the pain within.

with Hunter, Norvegia.

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    Con sguardo malinconico, Daphne osservava il sole tramontare nelle fredde acque del lago Sognsvann, le quali riflettevano i colori di una stella ormai morente. Il cielo dalle sfumature rosse e arancioni rendeva tutto più suggestivo, davanti aveva un panorama bellissimo eppure non era felice come un tempo, perché i ricordi di quel luogo erano stati infettati dalle parole taglienti di sua madre e da una verità che avrebbe preferito non scoprire mai. Appoggiò la testa sulla spalla di Hunter e si rannicchiò tra le sue braccia in cerca di calore e confronto, finalmente serena dopo i giorni passati in sua assenza, lontani, e caratterizzati dalla perenne ansia che la sua amica di infanzia potesse provare a portarglielo via. Era una paura irrazionale la sua, non sapeva se effettivamente quella Emma sentisse qualcosa per il suo ragazzo, ma gli ultimi mesi erano stati complicati e dopo che Ellen aveva fatto crollare ogni sua certezza, era difficile non dubitare. Si fidava di Hunter, lo conosceva, sapeva che non l'avrebbe mai tradita ma di certo non poteva dire lo stesso di quella ragazza con cui, qualche volta, si era sentito perché le parole che aveva detto a sua sorella in America le ricordava bene. Gli aveva chiesto diverse volte che tipo di rapporto avessero e lui aveva risposto senza esitare, ma dopo quasi otto mesi di relazione aveva imparato a decifrare quel mistero e l'impercettibile irrigidimento delle sue spalle suggeriva che c'era dell'altro. O forse era diventata semplicemente paranoica dopo aver scoperto delle bugie di Ginevra, e se sua nonna, una delle persone che più aveva amato, le aveva mentito perché non potevano farlo anche gli altri? Cinse la vita di Hunter con le braccia, attirandolo a sé, e nascose il viso nell'incavo del suo collo respirandone il profumo sperando, in qualche modo, di mettere a tacere quegli assordati pensieri. Non voleva smettere di fidarsi delle persone, non adesso che era riuscita ad abbattere le sue difese e ad aprirsi con gli altri, così l'avrebbe data vinta a sua madre, la quale stava lentamente cercando di trasformarla nella bambola senza vita di un tempo. Questa volta, però, non ci sarebbe riuscita perché oltre all'odio e il desiderio di vendetta che alimentavano un'oscurità rimasta latente troppo a lungo, c'era anche l'amore che provava per Hunter che fungeva da contrappasso, impedendo alle tenebre di inghiottirla completamente. Era la sua luce, il suo faro nella notte, la sua bussola e l'unica persona di cui si fidasse ciecamente, tanto da portarlo in Norvegia, nel luogo in cui era nata e che poteva realmente chiamare casa. Erano stati due settimane separati, Hunter era andato dalla sorella in Francia e lei era rimasta a Londra qualche giorno prima di partire con Halley per Miami. Le era mancato terribilmente e anche se si erano sentiti spesso non era come averlo lì, accanto a lei, talmente vicino da poter contare le piccole lentiggini che contornavano quel viso dai tratti regali o accorgersi di quanto chiari diventassero i suoi occhi alla luce del sole, così diversi dal quel verde intenso e scuro che appariva ogni volta che la faceva sua e affondava in lei, lo stesso che aveva visto in quei tre giorni di bruciante passione trascorsi nella sua villa ad Oslo, lontano da tutto e da tutti. Avevano recuperato il tempo perso parlando e facendo l'amore, e il modo in cui lo aveva pregato di non smettere mai le fece tingere leggermente le guance di rosso. Ancora si sorprendeva dell'effetto che aveva su di lei. «Che ne pensi, ti piace questo posto?» Posò i suoi occhi azzurri su di lui, sorridendo appena e intrecciando le loro dita. Erano seduti su una panchina di legno poco distante dalla riva, il rumore delle onde del lago era un piacevole sottofondo e la leggera brezza soffiava delicata, portando con sé i ricordi di un' infanzia ormai lontana. «Venivo qui spesso con mia nonna da bambina e qualche volta anche con mio padre, soprattutto in inverno per pattinare.» Indossava i suoi pattini rigorosamente bianchi e si muoveva leggiadra sul ghiaccio mentre Ginevra le sorrideva e quello che un tempo era stato suo padre la raggiungeva, sollevandola per aria e riservandole uno sguardo dolce che non gli aveva più rivolto perché la sua mente era stata corrotta dalla donna che aveva sposato. Oppure le scene che aveva visto durante le sue trance non erano altro che illusioni. Rivedere Alekander, adesso, non era in programma, per questo, onde evitare spiacevoli incontri, si era tenuta lontana dal centro perché tutti sapevano che era la figlia del braccio destro del Ministro norvegese e, inevitabilmente, la notizia che era lì sarebbe trapelata. Era da due anni che non tornava a casa, e se lo aveva fatto era solo per mostrare ad Hunter una parte importante di sé e del suo passato, per completare lentamente un puzzle a cui mancavano ancora molti pezzi. Lo amava, su questo non c'erano dubbi, ma non era ancora pronta per parlare di sua madre, perché per quanto i Moore avessero i loro segreti, i Blackwood e gli Andersen ne avevano molti di più. «Sempre a questo orario così se cadevo non mi vedeva nessuno.» C'era una parte del lago nascosta da un incanto di disillusione, la stessa in cui erano adesso, e solo poche famiglie di maghi potevano accedervi dato che l'attuale Ministro aveva deciso di privatizzare alcuni luoghi in modo da evitare scontri e dissensi tra i purosangue, i mezzosangue e i Nati Babbani perché per quanto gli ultimi due fossero in netta maggioranza, erano le antiche famiglie a governare e a dettare legge, inclusa la sua. «Hai mai provato?» Si rivolse ad Hunter, spostandogli una ciocca di capelli dietro l'orecchio e baciandolo a fior di labbra però, adesso che ci pensava, era da un po' che non ne sentiva il sapore, così gli morse il labbro inferiore e insinuò la lingua nella sua bocca quando la schiuse, gli circondò il collo con le braccia e si lasciò andare ad un bacio lento e profondo che le servì per lenire la malinconia che aleggiava nel suo cuore.



    Edited by Daphne. - 10/8/2023, 01:35
     
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    Era da molto che aspettavo questo momento, quello in cui finalmente sarei tornato a sentire questa rara sensazione di calma. L'estate è stata lunga, intensa per certi versi, caratterizzata da una serie di domande a cui né io né mia sorella siamo riusciti a dare risposta: un diario dalle pagine vuote mi ha richiamato in America e nonostante le svariate ricerche, non siamo riusciti a scoprirne il contenuto. Siamo giunti alla conclusione che la magia che lo protegge deve essere molto antica e complessa, almeno questo è quello che crediamo. Prove a sostegno della tesi? Nessuna. Questa ignoranza in materia, questa specie di oblio da cui non riusciamo ad emergere mi crea fastidio e nervosismo. Stiamo considerando l'idea di chiedere a qualche parente vicino, ma la scelta è davvero ristretta perchè nessuno sembra essere degno di una fiducia simile. Ci sono però altri nomi da indagare, nomi ricorrenti tra gli appunti di papà. L'idea è quella di stilare una lista e dare un'identità più definita a questi nomi, per poi capire come procedere, per capire se almeno fra questi è presente qualcuno di interessante. Sono contrario a procedere a caso contattando ogni singola persona, non sappiamo ancora quanto importanti siano le informazioni contenute in quel taccuino e divulgarne anche solo l'esistenza, non i sembra saggio. Emilie è d'accordo con me, in fondo perchè nostro padre avrebbe dovuto prendersi la briga di proteggere così bene qualcosa di non così importante? Perchè così tante precauzioni?
    Se fossi solo per me sarebbe quasi impossibile mettere uno stop al fluire dei miei pensieri se sono capace di farlo è solo grazie a questa ragazza, monopolizza la mia attenzione. Siamo in estate inoltrata, eppure questa parte del mondo sembra fregarsene: sembra una mezza stagione, una di quelle serene e rinfrescanti. Il sole si fondo con l'acqua del lago che ne riflette la luce, che a sua volta illumina il viso di Daphne che spio mentre scivola sulla mia spalla e affonda nel mio collo, come è solita fare. Le mie mani si poggiano sulle sue strette intorno ai miei fianchi ed è sempre grazie alla luce del sole ormai morente che riesco a scorgere un particolare colorito rosso sulle sue guance quando mi giro in sua direzione per risponderle - sì, mi piace - le sue mani sono fredde, è piacevole al punto che gliele porto in alto ad avvolgermi il collo. Un contatto che ricerco spesso, l'unico che mi faccia sentire effettivamente qualcosa, l'unico in grado di far aumentare il mio desiderio i maniera esponenziale quando ci troviamo soli, nei momenti più intimi - venivi? Da quanto non ci tornavi? - ed è piacevole anche sentirla parlare del suo passato, capita così raramente che ogni volta è come se fosse una specie di regalo. Non la biasimo, sono l'ultimo che potrebbe lamentarsi della sua riservatezza. Quindi non mi perdo nessun movimento delle sue labbra mentre mi parla raccontandomi di quel frammento di vita passata - ah, è proprio da te - le sorrido trovando effettivamente quell'abitudine molto adatta a Daphne - orgogliosa fino a morire, nessuno può vederti cadere - forse nemmeno io; per tutto il periodo che siamo stati insieme, non l'avevo mai vista crollare neanche una volta, non mi aveva mai mostrato un momento di particolare debolezza se on quando non l'ho costretta io a farlo a quella maledetta serata organizzata dai miei nonni. Ora comunque il suo sguardo aveva qualcosa di diverso mentre fissava l'orizzonte, sembrava star pensando a qualcosa di importante, magari sta ricordando qualcosa? Forse ha a che vedere con sua madre? Non mi ha mai parlate bene del loro incontro, né tanto meno di lei. Le sue frasi suonano sospese, come se nascondessero qualcosa di non detto, magari preoccupazioni recondite che... mi piacerebbe sapere. . Non ho il tempo di formulare un pensiero completo, le mie dita sono già posate sul suo mento e la stanno invitando a voltarsi in mia direzione. Non è la prima volta che in questi giorni scorgo qualcosa nel suo sguardo e nei suoi gesti, persino nel modo in cui mi teneva stretto mentre facevamo l'amore. Una strana urgenza, forse la necessità di allontanare qualcosa - stai pensando a qualcosa... a cosa stai pensando? - forse in passato non avrei mai posto una domanda tanto esplicita ma sarebbe stupido stupirsi, nulla di ciò a cui sono abituato si applica per lei, è un'eccezione per tutto.
    Persino in questo bacio avverto la stessa urgenza, lo steso bisogno di trasportarsi altrove con la mente. Se questo è ciò che desidera, l'asseconderò sempre: con la mano sulla sua nuca, faccio aderire i nostri corpi per approfondire quel bacio che non può restare a metà, ogni singola volta deve essere profonda, intensa. Trattengo il suo labbro inferiore tra i denti prima di distaccarmi lentamente da lei fissando il mio sguardo nel suo, scostandole quei fastidiosi e bellissimi capelli ribelli che tendono a coprirle il viso. Per un attimo ho dimenticato dove siamo a qual era la domanda che mi aveva posto - ah - e si può notare in quella singola sillaba il mio ritorno alla realtà - sì, qualche volta. In città ci sono sempre le piste di pattinaggio nel periodo invernale - poggio di nuovo le mie labbra sulle sue trattenendole come a volerne assaporare il gusto, un altro momento di distrazione il mio - però... non credo di esserne molto capace - anzi, adesso che ci rifletto non ho mai avuto l'occasione di vederla pattinare - mi faresti vedere come fai? Proverò a non ridere se cadrai - sono sicuro che non accadrebbe.



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    Lasciò che Hunter le prendesse le mani per avvolgerle intorno al suo collo. Gli diede un delicato bacio sotto la mandibola e sorrise appena, volgendo il capo in direzione di un lago incorniciato dai colori del tramonto. Era una visione da mozzare il fiato, eppure, in quel momento, Daphne provava solo una profonda tristezza perché i ricordi felici associati a quel posto, adesso, non lo erano più. Si erano trasformati in una menzogna. Quando aveva deciso di portare il suo ragazzo lì, in Norvegia, lo aveva fatto con l'intenzione di mostrargli i luoghi a cui era più legata, in cui era stata più felice, ma sua madre aveva distrutto anche questo. Socchiuse gli occhi e avvicinò il suo corpo a quello di Hunter, cingendogli la vita con le braccia in modo da poter nascondere il viso nel suo petto e respirarne il profumo. Soffiava una fredda brezza estiva, il rumore delle onde che si infrangevano sulla riva la cullava ma, allo stesso tempo, era causa di una profonda malinconia. Si irrigidì quando le chiese da quanto tempo non venisse e questo le riportò alla mente l'ultima volta che aveva visto e sentito la voce di suo padre: due anni fa. Aleksander l'aveva guardata con occhi gelidi, gli stessi di sempre, e il tono duro e indifferente con cui gli aveva detto quelle parole l'avevano spinta ad andare via da casa sua, a lasciarsi alle spalle tutto ciò che avesse a fare con quell'uomo. Per lei era morto. Anche solo parlarne le faceva gelare il sangue nelle vene, non lo faceva quasi mai. Il rapporto che aveva con i suoi genitori era un argomento che evitava, sempre, e nessuno, infatti, conosceva con esattezza quell'aspetto della sua vita. Era vaga, lasciava le frasi a metà, e cambiava discorso non appena qualcuno ne faceva cenno. In quel caso, avrebbe potuto tranquillamente dire una mezza verità, addirittura avrebbe potuto evitare di menzionare quell'uomo, ma Hunter la conosceva ormai, e poi, con lui, non era in grado di mentire. Neanche voleva. Si fidava ed era pronta ad aprirsi ulteriormente. Appoggiò la guancia sulla sua spalla, con la punta del naso gli sfiorò il collo e poi rispose a bassa voce. «Da due anni. Dopo aver litigato pesantemente con mio padre, ho fatto le valige e mi sono trasferita a Londra. Non lo vedo da allora. Per me è come se fosse morto.» Indurì i tratti i del viso e l'azzurro dei suoi occhi divenne glaciale, così come il tono che aveva usato per dire quella frase. «E se dovessi rivederlo, è solo per parlare di mia madre. Nient'altro.» Aveva bisogno del suo potere e della sua influenza per mandare all'altro mondo quella donna. Prima, però, avrebbe dovuto recuperare anche lui i ricordi che gli erano stati cancellati. Non sarebbe stato affatto facile convincerlo di essere stato manipolato, suo padre era orgoglioso e quella era una scomoda verità. Qualche attimo dopo, si rilassò, poggiò le labbra sul suo collo per un breve attimo e poi tornò a guardare l'orizzonte, sorridendo nel sentire le sue parole. «No, nessuno. Ma tu potresti essere un'eccezione.» Lo era già. Con lui era vulnerabile, non c'era nessun muro a proteggerla, era completamente esposta, questo perché si sentiva al sicuro tra le sue braccia e ulteriori difese erano innecessarie. Soprattutto dopo i momenti condivisi quella notte ad Atlanta, insieme a ciò che aveva scoperto su suo padre e le sue fragilità; le pillole che aveva preso erano dei calmanti, la sua mente, da come aveva appreso, era un caos dentro, mentre le altre erano per l'ADHD. Ad avergliele prescritte era stata la sua psicologa. Tutto ciò accrebbe solo l'istinto che aveva di proteggerlo, quei demoni che si portava dentro avrebbe voluto strapparglieli via, ma lei stessa aveva i suoi e sapeva quanto fosse difficile ucciderli. Li affronteremo insieme. Ma sarebbe rimasto dopo aver scorto in lei l'oscurità? Non ne aveva idea. Sia sua madre che sua nonna erano delle assassine, in qualche modo lo sarebbe diventata anche lei uccidendo Ellen e, tra l'altro, non aveva alcuna intenzione di fermarsi. Avrebbe avuto la sua vendetta. Per lei e suo fratello. Era così persa nei suoi pensieri che sgranò leggermente gli occhi quando Hunter la fece voltare verso di lui. "Stai pensando a qualcosa... a cosa stai pensando?" La conosceva a tal punto da capire che c'era qualcosa che non andava nonostante i suoi silenzi. Ma, in fondo, tra di loro era sempre stato così. Gli sfiorò il braccio destro con le dita fino ad arrivare alla mano che le avvolgeva il mento, la strinse portandola verso le sue labbra e gli baciò polso, poi ci poggiò la guancia. Sorrise, addolcendo lo sguardo mentre gli accarezzava i capelli alla base della nuca. «A qualcuno di importante che adesso non c'è più.» Non disse chi, non era ancora riuscita a raccontare a qualcuno della morte di Ludde. Faceva ancora male. Il cuore cominciò a martellarle nel petto e in quei momenti l'unica cosa che poteva calmarla era Hunter. Così, lo baciò intensamente com'era solita solita fare, ma non bastava, voleva di più. Aveva bisogno di sentirlo di più. Gli circondò il collo con le braccia e si mise a cavalcioni sopra di lui, non curante del vestito che si era alzato mostrando più pelle di quanto fosse necessario. Fece aderire i loro corpi, stringendolo spasmodicamente a sé, mentre la sua lingua si intrecciava eroticamente alla sua. Le dita affondarono nei suoi capelli, il bacio si fece ancora più intenso e sospirò beata nel sentire il suo sapore. Quelle due settimane distanti erano state un vero inferno, era abituata ad averlo costantemente vicino, a fare l'amore con lui ogni notte, a svegliarsi specchiandosi in quegli occhi verdi che tanto le piacevano, a toccarlo, sfiorarlo, accarezzarlo e la lontananza l'aveva privata di tutto. «Dio, quanto mi sei mancato.» Fu tutto ciò che disse prima di impossessarsi nuovamente delle sue labbra e baciarlo con foga. Prese ad accarezzargli la schiena nuda mentre affondava la lingua nella sua bocca, dimenticandosi di tutto il resto. In quel momento esisteva solo lui, il resto era svanito. Lo baciò a lungo, ininterrottamente, profondamente, intensamente, e solo quando fu sazia smise. Poggiò la fronte contro la sua, respirando a fatica, una mano era tra i suoi capelli l'altra continuava a sfiorargli la schiena delicatamente in quel posto che, per lei, era come casa. Aprì lentamente gli occhi e sorrise, dolce, quando incrociò i suoi. «Ti hai mai detto nessuno quanto tu sia bello?» Era anche per questo che non era mai riuscita realmente a mantenere una reale distanza con lui: ne era fortemente attratta. Lo era sempre stata, sin dall'inizio. E una volta che l'aveva toccata, era diventato la sua droga, non riusciva più a farne a meno e questo, sotto molti aspetti, era pericoloso. Così come era pericoloso il fatto che non appena poggiasse le labbra sulle sue, sentisse il bisogno di approfondire il bacio: gli prese il volto tra le mani e lo avvicinò al suo, gli schiuse le labbra con la lingua e non esitò nel farla scivolare contro la sua. Non aveva mai provato, in vita sua, un sentimento e un'attrazione così forti per una persona. Non aveva alcun controllo, non sapeva come mettere un freno a tutto questo e, forse, neanche lo voleva anche se avrebbe dovuto, perché se mai fosse finita l'unico modo per liberarsi dal suo ricordo sarebbe stato quello di estirparlo dalla radice. Questa volta, quando si staccò, ebbe la decenza di arrossire leggermente perché, davvero, non riusciva a darsi un contegno. Si schiarì la gola e gli sorrise divertita, voleva proprio vedere come se la cavava coi pattini, ma prima avrebbe accolto la sua richiesta. «Devo vederti sul ghiaccio per darti il mio parere, nel mentre ti mostro come si fa. Non ridere però.» Gli diede un veloce bacio sulla guancia e si alzò, abbassandosi il vestito azzurro che aveva addosso. Estrasse la bacchetta dalla pochette e con un Vestitis si assicurò di indossare abbigliamento più consono a ciò che stava per fare. Sicura, si avvicinò alle sponde del lago, pronunciando un incantesimo in una lingua antica che serviva a ghiacciare le sponde del lago, un lusso che solo la famiglia del
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    Ministro e quella del suo braccio destro potevano permettersi. Trasfigurò le sue scarpe in un paio di pattini, poggiò a terra la bacchetta e mise piede sul ghiaccio. Chiuse gli occhi eautomaticamente iniziò a pattinare, leggiadra, com'era solita fare ogni volta che entrava in contatto con quell'elemento. Era a suo agio, aveva il controllo su tutto. Eseguì un doppio axel e una piroetta bassa, poi semplicemente pattinò, fendendo il ghiaccio con le lame. Dopo un po', si svegliò dalla trance in cui era caduta, e guardò Hunter. Gli sorrise e allungò una mano verso di lui, invitandolo a raggiungerla in quello che era il suo mondo.

     
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    C'è un atmosfera piacevole, il tempo sembra sospeso e il panorama sembra una tela incorniciata dalla luce dai riflessi aranciati del tramonto. Insomma, è molto poetico e allo stesso meditativo, una visuale che riuscirebbe a portare calma a tutti fosse anche solo per un attimo... eppure una strana sensazione al petto, uno strano sesto senso, mi dice che Daphne non si sente così rilassata come dovrebbe. Non sono mai stato particolarmente sensibile a queste cose, alle emozioni degli altri o ai loro cambiamenti di umore; ho imparato a leggere l'atmosfera con il solo scopo di dire sempre e solo la cosa giusta al momento giusto, ma quello che sento in questo momento con lei si avvicina un po' di più all'empatia che ad una semplice capacità percettiva. Forse le ho posto la domanda sbagliata? Forse è proprio quella la causa di questa pausa silenziosa - mh, capisco - mi limito a commentare cingendole le spalle con un braccio, anche se la sua affermazione mi dà da pensare più di quanto non esprima a parole. Cosa può essere accaduto fra di loro di tanto importante da troncare i rapporti fino a questo punto? Se dovessi seguire la mia logica, penserei ad una questione di orgoglio o di fiducia tradita, entrambe le motivazioni possono essere applicabili alla rottura del rapporto fra me e mia madre, se vogliamo fare un esempio. Come se fosse morto... l'argomento, quello dei padri morti, mi tocca molto da vicino e non posso fare a meno di chiedermi se Daphne sappia davvero di cosa sta parlando, se davvero non cambierebbe nulla se sua padre venisse a mancare da un momento all'altro. Sono tutte riflessioni che tengo per me mentre fisso l'orizzonte in cui cielo e acqua si fondono - io credo... che tu abbia le tue ragioni per parlare così - non oso però spingermi oltre chiedendole quali queste ragioni possano essere, forse preferisco non gravare su di lei con domande inopportune o peggio, con considerazioni personali non adatte al contesto: detesto chi parla a sproposito e detesto dire più parole del dovuto, dovrei prima conoscere dei dettagli in più per poter dire qualcosa di sensato.
    Chissà poi se davvero sarei un'eccezione. Se glielo chiedessi, se le ponessi le domande che mi passano per la testa, davvero mi risponderebbe?
    - davvero? Ne sarei onorato - le sfioro i capelli quando si avvicina al mio collo e le parlo a voce bassa sfiorandole la fronte con le labbra. Il suo sguardo torna a vagare verso il lago, più o meno come aveva fatto il mio poco prima ma il suo lo fa in maniera più inquieta, come se cercasse qualcosa fra le increspature delle piccole onde che percorrono il lago.Qualciuno di importante che adesso non c'è più. Forse sua nonna? Ma se stesse pensando a lei, non lo avrebbe semplicemente detto? In questo caso omette il soggetto, non lo precisa lasciandomi addosso una serie di domande e una strana e fastidiosa sensazione di insoddisfazione, che non so se sia normale sentire. Ho sempre rispettato i suoi limiti, mi sono sempre preoccupato di non superarli o talvolta di non andarci neanche vicino, è sempre stato naturale per me accettare quello che voleva condividere e non pressarla per sapere di più, ciò che ha voluto condividere con me è sempre stato più che sufficiente. Quindi perchè questa volta è diverso? I miei pensieri non trovano il tempo di tramutarsi in parole, perchè adesso il calore di Daphne mi riempie la bocca, percorre tutto il mio corpo non appena mi stringe ancora più vicino a sè. Non riesco a sottrarmi a lei, è il mio punto debole che ormai ho accettato di avere. Le sostengo il collo con la destra, applico una lieve pressione sulla sua pelle mentre il pollice si poggia sul suo mento come se volesse suggerirle di schiudere le labbra per me. Mi piace sentire il suo respiro farsi più corto, mi piace sentire il tessuto del suo vestito spostarsi quando mi faccio strada con la mano libera su per la sua coscia, che afferro con fermezza attirandola a me con un gesto deciso. Dio, se continuiamo così... - sembra che questi giorni passati insieme non siano ancora bastati per recuperare il tempo perso - le mordo le labbra prima di riprenderla a baciare profondamente, lentamente ma con una certa urgenza. Sembra davvero che non basti mai. Godo delle sue carezze sulla mia schiena lasciandomi andare in un suono basso e soddisfatto, mentre la mano scorre lungo il suo collo e poi sul suo seno che stringo appena fra le dita. Davvero, è pericoloso. Molto pericoloso. E allora la mano cambia posto, scorre fino al fondoschiena quando, ancora una volta, avvicino il suo corpo al mio. Così, a pochi centimetro dal io viso, mi parla - non lo so - mi curvo a lasciarle un bacio sul collo - non me lo ricordo - e comunque non è importante. La guardo, guardo il suo sguardo, ora molto più rilassato rispetto a prima, e soprattutto osservo i suoi occhi chiari e il contorno rischiarato dai raggi del sole. Da questa prospettiva è chiaro chi dei due sia davvero bello.
    Ne assaporo ancora una volta il sapore, questa volta per un periodo più breve ma non per questo meno intenso: la mie mani infatti sembrano non curarsi di dove ci troviamo, sembrano non riuscire a trovare pace mentre ancora una volta le sollevano il vestito che adesso quasi le lascia scoperte le gambe. Se non si fosse fermata lei, non so se io ci sarei riuscito - te l'ho detto, proverò a non ridere - mi viene naturale a quel punto darle una leggera pacca sul sedere mentre scende dalle mie gambe e si prepara per la sua dimostrazione, io per ora preferisco restare seduto a guardarla e a prendermi qualche minuto per riprendermi dai nostri contatti sempre così passionali. Con un colpo di bacchetta è pronta e un attimo dopo, è già a volteggiare sul ghiaccio con l'espressione di chi adesso torna a respirare dopo un'apnea troppo lunga. Certo, questa non è una semplice dimostrazione per principianti come me, è più un bello spettacolo a cui assistere. Finalmente mi sorride e io faccio altrettanto, sollevato dal vederla finalmente con un'espressione spensierata che le dona decisamente di più<em>. Ok, deduco che la sua mano protesa verso di me sia un invito, quindi la imito nell'esecuzione dell'incanto che serve a trasfigurare le mie scarpe in un paio di pattini da ghiaccio e quindi allungo il primo piede sulla superficie scivolosa, sicuramente con meno certezza di quanto non abbia fatto lei - non proverai a farmi cadere, vero? - raggiungo la sua mano con la mia, un piede davanti all'altro in maniera piuttosto meccanica, è palese che non sia qualcosa a cui sono molto abituato, infatti ho la tendenza a guardarmi i piedi piuttosto che ad alzare lo sguardo di fronte a me. Sì, so che non dovrei farlo, ma la scivolosità del ghiaccio non mi fa sentire molto a mio agio - come puoi vedere sono al livello principiante - le sorride di nuovo trovando la situazione tutto sommato divertente: adoro che mi mostri qualcosa che ama fare... in effetti - vorrei sapere più cose di te... vorrei che mi raccontassi ciò che ti passa per la testa - alla fine l'ho detto, le parole hanno trovato naturalmente una via d'uscita nonostante il mio tono di voce resti comunque basso, così come il mio sguardo. Stranamente però le mie labbra si incurvano in un sorriso sollevato, forse perchè sono riuscito a dirle ciò che volevo come volevo. Va bene così, anche se vorrà tenere tutto per sè. Va bene anche se rimarrà in silenzio.


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    Il rapporto che aveva con suo padre era complicato. Nei ricordi che, lentamente, stava recuperando aveva visto uomo dolce, gentile e devoto alla sua famiglia. Alla figlia che si era augurato non fosse mai nata, aveva riservato solo amore e parole colme d'affetto ma più che la realtà, quei momenti sbiaditi,erano una vaga illusione. Anche dopo che sua madre se n'era andata, per qualche mese, aveva cercato la sua approvazione, anche per dimostrare a quella mezzosangue che aveva in casa che era lei l'erede e che, presto o tardi, si sarebbe ritrovata in mezzo ad una strada. Ma in quella gabbia d'oro Daphne, era una presenza non desiderata, e suo padre glielo aveva fatto capire con la sua indifferenza: a meno che non dovesse sgridarla o guardarla con disprezzo, per lui, non esisteva. Così, alla fine, si era abituata alla sua assenza, e adesso, nella sua vita, era solo un fantasma che, di tanto in tanto, riappariva nei suoi ricordi. Provava la sua stessa indifferenza, forse era per questo che, gelida, disse ad Hunter che, per lei, era morto. Un'affermazione forte, consapevole, sicura, eppure, poco dopo, si pentì di aver pronunciato quelle frase perché il suo ragazzo, un padre, lo aveva perso un anno fa. Aveva visto in prima persona quanto quell'evento l'avesse devastato, era per lui che aveva pianto ad aprile. Gli accarezzò dolcemente la guancia e posò le labbra sulle sue in un casto bacio. Erano le sue scuse. Non era mai stata una persona empatica, era sempre stata indifferente di fronte al dolore altrui, ma con Hunter lo era. Con lui era molte cose. Gli circondò il collo con le braccia e lo strinse a sé, respirava piano, adagio, contro il suo torace e il calore del suo corpo le spinse a chiudere gli occhi e a dimenticare, per un istante, dove fosse. Tra le sue braccia si sentiva al sicuro, le difese crollavano, per cui decise di parlare di quella notte. Poteva farlo, con lui. Lo strinse più forte, non voleva distanza tra loro, poi affondò il viso nell'incavo del suo collo e, nascosta, iniziò a raccontare. «Per mio padre sono sempre stata un peso, non mi ha mai considerata davvero sua figlia ma solo l'erede della casata degli Andersen. Un purosangue. Gli servivo per soddisfare un contratto. Chi ha davvero ricevuto le sue attenzioni è stata la mia sorellastra, ma presto capirà che niente di ciò che ha avuto è reale.» Quella mezzosangue stava vivendo una bellissima favola, ma tra qualche tempo sarebbe finita in tragedia. Aleksander le avrebbe cacciate e i suoi nonni sarebbero stati più che felici di esiliarle e cancellarle la memoria, ma Daphne aveva un conto in sospeso con loro e si sarebbe assicurata di saldarlo. Aveva già in mente come. «Mi sono trasferita a Londra quando mi ha detto che, per lui, non sarei mai dovuta nascere. Da allora non abbiamo più contatti.» Gli occhi erano vacui, spenti e in viso aveva un'espressione oscura mentre pronunciava quelle parole. La voce atona, le spalle rigide e il gelo che sentiva dentro la immobilizzavano, se solo avesse potuto fare del male al suo padre, fargli sentire il suo stresso dolore... " Davvero? Ne sarei onorato." Chiuse gli occhi e strinse i pugni, respirò il profumo dalle note legnose del suo ragazzo e si rilassò, allontanando quei spiacevoli pensieri. Lentamente tornò a guardarlo, poggiò la fronte contro la sua e inspirò la sua stessa aria. Sarebbe riuscita a crollare con lui? Sarebbe stata in grado di piangere e lasciarsi andare a quella sofferenza che, da mesi, la stava logorando dall'interno? Non lo sapeva, ma era certa che Hunter sarebbe stato lì con lei se l'avesse fatto. «Vieni qui.» Gli prese il viso tra le mani e lo baciò con foga, mettendosi sopra di lui. Schiuse ancor di più le labbra accogliendo la sua tacita richiesta, affondò la lingua nella sua bocca senza remore, senza curarsi del luogo in cui erano, e si lasciò andare a un bacio intenso e profondo. Lo baciò a lungo, non riusciva a staccarsi, soprattutto dopo quelle due settimane lontani. «No, ce ne servono altri.» Ti voglio ancora. Sospirò beatamente quando riprese a baciarla, le piaceva avere il suo sapore in bocca e le sue mani su di sé. Dio, quelle mani...che ora le sfioravano il seno, il ventre, il fondoschiena. Gli leccò le labbra quando si staccò e lo osservò qualche secondo, poi sorrise mentre gli accarezzava i capelli alla base della nuca. Bello. Il suo ragazzo era davvero bello. E se ricordava che, a dirglielo, era stata solo lei, lo era ancora di più. Da quanto era diventata così egoista? «Adesso lo sai.» Lo baciò ancora, inebriata dal calore che sentiva, ma Daphne voleva di più. Così, gli portò entrambe le mani sul suo seno, inarcò la schiena e la scollatura si abbassò leggermente permettendo alle sue dita di sfiorarle la pelle. Inclinò la testa di lato e approfondì ulteriormente il bacio, sospirando pesantemente. Voleva togliersi quel vestito, sentire la pelle nuda contro la sua, sentire... Doveva fermarsi, non poteva continuare così. Anche se non c'era nessuno e quello era uno spazio riservato alla sua famiglia, doveva darsi un contegno. Maledizione. Non riusciva a fare a meno di lui neanche dopo aver trascorso gli ultimi tre giorni a fare l'amore. Si staccò a malincuore dalle sue labbra e si sistemò il vestito, gli sorrise e dopo aver avuto la sua parola che non avrebbe riso se fosse caduta, iniziò a pattinare, leggiadra, sul ghiaccio. Era da tempo che non si sentiva così libera, pattinare era come respirare per lei perché, quello, era il suo mondo. Solo che adesso ne faceva parte anche un'altra persona: Hunter. Gli andò incontro quando, titubante, la raggiunse. Lo prese per mano, intrecciando le dita, si avvicinò e, divertita, gli cinse la vita con un braccio perfettamente a suo agio. «Per adesso no.» Si sporse in avanti per dargli un bacio sul naso, scherzosamente, e gli prese l'altra mano per guidarlo verso il centro del lago. «Non preoccuparti sei in buone mani.» Le mancava gareggiare e vincere, ma per adesso aveva altre priorità, quindi, almeno per un altro po' di tempo, avrebbe dovuto ignorare il suo istinto da pattinatrice. " Vorrei sapere più cose di te... vorrei che mi raccontassi ciò che ti passa per la testa." Sgranò impercettibilmente gli occhi e lo guardò, sorpresa, perché chi un tempo aveva definito Vaso di Pandora, le aveva chiesto di aprirsi, di parlargli, di svelare i suoi segreti così come, gradualmente, anche lui aveva iniziato a fare perché Daphne sapeva che la storia del corvonero non era completa. Mancava ancora qualche pezzo, però, di lui, qualcosa sapeva, mentre lei, per quanto si fosse aperta, aveva omesso gran parte del suo passato: la verità su sua nonna, su sua madre, su Ludde. Non era stata del tutto sincera e quel sorriso sollevato sul suo volto la fece sentire in colpa. Lo prese per il colletto della maglia che indossava e lo tirò, forse un po' troppo forte, verso di sé perché Hunter perse l'equilibrio e le cadde addosso. Si irrigidì per un istante, il ghiaccio era freddo ed era da un po' che la sua schiena non ne veniva a contatto visto che, per anni, non era più caduta. Tuttavia, il calore proveniente dal corpo sopra di lei la fece rilassare all'istante. Gli spostò una ciocca di capelli quando posò il suo sguardo su di lei. Rise. «Ti ho mentito, volevo farti cadere fin dall'inizio.» E poi, incapace di resistere, gli schiuse le labbra
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    con la lingua e la fece scivolare contro la sua, lentamente, senza fretta, perché, tramite quel bacio, voleva trasmettergli i suoi sentimenti. Lo amava, non poteva essere altrimenti. «Ti prometto che lo farò.» Sfregò la punta del naso contro la sua, in un gesto d'affetto che, con lui, era del tutto naturale. «Adesso, per esempio, sto pensando a quanto tu sia speciale.» Speciale, non particolare come aveva detto sua nonna. Hunter era un ragazzo complicato, non era facile da capire, ma una volta aperto il Vaso non puoi più privartene. Stava per baciarlo ancora quando una voce, in lontananza, pronunciò il suo nome. Sapeva esattamente a chi appartenesse. Tornò seria, i suoi occhi di ghiaccio incontrarono, in lontananza, quelli di Charles Lansen, il figlio del Primo Ministro norvegese, nonché suo amico di vecchia data. Si guardarono per dei lunghi istanti senza dire nulla, quel ragazzo rappresentava il suo passato ed averlo lì in compagnia di sua cugina nell'area riservata alla sua famiglia non era un buon segno. Aspettò che Hunter si alzasse, lo imitò e lo prese per mano, avvicinandosi alla riva. «Non ci vediamo da un po' Daphne.» Sostenne il suo sguardo, la stava indirettamente rimproverando per essere sparita per due anni, come se fosse una bambina. Era sempre stato altezzoso e orgoglioso, Charles, e quando le cose non andavano come voleva lui si innervosiva. «No, infatti, come stai?» Sorrise cordiale, trattandolo come tutti gli altri. Solo quando sua cugina Leyla la prese per mano rese i tratti del suo viso meno freddi. «E tu? Che mi dici?» Erano sempre andate d'accordo. Attese una sua risposta ma Charles parlò ancora. «Chi è ?» Si riferiva ad Hunter. Alzò un sopracciglio e, in tutta risposta, gli fece cenno col capo di guardare le loro mani intrecciate. «Il mio ragazzo, a proposito Leyla volevo presentartelo. Lui è Hunter.» Sorrise poi al corvonero. «Lei è mia cugina mentre lui è Charles.» Onestamente non le andava di vederlo, se era lì era per suo padre. I due avevano un rapporto abbastanza stretto. Strinse forte la mano del suo ragazzo e si avvicinò impercettibilmente a lui, allineando il braccio con il suo. Voleva che la stringesse, che la avvolgesse nel suo calore, ma rimase immobile, ferma, perché in quel momento non era la sua Daphne.



    Edited by Daphne. - 3/10/2023, 08:38
     
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    Sentirla parlare di suo padre, della sua famiglia, provoca in me sentimenti contrastanti; da un lato mi fa sentire parte di qualcosa, incluso in quella che è la sua sfera più intima e meno esplorata mentre invece dall'altra parte non riesco a non sentire una fastidiosa sensazione alla bocca dello stomaco quasi come se l'indifferenza di Daphne nei confronti del padre mi importasse più di quanto davvero dovrebbe. La mia espressione quindi muta impercettibilmente, i miei pensieri si esprimono solo tramite un sospiro muto che non riesco a trattenere. Ho realizzato solo di recente quanto la morte di mio padre mi abbia coinvolto, intaccato, logorato e indebolito, così avrei descritto il mio riflesso nello specchio la mattina del suo funerale. Non avevo nulla da dire all'epoca e non ho nulla da dire adesso, se non che forse ho dovuto ammettere a me stesso che non sono una persona migliore dopo che se ne è andato. Nonostante resti lì a fissare l'orizzonte sopo aver pronunciato un paio di parole più che altro di convenzione, è come se Daphne riuscisse a scorgere rutti i pensieri che ci sono dietro ai miei monosillabi, come se li scrutasse e forse si ritenesse responsabile di averli causati, questo spiegherebbe questo bacio così diverso dagli altri e più somigliante ad un promemoria che mi ricorda che lei è qui con me. La guardo con lo stupore che mi segna le espressioni quando procede a parlare, o meglio a raccontare, di quel rapporto complicato. Quel poco che la serpeverde mi racconta, basta a posizionare il capofamiglia degli Andersen nella lista delle persone per cui non nutro particolare stima
    - probabilmente è meglio che tu non abbia più alcun contatto con lui- di quella leggera nostalgia di prima, quella attaccata al mio viso, adesso non c'è più traccia; un uomo che non avrebbe mai voluto la nascita della propria figlia, che la vede probabilmente come un errore o un problema da eliminare - non ha senso sprecare il tuo tempo con chi non desidera la tua presenza e non comprende il tuo valore. Non ne hai bisogno - e non so cosa esattamente intende dire Daphne quando aggiunge che la sua sorellastra, quella che ha ricevuto l'affetto che a lei è mancato, capirà presto che nulla era reale. Non so ancora spiegarmi quali intenzioni nascondono davvero queste parole ma sento che qualunque esse siano, sono giustificate da ciò che la serpeverde ha vissuto.
    L'attiro a me stringendole le spalle, ed era vero, Daphne non ha bisogno di persone incapaci di riconoscere il suo valore, che poi queste persone siano familiari o amici fa davvero poca differenza. Io non mi separerò da lei, mi assicuro di farglielo capire stringendola ancora a me fino a quando i nostri corpi non aderiscono ancora di più. Mi trattiene il viso fra le mani con fare passionale, una passione particolare e nascosta che non smette mai di sorprendermi positivamente, una passione di cui godo e che alimenta il mio egoismo: preferirei che non avesse rapporti con nessuno, così da non rischiare di mostrare troppo questi suoi aspetti. Ancora una volta mentre ne assaporo il gusto, mi ritrovo a pensare che soltanto Daphne potesse sentire i miei pensieri farebbe bene a spaventarsene. Sono sempre stato così? Forse sì, possessivo, geloso di ciò che mi appartiene - sono d'accordo - ritorno ad affondare le mani fra i suoi capelli realizzando che i momenti insieme non sembrano mai troppi, un pensiero allo stesso tempo naturale e nuovo. Le mie mani scendono a sfiorarle la pelle del collo e guidate dalla stessa serpeverde, scorrono giù sul suo seno e lì sostano per qualche attimo. È sicura mentre poggia le sue mani sulle mie, mentre mi indica con sicurezza dove vuole che la tocchi, è quasi un comando a cui non posso sottrarmi e a cui sinceramente non mi sottrarrei neanche potendo. È talmente affascinante quando fa così da essere pericolosa, è pericoloso continuare in questo modo. I pensieri sembrano discordare con i gesti delle mie mani che invece che aiutare Daphne a sistemare quella scollatura scivolata che le scopre la pelle, l'accentuano, le mani si fanno spazio allrgandola ulteriormente e le mie labbra si posano sulla sua clavicola lasciando una linea di baci. Il sapore della sua pelle è dolce, la tentazione è forte ma visto il posto in cui ci troviamo e visto il modo in cui la serpeverde ristabilisce un minino di distanza, mi fermo. Gradualmente rallento il ritmo dei miei baci trattenendo le sue labbra fra le mie ancora una volta prima che si alzi a sistemarsi l'abito e io resto lì a seguirne i movimenti con lo sguardo, resto forse un po' insoddisfatto perchè il mio corpo aveva già iniziato a desiderare di più da lei... ma non essendo nè il luogo nè il momento adatto, mi vedo costretto a rimandare tutto a più tardi.
    La passione che ci mette nel fare quello che le piace, cioè muoversi sul ghiaccio, è palese: non l'ho mai vista così assorta neanche quando è intenta a studiare. Allora raggiungerla diventa una specie di esperimento, una curiosità da soddisfare, colgo l'occasione che mi si presenta per vedere cosa succede anche i questo caso - non penso che mi resti altra scelta se non fidarmi - le sorrido in risposta al suo leggero bacio e così, mi lascio sostenere da lei mentre muovo i primi passi sulla superficie scivolosa. Un momento di instabilità iniziale, poi riesco a trovare l'equilibrio necessario per procedere possibilmente senza spaccarmi il cranio. Nonostante tutto però, il mio centro di attenzione resta comunque Daphne e incapace di tenere per me i miei pensieri, alla fine dico ad alta voce cosa vorrei da lei. Ammetto di provare qualche secondo di pentimento perchè nonostante tutto quello che abbiamo condiviso da quando stiamo insieme, mi sento come se stessi andando oltre, oltre ad un limite che nessuno ha imposto esplicitamente ma che probabilmente esiste, da qualche parte. Eppure da quand'è che sono diventato così menefreghista nei confronti dei suddetti limiti? I limiti mi piacciono, è un bene che esistono, sono una tutela di cui tutti avremmo bisogno. Quindi questo setimento mi sta cambiando più di quanto pensavo fosse possibile? Non ci ho mai riflettuto... Poi è un passaggio veloce, un battito di ciglia e in seguito al gesto di Daphne mi ritrovo con le ginocchia sul ghiaccio a sostenerle istintivamente la testa con la mano sinistra per evitare che batta la testa sulla superficie fredda. Mi ha appena attirato a sè, ma il mio equilibrio un po' troppo precario non mi ha permesso di impedire che si trovasse così, distesa sotto di me - stai be- - sorride. Non finisco la frase perchè la domanda mi suona superflua adesso, soprattutto dopo la sua battuta - ah, è così allora! Lo sapevo, ci doveva essere un motivo se il cappello ha deciso che serpeverde fosse la tua casa - mi abbasso subito su di lei e incontro le sue labbra a metà strada probabilmente perchè entrambi abbiamo avuto la stessa idea. Istintivamente le sollevo la testa avvicinandola ulteriormente a me per approfondire il bacio. «Ti prometto che lo farò.» in qualche modo mi sento sollevato, perchè nei suoi occhi e nei suoi gesti leggo la sincera intenzione di volersi aprire con me quindi la mia richiesta non deve essere poi stata accolta così male - voglio essere speciale per te. Come tu lo sei per me - anche questa era una frase estremamente sincera è spontanea, arrivata alla mia bocca senza passare dal cervello, detta senza pensare. Oggi è tutto molto strano.
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    Gli eventi singolari sembrano non finire qua perchè, proprio mentre sto ancora fissando le labbra di Daphne, noto un cambiamento nella sua espressione e la sua attenzione spostarsi altrove in direzione di una voce che ha pronunciato il suo nome. Ecco, proprio questo accadimento è da definirsi "singolare", il fatto che in questo posto isolato e di proprietà della famiglia degli Andersen ci sia qualcun altro che in più conosce Daphne; questo potrebbe significare che si tratta di qualche membro della famiglia. Mi ritraggo, mi piego sulle ginocchia per poi mettermi in piedi e aiuto Daphne a fare lo stesso tendendole una mano a cui poggiarsi per tirarsi su. Stringo la mano di Daphne e affiancandola ci avviciniamo alla riva del lago, dove le due figure ci attendono e ci osservano incuriosite oserei dire, lo sguardo del ragazzo così insistente è decisamente inopportuno e non necessario per quanto mi riguarda ma prima di esprimermi mi prendo qualche attimo per osservare le loro interazioni: da una parte Daphne rivolge uno sguardo semi-neutrale ad entrambi, almeno questo ad una prima occhiata perchè ad una seconda più attenta, si può notare una leggera differenza nel trattamento riservato ai due. Quindi io, che ora come ora ho il compito di starle vicino e leggere la situazione, l'affianco sorridendo cordialmente ai due salvo poi soffermarmi sul ragazzo e sul tono della sua voce. La serpeverde non esita nel fornire spiegazione mostrando con tranquillità le nostre mani e allora, quando finisce di parlare, l'attiro leggermente a me - sì, è esatto. Sono Hunter, piacere di conoscervi - quindi lei è la cugina, allungo una mano per stringere la sua e le sorrido. Mentre lui è Charles, Charles e basta , senza l'aggiunta di altre precisazioni. Ciò non mi impedisce di allungare la mano anche nella sua direzione, nonostante abbia deliberatamente deciso di ignorarmi in maniera molto poco educata giusto qualche attimo fa - piacere - nonostante la stretta ferma e lo sguardo fisso sul ragazzo, la mia postura è rilassata e si protende naturalmente verso Daphne che non esito nell'avvicinare ulteriormente a me - purtroppo non posso dire di aver avuto l'onore di sentir parlare di te, sei un amico di Daphne per caso? - la mano che prima stringeva la mano della serpeverde passa a cingerle il fianco e la mia voce resta calma e composta nonostante quella che posso tranquillamente catalogare come "provocazione". Abbasso per un attimo lo sguardo sulla ragazza al mio fianco sorridendole appena mentre mi aspetto una risposta non particolarmente simpatica da parte di Charles.




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    Daphne non parlava quasi mai della sua famiglia, teneva per sé tutto quello che era successo sia con sua madre che con suo padre perché, per spiegare alcune cose, avrebbe dovuto inevitabilmente raccontare aneddoti di un passato oscuro che, per ora, non era pronta ad affrontare. Si sarebbe dovuta fidare ciecamente di una persona per aprirsi totalmente e mostrare un lato di sé che nessuno, a parte sua madre e il vicepreside White, avevano visto e che lei stessa faceva fatica ad accettare. I Blackwood, compresa sua nonna, erano dei maghi oscuri, accecati dal potere e dalla ricchezza, puristi fino al midollo e indifferenti di fronte al dolore altrui. Daphne, in parte, incarnava perfettamente quelle caratteristiche: era fredda, razionale, cinica, ambiziosa e del parere che, spesso, il fine giustificava i mezzi. Entrambi i suoi genitori erano grandi sostenitori della purezza del sangue e, seppur inconsciamente, lo era diventata anche lei e questo aveva, inevitabilmente, influenzato le sue scelte: se Hunter non fosse stato un purosangue, non si sarebbe mai concessa completamente. Forse, neanche si sarebbe innamorata, perché molte delle cose che più amava erano comunque il risultato di un certo tipo di educazione. Il suo ragazzo era perfetto per lei sotto ogni aspetto, non c'era quasi niente che non le piacesse e questo, a volte, le faceva paura. Quanto ancora profondamente lo avrebbe amato? Quanto, ancora, di lei, gli avrebbe raccontato? Tanto, forse troppo. Perché le sue parole e il modo in cui la stava stringendo, come se non volesse più lasciarla andare, la spinsero a serrare la presa intorno alla sua vita e a sprofondare ancora di più nel suo abbraccio. Faceva quasi fatica a respirare, il seno schiacciato contro il suo petto le doleva, ma non le importava, aveva bisogno di stare così per non ghiacciarsi e tornare quella di un tempo. «Purtroppo devo.» L'aiuto degli Andersen era essenziale per la lotta contro quella stronza, non poteva privarsene, anche se ne avrebbe fatto volentieri a meno, soprattutto dopo il modo in cui suo padre l'aveva trattata. Non riusciva a perdonarlo, non avrebbe mai potuto farlo. «Lo so. Se potessi non lo rivedrei mai più ma alcune cose mi impediscono di farlo.» La sua vendetta. Come avrebbe reagito Hunter quando avrebbe scoperto del desiderio di uccidere sua madre? L'avrebbe lasciata, o avrebbe accettato la sua oscurità? Lui l'aveva? Erano tante le domande che avrebbe voluto fargli, ma tacque, preferendo il suo sapore al resto. Lo baciò intensamente, la lingua si intrecciava alla sua e il calore del suo corpo la cullava. Era l'unico ad averla avuta in quel modo. Daphne non poteva dire lo stesso, ma le altre facevano parte del suo passato, non contavano, nel suo presente e nel suo futuro ci sarebbe stata lei. Si era innamorato e le aveva dato ogni parte di sé e, questo, non sarebbe mai cambiato. Schiuse le labbra e approfondì il bacio, muovendo, d'istinto, il bacino in avanti quando le sue mani finirono sul suo seno. Lo strinse e Daphne, incapace di resistere, gemette nella sua bocca, desiderando di essere altrove e di sentirlo sprofondare in lei, mentre baciava ogni parte del suo corpo. Le mani affondarono nei suoi capelli, aveva il fiato corto. Cercò di prendere aria quando liberò le liberò la bocca per lasciarle una scia di baci umidi sulla clavicola ma, poco dopo, se ne impossessò di nuovo: a quel punto mandò al diavolo ogni buon senso e lo baciò con foga, redendo il tutto ancora più profondo. Le piaceva baciarlo così intensamente; il modo in cui quel ragazzo le dava alla testa non si poteva spiegare. Per fortuna, era ancora in grado di pensare lucidamente, così si impose di fermarsi e, a fatica, di staccarsi.
    Lo guidò, poi, sulla superficie ghiacciata del lago prendendolo per mano. Era evidente che, quello, non fosse il suo elemento, ma aveva comunque deciso di andare da lei, nel suo mondo, perché, da quasi un anno, ne faceva parte anche lui. Voleva che sapesse tutto di lei, seppur gradualmente. Erano entrambi riservati, ma avevano condiviso tante cose e quando Hunter manifestò il suo stesso interesse con quel sorriso appena accennato, lo tirò verso di sé, forse un po' troppo forte, perché si ritrovò stesa sul ghiaccio con il corvonero sopra di lei. Scoppiò a ridere, era da tanto che non le capitava. Si sentiva libera, era tranquilla ed era tutto merito del suo ragazzo. «Forse non lo sai, ma è stato grazie alle mie doti da serpe che ti ho catturato.» Sfregò la punta del naso contro la sua e poi lo baciò, rilassando completamente il corpo contro il suo mentre il suo sapore le invase le bocca. Sospirò e gli circondò il collo con le braccia per avvicinarlo ancora di più a sé: nel loro rapporto la distanza, soprattutto fisica, non esisteva. Il suo corpo doveva essere in simbiosi con il suo, era quasi una regola. "Voglio essere speciale per te. Come tu lo sei per me." Addolcì lo sguardo e gli sorrise, mentre, delicatamente, gli accarezzò una guancia e gli sfiorò, in un gesto intimo, le labbra con il pollice. Si sporse leggermente in avanti, avvicinando il viso al suo e fermandosi a un millimetro dalla sua bocca. Come faccio a non innamorarmi ancora di più di te se, nonostante la difficoltà che hai nell'aprirti, come me, mi dici queste cose?«Lo sai che sei sempre stata la mia eccezione.» E avrebbe continuato ad esserlo, perché era l'unico in grado di abbattere le sue difese, di farle provare amore e di tenerla lontana dall'oscurità più assoluta. Era letteralmente la sua luce. Quel momento, tuttavia, fu interrotto da qualcuno che, onestamente, non era felice di vedere: Charles. Lasciò che Hunter l'aiutasse ad alzarsi e poi, insieme, si diressero verso il suo amico di infanzia e sua cugina. «Bene.» La risposta monosillabica del moro alla sua domanda trasudava un fastidio che non aveva ragione di esistere. Non era mai stato particolarmente bravo a dissimulare quando si trattava di lei, eppure, da figlio di un politico, sapeva farlo molto bene. Non disse altro, spostando la sua attenzione su Leyla che non nascose la sua sorpresa nel vederla insieme ad un ragazzo; qualcosa che non avrebbe mai creduto possibile. «Hai tante cose da raccontarmi, sai.» Daphne accennò un sorriso ed annuì, osservando il silenzio mentre, per la prima volta, un suo famigliare conosceva ufficialmente il suo Hunter. «Piacere mio. Devi essere speciale per aver sciolto il cuore della regina di ghiaccio qui .» Era da tempo che qualcuno non si rivolgeva a lei in quel modo, ma ciò non le diede fastidio, sapeva che Leyla era ironica anche se, spesso, parlava a sproposito come in quel caso. Aveva detto il vero, ma avrebbe preferito che, certe cose, le tenesse per sé, così da evitare reazioni non richieste come l'evidente disappunto sul viso di Chales. Tra l'altro, era stato un gran maleducato, non si era presentato e le aveva chiesto chi fosse la persona accanto a lei come se fosse costretta a dargli chissà quali spiegazioni. Aveva lo stesso modo di fare di suo padre, forse era anche per quello che non gli aveva mai permesso di avvicianrsi più di tanto, a differenza di Hunter che, invece, le era fin troppo vicino. Le mise una mano sul fianco e l'attirò a sé, e ciò le permise di rilassarsi un po': era il suo calmante. Poggiò la mano sulla sua, intrecciando le dita, un gesto caldo e intimo, in netto contrasto con l'espressione neutrale e indifferente che aveva assunto. Il corvonero aveva fatto lo stesso, questo suo lato lo aveva visto solo una volta: al ricevimento organizzato dalla sua famiglia. Solitamente era apatico nei confronti delle persone, a tratti snob, ma quel tono freddo e leggermente provocatorio denotava un fastidio di fondo. Gli accarezzò la schiena e quando udì la risposta dell'altro ragazzo socchiuse gli occhi, guardandolo in maniera gelida. «Lo stesso potrei dire di te. Amico, dici? Dipende dai punti di vista. Comunque piacere, sono Charles Lansen.» Gli strinse la mano con decisione e sorrise sornione a Daphne. Il loro rapporto era particolare: erano cresciuti insieme, nello stesso ambiente, e fino a quando sua madre non se n'era andata l'aveva, in qualche modo, sempre capita, poi le cose erano cambiate - lei era cambiata - e si era isolata. Aveva chiuso il suo cuore al mondo, se n'era andata senza dirgli niente e adesso eccola lì, fidanzata, con qualcuno che, senza problemi, la toccava e invadeva il suo spazio personale. Grazie alla posizione che suo padre ricopriva, aveva sempre avuto ciò che voleva, e in un tacito accordo tra quelle cose rientrava anche la bionda perché era quasi scontato che loro due, alla fine, finissero insieme. Aleksander si fidava di lui, e già mesi fa aveva cercato di farlo mettere insieme all'altra figlia, Felicia, ma aveva rifiutato perché qualcosa non andava: quell' uomo tutto d'un pezzo era un purista come lui, cosa aveva potuto sposare una babbana? Anche suo padre era dello stesso parere, ma non avevano prove quindi, per ora, non potevano fare niente. Tuttavia, oggi, era qui per portare sua figlia da lui per sua richiesta. Nel mentre, Daphne, non esitò nel rispondergli a tono e a metterlo al suo posto. «Non ci sentiamo da tanto, come avrei potuto dirgli di te? E poi hai ragione, non siamo amici. Direi più conoscenti per costrizione.» E con quello mise in chiaro le cose, di fraintendimenti inutili creati da terzi non ne voleva. Avrebbe protetto la sua relazione sempre e comunque, le intromissioni esterne non erano gradite e non esitò nel farlo capire anche a lui. Non sapeva perché si comportasse così con lei, cosa voleva esattamente? Quello non era certo il modo di comportarsi se voleva rientrare nella sua vita. Per niente. «Tuo padre vuole parlati. Puoi venire con me?» Avrebbe voluto dirgli di no, ma sarebbe stato controproducente; era la sua occasione per far tornare Aleksander quello di un tempo insinuando il dubbio nella sua mente. Se aveva chiesto di vederla, qualcosa aveva iniziato a muoversi. Annuì con la testa, poi si voltò verso Hunter e posò le labbra sulle sue muovendole leggermente. «Devo andare, torno appena posso. Scusami.» Poggiò la fronte contro la sua per qualche secondo e poi si staccò. Tornò ad indossare delle scarpe normali, raccomandò sua cugina di fare compagnia al suo ragazzo e poi, dopo aver afferrato il polso di Charles, si smaterializzarono nello studio di suo padre. Lo guardò con i suoi stessi occhi in tempesta, erano anni che non si vedevano e l'averlo lì, a poca distanza, non le provocava niente se non un leggero fastidio.
    Aleksander non disse nulla per un po', fece solo segno al ragazzo di lasciarlo da solo con la sua prima figlia, l'erede degli Andersen, l'unica che aveva il diritto di vivere in quel maniero secondo i suoi genitori. Non le era mancata quando era andata via senza preavviso, la sua vita era continuata normalmente con la donna che amava e Felicia, il frutto del loro amore. Eppure, era Daphne, la figlia messa al mondo per dovere, che gli somigliava, che aveva i suoi lineamenti, anche se in lei c'era anche molto di quella donna. Ellen, la sua ex moglie, la vittima. Ma lo era davvero? Ultimamente si sentiva strano, aveva iniziato a prosi domande che non non avrebbe dovuto, perché ciò che dicevano di lui era in netto contrasto con chi sapeva di essere. Quando aveva saputo
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    che sua figlia era lì con un ragazzo questa mattina, non aveva perso tempo e aveva chiesto a Charles di portarla da lui. Aveva il suo stesso sguardo, eppure non poté non notare la bellezza fredda di quello di sua madre. «Vieni qui, dopo due anni, e nemmeno ti degni di rendere nota la tua presenza?» Non era quello che avrebbe voluto dirle, eppure gli venne quasi in automatico. Perché si sentiva così? Era sempre stato quello il modo in cui le aveva sempre parlato, che c'era di diverso questa volta? «Perché avrei dovuto? Non ero morta per te, padre?» Il modo in cui si muoveva, il tono di voce, l'apatia, erano quelli di una bambola tanto bella quanto inanimata. Daphne era così in quella che, per anni, era stata la sua gabbia dorata. Notò ugualmente l'irrigidimento delle spalle di suo padre per quelle parole, un gesto insolito per uno come lui. «Che vuoi da me?» Non voleva restare in quel posto un minuto di più, così andò diritta al sodo. Aleksander si alzò e si avvicinò a lei, rigido, meccanico, era come se stesse combattendo contro se stesso. E, forse, era esattamente quello il caso, perché, quasi spaesato le rispose: «Non lo so.» Allungò una mano verso di lei per toccarla, ma gli sfuggì facendo un passo indietro. Quel gesto, in qualche modo, lo ferì e per poco non alzò una barriera d'aria per impedirle di andare via quando si incamminò verso la porta in legno scuro. «Ci sono tante cose che non sai, ma non te le dirò oggi.» E senza dire altro, varcò la soglia. Rivolse un occhiata gelida a Charles e al suo patetico tentativo di seguirla, doveva stare al posto suo, si era già intromesso in cose che non lo riguardavano in prima persona. Suo padre avrebbe potuto scriverle o andare lui stesso a prenderla, invece, non aveva avuto il coraggio di farlo per paura che Astrid si offendesse, ma adesso che aveva avuto la certezza che stesse iniziando a ricordare chi era, sapeva che era solo questione di tempo prima che la cacciasse. In lontananza sentì la sua voce stridula, il ghiaccio iniziò a scorrerle nelle vene e prima che potesse gelarla del tutto si smaterializzò e tornò nel luogo in cui doveva essere: da Hunter. Non appena la vide, sua cugina seppe che non era il caso di trattenersi, quando Daphne aveva quell'espressione era successo qualcosa. Si congedò educatamente e lì lasciò soli. «Hunter» La sua voce atona, senza vita, da quando non la sentiva? Adesso ricordava perché era arrivata a non voler provare più nulla, era così bello essere in pace con se stessi. Perché mi sono lasciata trasportare da sentimenti così irrazionali? Per chi? Per quella bugiarda di mia nonna? «Stringimi per favore.» Altrimenti tornerò a non sentire più niente come prima.

     
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    L'espressione di Daphne quando si parla della sua famiglia è talmente esplicativa da non necessitare di alcuna spiegazione verbale: il suo viso sembra trasformarsi, irrigidisce, farsi freddo e distaccato a rappresentare l'evidente sentimento di astio che la serpeverde prova nei confronti della famiglia. Non ha buoni rapporti con la madre, non ha buoni rapporti con il padre nè tantomeno con la sorella che rappresenta quasi una sua nemesi. L'unica a salvarsi dalla sua indifferenza sembra essere la nonna, l'unica di cui ha una considerazione diversa, una voce fuori dal coro di cui Daphne sembra avere un buon ricordo. Dico sembra perché con lei è sempre tutto accennato e poi sta a me provare a ricostruire la storia. Ho sempre rispettato questo suo silenzio, l'ho sempre compreso perché anche io come lei non mi apro facilmente nemmeno sulle cose più banali... eppure provo una curiosità nuova che non riesco a contrastare, così come non riesco ad oppormi a quell'istinto che mi suggerisce di ricordarle come sarebbe più sensato se lasciasse quella famiglia che tanto la respinge a bollire nel suo brodo. Anche questa volta però la sua risposta ha, per me, perfettamente senso - mh... penso di poterlo capire - sembra una situazione analoga alla mia, preferirei di gran lunga non avere più niente a che fare con i miei nonni e per esteso con la famiglia di mio padre. Ma alcune cose me lo impediscono, la loro influenza me lo impedisce, e il peso che può avere sulla mia vita e quella di mia sorella. Sono situazioni sul filo del rasoio, una partita a scacchi che va giocata con la massima precisione perchè ogni mossa potrebbe essere decisiva.
    Forse le nostre vite si somigliano più di quanto potessi ommaginare, più di quanto non sembri ad una prima superficiale occhiata. Anche questa si aggiunge alla mia lista mentale delle cose che mi connettono così tanto a Daphne, una lista a cui io tengo particolarmente perché rende tutto assurdamente concreto. Rende più intensi persino i contatti fra di noi, ogni bacio, ogni carezza: sento la sua pelle farsi più calda ovunque io la tocchi, si arrossa sulla zona della clavicola dove mi soffermo più a lungo prendendomi il mio tempo per assaporare la sua pelle. A quel punto stringerla ancora a me e percorrere il suo corpo con le mie mani, è quasi un'esigenza che con mia grande fortuna lei asseconda, come sempre. Non pensavo di essere così tanto legato al contatto fisico, di riuscire ad apprezzarlo e a sentirne la mancanza fino a questo punto. È a causa sua se sono così, è a causa sua se ogni volta che la sento muoversi contro il mio corpo perdo la ragione e l'istinto mi dice di portarla via da qui e tornare nella stessa stanza dove abbiamo trascorso gli ultimi giorni. Godo del sapore delle sue labbra e la trattengo a me tenendola saldamente dalla nuca, ma ad un certo punto mi scivola via probabilmente perché anche lei è stata colpita in faccia dal fatto che non ci troviamo nel luogo giusto per continuare. Non fare l'egoista Hunter non hai mai avuto fretta.
    La mia avventura sul ghiaccio dura molto poco, pochi minuti e ci ritroviamo di nuovo uno stretto all'altra sulla superficie congelata del lago. Non posso non trattenere un sorriso quando mi definisce "la sua eccezione" - suona bene - e suona bene perchè è lei a dirlo. Potrei anche aggiungere qualcosa in più, ma il tempismo che hanno la cugina di Daphne e questo Charles, non ce lo permette; risponde seccamente alla serpeverde, una sola parola e uno sguardo presuntuoso dipinto sul volto a cui però non do troppo peso. Leyla invece, così dice di chiamarsi, ci riserva e mi riserva soprattutto un trattamento completamente diverso - regina di ghiaccio, sì, questo soprannome sembra seguirla ovunque vada - sono sicuro di ciò che dico perché mi sembra di aver già sentito qualcuno riferirsi a lei con quel nomignolo - speciale? Lo spero - in qualche modo il fatto che sia un suo familiare a farmelo notare, gli dà un peso maggiore che non mi dispiace affatto. Così come non mi dispiace affatto che Charles ascolti quello che diciamo: dopo le mie parole la sua faccia sembra farsi ancora più stizzita, dice qualcosa in tono provocatorio, anzi, insinua qualcosa. In che senso dipende dai punti di vista? Cos'è che vorrebbe dire? Esiste un solo punto di vista rilevante in questo caso, ed è proprio quello di Daphne. Nonostante ne sia consapevole, un sopracciglio scatta in alto e crea una crepa nella mia espressione indifferente. Un attimo dopo si rilassa, solo grazie al tocco di Daphne sulla mia schiena che a quel punto prende parola specificando il loro rapporto. Sembra si conoscano da tempo ma allo stesso tempo lei lo considera un "conoscente per costrizione". Per costrizioni dovute a cosa? Le circostanze? Dovrò rimandare le domande a più tardi, perché adesso Daphne deve dare la priorità ad altro e la guardo piuttosto perplesso quando dice di dover incontrare il padre, lo stesso padre di cui casualmente ci siamo ritrovati a parlare poco fa, quello che l'ha rifiutata. Ma posso oppormi alla cosa? Le sue parole mi fanno capire di no, che è giusto che vada - va bene, ti aspetto qui - cerco di rivolgerle un'espressiome rassicurante mentre poggio a mia volta la mia fronte sulla sue. Poi allento la presa sulla sua mano, perchè devo. Guardo la schiena dei due "conoscenti" posando gli occhi prima sulla serpeverde e poi su Charles, incrocio le braccia al petto e sto così fino a quando non scompaiono nel turbinio della smaterializzazione. Solo allora espiro rumorosamente dalla bocca, come se fino a quel momento avessi trattenuto il fiato. Mi sento un po' un deficiente a preoccuparmi così, Daphne non è nè una bambina nè una scema, non avrei motivo di stare in pensiero - non preoccuparti, sarà una cosa veloce - Leyla sembra sentire il bisogno di rassicurarmi. Beh è sua cugina, ne saprà qualcosa in più - mh... non importa, l'aspetterò il tempo necessario - la ragazza annuisce e forse per riflesso, inizia a guardare davanti a sè, nella mia stessa direzione. Con la coda dell'occhio vedo che dondola un po' sul posto, sembra quasi che voglia dire qualcosa. E infatti non ci mette poi molto a rompere il silenzio - quindi sei il ragazzo di Daphne... non è una cosa che si sente tutti i giorni, che hai fatto per conquistarla? - la sua è quel tipo di battuta che in realtà viene detta per scoprire qualcosa in più, perchè in realtà sembra davvero molto incuriosita dalla nostra relazione - non penso di aver fatto granchè. Forse è stata più lei ad aver conquistato me - Layla ride, e anche se non ne capisco bene il motivo quello che dice dopo mi aiuta un po' a capirne la ragione - Oh, credimi, se è lei ad aver conquistato te è perchè ha voluto farlo. Allora devi avere davvero qualcosa di speciale! - è strano credere che siano parenti, mi sembrano molto... diverse. Poi però penso a me e a mia sorella, e immediatamente la cosa non mi sembra più molto strana - pensavo che prima o poi lei e Charles sarebbero finiti insieme, ci avrei scommesso - - e perché sarebbero dovuti finire insieme? - la mia risposta è praticamente immediata, così come anche la sua - sai com'è, le famiglie, le circostanze - di quali circostanze sta parlando? Non ho il tempo di chiederglielo, Daphne riappare proprio davanti a noi con un'espressione buia in volto. Leyla aveva ragione, l'incontro non è durato molto ma evidentemente bastato per farle cambiare l'umore. Il tono di voce con cui pronuncia il mio nome non è dei più rassicuranti, potrei affermare di non averla mai sentita tanto abbattuta. Anche sua cugina sembra accorgersene e decide che è meglio salutarci e andar via. Le vado incontro e prima che sia lei a potermelo chiedere, l'avvolgo fra le braccia poggiando il mento sulla sua testa e così, senza aggiungere altro, mi smaterializzo di nuovo nella casa di cui ormai ho un'immagine chiara in mente. In particolare ci ritroviamo all'interno della camera da letto, sicuramente perchè è lì che abbiamo passato la maggior parte del tempo - sono qui - glielo sussurro baciandole la fronte, poi la guancia destra e finalmente le labbra mentre lei intreccia le sue braccia intorno al mio collo per attirarmi a sé. Vorrei chiederle molte cose ma in questo momento non riesco a pensare a nessuna domanda, probabilmente perché non è il momento giusto per farle. Daphne indietreggia senza mai staccare interrompere il bacio che si fa irrequieto e disperato, che cerca forse... consolazione? Non so cosa sia, so soltanto che riesco quasi a sentire il suo corpo parlarmi, chiedermi di starle vicino, di farle sentire il mio calore. Arriva al bordo del letto dove la sovrasto, l'accompagno soggerendole la schiena mentre si distende sul materasso. Il mio bacio si fa più lento quasi a volerle suggerire un ritmo diverso, a volerle dire che io non vado proprio da nessuna parte. Non mi allontano, non interrompo quel bacio ma apro gli occhi e la guardo mentre sfioro lentamente le sue labbra con la lingua. Il contatto è bollente, profondo, così come, nonostante la temperatura esterna, è calda la sua pelle sotto al vestito che inizio a sollevarle - sono qui... - glielo sussurro ancora posando le labbra sul suo collo bianco, prendendomi tutto il tempo del mondo per baciarla ogni centimetro di pelle e poi possederla, stringerla come lei mi ha chiesto di fare e come voglio fare.

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    Mi bruciano gli occhi. Daphne questa notte non ha smesso di tremare, e non è a causa del fatto che ci siamo addormentati nudi e a coprirci c'è solo un lenzuolo, so riconoscere un sonno irrequieto quando lo vedo. Il suo viso è rimasto in tensione per tutto il tempo così come il suo corpo, che ogni tanto ha dato sfogo a qualche scatto un po' più violento, sembrava che si sarebbe svegliata da un momento all'altro. È per questo che nonostante abbia chiuso gli occhi, non mi sono mai addormentato davvero. La guardo con gli occhi socchiusi mentre le sfioro la fronte con il pollice, è leggermente umida ma fredda. Di cosa ha parlato con suo padre? È stato un incontro molto, troppo breve, non mi aspettavo di vederla tornare così. È colpa sua se è così irrequieta? Colpa sua, oppure... «no... no, Ludde... Ludde!» Ludde? Daphne apre gli occhi all'improvviso come se si fosse risvegliata da un incubo. Ha il respiro pesante e un'espressione scossa in viso. Allungo la destra sul suo collo con lo scopo di sollevarle un po' i capelli e farla così respirare meglio - Daphne, che succede? Cosa hai sognato? - cosa ti ha ridotto così? Che hai visto di così sconvolgente da farti perdere il sonno?



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    La Norvegia non era solo la sua casa, ma anche il suo passato. Uno che avrebbe preferito dimenticare. In quel posto suo fratello era stato ucciso a sangue freddo da sua madre e lei, inerme, era stata costretta a vedere i suoi occhi spegnersi mentre il suo cadavere veniva gettato via. A lungo, lo aveva osservato galleggiare sulla superficie del lago artificiale della tenuta degli Andersen dopo che Ellen era andata via. Aveva pianto lacrime amare, aveva urlato a squarciagola il suo nome, disperata, chiedendogli, invano, di tornare da lei. Lentamente, i ricordi di che le erano stati strappati via stavano tornando, ma ancora molte, le cose, che non sapeva: suo fratello era stato seppellito? Aleksander sapeva della sua esistenza? Aveva desiderato anche la sua, di morte? Quei pensieri le stavano facendo scoppiare la testa così, per metterli a tacere, aveva cercato costantemente il calore di Hunter. Solo con lui riusciva ad essere serena. Aveva deciso di portarlo lì per farle conoscere la parte bella del suo passato, come la sua passione per il pattinaggio, ma l'arrivo improvviso di Leyla e Charles aveva rovinato quel momento. Era felice di rivedere sua cugina dopo due anni, e infatti le sorrise, presentandole il suo ragazzo. "Speciale? Lo spero." Quando sentì quelle parole, si voltò verso di lui e, con dolcezza, gli diede un bacio sul collo, poi poggiò il mento sulla sua spalla. Era sempre stato speciale, il suo complicato mistero. E lei era l'unica a saperlo. Si rilassò contro il suo corpo, ma il modo in cui il suo amico di infanzia gli stava parlando non le piaceva affatto. Tra l'altro, aveva anche fatto delle velate allusioni sul loro rapporto che, ovviamente, non esitò a smentire. Lo guardò freddamente, intimandolo a tacere, perché nel caso avesse deciso di continuare non sarebbe stata così gentile. Quello che stava facendo non aveva alcun senso, a meno che non avesse una cotta per lei, ma era improbabile visto che, per anni, aveva corteggiato Leyla per mettere a tacere le voci di un loro possibile matrimonio. E lei era d'accordo: non si sarebbe mai sposata con qualcuno scelto dai suoi genitori. Aveva chiuso il suo cuore, congelando le sue emozioni. Hunter, però, era stata la sua eccezione e, alla fine, si era innamorata.
    Quando le loro fronti si toccarono, Daphne respirò a pieni polmoni il suo profumo e, prima di staccarsi, poggiò le labbra sulle sue. Poi andò all'inferno. Il maniero in cui era cresciuta era esattamente come lo ricordava: freddo, buio e tetro. Anche suo padre era così. Il loro incontro fu breve, poche parole vennero scambiate e, non appena ne ebbe l'occasione, Daphne uscì da quello studio, il luogo in cui era stata rifiutata e umiliata. Camminò lentamente per il corridoio dell'ala est, dov'era la sua camera, e osservò freddamente il pavimento in marmo in cui era stata torturata da sua madre, il muro in cui era stata spinta da quella mezzosangue e la porta contro cui quella sudicia babbana l'aveva scaraventata. E lei, gelida, le aveva guardate senza dire una parola, trattandole come delle mosche fastidiose di cui non riconosceva nemmeno l'esistenza. Come i suoi nonni paterni. Si fermò per guadare un dipinto risalente a sette anni fa: in mezzo c'era lei e di fianco i suoi genitori. Inclinò la testa di lato e lo sfiorò con le dita. Perché era ancora lì? Estrasse la bacchetta dalla pochette, fece due passi indietro e con voce atona pronunciò un Diffido. Con estrema precisione fece a pezzi la tela. Era una sensazione piacevole non sentire niente ed essere perfettamente in grado di controllare ogni singola emozione. Pensava e agiva razionalmente, senza interferenze esterne, niente la scalfiva. Delle voci riecheggiarono in lontananza, si voltò verso destra, chissà forse avrebbe potuto mettere in trance quelle due prima di tornare da Hunter. Hunter, il ragazzo che amava. Doveva andare via di lì, altrimenti rischiava davvero di non sentire più niente e di perdere la felicità che aveva trovato. Si smaterializzò sulle rive del lago e, non appena incorniciò lo sguardo del corvonero, gli chiese di stringerla. Aveva bisogno di sentire il suo calore. Quando le sue braccia la avvolsero, Daphne affondò il viso nel suo petto, trovando subito conforto. Lo strinse spasmodicamente a sé, voleva averlo vicino il più possibile. Tornarono nella camera da letto in cui avevano trascorso gli ultimi tre giorni in intimità, in cui era stata più felice. Odiava suo padre, sua madre, sua nonna. Li avrebbe..."Sono qui." Gli occhi le si riempirono di lacrime per la dolcezza con cui pronunciò quelle parole. Le diede un bacio sulla fronte, sulla guancia e quando le sue labbra si posarono sulle due, Daphne schiuse le sue e fece scivolare la lingua contro la sua. Sospirò, gettandogli le braccia intorno al collo per avvicinarlo a sé. Approfondì il baciò che, man mano, divenne sempre più disperato. Affondò le mani nei suoi capelli e iniziò a indietreggiare verso il letto. Aveva bisogno di lui per riconnettersi con le sue emozioni. Quando fu sopra di lei, schiuse ancor di più le labbra, quel bacio la stava privando del suo respiro, ma voleva che fosse sempre più profondo. Voleva che il sapore di Hunter restasse impresso nella sua bocca. Voleva che tutto, di lui, le restasse impresso. Quando si staccò, aprì gli occhi e poggiò la fronte contro la sua mentre, con le gambe, gli cinse la vita per averlo completamente stretto a sé. «Sei qui.» Con me. Gemette dolcemente quando le sue mani e la sua bocca percorsero ogni millimetro del suo corpo, lo baciò a lungo, fino a consumarsi le labbra e quando, finalmente, la fece sua, possedendola e diffondendo, in lei, il suo calore, si dimenticò di tutto. In quel momento esisteva solo lui. Il suo amore.


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    Pioveva. Il freddo le penetrava nelle ossa, non riusciva a respirare, le mancava l'aria. Non vedeva niente. Era buio. Poi qualcuno pronunciò il suo nome. Si voltò e i suoi occhi azzurri incontrarono quelli di Ludde, suo fratello. A fianco a lei, sua madre si ergeva in tutta la sua bellezza. Guardava quel bambino con occhi gelidi, privi di sentimento. Quell'abominio doveva sparire. Daphne voleva urlare, ma era stata privata della sua voce. Ellen alzò la bacchetta. Un lampo verde colpì suo fratello al cuore. Era morto. E lei non aveva potuto fare niente per salvarlo. «Questo è il prezzo da pagare per il tuo potere.» Lacrime amare solcarono il suo volto. Ludde era morto. Ludde...«No... no, Ludde... LUDDE!» Urlò il suo nome, svegliandosi di soprassalto. Aveva avuto un incubo. Respirò a fatica, il cuore le batteva forte nel petto e l'immagine del cadavere di suo fratello era ancora lì, nella sua mente. Si passò nervosamente una mano tra i capelli, massaggiandosi poi le tempie. Hunter parlò. Si voltò di scatto verso di lui e lo guardò con occhi in tempesta. Era preoccupato per lei, forse neanche aveva dormito conoscendolo. Schiuse le labbra per dire qualcosa, voleva raccontargli tutto, ma non ci riuscì. Come poteva dirgli del suo dolore senza crollare? Senza lasciarsi sopraffare dalle emozioni? Non voglio più provare questo dolore, basta! Provò a toccarla, ma si ritrasse. Se l'avesse toccata, si sarebbe sgretolata in mille pezzi. «Scusami.» Con voce rotta pronunciò quella frase e poi si alzò dal letto, nuda, attraversò di corsa la stanza e si chiuse in bagno a chiave. Aveva bisogno di stare da sola e di riprendere il controllo. Doveva somatizzare il dolore. Come faceva sempre. Senza pensarci due volte, si fece una doccia fredda e, con la schiena poggiata alla parete, chiuse gli occhi, immobile, mentre il gelo le penetrava nelle ossa, proprio come quel giorno. Rimase in quella posizione per qualche minuto, ma continuava a vedere suo fratello morto, sua madre, la pioggia, l'Anatema della morte, il potere per cui Ludde era stato sacrificato. Se continuava così sarebbe impazzita. Stava soffocando, doveva uscire di lì, doveva andare via. Lontano da tutti, da tutto. Uscì in fretta e furia dalla doccia, ancora bagnata, e aprì la porta, precipitandosi nella camera da letto. Aprì il cassetto del comodino, indossò un paio di slip e il reggiseno e poi si voltò. Non appena vide l'espressione sul viso di Hunter si bloccò, cosa stava facendo? Lo stava lasciando senza una spiegazione? Perché non gli si buttava tra le braccia e gli raccontava tutto? Perché, se lo faccio, non posso tornare più indietro. Se lo faccio crollo, mi dispero e lo amo più di prima. Se lo faccio, gli apparterrò per sempre. Se lo faccio, dovrà amare solo me. Non poteva dargli completamente il suo animo, altrimenti nessuno dei due sarebbe mai più stato libero di lasciare l'altro. Non glielo avrebbe permesso. Come non avrebbe permesso al dolore di controllarla. Era più forte di così. «Sto pesando di tornare a Londra, non posso più stare qui.» Voleva urlare. Voleva piangere. Voleva lasciarsi andare. Ma come?



    Edited by Daphne. - 7/11/2023, 12:24
     
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    La stringo a me come mi ha chiesto di fare e perché per adesso questo è tutto quello che posso effettivamente fare, distrarla col sesso e con il calore del mio corpo. Io lo so, capisco la sua urgenza perché io stesso nel tempo ne ho avuto un bisogno tremendo, per non pensare, per non cadere in un loop da cui non avrei la forza di uscire senza un aiuto. Adesso però ci sono io con lei e non voglio che pensi o provi quello che ho pensato e provato io. Infondo le mie intenzioni in ogni bacio e ogni gesto che le sfiora la pelle, la stringo al mio corpo intensificando quel contatto tra di noi, non lo interrompo neanche per un attimo, persino le nostre labbra si cercano voraci e senza pause. Non metto distanza neanche quando arrivo al culmine e quando poi, entrambi stanchi, finalmente ci addormentiamo.
    È per questo che l'ho sentita muoversi nel sonno, perché le mie gambe sono ancora intrecciate alle sue. Le sfioro i capelli mentre riapro lentamente gli occhi concentrandomi sulle microespressioni del suo volto contratto, dovute probabilmente ad un brutto sogno che sta avendo. Vorrei vederlo, riuscire a scrutare nella sua mente per sapere cosa le sta creando un'agitazione che non avevo mai visto prima, per capire quale sarebbe il modo migliore in cui posso agire. Purtroppo questo potere non mi appartiene, quindi non posso neanche prevedere il suo risveglio improvviso ed agitato nè supporre a cosa sia dovuto. O forse sì: c'è un nome che pronuncia, quasi urla, quando si mette dritta sul letto, il respiro affannato, la fronte umida e lo sguardo disperato che fissa davanti a sè. È come se fosse sola, come se stesse ancora sognando e io non fossi realmente qui con lei perché ignora le mie parole e poi, peggio ancora mi respinge. Respinge il mio tocco, allontana la mano che prova ad avvicinarsi a lei per darle un conforto, anche questa volta in un modo che mai aveva messo in atto. Resto interdetto, perplesso, riesco solo a guardarla con occhi confusi quando si scusa. No, non si sta realmente scusando... mi sta evitando? Resto a guardarla, a seguire i suoi movimenti con lo sguardo però tormentato dai pensieri che adesso prendono a sovrapporsi senza tregua nella mia mente, uno lotta con l'altro e sostanzialmente alla fine tutti si concentrano in un unico solo pensiero: perchè questo silenzio? L'atmosfera nella stanza è sospesa, il tempo sembra fermarsi. La riempiono soltanto il suono delle lenzuola che scosta, i passi che fa per raggiungere il bagno e il rumore della porta che si chiude alle spalle e nella mia mente sono tutti amplificati, risuonano come un eco e fanno da sottofondo ai pensieri. Fisso la porta del bagno aspettando un movimento, nel frattempo colgo l'occasione per rimettermi l'intimo addosso e i pantaloni. Cosa dovrei dirle? Posso effettivamente dirle qualcosa? Ma cosa? Se devo scegliere fra dire qualcosa che potrebbe essere sbagliata e non dire nulla, nel dubbio preferisco tacere. Ecco perché non insisto, le lascio del tempo perché forse ha bisogno di un attimo prima di parlare e di dirmi cosa succede. Quindi le concedo quell'attimo, mi siedo al bordo del letto e continuo a guardare quella porta fino a quando finalmente non si apre. I nostri occhi non si incrociano, non una singola parola viene pronunciata, Daphne raggiunge il comodino e meccanicamente prende qualcosa dal suo interno. Solo adesso alza il viso incontrando il mio, probabilmente contratto in un'espressione interrogativa e smarrita. Ma non parla, perché non parli? Non un dannatissimo suono esce dalla sua bocca. Dì qualcosa adesso, dimmi qualcosa che possa rispondere alle mie domande.. Forse ha bisogno di una domanda più esplicita quindi incapace di attendere oltre decido di prendere io l'iniziativa, incapace di sopportare ancora questo frustrante silenzio. Schiudo le labbra per dire qualcosa ma la serpeverde mi precede sul tempo «Sto pensando di tornare a Londra, non posso più stare qui.» cosa? É davvero questo quello a cui stai pensando? Uma frase che non lascia spazi a dubbi, non è una possibilità ma un asserzione.
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    Mi metto in piedi voltandomi totalmente in dua direzione e batto velocemente le palpebre per la sorpresa. Perché? Cosa è successo con tuo padre, cosa hai sognato? Chi è Ludde? Sono tante le cose che vorrei chiederle, ma dalla bocca mi esce tutt'altro - no Daphne, non così - il tono non riesce più ad essere caldo e comprensivo come prima, adesso è solo il tono di chi vuole capire - tu eri quella che voleva raccontarmi tutto, mi sembra - il tono di chi si sente preso in giro. Faccio un passo indietro, sento tutto il mio viso irrigidirsi per via della sensazione sgradevole che sto provando - adesso cosa significa "sto pensando di tornare a Londra"? Così, senza aggiungere altro, dopo stanotte è tutto quello che hai da dirmi? - alzo la voce, non la trattengo, perchè sono deluso: pensavo avesse molto altro da aggiungere. Pensavo che avremmo parlato, parlato davvero una volta che si fosse calmata. Mi ero convinto, mi aveva convinto, del fatto che avrebbe voluto appoggiarsi a me così come io ho fatto con lei. Me ne ero convinto perché era stata lei a dirmelo, io sono una persona concreta, non giungo alle conclusioni sulla base del nulla. È stato giusto ieri che le ho detto di voler sapere tutto di lei e quando arriva l'occasione decide di... tagliarmi fuori? No, non l'accetto. Non è una risposta accettabile. ogni parte di me si oppone alla sua decisione, non l'ammette, non vuole che sia quella definita. Non può esserlo - mi dispiace, ma non puoi tornare a Londra. Non così, non senza avermi detto cos'è che ti tormenta da ieri - è solo adesso che muovo rapidamente qualche passo in sua direzione, è come se fino ad adesso le avessi lasciato lo spazio per riflettere, ma ora il mio corpo volesse metterla all'angolo - io mi sono aperto con te, sembra che tu non riesca a fare lo stesso - la guardo negli occhi chiari serrando la mascella. Parlami Daphne, cazzo, dimmi qualcosa, permettimi di capire.


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    Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando era entrata in quel bagno. La schiena, poggiata contro la parete, aveva assorbito il freddo delle piastrelle, in contrasto con l'acqua quasi bollente che le sfiorava la pelle. Due sensazioni contrastanti, diverse, come quello che stava provando in quel momento mentre, con gli occhi chiusi e i pugni serrati, cercava con tutte le sue forze di non crollare in mille pezzi. Cosa doveva fare per somatizzare quel dolore? Lasciare che la sua mente prendesse il sopravvento, spegnendo del tutto le sue emozioni per non sentire più niente, o piangere, urlare e buttare fuori tutto quello che aveva dentro? Due anni fa, avrebbe permesso al suo cuore di congelarsi completamente, ma adesso non voleva farlo, non voleva tornare ad essere una bambola inanimata. Come desiderava sua madre. Ma era difficile resistere quando, il suo desiderio più grande, era sempre stato il controllo di ogni sua azione, di ogni suo gesto, di sé stessa, senza essere influenzata da fattori esterni o da sentimenti irrazionali. D'altronde, chi che le aveva detto di non chiudere il suo cuore era solo una bugiarda. Sua nonna aveva finto amore, non lo aveva mai provato. Perché avrebbe dovuto seguire i consigli di una donna del genere? Sì, forse sarebbe stato meglio non sentire più niente per non impazzire... Eppure l' intensità con cui i ricordi della morte di Ludde, dell'espressione crudele e contorta di sua madre e delle sue stesse urla la colpì, quasi la costrinse a urlare. Faceva male. Troppo male. Devo uscire di qui, devo andare via, devo controllarmi. Aprì gli occhi di scatto, uscì dalla doccia in fretta e furia e si precipitò nella stanza da letto, chiudendosi la porta alle spalle. Dopo aver indossato l'intimo si voltò e lo sguardo confuso e ferito di Hunter la colpì come un fulmine a ciel sereno. Avrebbe dovuto fermarsi a riflettere, avrebbe dovuto dirgli qualcosa, qualsiasi cosa, ma non ci fu altro che silenzio. Per dei lunghi, interminabili attimi tacque, aveva paura di esporsi, di mostrarsi debole, di raccontare ciò che era successo a suo fratello perché Hunter, inevitabilmente, avrebbe scorto l'oscurità che si celava in lei e nella sua famiglia. La cosa migliore era andarsene, fuggire, mettere distanza, così il suo ragazzo avrebbe avuto ancora una via d'uscita. Avrebbe potuto ancora lasciarla. Non voglio questo! Stava impazzendo, non sapeva che fare, come comportarsi. Voleva scappare, ma il no categorico di Hunter alle sue parole la gelò sul posto. Era la prima volta che si rivolgeva a lei in quel modo, era ferito, arrabbiato, eppure continuò a tacere. "Tu eri quella che voleva raccontarmi tutto, mi sembra". Si strinse nelle spalle e lo guardò diritto negli occhi, doveva parlare. Doveva dire qualcosa. Non poteva essere così debole.«Voglio farlo ma è difficile.» Distolse lo sguardo e osservò fuori dalla finestra gli alberi scossi dal vento. Non era facile, per lei, raccontare di quel giorno. Non l'aveva mai fatto e aveva paura di lasciarsi andare al dolore, non sapeva come gestirlo. Poi Hunter alzò la voce e Daphne si voltò di scatto, sgranando gli occhi. Pensava che non volesse dirgli tutto? Voleva, eccome se voleva, ma aveva una fottuta paura che, una volta scoperto tutto, se ne sarebbe andato anche lui. Non lo avrebbe sopportato. Era arrivata ad amarlo troppo per sopportarlo, e per sopportare, che le azioni di sua madre, ancora una volta, le facessero perdere qualcuno che amava.«Maledizione Hunter! Se parlo, se ti dico tutto di me, dopo non si torna indietro!» Alzò anche lei la voce, ma il suo ragazzo, testardo e convinto di avere ragione, le si avvicinò, sbarrandole la strada. Strinse i pugni e serrò la mascella, stava rendendo tutto così difficile. «Lasciami andare!» Quasi lo urlò. Stava per cedere, perché con lui non riusciva ad essere fredda, non riusciva ad essere indifferente. Con lui, le sue emozioni, si amplificavano. Respirò a fatica, passandosi nervosamente le mani tra i capelli, gli occhi le si fecero lucidi. "Io mi sono aperto con te, sembra che tu non riesca a fare lo stesso." Ricordò quella sera di aprile in cui, sfinito, aveva pianto disperato tra le sue braccia per la morte di suo padre. Si era affidato a lei, aveva scelto di fidarsi, di mostrarsi. Hunter non le avrebbe mai fatto del male, poteva essere se stessa con lui, lo era sempre stata. A quel punto le lacrime cominciarono a cadere, non riuscì più a trattenersi. Il dolore esplose. «Ludde era mio fratello, ed è morto, è stato ucciso e io non ho potuto fare niente per salvarlo. NIENTE!»
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    Questa volta urlò, lasciò che Hunter la vedesse crollare perché era stanca, stanca di tenersi tutto dentro, stanca di provare a controllare un dolore che, prima o poi, avrebbe preso il sopravvento. Si sentiva quasi una sciocca a farsi vedere così a causa di tutti quegli in anni in cui le era stato ripetuto che non avrebbe dovuto piangere, fare scenate o alzare la voce. Non era degno di una Blackwood. Ma Daphne era arrivata al limite, perché era proprio a causa loro - di sua nonna e di sua madre - se si era ridotta così. Era a causa loro se Ludde non c'era più. Di nuovo, i suoi occhi senza vita apparvero. Le lacrime scesero corpose, non ne volevano sapere di smettere. Le asciugò impacciatamente con le mani, ma era inutile, non si fermavano. «Ho guardato il suo corpo senza vita galleggiare sul lago dietro casa nostra per ore, non volevo accettare la realtà. E la cosa peggiore è che, per anni, l'ho dimenticato. L'ho ricordato solo qualche mese fa.» Una risata amara riecheggiò nella stanza vuota. Quel dannato potere si faceva beffe di lei. Lo odiava con tutta se stessa. Perché non era diventata un elementalista come suo padre? Perché aveva dovuto ereditare lo stessodono di sua madre? Perché? Domande inutili, le sue che, tuttavia, non poté fare a meno di porsi in quel momento di estrema debolezza. «Era solo un bambino, non lo meritava...» Un sussurro appena accennato. Dolore, sentiva solo dolore, nient'altro, ma riuscì a fare un passo avanti, due, tre, finché non fu davanti ad Hunter, a separarli solo pochi millimetri. Lo guardò con occhi spenti, privi di luce, e scelse consapevolmente di dirgli altro, perché doveva sapere che, se decideva di restare con lei, le tenebre lo avrebbero avvolto. Ellen avrebbe sfruttato quel legame, avrebbe fatto leva sull'amore che provava per lui per controllarla. Voleva proteggerlo, voleva tenerlo lontano da quella donna e, allo stesso tempo, voleva che le appartenesse. Ma doveva essere lui a decidere, solo così sarebbe stato eternamente suo. Solo così sarebbe stato in grado di sopportare il peso delle sue scelte. «Nella mia famiglia c'è oscurità, Hunter. Ed è un'oscurità che risiede anche in me. Non sarà facile. » Nelle mie vene scorre il sangue di due assassine. «Quindi se devi andare, fallo ora. Dopo non sarà più possibile.» Hunter avrebbe compreso il significato di quelle parole, perché l'aveva sempre capita. Sempre. E questo la terrorizzava. Interpretava ogni suo gesto, ogni suo sguardo, ogni singola cosa che faceva e, quando non era con lei, le mancava quasi l'aria. Aveva sviluppato una sorta di pericolosa dipendenza. Nel mentre, rimase lì, immobile, esposta, vulnerabile, in mille pezzi, davanti a lui, continuando silenziosamente a piangere. Solo se avesse deciso di restare sarebbe crollata del tutto tra le sue braccia, in caso contrario, lo avrebbe fatto in un altro posto. Da sola.



    Edited by Daphne. - 17/11/2023, 00:20
     
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    Quando Daphne esce dal bagno, è difficile capire quale malessere stia provando e quanto sia effettivamente turbata: tiene la testa bassa, cammina velocemente fino ad arrivare a lato del letto e quando finalmente parla, per un momento desidero che non l'avesse fatto. La confusione è lo stato mentale che in questo momento mi pervade per la maggiore, a seguire ammette di essere arrabbiato, di avercela con lei perchè la prima soluzione a cui ha penato non è parlare con me ma andare via. Quando lo realizzo non riesco a trattenere quanto sono contrariato, sono molto esplicito nel dirlo e anche se usassi meno parole verrei comunque tradito dalle mie espressioni. La reazione che ottengo è un evidente irrigidimento che mi fa capire di averla presa alla sprovvista - almeno provaci, lo preferirei - preferirei sentirle pronunciare frasi sconnesse, preferirei sentirla urlare piuttosto che sentirla opporsi a me - da cosa non si torna indietro? - avanzo ancora con gli occhi fissi sui suoi. Avanzo ancora privandole dello spazio che invece mi sta chiedendo di darle perché no, non posso accettare che vada via senza aver condiviso con me il suo peso, non è qualcosa che sono disposto ad accettare - no Daphne, non posso! Parlami! - mai, neanche per un attimo è venuta a mancare la mia fiducia nei suoi confronti. Non mi hai mai dato modo di dubitare del fatto che se si fosse verificato un problema, se qualcosa fosse andato storto nella sua vita sarebbe venuta a parlarne con me anche solo per una spalla su cui poggiarsi. Tutto questo quantomeno a parole, d'altra parte Daphne non è mai stato il tipo di persona da cercare conforto in qualcun altro, bensì è quel tipo di persona che deve farcela da sola non importa quanto grave sia la situazione in cui si trova. Però pensavo - forse pretendevo - di essere diverso. Pensavo che con me sarebbe stato diverso, è quello che ho creduto per tutto il tempo essendomi convinto di essere sulla stessa lunghezza d'onda. Mi sbagliavo. Mi sbagliavo? Mi sbagliavo davvero? Non so se sono in grado accettarlo, ed è per questo che cerco così disperatamente una risposta in lei, per non dovermi ricredere di quello che ho pensato fino ad ora perché ho fottutamente bisogno di crederci. Sennò sarebbe come ammettere di non averci mai capito niente. E poi all'improvviso è come se il vaso di pandora fosse stato scoperchiato, come se una diga fosse crollata lasciando libera di fluire con rabbia l'acqua che conteneva. Sul viso di Daphne iniziano a scendere delle lacrime a creparle il viso e la sua voce inizia finalmente a dire parole che per me è più facile ascoltare. Ludde, il nome che ha pronunciato risvegliandosi di soprassalto, è il nome di suo fratello. Lo pronuncia con voce tremante, la stessa voce che adesso rimbomba tanto nella stanza che nella mia mente, in cui le sue parole si ripetono come in un loop. Mi avvicino ancora un po' a lei, lentamente, in silenzio, questa volta non per toglierle spazio ma per porgerle una mano se dovesse servirle, perchè sembra essere pronta a sgretolarsi al suolo in qualsiasi momento. Si sente responsabile della perdita che ha subito, perché non ha potuto fare niente per evitarlo. Capisco il suo dolore, sento le sue sensazioni intense come se fossero le mie. Per un attimo dubito che possano davvero esserlo, che la risonanza delle due emozioni sia tanto forte da aver risvegliato le mie... forse è davvero così. Racconta di come è rimasta ad osservare immobile il corpo del fratello, impotente, incapace di fare qualsiasi cosa per evitare la tragedia. Mi ricorda di come anche io, quel dannato giorno, sia rimasto interminabili minuti ad osservare il corpo senza vita di mio padre. Ricordo anche quella strana sensazione di estraneità, come se fossi stato esterno a tutto, come se quello non fosse davvero il corpo di mio padre. È così che ti sei sentita? Potrei approfondire, chiedere qualcosa su questa oscurità di cui parla, ma una parte di me è come se riuscisse a capire la risposta che mi darebbe soltanto guardandola. C'è una lato d'ombra nelle nostre vite, questo è certo, eppure adesso non mi importa sapere quanto oscura sia quest'ombra ma importa solo che non ne venga risucchiata. Le mie mani si alzano sul suo viso, per asciugarle le lacrime con i pollici di entrambe le mani. La sua pelle è fredda e umida. Espiro schiudendo le labbra, gettando la testa all'indietro e chiudendo gli occhi per un istante, giusto il tempo che ci vuole perché il mio petto si alzi e si abbassi al ritmo di un profondo respiro - quando mio padre è morto, sono stato io a trovare il suo corpo - gli occhi si riaprono guardando il soffitto - non sembrava reale. Era troppo ingiusto per esserlo - è adesso che la mia testa si abbassa a guardarla e le mani scorrono giù per le sue braccia fino a stringerle saldamente le mani, nel tentativo di riportarla nel qui e ora - è così che ti sei sentita? - è una domanda che non esige una risposta, eppure gliela porgo ugualmente.
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    La guardo ed è strano come in un momento in cui dover star pensando ad un milione di possibilità, la mia mente sia stranamente ferma, immobile sulla sua decisione. Fissa sull'unica possibilità che ho a disposizione - adesso è già tardi per andarmene, perché ti amo - e non esiste una strada per tornare indietro, non esiste un modo per cancellare quello che sento per lei, non esiste un modo per tornare all'Hunter prima di Daphne. Lei mi ha cambiato, ha lasciato un segno che rimarrà lì dov'è, per sempre. Chino ancora un po' la testa all'altezza della sua, torno ad assumere un'espressione quasi severa nonostante non riesca a controllare particolarmente le mie espressioni - è per questo che io esigo che tu parli con me. Devi parlarmi. Se non lo farai ti costringerò a farlo da ora in poi, sempre. Non posso piu lasciarti quel tipo di spazio. Devi permettermi di trascinarti via da questa oscurità - devi farlo Daphne, devi.



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    "Da cosa non si torna indietro?" Lo guardò diritto negli occhi, restando in silenzio per dei lunghi attimi. Se decideva di restare con lei, rischiava di ritrovarsi in situazioni dalle quali sarebbe stato difficile sottrarsi perché, Daphne lo sapeva, sua madre non avrebbe esitato ad usare il suo ragazzo per raggiungere il suo principale obiettivo: la completa sottomissione di sua figlia. Aveva deciso di non innamorarsi di nessuno proprio per evitare tutto questo ma, alla fine, aveva perso la testa per un corvonero dagli occhi verdi che non aveva alcuna intenzione di lasciarla andare. Che avrebbe dovuto fare? Dirgli la verità o chiudersi in se stessa, nel suo mutismo, così da arrecare un grave danno alla loro relazione? Se lo avesse fatto, tra loro sarebbe finita, ognuno avrebbe preso strade diverse e Hunter sarebbe stato al sicuro, lontano dall'oscurità della sua famiglia. Questo era l'ipotesi razionale elaborata dal suo cervello, tuttavia, in quel momento, non era in grado di pensare lucidamente a causa delle intense emozioni che l'avevano travolta: paura, rabbia, dolore, frustrazione, il tutto insieme alla consapevolezza che, senza Hunter, non poteva stare. Era la persona più importante della sua vita, attualmente, e non vi avrebbe rinunciato per nulla al mondo. «Da tante cose. Non voglio che tu soffra...» Distolse lo sguardo, sofferente, e chiuse gli occhi con forza imponendosi di non piangere. Doveva essere forte, non poteva crollare così, ma con Hunter lì, che le chiedeva, arrabbiato, di parlargli, non era facile. Voleva capire e sapere tutto di lei, voleva supportarla e Daphne, timorosa di cedere alle sue richieste, gli urlò di lasciarla andare ma lui, testardo, si rifiutò di farlo. Stese le braccia lungo i fianchi e lo guardò mentre le lacrime, lente, iniziarono a cadere, rendendo sfocata l'immagine del ragazzo che aveva davanti. Era esausta, il dolore per la morte di Ludde la stava consumando, non aveva più le forze per tenersi tutto dentro, così esplose, raccontandogli di quel tragico giorno e della sofferenza che aveva provato. Non trattenne più le lacrime, non si controllò, né si preoccupò di apparire debole di fronte ai suoi occhi, perché era certa che Hunter l'avrebbe protetta, sostenuta, compresa. Si fidava ciecamente di lui.
    Il ricordo del corpo senza vita di suo fratello che galleggiava sull'acqua le causò un gemito di dolore. Si morse il labbro inferiore con forza, ferendosi, e per darsi un contegno decise di concentrarsi sul sapore metallico del sangue, sul rumore del vento fuori la finestra, sul suo respiro. Poi sentì il tocco delicato delle sue mani. Aprì gli occhi chiusi in precedenza e lo fissò. Inclinò, poi, la testa di lato per far aderire la sua guancia, fredda e bagnata, al palmo della sua mano, calda e rassicurante. Quel contatto, seppur minimo, l'aiutò a rilassarsi. Si avvicinò ancora, il desiderio di gettarsi tra le sue braccia e lasciarsi andare ad un pianto silenzioso era forte, ma si contenne. Non poteva farlo, non ancora. Sgranò, poi, leggermente gli occhi quando scoprì che ad aver rinvenuto il corpo di suo padre era stato lui; ancora una volta, si era fidato di lei. Debolmente, poggiò la mano destra sulla sua spalla che, lenta, risalì, dapprima sfiorandogli il collo, la mascella e infine lo zigomo, che accarezzò delicatamente con le dita. D'istinto, ridusse quei pochi millimetri che li separavano e poggiò la fronte contro la sua. Strinse forte la sua mano, intrecciando le dita, e si avvicinò ancora senza, però, toccarlo. «Sì, quello che stavo vedendo non mi sembrava reale. Forse è per questo che me lo hanno fatto dimenticare, ma alla lezione dello scorso anno, quella in cui ci siamo conosciuti, i ricordi sono iniziati a riaffiorare.» Cullata dal calore emesso dal suo corpo e dalla sicurezza che provava quando era con lui, cadde in una specie di trance. Gli raccontò di cose che aveva giurato di tenere per sé, a dimostrazione del fatto che, quando si trattava di Hunter, diventava quasi un libro aperto. «In preda al delirio, scappavo da un cadavere. Era quello di mio fratello, mi chiedeva perché non lo avessi salvato.» Altre lacrime scesero corpose, sembravano non finire più. Chiuse gli occhi, sfregando la punta del naso contro la sua, continuando, nel mentre, a sopprimere il bisogno impellente di avere ogni parte del suo corpo in contatto con la sua. Voleva sentire solo lui, in tutti i sensi, così da seppellire quel dolore che la stava soffocando per sostituirlo con un emozione altrettanto forte: l'amore. Ma prima, doveva assicurarsi che il ragazzo che aveva davanti fosse consapevole di ciò che lo aspettava, in futuro, se decideva di restare e, soprattutto, di essere pronto ad essere solo suo. Per sempre. Quando Daphne amava, lo faceva in modo completo ed esclusivo, ma questo sarebbe stato possibile solo una volta. In seguito, il suo cuore si sarebbe completamente gelato e, in esso, ci sarebbe stata solo oscurità, perché non avrebbe più avuto niente da perdere: suo fratello era morto, insieme a quella bugiarda di sua nonna, sua madre l'avrebbe uccisa lei e suo padre non contava niente. L'unico che poteva impedirle di diventare come Ellen Blackwood era Hunter Moore. Attese, dunque, la sua risposta di fronte al difficile futuro che gli aveva appena descritto, guardandolo con occhi spenti. Ma quando ascoltò le sue parole, cambiò espressione. " Adesso è già tardi per andarmene, perché ti amo." Sorrise sincera, tra le lacrime, gli prese il viso tra le mani e poggiò le labbra sulle sue, baciandolo con foga. Affondò la lingua nella sua bocca mentre il suo sapore, misto a quello salato delle lacrime, la invasero. La distanza fu colmata: con un braccio gli circondò le spalle mentre, con l'altro, gli avvolse la vita e lo attirò a sé, stringendolo forte. Inclinò la testa di lato, approfondendo il bacio, e sospirò felice, perché aveva appena dichiarato di amarla. Mi ama. E questa volta, a quelle parole, a quel sentimento e a quella felicità, ci credeva davvero. Non era una bugia. Era tutto vero. Continuò a baciarlo intensamente, schiudendo ulteriormente le labbra e, d'' istinto, si staccò di qualche millimetro dal suo corpo per sbottonare il gancetto del reggiseno e gettarlo a via. Tornò, poi, a stringerlo, tremando di piacere quando non ci fu quasi più nulla a dividerli. Le mani affondarono tra i suoi capelli, la schiena si inarcò e il seno, schiacciato contro il suo il suo petto, faceva male. Non avrebbe mai saputo spiegare perché, ogni volta, aveva il bisogno di sentirlo in quel modo. Forse perché mi ama. Lo baciò a lungo, fino a non avere quasi più fiato, poi si staccò e aprì gli occhi, guardandolo con amore. Con dolore. «Ti amo anch'io.» .
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    Pronunciò parole che mai avrebbe creduto possibili. Com'erano arrivati a quel punto? Come avevano fatto ad innamorarsi così? Come poteva l'amore che provava per Hunter eguagliare quello di una perdita? Probabilmente, a quelle domande, non avrebbe mai saputo rispondere. Ai sentimenti non c'era spiegazione. Tra l'altro, se non fosse stato lui, non avrebbe mai tollerato che qualcuno le dicesse cosa fare, figuriamoci esigere. Ma Hunter era diverso, da lui poteva accettarlo, perché capiva - vedeva- il suo bisogno di capirla, di sapere tutto di lei, di non avere segreti. «Sono abituata a tenermi tutto dentro, odio mostrarmi debole, lo sai. Ma mi fido di te. Ti amo, quindi ti dirò tutto di me, ma Hunter» Gli spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e, per un attimo, lasciò che quell'oscurità di cui gli aveva parlato, si rivelasse. «da adesso mi appartieni.» Sancì il tutto con un bacio sulle labbra. Lo guardò qualche altro istante poi, stanca, nascose il viso nell'incavo del suo collo, respirò il suo profumo, e finalmente si lasciò andare a un pianto silenzioso.
    Non seppe dire per quanto tempo pianse tra le braccia del suo ragazzo, fatto sta che non aveva più lacrime da versare. Tutto ciò sarebbe dovuto avvenire anni fa, ma la Daphne di allora non poteva farlo, doveva essere forte, altrimenti sua madre l'avrebbe punita. Persino sua nonna, per quanto la esortasse a lasciarsi andare, alla fine, comunque le diceva di non mostrarsi mai fragile: una Blackwood doveva dominare, non essere dominata. "Le emozioni, bambina mia, vanno controllate." Questa era la frase che le ripeteva sempre e lei, lo aveva fatto, non aveva mai permesso a nessuno di scorgere le sue fragilità, tranne ad Hunter. Lui poteva vedere tutto, adesso. Poteva sapere tutto. «La prima volta che ti ho abbracciato, l' ho fatto perché avevo paura di quel cadavere, solo che, al tuo posto, la mia mente aveva proiettato l'immagine di mia nonna. » La sua storia era iniziata da quando aveva toccato le foglie rosse di una pianta bianca, eterea, bellissima e letale. Come sua madre. E quando ciò era accaduto, a fianco a lei, c'era Hunter. Era stato il destino? Un semplice caso? Una coincidenza? Non ne aveva idea, e nemmeno le importava, ma era felice che lì, già da allora, ci fosse lui. «Adesso voglio che mi stringi fino quasi a farmi male, perché sei l'unico con cui mi senta al sicuro. Sei l'unico con cui possa essere me stessa. Ho bisogno di te.» Di riflesso, rafforzò la stretta intorno alla sua vita. Uscì dal suo nascondiglio e fissò gli occhi nei suoi, adesso di un azzurro chiaro, sereni, privi di dolore. Era finalmente libera. Sentì la mano del suo ragazzo accarezzarle la schiena poi, con entrambe le mani sul fondoschiena, la indusse a circondagli la vita con le gambe. Daphne, dapprima, gli gettò le braccia al collo, poi assecondò la sua tacita richiesta. Con l'indice, gli sfiorò il naso, l'arco di cupido e le labbra, sulle quali passò la lingua per poi schiuderle, dando inizio ad un bacio lento e profondo. Di più. Gli tenne ferma la testa, poggiando una mano sulla nuca, il tutto per rendere il bacio più pieno, più intenso. Tanto che respirare era quasi impossibile.

     
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    Riesco a sentire il peso del silenzio che cade in questa stanza fra una mia parola e l'altra, riesco a percepire il suo sguardo su di me più insistente e penetrante che mai. Le avevo chiesto da cosa, dopo oggi, non saremmo più tornati indietro. Le avevo chiesto quale fosse questo scoglio così grande per lei sa superare da preferire gettarsi i problemi alle spalle e rientrare a Londra, senza mettermi al corrente di altro. Dovrei accettarlo? Dovrei accettare questo muro che sta provando a mettere fra noi? La verità è che la possibilità non mi sfiora neanche, non la prendo sul serio perché ho già deciso che voglio sapere tutto quello che c'è da sapere su di lei. Adesso resta solo riuscire a trattenerla, farle cambiare idea, farla ragionare su quanto sia insensato provare a sopportare tutto questo da sola ora che ci sono anche io pronto ad aiutarla a sostenere il peso che prova.
    Effettivamente dopo poco tempo mi fornisce una spiegazione, una tanto breve quanto semplice. Così tanto che quasi mi strappa un sorriso, in netto contrasto con la sua espressione contratta dal pianto che prova a trattenere - non puoi tenermi in disparte per non farmi soffrire - una parte di me riesce a capire cosa pensa, coglie il concetto e lo condivide, condivide il significato dietro alle sue parole e tenere lontano un affetto da una possibile fonte di pericolo sembra una soluzione perfettamente logica. Eppure l'altra parte di me, quella incoerente con il resto del mio cervello, ripete che non ha alcun senso, si oppone e nega la realtà essenzialmente per una sola ragione: non vede Daphne come una fonte di pericolo. Mancando questo elemento, da cos'è che dovrei stare lontano? Faccio questa realizzazione e starle lontano mi diventa ancora più difficile, soprattutto quando si mostra fragile come non mai. Il suo pianto è silenzioso e, dal mio punto di vista, anche purificatore. Crolla, non trattiene più quello che sta provando , ha raggiunto il suo limite di sopportazione massima. Non vorrei vederla così e allo stesso tempo vorrei essere l'unico a vederla così, fragile, spezzata, stanca probabilmente per tutte quelle volte che si è ritrovata sul ciglio della disperazione e ha resistito, si è trattenuta probabilmente dal farlo, fino a quando si è dimenticata come si fa. Non so se questa sia la giusta interpretazione dei fatti o se sia soltanto una versione filtrata dal mio trascorso, da come capita a me di sentirmi, così fortemente apatico. Solo con lei le emozioni si rendono tanto rumorose da diventare difficilmente distinguibili, quindi non so più quale fra le tante guida le mie mani verso di lei. Compassione? Empatia? Tristezza? Amore? Non lo so, ma non riesco a stare fermo a guardarla quindi, semplicemente, asciugo le sue lacrime con la punta delle dita. Torniamo ad avvicinarci e lei adesso è un po' come se cercasse consolazione dalle mie mani poggiate sul suo viso. Mi sento in dovere di dire qualcosa, il mio in realtà è un imbranato tentativo di farla sentire capita che non so se riuscirà nel su intendo. Però quando poggia la sua fronte contro la mia capisco che qualcosa di buono devo averla detta, soprattutto quando poi continua a raccontare della visione che ha avuto durante quella lezione di erbologia che ci ha reso persone molto turbate. Sento che riprende a piangere silenziosamente e le sue lacrime bagnano anche il mio viso mentre stringo fra le braccia.
    È in quel momento che decido, forse più inconsciamente che altro, di continuare a starle vicino e di volerla quasi forzare a starmi vicino, a condividere con me i suoi pensieri. È naturale per me farlo, così come dirle che la amo. Non ho pensato di dirglielo, non ho neanche elaborato a fondo i miei sentimenti come sono solito fare, questa volta l'ho soltanto sentito e mai avrei pensato che sarebbe stato così. Mai avrei pensato che sarebbe stato così facile ammettere apertamente ed alta voce i miei sentimenti per una persona. Gradualmente l'espressione sul volto di Daphne cambia e di conseguenza anche la mia si rilassa, il suo corpo mi risponde prima che possa farlo la sua voce. Accolgo il bacio schiudendo le labbra a mia volta mentre le mani vanno a trattenerle il viso, forse è un gesto che inconsciamente intende bloccare ogni suo possibile tentativo di fuga. Ed anche se è vero che non si sta allenando di un solo millimetro, continuo ad attirarla a me con il timore che all'improvviso cambi idea e scelga di andarsene. Non glielo lascerei fare in ogni caso. La stringo a me come sempre ma allo stesso tempo in maniera diversa, la trattengo abbastanza forte da probabilmente farle male quando i nostri corpi aderiscono e con tanta foga mi sono concentrato sulle sue labbra da non aver notato quando Daphne si è liberata del reggiseno. Però lo sento, quel contatto pelle contro pelle così sentito. Riesco a sentirlo, quel bisogno soddisfatto. Le sue labbra poi si staccano dalle mie solo per un istante, solo per rispondere alle mie parole. Ed è allora che le prende il volto tra le mani solo per poterlo avvicinare al mio e di nuovo sentire il sio sapore sulle labbra. Non credevo di essere capace di provare tutto questo, e tanto meno credevo che ci si sentisse così ad essere ricambiati, a provare le stesse identiche cose. Non ci ho mai nemmeno creduto tanto, ho sempre visto questo genere di complicità come qualcosa di cui si legge solo nei romanzi rosa... eppure qualcosa è cambiato «...ti amo, quindi ti dirò tutto di me, ma Hunter» mi guarda negli occhi con un'espressione nuova, profonda, seria, ma rapidissima «da adesso mi appartieni.» e quando la bacio ancora lo sento davvero quel sentimento di possessione. Sento il suo, ma sento anche il mio.
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    Voglio essere l'unico a cui si appoggia per piangere, l'unico a cui racconta i suoi pensieri tanto apertamente, voglio assimilarli e farli miei. Stringo il suo corpo tremante per via delle lacrime, percepisco che più parla e mi racconta di lei, più i tremolii si fanno meno frequenti e leggeri - la prima volta che mi hai abbracciato, mh? - lo ripeto scostandole i capelli dal viso, ripensando a quel momenti di ormai diversi mesi fa - puoi sempre rifarlo, semmai qualche ricordo tornasse a tormentarti - la sua influenza ha un ottimo effetto su di me, e io voglio esserci per restituirle il favore. I nostri sguardi si incrociano ancora e questa volta nei suoi occhi non vedo più la tempesta e il rifiuto di prima. Nei suoi occhi leggo esattamente quello che mi esprime a parole: l'esigenza di avermi vicino - io voglio essere l'unico di cui hai bisogno - e le parole non hanno neanche un momento per sedimentarsi nella mia testa, fuoriescono senza filtri mentre invece le mani la stringono per soddisfare la sua richiesta. La sollevo, la conduco fino al letto su cui mi siedo senza separarmi da lei. le sorreggo la schiena e la nuca mentre lecco via una lacrima solitaria che le si è fermata all'angolo della bocca, solo per poi chiudergliela e sentire di nuovo il calore familiare delle sua labbra. Mi assicuro che sia sempre a contatto con me, stringendole fermamente le cosce mi assicuro che non si stacchino da quell'intreccio mentre le punte delle mia dita si assicurano che quell'ultimo indumento intimo che ci separa si sposti. Scorrono sotto l'elastico dello slip mentre mi concentro sul suo collo mordendolo, lasciabndo volutamente un segno. Mi faccio strada fino ad arrivare al suo orecchio solo per permettere un'altra volta alle parole di fluire senza freni - sei mia Daphne. Lo sai questo, vero?- è una possessività quasi violenta, incontenibile, che ho provato a non rendere troppo palese ma che adesso si fa troppo forte abbattendo ogni censura che mi sono imposto. Perchè la amo. La guardo con uno sguardo d'imposizione fermandole il mentre tra pollice ed indice, un attimo solo, prima di tornare a baciarla con foga . Gli indumenti che avevo rindossato adesso non ci servono più quindi mi sollevo appena dal materasso per liberarmene, stringendo Daphne per la vita per proibirle di liberarsi dalla posizione a cavalcioni in cui si trova. La stringo, come da richiesta, come voglio anche io. La stringo con soddisfazione consapevole che il suo tentativo di fuga è miseramente fallito e che entrambi sappiamo che oggi qualcosa è cambiato.



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