Era riuscito a mantenere la sua parola. Era lì. Sano e salvo davanti a quello sguardo intenso; lo stesso che sembrava non aver perso la speranza di potersi ricongiungere con quello del Serpeverde il prima possibile. Ed eccoli. L’uno davanti all’altra, come se il tempo non fosse mai passato. Come se quella manciata di giorni non avessero contribuito a mutare radicalmente l’anima di un ragazzo che, dalla vita, non desiderava nient’altro che ordinarietà. Un’ambizione troppo grande, tanto da essere immediatamente smorzata da un destino infausto, ricolmo di eventi tragici, potenzialmente traumatici e pericolosi per la psiche di un ragazzo della sua età, la quale colpa stava solo nell’essere nato. Neanche l’aveva chiesto. Chi mai avrebbe voluto un padre come il suo, affetto da quella megalomania incontrollabile e una madre succube del volere malato del marito? Nessuno sano di mente. Così, nonostante fisicamente fosse lì, Michael, mentalmente si trovava proiettato ancora sul luogo di quell’efferato delitto, posto in essere in seguito ad un suo gesto sconsiderato ed estremamente egoista. Come aveva potuto pensare, anche solo per un attimo, che il suo piano potesse essere cosa buona e giusta? Lui si era preso la briga di sottrarre un padre a un figlio. Un marito a una moglie. Un figlio a dei genitori che, lentamente, sarebbero morti in seguito a quella notizia sconvolgente. Il suo cuore perse un battito e reggere il contatto visivo, iniziava ad essere complicato.
Lei credeva in lui e il risultato? Quale era stato? La compromissione definitiva della fedina penale, fino a qualche giorno prima, immacolata. Aveva lottato con tutte le sue forze per acquisire quella moralità che, tra alti e bassi, lo aveva scosso dalla sua oscurità, estrapolandone ciò che lui definiva: decenza. Un essere umano decente. Né più, né meno. La sua ambizione a livello etico rimaneva ancorata a questo punto, per lui fondamentale per la sua crescita personale che nulla aveva a che vedere con il piano accademico –per quello andava fatto tutt’altro discorso-. Un fremito lo riportò, prepotentemente, alla realtà. Al qui ed ora che li vedeva coinvolti in un gioco senza regole, nell’intenzione di scorgere un qualche cosa che li aiutasse a comprendere di più sul lasso di tempo trascorso senza che poter vivere quella quotidianità che la scuola aveva concesso. Rispose alle sue domande con la tipica freddezza mostrata ogni qualvolta si trovava nella condizione di non poter, per nessuna ragione, dare voce a ciò che avrebbe voluto. Uno scialbo meccanismo di difesa così facile da smontare da assumere la classica nota imbarazzante. Stronzate su stronzate, rifilate colei che meno se lo meritava su quella dannatissima terra. Serrò la mascella, reprimendo a fatica il dolore che interessava non solo la gamba –oggetto delle attenzioni crudeli del padre- ma anche la sfera piscologica maggiormente colpita, le quali ferite non sarebbero guarite così rapidamente come quelle fisiche. Non poteva esserne certo ma, con il passare del tempo, il legame che intercorreva tra loro, sarebbe stato messo a dura prova dagli atteggiamenti lascivi, indifferenti e spesso supponenti volti a difendere sé stesso, Ma a quel punto? Cosa avrebbe fatto? Sarebbe davvero stato in grado di rivelare, fino all’ultimo segreto, tutta la verità riguardante la sua vera natura e quella dell’intera stirpe degli Harris? In ogni caso, molto probabilmente, l’avrebbe persa, semplificando la sua discesa negli inferi per occupare quel posto che già gli spettava di diritto. L’idea di perderla gli opprimeva il petto e, ora come non mai, si trovava ad un passo da quel triste epilogo capace di gettarlo in quel baratro che tanto temeva.
”Fanculo.” L’atmosfera si smorzò, restituendo una vaga sicurezza utile ai suoi tentativi di dissimulare quel malumore che, probabilmente, si sarebbe portato nella tomba. Assunse un’espressione interrogativa, inarcando il sopracciglio destro ma pronto a regalarle un sorrisetto ironico e giocoso. Uno sforzo davvero assurdo per lui che, al contrario, avvertiva un peso sulla coscienza così forte da togliere il fiato. Alzò le mani, simulando una resa bella e buona mentre l’ironia si sprecava per alleggerire quella tensione tenuta alta dalle troppe incognite che costellavano il mistero della sua partenza. Gli era mancata realmente e quella mancanza, inverosimilmente, aveva contribuito a tenerlo in vita, sopportando quelle violazioni che era stato costretto a subire a denti stretti per non soccombere malamente alla figura paterna. La osservò arrossire, dandogli l’opportunità di tralasciare per qualche istante le preoccupazioni lancinanti, aiutato dal contatto con la sua pelle. Un desiderio folle si sprigionò in lui, conducendolo in una sola direzione ma, a fatica, riuscì a darsi un contegno, convinto che non fosse il momento adatto per ribadire quali fossero le intenzioni nei suoi confronti. No. L’ardore l’aveva, già una volta, indotto a compiere un errore ed, ora, sentiva il bisogno di tutelarla da sé stesso, consapevole di essere la onte di ogni male per lei che, però, ancora una volta, riuscì a spiazzarlo con quella naturalezza disarmante facente parte del suo essere.
”Rimani.” Avrebbe voluto prometterlo con tutto sé stesso. La sua espressione spigolosa si fece più serena.
“Farò del mio meglio, Grace!” Era tutto ciò che poteva offrire in quel frangente: il suo meglio. O, almeno, ciò che ne rimaneva.
“Questo te lo posso promettere. Farò di tutto per rimanere.” Finché la minaccia fosse stata al di fuori delle mura di Hogwarts, non vi sarebbe stato alcun tipo di problema ma, in caso contrario, non avrebbe avuto esitazioni sul da farsi. A lei non sarebbe stato torto un capello, finché lui fosse stato in vita. Poco ma sicuro. Ribadì mentalmente il concetto esposto durante il confronto con David dove, con il cuore in mano, aveva ammesso di poter arrivare a scarificarsi. Niente di più vero. Un gesto altruistico che, prima di incontrare la Johnson, neanche aveva mai preso in considerazione. La lasciò libera dalla sua morsa, sciogliendo quell’abbraccio ricolmo di apprensione.
Gli prese la mano, intrecciando le dita con le sue, in un gesto alquanto avventato per una persona discreta quale era. Poco male. Studenti curiosi iniziarono ad affacciarsi nei pressi del loro luogo di incontro e, per questo motivo, accettò l’invito a prendere parte ad una semi scampagnata che li avrebbero portati lontano da occhi indiscreti, pronti a nutrirsi di quel gossip da quattro soldi.
Non capì come ma la discussione si spostò sul qudditch, regalando un po’ di sollievo e spensieratezza.
“Halley, certo. Come sta?” Quella ragazza lo aveva letteralmente incenerito quando, la notte di Natale, si era ritrovata a dover fare a meno della compagnia dell’amica, già impegnata con lui. Tempi poco sospetti e poi, la stessa Wheeler, si era ficcata in un guaio peggiore di quello in cui era finita Grace. E quel guaio rispondeva al nome di David. Suo fratello. Un ragazzo senza cuore che, per qualche strano motivo, aveva il lusso di vantare su di sé le attenzioni di quella giovane donna ambiziosa ed intelligente. Un mistero che sarebbe rimasto irrisolto ma che, forse, avrebbe aiutato il sangue del suo sangue a riemergere dallo schifo che vendeva come normalità. Un’utopia, probabilmente ma la speranza è pur sempre l’ultima a morire.
“Un nuovo cacciatore, eh!” Interessante. L’anno successivo, probabilmente, si sarebbero trovati contro e picchiare duro era una delle sue specialità.
“Peccato, sai? Avrei voluto disputare la finale proprio contro di voi.” Peccato per le figure di merda che avevano investito i verde-argento, costretti a mettere una pietra sopra a quel campionato che li aveva visti sconfitti su ogni fronte.
“I nostri capitani, l’uno contro l’altra.” Un mix esplosivo. Una bomba ad orologeria pronta ad esplodere quei due, se entrati in collisione.
“Io contro di te.” Assottigliò gli occhi, lanciando quel guanto di sfida bello e buono, lasciando intendere che sarebbe stato davvero divertente assistere a quella competizione tra teste di serie. Tutto un sogno.
“Sappiamo tutti come è andata. Io tifo per voi.” Per te. Reggere il gioco. Ecco cosa stava tentando di fare, così da non arginare il tentativo di Grace di mascherare il nervosismo.
”E tu a casa?” La domanda lo colse in fallo ma scelse deliberatamente di non inciampare in quelle reazioni che avrebbero sollevato troppe domande.
“Stanno tutti bene.” Tutti tranne me.
“New York.” Una gran bella città ma la contea nel quale era vissuto non aveva nulla a che fare con il panorama di Central Park, gremito di famigliole felici a spasso.
“Un giorno, se vorrai, ti ci porterò, così ti potrai rendere conto di quanto sia caotica, soprattutto in prossimità delle vacanze. Non ci sei mai stata, vero?” Come se lui avesse avuto il tempo materiale per esplorare la Grande Mela.
“Rimpiangeresti la cara e vecchia Inghilterra. Puoi Credermi.” Nella sua tranquillità e sicurezza.
La gamba cedette per un solo, fottuto, istante ma quel tanto che bastava per attirare l’attenzione su di sé. Le sue iridi algide volteggiarono su di lei, nella speranza che non ponesse quesiti al quale porre rimedio con una bugia ma, quella preoccupazione, svanì quado avvertì che, la Johnson, arrestò la camminata. Si voltò per sincerarsi che tutto volgesse per il meglio, fermandosi a sua volta.
”Devo dirti una cosa…” Un’onda anomala si infranse sulla barriera fatta di ostentata sicurezza, rimescolando le carte in tavola.
“Dimmi.” Un sussurro flebile. Non le stava dando il permesso.
”L’ho fatto Mike. I-io l’ho fatto.” Un attimo di confusione e poi tutto fu chiaro e limpido, davanti a lui.
”L’ho lasciato.” Non proferì parola, rimanendo immobile sul posto, ad elaborare una strategia che gli avrebbe permesso di non risultare fuori luogo, dopo quella notizia. Si voltò, ritrovandosi ancora così vicino a lei da potersi specchiare nei suoi occhi pervasi dalla sua solita autenticità. Liberò le mani e lentamente, iniziarono a farsi strada verso il suo viso, accarezzandolo dolcemente, prima di piegare la testa di lato. I dettagli lo convinsero. Un passo verso di lei e la distanza fu annullata del tutto, così come doveva essere. Si sporse e, con delicatezza, posò le sue labbra su quelle rosee della Grifondoro, schiudendole con la lingua, per poi lasciarsi andare a quello che era un bacio. Il più sentito che avesse mai sperimentato sulla sua pelle, cullato dalla speranza di non essere respinto. Non più.