dancing in the moonlight

Florida, Daphne

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    Grifondoro
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    Halley Wheeler | quinto anno | grifondoro


    Socchiuse lentamente gli occhi, lasciando che la brezza serale le accarezzasse, flebilmente, il viso illuminato dal chiarore lunare. Le onde si infrangevano, una dopo l’altra, sulla battigia quasi come se percepissero lo stato d’animo di colei che se ne stava lì, in silenzio, avvolta da un alone di malinconia profonda e, all’apparenza, inspiegabile. Il suo sguardo vacuo, inespressivo non lasciava spazio a dubbi: nonostante fosse lì, lontana da quella tormentata quotidianità, Halley, non riusciva a lasciare andare la negatività che caratterizzava i suoi giorni. Aveva paura. Paura che le sue visioni si tramutassero in realtà. Paura di perdere coloro che, in un modo o nell’altro, si erano ritagliati un pezzo della sua essenza. Paura e basta. Abbassò lo sguardo e fece un passo in avanti, immergendo i piedi nell’acqua tiepida, calciando distrattamente la sabbia posta sul fondo. Che le stava accadendo? Dove era finita la ragazza entusiasta della vita, pronta ad affrontare ogni sorta di avversità facendo leva sul suo spirito di adattamento? Il fuoco nei suoi occhi, lentamente, andava spegnendosi, annientando il suo Io, troppo provato da quelle sensazioni opprimenti e ricolme di angoscia. Si strinse in un abbraccio ponendo, così, fine a quella tacita inquisizione verso sé stessa a favore di una realtà decisamente più invitata che la voleva lì, in quel luogo paradisiaco, magico e così lontano da casa da riuscire a darle una speranza di redenzione. Un sogno, uno di quelli dal quale non ci si vorrebbe più svegliare. Una piccola isola felice. Si voltò in direzione del suo appartamento, condiviso con Daphne e si rese conto di quanto fosse necessario rimandare tutti i problemi una volta fatto ritorno in quel di Londra. Aveva davvero senso sprecare quel tempo così importante? Era certa di meritare quell’attimo di pace, dopo quell’anno scolastico complicato e, allora, perché non riusciva a viversi a pieno la situazione? “Basta!” Sentenziò lapidaria, senza darsi scelta. Afferrò il telefono e aprì la pagina dedicata ai messaggi, rispondendo rapidamente a suo padre preoccupato per la distanza che li separava e, prima di richiudere, si soffermò sulla chat di David e sul suo ultimo accesso. Dissentì e si lasciò scappare un sospiro rassegnato, scagliando letteralmente quello stupido oggetto babbano all’interno della sua borsa, così piccola da contenere il minimo indispensabile per sopravvivere a quell’assurda serata che, per lo meno, sarebbe servita come distrazione o, almeno, era ciò a cui mirava sopra ogni altra cosa. Si accorse solo in un secondo momento di no essere più sola. Daphne, dopo essersi preparata a dovere per quell’evento al quale avevano deciso di partecipare, l’aveva raggiunta senza particolare difficoltà. “Avevo bisogno di aria.” Un tentativo impacciato di giustificare il suo comportamento atipico e si portò al suo fianco, ammirandola in tutta la sua bellezza. Quella ragazza, senza muovere un solo dito e senza scomporsi, avrebbe potuto avere il mondo ai propri piedi, se solo avesse voluto. Grazie alle sue particolari abilità persuasive –e un pizzico di fortuna- era riuscita a convincere la signora O’Hara a lasciare che la figlia l’accompagnasse al di là dell’oceano, per ritrovare il giusto equilibrio andato perso dopo i recenti avvenimenti. “Non volevo farti preoccupare.” Non era raro, per lei, svanire nel nulla per qualche ora ma, solitamente, capitava tra le mura domestiche e non quando la compagnia era di suo gradimento. Fece spallucce e cercò di portare il discorso lontano da possibili scomode domande capaci di trascinarla all’interno di un vortice implacabile di ansia, della quale non si sarebbe liberata facilmente. “Sei davvero bellissima!” Il fatto che, la bionda, passasse le vacanze in solitaria, aveva sollevato nella Grifondoro, parecchi dubbi ma, d’altro canto, che vi era di male? Avere una relazione non corrispondeva affatto ad una prigionia. “Sbaglio o sei fuori dal mercato?” Domandò sarcastica, appoggiandole una mano sulla spalla e sforzandosi di sorridere. La sua riservatezza era leggenda eppure, dopo l’evento di San Valentino organizzato al Wonderland, gli altarini erano affiorati, rivelando una realtà molto diversa dalle apparenze. Senza parole ma poi neanche tanto. I due ragazzi sembravano affiatati e, la Wheeler, non poté che essere felice per loro. “Allora? Che programmi abbiamo per stasera?” Si mise in testa di tenere un profilo basso, evitando l’esagerazione che, probabilmente, l’avrebbe spinta non solo a mettere a repentaglio la sua salute ma anche la sua reputazione, cimentandosi in qualche stronzata della quale si sarebbe pentita il giorno dopo. Riprese il telefono, ala veloce e andò a digitare un numero limitato di parole: ”Stiamo uscendo. Ci sentiamo più tardi.” La strana abitudine di avvertirlo dei suoi spostamenti era il risultato di un meccanismo mentale assai complicato. Non credeva che vi fosse bisogno che fosse a conoscenza, per filo e per segno, delle sue attività ma, d’altra parte, era certa che se fosse successo qualche cosa quelle informazioni sarebbero state utili. Tutta colpa dei suoi presagi del cazzo. Abbassò lo sguardo sul bracciale e spense il cellulare, riponendolo ancora una volta. “Sono felice di essere qui con te.” Ammise, un po’ nostalgica. Era da molto che non avevano la possibilità di passare del tempo insieme e molti particolari si erano persi lungo la strada. Un rapporto altalenante il loro, messo a dura prova da molteplici vicissitudini, colpevoli di aver creato screzi di poco conto, fortunatamente, risolti. Due caratteri diversi, spesso in contrasto tra loro. Due ragazze diametralmente opposte come il fuoco e il ghiaccio. Due personalità taglienti ma in maniere differente. Due amiche che avevano molto da dirsi, per approfondire quel legame che non avrebbero mai voluto che si dissolvesse nel nulla, come spesso avevano rischiato. “Se non ti va di uscire, possiamo sempre tornare indietro. Ordiniamo qualche cosa, un film di quelli romantici che piacciono tanto ai babbani e…” Ci pensò su. “… il gelato. Chili di gelato.” Insomma, era pur sempre una proposta alternativa alla movida intensa di quelle zone che, a quanto aveva potuto osservare, avrebbe trascinato al proprio interno anche il più noioso degli esseri umani. “Davvero, possiamo sempre rimandare a domani.” Non c’era tutta quella fretta, in fondo. La vacanza era solo all’inizio.



     
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    Applicò il gloss lucido sulle labbra e si guardò allo specchio, soddisfatta del risultato: il tubino nero fasciava perfettamente le sue curve, gli accessori dorati davano luce al suo viso e le scarpe leggermente alte la slanciavano. Si spostò una ciocca dietro l'orecchio e uscì dal bagno aspettando di trovare Halley seduta sul letto, dove l'aveva lasciata poco fa, ma di lei non c'era traccia. Sospirò chiedendosi cosa fosse successo alla sua amica, prima piena di vita, e adesso così pensierosa. Non erano riuscite a parlare molto negli ultimi tempi a causa dei loro impegni, inoltre, dopo quello che era successo con sua madre si era allontanata un po' da tutti per qualche giorno, non aveva voluto vedere neanche Hunter. Era stato difficile scendere a patti con una verità scomoda e, per un momento, aveva anche pensato di chiudersi in se stessa e alzare di nuovo i muri per non avere distrazioni, ciò che contava, per lei, era vendicarsi di sua madre. Ma cosa avrebbe ottenuto? Niente. Avrebbe solo fatto il suo gioco, privandosi dei suoi affetti e delle poche persone persone con cui si era aperta così, per recuperare il tempo perso, aveva chiesto alla sua nemesi di fare una vacanza insieme a Miami, una meta in cui il divertimento e le belle spiagge non mancavano. Quella settimana lontano da tutto e da tutti serviva a entrambe, perché senza Hunter accanto a lei, i suoi pensieri tornavano inevitabilmente al giorno in cui aveva rivisto quella stronza di sua madre e, come se non bastasse, sapere che il suo ragazzo era in compagnia di quella Emma non le faceva per niente piacere. Non sapeva che tipo era, né che tipo di rapporto avessero, perché le parole da sole non bastavano, aveva bisogno di vedere con i suoi occhi quanto fossero vicini. Ed era meglio che tra loro ci fosse come minimo un metro di distanza. Scosse leggermente la testa, ancora incredula di fronte alla sua gelosia, e decise di andare a cercare la sua amica perché quel viaggio era per staccare la spina ed entrambe non lo stavano facendo affatto bene. Prese la borsa poggiata sul letto e uscì dall'appartamento che avevano affittato, chiudendosi la porta alle spalle e smaterializzandosi sulla spiaggia, il luogo in cui era più probabile trovare Halley. Le piaceva il mare, per questo, quando le aveva proposto di andare in Florida, le aveva detto subito di sì, l' unico problema era convincere sua madre, Seira, una donna particolarmente severa e protettiva, a darle il permesso. Daphne aveva avuto modo di osservarla alle feste a cui aveva partecipato insieme alla sua famiglia, spesso si intratteneva con sua madre e le due sembravano essere in buoni rapporti, per questo aveva usato questa carta a suo vantaggio quando le aveva chiesto, educatamente, di lasciare che Halley andasse con lei. Dopo averla rassicurata e aver ottenuto il suo consenso, erano partite alla volta di Miami. Inizialmente la mora era entusiasta poi, col passare dei giorni, si era intristita e aveva cominciato a chiudersi in se stessa, proprio come adesso, mentre osservava il mare in lontananza sul lato deserto della spiaggia. La chiamò e subito si girò, cercando di rassicurarla perché era fatta così: metteva sempre gli altri al primo posto. «Stai bene, Halley? In alcuni momenti mi sembrava che avessi la testa altrove.» Si avvicinò di qualche passo e si fermò di fronte a lei, scrutandola con i suoi occhi azzurro ghiaccio, prima di sorriderle quando le fece un complimento. «Anche tu.» Stava finalmente per sbarazzarsi di quel demente di un Harris? Non li aveva visti insieme per un po', poi aveva sentito che alla finale di campionato David era andato a vederla, ma ai suoi occhi quello non era un gesto sufficiente per rimediare alle cazzate che aveva fatto andando con le altre. Avrebbe dovuto impegnarsi molto di più per riacquistare la sua fiducia, perché tornare a fidarsi di qualcuno dopo essere stati traditi non era affatto facile, soprattutto quando la persona che lo aveva fatto era il ragazzo per cui provavi qualcosa. Come avrebbe reagito, lei, se avesse visto il suo Hunter in atteggiamenti intimi con un'altra? Sperò di non dover mai assistere a una scena simili, altrimenti la ragione per la quale era stata smistata a Serpeverde sarebbe stata rivelata. «Sono decisamente fuori dal mercato sì e anche lui, spero che la sua amica di infanzia ne tenga conto.» Nel suo tono di voce c'era una punta di sarcasmo, un'emozione che aveva volontariamente deciso di mostrare perché dopo mesi passati insieme il suo rapporto con Halley si era consolidato. Adesso erano davvero amiche. «Che mi dici di te?» La guardò inclinando leggermente in capo, curiosa di sentire la sua risposta. Non avevano avuto modo di parlare di David, o meglio, aveva volutamente evitato di menzionarlo nel periodo in cui erano stati distanti, Halley si irrigidiva ogni volta che lo faceva, ma adesso la situazione era diversa. «C'è un falò sulla spiaggia, volendo potremmo andare lì.» Sembrava una serata tranquilla senza troppa gente. “Sono felice di essere qui con te.” Sorrise di fronte a quell'ammissione, in parte ancora sorpresa di come il loro rapporto fosse cambiato nel corso del tempo: erano passate dall'offendersi all' uscire insieme e confidarsi, tutto perché la grifondoro, testarda, si era messa in testa di abbattere i suoi muri e conquistare la sua fiducia. Ci era riuscita. «Fa piacere anche a me e poi una vacanza tra ragazze ci voleva.» Non avrebbe mai pensato di farne una in realtà, quando frequentava Durmstrang passava la maggior parte del suo tempo da sola, allontanando chiunque tentasse di fare amicizia con lei, tranne Aaron che, alla fine, si era rivelato un completo idiota. Dopo la discussione che avevano avuto non lo aveva più visto, probabilmente si era trasferito e, ad essere onesti, la cosa non le dispiaceva affatto. «Il gelato dobbiamo assolutamente prenderlo, ma davvero vuoi passare la notte a guardare dei film romantici?» Non le piaceva neanche il genere, erano troppo smielati e irreali per i suoi gusti e trovava assurde le plateali dichiarazioni d'amore che aveva spesso visto fare. «E poi dobbiamo divertirci in questa vacanza, non deprimerci!» Era strano detto da lei, che solitamente preferiva stare lontano dai luoghi affollati, dalle feste o da qualsiasi evento simile, però, ultimamente, aveva deciso di lasciarsi andare di più e di godersi i suoi diciassette anni quando non era chiamata a ricoprire il ruolo della studentessa modello o a nascondere le sue emozioni; inoltre , se voleva costruire dei rapporti sinceri con le poche persone di cui si fidava, doveva essere se stessa, senza maschere o difese. Con Hunter ci era riuscita e si era innamorata, quindi perché non provare a farlo anche con Halley?
     
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    Halley Wheeler | quinto anno | grifondoro


    Defilarsi era divenuta un’abitudine. La solitudine, negli ultimi mesi, le era stata di conforto ma, allo stesso tempo, si era rivelata essere portatrice sana di quell’instabilità mentale, in parte colpevole delle sue inutili fissazioni. Quelle visioni servivano per metterla in guardia, sì, ma niente avrebbe potuto contro il destino, pronto a piombare sui suoi affetti, con il rischio di strapparli addirittura alla vita. Perché posso vedere ma non posso intervenire? Una domanda ricorrente che, però, per quanto si sforzasse, non riusciva a darle una risposta logica. Sospirò e alzò lo sguardo al cielo. La luna piena illuminava la superficie dell’acqua e, per un istante, quel panorama parve regalarle quella tregua di cui aveva un disperato bisogno. Si era allontanata da Londra. Dalla sua vita di tutti i giorni. Da sua madre. Eppure qualche cosa le impediva di lasciarsi andare completamente a quella che sarebbe dovuta essere una vacanza all’insegna del divertimento e di quella spensieratezza sottrattale con l’inganno dalla sua stessa imprescindibile natura, la stessa della quale non si sarebbe potuta liberare, se non ponendo fine alla sua stessa esistenza. Idea sciocca, forse sì, ma non poteva nascondere di averci riflettuto attentamente, calcolandone i pro e i contro. Forse, se fosse riuscita, un giorno, a controllare la sua abilità, le cose sarebbero potute migliorare ma, fino ad allora, non le rimaneva che pregare Merlino per evitarle quel susseguirsi di immagini, senza un apparente senso, gettate al caso ma in grado di lasciare dietro a sé una dose infinita di dolore e angoscia. Respirò a pieni polmoni quell’aria notturna, così dannatamente invitante e si lasciò guidare dal suono della voce della sua amica, giunta sul posto dopo essersi accorta della sua breve fuga verso un fugace isolamento terapeutico. Così definiva quegli allontanamenti temporanei dal mondo circostante. Niente di serio ma motivo di dubbi in coloro che, per un motivo o per l’altro, si trovavano ad avere a che fare con quegli atteggiamenti scostanti e, apparentemente, immotivati. ”Stai bene, Halley?” Quanto avrebbe voluto poter rispondere positivamente a quella domanda. Era chiaro che qualche cosa, in lei, non andasse affatto ma, con estrema calma e perseveranza, si ostinava a voler convincere più sé stessa che gli altri, che ogni tassello della sua vita fosse al posto giusti. Stronzate. Niente sarebbe più stato come prima. Sospirò e volse lo sguardo verso la bionda, un tempo sua acerrima nemica. “Hai ragione.” Si stava comportando da perfetta idiota, omettendo particolari che, presto o tardi, sarebbe stata costretta ad affrontare, con o senza l’aiuto di qualcuno e, allora, perché non approfittarne intanto che si trovava ancora in tempo? “Stavo ripensando alla visione che ho avuto durante la partita.” La stessa che le era costata una caduta non indifferente. “Mi terrorizza.” Tornò a scrutare l’orizzonte, là dove il mare pareva non avere confini. “Non riesco a pensare ad altro.” Come un chiodo fisso. Una perpetua tortura, impossibile da estirpare. Un qualche cosa di decisamente poco sano e non adatto a un contesto del genere dove, per l’appunto, si era convinta di riuscire a tenere fuori quelle problematiche, rimandandole al ritorno. Il complimento, però, non fu di circostanza. La Andersen aveva scelto il vestito adatto a mettere in risalto la sua bellezza, senza alcuna riserva. Sapeva il fatto suo e, quando di rimando le restituì il favore, ad Halley, venne da sorridere. Si vedeva così distante dall’essere bellissima che neanche riusciva a prendere seriamente una lusinga a lei indirizzata. Sorrise, accogliendo quel riguardo da parte della Serpeverde, dissimulando il disagio dietro a una semplice battuta che sapeva di verità. “Stai parlando di quella Emma?” Un argomento ricorrente quello che vedeva al centro di tutto quella ragazza vicina al Corvonero. “Perché non dovrebbe?” In fondo Hunter non sembrava di certo il tipo pronto, da un momento all’altro, a cambiare bandiera per suo puro divertimento. “Sono certa che saprebbe rimetterla al proprio posto.” Non che ne avesse la certezza ma, d’altra parte, avrebbero fatto meglio a non svegliare le frustrazioni della bionda, evitando così una vera catastrofe. “In caso contrario, sai sempre dove trovarmi, no?” Per sotterrare un cadavere o, semplicemente, per bere fino a dimenticare chi fossero i colpevoli di tale affronto. “Ti manca, non è vero?” Probabilmente quello era l’unico motivo che spiegava la sua insofferenza, alimentata da pensieri negativi e distruttivi, per alcuni versi. Le posò una mano sulla spalla, in segno di intesa. Nel suo modo contorto, riusciva a comprenderla. Aveva ben chiaro cosa volesse dire vivere sul filo del rasoio, avvolta dall’incertezza che un rapporto sapeva dare. Ci era abituata e, oramai, poteva dirsi forgiata nel profondo. “Io?” Che poteva dire di sé? “Vediamo…” Si finse pensierosa, nonostante sapesse per filo e per segno ciò che sarebbe andata a raccontare. “Kai mi odia.” Un dato di fatto assoluto. “Ci siamo incontrati prima della fine della scuola, sul ponte sospeso.” Come dimenticare quel fottuto giorno quando, improvvisamente, si era trasformata nella regina cattiva della sua patetica storiella da quattro soldi. “Mi ha dato la colpa per tutto.” Sospirò, contenta di poter dare voce a quell’aneddoto. “Si può essere colpevole di non amare qualcuno?” Domandò retoricamente, con aria alquanto schifata decidendo, comunque, di non menzionare il tentativo di suicidio. Dissentì. “Come se avessi avuto scelta.” La decisione di mollare tutto per seguire la sua testa di cazzo, derivava da una forza interiore che non le aveva lasciato scelta. Il resto era giunto da sé, né più, né meno e, ora, a distanza di quasi un anno, ancora non era riuscita a pentirsi di aver intrapreso quella tortuosa via che non sapeva ancora dove l’avrebbe condotta. “Il resto è storia. No?” Aveva assistito anche lei agli alti e bassi, susseguitisi durante i mesi passati, compresa la condotta libertina di lui che, lentamente, era divenuta intollerabile anche da parte sua. “Ho solo paura di soffrire.” Una paura folle che le impediva di mettersi in gioco al cento per cento, tenendosi quelle riserve che solo lui sarebbe stato in grado di dissolvere. Ho paura di amare. Abbassò lo sguardo colpevole. Che avrebbe fatto se un’altra persona alla quale teneva, avesse vestito i panni del traditore, così come aveva fatto sua zia, andando a vendere il suo segreto alla sorella? “Ho paura ma ci tengo a lui.” E l’idea di perderlo le provocava altrettanto timore. “Ahhhh, fanculo!” Si riprese da quelle riflessioni così, schifosamente, scomode, prendendo a camminare su e giù, nervosamente. ”C’è un falò sulla spiaggia, volendo potremmo andare lì.” Un segno divino. Un segno che poneva fine alle sue turbe mentali? Beh, forse no ma valeva la pena, comunque, tentare. “Atmosfera suggestiva. Si ragiona!” In fondo si trattava di feste improvvisate, organizzate per tenere alta la reputazione di quei luoghi turistici così ambiti, il divertimento per forza di cose, doveva essere assicurato. “Grazie per aver convinto mia madre.” Non aveva ancora avuto modo di ringraziarla, troppo prese da quella vacanza. “Da quando ha saputo della veggenza, io e lei…” La situazione era complicata. “… beh, è come se non esistessi.” Le rivolgeva la parola solo se strettamente necessario e quando aveva acconsentito a quel viaggio, decisamente fuori portata, si era chiesta se in realtà non volesse solo liberarsi di lei, una volta per tutte. “Credevo che avrei passato il resto dei giorni, chiusa in quella dannata camera.” Una vera e propria prigionia.
    ”Il gelato dobbiamo assolutamente prenderlo.” E come farne a meno? ”… ma davvero vuoi passare la notte a guardare film romantici?” Ok, aveva esagerato. Non li avrebbe neanche lontanamente tollerati ma era pur sempre una valida alternativa a quella di rinchiudersi in qualche locale, in compagnia di perfetti sconosciuti con poco cervello. Rise di gusto. “Grazie a Merlino. Non avrei sopportato un solo istante quelle stronzate.” Una vera liberazione. “Abbiamo tutto l’anno per deprimerci.” E di certo non si erano fatte chissà quanti chilometri per chiudersi in loro stesse. La prese sotto braccio, esortandola ad aumentare il passo e continuando, come nulla fosse, a chiacchierare. “Sei cambiata.” Dal loro primo incontro, ne era passata d’acqua sotto al ponte ma, a prescindere dal loro rapporto, il suo volto sembrava più disteso, meno freddo e lei più alla mano, avvicinabile.



     
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    Avere un potere innato, Daphne lo sapeva, era più una maledizione che un dono. Il suo, il mentalismo, lo aveva ereditato in seguito al sacrificio di Ludde, ucciso per mano di sua madre in una notte d'estate, precisamente il giorno dopo che quel bellissimo bambino dagli occhi blu aveva fatto la sua prima magia, tutto a causa di un'antica maledizione che aveva colpito il casato dei Blackwood. Aveva preso libri in prestito dalla biblioteca della scuola, aveva letto quelli a casa di sua zia e quelli della vecchia villa dei suoi nonni, ora in possesso di quella stronza, per capire da chi o da cosa fosse stata causata, ma non aveva trovato niente. Ma non si sarebbe arresa, mancava ancora la casa in Norvegia da esaminare.
    Capiva bene quello che stava provando Halley da quando il suo potere si era risvegliato: rabbia, risentimento, frustrazione, collera, paura. Un talento di quella portata non è facile da controllare, ci vogliano anni prima di riuscire a padroneggiarlo completamente e, nel mentre, puoi solo sperare di non impazzire. Le sue trance avevano fatto riemergere ricordi di una vita dimenticata, immagini e momenti che avrebbe preferito rimanessero seppelliti nei meandri della sua mente, ma non aveva potuto fare niente per impedirlo, non era forte abbastanza, neanche adesso lo era, per cui aveva dovuto accettare, in parte, il destino che le era toccato, perché sapeva che quelle trance sarebbero finite solo quando sarebbe riuscita, un minimo, a dominare il suo potere. Era così anche per la grifondoro che, però, invece del passato, era costretta a vedere il futuro e l'ultima visione che aveva avuto non era stata affatto piacevole. Si diresse accanto a lei, imitandola nel guardare il mare, e le mise una mano sulla spalla. «Però sei riuscita ad avvertirlo con il messaggio che gli hai mandato e tuo padre è un mago abile, vedrai che non gli succederà niente.» Addolcì il tono della voce, anche se non avrebbe mai potuto capire pienamente il dolore di Halley nel caso in cui la sua visione si fosse effettivamente avverata perché lei, un padre, non lo aveva mai avuto. Probabilmente la sofferenza che avrebbe provato sarebbe stata immensa, l'avrebbe devastata, così come era successo a lei dopo la morte di Ginevra e Ludde, ma le rivelazioni di sua madre su sua nonna avevano infettato il ricordo che aveva di lei e quel dolore, tanto acuto e tanto forte, aveva lasciato il posto all'indifferenza. Quando iniziava a sentire troppo, Daphne, somatizzava, ed era ciò che aveva fatto nei giorni successivi all'incontro con Ellen. «Provaci, almeno durante questa vacanza. Staccare la spina serve.» Voltò il viso nella sua direzione e le sorrise. Era quello che avrebbe dovuto fare anche lei, rilassarsi e non pensare a niente, ma era più facile a dirsi che a farsi, soprattutto quando il loro argomento di conversazione divenne Emma, l'amica di infanzia del suo ragazzo. «Non la conosco e non so quanto stretto sia il loro rapporto e poi» I lineamenti del suo viso si indurirono per un istante. «penso di conoscere abbastanza Hunter da poter dire che c'è qualcosa che non mi ha detto.» Sulla base di cosa, poi? L'irrigidimento delle sue spalle? Quella non era una prova oggettiva a sostegno della sua tesi, per niente. Quel dannato corvonero la mandava in tilt anche quando non c'era, era colpa sua se era diventata così possessiva nei suoi confronti: l'aveva fatta innamorare. E adesso aveva paura di perderlo o, forse, aveva paura che le mentisse come tutti gli altri? Probabilmente entrambe le cose. «Lo so, mi fido di lui.» Si fidava a tal punto da aprirsi e concedersi completamente a lui, ma aveva bisogno di ricostruire, lentamente, le certezze che sua madre aveva fatto crollare perché il cinismo e la freddezza di un tempo stavano tornando. Aveva sempre desiderato non sentire niente, ancora lo voleva, ma questo avrebbe significato non provare più niente per Hunter, per nessuno, e non voleva neanche questo. «Sono più gelosa di quanto mi aspettassi.» La parola più adatta era possessiva. Scosse leggermente il capo davanti a quell'ammissione, e rise quando Halley le fece intendere che, se mai avesse voluto fare qualcosa, le avrebbe dato una mano. «Me ne ricorderò, stanne certa.» Anche se generalmente preferiva sbrigarsela da sola. Per adesso non aveva un motivo valido per fare la stronza ma, se mai gliene avessero dato uno, non avrebbe esitato nell'esserlo al pari di sua madre. In fondo, nelle sue vene scorreva il sangue di quel diavolo, qualcosa in comune dovevano pur avercela. “Ti manca, non è vero?” Tornò a guardare l'orizzonte, cercando, ancora una volta, di controllarsi, e non prendere una passaporta per la Francia. «Molto.» Non era abituata a stargli lontano per lunghi periodi, erano quasi due settimane che non lo vedeva e desiderava sentire il suo profumo, la voce, il calore del suo corpo. Desiderava averlo in lei. Quel dannato corvo le aveva fatto decisamente perdere il senno. «E a te, manca quel soggetto?» Non nascose la sua disapprovazione per David Harris, un soggetto poco raccomandabile a causa del suo scarso intelletto, ma alla sua amica sembrava piacere, quindi qualcosa di buono doveva averle mostrato. Forse. Rispettava la scelta che aveva fatto, però, gli aveva fatto presente che meritava decisamente di meglio e no, non si riferiva neanche a Kai Parker che, da come stava sentendo, aveva assunto il tipico comportamento di chi era stato ferito nell'orgoglio per non essere riuscito ad ottenere ciò che voleva. «Non è lui che volevi ma sai quel detto babbano, no?» Lo aveva sentito spesso dire da sua zia. «Quando la volpe non arriva all'uva dice che è acerba.» Il serpeverde era arrivato a rinnegare e disprezzare Halley per averlo rifiutato, se non a sminuirla addirittura, almeno questo fu ciò che dedusse dal tono stanco e leggermente irritato dell'amica. Chissà se l'aveva aggredita come aveva fatto Aaron con lei, mesi fa, per ragioni ovviamente diverse, però, la causa scatenante, poteva considerarsi la stessa: orgoglio maschile ferito. «Spero tu lo abbia rimesso al suo posto. Capisco che possa essere stato ferito ma non questo non gli dà il diritto di sfogare la sua rabbia su di te.» Non le piaceva affatto quando le persone le urlavano addosso, si avvicinavano minacciose credendo di incuterle timore e sbraitavano, aizzandosi come un cane a tre teste senza sapere di essere solo delle scimmie non ammaestrate. Ai suoi occhi almeno. «Come ha fatto Aaron. La nostra amicizia è finita per questo.» Il tono gelido con cui lo disse sottolineò quando non avesse apprezzato il suo comportamento. Aveva raccontato ad Halley del diverbio che avevano avuto in corridoio e di come il ragazzo, agendo di impulso come suo solito, l'avesse istigata ripetutamente per farle alzare la bacchetta e schiantarlo, fallendo miseramente. Non avrebbe perso la spilla per questo e poi ci voleva ben altro per farle perdere la pazienza, non delle provocazioni sterili e accuse infondate. Era stata più che contenta di dargli il ben servito ed eliminarlo dalla sua vita, non era una persona da frequentare se, per essere stato appeso a testa in giù con qualche brufolo sul viso, aveva avuto una reazione del genere quando, tra l'altro, non si era nemmeno scusato per ciò che aveva fatto.
    «La Halley che conosco io non ha paura di niente» La mora era sempre stata una forza della natura, affrontava tutto e tutti a testa alta, senza retrocedere, ma negli ultimi mesi qualcosa in lei era cambiato. La causa era solo la veggenza? O c'era dell'altro? E David era tanto importante per lei da farle avere paura di esporsi? «quella di prima almeno. Sei cambiata.» La guardò diritto negli occhi quando le disse quella frase, ma la ragazza davanti a lei puntò lo sguardo verso il basso e ammise di tenere al maggiore degli Harris. Cosa le piacesse di lui non lo avrebbe mai capito. «Se pensi che ne valga la pena buttati, anche se hai paura di soffrire.» Fuggire era inutile perché, ovunque andasse, il pensiero di quella persona l'avrebbe seguita. Lei stessa, dopo aver capito che con Hunter non aveva il benché minimo controllo, aveva cercato di toglierselo dalla testa, di allontanarsi, ma era stato tutto inutile visto che le sue difese erano state completamente rase al suolo. Alla fine si era dovuta arrendere, e lo aveva fatto consapevolmente perché ne valeva la pena, per questo aveva detto a Halley quelle parole. Quella vacanza, però, non era stata organizzata per guardare l'orizzonte e deprimersi, tutt'altro, era per divertirsi e non pensare a niente, cosa che, per ora, nessuna delle due era riuscita veramente a fare. «Di nulla, anche se è un osso duro, tua madre.» Ci era voluto un po' per convincerla ma alla fine ci era riuscita, merito degli insegnamenti di retorica di quella stronza. A qualcosa erano serviti. E poi il fatto che le loro madri fossero vecchie amiche aveva facilitato il tutto, anche se era meglio che le due non si vedessero più. Una veggente nelle mani di Ellen avrebbe portato solo guai. «In che senso? Non dovrebbe esserti vicina?» Anche Seria non era quello che sembrava? Era severa, questo sì, e sapeva anche del rapporto complicato che Halley aveva sempre avuto con quella donna, ma credeva che la supportasse in questo, che capisse il peso del potere che sua figlia possedeva. Invece no, l'aveva lasciata da sola. Proprio come era successo a lei. Daphne, però, ci aveva fatto l'abitudine; aveva passato metà della sua vita in solitudine ed Ellen non poteva di certo definirsi una madre dopo quello che le aveva fatto, ma da lei se lo aspettava, da Seira no. Le persone che dovrebbero amarti sono quelle che più ti feriscono. E allora, non è meglio essere soli fin dall'inizio? Le convinzioni e i pensieri di prima stavano tornando. «E invece siamo a Miami pronte per andare su una festa sulla spiaggia!» Chi avrebbe mai detto che, un giorno, avrebbe cercato di tirare su di morale la sua ex nemica? E che sarebbero andate anche d'accordo su delle cose, come l'odio per i film romantici ad esempio. «Ben detto e adesso andiamo. Anche se ti avviso, i film romantici non li vedrò mai.» Troppo stucchevoli per i suoi gusti. Lasciò che la prendesse sotto braccio e poi, con tutta la calma del mondo, passeggiarono sulla spiaggia per recarsi al lido affianco, il luogo della festa. "Sei cambiata.” La guardò e annuì, confermando le sue parole. . «Abbastanza, e spero tu intenda in positivo!» Scherzò e sorrise anche se i suoi occhi erano, in parte, spenti. In quei mesi era cambiata, si era aperta anche se con pochissime persone, e sperò di continuare a farlo perché l'ombra di sua madre rischiava di farla retrocedere.



    Edited by Daphne. - 23/8/2023, 01:09
     
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    Halley Wheeler | quinto anno | grifondoro


    Una condotta illecita, immorale. Una leggerezza che avrebbe pagato per tutta la vita. Per Halley, quella donna nella quale aveva riposto la sua più totale fiducia, non esisteva più. Morta. Sepolta, sotto la valanga di ipocrisia che aveva, volutamente, esercitato contro quella nipote, la quale altro non aveva chiesto che comprensione. Le aveva teso una mano, certo, ma poi? Quello che ne era derivato l’aveva distrutta, mandata in frantumi, costringendola a porsi sulla difensiva, come se non fosse più certa che, al mondo, qualcuno potesse davvero interessarsi al suo bene, senza pretendere nulla in cambio. Triste. Non meritava tanto. Aveva agito di impulso, sì, tacendo il suo stato a quella madre premurosa ma, d’altra parte, come potevano pretendere che parlasse di un argomento che, lei stessa, non era ancora riuscita ad accettare del tutto? Più facile a dirsi che a farsi. Da quell’episodio, comunque, l’atmosfera casalinga si era appesantita e a nulla era valso l’intervento esterno di suo padre il quale, nonostante si fosse messo d’impegno per trovare una quadra, non era riuscito a convincere sua moglie a dialogare con lei, così da poter comprendere le motivazioni che l’avevano spinta ad omettere quel dettaglio tanto importante per il suo futuro. Ci aveva provato e gliene era davvero grata. Quell’uomo significava tutto per lei. La sua ancora di salvezza. Colui che, nonostante la distanza che li separava, non mancava in nulla. Un padre esemplare. Onesto, presente, attento alle esigenze di chi amava. L’esempio di uomo che avrebbe voluto al suo fianco. Il suo porto sicuro. Il protagonista della sua cruenta visione. Forse David aveva ragione. Probabilmente si trattava solo di una sua esasperazione della preoccupazione. La visione andava interpretata. Ma se non fosse stato così? Se i fatti si fossero svolti, effettivamente come le si erano presentati? Sarebbe stata la sua fine. Strinse i pugni, conficcandosi le unghie nei palmi, così che il dolore potesse distrarla da quel flusso repentino di pensieri che, senza dubbio, avrebbero contribuito alla non riuscita di quella vacanza che meritavano. Alzò lo sguardo quando la bionda, con la sua solita calma, fornì il suo punto di vista. “Sì, ma non sono sicura che l’abbia presa seriamente.” La spavalderia del Signor Wheeler? Una leggenda. Peccato che questo atteggiamento lascivo, spesso, concorreva ad incentivare il rischio di pericolo. Un lato del suo carattere che, volente o nolente, aveva lasciato in eredità a quella figlia che, proprio in quell’istante, si ritrovava a maledire uno dei suoi tratti predominanti, in comune con l’uomo. Che poteva farci? A quel punto niente e nessuno avrebbe potuto cambiarlo e, quindi, correre ai ripari sembrava essere la soluzione idonea per evitargli il peggio. “Abile? Azzarderei sconsiderato!” Un classico esempio del predicare bene e razzolare male. Se non avesse vissuto in prima persona quella scena, sarebbe stata la prima scettica a mettere indubbio quel tipo di avvertimento che, fino a qualche tempo prima, avrebbe definito: stronzata. Ora, ironia della sorte, la ciarlatana era lei, con il suo occhio interiore del quale avrebbe volentieri fatto a meno. ”… staccare la spina serve.” Quanta verità in poche parole. In fondo si erano allontanate proprio per quel motivo: svuotare la mente da assilli che avrebbero potuta, tranquillamente, rimandare una volta tornate in patria. Annuì, ricambiando quel sorriso rassicurante ma, però, non servì del tutto a lasciar scivolare via la tensione che l’argomento successivo innescò. Emma. Non sapeva molto di questa fantomatica ragazza che, dalle poche informazioni a suoi disposizione, sembrava essere una sorta di amica di infanzia del ragazzo della Andersen. Piegò la testa di lato, studiando il linguaggio del corpo dell’amica che, purtroppo, non lasciava presagire nulla di buono. Quella figura mitologica le procurava dei profondi grattacapi. La lontananza da Hunter, poi, non faceva che acuire la sua ansia. “Pensi non sia stato del tutto trasparente?” D’altra parte, forse, non reputava abbastanza importante l’argomento e per quello aveva deciso di tacerlo ma, se così non fosse stato? “Probabilmente non la ritiene abbastanza importante da darle spazio.” Certo, il rovescio della medaglia, al contrario, avrebbe raccontato tutta un’altra storia ma preferiva non esporre la possibilità che vi fosse stato del tenero tra loro, prima di lei. Alla base di un rapporto vi doveva essere, categoricamente, una buona dose di fiducia. Fondamentale per non ridurre il legame ad una mera ossessione, un gioco di potere che si sarebbe rivelato tossico a lungo andare. ”Sono più gelosa di quanto mi aspettassi.” Voltò il capo, rivolgendolo all’orizzonte, là dove il mare svaniva. E lei? Quando aveva compreso di provare gelosia? Era stato un cammino duro, tortuoso, costellato di dubbia ma, alla fine, la realtà era giunta inesorabile, sotto al suo naso. Dissentì, lasciandosi sfuggire un sorrisetto ironico. “Già…” Quel sentimento non le era mai appartenuto. Aveva vissuto nella convinzione di essere in possesso di tutte le caratteristiche necessarie che una donna potesse desiderare e poi? Poi era arrivato lui nella sua vita. Con la sua arroganza ed il potere di rendere tutto più difficile del previsto. Fanculo! Che fosse amante delle complicanze non era un segreto ma quella di uscire allo scoperto con David Harris, batteva tutte le prodezze realizzate fino a quel momento. ”Molto.” Le posò una mano sulla spalla, osservandola mentre il suo sguardo si perdeva tra i movimenti dell’acqua. Il Corvonero occupava uno spazio importante nella vita di Daphne e quegli occhi spenti non erano altro che un sintomo della più profonda nostalgia. ”E a te, manca quel soggetto? Negare. Negare sempre. Peccato per la sua incapacità totale di controllare la sua espressione, pronta a smentire ogni tentativo di dissimulazione. Le mancava? Beh, vivere per mesi sotto lo stesso tetto, rendeva il distacco più difficile ma, d’altra parte, i contatti non si erano mai interrotti e le visite erano state, più o meno, regolari, in base agli impegni di entrambi. Fece spallucce prima di prendere la parola: “Mi manca.” Confermò, evitando inutili giri di parole. Non vi era altro da dire. Il verde-argento si era ritagliato un ruolo importante ed, Halley, si era lasciata alle spalle la storia mai avviata con Malachai, il quale ancora a distanza di un anno, le portava quel rancore che aveva sperimentato sulla sua pelle, proprio su quel Ponte. “Le sue parole mi hanno fatta sentire sbagliata!” Come se la sua vita lo riguardasse da vicino. Che gli importava? L’aveva ferito e per questo si era scusata, ripercorrendo controvoglia i ricordi che la riportavano alla notte di Natale, quando tutto si era sfasciato tra loro. “Non permetterò più a nessuno di farmi sentire in quel modo.” La sua decisione l’aveva presa. “Non ha mosso un dito per dimostrare quanto ci tenesse a me.” Forse neanche sarebbe servito ma, allora, perché colpevolizzarla a tal punto da farla sentire una merda, per il semplice fatto di provare interesse verso un’altra persona. Come se per lei fosse stato facile, accettare di buon grado i suoi sentimenti per quel sociopatico borioso. “Gli ho detto la verità.” In termini non simpatici. “Mi ha accusata di forzare il mio rapporto con Harris.” Poi per quale motivo avrebbe dovuto farlo? Oramai il loro rapporto era già naufragato. Ghignò al suono del nome di quel biondino insipido. Che tremendo errore averlo richiesto esplicitamente per il ruolo di portiere nella sua amata squadra. “Quell’idiota. Mi ha fatto fare una figura di merda davanti a tutti. Spero eviti di tornare a scuola. L’hai più sentito?” Rancore ne aveva? Eccome. “Entrare in squadra per poi dare forfait.” Roteò gli occhi, esterrefatta, cercando di non finire, un’altra volta, sull’orlo di una crisi di nervi a causa di quei ricordi spiacevoli che, ancora a distanza di mesi, le procuravano attacchi d’ira ai quali avrebbe rimediato con la violenza.
    ”La Halley che conosco io non ha paura di niente.” Tutto era diverso. Da quando la veggenza aveva fatto la sua comparsa, proponendole quelle immagini nelle quali le persone alle quali teneva , un’ombra era calata sulla sua solita solarità che la contraddistingueva. “Niente è più come prima nella mia vita, Daphne.” Anche spiegarlo risultava così difficile da non permetterle di trovare le parole adatte. “Dormo poco. Mangio ancora meno. Tutto si focalizza sulla possibilità che, da un momento all’altro, le visioni si presentino. L’ultima mi ha quasi uccisa.” Un pericolo non indifferente. Doveva imparare a gestire quegli episodi e, ora come ora, solo sua madre avrebbe potuto darle una mano ma le cose tra loro non navigavano in buone acque.
    “Soffrirei comunque, no? Non provandoci.” Si trattava di scegliere il male minore. Arricciò il naso infastidita da quella certezza.
    Da qualsiasi angolazione, la sua vita era colma di problematiche più o meno complicate. Sbuffò quando si tocco l’argomento materno. Quella donna l’avrebbe spedita al manicomio. Oltre ad essere un osso duro, i suoi ideali ben radicati, non le permettevano quella flessibilità mentale che serviva per comprendere il punto di vista altri. Figuriamoci quello di sua figlia che, ora, reputava una vergogna. “Dovrebbe ma il nostro rapporto si è ridotto ai minimi termini.” Interazioni necessarie, nulla di più. “L’ho delusa quando ho deciso di non correre ad informarla su ciò che mi stava accadendo.” E ancora rimaneva fermamente convinta di non aver errato, nell’adottare quel tipo di atteggiamento. “Sono sola.” Constatazione veritiera. Sola e senza idee sul come comportarsi in presenza di quella maledizione. I libri non sarebbero bastati.
    Quello, però, non sembrava il momento adatto per cedere alla depressione. Non devo pensare. Accantona. Respirò a pieni polmoni e si trovò pronta ad affrontare quello che il destino aveva in serbo per loro. Una festa sulla spiaggia sembrava un buon modo per estraniarsi, almeno per una sera, da quella concretezza alla quale non poteva rinunciare. “Non ho mai partecipato a questo tipo di feste, sai?” Erano passati anni dall’ultima vacanza e la sua età non le avrebbe permesso di presenziare ad eventi di quella portata. “Bocciati i film romantici.” Aveva inteso. Tutto quel miele lo avrebbe retto solo qualche tasso dal cuore grande, non di certo loro.
    ”… spero tu intenda in positivo.” Forse per merito di Hunter ma il ghiaccio che, inizialmente, avvolgeva come una corazza il prefetto, sembrava essersi sciolto, rivelando una personalità più fragile di ciò che era abituata a mostrare. “Solo il vero amore può sciogliere un cuore di ghiaccio.” Appariva più umana, meno distante e chissà, forse quel sentimento le aveva fatto davvero bene all’anima.



     
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    Mentre ascoltava Halley parlare di suo padre, Daphne ricordò il suo, insieme alla frase che, inevitabilmente, aveva messo fine al loro rapporto. Aveva fatto i bagli e si era trasferita a Londra da sua zia; da allora erano passati quasi tre anni e, in tutto questo tempo, Aleksander non le aveva mai scritto, né l'aveva fatto lei, perché la relazione che aveva con quell'uomo era estremamente complicata. Sua madre era una donna crudele, malvagia e calcolatrice,ma suo padre lo era diventato a causa sua, come testimoniato dalle trance a cui era spesso soggetta, le quali le avevano mostrato momenti in cui era stata amata da lui. Ciò nonostante, non avrebbe mai potuto perdonalo per il modo in cui l'aveva trattata, per aver portato in casa sua una babbana e averci fatto una figlia che, per giunta, credeva di essere l'erede degli Andersen. Non avrebbe spero una parola in loro difesa quando, una volta tornato in sé, il braccio destro del ministro norvegese le avrebbe cacciate gettandole in mezzo a una strada, non avrebbe provato alcuna pietà, meritavamo di vivere una vita miserabile. Poco importava se erano solo delle marionette nelle mani di quella donna, niente giustificava le loro azioni e, quando sarebbe arrivato il momento, ci avrebbe pensato lei stessa a umiliarle e a punirle per loro errata condotta. Nel frattempo, però, doveva prepararsi all'eventualità di vedere suo padre dopo anni perché, tra qualche giorno, lei e Hunter sarebbero andati in Norvegia e, viste le sue conoscenze, avrebbe saputo che sua figlia era lì. Ma non era ancora pronta ad incontrarlo, gli avrebbe rivelato ciò che gli era stato fatto successivamente, adesso voleva solo smettere di pensare al suo potere, a sua nonna, a Ludde, e trascorrere, per quanto possibile, un' estate serena. Qualcosa che anche Halley stava provando a fare, tuttavia, anche per lei, le cose erano tutt'altro che facili. «Spero lo abbia fatto, soprattutto perché deve aver visto quanto fossi preoccupata per lui.» La mora voleva bene più a suo padre che a sua madre, e avere una visione di morte su di lui dev'essere stato devastate. «Sconsiderato e anche abile, altrimenti mio padre non lo avrebbe mai definito un duellante, fidati di me» Usò un tono neutro quando nominò quell'uomo, ma lo fece per rincuorare la sua amica Halley, la quale era a conoscenza del fatto che Aleksander avesse frequentanto l'accademia "Kingsley Shacklebolt." Non si era diplomato, preferendo la carriera diplomatica, ma era un mago potente che giudicava severamente gli altri, e se aveva ritenuto il Sig. Wheeler degno di questo nome, allora aveva riconosciuto le sue capacità. Probabilmente quelle parole non sarebbero servite a molto, però ci provò lo stesso, così come provò a non mandare un gufo a Hunter dove gli chiedeva di tornare da lei perché le mancava; aveva bisogno di sentirlo, di stringerlo, di stare con lui e di saperlo lontano da quella Emma. Ogni volta che si parlava del suo ragazzo, Daphne diventava spesso irrazionale, capitava solo con lui, e questa gelosia crescente nei confronti di quella ragazza non faceva eccezione. E il modo in cui il cornovero si poneva quando parlavano di lei, le dava da pensare. C'era qualcosa di tacito. «Lo conosco Halley, conosco il mio ragazzo, e credo che ci sia qualcosa che non mi abbia detto. Però non voglio pressarlo, ho sempre rispettato i suoi tempi e continuerò a farlo. E poi mi fido» Si fidava al punto tale da abbattere ogni difesa. «so di essere l'unica, su questo non ho alcun dubbio.» Non c'era esitazione o titubanza alcuna nel suo sguardo mentre diceva quelle parole, Hunter le aveva fatto capire di essere innamorato di lei, di volere solo lei, inoltre sapeva che tipo di persona era, per questo si era lasciata andare completamente con lui. «Me lo auguro.» Era estremamente possessiva ed egoista, voleva essere l'unica ragazza importante nella sua vita, le altre, tranne sua sorella, avrebbero dovuto avere un ruolo marginale. Le venne quasi da ridere per quanto somigliasse a sua madre anche in quello, ma a quanto pareva, le donne della famiglia Blackwood, tranne Ellen ovviamente, avevano un modo alquanto singolare di amare, se n'era accorta ripensando ai discorsi fatti dalle sue cugine i quali, prima di allora, non aveva mai realmente compreso. Adesso, invece, era perfettamente consapevole del fatto che , una volta conosciuto l’amore, tutte le emozioni precedentemente soppresse sarebbero riemerse e, con esse, il desiderio di monopolizzare Hunter. Se sapesse tutto questo, chissà se scapperebbe. Forse sarebbe stata la cosa migliore da fare per lui, ma non glielo avrebbe permesso, non senza un motivo valido perché era suo. Suo e basta. Halley, invece, non sembrava essere gelosa del soggetto particolare che stava frequentando, oppure si sforzava di non esserlo per una questione di orgoglio, lo stesso che, però, non esitò a mettere da parte quando ammise che David Harris le mancava. Eramolto più coinvolta di quanto si aspettasse, nemmeno con Kai, attuale argomento di conversazione, lo era. E per quello che stava sentendo era meglio così. «Non c'è posto per le persone che ti fanno sentire sbagliata o ti umiliano.» Nessuno ne aveva il diritto. «Avrei fatto la stessa cosa, quindi non sentirti più neanche in colpa per quel tipo. Non lo merita.» Che poi, voci di corridoio, parlavano di un imminente trasferimento. Se ne andasse pure, non sarebbe mancato a nessuno e le serpi non avrebbero perso chissà quale elemento. «Se ti ha detto questo allora non ti conosce affatto.» Aveva, come molti ragazzi, semplicemente dato aria alla bocca e aggredito una ragazza per averlo rifiutato. Un comportamento vile e immaturo, dettato da un orgoglio maschile ferito, lo stesso che aveva assunto Aaron qualche mese fa. «No, la nostra amicizia è finita. Non voglio più avere niente a che fare con lui.» Poteva anche gettarsi da un ponte per quanto le riguardava, le era indifferente ora come ora. «E siete poi riusciti a trovare un sostituto? » Si voltò a guardarla. La mora teneva molto al Quidditch e alla sua squadra, si era impegnata per diventare il capitano, così come lei si era impegnata per essere Prefetto. Posizioni diverse, ma ugualmente importanti.
    «E allora tu devi essere più forte, non puoi permettere al tuo potere di distruggerti.» Fissò lo sguardo nel suo, seria, mentre pronunciava quelle parole. Quei talenti innati, che nessuna delle due aveva mai voluto, avevano stravolto le loro vite, costringendole ad adattarsi a un cambiamento non richiesto. Non era facile controllarlo, ma lasciarsi sopraffare da quel potere non era un'opzione. «Non devi per forza farti aiutare da tua madre, io nemmeno chiederei alla mia.» Se fosse stata una madre decente, avrebbe potuto apprendere tante cose da lei; era una Legilimes esperta, sapeva come funzionava l'universo della mente ed era in grado di utilizzarlo a suo vantaggio, ma non era il caso, l'avrebbe solo torturata e addestrata per i suoi scopi. «Ma a qualcuno devi chiedere.» Come aveva fatto lei lo scorso anno, mettendo da parte l'orgoglio e chiedendo aiuto al vicepreside che, attualmente, ancora la seguiva. Le lezioni private e tutti gli esercizi che aveva le assegnato le erano stati di grande aiuto e le trance, dapprima frequenti, adesso erano molto più rare. “Soffrirei comunque, no? Non provandoci.” Le mise una mano sulla spalla e le sorrise, annuendo. Era più facile arrendersi a quel sentimento che scappare. Decisamente. E, se eri abbastanza fortunato, la persona che ti stava accanto ti avrebbe regalato solo gioia. Un'emozione che solo recentemente aveva iniziato a provare grazie a Hunter, ed era tutto così strano, illogico, perché da piccola aveva sempre pensato che l'amore fosse una maledizione da cui fuggire via. E la colpa, ovviamente, era sempre di sua madre. Di donne complicate che volevano decidere della vita di un figlio senza sapere che, così facendo, finivano solo col farsi odiare. «Credono sempre di aver ragione, vogliono che ubbidiamo ai loro ordini senza ribattere, come perfetti soldatini. Sai che ti dico» Inclinò leggermente la testa di lato e sorrise sornione. «che andassero al diavolo.» Letteralmente. Anche se non si aspettava che Seira fosse così, la credeva migliore di sua madre, ma se erano amiche qualcosa in comune dovevano pur avercela, no? Ecco svelato l'arcano: erano due stronze. «La solitudine non è così brutta, sai?» Guardò l'orizzonte per qualche attimo mentre una leggera brezza estiva le scompigliava i capelli, ricordando come, negli anni, la solitudine fosse diventata un' amica da ospitare, e non un fantasma da cui sfuggire.
    «Nemmeno io, ma c'è sempre una prima volta.» Stavano andando a una festa sulla spiaggia organizzata da maghi purosangue, era un'ambiente selezionato, e non avrebbero dovuto esserci soggetti molesti. Avrebbero potuto divertirsi in tutta tranquillità. “Solo il vero amore può sciogliere un cuore di ghiaccio." Sì, Hunter aveva letteralmente fatto a pezzi il ghiaccio che aveva dentro, ma il rischio che si riformasse era alto, soprattutto ora che sua madre era tornata. Tuttavia, sorrise a quelle parole, confermando che l'amore, tra loro, c'era, ma prima di poter dire se fosse effettivamente vero, il suo ragazzo avrebbe dovuto conoscere l'oscurità che albergava in lei e la sicurezza che restasse non ce l'aveva. «Lo saprò col tempo.» Disse solo questo, prima di aumentare leggermente il passo per giungere finalmente a destinazione. Il posto era davvero molto bello, la musica altrettanto. Ma prima di divertirsi, avevano bisogno di bere, solo l'alcol le avrebbe permesso di non pensare ai problemi che avrebbero dovuto affrontare in futuro, anche se per qualche ora. «Andiamo.» La prese per mano e la condusse al bancone dei drink che, sapeva, non avere nessun strano effetto. Non ci teneva a ripetere l'esperienza del Wonderland. «Per me un Death Eater Negroni.» Aveva iniziato ad apprezzare bevande dal gusto più amaro, una delle sue preferite era quella che aveva appena ordinato. Che avesse un tasso alcolico alto, era solo un valore aggiunto.

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    Edited by Daphne. - 11/9/2023, 02:04
     
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    Halley Wheeler | quinto anno | grifondoro


    Suo padre rappresentava tutto. Il suo punto di riferimento. Una spalla sulla quale poter versare le sue lacrime. Davvero tutto. Una di quelle figure genitoriali impeccabili, sempre pronta a supportare il proprio figlio in qualsiasi situazione. Eppure, in quell’idilliaco rapporto, vi era una nota stonata, amara. L’omertà che aleggiava su Jason la inquietava. Consapevole del fatto che mai avrebbe voluto esporla a preoccupazioni, Halley, aveva imparato a non porre domande ma, semplicemente, si limitava a riporre tutta la sua fiducia nelle capacità paterne, pregando di rivederlo sano e salvo al ritorno da uno dei suoi tanti viaggi di lavoro. Una scommessa con il destino. Ardua. Così come le risultava tremendamente complicato gestire la mancanza, soprattutto in quel frangente della sua esistenza caratterizzata da un muro innalzatosi tra lei e la madre. Puntò nuovamente lo sguardo verso la sabbia, ricordando la sofferenza provata a causa di quel silenzio tombale che le era stato riservato sin dal primo giorno di quelle infernali vacanza che, finalmente, volgevano al termine. Conveniva che, probabilmente, la sua decisione di tacere la manifestazione del suo potere era stata avventata ma, d’altra parte, la signora O’Hara, non si era interrogata sull’impatto emotivo che esso avrebbe potuto avere su sua figlia. Il risultato? Un completo disastro. Mai e poi mai si sarebbe immaginata uno scenario simile. ”Spero lo abbia fatto…” D’istinto il sopracciglio sinistro schizzò all’insù, lasciando che la sua parte scettica prendesse il sopravvento. Ma certo che no. Il suo vecchio aveva la cattiva abitudine di sminuire ogni sorta di avvertimento, quasi come fosse un tentativo di esorcizzare la cosa. Un rito scaramantico. Ci poteva anche stare. Fino a quel momento sembrava, addirittura, aver funzionato. Le parole di Daphne la distolsero da quel pensiero, riportandole alla mente il viso del padre della sua amica, così simile al suo. “Come sta tuo padre, a proposito?” Domandò ingenuamente, senza avere la minima idea di come stessero le cose tra loro. Molteplici potevano essere i motivi alla base di un allontanamento di un figlio ma, allo stesso tempo, si trovava fermamente convinta che una seconda possibilità andava data a chiunque, soprattutto a un genitore. Forse. Tutti bei pensieri, certo, ma era certa di riuscire a dare un’opportunità a colei che le aveva letteralmente voltato le spalle, trattandola alla stregua di una perfetta estranea? No, non poteva essere certa proprio per il legame che sarebbe dovuto essere più forte di qualsiasi cosa. Il perdono non era qualche cosa a lei lontano e sconosciuto. Per niente. L’aveva dimostrato con David, permettendogli di rimanere nella sua vita nonostante il clamoroso gesto contro la sua incolumità. Follia, forse. Eppure non aveva esitato a concedergli un ultimo tentativo, con promesse annesse. Con sua madre, però, tutta un’altra storia. Lei non avrebbe mai dovuto lasciarla sola, in balia di quella merda più grossa di lei. No. Imperdonabile. Si rilassò quando si smise di parlare di lei, così da poter tirare un sospiro di sollievo e riordinare quelle idee confuse annidate nella sua testolina bacata. Ascoltò senza proferire parola, attendendo pazientemente le spiegazioni che credeva spiegassero il comportamento ambiguo di quello che aveva appena definito il suo ragazzo. Era di ciò che si trattava in fondo, no? Ignorò un brivido scaturito dalla presa di coscienza che, tra alti e bassi, anche lei si trovava invischiata in una vera relazione duale. “Dipende…” Tempo al tempo, certo. Una delle cazzate propinate da coloro che non avevano altro da fare se non aspettare che qualcuno si prendesse gioco di loro. Per favore. “Forse dovresti chiederglielo.” E se non fosse mai arrivato il giorno in cui, Hunter, si fosse prodigato a spazzare via tutti i dubbi della sua ragazza? Cosa avrebbe fatto? La Wheeler, però, non poteva dirsi paziente e per questo non comprendeva come si facesse a rimandare argomenti di spiccato interesse come quelli. Ad ognuno il suo. Per lo meno la percezione di Daphne le suggeriva di essere l’unica nella vita del Corvonero. Sensazione a lei sconosciuta. David non si era mai fatto scrupoli nello sbatterle in faccia le sue conquiste del giorno ma, quel che era sicuro, dopo il loro confronto, la politica adottata era quella della tolleranza zero. Non era più tempo per la sofferenza gratuita, quella facilmente evitabile. Quella che le aveva inferto lui al solo scopo di allontanarla dopo averle quasi tolto la vita a causa della sua incapacità di controllarsi. Se da un lato, ancora, non aveva trovato la forza di fidarsi del tutto del maggiore dei fratelli Harris, l’altra parte di lei la spingeva a volerlo al suo fianco. Un’ossessione. Per quanto on avesse la minima idea di cosa l’aspettasse in quella frequentazione, non riusciva ad immaginarsi con nessun altro. “Daphne?” I suoi pensieri si concentrarono intorno ad un unico quesito da porre alla bionda. “Lo ami?” Il concetto di amore la spaventava. Provava sentimenti, sì, ma avrebbe riconosciuto il momento in cui essi si sarebbero tramutati in qualche cosa di più? La sua inesperienza non lasciava presagire il meglio. “Scusa. Forse sono stata indiscreta.” Non era sua intenzione immischiarsi in quei fatti così intimi da risultare quasi intoccabili ma il danno l’aveva fatto. La confusione annebbiò la ragione. La rabbia nei confronti di Kai prese il sopravvento. Quel ragazzo l’aveva trattata da inaffidabile, traditrice come se tra loro vi fosse chissà quale tipo di legame. Il veleno che le aveva sputato addosso, però, era riuscito a raggiungerla e a colpirla nel profondo, portandola a credere di aver compiuto un errore nei suoi confronti. Si era guardata bene dall’illuderlo ma, durante la festa di Natale, aveva accettato quell’invito al buio finito poi nello sfacelo totale, durante il quale la complicità con David era trapelata nonostante i tentativi di dissimulazione terminati nel nulla cosmico. Il caos ne era derivato. “Credo fosse innamorato di me.” Per cosa poi? Si era comportata da perfetta stronza fin dal principio. Ma lui, no. Aveva riposto in lei quelle speranze poi andate in fumo a causa di un sentimento non corrisposto. Doveva aspettarselo. “Dovrebbe cambiare scuola.” Così si andava vociferando, nessuna certezza a riguardo ma ci sperava così da non essere costretta a cambiare strada. “Ha tentato il suicidio.” Boom. Il foglio che aveva raccolto ne era stata una chiara testimonianza e, da quel momento, non aveva fatto altro che chiedersi se fosse anche un po’ colpa sua. Kai, Aaron. Personalità particolari dalle sfumature agghiaccianti. I loro comportamenti erano stati assurdi e, ora come ora, una loro dipartita avrebbe risollevato i loro animi. “Grace è stata provvidenziale!” Si era occupata di fare pubblicità e, alla fine, si era accaparrata Nathan e Roy entrati a pieno regime nel meccanismo già ben ingranato che avevano. “Hargraves e Knox. Sono stati i nostri ultimi acquisti e, come hai potuto vedere, hanno portato bene!” Soprattutto l’ultimo citato. Vincere il campionato l’aveva fatta sentire di nuovo viva. La coppa delle case, poi. Quell’anno sembrava essere stato tutto così perfetto da lasciarle intendere che l’inculata sarebbe giunta prima o poi ma niente paura. Così era la vita, no? Un po’ come era successo con il suo potere. “Mi ero appoggiata a mia zia.” Un abbaglio non indifferente. Aveva visto in lei un appoggio ma, senza pensarci due volte, si era permessa di rivelare alla sua sorellastra ciò che Halley, esplicitamente, le aveva raccomandato di tenere per sé. Fiato sprecato da quel se ne evinceva. Bella merda. “Sono certa che mio padre saprà consigliarmi.” In fondo aveva passato parecchi anni al fianco di chi, come lei, possedeva quel dannato talento innato.
    “Siete sempre ai ferri corti, eh?” La sua situazione familiare era sempre, come dire, avvolta da un alone di mistero e non era sua intenzione andare oltre a quel limite che avrebbe sconfinato nella privacy della Andersen. Quest’ultima alzò lo sguardo algido, puntandolo verso l’orizzonte. ”La solitudine non è così brutta, sai?” Non ne dubitava minimamente, anzi. Era certa che a volte rimanere soli con sé stessi avrebbe rinvigorito l’anima ma, altre volte, sentiva il bisogno di un semplice abbraccio, di qualcuno che si soffermasse a domandarle come stai? Quel calore che le era stato negato. “Hai ragione.” Annuì. “Credo, però, di aver bisogno di qualcuno al mio fianco. Qualcuno che sappia sostenermi.” Al cento per cento. In ogni scelta, quando fuggire dai problemi non sarebbe più bastato. Scappare. Un po’ come avevano fatto, attraversando il pianeta terra e raggiungendo quell’America lontana. La festa che le attendeva sembrava differente dalle solite e aveva attirato l’attenzione di entrambe. Perché non provarci, allora? La condusse decisa al bancone dove, senza alcuna parsimonia, si sfornavano drink su drink. Daphne non perse tempo mentre Halley, per qualche istante, parve pensarci sopra. “Ok.” Solitamente avrebbe fatto la sua richiesta senza esitazione ma il suo stato d’animo, ancora, non aveva trovato quiete. “Forse l’alcol aiuterà a distendere i nervi.” Al diavolo! “Un gin tonic.” Sempre andare sul sicuro. “Allora? Aspettiamo il prossimo giro o iniziamo subito con qualche bella domandina imbarazzante?” Ehi! Si trovavano in vacanza, lontane anni luce dalle costrizioni e degli stupidi impegni scolastici. Godersi la vita sembrava essere divenuto, per lo più, un dovere.



     
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    Come stava suo padre, Daphne, non lo sapeva e nemmeno le interessava. Era da due anni che non avevano alcun tipo di contatto, neanche quando era diventata maggiorenne le aveva scritto, al suo posto lo avevano fatto i suoi nonni chiedendole anche di tornare a casa per festeggiare, ma aveva preferito restare da sua zia a Londra anche se, contro ogni previsione, ci era andata dopo le vacanze di Natale visto che, quest'ultime, le aveva trascorse insieme ad Hunter, in Francia, in una baita di montagna tra le sue braccia. Aleksander, al contrario di sua madre, non sapeva della relazione di sua figlia, era un genitore disinteressato, freddo e concentrato unicamente sulla sua carriera. Forse era diventato così dopo che Ellen lo aveva manipolato, eppure con Felicia e Astrid era diverso, ma anche questo, ne era certa, era frutto di un inganno. Daphne non conosceva realmente quell'uomo, le scene che vedeva nei suoi ricordi dimenticati erano in netto contrasto con il padre che era sempre stato. Questo, però, non avrebbe fatto alcuna differenza, manipolato o no, niente giustificava il modo in cui era stata trattata. Niente. «Non lo so, non siamo rimasti in buoni rapporti e non lo sento da quando mi sono trasferita.» La voce era priva di emozione, apatica, perché per lui non provava odio, ma solo indifferenza. Se non avesse avuto bisogno del suo potere e delle sue conoscenze non l'avrebbe mai cercato, però, prima o poi, si sarebbe dovuta decidere a scrivergli per incontrarlo. Le avrebbe creduto? Aveva già capito che c'era qualcosa che non andava? I suoi nonni paterni avevano cercato in tutti i modi di dissuaderlo dal compiere scelte sbagliate, però Aleksander era orgoglioso, pure troppo, e non aveva voluto sentire ragioni. Tra l'altro, Violet, sua nonna, aveva sempre sospettato che c'era qualcosa di strano in suo figlio, però non aveva alcuna prova a sostegno della sua tesi. A fornirgliela sarebbe stata lei. Daphne avrebbe dovuto parlarle, avere tutta la famiglia Andersen dalla sua parte era importante, perché, purtroppo, dei Blackwood non ci si poteva fidare. Anche Ginevra l'aveva ingannata con le sue parole, i gesti di affetto e i falsi sorrisi, minando ancor di più la già precaria fiducia che riponeva nel genere umano. Le persone con cui si era aperta erano due, Hunter e Halley, ed era proprio per questo che, adesso, aveva esposto le sue preoccupazioni su Emma alla sua amica, la quale le aveva suggerito di chiedergli in cosa, esattamente, ci fosse tra loro. Annuì al suo consiglio. Solo che lo aveva già fatto, e la risposta era stata "un'amica di infanzia", niente di più e di niente di meno, era lei che era andata in paranoia. Era sicura di sé, Daphne, lo era sempre stata, e si fidava del suo ragazzo, però c'era qualcosa che le diceva di indagare. Era per gelosia? Voleva assicurarsi che questa ragazza che lo conosceva da più tempo non l'avesse avuto come lei? Che non avessero condiviso momenti intimi come i loro? “Lo ami?” O, forse, aveva paura di perderlo? Guardò le onde infrangersi, perdendosi per un attimo nei suoi pensieri, prima di posare il suo sguardo sull'amica e sorridere serena, pronta ad ammettere ciò che provava. «Sì, lo amo.» Altrimenti non si sarebbe mai concessa come aveva fatto, né gli avrebbe dato il suo cuore e parte della sua anima. «Non preoccuparti, non sei stata indiscreta.» Manteneva sempre una distanza con le persone, quindi non era facile per chi le era accanto capire fin dove potesse spingersi, c'erano argomenti che non era ancora pronta ad affrontare, come quello dei suoi genitori.
    La conversazione si spostò su un soggetto che, fortunatamente, aveva lasciato la scuola. Kai Parker. Un serpeverde che, come tanti della sua casa, portava solo guai. «O forse era innamorato dell'idea che aveva di te.» Di un'illusione che si era creato e che, sfortunatamente, non corrispondeva alla realtà. «Il suicidio? E perché?» Aggrottò le sopracciglia, stupida da quella notizia. Si augurò che non avesse ricorso a un gesto estremo per catturare l'attenzione di Halley, sarebbe stato davvero di cattivo gusto. Non avrebbe mai capito cosa spingesse le persone a togliersi la vita quando c'era chi voleva vivere e non aveva potuto, come suo fratello, ucciso e sacrificato per un bene superiore. Assassinato da sua madre. Lei meritava di morire, non Ludde. «Direi, avete vinto il campionato. Invece la squadra dei serpeverde ha lasciato un po' a desiderare.» Non aveva assistito alle partite giocate, però in Sala Comune molti si erano lamentati del capitano verde-argento che, guarda caso, era David Harris. Avrebbe fatto meglio ad abbassare la cresta e a impegnarsi di più, non era di certo gratificante arrivare ultimi, posizione che, tra l'altro, avevano anche occupato per la Coppa delle Case. Il professor White non era affatto entusiasta del rendimento dei suoi studenti, e Daphne non poteva dargli torto. La disciplina e l'educazione erano concetti estranei per loro. «Qualcosa è andato storto immagino. Non ci si può mai fidare di nessuno.» Pronunciò quelle parole con ammarezza. La famiglia dovrebbe essere un porto sicuro, il luogo in cui rifugiati quando tutto intorno a te crolla, e invece i suoi membri erano i primi a farti a pezzi, a voltarti le spalle quando ne avevi più bisogno .A quel punto meglio la solitudine. «Ti fidi più di lui che di tu madre, vero?» Conosceva già la risposta a quella domanda ma la porse ugualmente, ancora basita dall'atteggiamento di Seira; era così simile a quello di sua madre, che anche lei la torturasse? No, era improbabile. Ellen era un' assassina, una sadica, una pazza e, da come Halley ne parlava, non era quello il caso. «Il rapporto che ho con quella donna è complicato.» E l'unico a sapere quanto complicato fosse era il vicepreside. Non era riuscita a dire nemmeno ad Hunter di lei, di quello che aveva fatto, e come avrebbe potuto? Ellen era l'oscurità che aveva dentro, l'odio che provava per lei la corrodeva dell'interno, le faceva desiderare di abbondarsi completamente alle tenebre e, in parte, lo aveva già fatto. Stava toccando con mano il potere delle arti oscure, la magia nera era affascinante e resisterle non era facile; perdere se stessi non era contemplato, ma trasformarsi sì se necessario. «Lo troverai, ma nel mentre dovrai accontentarti di me.» Le fece l'occhiolino e insieme si diressero alla serata sulla spiaggia. Non appena arrivarono, la prima cosa che fecero fu ordinare da bere. Daphne prese il suo drink, lo sorseggiò elegantemente e subito l'alcol l'aiutò a rilassare i nervi. «Un altro giro direi.» E, infatti, dopo aver finito il primo ordinarono subito il secondo insieme ad uno shot. La testa cominciò a girarle un po', ma era ancora sobria e cosciente. Sapeva dov'era e con chi era, però era più sciolta nel parlare, e quello era uno dei motivi per i quali cercava di non esagerare solo che, questa volta, era in compagnia di un'amica ed erano in vacanza, quindi lasciarsi andare a qualche confidenza in più non le avrebbe fatto male. «Halley dimmi» Si girò verso la mora con un sorriso di chi stava per chiedere qualcosa di imbarazzante. «quel soggetto di David almeno ti soddisfa?» Sì, intendeva in quel senso. Se fosse stata del tutto in sé non avrebbe mai chiesto una cosa del genere, però non lo era, quindi non esitò.

     
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    Halley Wheeler | quinto anno | grifondoro


    I rapporti genitoriali burrascosi. Brutta faccenda. Anche la bionda, sfortunatamente, riscontrava problematiche non indifferenti, sia dal punto di vista materno che paterno. Una sfortuna in più che, però, all’apparenza, sembrava gestire nel migliore dei modi. Forse abitudine? Probabilmente si era limitata a gettare la spugna, lasciando che gli eventi facessero il loro corso, così come doveva essere. Una strategia più che valida, un po’ come quella che, lei in prima persona, aveva deciso di adottare per arginare lo spiccato risentimento provato nei confronti di quella madre troppo occupata a badare alla facciata per focalizzarsi sulle incertezze di una figlia fragile e impreparata. Niente di nuovo. Erano stati mesi assurdi, caratterizzati da un assordante silenzio che, a tratti, era riuscito a farle credere di essere totalmente ininfluente nella vita della signora O’Hara. Un fantasma. Una presenza del tutto insignificante e fastidiosa. Il vuoto. I contatti si erano ridotti al minimo e le parole che volvano nelle rare occasioni di confronto, altro non erano che sciocchi convenevoli o tremendi epiteti da ambo i lati. Sì. La situazione non faceva altro che degenerare, giorno dopo giorno, soprattutto a causa dell’assenza di Jason, costretto a ritmi di lavoro serrati. Che avrebbe fatto senza di lui? Alzò lo sguardo e lo puntò verso l’amica, convinta che la lontananza tra lei e il padre, fosse motivo di una latente tristezza. In fondo si trattava pur sempre di un essere umano e, per quanto glaciale, nutriva la profonda certezza che qualche cosa nel suo cuore mancasse all’appello. Sospirò, lasciando scivolare via tutte le domande che avrebbe voluto porle in relazione a quell’argomento. Ma no. Ficcare il naso e avanzare pretese su una possibile apertura nei suoi confronti, non trovava spazio nelle sue priorità, rimanendo ferma nella sua posizione di ascolto, qualora lei stessa lo ritenesse opportuno. Alti e bassi. Daphne e Halley erano partite, senza dubbio, con il piede sbagliato ma, lentamente, si stavano adoperando a riprendere le redini di quel rapporto difficile da coltivare per via delle palesi differenze che, in un modo o nell’altro, trapelavano in ogni occasione. “Mi dispiace.” Certo, come poteva essere altrimenti? Ricordava a malapena il volto di quel padre ora tanto odiato. Sprazzi sporadici ma chiaro era il viso simile a quello della verde-argento. Una similitudine che la fece sorridere, sollevando leggermente il labbro dalla parte sinistra. Rimase impassibile, volgendo lo sguardo altrove, così da non destare sospetto alcuno che inducesse la sua interlocutrice a porsi sulla difensiva. La sua chiusura, evidente agli occhi di Halley, si fece più tenue quando, improvvisamente, si toccò il suo lato più romantico, quello riservato in toto al giovane rampollo di casa Moore. Hunter. La Grifondoro non aveva mai avuto modo di interfacciarsi direttamente con il ragazzo. Tutto ciò che era a sua conoscenza, infatti, si basava su racconti fantomatici e notizie riportate per vie traverse. Sarebbe bastato per farsi un’idea? Ovviamente no. Avrebbe fatto finta di sì? Certamente. In ogni caso, non si trovava lì per dispensare consigli amorosi, considerando il fatto che non si trattava della persona adatta, viste le sue scelte di vita e di coppia. ”Sì, lo amo.” Snocciolò quel concetto con estrema calma, come fosse più che evidente agli occhi del mondo. La mora piegò la testa di lato, mentre a livello mentale, cercava valide argomentazioni per sostenere e spalleggiare la ragazza nella sua ferma credenza. Perché no? In fondo erano passati mesi e se non fosse scaturito nulla d quegli incontri, probabilmente, non si sarebbe neanche mai sognata di sganciare una bomba di quella portata. La invidiava. Invidiava quella sicurezza –ostentata o meno-, quella caparbietà nel portare avanti la sua causa. E lei? Lei si era persa in un bicchiere d’acqua, allontanando tutto ciò che la inducesse a credere di provare sentimenti veri verso una persona che, quasi con certezza, l’avrebbe fatta soffrire. Fuggire? Non sarebbe servito a nulla. Presto o tardi, il destino le avrebbe presentato un salato conto da pagare, senza che potesse muovere un dito per evitarsi il dolore. Ma, allora, perché si trovava ancora lì, ferma immobile, in attesa che ci pensasse la vita ad asfaltarla? Non era dato a sapere. Non al momento. “L’amore.” Fece eco mentre, distrattamente, si focalizzava sul movimento delle onde. “Pura utopia.” Viva l’allegria, insomma. Eppure il suo tono di voce denotava un certo grado di fermezza, come se vivesse sulla sua pelle quelle sensazioni dolci e delicate che solo un sentimento profondo poteva infondere all’interno della sua essenza. Alzò gli occhi smeraldini al cielo, scontrandosi con quella distesa scura e limpida, priva di nubi. Il luccichio degli astri la trasportò in una dimensione che non le apparteneva affatto, costellata da speranze che, forse, non avrebbe mai avuto l’onore di vedere esaudite. Sospirò, gettandosi alle spalle il timore provato, quello che le riportava alla mente quanto fosse stato facile per David sostituirla con la sgualdrina di turno. Vero che aveva deciso di fidarsi ma, da qualche parte in lei, ancora vi era il ricordo della tristezza provata ogni qualvolta si era cimentato nello sbatterle sotto al naso le sue avventure. Mai più. Il perdono non era più contemplato. Sarebbe bastato un passo falso per gettare nel cesso ogni sforzo. A Daphne, invece, secondo i suoi racconti, sembrava le fosse stata riservata la classica favola a lieto fine. Il vissero felici e contenti e, Halley, non poteva che essere felice per lei. Il suo, invece, aveva tutta l’aria di essere un casino, compreso il bizzarro scambio di veduto su colui che credeva di avere in pugno il suo cuore, per poi rimanere deluso su ogni fronte: Malachai Parker. L’idea che aveva di lei. Un buon punto di vista, senza dubbio ma, fino a prova contraria non si era mai permessa di illuderlo. Si era costruito, in autonomia, una visione di lei distorta, quasi come fosse la sua redenzione che l’avrebbe tratto in salvo da una vita troppo dura per essere affrontata in solitaria. Ma no. Lei non si era mai sentita degna di quel titolo. “Credo che avesse a che fare con la sua famiglia disfunzionale.” Almeno da quel che aveva potuto apprendere dal loro ultimo contatto avvenuto sul Ponte Sospeso, durante gli ultimi giorni di scuola. “Ma non solo.” Le sue parole non avevano lasciato spazio a dubbi. Kai la colpevolizzava in tutto e per tutto. Come se la sua scelta di rimanere al fianco del maggiore dei fratelli Harris, fosse stato per lui motivo di porre fine agli sforzi di riemergere da quell’oscurità che avvertiva al suo interno. “Anche io sono stata la causa scatenante. Io e la mia scelta non scelta, insomma.” Perché no, non si era potuta godere il lusso di scegliere David. La sua testardaggine l’aveva imposto e a nulla erano valsi i tentativi di allontanarsi da quel dispotico ragazzo dall’aria burbera e dai modi di fare estenuanti. Dissentì, felice di cambiare discorso, portandolo su ciò che ancora riusciva a tirarla su di morale. “Vi rifarete.” Si era sorbita tutte le lamentele del battitore avversario, colpito nel profondo da quella serie di sconfitte ma riusciva ancora a provare piacere nel pensare a quanto fossero stati meritevoli i membri della sua squadra. Oh, sì. “O forse soccomberete anche durante questa stagione.” Le picchiettò un dito sulla spalla, scoppiando in una fragorosa risata, così da stemperare quell’atmosfera creatasi a causa di argomenti di una certa rilevanza emotiva. Un’ulteriore sconfitta, effettivamente, avrebbe decretato la fine delle carriere dei verde-argento sul campo da quidditch per mano del professor White o, almeno, le piaceva credere che lo avesse fatto, rendendo la vita impossibile a tutti quanti. Bene ma non benissimo. ”… non ci si può mai fidare di nessuno.” Una puntina di amarezza in più, tanto da non passare inosservata. Fece spallucce, così da fornendo una risposta affermativa a quanto era appena uscito dalle labbra della bionda. Sì. Halley riponeva tutta la sua fiducia in quel che era il suo punto di riferimento. Suo padre. Annuì. “Non si è mai permesso di giudicare la mia scelta di omettere, temporaneamente, la mia condizione.” Cosa buona e giusta, in caso contrario sarebbe finito anche lui sulla sua lista nera, lasciando che ogni certezza crollasse come fosse un instabile castello di carte. Faide interne. Ognuno sembrava combattere guerre silenziose all’interno delle proprie mura domestiche. Sua madre doveva averle arrecato un trauma immenso, vista la sua reazione. “Siamo sulla stessa barca.” Commentò, lasciando a lei la scelta se rivelare dell’altro o lasciare, anche quello, un terreno inesplorato. Perché doveva essere sempre così complicato? Ogni circostanza, negli ultimi tempi, sembrava voler assicurare grattacapi di dimensioni epocali. Sì, persino la fiducia che, oramai, era venuta meno nei riguardi di chiunque orbitasse intorno a lei. Le sorrise ancora una volta, grata per l’impegno che ci aveva messo nel convincere sua madre a farla partire in sua compagnia. L’alcol cominciò a fluire nelle vene, dando un tono più colorato a quell’ambiente di per sé festoso. La testa prese a vorticare e i freni inibitori iniziarono a vacillare, tanto da rendere molesta anche la più algida serpe che avesse mai incontrato fino a quel momento. ”Halley dimmi…” Uscire così, su due piedi. Beh, gatta ci covava per forza di cose. ”… almeno ti soddisfa?” Cosa cazzo? Commentò mentalmente mentre, poco ma sicuro, le sue gote si coloravano di quell’imbarazzo a cui non era minimamente abituata. “Io…” Non aveva idea di cosa dire. Prese fiato, facendosi due calcoli. “Sì.” Sessualmente parlando non poteva recriminare nulla a David ma, se proprio doveva dirla tutta, le sue maniere spesso la spiazzavano. Così brusco, la delicatezza non stava di casa e, nonostante le andasse bene, il suo comportamento sollevava in lei domande e dubbi impossibili da bypassare. “Vorrei solo che utilizzasse tutto quell’impegno nel conoscermi realmente.” La metà sarebbe bastata. Il Serpeverde si avvaleva di quell’omertà dilagante. Era certa che le tenesse nascosto qualche cosa di chissà quale astrusa natura. Sbuffò e la sbornia triste la attanagliò violentemente.



     
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    Daphne era una persona orgogliosa che odiava mostrare le sue vere emozioni, preferiva di gran lunga apparire fredda e controllata; in questo modo gli altri non avrebbero mai potuto davvero capirla. Era qualcosa che aveva imparato da sua madre, e a conti fatti quell'insegnamento le era stato utile perché, per anni, nessuno era stato in grado di avvicinarsi e scoprire cosa realmente si celasse dietro quel perfetto viso da bambola. Ultimamente, però, aveva iniziato lentamente a sciogliere il ghiaccio che circondava il suo cuore, non era facile, soprattutto dopo aver scoperto chi era realmente sua nonna, ma tornare ad essere quella di un tempo avrebbe avuto conseguenze sia per lei che per chi le era vicino. La morte psichica di cui era stata vittima per tre anni sarebbe potuta ritornare in qualsiasi momento e questa volta sarebbe stato ancora più difficile uscirne. E poi, così, quella stronza avrebbe raggiunto il suo obiettivo: isolarla e portarla verso le tenebre più profonde. Daphne era già venuta a contatto con l'oscurità durante le sue lezioni con il vicepreside, e più andavano avanti, più si rendeva conto di quanto la magia nera fosse potente e pericolosa. Doveva stare attenta, e capire bene di chi fidarsi, in caso contrario, il male l'avrebbe avuta. La mora, da qualche mese, era diventata una presenza costante nella sua vita, si era aperta con lei su questioni delicate di famiglia, spingendola a fare lo stesso anche se non era scesa nei dettagli, in quel caso avrebbe dovuto necessariamente raccontarle di sua madre. Non era il caso. Per quanto riguardava suo padre, le aveva detto che non avevano più alcun tipo di rapporto e, al suo "mi dispiace," aveva risposto con una semplice alzata di spalle perché, ormai, si era abituata alla sua assenza.
    Sorrise amaramente quando Halley definì l'amore un' utopia. Era vero, quel sentimento era così raro da sembrare quasi irreale, al pari di una creatura mitologica. Se, invece, non era corrisposto era solo fonte di sofferenza e vulnerabilità, come nel caso di suo padre che, accecato dall'amore che provava per sua madre, si era fatto manipolare, era stato usato e poi gettato via. E lei? Lei era stata torturata ed ignorata dai suoi genitori, ingannata dalla persona che più aveva amato e privata di un fratello, quindi quel sentimento irrazionale, se avesse potuto scegliere, avrebbe preferito non provarlo mai. Ma Hunter aveva sconvolto i suoi piani, le era entrato dentro e, alla fine, si era innamorata di lui. Era successo in modo così naturale che qualsiasi resistenza sarebbe stata vana e sapeva che, molto probabilmente, l'unico in grado di farla sentire così sarebbe sempre stato lui. «Prima la pensavo come te, poi ho dovuto ricredermi.» Osservò le onde infrangersi sulla riva e il suo sguardo celava una leggera malinconia. Le mancava Hunter, non vedeva l'ora di riaverlo tutto per sé e lontano da quella Emma. Il possesso poteva definirsi una conseguenza dell'amore? Perché lei lo era diventata da quando stava con quel dannato corvonero. « E chissà, forse potresti farlo anche tu.» Le sorrise incoraggiante, anche se dubitava che quel soggetto di un Harris ci riuscisse: era troppo coglione per farlo onestamente. Non disse niente a riguardo, Halley era abbastanza grande da fare le sue valutazioni ma, di una cosa era quasi certa: anche se non lo voleva ammettere, si stava innamorando di David. Se così non fosse stato, dopo averlo visto in atteggiamenti intimi con altre ragazze, piuttosto che tornare con lui lo avrebbe mandato al diavolo, proprio come aveva fatto con Kai. Eppure era palese che quello che provava per il maggiore degli Harris era qualcosa di forte. Per sua sfortuna. «La tua non era una scelta facile, stare con uno come David è impegnativo.» E quello era un dato di fatto. Eppure la grifondoro, con la sua caparbietà, era riuscita a far capitolare quello stronzo e adesso, da come aveva capito, si stavano frequentando seriamente. Era ora. Ce ne aveva messo di tempo per decidersi quel soggetto. «La mazza da battitore ti ha aiutato a sbaragliare la concorrenza, ammettilo.» La prese in giro, anche se qualcosa le diceva che se si arrabbiava, quella mazza in ferro poteva essere molto pericolosa nelle sue mani. Il suo uscente avrebbe fatto meglio a stare attento. Una ragazza arrabbiata non è mai facile da gestire, lei compresa. «Per il Quidditch non ti so dire, però la Coppa delle Case sarà nostra quest'anno.» Partivano bene poi, puntualmente, qualche serpeverde con zero neuroni in testa rovinava sempre tutto. Per cosa poi? Sentirsi superiore? O far vedere agli altri che non aveva paura di mancare di rispetto ad un professore? Dal suo punto di vista erano solo dei poveri idioti con manie di protagonismo e quel comportamento immaturo e sciocco non li avrebbe portati molto lontano. C'erano decisamente modi più intelligenti per farsi notare, e anche di divertirsi, ma cosa poteva aspettarsi da quei decerebrati? Il nulla cosmico. Quest'anno, però, dopo due sconfitte consecutive, Daphne voleva vincere, una volta per tutte, la Coppa, peccato che, da sola, non potesse farcela quindi, il massimo che poteva fare, era augurarsi che le serpi si dessero una regolata e non si facessero beccare da qualche altro prefetto o caposcuola durante le ronde notturne. I più grandi almeno. «Capisco perché ti fidi di lui allora. I miei, invece, mi hanno sempre imposto le loro scelte, come ha fatto tua madre con te. E non c'è niente di più sbagliato per me.» Il tono duro con con pronunciò quelle parole sottolineava molto bene quello che era la sua opinione a riguardo. Odiava le imposizioni, le pretese e gli ordini, perché anche se aveva fatto di tutto per compiacere sua madre e non farla arrabbiare, alla fine finiva sempre per essere torturata. Aveva rispettato le sue regole, il suo volere e i suoi sbalzi d'umore, sapeva che se il suo viso si fosse tramutato in quello di un'arpia se la sarebbe vista brutta e si era assicurata che anche suo fratello facesse altrettanto. Ma non era servito a niente. Ellen odiava Ludde, odiava tutto ciò che rappresentava e l'aveva ucciso per lei, per il suo potere, per la sua eredità. Odiava la sua impotenza attuale, odiava dover sottostare, ancora, al volere di quella donna, ma doveva diventare più forte, agire d'istinto l'avrebbe solo fatta finire tre metri sotto terra. «Decisamente. E poi mia madre non fa mai niente per niente, ha sempre uno scopo.» La guardò seria perché, il suo, era stato un tacito avvertimento. Ellen le aveva mostrato un Demiguise, una creatura in grado di prevedere il futuro, che cosa sarebbe successo se avesse messo le mani su una veggente? Lei e Seira erano amiche, avrebbe potuto chiedere a lei, ma la signora Wheeler non era di certo una sprovveduta e si sarebbe insospettita se le avesse fatto determinate richieste. Una veggente inesperta, però, era molto più facile da manipolare e sua madre eccelleva in quella particolare arte. Forse stava pensando troppo, o forse era solo paranoica, ma conoscendola non era da escludere che decidesse di usare qualcuno a lei vicina per controllarla. E non voleva che Halley, che di problemi ne aveva già abbastanza, restasse coinvolta anche nei suoi, quindi sperò che quelle parole non le dimenticasse.
    L'alcol stava lentamente iniziando a fare effetto. Dopo un drink e uno shot, Daphne aveva fatto una domanda che, da sobria, avrebbe decisamente evitato. Quel soggetto di un Harris era davvero pessimo e avrebbe fatto meglio a darsi una regolata se voleva ancora avere una ragazza. «Se non lo fa, ci perde lui. » Decisamente. «Mi serve un alto shot e anche tu ne hai bisogno vedo. Altri due!» Il barista non perse tempo e riempì i loro bicchieri fino all'orlo, le due ragazze brindarono e bevvero tutto d'un fiato. Poi il volume della musica aumentò, in pista la gente ballava e si divertiva, perché non fare lo stesso? Si allontanarono dal bacone dei drink e, ballando, si avvicinarono al DJ set. Prima, però, Daphne doveva assicurarsi di una cosa, così prese velocemente il telefono dalla tasca e scrisse un messaggio al suo ragazzo. "Huunter, mi manchi. Non vedo l'ora di vederti. Non farti toccare da Emmaa, capiito? Adesso vado a ballaare, io e Halley siamo richieste perché ci guardano. A dooopoo." E lo inviò. Il giorno dopo si sarebbe pentita di averlo mandato e, come sempre, si sarebbe ripromessa di fare più attenzione quando beveva, ma una parte di lei era felice di essersi comportata come una normale diciassettenne senza drammi, e di aver ricordato al suo corvonero di chi era. Nel mentre, sorrise ad Halley e, insieme, ballarono al chiaro di luna tutta la notte.




    Role conclusa e.e
     
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