandola enigmatico da sotto le sopracciglia scure senza tuttavia fornirle una risposta che avrebbe invece smascherato quanto fosse lontana dalla verità. Si limitò a giocare in difesa evidenziando l’ovvio. Non gliene poteva fregare di meno di cosa stesse cercando di fare, non sul momento almeno, quanto nell’immediato stava dominando il lupo dentro di sé. Passò ad osservare il materiale imponendosi di concentrarsi sul lavoro a modo da lasciare da parte i possibili istinti. Si avvicinò quindi all’attrezzatura prendendo in mano un becher vuoto, giocherellandoci con le dita prima di posarlo nuovamente passando alla visione degli ingredienti che la Serpeverde aveva tirato fuori. Freya si avvicinò cominciando a sistemare quel disordine, forse proprio imbarazzata dallo stesso per poi spostarsi a procurare il resto degli ingredienti.
    «Mi aiuteresti?»
    «Potrei prenderlo in considerazione» biasciò tornando soprappensiero alle pagine del libro individuando, a seguito della sua ammissione, il paragrafo incriminato: la pozione per il sonno senza sogni. Rimase impassibile mentre il pollice sfregava sulla superficie del libro mentre una lieve tensione cominciava ad elettrizzare l’aria nella stanza. Axel poteva immaginarne il motivo, supporlo: erano entrambi dei sangue sporco la cui purezza era stata violata da quella maledizione che sfregiava violenta il corpo d’entrambi. Sull’avambraccio per lei, alla base del collo, per lui. Un sonno tranquillo, ristoratore, non era contemplato per le loro notti. Le sue, soprattutto in prossimità della luna, richiamavano a galla la sua parte animale: sognava ciò che la bestia aveva vissuto ricordando in quel momento di vulnerabilità cosa la bestia aveva fatto, la furia e la sete di sangue ed il desiderio di distruzione che solo di recente, negli ultimi mesi, sembrava essere riuscito a quietare nel momento in cui il padrino aveva trovato una soluzione alla sua anti-lupo. Il corpo del bulgaro inconsciamente s’irrigidì.
    «Quando... Più si avvicina la luna piena e meno dormo bene», era lo stesso anche per lei. Rimase immobile respirando appena. «Mi agita.» L’unico rumore nella stanza era lo spostamento dei barattoli, l’agitazione perfettamente percettibile di lei mentre presentava sul tavolo un argomento che avevano trattato – e nemmeno – al loro primo incontro nella foresta quando aveva finito per lasciare che fosse la sua natura a prevalere.
    «A te capita nulla del genere?» L’unghia umana del mannaro grattò sul legno in contropiede. «No! Scusa! Non sei tenuto a rispondere!» Il panico per lei che cercò immediatamente di cambiare argomento finendo, inconsapevolmente, dalla padella alla brace:
    «... Talento naturale o ti esercitavi a preparare veleni per sbaragliare la concorrenza?» Un sorriso pregno di sarcasmo piegò la linea sottile delle labbra. Non poteva averne nemmeno idea di quanto la sua battuta s’avvicinasse invece al vero. Di quanto la sua breve infanzia ed intera adolescenza fossero stati segnati dalla ferrea disciplina del padrino, del modo folle in cui Ethan lo aveva addestrato a riconoscere singolarmente con qualsiasi senso un ingrediente, o pozione che fosse. Delle molteplici volte in cui lo aveva punito presentandogli fiale prive di nome con la promessa che, se avesse scelto bene, tra i veleni nascosti avrebbe trovato l’antidoto. Era tutta una fottuta bugia, non era mai vero. Erano tutte fiale di fottuto veleno. Atte a punirlo. Atte ad usarlo come una maledetta cavia per i suoi scopi. Atte a piegarlo al suo volere imponendogli a forza la sua legge ed il suo comando, piegandolo alla sua totale volontà. Piegandolo alla cieca obbedienza che ora possedeva. Cos’era peggio? La luna o Ethan?
    Si tirò eretto voltandosi verso la mora alle sue spalle avvicinandosi lento a lei per squadrarla brevemente in quegli occhi dello stesso verde, solamente più chiaro e, per la prima volta, con una certa titubanza nei movimenti, le raccolse una ciocca posizionandola oltre la sua spalla. Scostò lo sguardo volgendolo altrove, rifuggendo quel contatto che istintivamente sentiva avrebbe potuto smascherarlo che avrebbe potuto intaccare quello scudo innalzato negli anni.
    «Facciamo un patto», enunciò di punto in bianco. «Ti aiuto con la pozione che lo sappiamo, tu faresti un disastro finendo in infermeria. In cambio tu sistemi e tiri a lustro al posto mio. Ci stai?» Un’offerta da prendere o lasciare nella quale il mannaro non avrebbe contemplato altre possibili clausole. Lei otteneva ciò che voleva e magari, a seguito di ciò, di ricompensa, anche lui avrebbe ottenuto ciò che voleva da lei che era sempre una e carnale.
    Senza quasi attendere la risposta si allontanò voltandosi per tornare al banco con strumenti ed ingredienti dando una veloce scorta al libro passando poi a mettere da parte quegli ingredienti superflui che la Serpeverde aveva prelevato. «Questi non servono» sentenziò, pratico, passando poi a preparare gli stessi componenti manipolandoli per la preparazione che avrebbero subito. Cercò di concentrarsi sul lavoro, focalizzandosi sulla mera azione della lama affilata quando poggiò il coltello passandosi nuovamente le dita tra i capelli.
    «Tu cosa vedi?» Negli incubi, nei sogni agitati che aveva. Anche lei vedeva la furia della bestia?
     
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    Freya Estrid Riis | V | Serpeverde


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    Lo guardava, dal basso della sua posizione, restituendogli lo sguardo senza celare la malizia intrinseca in quel gesto volto a provocarlo per vedere una sua reazione. Non parlava, Axel non era un chiacchierone e, quando di solito lo faceva, non era mai per dare aria alla bocca per il semplice gusto di farlo. Non parlava ma riusciva comunque a farsi capire, i suoi gesti parlavano per lui e, anche in quel caso, ogni movimento, ogni sfumatura del suo sguardo, rimandava a Freya il nervosismo e l'agitazione che era riuscita a provocargli. Non aggiunse altro nemmeno lei, appagata della risposta ottenuta, soddisfatta e lusingata di non essergli indifferente senza, però, darlo a vedere. Era facile, per lei, ripiegare su quel tipo di approcci, provocare, flirtare, qualcuno avrebbe potuto definirlo un dono, in realtà era solo la forza dell'abitudine. Era più semplice sfruttare quel suo lato più frivolo che, per assurdo, le dava quella sorta di distacco che, invece, con le parole non avrebbe potuto mantenere. Per dire cosa, poi? Non sapeva nemmeno cosa stava facendo, mossa solo dall'istinto che le imponeva di ronzare attorno a quel ragazzo che la teneva legata a sé come fosse lui un centro di gravità e, lei, destinata a cedere a quell'attrazione. Freya era un po' come la Luna, proprio quel satellite che la imbrigliava in quella maledizione che le era capitata, vi era un lato di lei che non mostrava mai, a nessuno, solo per il desiderio di dichiararsi forte, forse soggiogata da quella forza innaturale che possedeva e che le dava l'illusione di essere invincibile anche quando, evidentemente, non era così. Viveva in un mondo tutto suo fatto di ansie, mancanze e paure, e magari era proprio questo a spingerla verso il bulgaro, cercando qualcosa che la incuriosisse, che bruciasse, che la consumasse fino a farle perdere la testa, solo per scordarsi di se stessa. Lo vide allontanarsi, mettendo di nuovo distanza tra loro nonostante nei suoi gesti avesse letto tutt'altro, altri desideri che rimasero inespressi lasciandoli cadere, così, nel vuoto. Credeva di essere sicura di non averli mal interpretati ma, osservando ora la schiena del Serpeverde rivolta a lei, le venne il dubbio di avervi letto solo quello che, in realtà, avrebbe voluto lei, consapevole di portarsi addosso il desiderio di legargli le braccia al collo e dimenticarsi del motivo per cui si era diretta in quel laboratorio. Imbarazzata, pensando di essersi solo messa in ridicolo esagerando come al suo solito, perse tempo sistemandosi la divisa ed allentando il nodo alla cravatta che ora trovava soffocante
    -Mi salveresti- ed in ben più di un modo. Un sorriso amaro spuntò sul suo viso prima di voltarsi per raggiungere le scaffalature con i vari ingredienti a disposizione. Non aveva idea di cosa stesse cercando, né di cosa stesse facendo, e non solo per quanto riguardava la pozione. Logico che lui volesse sapere cosa volesse produrre, era il minimo, ma rivelarlo fu più difficile di quanto avesse immaginato. Mai, non lo aveva mai rivelato a nessuno, nemmeno ai suoi fratelli, nemmeno a Oliver, temendo che si preoccupassero per lei come avevano fatto per tutta la vita, era stanca di mettere sulle loro spalle altre preoccupazioni quando avevano le loro da combattere. Era lo stesso motivo che l'aveva spinta a cercare qualcuno che le procurasse l'antilupo, dimostrare che fosse in grado di camminare sulle proprie gambe e smetterla di essere quella bambina lamentosa e bisognosa che temeva di apparire ai loro occhi eppure, con Axel, lo fece. C'era qualcosa, in lui, di familiare e ritrovato, assomigliava a qualcuno che non assomigliava a nessuno, per quanto la cosa poteva sembrare non aver senso. Lo aveva per lei. Era consapevole che lui non si sarebbe preoccupato per lei, non si sarebbe intenerito, al massimo avrebbe potuto provare pietà per quella sua ammissione di fragilità e, lei, per quei brevi istanti se ne infischiò di mostrare un nervo scoperto, con l'unico desiderio di togliersi un peso nella speranza che, dirlo ad alta voce, potesse esorcizzare quelle paure nate dalla solitudine che la loro condizione spesso portava o, forse, cercando in lui una conferma che non fosse l'unica a vivere certe cose. In fin dei conti, per quanto assurdo ancora potesse sembrarle, lui era come lei. Parlò troppo, chiese troppo, guidata dalla curiosità che faticava sempre a trattenere, costringendosi così a rimediare al suo errore e liberandolo dall'obbligo di una risposta. Eppure l'avrebbe voluta, qualsiasi cosa, anche solo una parola. Fu lei ad allontanarsi, smettendo di posizionare ampolle e barattoli casuali sul piano di lavoro, sedendosi alle spalle del moro e cercando di cambiare argomento nonostante, nel suo sguardo smeraldino di solito vispo, permeasse il nervosismo per aver tentato di sfondare una parete che non sapeva se poteva sfiorare. Non ne avevano mai parlato, nonostante fossero riusciti a mostrarsi nella loro totalità comunicando con la carne dei loro corpi nudi, ed il silenzio del moro non era che una conferma del fatto che lui non volesse farlo. Lo vide voltarsi, Di qualcosa!, era un pensiero ricorrente quando si trovava con lui, quasi quanto lo fossero i silenzi le mannaro. Non aveva chiaro cosa avrebbe voluto sentirsi dire, certo non aveva bisogno di essere consolata, probabilmente si sarebbe accontentata anche di una battuta per prenderla in giro con quel sarcasmo di cui sapeva fosse dotato ma, quando la mano di lui le scostò i capelli sfiorandole il collo con la punta delle dita, un brivido le increspò la pelle di solito liscia, come se quest'ultima ricordasse più della memoria. Gli occhi grandi che scrutavano il volto irsuto di lui che, invece, non la guardava nemmeno. In cosa si stava infilando?
    “Facciamo un patto” la brunetta corrucciò le sopracciglia rimanendo in attesa senza muovere un muscolo “Ti aiuto con la pozione che lo sappiamo, tu faresti un disastro finendo in infermeria. In cambio tu sistemi e tiri a lustro al posto mio. Ci stai?” sbatté le palpebre frastornata, presa in contropiede per quella risposta con cui aveva evitato due domande in una volta sola -Oh- un misto di sorpresa e delusione aleggiavano sul suo viso prima che un sorriso tirato vi spuntasse -Certo, mi sembra giusto- continuò a sorridere cercando di renderlo credibile, reale, e magari avrebbe finito col crederci anche lei. Non le doveva niente, nemmeno una risposta, era già tanto che avesse deciso di darle una mano. Smise di cercare un contatto visivo con il ragazzo, limitandosi a seguire le sue indicazioni e riportando i barattoli superflui al loro posto. L'ennesima figura della giornata. Tornò da lui, concentrandosi sulle sue mani e sui movimenti che compivano, era come una strana danza che gli veniva naturale, non sembrava nemmeno doversi sforzare per far andare le cose come voleva. Faceva sembrare tutto facile o, almeno, così fu fino a quando non parlò di nuovo facendola sussultare sul posto. Aveva creduto sarebbero rimasti in silenzio fino alla fine o, almeno, che non sarebbe più tornato su quell'argomento che suppose essergli scomodo
    “Tu cosa vedi?” non era una semplice domanda, “tu”, una sola parola, una singola sillaba che dava alla frase tutta un'altra connotazione, quasi fosse un'ammissione che per lui fosse lo stesso
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    -La neve- sorrise quasi divertita, quel manto bianco che la riportava in dietro a quando tutto era iniziato, a quel giorno in cui le avevano fatto capire che non avrebbe avuto alcun futuro, non uno a cui aspirare per lo meno. Ancora riusciva a metterle i brividi, ricordando quegli occhi scuri spuntati dal nulla che le avevano portato via tutto. Prese il coltello usato fino a pochi secondi prima dal moro, rigirandolo tra le mani mentre indietreggiava di qualche passo, fino a poggiarsi contro il banco su cui si era seduta poco prima. Cosa vedeva? Le cose peggiori, ovviamente
    -Vedo.. a volte sono immagini sfocate, altre sono così vivide da farmi svegliare- sudata, agitata, con il cuore in tempesta -Vedo cose che ho fatto- si svegliava in preda ad attacchi di panico, che si placavano solo dopo essere corsa in bagno, a cercare conferme che il sangue che aveva visto sulle sue mani, sul suo viso, non fosse li, non più al meno -Ma..- l'agitazione saliva intanto che, poco alla volta, le parole uscivano volontarie dalla sua bocca, senza mai arrischiarsi a posare lo sguardo sul giovane uomo che le stava di fronte. Continuava a rigirarsi il coltello tra le mani sempre più nervosa fino a quando non si punse la punta di un dito. Si concentrò su quell'unica goccia di sangue che, lenta, prese a percorrere il suo indice -Credo che la parte peggiore sia vedere cose che vorrei fare- quell'ammissione le fece chinare il capo più di quanto già non fosse -Cioè non io- si affrettò ad aggiungere -La.. la.. l'altra parte. Anche se, in effetti, sono sempre io. Giusto?- di nuovo un sorriso tirato che non raggiungeva gli occhi si disegnò sulle sue labbra, alzando la testa e puntando gli occhi chiari su di lui, sperando di leggervi qualcosa. Distolse lo sguardo, di nuovo, puntandolo sulle pareti e le varie credenze ricolme -É che, anche quando mi sveglio, è sempre li- la bestia, il mostro, comunque lo si volesse chiamare -Fino a quando la Luna piena non passa non so nemmeno dire dove finisco io e dove inizia.. l'altra me- ridacchiò, anche se di divertente non ci trovava proprio un bel niente -Non so neanche se ha senso- si passò una mano sul viso, spossata, le spalle curve a sottolineare quel peso come se la stanchezza l'avesse colpita tutta in una volta -Lascia stare, mi basterà dormire meglio, credo- puntò lo sguardo sul calderone e sul resto della preparazione ora lasciata incompleta -Posso aiutarti in qualche modo senza fare danni?- dubitava fosse possibile ma, magari, con le giuste indicazioni, sarebbe riuscita a portare a casa qualche cosa di buono. Avrebbe voluto rigirargli la domanda, chiedergli se si sentisse come lei, sempre in bilico tra l'uomo e l'animale, ma viste le sue reazioni dubitava sarebbe stata una buona idea -Se avessi qualcosa da fare magari..- Non impazzirei -.. per favore-

     
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    Da quell’incontro, dall’esordio di quell’incontro Axel s’era figurato molti sviluppi. Cambiava l’azione, di poco persino il contesto, ma tutti raggiungevo un unico – e piacevole – risultato da entrambi i punti di vista; mai avrebbe quindi pensato che l’argomento di discussione sarebbe andato a vertere su un nervo completamente scoperto per il bulgaro e... mannaro: la loro maledizione. Dal momento in cui la giovane Serpeverde aveva messo in tavola lo scopo di quella preparazione che s’era apprestata – disastrosamente – a cominciare, la tensione era calata sulle loro teste rendendo elettrica l’atmosfera. Niente che non avessero già visto, niente che, la naturale chimica presente tra loro, avesse già presentato loro ma ancora una volta era il contesto a cambiare ed Axel non sapeva se e quanto fosse incline ad affrontare un argomento simile proprio perché il Dragonov non ne parlava. Era il suo fottuto tabù, la sua fottuta vergogna per quanto molto ipocritamente in ben più di una situazione quella stessa maledizione che disprezzava gli avesse salvato la pelle da morte certa e più spesso di quanto pensasse si trovava ad utilizzare quei sensi sovrasviluppati per aiutarsi nel quotidiano. Riflessi scattanti, udito sopraffino che gli permettevano d’udire il più piccolo incespicare di un cuore quando lo sguardo incontrava quello del suo interlocutore o, banalmente, quella forza così sviluppata da renderlo inarrestabile da farlo sentire – talvolta cadendo in errore – invincibile. Tutte cose che utilizzava quotidianamente ma così radicate nella natura della sua persona da viverle come scontate. Cosa avrebbe fatto senza? Cosa avrebbe fatto se, un giorno, ci fosse stato il rimedio a quella condizione? Avrebbe lasciato tutti quei benefit in cambio della normalità, ad occhi chiusi? Forse su due piedi Axel avrebbe accettato ma poi, soffermandosi, avrebbe capito che la risposta non sarebbe stata tanto scontata soprattutto nel contesto nella quale era immerso fino al midollo e quel contesto, che lo legava a doppio filo in più modi sporcando irrimediabilmente la sua fedina penale, portava un nome ed un cognome: Ethan Kontos, il suo padrino. Ethan che lo aveva cresciuto al pari di un figlio ma discutibilmente come lo era il suo carattere e la sua propensione a seguire quella che era la legge; lo stesso uomo che, nel lato oscuro del mondo magico s’era costruito una fama, un nome proprio grazie a quel dono naturale che aveva nella fabbricazione di pozioni, di veleni, quel genio creativo che possedeva grazie anche a quell’asso nella manica che poteva permettersi sperimentando su quella che era una cavia pressoché illimitata presi alcuni accorgimenti. Già perché di una cavia aveva fatto il piccolo, ignaro Axel che non aveva avuto altra scelta se non affidarsi alla sua disciplina poiché, altrimenti, l’alternativa sarebbe stata la strada, quella stessa strada che aveva rischiato di prenderselo con la fame ed il freddo. I veleni quindi, quelli su cui Ethan piaceva sperimentare erano il suo metodo punitivo per eccellenza. Non sembravano finire mai e qualsiasi motivazione – scusante – era utilizzata per infliggergli quel tormento. “Non ti fa niente!” Asseriva, il sorriso inquietante ad increspargli le labbra sottili contornate da un filo di barba ruvida. “Prova! È dolce” Ed il piccolo, spaventato, obbediva. Rush cutanei, bolle, le vie aeree che andavano a restringersi chiudendosi, togliendogli il respiro che, in poco tempo, lo tramortiva al suolo ma la maledizione era sempre lì, sempre presente e pronta a salvarlo dalla morte ed Ethan annotava, scriveva apportando poi le giuste correzioni e forse era stato tutto quel tormento a cambiarlo. Una formula diversa, una composizione inaspettata e l’antilupo aveva smesso di funzionare, così, gradualmente gettandolo in quel tormento di dolore fisico che per anni lo aveva incatenato nella paranoia. Ogni possibile provocazione era un innesco che la bestia avrebbe colto, un modo per infrangere quei legacci e prendere il sopravvento seminando la distruzione che la sua fame ricercava. Una fame che, nelle notti di luna piena, cancellava ogni possibile barlume della ragione. Solo fame. Solo sete di sangue e di morte. Non ci sarebbe stato un altro Petar, non senza la sua volontà.
    Era facile quindi capire perché non ne parlasse, perché quell’argomento rappresentasse per lui un’interdizione sacra ma questo unicamente per chi avesse una conoscenza del vissuto del verde-argento e chi al castello poteva vantare una conoscenza tale? Nessuno, non più perlomeno. C’era stato un tempo, molto vicino in realtà, in cui un’unica persona era stata a conoscenza di parte di quella storia ma, nonostante le forti intenzioni e volontà, le cose non erano andate come i protagonisti avevano voluto: Skylee era stata scoperta, seviziata ed allontanata condotta dall’uomo che avrebbe dovuto proteggerla dalla sua stessa famiglia nel baratro della follia. Ethan l’aveva torturata entrando nella sua mente, giocando con la sua fragile psiche infondendole poi il colpo di grazia una volta piegato Axel. Aveva piegato entrambi utilizzando il loro stesso amore contro di loro finendo per cancellare quei sentimenti dall’uno e ogni cosa dall’altra. Rimaneva solo il nulla, solo convinzioni costruite ad arte.
    «Oh» delusione, «certo. Mi sembra giusto.» In realtà lo sarebbe stato. Meno Freya si avvicinava al bulgaro e più sarebbe stata al sicuro dalla sua complessa sfera privata.
    Ma questo entrambi i giovani non lo sapevano.
    Axel cominciò a lavorare in silenzio sminuzzando finemente gli ingredienti, lasciando che la lama scorresse con maestria volando leggiadra lasciando al suo passaggio un trito rispetto a ciò che era stato in origine. Un talento dettato dall’esercizio, da quella disciplina volta alla perfezione, alla perfetta emulazione del maestro e per cosa poi? Poggiò la lama, frustrato, ed il metallo cozzò rumorosamente contro il pianale rompendo quello strano incantesimo che s’era creato. Tu cosa vedi? Glielo aveva chiesto dopo un lungo silenzio che, grazie ai gesti meccanici, aveva dissimulato il reale tumulto nell’animo del mannaro.
    «La neve», rimase impassibile senza guardarla. Le ampie mani distese sul tavolo da lavoro a premere contro di esso quasi quel gesto potesse scaricare almeno parte di quella tensione che sentiva dentro.
    «A volte sono immagini sfocate, altre sono così vivide da farmi svegliare. Vedo cose che ho fatto» e lei cosa aveva fatto? Quali segreti si portava dentro per colpa dell’altra parte di sé? Axel sollevò lo sguardo puntandolo sulle mani della lupa seguendone il loro movimento, quel giocherellare con la lama che finì per pungerle il dito. Una sola goccia di sangue eppure, quell’odore ferroso, gli invase le narici risvegliando quella parte di sé che teneva sopita, incatenata ma che adesso con solo quella goccia graffiava per averne un assaggio. Strinse i palmi in due pugni così stretti da sbiancargli le nocche.
    Sangue sangue sangue... Morte.
    «Credo che la parte peggiore sia vedere cose che vorrei fare. Cioè non io! L’altra parte. Anche se, in effetti, sono sempre io. Giusto?» Il suo sopracciglio ebbe un fremito al di sopra degli occhi verdi, vuoti, dispersi in una dimensione che avrebbero potuto dare l’impressione non stesse ascoltando invece il bulgaro stava assimilando ogni parola, ogni sensazione che quella descrizione così accurata scatenava in lui. Pietra all’esterno, un uragano all’interno. L’altra parte, la Bestia, anche lui la chiamava così. Anche lui dissociava sé stesso in quell’altra entità ma era realmente corretto porre quella distinzione? Era realmente un altro quello a bramare il sangue o era sempre stato lui? Era la sua fottuta parte oscura?
    «È sempre lì. Fino a quando la luna piena non passa non so nemmeno dire dove finisco io e dove inizia... l’altra me.» Ed Axel avrebbe voluto replicare, porre quel sordido quesito che altro non avrebbe fatto che peggiorare la situazione ma Freya fu più veloce interpretando quel silenzio in un ennesimo errore. Allora Axel la guardò studiandone l’esile figura incurvata, piccola e fragile, i capelli castani che, come una tenda, erano scesi a nascondere parte del suo viso, il suo bel viso. Si riscoprì impotente, inadatto e soprattutto scoprì di provare uno strano desiderio volto a cancellarle quel peso, quel dispiacere ma non sapeva come fare. Qualsiasi parola, qualsiasi retorica del cazzo sarebbero stati una menzogna. Lui lo sapeva. Lei lo sapeva. La dura verità altro non avrebbe fatto che rotare il coltello nella piaga.
    «Lascia stare, mi basterà dormire meglio, credo»
    Cazzo.
    «Riis. Freya» Cosa? Che avrebbe voluto dire? «Okay» finì quindi per accogliere la sua richiesta. «Prendi... prendi il calderone. Riempilo con un litro d’acqua e... mettilo sul fuoco» le ordinò stancamente tornando a preparare gli ingredienti intervallandoli dall’occhio che seguiva i suoi movimenti pronto ad intervenire in caso di necessità. Quando l’acqua raggiunse il bollore li versò all’interno. Adesso si trattava di lasciare le piante in infusione.
    «Non te lo meriti» Esordì. «Non te la meriti questa merda.» Se per questo nemmeno lui ma s’era convinto a causa di tutto quello che aveva fatto e vissuto d’essere arrivato a meritarselo che quello, in qualche modo, fosse il karma che compiva il suo corso. Espirò. «Spero ti dia sollievo» era sincero in quell’augurio. «Se funziona... beh fai un fischio» cercò di abbozzare un sorriso in quello che era stato un tentativo di stemperare la tensione tuttavia non riuscendoci, almeno dal canto suo, che avvertiva un profondo disagio e senso d’inadeguatezza ad affrontare una questione tanto delicata. Avrebbe potuto aprirsi, avrebbe voluto sbottonarsi e la giovane poteva realmente essere la persona giusta, almeno sulla carta, ma chi poteva dirgli che avrebbe realmente compreso. Lei non sapeva. Freya non sapeva nulla di lui e lui non sapeva e non era certo di volere che lei potesse avvicinarsi così tanto. Qualcosa di remoto, privo di spiegazione, gli suggeriva di tenere a distanza tutto... tutti.


    Edited by Dragonov - 26/11/2023, 20:05
     
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    L'odore acre degli insoliti ingredienti permeava nella stanza riempiendo le narici sensibili della lupa che, invece di restarne nauseata, si concentrò per distinguere ogni lezzo quasi fosse un nuovo gioco mentre il coltello impugnato da Axel scandiva il tempo con un ritmo tutto suo, sempre lo stesso, come fosse un movimento meccanico a cui era, evidentemente, abituato. Avrebbe concentrato la sua attenzione su qualunque cosa pur di non dare ascolto a quel silenzio assordante che si era andato a creare tra di loro quando, consapevole del rischio, aveva tirato di nuovo fuori quell'argomento scomodo ad entrambi e che, ora, aveva fatto chiudere il bulgaro più di quanto già non fosse.
    La vita riservava sempre delle sorprese, questo lo sapevano entrambi purtroppo per loro. Crudele, spesso ingiusta, non si poteva mai sapere dove avrebbe portato. Nella sfortuna, non era mai stata da sola ad affrontare quello che le era capitato, qualcuno avrebbe potuto pensare che fosse una fortuna condividere lo stesso destino con il proprio fratello, qualcuno con cui parlare, a cui rivolgere i propri dubbi e su cui riversare le proprie sofferenze trovando una spalla a cui appoggiarsi, ma come poteva esserlo? Come poteva, Freya, riversare i suoi pensieri su colui che aveva condannato lei stessa? Non in prima persona, questo no, ma ogni sofferenza, ogni ostacolo, ogni problema che Oliver aveva dovuto superare pesava, allo stesso modo, sulle spalle della Serpeverde come un macigno di cui non si sarebbe mai potuta liberare. Non aveva il coraggio di parlare con lui, di lamentarsi o anche solo di sfogarsi, a causa di quel senso di colpa costante che la colpiva ogni volta che posava gli occhi sul viso corrucciato e pensieroso del maggiore dei suoi fratelli. Impensabile pretendere che lui pensasse a lei, nonostante sapesse che lo avrebbe fatto e che, anzi, si sarebbe persino arrabbiato se avesse saputo cosa la tormentasse senza metterlo a conoscenza della cosa. Poi eccola, dopo anni passati a nascondersi, ad incontrare un altro come lei a cui avrebbe voluto fare mille domande: come, quando, dove? Cosa pensi? Come ti senti? Hai mai paura? Ma Dragonov, sotto certi aspetti, le ricordava così tanto quel fratello maledetto, entrambi fuori misura, entrambi burberi, non sempre scostanti ma certamente per pochi. Era giusto costringerlo a parlare di un argomento che sembrava essere così scomodo anche per lui? No, non lo era, e si sentì una stronza a metterlo a parte di quella che era la pozione che avrebbe voluto creare, ritornando su quel tema che si era resa conto fosse meglio evitare. Mai più, si promise, sarebbe tornata su quell'oggetto disagevole che avrebbe solo rivangato ricordi spiacevoli. Lo aveva capito, nel modo in cui era riuscito a svicolare alle sue domande, come semplicemente non ne volesse parlare, e aveva di certo le sue ragioni, non aveva intenzione di raccontare o rivangare, non con lei per lo meno e la brunetta non avrebbe mai potuto nemmeno fargliene una colpa. Si sarebbe limitata a fingere, anche nei momenti dove il peso di quella loro natura si faceva più pressante, che tutto andasse bene, di essere normale. Vi era abituata in fin dei conti. Ciò nonostante, mentre impilava l'ultimo barattolo superfluo insieme agli altri, Axel la stupì con quella domanda personale che non si aspettava le avrebbe mai posto. Se fosse per educazione o per una curiosità reale, questo lei non poteva dirlo, non poteva proprio saperlo visto quanto poco conoscesse quel ragazzo che ora le dava le spalle che non sembrava aver alcuna intenzione di guardarla. Com'era possibile sapere così tanto e, allo stesso tempo, così poco della stessa persona? Eppure era davvero così, conosceva un suo enorme segreto ma, oltre a quello cos'altro avrebbe saputo dire di lui? Aveva sopracciglia dotate di vita propria che parlavano per lui, occhi attenti da osservatore che si illuminavano di uno scintillio malizioso quando la lussuria lo dominava, tutto un elenco di ghigni beffardi che variavano di poco in base alla situazione e aveva capito che i suoi sorrisi, quelli veri, erano estremamente rari. Aveva una scorza dura, la stessa che lo faceva risultare impassibile come se nulla lo sfiorasse e che non le faceva capire mai cosa pensasse realmente ma, al di sotto, aveva dimostrato più volte di essere disponibile anche ad aiutare gli altri, lo aveva notato già dalla lezione galeotta di Incantesimi. Poteva non avere i modi, e questi avrebbero frenato la maggior parte delle persone, ma le ispirava comunque fiducia. E forse fu proprio grazie a questa ipotetica fiducia, che non sapeva nemmeno se faceva bene a riporre in lui, che si ritrovò a rispondere a quella domanda con onestà. “Tu cosa vedi?” Tutto quello che non avrebbe voluto, tutto quello che la faceva sentire sbagliata e indegna di qualsiasi fortuna le potesse capitare. Si lasciò andare, rivelando il contenuto dei suoi sogni agitati, cercando in lui un segno o uno spiraglio che le facessero intendere un suo pensiero, ma Axel era immobile ed illeggibile come suo solito, e più Freya parlava più si sarebbe voluta mordere la lingua ed arrestare quel fiume in piena che aveva preso a scorrere nella speranza di trovare sollievo ammettendo ogni cosa ad alta voce, ma così non fu. Di nuovo, venne assalita dalla sensazione di inadeguatezza che l'accompagnava in ogni momento. Licantropi, creature rinomate per la loro forza, e lei stava dimostrando di essere solo una mammoletta. Avrebbe voluto essere come lui. Si ritrovò ad invidiare la sua calma, il suo fare distaccato, avrebbe dovuto fare come lui e non dare importanza a nulla di tutto ciò.
    Sorrise portandosi il dito ormai guarito alle labbra, lambendo quell'unica goccia di sangue solitaria e assaporandola lentamente, chissà quanto gli era costato chiamarla per nome, un evento raro per uno ermetico ed inavvicinabile come lui.
    -Si, capo!- gli rivolse un sorriso a trentadue denti, la solita maschera, ma comunque contenta che avesse accolto la sua richiesta trovandole qualcosa da fare che anche un'inetta come lei poteva riuscire a non sbagliare. Si fermò al suo fianco per recuperare il calderone e ne approfittò per studiarne il profilo serioso, così tranquillo nel seguire le indicazioni che a stento osservava, così diverso dalle facce confuse che avrebbe fatto lei al suo posto. Riempì il calderone come indicato e lo posizionò sulla fiamma del fornello acceso per l'occasione
    “Non te la meriti questa merda” aveva appena versato gli ingredienti nell'acqua in ebollizione e di nuovo la sorprese con qualcosa che non si sarebbe aspettata. Come faceva ad esserne sicuro? Sua madre le aveva sempre detto l'esatto opposto, che era stata la giusta punizione per una bambina com'era stata Freya, nonostante lei stessa non capiva bene a cosa si riferisse. Aveva smesso da tempo di chiedersi cosa spingesse quella donna a detestarla a tal punto, e tutto ciò che le diceva le scivolava addosso sempre più velocemente. Con un paio di passi si mise di nuovo al suo fianco, sporgendosi leggermente in avanti andando a cercare gli occhi smeraldini del moro
    -Nessuno se lo merita- in qualunque modo fosse successo, qualunque cosa l'altra parte di lui lo avesse spinto a fare, non dipendeva da lui. Strano pensarlo visto che non usava la stessa premura verso se stessa, ma era un dato dai fatto -Mi.. Axel, mi dispiace per quello che ti è successo- e nessuno avrebbe potuto essere più sincero di lei nel dirgli quelle poche parole mentre si aggrappava con la punta delle dita al polsino della camicia del ragazzo. Non serviva conoscere i fatti. Una parte di lei avrebbe voluto abbracciarlo, o avrebbe voluto che fosse lui ad abbracciare lei, ma il muro messo dal moro era fin troppo spesso, fin troppo alto per poter arrischiare a compiere un gesto del genere che non sapeva come l'altro avrebbe recepito. Lo lasciò andare, mettendo qualche passo di distanza tra loro e tornando a sedersi su uno dei banchi accavallando le lunghe gambe
    SRDaE
    “Se funziona.. beh fai un fischio” lei ghignò, piegano appena il capo verso la spalla sinistra
    -Lo farò- non disse altro, ma apprezzò quell'ammissione silenziosa e scevra di ogni parola superflua a confermare quelli che erano anche i suoi di incubi -Te lo hanno mai detto che sei carino?- portò le mani dietro la schiena, ben salde sul banco su cui era seduta, poggiandovi il peso ed assumendo una posizione più rilassata -E non parlo della tua faccia, quella lo sai già che piace- mantenne il ghigno nonostante, in realtà, la cosa non è che le facesse poi troppo piacere. Impossibile contare le ragazze che gli ronzavano attorno, buongustaie. Era stato difficile rendersi conto che le sarebbe dispiaciuto vederselo scivolare via dalle dita, ammetterlo lo sarebbe stato ancora di più. Fingendo noncuranza, buttò un occhio al calderone in cui erano stati lasciati in infusione gli ingredienti, osservandone l'aspetto, il colore e sincerandosi dell'odore che emanava -E ora che si fa? Aspettiamo solo che finisca?- la pazienza era una dote che non le apparteneva, era abituata ad avere tutto e subito, forse anche per questo in Pozioni era una dei peggiori della classe. Con un unico movimento si liberò del maglioncino, rimanendo così con la sola camicia sottile a nascondere le sue forme, slacciando i primi bottoni della stessa una volta liberatasi anche della cravatta. Si sporse in avanti, allungando il braccio fino ad afferrare la mano del verde-argento per attirarlo a sé fino a ritrovarselo davanti. Titubante, avvicinò il volto a quello di Axel e, se fosse rimasto fermo per il tempo necessario, si apprestò a depositargli un bacio sull'angolo della bocca -Grazie- per la pozione e, perché no, anche per averla ascoltata.



    Edited by -RedFlag- - 29/11/2023, 20:15
     
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    Ciò che non uccide fortifica... tutte cazzate avrebbero giurato e spergiurato i più ma non Axel. Non il bulgaro che era la maledetta fottuta eccezione alla regola. Ne aveva viste tante lui, troppe nonostante la sua giovanissima età che gravava sulle spalle un peso non indifferente nonostante le ventitré primavere in procinto d’essere compiute. Si trattava di giorni, qualche manciata tra cui una bella luna piena che lo avrebbe lasciato dolorante a “festeggiare” proprio quel dannato giorno che odiava con tutto sé stesso. Ma quali festeggiamenti. I compleanni avevano perso da tempo attrattiva diventando il triste promemoria di quella che era la sua sfortuna e maledizione. Proprio la sera del suo nono compimento, a poco meno di un mese dall’attacco, sua madre, Eléna, lo aveva portato stringendolo per mano in quelli che erano i sotterranei della loro dimora in Bulgaria. Gliel’aveva venduta come fosse un gioco al tempo, un qualcosa di nuovo, di entusiasmante, che avrebbero svolto per festeggiare ed il piccolo Axel aveva saltellato al suo fianco contenendo a stento l’euforia. Eléna aveva stretto intorno ai suoi polsi gli anelli d’acciaio placcato d’argento, spruzzato di strozzalupo sollevando le proteste del piccino che aveva cominciato a lamentarsi per il bruciore ma lei, perfetta attrice, gli aveva sorriso, lo aveva tranquillizzato. «Ssssh Nikolai!» Il suo secondo nome, quello altisonante, quello che smascherava le sue nobili origini. Quello che richiamava al sangue puro che fino a quel momento era scorso nelle sue vene. Quello che avrebbe fatto di lui, di lì a qualche anno, a seguito della dipartita del maggiore tra i fratelli, il duca di Burgas. Chi lo avrebbe detto che sarebbe bastato così poco per mandare a puttane il lavoro di generazioni prima di lui.
    «Non rovinare il gioco!»
    «Ma mamma mi fanno male!»
    Le proteste di un bambino che, ruotando appena sulle caviglie, manifestava il suo disagio, il suo malessere. «Bruciano.» Ma Eléna gli aveva sorriso poggiando una carezza al di sopra della zazzera di capelli neri del figlio esortandolo a concludere con quei capricci. Aveva usato la minaccia, la promessa del regalo per ottenere la sua condiscendenza e poi, stronza, lo aveva tradito senza guardarsi indietro. Almeno dal punto di vista del giovane che, nel corso degli anni, era andato maturando quasi un odio viscerale per la figura materna. La stronza, l’arrivista, la manipolatrice, solo alcuni degli epiteti usati verso quella figura che altro non avrebbe dovuto fare se non proteggerlo gettandolo invece in pasto a quella che era stata la vita in tutta la crudezza, al suo padrino in tutta la sua insanità.
    «Nessuno se la merita» replicò stancamente la Serpeverde strappandolo dalle immagini che per qualche istante avevano occupato la sua visuale riportandolo indietro dal suo passato al presente, nell’aula. Un argomento spinoso quello affrontato dalla lupa, difficile sotto molti aspetti per quanto qualcuno avrebbe potuto dire, magari parlando per fottuti modi di dire, che “il tempo avrebbe dovuto guarire le ferite”, o puttanate filo-hippie del genere. Non per Axel. Ogni mese quella luna in cielo era un promemoria, un cazzo di remainder. Ogni mese quando la collera lo rendeva meno incline ai rapporti sociali percepiva quanto poco tempo gli rimanesse ancor prima di trovare conferma nella data del calendario. Sentiva giorno dopo giorno il suo reale io perdersi per fondersi con il suo lato animale. Perdere la ragione, i ricordi e la lucidità. Quei tre giorni era la Bestia a dominare, la sua collera e la sete d’aggressività. Si nutriva di quella negatività. Erano invece pochi giorni, quello del novilunio, a consentirgli d’essere davvero se stesso e spesso, anche in quei giorni, il bulgaro si trovava a dubitare che quell’uomo che incontrava riflesso nello specchio fosse realmente lui. Lui o l’ennesima illusione? Cos’era vero, in cosa invece c’era traccia di quell’altro sé?
    «Mi...» Una parolina stentata forse appena pronunciata che non bastò a farlo voltare nella sua direzione. «Axel, mi dispiace per quello che ti è successo» si voltò senza proferire parola, lasciando che fosse l’intensità dei suoi occhi verdi a parlare per sé mentre percepiva le dita di lei avvicinarsi al suo polso, sfiorarlo, per aggrapparsi al lembo di camicia. Socchiuse leggermente gli occhi beandosi di quel tocco e per una volta evitò di azzannare l’altra persona. Con lei non c’era bisogno perché lei poteva davvero capire. Stava tutta lì la differenza. Lei c’era passata e c’era dentro fino al collo esattamente come lui. Nello stesso identico fottuto modo. Non era una montata di testa che ereditava quella merda per linea di sangue che “non vedeva l’ora d’assaporare tutto quel potere” – solo un’imbecille avrebbe potuto pensarla in quel modo – lei capiva, non doveva immaginarlo o sforzarsi di mettersi nei suoi panni, lei lo viveva costantemente sulla sua pelle esattamente come lui. Chiuse del tutto gli occhi rilassandosi man mano, lasciando che la tensione fluisse via dalle spalle disperdendosi quel tanto da consentirgli di riprendere quella maschera che presentava al mondo costituita partendo dal suo ghigno più beffardo. Le lanciò un augurio – sincero – e quella che beh, voleva essere una battuta ma che in fin dei conti se realmente si fosse rivelata game changer per la mora, magari, sarebbe valso un tentativo. Che aveva da perdere in fin dei conti? Finì d’osservarla allontanarsi, prendere posto al di sopra dei banchi poco distanti dove seguì il movimento delle lunghe gambe nude, scoperte dalle calze, accavallarsi l’una sull’altra; la gonna della divisa scivolare sulla piega del ginocchio scoprendo involontariamente parte della coscia. Ispirò trattenendo quella boccata d’ossigeno. Le braccia si spostarono dietro il confine tracciato dalla schiena costringendola, nella postura a portare il petto in fuori. Come riusciva a fare questo? Cambiare il suo umore così repentinamente?
    «Te lo hanno mai detto che sei carino?» Il sopracciglio scatto immediatamente verso l’alto. Buttò fuori l’aria. Carino? Gli avevano detto tante cose con più o meno dignità al proprio interno in base alla proprietaria di quella dote e “carino” non era proprio tra quegli aggettivi. Avanzò di un passo raccogliendo con il coltello le erbe finemente sminuzzate – sbirciandola di sottecchi – per gettarle in infusione. Una voltata di mestolo e tornò alla lupa assecondando quel tono gioviale.
    «E non parlo della tua faccia, quella lo sai già che piace» le guance del bulgaro che s’erano colorite di una sfumatura appena più rosea lasciarono trapelare la smorfia – l’ennesimo ghigno – di soddisfazione. «Sarà la barba» diede un’ennesima voltata di mestolo mandando sott'acqua alcune erbe, così facendo alcune gocce di pozione gli sporcarono le dita e lui, perfettamente conscio di ciò che andò a fare e come, se le portò alle labbra asportando il contenuto prima di accarezzarsi la stessa barba. “Carino.” Ghignò scuotendo il capo. Entrambi sapevano benissimo che non era quella il fulcro delle attenzioni del genere femminile. Tutto in Axel emanava attrazione, chiaramente per chi incline al genere. Altissimo quanto muscoloso, tenebroso e misterioso con quel costante broncio che al posto di renderlo sgradevole come altri elementi della sua casa, riusciva a regalargli quel magnetismo che spingeva le donne a ricercare d’essere l’oggetto delle sue attenzioni nella vana speranza d’essere quel twist che avrebbe svoltato la sua vita. Illuse. Al mannaro piaceva giocare, e parecchio, al gioco della seduzione circuendo la mal capitata a modo che cadesse nelle sue spire. Ogni gesto mirava a quel risultato e doveva dire che il più delle volte riusciva ad andare a segno. Minori, invece, erano le volte in cui era stato messo in difficoltà dall’altro sesso. Vuoi perché intimorite da quella figura così statuaria e autoritaria o vuoi per quella neppure troppo vaga fantasia di assaporare il desiderio d’essere dominate. Chi meglio di lui che incarnava proprio quel genere? Il sorriso s’ampliò lasciando spazio al solito sorriso sghembo mentre l’occhio prendeva la sua parte danzando sul corpo della lupa. A cosa puntava con quella posa?
    «Già, si tratta di aspettare...» Si passò la lingua sui denti, «hai impegni?» entrambe le sopracciglia si sollevarono. Ironia, una leggera punta di sarcasmo prima d’essere nuovamente messo a tacere dall’iniziativa di lei che, con nonchalance, si sollevò dal banco per togliersi in una mossa – se si ignorava il movimento che fece del capo per liberare i lunghi capelli – il maglioncino nero della divisa sotto la quale presero vita le forme della lupa nascoste unicamente dal velo bianco della camicia dai profili verdi e argento della loro casa. Dal tessuto poteva intravedere vagamente il colore della biancheria. Lo sguardo del bulgaro s’affilo mentre lei proseguì la sua opera di inconscia seduzione – c’era davvero dell’innocenza? – sbottonando i primi bottoni della stessa dopo essersi liberata dal cappio della cravatta. Quando si piegò in avanti cercando la presa della sua mano Axel in due passi le fu davanti, addosso, poggiando le ampie mani sulle cosce di lei stringendole con delicato possesso mentre trovava posto tra di esse. Lasciò che si allungasse contro di lui, su di lui eventualmente fremendo per l’elettricità sprigionata dal tocco dei loro corpi, mentre lei con inaspettata dolcezza depositava un casto bacio all’angolo delle sue labbra.
    «Grazie» fece mentre i loro occhi s’incontrarono ed Axel vi lesse tutta la gratitudine espressa dalla lupa per quanto aveva fatto per lei in quell’aula dalla semplice preparazione di quella pozione all’ascolto di quello che era il suo tormento peraltro condiviso. Freya lo aveva capito? La fissò in quegli occhi verde giada collegando direttamente le loro anime, ringraziandola a sua volta, silenziosamente, per non averlo forzato a condividere qualcosa che non voleva ma ad averlo forse capito, chissà, in quei silenzi. Axel non era abituato a parlare, non lo aveva mai fatto poiché molto banalmente al suo padrino non era mai importato e tutt’ora non era interessato al suo sentire giudicandolo pedante e superfluo perciò, il bulgaro, aveva imparato a smorzare tutto lasciando che morisse nel profondo della sua anima tormentata. Era nei suoi silenzi, nei suoi occhi che vi si poteva leggere l’intera entità di quel dolore.
    Lasciò andare la presa dalle sue gambe accarezzandole dapprima la guancia liscia con una mano per poi finire, assuefatto dal legame creatosi tra i loro occhi, a stringerle il viso con delicatezza quasi fosse un oggetto prezioso. Solo un istante prima di calare sulla sua bocca in un vero e proprio bacio ma non affamato come lo erano stati altri, quelli spinti dal fuoco della passione che divampava tra loro ma dolce, delicato, pregno d’altro. Assaporò la sua bocca con gentilezza fino a che la natura non prese il sopravvento mutando quella dolcezza in passione. Una mano lasciò il suo viso andando a riprendere possesso della sua gamba con la quale si avvolse la vita intimando ai loro corpi una vicinanza maggiore. Lasciò andare le sue labbra mentre un sorriso furbo prendeva vita sulle sue prima d’abbassarsi al suo collo che percorse con altrettanti baci infuocati mentre le mani andavano infilandosi al di sotto della camicetta. Se Freya glielo avesse consentito avrebbe saputo decisamente come ingannare l’attesa.


    Edited by Dragonov - 8/12/2023, 18:14
     
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    Freya Estrid Riis | V | Serpeverde


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    Cosa si nascondeva dietro a quell’aria enigmatica poteva essere estremamente facile o incredibilmente difficile da intuire, questo dipendeva soprattutto da quanto una persona fosse predisposta a voler ascoltare quel silenzio ricco, denso di significati inespressi, un silenzio che avrebbe riempito l'intera stanza non fosse stato per il delicato sobbollire della pozione sul fuoco moderato che proseguiva, indisturbata, ignorando ciò che invece avveniva tra i due giovani che si fissavano senza proferire altra parola. Con quel giorno, Freya era convinta che fossero tre i tipi di silenzio che Axel spargeva attorno a se da vero professionista: quello infastidito, in cui le sue espressioni danzavano e si esprimevano al suo posto, quello di quando non aveva nulla da dire, in cui si limitava a fissare gli altri con sufficienza e, infine, quello inevitabile, di quando non si può o non si vuole parlare di qualcosa che fa troppo male affrontare e per cui, spesso, non si trovano le parole. Lei lo percepiva tutto quel disagio, vivendolo in prima persona sulla sua stessa pelle ogni mese, anzi, ogni giorno per motivi differenti. Lei era abituata a parlarne, a dare voce ad almeno alcuni di quelli che erano i suoi tormenti interiori, avendo avuto la meschina fortuna di vivere tutta quell'esperienza mano nella mano con suo fratello, ma lui? Axel aveva qualcuno? Tutto di lui le faceva credere che fosse solo, almeno in quello ed era visibile dai suoi occhi che, per una volta, mostravano lo strazio che tutto quel discorso aveva riportato alla luce. Non lo forzò a dire nulla e, si promise, mai lo avrebbe fatto, sostenendo il peso di quello sguardo limpido e privo, almeno in quel momento, di qualsiasi corazza fosse solito rivestirsi, conscia che qualsiasi cosa avesse passato lei, a lui doveva essere andata decisamente peggio. Ricordava la morsa al petto che l'aveva travolta la prima volta che lo aveva spogliato, in cui aveva passato le mani su quei segni ormai rimarginati che ricoprivano la sua pelle, così come quelli ancora freschi che, presto o tardi, avrebbe scoperto come si fosse inflitto. Era li, lampante, leggibile in ogni cicatrice chiara che increspava la sua pelle altrimenti perfetta, Axel era un sopravvissuto, e lo aveva scritto su tutto il corpo. Un sorriso timido e appena accennato fu tutto ciò che gli lasciò, inclinando appena il capo verso la spalla destra, rispettando quel suo silenzio ermetico, sperando che capisse, dal suo sguardo morbido e privo di giudizio alcuno, che lei era li se mai avesse voluto parlare o non parlare, anche solo per condividere un silenzio che, in cuor suo, sapeva bene quanto peso avesse. Tutto ciò che poteva fare, in quel momento, era lasciargli spazio per rimuovere di dosso il peso che, non volendo, gli aveva messo sulle spalle e che, era probabile, avesse riportato a galla in lui. Ormai era allenata, non volendo che qualcuno leggesse le sue reali emozioni, a saltare da uno stato d'animo all'altro senza troppe difficoltà. Viaggiava a compartimenti stagni, spegnendo il suo sentire a comando e spostando altrove la sua attenzione così che fosse altro a riempire i suoi pensieri e che le permettesse di cambiare umore. Un po' lunatica, ma a comando, era un po' quello che Oliver definiva il suo superpotere mentre, per lei che lo viveva come una naturale evoluzione degli eventi, non vi vedeva nulla di strano. In quel caso, mentre si accomodava di nuovo su uno dei banchi, il fulcro era sempre Dragonov, il burbero Serpeverde che non era certa fosse conscio di come gli altri lo percepissero, o almeno non sempre. Imponente e dai modi taglienti, era facile supporre non fosse una di quelle persone affabili e alla mano, cosa che per lei risultava più che altro un'attrattiva, e poi, come fosse nulla, eccolo mettersi in prima persona a dare una mano prima ancora che gli venisse chiesta. Il principe azzurro sotto mentite spoglie. Fu un sollievo vederlo sorridere dopo tutta la tristezza che aveva visto scorrere sul suo volto e, vederlo arrossire seppur leggermente, fu per lei una vittoria che non sapeva stesse cercando. Adorabile. Era carino in tutti i sensi.
    -Si, la barba. Oppure quella tua aria da stronzo- ridacchiò scherzando e ricordando di come, già una volta, lo avesse appellato in quel modo -Tutte pronte a farti cadere ai loro piedi- ah ah ah, ma che divertente. Sorrideva, Freya, e intanto malediceva quella sfilza di ragazzette sognanti che sospiravano al passaggio del principino. Merlino se si sarebbe cavata gli occhi da sola pur di non vederlo e, a tal proposito, distolse lo sguardo per tornare a prestare attenzione alla pozione ed osservandone l'andamento. Le attese, si sapeva, non erano certo il suo forte, e aspettare poteva rivelarsi deleterio per chi come lei soffriva di un elevato deficit di pazienza
    “Hai impegni?” sollevò gli occhi al cielo facendo mente locale, arricciando le labbra quando poi si ricordò di ciò che l'aspettava
    -In effetti si, ho un appuntamento- ammise sollevando le spalle e rilassandole subito dopo -Ma non prima di cena- aveva davanti a sé ancora qualche ora di libertà prima di venir risucchiata da quella che era diventata, da poco, una nuova routine a cui non avrebbe potuto sottrarsi -Un turno extra a lavoro- ammise titubante. Tanto prima o poi l'avrebbero vista lavorare alla Testa di Porco, inutile anche solo provare a tenerlo nascosto. Le gite settimanali ad Hogsmeade erano qualcosa a cui nessuno avrebbe rinunciato e, per quanto non fosse avvezza al lavoro e non lo trovasse nemmeno troppo appagante, non credeva fosse giusto sentirsi a disagio in una cosa così umana quale lavorare. Il fuocherello vivo del fornello aveva ormai riscaldato la stanza quel tanto da creare un fastidio a colei che, abituata ai climi freddi Norvegesi, poco tollerava il caldo pure se di pochi gradi superiore a ciò a cui era solita.
    SidO9
    Si liberò di cravatta e maglioncino, dando poi più libertà al decoltè slacciando i primi bottoni. Lo sguardo viride tornò a posarsi sul bulgaro, scrutandolo per brevi attimi prima di azzardare, ancora una volta, una mossa per avvicinarlo a sé. Sentiva il bisogno di ringraziarlo per ciò che aveva fatto e stava ancora facendo per lei, lasciando che si insinuasse tra le sue cosce e annullando ogni distanza ed arrischiandosi in un bacio casto che doveva fungere da pagamento al disturbo arrecato quel pomeriggio. Tanti i non detti nello sguardo smeraldino del Serpeverde e, seppur Freya non avesse la presunzione di poter dire di averli colti tutti, era sicura di averne colto qualcuno, rispondendo a quell'ennesimo silenzio incurvando le labbra carnose verso l'alto. Il dispiacere nel sentire le mani del ragazzo abbandonare le sue gambe si affievolì quando le sentì sul suo viso, poggiandosi leggera contro una di esse e coprendola a sua volta con una delle proprie. Gli occhi si chiusero naturalmente mentre le labbra si unirono, delicate, a quelle sottili e ricercante di Axel. Una lenta danza leggiadra, una delicata carezza che le diede modo di sentirlo più vicino. Si strinse di più a lui facendo collidere i due corpi, percependo il petto del ragazzo sollevarsi contro il proprio ad ogni respiro, avvertendo la camicia di lui tendersi ad ogni movimento mentre, lenta, vi faceva scivolare le dita fino a giungere, infine, ad intrecciare le braccia dietro alla nuca del moro, approfondendo di più quel contatto e lasciando che la leggerezza di quel momento venisse, poco alla volta, sopperita dalla bramosia che andava aumentando, stimolata dal calore che i due corpi avvinghiati emanavano, dall'odore della loro pelle che andavano mischiandosi e dal desiderio stimolato dalle mani che andavano esplorandosi come ogni volta. Lasciò che le facesse ancorare la gamba alla sua vita, scivolando sul banco per avvicinarsi, se possibile, ancora di più al corpo statuario del verde-argento. Con dita abili sciolse il nodo della cravatta, liberandolo da quell'inutile costrizione
    -Axel..- non potevano, non in una classe dove chiunque, professore compreso, serebbe potuto entrare, ma non poté trattenersi quando avvertì le labbra di lui sul suo collo, espirando dalla bocca in un mix di sorpresa ed eccitazione -Non dovresti- sussurrò mentre il collo si allungava alla mercé del bulgaro, in completo disaccordo con quello che le la sua bocca diceva. Maledizione. Anche l'altra gamba raggiunse la prima, ancorandosi a lui e stringendolo a se. Sciolse i primi bottoni della camicia immacolata del ragazzo, affondando il viso nell'incavo del suo collo su cui depositò una scia di baci umidi, passando per la clavicola fino al petto segnato per poi tornare su ed arrestarsi solo quando sfiorò il lobo dell'orecchio
    -Colloportus- enunciò contro la porta ora sigillata dopo aver recuperato la bacchetta che poi lasciò scivolare al suo fianco. Con le pupille dilatate per il desiderio, tornò ad osservare con un mezzo ghigno il giovane uomo che le stava di fronte e, senza interrompere il contatto visivo, fece di nuovo scivolare le mani su di lui, soffermandosi appena sul petto da cui percepiva l'acceleramento naturale del cuore del mannaro, per poi scendere sempre più giù, fino alla barriera costituita dalla cintura ma senza arrendersi ad essa, intrufolandovisi al di sotto, almeno quel tanto che bastava per estrarne la camicia. Ma la ragazza non si fermò, portandosi le mani al petto e dedicandosi, ora, a quelli che erano i suoi indumenti. Slacciò un altro bottone, poi un secondo, ed infine un terzo, lasciando che l'intimo candido uscisse del tutto allo scoperto mentre, soddisfatta, sollevava un angolo della bocca in un ghigno malizioso. Sembrava proprio un pomeriggio di piacevoli torture.

     
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    «Ma se sono così affabile» replicò non potendo trattenere la mezza risata smorzata che quell’affermazione, una vera e propria iperbole, aveva in lui suscitato. Sapeva benissimo d’avere un carattere estremamente discutibile e d’essere antipatico ai più ma non era una cosa che lo preoccupava o gli creava un cruccio, anzi, in realtà, della percezione altrui se ne fregava ampiamente e con una certa risolutezza in quanto, da qualsiasi prospettiva lui l’analizzasse, ne avrebbe tratto un vantaggio. Meglio ancora insomma! Una double win con i fiocchi di quelle che gli piacevano di più quando, in ogni caso, si trovava a vincere. Se gli altri avessero continuato a trovarlo sgradevole beh, fisiologicamente e statisticamente, le rotture di coglioni si sarebbero mantenute ad una certa distanza; scoraggiate da quell’onnipresente broncio o dall’occhiata inceneritrice che rivolgeva a chiunque non gli andasse a genio e/o che aveva persino l’ardore di incrociare il suo cammino con il colosso di Serpeverde. Per come la vedeva lui già la sua stazza smisurata avrebbe dovuto fungere da deterrente ma un’occhiataccia, beh, quella male non avrebbe potuto fare sottolineando l’ovvio disprezzo e poi, c’era il secondo motivo, la seconda vittoria che in qualche modo andava a collegarsi con la prima: il suo ego. Proprio quell’ego che lo portava a credere fermamente che il suo carattere non dovesse modificarsi per nessuno. Era fatto così, prendere o lasciare. Non avrebbe cambiato sé stesso perché qualcuno – decisamente indegno – non era all’altezza di stare al passo finendo per non reggere il confronto e peggio poi, una volta uscito sconfitto, finendo a lamentarsene con il prossimo. Non era un suo cazzo di problema! Non ne era responsabile e tantomeno gliene importava minimamente. Diverso era invece l’approccio che poco alla volta Freya lo portava a compiere. La mannara, fino a quel momento, non s’era mai lamentata di lui ed anche in quel momento, nonostante lo spinoso punto in comune che condividevano e nella quale aveva indirizzato l’argomento di discussione, non lo aveva forzato a fare nulla. Niente, nemmeno l’ombra di una parola o confidenza di più. Niente che costringesse Axel a fuoriuscire dalla sua comfort zone. Freya non gli aveva imposto nulla né aveva preteso nulla ma era stata in grado di leggere tra le righe di quel suo silenzio. Lo percepiva. Era certo che quell’impressione non fosse dettata da un’errata lettura del linguaggio non verbale del suo corpo, gli sembrava di poterlo leggere nella calma – era realmente calma? – dolcezza del suo sguardo. Capiva e sentiva di non poter spingere oltre e le andava bene così e questo rappresentava un risvolto del tutto inaspettato per il mannaro che in vita sua non aveva mai trovato una comprensione così spiccata e così naturale verso la sua condizione. Era quello il motivo che lo spingeva a ricercare le attenzioni della norvegese? Anche poiché in quanto essere umano, seppur in parte, era naturale anche per lui spingersi ad indugiare in un qualcosa che lo facesse sentire bene, stare bene, e avere intorno quel piccolo tornado di positività della Riis aveva scoperto lo faceva effettivamente stare bene e non solo per le attività in cui spesso si trovavano a soffermarsi, quello era un extra, era un di più che semplicemente coronava la sintonia che c’era tra i due ma la verde-argento riusciva nell’impresa di strapparlo dalla merda nella quale altrimenti la sua mente lo avrebbe portato: casa, lavoro, maledizione. Ovunque si voltasse Axel vedeva la misera che altri non era la sua vita. Era quindi un peccato se uno come lui si soffermasse in una situazione che invece, inaspettatamente, alleggeriva la sua esistenza? Non poteva esserlo e finché fosse durato avrebbe continuato a persistere in qualsiasi cosa questo si trattasse senza porre limiti o confini. Un po’ come tutte le cose che faceva. Nessun limite, nessun confine. Lo faceva e basta perché gli andava e nessuno, almeno dove poteva davvero decidere, avrebbe sentenziato diversamente. Avrebbe difeso con le unghie e con i denti quel briciolo di libertà ancora in suo possesso.
    «In effetti si, ho un appuntamento.» Lo sguardò smeraldino si sollevò cercando immediatamente il volto della mora, preso in contropiede da quell’ammissione che sì, incurvò i lineamenti del bulgaro manifestando visivamente del fastidio. Non era calcolato né tantomeno previsto. Come se avesse potuto farlo... Fastidio il suo, un sentimento che non aveva alcun diritto di provare nei suoi riguardi ma che mise immediatamente a tacere quando lo realizzò e quando l’altra lo mise al corrente della natura di quell’impegno: lavoro, semplice lavoro e, a giudicare dalla smorfia che fece, non ne era nemmeno particolarmente entusiasta. «Che due coglioni... ?» Provò ad abbozzare in quello strano tentativo di cavarle qualche informazione di più dalle labbra. Non sapeva lavorasse ma c’era da dire che, tralasciato il loro segreto più oscuro, nessuno dei due sapeva poi molto dell’altro e soprattutto lei di lui proprio a causa di quell’ermeticità che lo contraddistingueva.
    «Non immaginavo lavorassi... Freya» si sarebbe mai abituato a chiamare qualcun altro col suo nome? Era uno strano esercizio ma considerato quanto l’altra gli desse avrebbe compiuto quello sforzo seppur lo sentisse innaturale, non nelle sue corde in quanto per lui era come avvallare un’inaspettata confidenza. Doveva prenderci mano. «Non c’è tanta gente che lavora» per quanto ne sapesse lui dall’alto del suo spiccato disinteresse. Per come la vedeva lui, stare al castello avrebbe voluto e dovuto dire relax da quella prospettiva. C’era tempo, dopo il settimo anno, una volta diplomati, per fasciarsi la testa con il futuro. Almeno, chi poteva farlo. Lui lavorava, guadagnava, ma c’era da dire che non aveva avuto scelta da quel fronte. Il biglietto del padrino si materializzava criptico sul suo comodino e lui non poteva fare altro che obbedire portando a casa questo o quel prodotto o consegnando questo o quel veleno. Merda anche quel fronte. «E cosa fai di bello?» Lei che invece non doveva affrontare l’ennesimo schifo e che rappresentava leggerezza. Avrebbe lasciato che il suo racconto, se avesse voluto metterlo a parte, alleggerisse il suo sentire e poi avrebbe lasciato che il calore del suo corpo facesse il resto. Era un invito quello della lupa? Le sopracciglia s’incresparono appena mentre l’osservava sfilarsi quanto di superfluo possedesse quella divisa. Le forme ed il gioco visivo del vedo-non-vedo attirarono immediatamente la totale attenzione – attrazione – del lupo che si lasciò attirare dall’invito dell’altra che cercò la sua mano. Presto le labbra si unirono in quello che dapprima aveva tutte le intenzioni più nobili che un bacio potesse contenere ma, immediatamente, il fuoco divampante dell’attrazione ebbe la meglio portando quello stesso bacio a sconfinare verso la carnalità che la loro natura possedeva.
    Lambì il suo collo sfiorandolo delicatamente ascoltando attentamente la tonalità dei suoi respiri variare mentre l’istinto prendeva il sopravvento, mentre le mani cercavano il suo corpo, insaziabili, di fronte a quella perfezione che accendeva ogni minima parte di sé.
    «Axel»
    «M’mh» la voce della norvegese era un supplica stentata sotto il suo abile tocco che portava la ragione a scivolare lenta ed inesorabile oltre la mera bramosia dettata dal desiderio.
    «Non dovresti...» Già, non avrebbe dovuto. Avrebbe dovuto dominarsi, aiutarla a portare a termine quel piacere che le stava facendo (la pozione s’intende) e sistemare quel laboratorio del cazzo per poi trascinarla nella Sala Comune e fare di lei ciò che stava esattamente facendo su quel banco. Ma perché aspettare? Ah sì, perché Fletcher sarebbe potuto tornare da un momento all’altro a controllare che avesse eseguito ciò che gli aveva ordinato. Fletcher. Pericolo. Ma quella che avrebbe dovuto giungere al suo orecchio come un avvertimento altro non fece che accendere la scintilla del proibito. Le mani giunsero al seno che da sotto la camicetta s’intrufolarono all’interno del reggiseno bianco. Incontrò lo sguardo velato della lupa e successivamente si abbassò insinuandosi nello scollo per succhiarne avidamente la pelle mandando a puttane l’ultimo baluardo del senno d’entrambi. La sentì piegarsi al suo volere, chiedere di più e finalmente concedersi mentre le dita di lei andavano ad ancorarsi al primo bottone facendolo saltare insieme, successivamente, agli altri, liberando il suo petto febbricitante segnato dal morso che aveva condizionato la sua esistenza fino agli infiniti scontri e punizioni che avevano lasciato traccia indelebile sul suo corpo. Axel non se ne vergognava, le ignorava in quanto parte di sé. Lasciò che lo svestisse assecondando ogni suo movimento e trattenne il respiro quando l’altra s’avvicinò pericolosamente alla cintura che successivamente lui andò a slacciare non mancando di seguire con lo sguardo ogni singolo movimento dell’altra che era passata a scoprire sé stessa regalandogli la visione di quella pelle olivastra ricoperta, quasi fosse un gioiello, dall’intimo candido che ne valorizzava le forme.
    Non si sarebbe mai saziato della visione di un corpo femminile, così armonioso, perfetto. La mano si ancorò al fianco di lei accarezzandone con il pollice il costato prima di scorrere lungo la schiena, ai gancetti, che fece saltare con maestria liberandole il seno a cui dedicò immediatamente le sue premure per poi scivolare lungo il suo ventre e lì, al di sotto della gonna, inginocchiato a lei, regina delle sue attenzioni, baciò avidamente il suo frutto proibito rubandole il respiro.
     
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    Freya Estrid Riis | V | Serpeverde


    S02u6
    Era arrivata alla conclusione che, spesso, le persone non avessero il tempo di essere felici, troppo occupate ad essere qualcos'altro, di solito ad essere forti per non cedere alla pressione di quelle torture, psicologiche e non, attraverso cui erano dovuti passare con il solo scopo di andare avanti. Lei non lo era sempre stata, si era arresa, per un momento aveva abbandonato ogni forma di tempra che si era auto-imposta, perdendo di vista le motivazioni che avrebbero dovuto spingerla a continuare nonostante la desolazione e il dolore, anche letterale. Un solo momento di sconforto e tutto sarebbe finito, la desolazione della sua esistenza avrebbe avuto pace ma, con essa, si sarebbe persa così tante esperienze diverse, sensazioni positive che non sapeva sarebbe stata in grado di provare, momenti belli che sarebbero diventati i ricordi di domani. A volte il posto peggiore in cui stare era la propria testa. Era stata fortunata abbastanza da capire che, anche se la sua vita non poteva considerarsi fortunata, anche se non era stata buona con lei, se avesse resistito abbastanza sarebbe anche potuto avvenire qualcosa di buono. Aveva imparato che poteva succedere di perdere le giuste ragioni o la speranza ma, persistendo e andando avanti, ne avrebbe sempre trovate di nuove. Resistere, persistere, si trattava solo di quello e tutti, chi più e chi meno, lo facevano a modo loro. Chi, come lei, ingabbiava e soggiogava quelle sensazioni, affinando la propria abilità nel mantenere tutto ciò che sentiva sotto controllo, e chi, come Axel forse, attraverso muri di silenzio spessi ed invalicabili, difficili da decifrare per chi non avesse una chiave di lettura per poter interpretare ciò che non diceva. Una forma di egoismo, il loro? Forse si, ma solo per chi non aveva la pazienza o la voglia di capire cosa si trovava dietro. Eppure, agli occhi di Freya, era così chiaro.
    -Affabile, certo- ridacchiò anche lei immaginandolo, per qualche motivo, ad aiutare le vecchiette ad attraversare la strada o a portare a casa la spesa pesante -Quando vuoi e con chi vuoi. Infatti te l'ho detto, no? Sei carino- ripeté di nuovo davanti l'evidenza dei fatti. Nonostante tutti i cazzi che potesse avere per la testa era li, ad aiutarla ed ascoltarla, senza chiederle nulla in cambio. Buffo come si fosse avvicinata a lui, attratta dal suo aspetto, e fosse poi rimasta invischiata in quella che, invece, era la sua persona. C'era qualcosa, in lui, che la faceva sentire un po' più viva e molto meno persa e, per questo, valeva la pena attraversare quel mare silenzioso in cui avrebbe dovuto interpretare ogni sguardo e ogni segnale, proprio come quello ambiguo che le stava rivolgendo in quel momento e che notò incrociando gli occhi con quelli altrettanto chiari di lui. Se avesse detto di non aver scelto un modo ambiguo di proposito per rivelargli di dover andare a lavoro quella sera, beh, avrebbe mentito. Ricordava le parole di Mike che la spronavano a domandare, a chiarire quella situazione tra loro, ma il biondino se lo poteva scordare! Non un fiato, non una parola sarebbero uscite da lei a riguardo, sfruttando metodi ben più subdoli per scoprire se in lui ci fosse traccia di un interesse che non fosse prettamente fisico, subdoli e inutili perché, nonostante quello sul volto del moro riuscì ad interpretarlo come vero e proprio fastidio, non era sicura di poter fare affidamento sulle sue capacità di lettura delle espressioni. Per quanto ne sapesse, poteva esserselo solo immaginata, spinta da quello che era un suo desiderio più che la verità. Non si definiva attendibile, in quel momento, soprattutto perché una parte di lei era più che convinta che non fosse possibile
    -Che due coglioni davvero- le labbra si piegarono in un sorriso divertito per quei tentativi zoppicanti di chiamarla per nome, si vedeva che non era ciò che gli veniva naturale, si stava forzando. Per lei. Carino! -Si, beh, beati loro che non ne hanno bisogno!- nata e cresciuta in una famiglia di Purosangue abbienti, anzi più che abbienti, l'ultima preoccupazione che ci si potesse aspettare da lei era proprio che le servissero dei soldi. Tuttavia era così, era necessario che si rendesse indipendente sotto ogni punto di vista se voleva tentare una fuga disperata che l'avrebbe tenuta alla larga dai suoi genitori ed i loro progetti, senza dover per forza gravare sulle spalle dei suoi fratelli -“Bello” è un parolone- mimò il segno delle virgolette con le dita -Diciamo che lavoro nel settore terziario di precisione, metto in campo le mie abilità per favorire lo sviluppo socio-economico dell'attività per cui opero garantendo il benessere dei clienti- annuì convinta di aver detto qualcosa di sensato. Se l'era studiata, quella, non sapeva con quale coraggio l'avesse detto ad alta voce, ma sperava che desse la sensazione che fosse tutto meno triste. Per quale motivo, poi? Nemmeno lo credeva davvero che fosse triste, la verità era che avrebbe fatto qualsiasi cosa per andare via dalla Norvegia -Si insomma, faccio la cameriera alla Testa di Porco. O barista se necessario- il locale di Hogsmeade più snobbato dagli studenti che, troppo per bene, preferivano di gran l'unga l'altro locale ben più ampio, più conviviale e, doveva ammetterlo, anche più pulito -Però, almeno, incontro sempre persone curiose e affascinanti. Un po' sinistre, lo ammetto, ma ci si fa l'abitudine- scrollò le spalle all'apparenza esili e si ravvivò i capelli prima di tornare ad osservare il ragazzo ed accertarsi che non stesse ridendo di lei -Sempre meglio dell'altro locale, il Wonderland, dove sono durata solo una sera, li erano tutti viscidi e bavosi, e allungavano troppo le mani per i miei gusti- come se non fosse stata cacciata malamente dal proprietario. Già, a quanto pareva non era permesso sputare nei bicchieri dei clienti, soprattutto non davanti ai clienti stessi -Io..- tornò seria, ma si fermò. Che stava per dire? Rivelare i motivi che l'avevano spinta ad alzare il suo culo da snob e rimboccarsi le maniche? Per un solo pomeriggio gli aveva rivelato ben più di quanto avrebbe dovuto addossargli, facendogli passare orribili minuti a rivangare qualcosa che aveva intuito pesasse anche su di lui, poteva bastare così. Come al solito, la tristezza derivata da quello che stava per dire abbandonò il suo volto, lasciando spazio ad un sorriso all'apparenza sincero che nascondesse ogni traccia di biasimo verso se stessa -É divertente, in fondo- non quanto quello che avvenne subito dopo. L'attrazione che spingeva i due a cercarsi, a sfiorarsi, ad aversi era reale, non uno scherzo messo in atto dalla sua mente che desiderava più di quanto osasse chiedere. Quando Axel la baciava, riusciva a farle percepire tutto il desiderio che sentiva in quel momento verso di lei. Nessuna vergogna, nessun limite, tutto era concesso. Era strano perché aveva sempre desiderato un luogo in cui sentirsi a proprio agio ma, per qualche motivo, quel luogo si stava incarnando in una persona. Lui la voleva, lei, una creatura maledetta a cui non erano state rivolte che parole di disgusto, un mostro a tratti barbaro, eppure nulla nel modo in cui lui la stringeva la faceva sentire mostruosa.
    S02ua
    Chissà se se ne rendeva conto, lui, che ogni volta che stavano insieme aggiustava un pezzetto di lei che non aveva rotto lui. Ricambiò quei baci con la stessa foga che si impossessava di lei ogni volta che era libera di lasciarsi andare, lasciò la modellasse come creta tra le sue mani, piegandosi a quella tentazione incarnata che le annebbiava i sensi ogni volta che le sfiorava un lembo di pelle. Non fu difficile da convincere e lasciare che l'istinto avesse la meglio sulla ragione, sigillando quella porta da cui nessuno sarebbe dovuto entrare per interrompere qualsiasi cosa avessero avuto intenzione di fare ma, dal modo in cui le dita del bulgaro si insinuarono sotto i suoi vestiti, sembrava tutto molto chiaro. Lo svestì della camicia, avventandosi a sua volta su quella pelle increspata dal sapore così familiare, stringendolo a sé avvolgendogli le gambe alla vita. Si sfilò la camicia, ormai superflua, prendendo di nuovo possesso della sua bocca, fremendo sotto le sue dita abili che la sciolsero dalla costrizione del reggiseno mentre lei, non da meno, faceva saltare con facilità il bottone dei pantaloni della divisa del verde-argento, insinuandosi sotto di essi per accrescere il piacere di quel moretto che, senza sconti, sembrava si divertisse a vederla impazzire. Trattenne il fiato quando le labbra di lui arrivarono a tormentarle il seno, e gli occhi si chiusero mentre le attenzioni di lui scendevano sempre più in giù, intanto che il desiderio di lei aumentava. Inerme al suo volere, lasciò che l'ultimo lembo di intimo venisse fatti scivolare lungo le gambe toniche, e non trattenne un gemito di piacere quando lo sentì dedicarsi al suo punto più sensibile. I denti si serrarono sul labbro inferiore e le mani andarono a stringersi sui bordi di quei banchi che la sostenevano, qualsiasi cosa per evitare di farsi scoprire dai passanti ignari che, se lo avessero scoperto, avrebbero potuto solo desiderare di essere loro. Brividi incontrollati attraversarono il suo corpo, privandola di qualunque forza per reagire a quel piacevole supplizio e, quando un'ondata di pura estasi la colse, affondò una mano nei capelli corvini che le solleticavano l'interno sensibile delle cosce. Lo attirò a sé, prendendo possesso delle sue labbra, scendendo da quell'appoggio improvvisato ed imponendo alle sue gambe di non tremare. Fu facile, per lei, invertire le posizioni, spingerlo contro una di quelle credenze, lontano dal calderone che continuava indisturbato la sua opera, sfiorando il suo collo con le labbra ormai turgide, quindi scendere verso il petto e soffermarsi sul basso ventre, alzando lo sguardo per leggere di nuovo quel volto che parlava più di quanto Axel facesse con le parole e, infine, dedicarsi a lui ricambiando quelle attenzioni nel modo che, ormai aveva imparato, lui preferiva. Attenta a non perdersi un sospiro, cercò di portarlo al limite senza mai superarlo fino a quando, ormai incapace di attendere oltre, si alzò di nuovo attirandolo verso di sé, poggiandosi di spalle contro il suo petto, afferrandogli le mani e portandolo a stringerle le braccia attorno alla vita. Fece scorrere una delle mani ampie e abili del moro verso l'altro, lasciandola quando le sfiorò il seno solo per posarla sul suo viso ispido, costringendo a voltarlo verso di lei, rubandogli l'ennesimo bacio. L'altra mano la fece scivolare verso il basso -Voglio di più- sussurrò a fior di labbra, facendogli afferrare l'orlo della gonna in un chiaro invito a sollevarla.



    Edited by -RedFlag- - 7/1/2024, 15:17
     
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    «Lavoro nel settore terziario di precisione, metto in campo le mie abilità per favorire lo sviluppo socio-economico dell’attività per cui opero garantendo il benessere dei clienti.» Lo sguardo andò ad incatenarsi a quello della Serpeverde. Cosa?! Non aveva capito una sola virgola di tutta quella sciolinatura, o meglio, conosceva – ovviamente – il significato delle singole parole ma per una qualche ragione il suo cervello non era in grado di connetterle una con l’altra dandone un significando di senso compiuto impedendogli, di fatto, di identificare il lavoro svolto dall’altra. Ma che cazzo?! L’espressione andò a corrucciarsi di un minimo portando magari l’altra ad un sorriso mentre gli rivelava quale fosse il suo reale impiego:
    «Faccio la cameriera alla Testa di Porco. O barista se necessario.» Aaaaah! E ci voleva così tanto?! Pensa te! La Testa di Porco. Già. Ah! La Testa di Porco. Questa era davvero interessante! Hai capito quella vecchia volpe del suo oramai compare Jack. Furbo lui. Poteva immaginarselo mentre cercava di mantenere un contegno alla vista di quella ragazza assolutamente splendida, mentre dissimulava la bava colante all’angolo della bocca fintanto che gli chiedeva se potesse dargli un lavoro, l’espressione arcigna, fintamente pensante mentre passava a valutarne le caratteristiche come alla ricerca di una qualche predisposizione fisica che la rendesse in grado di riempire e reggere più boccali di birra insieme quando in verità il suo sguardo aveva trovato più di due motivi puntati contro. Vecchia fottuta volpe del cazzo. Figurarsi se aveva potuto dir di no ad una del genere.
    «Sì so cosa intendi», il ghigno s’ampliò naturalmente. Come dirle che proprio tra quegli individui sinistri c’era anche lui? Avrebbe cambiato qualcosa nella considerazione che aveva di lui? Influito in qualche modo sul suo personale giudizio? Chissà. Fatto stava che per il patrimonio lasciato in quel luogo poteva dirsi socio del proprietario e quel bastarlo non lo aveva informato di un’acquisizione simile. Magari quella di Jack doveva essere una sorpresa. Gran figlio di puttana.
    «Sempre meglio dell’altro locale, il Wonderland, dove sono durata solo una sera, li erano tutti viscidi e bavosi, e allungavano troppo le mani per i miei gusti.» Un’ombra passò nel verde smeraldo degli occhi del mannaro che tornò immediatamente ad incupirsi mentre un nodo all’altezza del petto minacciava quel ringhio altrimenti silente che smorzò abilmente in un colpo di tosse. Maledetti inutili vermi. Incapaci, inetti nel sedurre una donna e quindi? Che facevano? Allungavano le mani come fossero oggetti la cui proprietà poteva essere oggetto d’interscambio. Ma Freya era di più, Freya poteva difendersi e spaccare loro l’osso del collo. Ma in sede di giudizio a chi avrebbero dato ragione? Alla lupa che, in quanto tale, godeva di uno svantaggio non indifferente agli occhi della società o alla famiglia del mago pieno di soldi in possesso di un avvocato con i contro coglioni. L’avrebbero mangiata viva. Bella o non bella che fosse di fronte ad un lupo mannaro, scarto della civiltà per antonomasia, tutto perdeva di rilevanza. Qualsiasi talento posseduto cadeva nel dimenticatoio ed unicamente la maledizione calcava quel palcoscenico che era la vita come attrice protagonista vincitrice dell’oscar. Esistenza del cazzo. Fanculo!
    «Quello è un posto del cazzo. Evitalo Fece marcando involontariamente su quello che a tutti gli effetti l’altra avrebbe potuto percepire come un ordine. Axel non aveva scelto di proposito di utilizzare quel tono contro di lei ma il suo istinto, la sua parte animale, presero il sopravvento in quel frangente ponendo in avanti la sua incolumità e quel primordiale sentore di possesso che provava nei suoi riguardi. Fissò lo sguardo nelle iridi giada di lei prima di porlo nuovamente sul calderone quasi le erbe avessero bisogno della sua supervisione affinché rilasciassero i loro principi. Sì il Wonderland era un locale che mai più di quel tanto gli era andato a genio. Poche volte vi aveva messo piede e mai per sua volontà ma per quella dell’accompagnatrice di turno e, in entrambi i casi, la cosa lo aveva stomacato e non poco. La cosa che più lo infastidiva era la politica aziendale di quel posto in determinate serate a tema, che erano poi quelle in cui si era trovato a partecipare, che voleva che la scelta del drink fosse a discrezione del personale dietro il bancone. Fin qui tutto bene non fosse che i suddetti drink fossero modificati da pozioni che per un breve lasso di tempo alteravano l’indole del malcapitato portandolo a compiere atti talvolta fuori da ogni logica come era successo alla Wheeler che si era trovata con un improvviso picco di libidine che l’aveva portata a dispensare impegnative “sessioni di lingua” non solo con il bulgaro ma anche con la prefetta-perfetta. Miss schizzinosa non l’aveva vissuta benissimo ed il moro supponeva che i commenti discutibili sulla capitana dei Grifondoro che giravano in quel periodo fossero stati messi in giro proprio dalla snob in questione. Che disagiata! Doveva decisamente scopare di più e forse proprio il fatto che il bulgaro le si fosse negato la mandava in tilt. Stai a vedere che Miss Ti-Odio, Miss Mi-Fai-Schifo, s’era in realtà presa una cotta per lui! Il solo pensiero lo faceva ghignare di soddisfazione.
    Saperla alla Testa di Porco per cui, per certi versi, rappresentava una sorta di certezza che lì si sarebbe trovata al sicuro in quanto il proprietario era un po’ come lui: burbero, scostante e diffidente ma la cui corazza altro non nascondeva che un animo tormentato dalla vita che avrebbe saputo dare molto di più, era solo necessaria la pazienza atta a scoprire un tale ripieno.
    «Io...» Cominciò la Serpeverde non arrivando mai a concludere quella frase quando le dita del mannaro si posarono delicate sul suo corpo sfiorandolo con leggerezza per poi cominciare ad imprimere, naturalmente, quella vena di desiderio e possesso che prendeva il sopravvento in sua presenza, quando lei lo spingeva a toccarla. Axel non chiedeva altro ipnotizzato dalla sua bellezza e dalla chimica che i due corpi emanavano in presenza l’uno dell’altra. Era come un richiamo per lui, qualcosa di arcaico ed inspiegabile che lo spingeva a ricercarne il contatto, ad indugiare su quella pelle lievemente abbronzata lasciando che l’escalation tra loro prendesse il sopravvento. Aveva la vaga idea di quanto la desiderasse? Il vago sentore di quello che era il suo potere su di lui? Totalmente soggiogato il bulgaro era incapace di ragionare con lei accanto, con lei così.
    Le ampie mani scivolarono lungo il corpo di lei sollevando la pelle in minuscoli brividi di piacere mentre si faceva strada, lentamente e prendendosi tutto il tempo del mondo, prima di arrivare sotto la sua gonna. Le scostò l’intimo benedendo la loro maledizione per renderli quasi indifferenti al freddo tanto da evitarle l’utilizzo di collant e si dedicò al suo piacere non perdendo nemmeno un sospiro, nemmeno un gemito talvolta imponendole di soffocarli nella sua bocca prima di scendere con essa continuando a giocare lungo la pelle scoperta fino ad inchinarsi totalmente a lei portandola lì, fin quasi a toccare l’apice e perché no volendoglielo persino donare non fosse stata volontà della stessa lupa di “ricambiare il favore”. Inerme di fronte alla sua volontà lasciò che fosse lei a decidere che fare di lui godendo di quell’inaspettata forza alla quale non era abituato.
    Ancora inginocchiato, le mani strette a premere sulle cosce scoperte di lei, la guardò dal basso curioso ed allo stesso tempo affamato di lei alzandosi in piedi, svettando al di sopra della sua testa ma totalmente servo di quello che sarebbe stato il suo volere. Lo baciò stringendosi contro di lui, lasciando che il fuoco che bruciava in loro divampasse fino a che non averti bruscamente la scaffalatura contro la schiena. Un ghigno si dipinse sul volto del moro che sparì nell’esatto momento in cui lei afferrò il coltello dal manico. La dominante si strinse sul bordo dello scaffale che si ruppe sotto la sollecitazione della sua stretta facendo scivolare a terra alcuni tomi.
    «Cazzo.» Oh quello a Fletcher non sarebbe piaciuto per niente! Ma gliene fregava? Meno di zero e con la magia lo avrebbe riparato come nulla fosse. Cercò di trattenersi stringendo il palmo in un pugno, affondando le unghie del lupo nel palmo mentre il piacere s’irrorava a piccole, intense, dosi ma anche lì senza mai raggiungere l’apice. Affondò le dita nei suoi capelli guidando la sua ascesa mentre il suo bacino ruotava peccaminoso contro il suo.
    «Voglio di più» sussurrò lei adagiandosi contro il suo petto, portando le mani di lui a stringerla dove voleva fosse toccata. Axel le baciò la nuca stringendole il collo, la base della mandibola, scendendo con le labbra lungo la sua colonna vertebrale mentre con l’altra mano ne soddisfava la richiesta spostando la gonna diventata oramai solo un futile intralcio. Con un ringhio entrò in lei espirando pesantemente di piacere mentre la portava a flettersi contro la prima superficie piana disponibile realizzando quella richiesta che lei aveva esplicitato ma che desideravano entrambi portando ambedue a raggiungere quell’agognato piacere.
    Con il fiato grosso si poggiò contro la cattedra mentre la dominante andava a ridare un ordine ai capelli scompigliati. Sollevò gli occhi smeraldini e, constatando il caos che avevano fatto, un sorriso si aprì sul viso. Fortuna che avrebbe dovuto mettere ordine.
    «È... pronta!» Come vola il tempo quando ci si diverte, eh? Non aveva avuto bisogno di controllare il calderone per constatare che i minuti d’infusione fossero molto più che passati. Il ghigno soddisfatto si accentuò mentre le sfiorava ancora una volta i fianchi mentre lei si girava sul piano prendendovi posto. La mano risalì lungo il profilo finendo per prendere posto nell’incavo del suo collo, appena sotto la mandibola indirizzando il suo viso – la sua bocca – verso le sue labbra che le strapparono un nuovo bacio, questa volta di congedo per quella giornata.
    Fletcher sarebbe tornato di lì a poco se erano sfortunati e lui aveva un po’ di cose in più da sistemare. Ricompose il suo abbigliamento e, riappropriandosi della bacchetta cominciò la noiosa opera di riordino ma questa volta con un umore ben diverso rispetto a quello con la quale aveva varcato il laboratorio.


    CITAZIONE
    CONCLUSA.


    Edited by Dragonov - 4/2/2024, 20:57
     
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