In memory of

Tenuta della famiglia Moore, Atlanta

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    Non devi scusarti di nulla. Penso solo a questo, al fatto che non vedo come baciarmi o per me baciare lei, possa essere un motivo per scusarsi. Capisco che lo stia facendo per via del posto in cui ci troviamo e per via del motivo per cui siamo qui ma nonostante ciò, sembra quasi che io preferisca che lei si lasci andare in questo modo. C'è tanto in questo gesto apparentemente semplice, c'è la consapevolezza di esporsi e nonostante ciò di non temere di farlo, sembra che nè questo posto nè questa situazione riescano ad influenzare i suoi gesti. E mi piace, amo che sia così. Amo il fatto che nonostante detesti non avere il controllo, come mi ricorda, con me sembri non averne affatto e sembra anche che la cosa non la infastidisca più di tanto. Non voglio essere il solo a poggiarmi su di lei, voglio che anche lei lo faccia con me - Sono bravo nelle mie valutazioni, sai? Dovresti fidarti di ciò che dico -sono sempre stato il tipo di persone che smorza l'entusiasmo, che abbassa gli animi quando si fanno troppo accesi o entusiasti: non dico mai nulla per far piacere a qualcuno, nè tanto meno sono solito indorare la pillola quando ho una valutazione negativa. Questo può essere un pro per chi ama le opinioni schiette, buone o brutte che siano, ma per molti si tratta solo di insensibilità e forse potrebbero avere ragione. Il punto è che la verità è l'unico modo per potersi eventualmente migliorare, e facile convincersi di aver raggiunto il massimo. Nel caso di questa ragazza, della mia ragazza, di Daphne.. è come se non avessi ancora esplorato tutte le sue capacità, come se mi mancasse un pezzo da sbloccare e da vedere. Nonostante questo, il potenziale che vedo in lei è enorme e non vedo perchè non dovrebbe saperlo se se lo merita.
    Ho già individuato qualche occhio particolarmente attento su di noi, nonostante provino ad essere discreti. Sembra che stiano spiando i nostri movimenti, magari qualcuno si diverte a definire la nostra vicinanza come uno scandalo, magari qualcun altro è solo sorpreso di vedermi sotto una luce diversa. Ad ogni modo, qualunque sia il loro motivo per spiare, la mia risposta è avvicinarmi ancora di più a Daphne, schiudere le labbra contro le sue e assaporarne in sapore con la lingua lasciando anche un piccolo morso sul suo labbro inferiore prima di rimettere qualche centimetro fra di noi. Mi lascio coinvolgere, mi lascio trascinare da lei e l'opinione che potrebbero farsi gli altri non mi interessa minimamente. Il che è strano, continuo a stupirmi di come il mio comportamento sia diverso quando sono con lei. È una cosa sbagliata, incoerente? Dovrei contenermi e comportarmi più "da me"? Emilie in una delle sue lettere recenti mi ha scritto che sorrido più spesso ultimamente e io sono convinto che il merito sia tutto della serpeverde. Quindi, alla luce di ciò, è davvero sbagliato per me comportarmi così? Per quanto ci pensi non riesco a farmene una colpa e prima che possa anche solo immaginare di comportarmi diversamente, le mie mani sono già su di lei per abbracciarla, toccarla, stringerla a me. Se anche usassi tutto il mio tempo a disposizione non riuscirei a frenare questo istinto, sapere poi che non sono il solo a sentirsi così in qualche modo mi rasserena - lo so - e non può che farmi impazzire - mi piace che tu non ne abbia - le sussurro soffermandomi sui suoi occhi quel minuto in più che basta per farmi pensare che non vedo l'ora di portare a termine il mio impegno per restare solo con lei.
    Adesso però la circostanza richiede esattamente l'opposto, che quindi io mi avvicini a mia sorella dando le spalle a Daphne che invece va verso la direzione opposta, giusto per un attimo. Emilie ha una faccia sofferente, un sorriso tirato e per nulla innaturale mi fa capire che si trova in una posizione di disagio e la causa è un collega di nostro nonno che le pone domande sulla sua attività. Si mostra stupito del fatto che stia ancora studiando, come se dovesse abbandonare tutto e iniziare a pensare alla prole - buonasera signor Smith. Scusatemi se vi interrompo - poggio una mano sulla spalla di mia sorella attirandola con nochalance a me, giusto per facilitarle la fuga - le dispiace se le rubo mia sorella per un attimo? - ovviamente il signor Smith annuisce, mesto più del solito, probabilmente perché prova compassione per noi. Lui come la maggior parte delle persone qui dentro. Non mi interessa ciò che pensa, l'importante è che riesca nello scopo di allontanarlo da Emilie che invece appare subito più rilassata - il primo articolo che scriverai, potrei dedicarlo proprio a Smith. Una volta credo di averlo visto con una donna che non era sua moglie - sarebbe una notizia che potrebbe distruggerlo, una notizia che possa fargli intuire il tipo di potere che avrebbe mia sorella e sarebbe soprattutto una cosa vera - oh, lo so -certo che lo sa, Emilie ha sempre avuto un ottimo spirito di osservazione, fare la giornalista è perfetto per lei - aspetto soltanto il momento che qualcuno qua dentro decida di fare qualcosa di stupido. Poi vedrai - adesso il sorriso che mi rivolge è decisamente più sincero e permette anche a me di rilassarmi, anche se solo per una frazione di secondo: quando alzo lo sguardo noto mia nonna parlare con Daphne. Se le intenzioni di mio nonno sono sempre chiare e facilmente intuibili, quelle di mia nonna restano spesso un mistero. Ha sempre agito silenziosamente, dietro le quinte la sua voce non si sente ma le sue decisioni sono sempre presenti. Ho opinioni contrastanti nei suoi riguardi e soprattutto adesso che si rivolge a Daphne, sono più attento che mai. Sembra che sia troppo tardi, hanno già concluso la conversazione in tempo per quello che dovrebbe essere l'evento principale della serata ossia le famose parole che mio nonno avrebbe scritto in onore di mio padre. Già da quando le luci e la musica si fanno più flebili, il mio intero corpo si irrigidisce concentrando le forze solo su quell'uomo e su quello che gli uscirà di bocca. Non mi piace non essere preparato, non mi piace non sapere cosa aspettarmi. Ipotesi rapide si accavallano nella mia mente , ipotesi su ciò che potrebbe dire dopo quegli inutili convenevoli. Nessuno di loro qui dentro conosce davvero la persona che sono venuti a commemorare, nessuno di loro era davvero suo amico. Nessuno di loro conosce davvero le sue capacità, la sua intelligenza, la sua sensibilità. La sua sensibilità... su quella parola sia io che Emilie ci voltiamo a guardarci entrambi stupiti ed increduli di fronte a quella parola, perché pronunciata dalla sua bocca ha sempre avuto un altro significato. Gliel'ha sempre fatta pesare come una debolezza, quella debolezza che non gli ha permesso di riconoscere il pericolo che tutte le sere dormiva nel suo stesso letto, quella debolezza che è diventata la causa della sua morte. Irrigidisco la mascella, sia per la poca credibilità delle parole che sto ascoltando che per il fatto che in fondo, in tutta sincerità, anche io incolpo la sua sensibilità per averlo ucciso. Sento poi la mano di mia sorella stringersi intorno al mio braccio quando vengono fatti i nostri nomi, anche questa volta siamo costretti a fare un passo indietro di fronte a questo colpo basso, a calare la testa e a tacere. Che altro potremmo fare in una situazione simile? Urlare, opporci, ci metterebbe in una posizione troppo scomoda per adesso. Abbiamo resistito per tanto tempo, dobbiamo fare l'ultimo sforzo fino a quando entrambi non saremo del tutto indipendenti, liberi. Si parla di scelte che non è stato lui a fare, ma che gli sono state imposte. Si parla di una fine poi, che non è la sua. Cosa? Ho sentito bene, vero? Riesco a vedere il pattern adesso, riesco a vedere quello che sta cercando di fare: vuole farlo apparire come un eroe, un martire morto per la giusta causa, perché era troppo fedele al suo ruolo da auror. Cosa? Mio padre si è suicidato. Si è tolto la vita per il senso di colpa. Si è tolto la vita per la sua sensibilità e la sua famiglia se ne vergogna. Ha fatto una morte indegna, vero? Una morte disonorevole, da codardo, una macchia sul curriculum impeccabile dei Moore, non è così? Vaffanculo, tutta questa falsità mi fa venire la nausea. Tutte queste voci che ripetono A Christopher, a Cristopher, solo perché pensano che equiparabile ad un eroe di battaglia. Cosa direbbero davvero se sapessero la verità? Se lo vedessero come l'ho visto io? Fuori di senno, non in se, morto ancora prima che si colpisse con la sua stessa bacchetta. Quanto è davvero difficile per loro ricordare questo Cristopher? Nessuno lo vede, nessuno riesce a vederlo?! Indietreggio di un passo, mi fa male la testa - ho bisogno di andarmene - e non so se con quel minimo di coscienza che mi rimane riesco a rassicurare mia sorella, se riesco a nascondere questa nausea. La stanza sta collassando su se stessa, la sento, sento la pressione delle pareti addosso e l'ossigeno che sta finendo. Per questo mi dirigo verso la porta della sala come se fosse la terra promessa, come se fosse l'unica cosa che adesso può salvarmi. È aperta, è sempre aperta, pochi metri, solo pochi metri. Quindi se ne vergognano, si vergognano di lui e di quello che ha fatto. Perché.
    Perché lo punite anche voi? Faccio fatica a dormire la notte, perché io stesso non riesco a perdonarlo e me ne faccio una colpa. I genitori non dovrebbero amare i propri figli? Proteggerli? Perché stanno celebrando un Cristopher che non esiste?
    È follia. È follia.
    Cazzo,
    mi sembra che le scale siano le spire di un serpente che prova a stritolarmi fino a che di me non resta più niente. Salgo con fatica aggrappandomi al corrimano con respiro affannoso, mi allontano ma sento ancora le loro voci rimbombarmi in testa come se mi stessero sussurrando nelle orecchie. Questo vestito di merda, questo evento del cazzo, quelle persone che odio. Mi mordo le labbra con forza riuscendo quasi a sentire il sapore ferroso del sangue e c'è solo una cosa che adesso può aiutarmi. È qua, da qualche parte, dentro le tasche della giacca. Dove, dove sono. Sapevo che avrei dovuto portarle. Se Daphne non c'è... no, lei non deve vedermi così. Eccole, antidepressivi, tranquillanti. Sembrano così difficili da mandare giù e così difficili da distinguere. Cazzo, la cravatta mi si stringe intorno al collo come se fosse un cappio, mi sento soffocare, boccheggio, ho bisogno di sedermi. Qua, nel corridoio - cazzo, cazzo. Merda - le mani, mi tremano, non riesco a fare nemmeno questo, non riesco nemmeno a prendere le mie pillole, non ho le mani ferme e mi cadono per terra. Non le distinguo ancora è come se la mia vista fosse annebbiata. Allora cosa faccio? Che devo fare?
    Fanculo
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    Le mando giù tutte e tre insieme, faticano a scendere perché ho la gola secca, ma andranno giù. Se andranno giù mi calmerò - cazzo - un pugno sulla parete è l'unico modo che trovo per sfogarmi. Lo faccio sempre, prendo sempre le pasticche quando sto male, passa sempre, sono la cura, passerà. Le prendo sempre, ho preso roba più forte, non so nemmeno se queste basteranno. Cazzo, passerà. La mia testa. È così che ci si sente quando ti fanno una lobotomia? Un ringhio, una specie di verso guttorale di dolore mi esce di bocca. Me la tappo, immediatamente, nella speranza che nessuno mi trovi. No, mi devo spostare. Provo. Provo a rimettermi in piedi, con le spalle curve, la giacca che tengo in una mano striscia per terra. Non mi devono vedere, si vergogneranno anche di me come si sono vergognati di lui - ...non era un eroe... - non era un eroe, porca puttana, era una persona debole. Era solo una persona debole, è un peccato questo? È sbagliato? Respiro a bocca aperta, come un cane che cerca disperatamente un goccio d'acqua per bagnarsi la gola, arida come il deserto. Il bagno è davanti a me, mi lancio pesantemente sulla maniglia argentata, spalanco la porta, mi lancio verso il lavandino e l'acqua fredda inizia a bagnarmi il viso, la gola, la camicia. Sembrano aghi, anche questa sembra fatta di aghi, anche questa non mi da sollievo. Le pillole stanno facendo effetto? Di solito fanno effetto, di solito sì ora però non lo capisco. Ho la vista annebbiata. Perché cazzo non funziona niente? Tossisco, prendo a pugni il lavandino accanto a cui mi accascio senza speranze. Posso fare solo questo, so fare solo questo? Davvero. Voglio che smetta. Fatelo smettere.


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    " Mi piace che tu non ne abbia." A quelle parole sorrise e scosse leggermente la testa trattenendo, a stento, l'impulso di baciarlo di nuovo perché, come gli aveva detto, quando c'era di mezzo lui non aveva un minimo di controllo. Per l'educazione le era stata impartita, non si sarebbe mai sognata di baciare un ragazzo in quel modo durante un evento formale, figuriamoci davanti alla sua famiglia ma, se lo aveva fatto, c'era una sola spiegazione possibile: i sentimenti che provava per lui, per Hunter, erano così forti da prevalere sulla ragione. Quella consapevolezza l'aveva spinta ad allontanarsi, a riprendere fiato, perché le vecchie abitudini erano dure a morire e l'istinto di fuggire lontano era ancora lì, però Daphne sapeva quanto controproducente potesse essere; ci aveva già provato una volta con scarsi risultati. Le era mancato così tanto che le faceva fisicamente male averlo lontano, e adesso che erano così uniti, il solo pensiero di non poterlo toccare, baciare o sfiorare le causava una spiacevole sensazione all'altezza dello stomaco. Per lei, averlo vicino, era diventata una necessità. Ma in quel momento aveva bisogno di stare un attimo da sola, così Hunter aveva raggiunto la sorella e lei, invece, si era trovata inaspettatamente a fare conversazione con la padrona di casa. Era una donna distinta e di classe, dal portamento elegante e dai modi di fare apparentemente affabili. Dietro le sue parole c'era dell'altro, Daphne lo intuì immediatamente, però il mondo in cui si trovavano adesso era anche il suo quindi non esitò nel risponderle a tono, soprattutto quando definì il suo ragazzo particolare. Quel termine non le piacque così la corresse educatamente. Era iperprotettiva nei confronti Hunter, forse anche troppo, ma era un vizio di famiglia quello di voler proteggere da tutto e tutti la persona amata; non a caso, sua nonna aveva finito per mandare all'ospedale il fratello del marito il quale, durante una discussione molto accesa, lo aveva schiantato. E non solo, aveva fatto lo stesso con una sua vecchia fiamma quando questa, a distanza di anni, aveva cercato di portarglielo via. Ginevra non l'aveva presa per niente bene perché nonostante, il loro, fosse stato un matrimonio combinato, alla fine, si era davvero innamorata di Leonard. Somigliava molto a sua nonna sotto quest'aspetto e, se necessario, non avrebbe esitato a fare lo stesso. «Ho capito perfettamente cosa vuole dirmi Signora Moore ma stia tranquilla, come le ho accennato poco fa, non avrò problemi.» Sorrise cordiale e si spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio con fare elegante. Poteva sembrare presuntuosa ma ciò che aveva detto era la pura e semplice verità. L'ostacolo peggiore che avrebbero dovuto affrontare non era Lawrence Moore, bensì sua madre, perché per quanto odioso potesse essere il padrone di casa non era un assassino, era un ex auror e, in quanto tale, aveva un preciso codice morale da rispettare. Era più saggio temere la donna che aveva davanti, qualcosa le diceva che era meglio averla come alleata che come nemica, soprattutto se, in futuro, le cose tra lei e il nipote si fossero fatte più serie, il che, visto il legame che li univa, era quasi scontato. «La farò.» La guardò diritto negli occhi, era decisa a farsi strada, se necessario, in quella famiglia perché aveva un motivo più che valido: il suo Hunter. «La ringrazio e spero di rivederla presto.» Accettò il calice che le porse e bevve un sorso non appena la donna si voltò, non avrebbe brindato in onore di Christopher perché lei, quella sera, era lì solo per una persona e, quel gesto, sarebbe stato come una pugnalata alle spalle. Così, mentre il capofamiglia si apprestava a iniziare il suo discorso, Daphne finì il contenuto del suo bicchiere e lo posò sul vassoio vuoto trasportato da un cameriere di passaggio. Si guardò intorno alla ricerca di un paio di malinconici occhi verdi che non riuscì a scorgere a causa degli invitati che, di volta in volta, andarono a raggiungere il centro della sala, proprio dov'era lei. Si fece largo tra la folla, aveva urgente bisogno di trovare Hunter e stargli accanto, non sapeva perché, ma il suo istinto le diceva che, se non lo avesse raggiunto in tempo, qualcosa di brutto sarebbe successo. Chiese a quegli estrani di farla passare e ignorò le occhiatacce che alcuni di loro le riservarono, non gliene poteva fregar di meno del loro giudizio, aveva altre priorità al momento. Aumentò il passo, il cuore le martellava nel petto, era preoccupata per Hunter, non lo vedeva, dov'era? Era uscito? Era in stanza, in bagno, con la sorella, da solo? Forbannelse! Hvor er du kjærlighet? Era così agitata che adesso si metteva a pensare in norvegese. Quella gente doveva togliersi da mezzo, se gli accadeva qualcosa... «Hunter!» Quasi lo urlò, il suo nome, quando lo vide uscire dalla sala, non stava bene. Per niente. Spinse via una ragazza che gli bloccava il passaggio e, con tutti i tacchi a spillo, corse fuori dalla sala sperando non fosse andato troppo lontano. Si diresse verso destra, da dov'erano venuti ma non era lì, allora dove? Dove devo cercare? Dove!? Le stava salendo il panico, ma non poteva permettere all'ansia di avere la meglio, doveva rimanere calma, almeno lei. Prese aria e andò nella direzione opposta, a sinistra ed era lì, di spalle, al piano superiore. Senza perdere altro tempo, salì le scale ma, ancora, era sparito. Decisa nel trovarlo, si tolse le scarpe e camminò scalza nel lungo corridoio aprendo la porta di una, due, tre stanze e avrebbe continuato finché i suoi occhi azzurri non avrebbero incrociato quelli verdi del suo ragazzo e, quando accade, si sentì mancare la terra sotto i piedi. Hunter, il suo Hunter, era accasciato al suolo con il corpo reclinato verso il lavandino, la ceramica non era interamente bianca, c'erano delle macchie di sangue. Perché? Il suo sguardo andò a posarsi sulle mani che tanto amava, adesso martoriate dalle ferite che si era inferto prendendo a pugni l'oggetto su quale si poggiava. Perché? Intorno a lui, sparse in giro, c'erano delle pillole. Perché? Per lunghi, interminabili istanti, Daphne non si mosse, quasi non respirava, non capiva cosa stava succedendo e nella sua mente risuonava solo una parola: perché. Poi sentì la sua voce spezzata, piena di dolore, e fu quasi come un richiamo da quello stato di trance in cui era caduta. Gettò via le scarpe, si inginocchiò accanto a lui e gli prese delicatamente il viso tra le mani per poggiarlo sul petto, mentre, lenta, gli accarezzava dolcemente i capelli alla base della nuca. Gli cinse le spalle con un braccio, lo strinse forte a sé e gli diede un bacio sul capo cecando, a stento, di trattenere le lacrime. Non posso e non devo piangere. «Sono qui.» Un altro delicato bacio. «Sono qui» Lo cullò tra le sue braccia, poggiando il mento sulla sua testa e chiudendo gli occhi, Poi una lacrima scese, due, tre e non le fermò, non ci riuscì, era troppo scossa. Cosa sono queste pillole? Perché le hai prese? Che dolore hai dentro? Chi o cosa ne è la causa? Erano troppe le domande, e poche le risposte, ma adesso non le voleva neanche, voleva soltanto che Hunter stesse bene. Con un debole scrocchio di dita chiamò un elfo domestico, non lo guardò neanche in faccia, non voleva perdere di vista il ragazzo che aveva tra le braccia nemmeno per un istante. «Portami qualcosa per curare queste ferite.» Apatica e fredda diede il suo ordine. L'elfo tornò poco dopo con quello che aveva chiesto e sparì, a quel punto Daphne allungò un braccio e prese l'unguento, svitò il tappo del barattolo e ne prelevò una piccola quantità. Sollevò da terra la mano destra di Hunter e glielo spalmò lentamente sulle nocche ferite, fece lo stesso con la sinistra e poi lo se ne disfò, non le serviva più. Prese la bacchetta e con un Ferula fasciò il tutto. I suoi erano movimenti meccanici dettati dall' abitudine, perché quando sentiva troppo si staccava dal suo lato emotivo ma poi tornò a stringerlo, posò le labbra sulla sua fronte e gli accarezzò la guancia con le dita, la pelle era liscia e calda. Le emozioni la travolsero. «Hunter, amore, andrà tutto bene, okay?» Aveva detto ad alta voce quella parola perché Daphne Andersen si stava perdutamente innamorando di Hunter Moore e voleva proteggerlo da chiunque avesse provato a fargli del male e, tra queste persone, c'erano anche i suoi nonni, perché era colpa loro se stava così.
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    Devo portarlo via da questo bagno. Respirò il suo profumo dalle note legnose per rilassarsi, anche se di poco, e poi si smaterializzò sul letto della stanza dov'erano stati quando era arrivata in questa casa. Ci sono riuscita, per fortuna. Prese di nuovo la bacchetta e con un Aguamenti si bagnò le mani per passarle dolcemente sul viso e sul collo del corvonero per dargli un po' di sollievo prima di sbottonargli la camicia e far scorrere le dita fredde sul torace. «Torna da me, ho bisogno che torni da me. Parlami.» Dove sei con la mente? Dove sei andato? Dove vai? Se c'era solo oscurità nel luogo in cui era, se era solo o perso, lo avrebbe raggiunto, sempre e comunque, non aveva paura, perché le tenebre erano anche parte di lei.



    Edited by Daphne. - 28/6/2023, 08:30
     
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    Negli anni ho costruito la mia personalità, la mia seconda personalità: la prima non andava bene, non sempre almeno, era troppo imprevedibile, troppo influenzabile dai fattori esterni. Perchè mi bastava poco per cambiare prospettiva, per riconsiderare tutto. Ho ancora dei dubbi su ciò che faccio o ciò che dico, ma mi sono tolto il vizio di mostrarlo. Però qualcosa sembra non cambiare mai, qualcosa che finora ho negato, una fragilità che non ho voluto affrontare e che ho sempre negato. Ecco il risultato: è bastato un soffio per far crollare questa sottospecie di castello di carte che mi ero costruito a tutela della mia persona ed è stato così improvviso da confondere persino me stesso. Adesso non so come comportarmi, non so come reagire, riesco solo a pensare alla soluzione provvisoria che conosco meglio ovvero le pillole nella mia tasca. So che è tutto un inganno, è come vedere una luce in fondo al tunnel che pensi sia l'uscita e invece è solo una luce artificiale che rischiara lo spazio. Non puoi continuare a vivere per sempre dentro al tunnel accontentandoti della luce artificiale, l'ossigeno prima o poi finisce. Qualcuno mi aveva detto qualcosa del genere, anche se non riesco a ricordarmi chi era. Non sono io ad aver pronunciato queste parole, ne sono sicuro, ma non riesco a ricordarmi nè il volto nè la voce della persona che me le ha dette. Non riesco a visualizzare nulla se non uno strano buio soffocante. Ogni tanto riesco a intravedere le nocche insaguinate delle mie mani chiuse in un pugno stretto e tremante. Fa freddo ma in realtà riesco a sentire che la mia fronte è imperlata di sudore, la gola è secca e una morsa al petto non mi permette di respirare bene. Conosco questa sensazione, è familiare ma nonostante questo non mi abituo mai. Ho incolpato mio padre dal primo momento per ciò che ha fatto, per aver ceduto nonostante avesse ancora me ad Emelie al suo fianco, dal primo istante ho desiderato che fosse davvero morto per mano di qualcun altro, lo avrei preferito. Tutto tornava, si stava comportando in maniera troppo strana negli ultimi tempi, era sconnesso dalla realtà, dimenticava le cose mentre la sua memoria è sempre stato il suo punto forte. Non sorrideva più, non dormiva più, stava notti intere nel suo ufficio a fissare il vuoto. Chiunque peserebbe che la fine che ha fatto abbia perfettamente senso: è impazzito e si è tolto la vita. No, qualcosa non torna. Non sono mai riuscito a capirlo, non me lo spiego.
    Che posso fare adesso? Solo aspettare che le pillole entrino in circolo e risolvano la situazione. Ho bisogno che funzioni. Deve funzionare. Affido a loro la mia stessa sanità mentale, come mi sono ridotto in questo stato? Risucchiato in questa sorta di buco nero, per quanto ci starò ancora?
    Tutto sembra ovattato, distorto, lontano, esterno. Persino io sembro esterno a me stesso, fuori di me mi guardo con pietà. Quando la sento, quando sento la sua voce, non capisco se sia reale o se si tratta solo di uno scherzo della mia mente
    - no...non... - se è vero, se lei è qui, non voglio che mi veda in questo stato. Lei non deve vedermi così. Non voglio che mi veda così. Mi sono ripromesso di lavorarci, di venirne a capo magari senza che lei se ne accorgesse. Cosa starà pensando di me? Sta... sta piangendo? Non ne ho la certezza, quando poggio la testa sul suo petto sento il cuore batterle, mi sembra amche di sentirla tremare leggermente. È qui, mi cura le ferite, mi chiama... mi chiama amore... - Daphne... - ci riesce sempre. Come fa? Come fa con la sua sola presenza a monopolizzare la mia attenzione? Tutti i miei sensi si concentrano su di lei, è come se lavorassero insieme per darle tutte le attenzioni che è giusto darle. Il tatto, cerco le sue braccia con le mani come a volermi impedire disperatamente che sparisca. Sento il profumo della sua pelle, la sua voce mi rimbomba nelle orecchie. È qui. È lei, è davvero lei. Ma nonostante questo, sono io che fatico ad essere presente. Non so più se la colpa sia dell'ansia o delle pillole.
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    «Torna da me, ho bisogno che torni da me. Parlami.» è come la voce di una sirena, una di quelle voce a cui fai fatica a sottrarti. Faccio fatica ad alzare lo sguardo su di lei e quando lo faccio, l'espressione sul suo volto mi fa male. Mi fa male vederla così. E riesco a sentire gli occhi farsi pesanti, un magone alla gola stringersi come fosse una morsa violenta. Vorrei dirti tante cose, Daphne. Vorrei tornare indietro, tornare a prima di arrivare in questa maledetta casa e spiegarti tutto, spiegarti cos'ha che non va la mia famiglia, perché ci troviamo qui, cosa mi passa per la testa, vorrei tanto che lo sapessi. Non so perché sia così difficile. C'è confusione nella mia testa, una confusione che mi impedisce di fare le cose per bene, una confusione che mi prosciuga le energie. Egoisticamente presso le mie labbra contro quelle della serpeverde un po' salate dalle lacrime, forse nella speranza di poter recuperare da lei un po' di forza - Daphne - ogni parola sembra difficile da pronunciare, suona sbagliata, senza una reale connessione logica. È tutto un cazzo di casino. Gli occhi si fanno umidi e il fatto che stia scuotendo la testa, è collegato ad un senso di rifiuto: rifiuto quello che ha detto mio nonno, rifiuto la morte di mio padre e al momento, rifiuto anche me stesso - io... ti ho mentito. Non ti ho detto tutto - mancano dei pezzi, importanti, su di me - ho un sacco di problemi. Devo prendere quella merda per stare meglio, è... - sembro un disperato, un drogato del cazzo mentre provo a giustificarmi. - ...è la sola soluzione che conosco, io... le pillole.- dove sono? Inizio a cercarle con lo sguardo, frenetico, come fossero un prova da far sparire - Non possono stare sul pavimento, non voglio che loro le vedano. Lo sapranno, conosceranno le mie debolezze - la testa. Una forte fitta alla testa mi costringe a sorreggermela, mi fa accartocciare il viso in un'espressione di dolore mentre fra una scossa e l'altra, provo a parlare con lei - ascolta, quello che dice mio nonno sono cazzate. Io non lo accetto, non accetto che menta, non su mio padre, cazzo! - non ho il controllo sul tono della mia voce nè sul magone che continuo a sentire stringermi la gola. Vorrei che mi capissi, ma non so come spiegarmi. Vorrei arrivare a te e invece non riesco neanche a stringere la tua mano come si deve. Mi scivola via. Ma te lo giuro, sto facendo il possibile per farti entrare.



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    Il dolore è qualcosa di personale e ogni persona lo esprime in modo diverso: c'è chi piange, urla e prende a pugni il muro, chi si isola dal mondo per riflettere e guarire col tempo, chi beve per dimenticare, chi fa finta di niente, chi dice di stare bene mentre dentro muore. Ognuna di queste forme è la manifestazione di un sentimento che ti logora l'anima e ti toglie l'aria dai polmoni, che ti paralizza, ti soffoca, ti lacera. Le cause che lo provocano sono tante, ma la peggiore è quella della perdita. Quando perdi qualcuno che hai amato sapendo che i tuoi occhi non incroceranno mai più i suoi, che il suo profumo lentamente sparirà e che, col tempo, il suo ricordo inizierà a svanire, sei svuotato di tutte le emozioni che ti rendono umano e diventi una bambola di porcellana, un automa che si muove per inerzia, per abitudine e questo fa paura. Tremendamente paura. Era così che Daphne aveva reagito alla morte di sua nonna, chiudendosi a riccio e ghiacciando un cuore che, ormai, non aveva più le forze di provare niente, voleva solo essere lasciata in pace. Il forte trauma le aveva reso il volto inespressivo e la ragione era un disturbo psicologico noto come malattia della bambola, qualcosa che non avrebbe mai più voluto provare perché, come uno spettatore esterno, vedeva la vita scorrerle davanti agli occhi ricordando emozioni che era solita provare, ma che non riusciva più davvero a sentire. Hunter, invece, le provava eccome, le emozioni, solo che si era sforzato di reprimerle e adesso erano esplose con una violenza inaudita, cogliendolo alla sprovvista e il tormento che, da sempre, aveva visto nei suoi occhi adesso era lì, davanti a lei, e per un attimo non seppe che fare, né cosa dire per dargli conforto. Poi era corsa da lui e lo aveva stretto forte contro il suo petto, ma non era abbastanza, così, quando pronunciò debolmente il suo nome, si fece ancora più vicina. «Sono qui.» Chiuse gli occhi e gli diede un bacio sulla fronte, portandolo via da quel freddo bagno e smaterializzandosi sul letto della loro camera, lontano da quell'evento e da quelle persone che lo avevano ferito. Non riuscì a trattenere le lacrime, quel dolore era così forte che lo sentiva anche lei, le faceva male vederlo così.
    Le dita fredde poggiate sul suo torace risalirono lente verso la sua guancia, che sfiorarono e accarezzarono dolcemente, mentre le lacrime scesero corpose quando i suoi occhi spenti, privi del loro calore, si posarono su di lei. Che ti è successo? Perché stai così? Perché non mi parli? Scosse leggermente la testa e gli prese il viso tra le mani avvicinandolo al suo, le fronti si toccarono e i respiri si unirono. Era così vicino, eppure, Daphne, lo sentiva lontano perché una parte di lui le mancava, non sapeva niente del suo tormento, del suo dolore, della sua rabbia. Perché aveva preso a pugni il lavandino? A cosa servivano quelle pillole? Che aveva detto suo nonno per farlo fuggire via? Mi sembra di impazzire. Poi sentì le sue labbra sulle sue e le schiuse, invitandolo a fare lo stesso con la punta della lingua che poi incontrò la sua, in un bacio che sapeva di lacrime e tormento. Gli cinse le spalle con un braccio, una mano tra i capelli e lo baciò con foga, con disperazione, senza risparmiarsi nell'assaporalo profondamente, più di quanto non avesse mai fatto, perché quel muro invisibile che c'era tra loro e che non riusciva ad abbattere li allontanava, e lei non voleva questo. Voleva essergli vicina sotto ogni aspetto, in maniera quasi totale, ed era un pensiero pericoloso, il suo. Certi confini non dovrebbero mai essere varcati, ma Daphne lo stava già facendo e, ormai, era tardi per tornare indietro. Si staccò gradualmente, spostandogli una ciocca di capelli dietro l'orecchio e sorridendo debolmente. Era da tempo che non era così sconvolta, preoccupata e in pensiero per una persona. «Dimmi.» Gli diede un bacio sulla guancia e lo guardò addolcendo i lineamenti per fargli capire che andava tutto bene. Poteva dirle tutto, poteva fidarsi. Non gli avrebbe mai fatto del male, non intenzionalmente almeno, perché tutto quello che voleva era proteggerlo. «Hunter» Parlò con voce dolce, rassicurante. «non mi hai mentito, semplicemente non eri pronto a condividere quelle cose con me. » Lo vedeva, lo sforzo che stava facendo per aprirsi, per farle capire quali pensieri tormentavano la sua mente, ma non era il momento. Era troppo vulnerabile, troppo esposto, una
    parola sbagliata e sarebbe andato via di nuovo, lo avrebbe perso. Il suo ragazzo era molto più sensibile di quanto apparisse, però, quella sensibilità, era celata dietro un'apatia che pochi riuscivano ad oltrepassare; il suo mondo, la sua vera essenza, erano ben protette e solo adesso, Daphne, era riuscita per davvero a vederle. A vedere Hunter sotto ogni suo aspetto. " Non possono stare sul pavimento, non voglio che loro le vedano. Lo sapranno, conosceranno le mie debolezze." Cominciò a guardarsi attorno frenetico e poi chiuse gli occhi in preda al dolore. Cosa poteva fare per farlo stare meglio? Cosa? «Amore» Non esitò nel chiamarlo ancora così, neanche si chiese perché lo avesse fatto, il motivo lo sapeva già e le andava bene così. «guardami.» Gli poggiò una mano sulla guancia e lo fece voltare lentamente verso di lei. «Non sapranno niente.» Il modo in cui lo disse e gli occhi freddi e calcolatori erano quelli di sua madre, in lei c'era un lato oscuro che, a volte, inevitabilmente usciva. Per molto tempo aveva avuto paura delle tenebre, delle sue tenebre, ma adesso era pronta ad accoglierle. Convocò l'elfo che le aveva portato l'unguento poco fa e guardò impassibile, mentre, dolcemente, abbracciava Hunter e gli accarezzava i capelli. «Gentilmente torna in quel bagno e fa sparire le pillole sul pavimento. Non una parola con nessuno. Se qualcuno viene a sapere di questa storia » Strinse il suo ragazzo ancora più forte. «te ne pentirai amaramente.» Avrebbe fatto in modo di spedirlo all'altro mondo nel peggiore dei modi, se necessario. Era crudele se facevano del male alle persone che amava e la vendetta, in quei casi, non era un'opzione. Glaciale, gli fece cenno di andare via, prese aria e tornò la Daphne di sempre. Un altro bacio sulla guancia, un'altra carezza e un ultimo sorriso prima che Hunter alzasse la voce, inveendo contro suo nonno e le cazzate che aveva detto sulla morte di suo padre. Evelyn Moore non aveva mentito: in quella famiglia c'era oscurità, persone che tramavano nell'ombra, dolore, sofferenza. E tutto sembrava essere iniziato un anno fa. «Bugie? Quali bugie?» Era tutto così dannatamente complicato, il suo ragazzo lo era, per questo aveva bisogno di capire e di rimettere insieme i pezzi di un puzzle scomposto per avere un quadro completo della situazione. Nel mentre, poggiò la fronte contro la sua, in attesa. Cosa sai?

     
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    Non sono uno che piange spesso, non lo sono mai stato. Non ho pianto nemmeno quelle volte che cadendo dalla bici mi sono sbucciato il negozio, tutto per imparare ad andarci senza rotelle. Quando un bambino si famale o viene ferito, i grandi accorrono preoccupati, lo raggiungono e si accertano di come stia. Io rientro in quel gruppo di bambini fortunati che ha avuto proprio questo trattamento, che si sono sentiti speciali, protetti ed era forse per questo che invece di mettermi a piangere, mi guardavo intorno smarrito come se per un istante il mio cervello avesse smesso di funzionare. Poi mi tiravo su, sciacquavo le ferite e riprendevo a fare quello che dovevo.
    Non sono più un bambino e non sono più nemmeno speciale o protetto dai miei genitori, perchè evidentemente la vita ha scelto diversamente. Il mio modo di rispondere al dolore psicologico, mentale o emotivo che fosse, non sembrava poi essere tanto diverso: quando mia madre è stata chiusa ad Azkaban perchè a quanto pare nascondeva una seconda vita, ho provato confusione, smarrimento, ho scocco la testa e mi sono rialzato. Anche quella volta il mio cervello sembrò spegnersi, probabilmente si rifiutava di elaborare la cosa, chissà, magari lo avrebbe fatto con il tempo o non lo avrebbe fatto mai, o magari sarei stato io ad impedirglielo perchè la mia volontà di non capire era più forte del dolore. Cominciai allora a vedere quelle crepe in me stesso, piccole sì, ma troppo evidenti ai miei occhi. Ne diventai consapevole e, sempre consapevolmente, decisi di non dargli troppo peso. Prima il basso, poi Whisky...crescendo, qualche pillola per gestire l'ansia... tutti riempitivi, erano un po' come quando metti la carta da parati sulle pareti per non far vedere quanto si sanno rovinando. Poi arrivò la morte di mio padre e ancora una volta il mio cervello rispose allo stesso identico modo. Me ne stavo ai piedi della sua bara come se quello lì dentro non fosse il suo corpo, come se la cosa non mi riguardasse, come se fossi capitato lì per sbaglio e fossi soltanto confuso sul mio ruolo. Non una sola lacrima, non una maledettissima lacrima a rigarmi il volto. "Com'è maturo" , prestando un po' di attenzione si riusciva ad udire questa frase ripetuta più volte, fra un singhiozzo e l'altro, una parola di rammarico e la successiva. A fine giornata ero stremato, appesantito, tutto quello che volevo fare era dormire. E ci riuscì, riuscì a dormire. Non è strano? Tuo padre è appena morto e tu invece di passare la notte a piangere dal dolore, dormi, profondamente. Guardandomi allo specchio la mattina dopo, notai che anche quella carta da parati che avevo messo iniziava a non bastare più per coprire le crepe. Io le vedevo, le sentivo, fin troppo bene. Allora le sigarette aumentarono, l'erba, le pillole. Tutto aumento, andava bene finchè mi permetteva di nascondere le crepe. Non agli occhi degli altri, quella era la parte più facile, era ai miei occhi che volevo nasconderle.
    Oggi è come se nella mia testa fosse scattato quell'interruttore che per anni è rimasto spento, come se il mio cervello avesse improvvisamente scelto di non ignorare più. Sento una morsa, al petto, alla gola, sento il sale delle lacrime sulla lingua. Non so se siano le mie, se siano quelle di Daphne, non vorrei che fossero le sue, non vorrei vederla piangere. Mi scuote con quel contatto, con un bacio diverso da qualunque altro abbia mai dato. Ora lei è il mio specchio, quello che vede tutto ciò che di rotto c'è in me. Scuoto la testa in segno di chiaro rifiuto di tutto ciò che sta accadendo, di quello che sto mostrando. Non ho le capacità di farle un discorso più compiuto di questo, non ho la forza di mettere insieme più di queste poche parole sconnesse che più tardi mi vergognerà di aver detto.
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    «Amore» ed è come se quello fosse un comando. Una formula di qualche incantesimo che mi costringe a fissare lo sguardo nel suo. Mi stringo nelle sue braccia, la sua pelle è calda al contrario della mia, o almeno penso. Mi sembra di tremare, sento freddo eppure la fronte continua ad essere umida per via del sudore. Non mi abituo mai a questo genere di sensazione contrastante. Pensa a tutto lei, la sento parlare con l'elfo domestico modulando la voce in un modo che non avevo mai sentito prima. Mi sembra così autorevole, così sicura di ciò che deve fare, è così tanto diverso da come mi sento io. Così tanto che non capisco se sia giusto, per me, per lei, se sia giusto averla portata qui oggi - loro hanno mentito su di lui - e lei lo deve sapere, non deve fidarsi, non deve fidarsi mai. Perchè è così difficile dirlo? - la sua debolezza... la debolezza di mio padre l'ha ucciso - scuoto la testa, stringo le labbra increspandole e prendo a grattarmi nervosamente il braccio come a volermi ripulire delle menzogne che mi stanno infettando - Daphne, mio padre non era un eroe. Era solo un uomo che soffriva troppo - lo sento di nuovo, quel magone. Gli occhi farsi pesanti e caldi per le lacrime che li riempiono. Sto davvero piangendo adesso? Oppongo resistenza ma ormai sembra già troppo tardi per poterlo fare - non è stato capace di sopportarlo. Amava mia madre - è come se ci stessi girando intorno. No, ci sto girando intorno sul serio. Sto girando intorno alla verità che non riesco ad ammettere. - Lui l'amava ma non poteva giustificare le use azioni... ha fatto la cosa giusta, ma alla fine - sono solo informazioni vaghe quelle che riesco a buttare fuori. Non voglio che lei ricordi tutto questo. No, non è perchè non mi fido, non voglio farle carico di tutto questo - lui si è ucciso - la mia bocca parla ancor prima che io riesca a pensare a ciò che dico. Mi porto una mano alla fronte, maledicendo la mia cazzo di testa per quello che sta facendo. Non volevo, non... io non volevo che... non volevo darle questo peso.
    Sento qualcosa. Sento come una vibrazione strana, un collegamento, è come se sentissi il mio respiro amplificato dentro le orecchie. No, aspetta, non è il mio respiro. Questo è il respiro di Daphne. Ancora una volta sembra che il mio cervello non voglia rinunciare ai sui meccanismi di difesa, sembra che non voglia esporsi. sembra che voglia eliminare l'errore che ha appena fatto: confessare il suicidio di mio padre alla ragazza che amo.



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    Quando lo vide scuotere la testa in senso di diniego per tutto quello che stava facendo, Daphne gli prese il viso tra le mani e poggiò delicatamente le labbra sulla sua fronte, baciandola, gli circondò le spalle con un braccio e lo attirò a sé, stringendolo talmente forte che il seno schiacciato contro il suo petto nudo le fece quasi male. Lo cullò, gli accarezzò i capelli alla base della nuca con le dita e gli baciò il collo, la guancia, la tempia. Hunter aveva abbassato tutte le difese, le aveva mostrato le sue ferite e Daphne, che sapeva quanto fosse difficile rendersi vulnerabili, voleva proteggerlo da chiunque potesse fargli del male perché quel ragazzo era speciale. Forse, la scelta migliore, sarebbe stata quella di lasciarlo andare, con lei non era al sicuro ma non ci sarebbe mai riuscita, era troppo coinvolta, troppo innamorata. Già, sono innamorata di Hunter. Un sentimento che non avrebbe mai pensato di poter provare; era stata messa al mondo per dovere, non per amore, non aveva mai ricevuto l'affetto dei genitori e l'unica persona che le voleva bene era stata uccisa da sua madre insieme a suo fratello. Tutti coloro che aveva amato le erano stati portati via da quella donna, da quel diavolo, anche suo padre. E se avesse fatto lo stesso con lui? Con Hunter? L'ammazzo. Il suo viso di congelò in un'espressione di morte, il cuore cominciò a battere più lentamente e gli occhi, solitamente di un azzurro chiaro, divennero di ghiaccio. Non le avrebbe mai più permesso di fare del male alle persone che amava, e lei amava Hunter, quindi, se necessario, avrebbe abbracciato le tenebre che, per molto tempo, aveva cercato di sopprimere. Ginevra, una volta, le aveva detto che le donne della famiglia Blackwood erano pericolose se sentivano troppo, per questo erano educate al controllo fin dalla nascita: per tenere a bada la loro oscurità. Soltanto adesso capiva cosa volesse davvero dire sua nonna, adesso che vedeva il dolore del suo ragazzo per la perdita di suo padre e il desiderio di farla pagare a chi aveva osato fargli del male cresceva ogni secondo di più. Rafforzò la presa, quasi le mancava il respiro per quanto lo stava stringendo, ma aveva bisogno di averlo vicino, di fargli capire che non era solo, che c'era lei lì con lui. Tremava tra le sue braccia, non emise un suono e Daphne poteva solo immaginare quanto grande fosse la sua sofferenza. Gli diede un bacio sulla guancia, due, tre, quattro mentre le sue lacrime gli bagnarono la pelle. «Va tutto bene, sei con me adesso.» Si fece quanto più umanamente possibile vicina al suo corpo per trasmettergli il suo calore, in contrasto col gelo che, forse, aveva dentro, lo stesso che aveva anche lei quando non era con lui. Si staccò quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi e gli si strinse lo stomaco nel vederlo così. Cosa ti hanno fatto? Gli gettò le braccia al collo e nascose qualche istante il viso nell'incavo del suo collo, ne respirò il profumo e poi posò lo sguardo su di lui, non prima di aver premuto le labbra contro le sue e averle mosse flebilmente. La fronte era poggiata contro la sua mentre parlava delle bugie che i suoi nonni avevano detto in quella sala su suo padre, sulla sua vita, su come era morto. Gli prese la mano e intrecciò le loro dita per non fargli grattare nervosamente il braccio, l'altra, invece, era tra i suoi morbidi capelli. E poi i suoi occhi, i suoi meravigliosi occhi verdi, si riempirono di lacrime, lacrime che cercò in tutti i modi di trattenere e che inevitabilmente caddero. Le raccontò di quanto suo padre amasse sua madre, la sua debolezza, e di come non fosse stato in grado di sopportare il dolore per ciò che aveva fatto. Allora è lei la tua oscurità. Schiuse leggermente le labbra e gli baciò via le lacrime, una per una, dolce, delicata, senza dire niente. Sfregò la punta del naso contro la sua, gli spostò un riccio ribelle dietro l'orecchio e non smise di toccarlo, sfiorarlo e accarezzarlo neanche per un attimo. Era iperprotettiva, Daphne, e adesso che aveva scoperto quanto dolore sua madre gli provocasse, l'avrebbe tenuto lontano anche da lei se necessario. Lo avrebbe tenuto lontano da tutti coloro che avrebbero potuto ferirlo. «Amore, basta, non devi dirmi niente. Concentrati su di me, senti solo me.» Portò le loro dita intrecciate sul seno destro, all'altezza del cuore, sperando che sentendone il battito, in qualche modo, l'avrebbe aiutato a rilassarsi. Lo chiamò amore ancora una volta e lo avrebbe fatto tutta la notte se necessario, perché quella parola lo riportava da lei.
    "Lui si è ucciso." Sgranò leggermente gli occhi quando glielo disse, aprì la bocca per dire qualcosa ma sentì una strana intrusione nella sua mente, qualcuno stava cercando di entrare. In quella stanza, l'unica persona che avrebbe potuto farlo era Hunter
    e questo voleva dire solo una cosa: anche lui era un mentalista. Sei come me. Ma quel pensiero fu presto dimenticato insieme alla verità di come, suo padre, si fosse tolto la vita. Aveva provato a respingere l'intrusione esterna, ma le emozioni del suo ragazzo erano troppo forti e le sue barriere erano state distrutte. Provò, per un attimo, un senso di smarrimento, un sentimento fugace che sparì non appena Hunter tremò contro di lei, in lacrime, completamente in balìa del dolore. «Vieni qui.» Gli diede un bacio sulla guancia e tornò a stringerlo, lentamente si sdraiò con lui sopra di lei, tra le sue braccia. Con una leggera pressione gli sollevò il viso, adesso la guardava, e Daphne si concentrò solo su di lui, sulla sua mente, usando il mentalismo per dargli un po' di sollievo. Quando lo sentì rilassarsi contro di lei, si sporse in avanti e lo baciò sulle labbra, sul naso, sulla guancia, sulla tempia, sulla fronte, e infine di nuovo sulle labbra. «Io, però, non ti lascio.» Non disse parole come mi dispiace, condoglianze né finse di capire il suo dolore, era qualcosa di troppo personale, invece gli trasmise ciò che provava per lui a gesti e a parole, un sentimento forte che l'aveva travolta e resa dipendete da un'altra persona perché, adesso lo sapeva, senza Hunter non poteva e non voleva stare. «Non ti lasciò più.» Non ne sarei in grado.

     
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    Era una giornata molto normale, lo era stata fino a quel momento. Oserei sbilanciarmi dicendo che era persino una giornata positiva, avevamo passato la mattinata in scuderia come spesso accadeva quando la giornata lo permetteva. Aveva piovuto leggermente, l'aria e la terra sapevano ancora di pioggia quando l'ho trovato... questo singolare profumo si chiama petricore, è sempre stato il mio odore preferito, l'odore di settembre, di quei mesi autunnali caratterizzati da piogge leggere. Forse potevo aspettarmelo, non avrei dovuto illudermi che tutto fosse tornato alla normalità. Aveva un sorriso troppo strano mentre diceva che sarebbe andato nel suo studio per lavorare un po'. Il fatto è che non eravamo preparati, mai saremmo riusciti ad esserlo abbastanza per quello che sarebbe accaduto, nè io nè Emilie.
    Io e mia sorella ci abbiamo provato, abbiamo tentato di vedere le vere motivazioni dietro a questo gesto. Anzi, per essere precisi questo è un merito che apparterrebbe più a lei che a me, che invece mi sono limitato a farmi qualche domanda sull'accaduto ma potremmo dire niente di più. I miei nonni, la famiglia di mio padre, ha iniziato a distorcere gli avvenimenti gradualmente, sempre di più, fino a quando la verità non è diventata la storia in cui volevano credere ma che ormai si allontanava troppo da ciò che era accaduto dal vero. Mi ha sempre infastidito ma fino a quando preferivano mentire a loro stessi per farsi andare bene l'accaduto, erano liberi di credere in ciò che volevano. Non così però, non in questo modo, non su pubblica piazza. Questa storia di fantasia non doveva diventare di dominio pubblico perchè quando accade una cosa simile in una famiglia come la mia, la verità viene surclassata da una grossa bugia più conveniente in cui credere. Questa rabbia, questa tristezza diventano troppo ingombranti, così tanto che il mio corpo sente il bisogno di sfogare tutto in un pianto silenzioso, lento e fastidiosamente doloroso. Non voglio vedermi adesso, non voglio vedere lo stato in cui sono. E così, disperatamente, continuo a ricercare un contatto con Daphne che intanto delicatamente asciuga le lacrime che mi rigano il viso. Lacrime vecchie di un anno. Stringo il viso della serpeverde fra le mani per trattenerla dall'allontanarsi in una specie di disperata richiesta di aiuto. Non voglio stare solo, adesso. Non potrei riuscirci. Sono incapace di rilasciare indietro le mie debolezze e non riuscire a farlo, mi fa sentire a disagio, in errore... non dovrei darle questo peso, non dovrei darle altro a cui pensare, questo lo so, eppure nonostante cerchi di trovare la via più logica possibile, sembra che io non ne abbia le forze. Nonostante lei provi a dirmi che non serve, nonostante lei voglia soltanto consolarmi io parlo ugualmente, le mie labbra si muovono e raccontano quella verità che fino ad oggi ho sempre e soltanto raccontato al mio riflesso nello specchio. Se fossi stato lucido, se fossi stato capace di riflettere razionalmente sulle mie azioni, avrei continuato a tacere aspettando che questa sensazione d'ansia si affievolisse e mi lasciasse andare avanti con la mia vita. Ma la mia mente, la mia voce, non riesco a controllarli, scelgono loro per me. Non voglio che debba sentire tutto questo, ed il mio desiderio è talmente forte che riesco a percepire che qualcosa nel suo sguardo, nella luce dei suoi occhi, è lievemente cambiata. Non dice nulla sulla morte di mio padre, non preferisce altre parole legate alla rivelazione che le faccio... mi chiedo se quella sensazione, quella vibrazione, non fosse... non importa.
    Stringo la sua mano così forte che i polpastrelli si fanno rossi, le tengo intrecciate insieme come se quella stretta potesse salvarmi da ciò che sento. Allargo la mano libera sul suo petto e lo sento, ancora una volta, quel rumore ritmato, quella vibrazione che si propaga sul mio palmo. Vorrei ci fosse solo lei, vorrei sentire solo lei e questa vibrazione così calmante, così benefica. Finiamo stesi sul letto, mi stringo sul suo corpo, le mie braccia si avvolgono intorno al suo busto come se mi stessi disperatamente attaccando ad un'illusione che potrebbe sparire da un momento all'altro. Guardo nel profondo dei suoi occhi chiari e anche lì mi sembra di ritrovare un po' di pace, mi sembra di riprendere a sentire il mio respiro calmarsi - no... - dico flebilmente contro le sue labbra prima di chiudere gli occhi
    -...non lasciarmi - glielo sussurro come se in corpo non mi rimanesse più nessuna energia. E anche se fosse un'illusione, è la sola cosa che sembra riuscire a calmarmi.


    Lo vedo.
    Vedo mio padre, il suo volto disteso in un sorriso spontaneo, non ricordavo che fosse così, non ricordavo che potesse essere così allegro. Mia sorella è accanto a lui, ha lo stesso identico sorriso stampato sulla faccia, forse il suo è un po' più scemo, la prendo sempre in giro per questo. Sento l'erba appena tagliata sotto ai piedi, non capisco dove mi trovo ma questo posto mi piace. È una sensazione piacevole, familiare, così tanto che quasi mi sembrabstrano provarla. Credo di star sognando, non pensavo nemmeno di riuscire ad addormentarmi, figurarsi vedere mio padre così... qualcosa sta cambiando sul suo viso. Si distorce in una smorfia cupa. Dell'erba fresca sotto ai miei piedi non è rimasto niente, la luce è scarsa e riesco appena a distinguere come dei piccoli dischetti bianchi.
    Mi chino ad osservare meglio e avrei preferito restare nell'ignoranza: sono pillole. Le stesse di cui sono dipendente e che come fossero sabbie mobili, mi risucchiano verso il basso. E poi lo vedo, ancora di nuvole, ogni volta che sbatto le palpebre. Mio padre e il suo volto trasfigurato dalla morte. Affondo. Non voglio vederlo. Affondo.
    Affondo e poi mi sento la terra mancare sotto ai piedi.
    - Ah! - aspetta, aspetta. Riprendo fiato. Era un sogno. Daphne, dov'è Daphne. Non ho neanche il tempo di finire di pormi la domanda, una mano si allunga alla ricerca frenetica della serpeverde e trova il suo braccio quasi subito, rigato dall'ombra delle gocce di pioggia che scorrono sul vetro della finestra. È qui, lei è ancora qui e io le sfioro il volto come se volessi accertarmi che sia reale, che non mi trovo più dentro a quel sogno. Tiro un sospiro di sollievo quando mi realizzo che questa è la realtà. Indosso ancora le scarpe che sfilo via prima di puntare i piedi a terra e alzarmi. Preferisco stare sveglio tutta la notte piuttosto che tornare a dormire rischiando di vedere ancora il suo viso in quel modo. Mi alzo, delicatamente, diretto verso un'alta e stretta vetrata in fondo alla stanza ormai buia, flebilmente illuminata dalla luce della luna. Fuori piove a dirotto, ma dentro questa stanza sembra esserci un silenzio assordante.
    EVBL
    Se si presta molta attenzione, so riesce a sentire qualche goccia un po' più violenta che sbatte contro i vetri spessi della stanza che adesso è tinta di toni che definirei quasi gotici. È proprio lì che vado, di fronte a questa grande vetrata, stanco, svuotato... mi poggio col sedere alla poltrona scura mentre punto lo sguardo in un punto non meglio definito davanti a me. È strano: non penso a nulla. Erano anni che nella mia testa non c'era tutto questo silenzio.
    A spezzarlo è il suono delicato del pianoforte alle mie spalle, lo sguardo mi si allarga quando voltandomi noto chi è che lo sta suonando. Tiene gli occhi sui tasti, sembra serena e questo mi provoca un piccolo sorriso che si allarga appena man mano che mi avvicino a lei. Lascio che suoni quelle note, che siano loro a riempirmi la testa, una dopo l'altra, sembra qualcosa di malinconico. Resto ad ascoltarla qualche istante fino a quando non decido di avvicinarmi, posizionarmi dietro di lei e sfiorarle le spalle, prima di curvarmi lasciarle un morbido bacio proprio dove precedentemente erano stato le mani - mi dispiace, ti ho svegliata - in realtà, in qualche modo, sono contento che mi abbia raggiunto - cosa suoni? - non l'avevo mai sentita suonare il piano, ne sono affascinato, come da qualunque cosa lei faccia.



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    Ancora con indosso il tubino bianco, Daphne stringeva a sé Hunter che si era lasciato andare ad un pianto silenzioso. Le sue lacrime le bagnavano le pelle, erano calde, così come le sue che scorrevano, lente, sul suo viso. Erano sdraiati sul letto della loro camera, il suo ragazzo, sopra di lei, le circondò il busto con le braccia riducendo quei pochi millimetri che li speravano mentre, con le labbra appoggiate alle sue, pronunciò flebilmente delle parole che, forse, a causa delle troppe pillole, non avrebbe ricordato. "Non lasciarmi." Gli diede un bacio sulla guancia e gli accarezzò i capelli fin quando non si addormentò senza staccarsi, nemmeno per un attimo, dal suo corpo. Guardò per un tempo indefinito il soffitto bianco continuando a sfiorare dolcemente Hunter che dormiva su di lei con la testa poggiata sul suo petto, i cuori battevano all'unisono e Daphne si ritrovò a pensare a quanto intimi fossero diventanti in quei quattro mesi. Non aveva mai permesso a nessuno di starle così vicino, in generale si poteva dire che non apprezzasse particolarmente il contatto fisico, se una persona si avvicinava troppo si sentiva oppressa, eppure, con il suo ragazzo, era lei che non riusciva a smettere di toccarlo, aveva l'incessante bisogno di sentire il calore del suo corpo così come il suo sapore sulla lingua, era per questo che lo baciava così profondamente. Adesso che aveva scoperto di amarlo questo bisogno era diventato ancora più forte, voleva averlo completamente, come mai nessuna prima d'ora aveva fatto. Sei solo mio. Posò il suo sguardo su di lui e gli sfiorò la guancia destra con le dita; era bagnata, le lacrime avevano da poco finito di essere versate. Lo strinse di riflesso, come a volerlo proteggere, e gli baciò la tempia prima di chiudere anche lei gli occhi e cercare di addormentarsi.
    Era fine aprile, ma quella sera, ad Atlanta, pioveva e faceva freddo. Daphne, però, stava bene perché la sua personale fonte di calore, Hunter, era accanto a lei. Lo era stato per tutto l'inverno; nel loro appartamento fuori Hogsmeade, spesso, dopo essere stati insieme si addormentavano nudi l'uno tra le braccia dell'altro e questa, col passare del tempo, era diventata una piacevole abitudine. Quando, però, veniva privata del suo calore, si svegliava di soprassalto, proprio come adesso che non lo aveva affianco. Dove sei? Si mise a sedere, guardandosi attorno, e quando lo vide di spalle davanti ad un'ampia vetrata tirò un sospiro di sollievo. Era lì, non era andato da nessuna parte. Fuori pioveva a dirotto e Hunter, su quello sfondo malinconico, sembrava sul punto di sparire. Questa sensazione l'ho già provata. Alla Stamberga, quando l'aveva sentito suonare il basso per la prima volta, pioveva, il cielo era grigio e lui, un ragazzo dai lineamenti eleganti quasi regali, era entrato nel suo campo visivo e il suo sguardo, così tormentato e perso, gli ricordava quello di un fantasma. Già allora era rimasta affascinata dai suoi occhi verdi e dalle mani da pianista, però le era perso distante, sfuggente, sul punto di sparire. Era complicato amarlo. Si spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e scese dal letto in punta di piedi cercando di non far rumore, voleva raggiungerlo ma poi decise altrimenti, forse era meglio lasciarlo da solo ancora per un po', quello che aveva dovuto affrontare quella sera era stato difficile. Voleva dargli sollievo, ma come? Le parole non bastavano. Poi si accorse di un pianoforte, si avvicinò allo strumento e si sedette sullo sgabello, poggiando le dita sui tasti ormai ingialliti dal tempo. Socchiuse gli occhi e iniziò a suonare una triste melodia, la stessa del giorno della morte di sua nonna: Piano Sonata No. 2 di Chopin. Era una composizione profondamente mesta, solenne e dolorosa in si bemolle minore, l'ultima che Ginevra le aveva insegnato prima di lasciare questo mondo. La musica ruppe il silenzio di quella stanza e, per un attimo, Daphne dimenticò dove fosse, era diventata tutt'uno con quello strumento. Rinversò nelle note di quella melodia tutte le emozioni che aveva provato quella notte e le venne quasi da piangere per quanto erano forti. Sto sentendo troppo, io non voglio sentire. Non voglio sentire niente! Suonò il quarto movimento con le due mani all'unisono, le dita si muovevano veloci sulla tastiera, ottave implacabili echeggiarono tra le mura della camera e, al tempo stesso, invasero la sua mente. E poi quel senso di panico, di paura, fu spazzato via dal tocco delicato delle mani di Hunter. Era dietro di lei, era vicino, sentiva il suo profumo. Le diede un delicato bacio tra l'incavo del collo e la spalla e, dal tono calmo e pacato della sua voce, capì che era tornato da lei. L'effetto delle pillole era passato. «Non importa.» Non sapeva perché ma faceva fatica a parlare. Era ancora preoccupata per lui, voleva chiedergli tante cose e, al tempo stesso, non voleva perché il bisogno di toccarlo, stringerlo, sfiorarlo era più forte. «Piano Sonata No. 2 di Chopin.» Era nervosa. Prese aria, il cuore le martellava nel petto, sentiva emozioni contrastanti perché la consapevolezza di amare qualcuno le faceva paura. Io lo amo. Solo adesso si era resa realmente conto del peso di quelle parole. Si voltò di scatto, i suoi occhi azzurri si specchiarono in quelli verdi del suo ragazzo, adesso limpidi, e quando lo guardò non poté fare a meno di pensare a quanto fosse bello. «Hunter...» Gli mise una mano sulla
    guancia e si sporse in avanti, le loro fronti si toccarono e, dolcemente, sfregò la punta del naso contro la sua. «...mi sto innamorando di te.» Respirava a fatica, non sapeva più che fare, che dire, che pensare. E se lui non provasse le stesse cose? Dare voce ai suoi sentimenti era stata la scelta giusta? Forse non avrei dovuto, forse non era questo il momento adatto, non dopo tutto quello che è successo stasera. Si era esposta come mai prima d'ora con lui, si fidava, sapeva che non le avrebbe mai fatto del male, ma la paura di essere rifiutata era lì. E se sparisse anche lui? Se andasse via? In fondo tutti quelli che amo lo fanno. Chiuse con forza con gli occhi, aveva i pugni serrati poggiati alle ginocchia e con i denti si mordeva nervosamente il labbro inferiore. I muri, tra di loro, erano stati ridotti in cenere, adesso aveva il potere di ferirla profondamente con una sola parola, un gesto, uno sguardo e aveva una fottuta paura di perderlo. Sono completamente tua Hunter, ma tu mio lo sei? Dimmi qualcosa, ho paura. Le troppe emozioni non le so gestire.

     
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    Gli avvenimenti di ieri sera sembrano un ricordo lontano, confuso, sfumato, sembra quasi di aver vissuto un sogno vivido e adesso, che ho smaltito ciò che avevo in corpo, non riesco a distinguere cosa è reale e cosa no. Ci sono stati altri episodi di questo tipo, di solito sempre anticipati da una massiccia assunzione di sostanze atte proprio a confondermi il cervello. Lo faccio di proposito, lo faccio perché non voglio pensare, non voglio capire e possibilmente il giorno dopo vorrei dimenticare quello che è successo. Questa volta però è stato differente... non ero da solo, non lo sono mai stato per tutta la notte. Daphne mi è rimasta accanto nel momento in cui devo essere sembrato più misero che mai, fino a quale punto poi non saprei bene dirlo: i ricordi frammentati che ho, non mi permettono di essere sicuro di cosa abbia veramente detto o fatto. Cerco di schairirmi le idee fissando le gocce di pioggia che si scontrano con il vetro della grande finestra che da sull'esterno. Guardando il loro lento scorrere sulla superficie liscia, in qualche modo sembra che riesca a rallentare il mio respiro. È una sensazione calmante, piacevole, ma non quanto l'effetto che mi fa la vicinanza con Daphne. Se lei non fosse stata con me ieri sera, se lei non mi avesse trovato in quel bagno, è possibile che adesso non mi troverei qui. Nella più fortunata delle ipotesi sarebbe stata Emilie a recuperarmi e, preoccupata, mi avrebbe portato subito via da qui. Magari anche in qualche ospedale, chi lo sa fino a dove può arrivare la sua apprensione. Mi avrebbe chiesto delle spiegazione che non le avrei saputo dare, sarebbe stato difficile, più difficile di quanto non sia stato davvero. Solo una cosa ricordo molto bene degli eventi che ho vissuto: ricordo di aver pianto, di aver pianto per mio padre, ed è stata la prima volta. La rabbia mi ha colto impreparato, così all'improvviso che non ho saputo come reagire altrimenti. Che strano... forse ne avevo bisogno per sentirmi così svuotato.
    La pioggia perde ogni attrattiva quando la musica del pianoforte arriva alle mie orecchie, delicata, malinconica, sembra adattarsi perfettamente al posto e al momento. Ovviamente è Daphne che suona, non c'è nessuno nella stanza a parte noi due. Resto a guardare le sue mani scorrere sulla tastiera dello strumento prima che si fermi per rispondere alle mie domande, prima che si volti in mia direzione con uno sguardo inaspettatamente agitato. Anche il suo corpo è più rigido adesso - dimmi - mi curvo su di lei, poi mi piego sulle ginocchia per fare in modo che i nostri sguardi siano alla nostra altezza - che succede? - forse vuole parlare di ieri sera, delle pillole, di quello che è successo. Un po' mi preoccupa quello che mi dirà, perchè so quanto scarse diventino le mie capacità di comunicare quando si tratta di questo. Quello che però mi dice, mi fa schiudere appena le labbra per lo stupore: non a che vedere nè con ieri sera, nè con tutti i possibili punti di domanda che sicuramente le saranno rimasti irrisolti. Non ha a che fare con nulla di tutto questo, la sua è più una dichiarazione, un'ammissione importante, qualcosa chebevidentemente non poteva più tenersi dentro. La guardo negli occhi con la fronte poggiata contro la sua, posizionando poi le mani sulla panca, proprio al lato dei suoi fianchi è come se le dicessi di non spostarsi di un solo centimetro perché ho come la sensazione che potrebbe fuggire via da un momento all'altro. Le lascio dapprima un bacio all'angolo sinistro delle labbra, forse è un espediente per prendere tempo e riuscire a dire quello che vorrei dire nella maniera più giusta possibile - non mi era mai capitato di riuscire a piangere per mio padre - forse la sto prendendo larga, forse può sembrare che io ci stia girando intorno... ma voglio farlo per bene - non mi era mai capitato di passare tutta la notte abbracciando una ragazza - metto fra di noi un paio di centimetri che mi servono ad osservare meglio il suo viso e a mostrarle un sorriso tanto accennato quanto spontaneo - con te ho... provato tante cose nuove - un secondo bacio, sull'angolo destro della bocca, esattamente a specchio rispetto al primo - mi hanno confuso. Ad oggi però io so che mi sento esattamente come te - questa volta fisso le sue labbra un attimo prima che io possa avventarmi su di loro e godere di una borbidezza e di un sapore che conosco bene, ma che non mi stanca mai - Daphne - tiro un sospiro di sollievo nel constatare che mi ero sbagliato, che le mie supposizioni erano sbagliate, e sarebbe una delle rare occasioni in cui sono contento di avere torto - provo le stesse cose che provi tu - lo dico a voce bassa come se fosse un segreto intimo fra me e lei anche se non sarebbe necessario farlo - forse... forse sono già innamorato di te - le parole mi escono di bocca senza che io possa controllarle ed è come se pronunciandole rendessi tutto più vero, come se avesse tutto più senso. Adesso capisco, capisco perché mi sento così con lei, capisco perché riesco a lasciarmi andare in questo modo solo se la stringo a me e ne respiro il profumo. Anche adesso per me questa è un'urgenza a cui non posso sottrarmi: lascio che passi qualche attimo prima di avventarmi sulle sue labbra stavolta in maniera più vorace. Le schiudo con la lingua, l'assaporo profondamente mentre la mano destra si alza per posarsi sulla sua schiena e avvicinarla a me il più possibile. Indossa ancora il vestito bianco di ieri sera che la fascia alla perfezione. Nonostante questo, la mia mano scorre con fretta verso l'alto, percorre il tessuto ad individuare la zip e una volta che la trova inizia a tirarla giù esprimendo i miei desideri. I nostri pensieri sono allineati, quanti possono dire di avere una fortuna simile? Voglio averla, voglio che sia mia, è un'urgenza e io non riesco più ad aspettare.



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    Scoprire di essersi innamorata di Hunter l'aveva fatta girare di scatto per guardarlo con occhi sbarrati, quasi paurosi, perché lei, quel sentimento, non avrebbe mai voluto provarlo. Era sempre stata cinica nei confronti dell'amore, non credeva che questa emozione di cui i poeti e i cantanti parlavano potesse, in qualche modo, cambiare le persone o renderle più forti, al contrario del potere e della conoscenza che, invece, spingevano a gesti folli. Amare implicava fidarsi, aprirsi, essere pronti a soffrire anche solo per delle parole sbagliate pronunciate in un momento di rabbia, a sentire costantemente la mancanza del tuo ragazzo, a volerlo sempre vicino per toccarlo, baciarlo, sfiorarlo, nel non riuscire a dormire bene se non lo avevi accanto, a sorridere sinceramente, a urlare il suo nome mentre sei sua, a non desiderare nient'altro che lui, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Sei travolta da emozioni che non riesci a controllare, a cui devi dare necessariamente voce, così Daphne, persa in quegli occhi verdi adesso calmi e sereni e dal tono dolce con cui le aveva parlato, gli aveva detto di essersi innamorata. Forse avrebbe dovuto farlo in un altro momento, non dopo che, poche ore prima, lo aveva avuto tra le braccia in lacrime, con il volto stravolto dal dolore per la morte del padre e imbottito di pillole. Forse avrebbe fatto meglio a chiedergli se stesse bene, se volesse andare via da quella casa o semplicemente se volesse dell'acqua, invece si era confessata, perché, forse, l'amore avrebbe potuto lenire la sua anima tormentata e dargli la serenità di cui aveva bisogno. Di cui lei aveva bisogno. Poi era subentrata la paura, il dubbio che lui non provasse le stesse cose, perché nelle questioni di cuore la logica non contava niente, ciò che era realmente importante erano i sentimenti dell'altra persona. Con i pugni stretti e gli occhi chiusi, Daphne aspettava una risposta, un segno, qualcosa, ma per dei lunghi attimi ci fu solo silenzio. L'istinto era quello di alzarsi e scappare il più lontano possibile, di alzare le difese e non abbassarle mai più, ma qualsiasi tentativo di fuga fu sventato dalle mani di Hunter poggiate sulla panca, intorno ai suoi fianchi e dal delicato bacio che le diede all'angolo delle labbra. Il battito del suo cuore aumentò, respirava a malapena, era troppo agitata e quelle emozioni tutte insieme erano difficili da gestire. Inspirò, così, il suo profumo e lentamente aprì gli occhi, afferrando con la mano destra il lembo della camicia sbottonata di Hunter che strinse forte. Aveva bisogno di aggrapparsi a qualcosa, a lui, soprattutto quando iniziò a parlare dicendo cose che la colpirono nel profondo. Nominò suo padre, al che gli mise una mano sulla guancia e lo baciò sulla punta del naso, un gesto istintivo, naturale che dimostrava quanto profondamente fosse legata a lui. Voleva essergli vicina, sostenerlo in quel dolore, ora e, se possibile per... molto tempo. «E pensare che adesso sono mesi che ne abbracci una tutta la notte.» Rise leggermente per smorzare un po' la tensione; era un fascio di nervi, non si era mai sentita così e l'ansia la stava mangiando viva. Non riesco a calmare i battiti del mio cuore, cosa devo fare? Socchiuse gli occhi quando la baciò una seconda volta e le labbra le si piegarono all'insù quando, finalmente, le disse di provare le stesse cose ma non riuscì a mostrargli un sorriso sincero perché Hunter la baciò con foga. Ricambiò con altrettanta passione, facendo scivolare la lingua contro la sua e affondando le mani tra i suoi capelli. Il suo sapore famigliare le invase la bocca, il calore del suo corpo l'avvolse e Daphne si lasciò completamente andare tra le sue braccia. Quando si staccò, i suoi occhi azzurri erano chiari e limpidi, il suo cuore era colmo di gioia e, dopo tanto tempo, poteva dire di essere realmente felice. Credeva di non poterlo essere di più, ma il "forse sono già innamorato di te" fu una vera e propria iniezione di felicità. Gli circondò il collo con le braccia, un ampio sorriso apparve sul suo volto, uno di quelli che si vedono di rado, si fece ancora più vicina sporgendosi leggermente in avanti e schiuse immediatamente le labbra quando si avventò su di lei. Inclinò la testa di lato, rendendo il bacio ancora più profondo, talmente tanto che respirare era difficile ma non le importava, voleva eliminare qualsiasi barriera o distanza che c'era tra loro, andando oltre i limiti. I suoi limiti. Le mani erano tra i suoi capelli, le gambe gli cinsero la vita ma la posizione in cui erano non le consentiva di averlo completamente contro di sé, così si alzò e, nel farlo, il corpetto morbido del vestito andò verso il basso, lasciando libero il seno che, adesso, era premuto contro il torace nudo di Hunter. Continuò a baciarlo, profondamente, intensamente fino a quasi consumarlo, ma aveva bisogno di lui. Le mani scivolarono sulle sue spalle, la camicia che aveva indosso cadde e Daphne fece aderire i loro corpi. Le distanze erano
    state finalmente annullate. Gli morse il labbro inferiore e si staccò, solo per lasciargli una scia di baci umidi lungo le clavicole, la spalla destra e il collo che morse. Avidamente, gli succhiò la pelle mentre, con dolcezza, gli accarezzava i capelli alla base della nuca. Chiuse gli occhi, inspirando il suo profumo dalle note legnose, calde e sensuali. Come lui. Impazzirò. Leccò il segno rosso che gli aveva lasciato con la punta della lingua e tornò a baciarlo con voracità, le mani, frenetiche, gli sfiorarono la schiena prima che una di esse finisse sul suo sedere per stringerlo leggermente. Conosceva a memoria ogni centimetro del suo corpo, ma ogni volta che lo toccava scopriva sempre qualcosa di nuovo, come un piccolo neo dietro l'orecchio o una smagliatura bianca sul fianco. E lei amava ogni singolo dettaglio. «Anche io sono già innamorata di te. Amo tutto di te.» Glielo sussurrò con le labbra poggiate alle sue, poi gliele schiuse con la lingua e sospirò nell'incontrare la sua. Lo baciò a lungo, senza freni, senza inibizioni, andando in profondità e stringendolo a sé, perché adesso che i muri mentali erano definitivamente crollati, lo stesso avrebbero fatto quelli fisici. Voglio averti completamente. Lo baciò con così tanta foga che lo costrinse ad indietreggiare e a poggiare la schiena contro la tastiera del pianoforte. Era sempre stata coinvolta, appassionata, ma questa volta era diverso. C'era qualcosa di diverso. Prese a baciargli il mento, il collo, il torace e si incurvò quel tanto che bastava per passargli la lingua sul ventre, prima di risalire e tornare sulle sue labbra. Nel mentre, molto lentamente, gli sbottonò i pantaloni e sfiorò la sua intimità con le dita, poi gli diede un bacio sulla guancia e spinse il bacino in avanti. «Fammi ancora tua.» Un sussurro intimo, celato, dolce.

     
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    Non ne so molto di sentimenti, a dire la verità potrei dire di non saperne quasi niente. Non nel senso che non ne provi, ma nel senso che non so riconoscerli e, di conseguenza, esprimerli. Ho imparato a studiare, a capire quello che mi circonda e i meccanismi che regolano il mondo ma non ho imparato a capire me stesso. Non ricordo di essermi mai lamentato di questo con qualcuno, di aver mai espresso questa difficoltà, non l'ho mai esplicitata con nessuno a parte che con gli psicologi che ho incontrato nel corso degli anni e nemmeno in quel caso è stato facile. Sentivo che qualcosa non funzionava come avrebbe dovuto, sentivo di non provare le cose come gli altri. Molti sentimenti non nascevano in maniera spontanea ma dalla domanda "è questo che devo provare?" oppure ancora "è questo che dovrei esprimere?". È sempre stato come provare l'emozione sbagliata nel momento sbagliato. Questa condizione ha trovato risposta in una diagnosi: l'ADHD. Era lei la responsabile, quella cosa che non mi faceva sentire le cose come gli altri. Quella cosa che mi faceva porre troppe domande su quello che provavo o non provavo. Quando sono diventato consapevole di quello che mi succedeva ho iniziato a mascherarlo, è stato facile farlo, è bastato saper leggere il momento ed individuare il sentimento giusto in base all'occasione. Tutto è sempre nato dopo una riflessione, parte tutto quanto da un pensiero, un ordine del cervello che ti dice come devi comportarti. Adesso però - anzi da qualche mese a questa parte - alcuni sentimenti non sembrano scaturire da un meccanismo mentale, in realtà sembra che non comunichino affatto con il cervello. Daphne, è lei la responsabile, è lei che manda a fanculo i meccanismi della mia mente. Li confonde, vanno in tilt, scompone quegli schemi che ormai credevo di conoscere a memoria. La cosa mi provoca sensazione contrastanti: da una parte, lo ammetto, ci sta una grande ansia che quasi mi spinge a voler rientrare in un campo che conosco molto meglio. Dall'altra parte, ci sta questa sensazione, questo sentimento che prepotentemente mi tiene ancorato a sè. Posso ribellarmi quanto mi pare ma lui non sembra voler cedere. Poi quando la guardo ogni minimo dubbio di dissipa, sparisce nel nulla come se in primo luogo non fosse mai esistito. Anche adesso ad esempio, guardo il suo sorriso e... a cosa stavo pensando? È vero, sono mesi che la tengo stretta a me in qualunque momento possibile, più intimamente possibile. Ed ormai è diventata una piacevole abitudine senza cui verrebbe a mancare un pezzo importante di quella che è diventata la mia vita da quando la conosco. Sorrido di rimando sistemandole una ciocca bionda dietro l'orecchio. La sento leggermente tremante, la vedi rigida, forse sente la stessa agitazione che provo anche io. La bacio allora come se fosse l'unica cosa che posso fare e come se fosse l'unica cosa che può alleviare questa sensazione di irrequietezza che entrambi sentiamo. Con urgenza mi avvento sulle sua labbra schiudendole con la lingua, assaporo quel sapore dolce e familiare che non mi stanca mai e finalmente riesco a sentire i suoi muscoli distendersi tra le mie braccia. Prendo una distanza lieve, minima, solo per confermarle ancora una volta quello che provo quasi fosse diventata un'urgenza farlo. La risposta è forse il sorriso più bello che Daphne abbia mai fatto in mia presenza. Anche la mia espressione si allarga in un ampio sorriso che dura molto, molto poco, solo perché sento nuovamente la stessa voglia di fiondarmi sulle sue labbra e assaporarle ancora, magari per un tempo indefinito. Le braccia le cingolo la vita, l'avvolgono e la stringono contro di mentre la testa si sporge sempre più in avanti per approfondire quel bacio ancora meglio. La sostengo dalla schiena tenendo i palmi delle mani ben aperti quasi per trattenerla, arrivare ad ogni punto. Cerco il contatto pelle contro pelle e quindi tiro giù la zip del suo abito che scorre partendo dalle spalle e terminando appena sopra il suo fondoschiena. La seguo in quel movimento senza smettere di baciarla, mi tiro in piedi e aiuto quel maledetto vestito a scendere giù sul pavimento, dove lo spingo via con un leggero calcio perché non sia d'impiccio. Ogni volta godo profondamente del primo contatto a pelle nuda, ispiro profondamente facendo scivolare una mano sul suo sedere che stringo appena e attiro a me, bisognoso di avere di più. Presto anche la mia camicia raggiunge l'abito sul pavimento, abbandonata anche lei perché totalmente inutile in questo momento. Al passaggio delle sue labbra, inarco il collo come a volermi esporre più che posso a lei mentre la mano destra sale a trattenerle i capelli alla base della nuca. Resto ad ammirare i suoi movimenti a labbra schiuse, lenta, sensuale mentre passa la lingua calda sulle mie clavicole su fino al collo dove si ferma a lasciare un marchio. Mi piace quando lo fa. Emetto un suono espirando a denti stretti, le mani vanno a stringerle per un lungo attimo il seno, per tutto il tempo che le ci vuole per secchiare la mia pelle e imprimere quel segno rosso. Poi mi parla di nuovo a fior di labbra, la sua voce è leggermente affannata segnata dell'urgenza che anche io sto sentendo crescere ogni secondo di più. A quelle parole salgo facendo scorrere le mani sul suo seno, sui capezzali fino ad esercitare una leggera pressione sul suo collo. Intreccio le mani proprio dietro quest'ultimo, l'attiro contro di me anche se probabilmente neanche serve: è lei che con la sua foga, che mi sta letteralmente facendo impazzire, mi costringe a fare un paio di passi indietro fino a poggiare il sedere contro i tasti del pianoforte che producono un paio di note stonate sotto la pressione del mio peso. Non basta così poco per distrarmi: la mia lingua si intreccia ininterrottamente con la sua, di nuovo le dita della mano destra si incastrano fra i suoi capelli quando fa quel movimento verso il basso facendo scorrere la sua lingua sul mio basso ventre. Sospiro, espiro, sono con il fiato sospeso come se stessi aspettando qualcosa e seguire con lo sguardo la sua risalita verso le mie labbra, non fa altro che aumentare la voglia che ho di lei. Quando poi la sua mano delicatamente sfiora la mia intimità, la risposta automatica del mio corpo e spingersi in avanti alla ricerca di qualcosa in più - non serve nemmeno che lo chiedi - perché non avrei esitato affatto a farla mia, ancora. Le scosto i capelli raggruppandoli in una coda che tengo ferma con la destra, le scopro il collo e assaporo la sua pelle passando la lingua sulla sua mandibola, scorrendo su fino al lobo che mordo delicatamente ma abbastanza da lasciarci il segno. La sinistra è impegnata in una discesa versa il suo sedere, perfettamente evidenziato dall'arcatura della sua schiena. La mano si sofferma un attimo prima di continuare a scendere stringendo la sua coscia, percorrendola fino all'altezza del ginocchio dove incastro la mano per tirarle su la gamba e avvinghiarla intorno al mio bacino.
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    Voglio che i nostri corpi si incastrino, ho bisogno che lo facciano, potendo vorrei che ogni centimetro del mio corpo potesse toccare il suo. Le sfioro le labbra con la punta della lingua, le schiudo per darle un rapido bacio perché quello che voglio fare è curvarmi sul suo seno e posare le labbra sul punto più sensibile di quest'ultimo. Lecco, mordo avidamente il mio bacino si muove automaticamente e naturalmente contro il suo e le mie dita no riescono, non possono smettere di esplorare: supero l'elastico degli slip, unico indumento che indossa, e mi insinuo nella sua intimità in maniera decisa. A tratti dono irruento ma mi muovo delicatamente quando con le dita mi inserisco più in profondità. Però è difficile, in alcuni momenti non riesco a nascondere la mia fretta e tutto il movimento si fa più intenso - aggrappati a me - salgo a sussurrarglielo all'orecchio mentre la mano libera attira la sua schiena contro il mio corpo - stringimi. - è qualcosa che non può negarmi, ne ho bisogno.




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    Aveva sempre pensato che i sentimenti, così come la passione, fossero flebili fiamme che il tempo avrebbe spento. Le emozioni negative erano quelle che duravano, ti si attaccavano addosso e non ti lasciavano più perché quando un odore, un oggetto o un sapore ti riportano alla mente ricordi positivi, li rivivi con nostalgia e sapere di non poter più tornare a quel periodo felice della tua vita ti institrice, e allora butti giù il magone e lasci che un sorriso malinconico appaia sul tuo viso. Quelli brutti, invece, possono farti soffrire e arrabbiare al punto tale che tutto quello che avevi provato in quell'istante ormai sbiadito dal tempo ritorna prepotentemente, lasciandoti senza fiato, ed è come essere di nuovo lì, con le stesse persone e lo stesso dolore che, ancora oggi, non hai superato.
    Erano state poche le volte in cui si era concessa di sentire davvero qualcosa, spesso capitava contro la sua volontà, ma poi sopprimeva tutto e andava avanti, mostrandosi indifferente e in perfetto controllo delle sue emozioni perché niente, ormai, scalfiva la barriera di ghiaccio che si era costruita intorno al suo cuore, nemmeno l'odio per sua madre che, al contrario, la rafforzava soltanto. C'era solo una persona che era riuscita a farla sciogliere completamente, ma non si era limitata a questo: l'aveva fatta innamorare di lui e, adesso, mentre la sua lingua accarezzava dolcemente la sua e il desiderio di averlo cresceva, aveva capito di essersi sbagliata: la passione e i sentimenti che potevi provare per qualcuno erano così forti da prendere il sopravvento e creare dipendenza. Al pari di una droga. Perché Daphne era dipendente da Hunter, non riusciva a fare a meno di lui e non passava giorno in cui non lo toccasse, baciasse e sfiorasse come stava facendo adesso, e più i suoi sentimenti crescevano, più aveva bisogno di un contatto intimo con lui. Non esisteva una spiegazione logica a questa sua necessità, sapeva solo che ogni parte del suo corpo doveva essere in contatto con la sua così da avere il suo sapore in bocca, il suo odore sulle pelle e le sue mani su di sé. Voglio di più, molto di più. Il vestito cadde a terra e Daphne sospirò beatamente quando i capezzoli del seno sfregarono dolcemente contro la sua pelle, creando una frizione davvero piacevole. Ciò la spinse a schiudere ancora di più le labbra, a baciarlo eroticamente e profondamente mentre gli sfilava la camicia e gli lasciava un segno sul collo, un marchio per ricordargli che era soltanto suo. Le mani finirono sul suo seno, stringendolo, stuzzicandolo e, quasi come se avesse vita propria, il suo corpo reagì, esortandola a spingere il bacino in avanti in modo che le loro intimità si toccassero attraverso quegli strati di vestiti che ancora li separavano, gli leccò il collo e la mascella, fino ad arrivare alle labbra sulle quali si avventò, baciandolo con foga e con l'intenzione di assaporarlo per tutta la notte. La mano destra stringeva i suoi capelli, intanto che, la sinistra, gli accarezzava la schiena e scivolava lenta verso il basso, insinuandosi sotto i boxer per stringerli un gluteo. Daphne, da tempo ormai, toccava quel corpo intimamente, senza risparmiarsi, perché con Hunter aveva imparato ad accettare un lato di lei che neanche sapeva esistesse, ed era certa che lui era l'unico con cui si sarebbe mai potuta lasciar andare in quel modo, perché aveva tutto di lei. Inclinò la testa di lato e si aggrappò a lui, baciandolo con un intensità tale da farlo retrocedere e urtare contro il piano, ma non le importava di niente in quel momento, voleva solo averlo vicino. Non esitò nell'approfondire quel bacio che le rendeva quasi difficile respirare, le loro lingue si incontravano costantemente e il suo sapore, dolce, la mandava in estasi, così come avere i suoi pieni di desiderio su di sé. Quando la guardava in quel modo non capiva più niente. «Chiedere è educazione.» Parlò a fatica mentre assaporava la sua pelle e le mordeva il lobo dell'orecchio. La mano sinistra le alzò una gamba per posizionarla intorno al suo bacino, al che Daphne lo baciò lungo l'addome e schiuse le labbra passando la lingua calda sul torace fin sopra la spalla destra che morse. Gli circondò il collo con le braccia e lo attirò a sé, ricambiando quel bacio veloce e sporgendosi sempre più verso il suo corpo, in modo che tra di loro non ci fosse nessuna distanza. Gettò il collo all'indietro gemendo senza ritegno nel momento in cui le sue labbra si chiusero intorno al punto più sensibile del suo seno, e quando iniziò a morderlo e a succhiarlo le cedettero quasi le gambe. Affondò le mani nei suoi capelli e inarcò la schiena, offrendosi completamente a lui. Lo guardò con occhi pieni di desiderio mentre si dedicava a lei e Dio quanto era bello. Le sue dita da pianista si infilarono dapprima
    sotto il sottile strato di merletto dei suoi slip e poi, in maniera decisa, invasero la sua femminilità. A quel punto urlò il suo nome, mentre, dentro di lei, i movimenti frenetici e circolari delle sue dita la portavano gradualmente verso l'apice. Le passò un braccio intorno alla vita e la strinse forte contro di sé, il loro corpi aderirono perfettamente, ma non bastava. Volevano entrambi di più. "Stingimi." Chiuse gli occhi, sospirando pesantemente mentre muoveva i fianchi in avanti, assecondando tutto quello che il suo ragazzo le stava facendo e sorrise nell'udire quella frase. «Non devi neanche chiedermelo, amore.» Le venne spontaneo riferirsi a lui in quel modo, perché, in un certo senso, era ciò che era per lei. Gli prese il viso tra le mani e, dopo avergli morso il labbro inferiore, lo baciò, affondando la lingua nella sua bocca e trattenendo a stento un gemito quando si spinse ancora più in profondità dentro di lei. Le sue braccia lo avvolsero per stringerlo a sé con forza, tanto che il seno schiacciato contro il suo petto le faceva male, eppure, nemmeno se ne accorse, perché tutto quello che contava, in quel momento, era il calore del suo corpo, le meravigliose sensazioni che le stava facendo provare e il suo profumo che le inebriava i senti. Continuò a baciarlo per un tempo indefinito e si staccò da quelle labbra solo quando raggiunse l'apice. Ritirasse la gamba che aveva ancora intorno alla sua vita,tremò e appoggiò la fronte sulla sua spalla per riprendere fiato, dandogli un casto bacio prima di tornare a guardarlo negli occhi qualche istante dopo. «Tu... mi farai impazzire.» L'avrebbe fatta impazzire in tutti i sensi e, forse, ci era già riuscito. Sfregò la punta del naso contro la sua e gliela baciò, poi le sue labbra si posarono sulle sue e lentamente scesero sul collo, l'addome e il ventre mentre, con altrettanta lentezza, le sue mani fecero scivolare via dai suoi fianchi il pantalone e i boxer. Si inginocchiò, spostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Strinse la mano sinistra di Hunter e intrecciò le loro dita. La libera stuzzicò la sua intimità con movimenti lenti poi veloci, prima che venisse sostituita dalle sua bocca che, dolcemente, si schiuse per accoglierlo. Si prese il suo tempo per dargli piacere, la lingua lo accarezzava con movimenti circolari e decisi, poi aumentò il ritmo e il grado di intensità, facendolo perdere in lei. E solo a lui avrebbe dedicato un gesto così intimo, privato e personale. A lui e nessun altro.



    Edited by Daphne. - 14/8/2023, 00:34
     
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    Adesso che sono lucido, adesso che l'effetto dei farmaci sembra essere terminato definitivamente, percepisco tutto con più chiarezza ed intensità. In fondo quelli non erano altro che degli inibitori, un interruttore fatto a pillola che mi disattiva il cervello per un certo periodo di tempo. Ne ho fatte tante di stronzate, tipo prendere più pillole del dovuto proprio per inibire il cervello e quello è l'unico modo che conoscevo per farlo. Ancora mi stupisco quando realizzo che stando con Daphne riesco a focalizzarmi solo su di lei, a non lasciarmi travolgere dal resto. Tutto questo, tutti gli altri pensieri, non sembrano più così rumorosi come lo sono di solito ma passano in secondo piano, diventano fastidiosi sporadici eventi secondari che ogni tanto provano a distrarmi. Ma come faccio a distrarmi quando davanti a me ho lei? Quando una come Daphne mi sta vicino anche dopo aver visto i miei lati peggiori, quando lei mi desidera ancora, come posso concentrarmi su qualcosa all'infuori di lei?
    I miei occhi sono fissi su di lei, sul suo volto, sulla sua pelle bianca, sui suoi fianchi, su tutto il suo corpo centimetro per centimetro. E mentre la guardo, mi fa strano pensare che un domani potrebbe non essere più qui affianco a me. Forse è per questo che mi sono espresso tanto apertamente su come mi sento nei suoi confronti, era diventata un'urgenza dirle che mi sono innamorato di lei. È pericoloso, sei pericolosa Daphne. Le sue reazioni sono sempre terribilmente soddisfacenti: il suo corpo risponde al mio tocco avvicinandosi al mio, sento che la serpeverde è disinibita mentre senza limitarsi fa scorrere le mani lungo il mio corpo attirandomi a sè. Il contatto con le sue mani è terribilmente piacevole, come sempre, come ogni fottuta volta.
    - Allora scusami, perchè non credo che sarò molto educato-
    perchè se per essere educati bisogna chiedere, io non l'ho fatto. Non le chiesto se potevo afferrarle la gamba per stringerla a me, se potevo insinuarmi fino al suo punto più intimo per darle piacere. L'ho fatto e basta, consapevole del fatto che Daphne lo sta desiderando tanto quanto me. I suoi respiri, il modo in cui pronuncia il mio nome in questo momento intimo mentre siamo più stretti che mai, ogni piccola cosa mi fa impazzire. In qualsiasi punto la nostra pelle venga in contatto, brucia. Ed è un bruciore piacevole, un calore di cui non riesco più a fare a meno. Sento le sue dita affondare nella pelle della mia schiena ed il suo corpo assecondare i miei movimenti e mentre mi insinuo in lei, gradualmente, un po' per volta... sento come si rivolge a me
    - amore- ripeto ispirando a pieni polmoni il profumo della sua pelle direttamente poggiando a testa nell'incavo del suo collo - amore...- e lo ripeto ancora una volta con una punta di incredulità, quasi a volerlo fissare in questo momento. È rari, così raro che Daphne mostri questo suo aspetto che davvero temo di potermi montare la testa. Le lascio un morso sul collo, la mano libera scivola ad afferarle un gluteo così da attirarla a me ancora una volta. La bocca è impegnata a baciarla quasi con fame mentre guardandola godo delle espressioni di piacere che le si formano sul volto. E continuo a voler vedere di più,quindi insisto nel darle piacere fino a quando non è costretta a staccarsi di qualche centimetro, tremante, per riprendere aria - è reciproco - le rispondo cercando i suoi occhi - siamo fortunati, no? - terribilmente fortunati. Perché entrambi vogliamo consumarci, senza trattenerci. Non posso fisicamente allontanare lo sguardo da lei mentre sensuale oltre ogni misura inizia la sua discesa verso la mia intimità. Mi sento irrequieto, la lentezza con cui si muove accresce il mio desiderio a punto che quando libera la zona dall'ingombro dei vestiti, la sensazione è di immediato sollievo. Intreccio le sue dita con le mie, la presa è salda, il mio respiro si fa pesante e non appena le sue labbra sfiorano la mia pelle emetto un lungo sospiro a denti stretti. È un crescendo intenso, graduale, terribilmente piacevole - oddio... Daphne - sussurro il suo nome scostandole un'altra ciocca di capelli dietro l'orecchio. La mano subito corre a cercare appoggio sul pianoforte. Non è la prima volta che lo facciamo, eppure c'è qualcosa di particolarmente intenso in questo momento, qualcosa che non riesco a paragonare a nulla di mai provato prima. Emetto un suono rauco, di piacere, mi sta spingendo al limite. Cazzo. Voglio di più, voglio lei. Le sorreggo il mento con la mano libera e seppur a malincuore, interrompo quel piacevole contatto chinandomi su di lei e baciando con foga, sposto le mani suoi sui fianchi per tirarla nuovamente su. I nostri movimenti sono frenetici, lo definirei quasi un turbinio soprattutto dal momento che questa volta è la serpeverde a finire contro il pianoforte spinta dal peso del mio corpo. È così che finisco per adagiare il mio petto contro la sua schiena, il bacino contro il suo, le mani le sfiorano il sedere per poi afferrarlo con fermezza - non riesco più ad aspettare - e la mia intimità è tanto vicino alla sua che basta un leggero movimento del bacino perché riesca ad entrare in lei. Ed è subito un sollievo trovarmi così unito a lei, la sensazione più piacevole che conosca. Faccio scorrere le mani giù dalle sue spalle, lungo le braccia, fino ad incontrare le mani poggiato sul pianoforte. Sembra di riuscire a riflettersi sulla vernice lucida dello strumento mentre le mie dita si intrecciano nuovamente con le sue e il mio bacino inizia a dettare un ritmo alternato, fra spinte più gentili ed altre decisamente più decise. Mollo la presa solo per un attimo, per scostarle i capelli e avere così la visuale sulla sua schiena libera, candida, percorsa dai segni rossi che io stesso le ho provocato. E questo la rende - ...bellissima - glielo dico sempre nei momenti come questo, perché qualsiasi altra parola risulterebbe superflua. Voglio guardarla, voglio vedere la sua espressione cambiare, il suo volto reagire a me, ad ogni mia spinta. Mosso da questo desiderio l'afferro dai fianchi ed interrompendo per un attimo quella connessione la costringo a voltarsi e guardarmi. Poggio la mia fronte contro la sua per tutto il tempo che impiego a sollevarla sul piano e così, mentre faccio scorrere le mani sul suo corpo, affondo nuovamente in lei mordendole le labbra.È un sapore dolce, è caldo, avvolgente ed è la dipendenza più sana che abbia mai avuto. Adesso sì, era questa l'espressione che volevo vedere, quella bocca schiusa che ansima per il mio tocco, lo sguardo quasi disperato a volere ancora di più, sempre di più, minuto dopo minuto.


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    Edited by .Moore. - 13/8/2023, 18:26
     
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    Lo aveva chiamato amore quando lo aveva visto a terra, in quel bagno, accasciato contro il freddo marmo del lavandino per farlo tornare da lei, per fargli capire che adesso avrebbero affrontato i loro demoni insieme. Perché ne avevano tanti. Aveva poi continuato a chiamarlo in quel modo non appena la sua mente viaggiava lontano a causa delle pillole che aveva ingerito, e aveva continuato così finché non si era addormentato tra le sue braccia, stremato, con il volto bagnato dalle lacrime. Aveva pianto anche lei, con lui, perché era così emotivamente coinvolta da essersi innamorata e glielo aveva detto, i suoi sentimenti erano traboccati, e non c'era felicità più grande del sapere che anche lui provava le stesse cose. Credeva, però, che quella parola non l'avrebbe più detta, invece si era ritrovata a chiamarlo ancora amore quando le aveva chiesto di stingerlo, manifestando il bisogno impellente di averla vicino al punto tale che respirare le risultava difficile. Il suo corpo tremava mentre affondava in lei con le dita, dandole piacere, gemette e spinse il bacino avanti assecondando ogni suo tocco. Gli strinse i capelli con le dita e gli diede un bacio sulla tempia quando nascose il viso nell'incavo del suo collo. Era così bello averlo così vicino a sé, sentire il calore del suo corpo, il suo respiro, il suo profumo e la sua voce che ripeteva amore. Gli graffiò la schiena quando le morse il collo e lo imitò, portando la mano sinistra su un gluteo per attirarlo contro di lei mentre lo baciava con foga, consumando le sue morbide labbra ed esplorando la sua bocca con la lingua finché non raggiunse l'apice. Solo allora si staccò, guardandolo con occhi leggermente socchiusi prima di sgranarli quando la frase "è reciproco" giunse alle sue orecchie. Aveva appena ammesso di amarla? Quanto erano forti i sentimenti che provava per lei? Gli gettò le braccia al collo e lo strinse con tutte le sue forze, perché mai, in tutta la sua vita, avrebbe mai pensato di poter avere un rapporto simile con qualcuno. Quante probabilità c'erano di trovare una persona così affine, una persona che riusciva a capirla con un solo sguardo, che rispettava i suoi spazi, lei, i suoi tempi, con cui poteva essere se stessa e, soprattutto, felice? Poche. Dannatamente poche. Con il cuore che batteva fin troppo forte, si avventò sulle sue labbra e le schiuse con la lingua, baciandolo profondamente, intensamente e a lungo, mentre ogni millimetro della sua pelle toccava la sua. Si staccò lentamente, ansimando, e gli sorrise con occhi sereni, sinceri, limpidi, pieni di un sentimento nuovo che Hunter le aveva fatto scoprire. Avrebbe voluto dirgli quelle due parole con sei lettere, ma aveva paura che, così facendo, si sarebbe svegliata di soprassalto per scoprire che quella felicità non era altro che un sogno. Chiuse gli occhi, appoggiò la fronte contro la sua e si lasciò cullare dal suo profumo. «Sì, sono stata fortunata ad averti incontrato.» Posò le labbra sulle sue. «Per questo non ti lascerò più andare.» E poi lo ribaciò con voracità, perdendosi in lui, prima di scendere lenta e dedicarsi al suo piacere, accogliendo la sua intimità tra le labbra. Si spinse a fondo, quasi sorridendo quando emise un suono strozzato, perché l'unica che poteva averlo in quel modo e godere di quella vista era solo lei. La ragazza di cui era innamorato. Continuò finché non le avvolse il mento tra le dita, scivolando via, e baciandola con veemenza mentre, frenetico, la tirava su e la voltava, facendola finire contro il pianoforte con la schiena rivolta verso di lui. Si morse il labbro inferiore quando la prese per i fianchi, anticipando ciò che, tra qualche istante, sarebbe avvenuto. Quando entrò in lei, schiuse le labbra e gemette, mentre con le dita intrecciate alle sue affondava in lei con spinte decise, e allora Daphne urlò completamente persa in quel piacere che solo lui era in grado di farle provare. Lo sentiva muoversi dentro di lei, creando quella connessione di cui aveva tanto bisogno per sentirlo solo suo, perché quando facevano l'amore era così uniti che quasi le sembrava di fondersi insieme. Portò una mano sul suo seno e l'altra giù, poco distante dalla sua femminilità. Poggiò la testa sulla sua spalla, gemendo e ansimando, poi girò leggermente il capo, gli leccò il collo e glielo morse. «Toccami di più.» Quando lo fece, perse definitivamente il controllo, andando incontro ai suoi movimenti e gemendo senza ritegno, nell'intimità della loro stanza. "Bellissima." Glielo ripeteva sempre e ogni volta lo ringraziava con un bacio sulla guancia, ma questa volta non fece in tempo perché la loro connessione fu momentaneamente interrotta. Cosa...? La voltò di scatto e il verde scuro dei suoi occhi la inchiodò sul posto per quanto erano pieni di lussuria. La sollevò e di istinto gli circondò la vita con le gambe, accogliendolo completamente e profondamente quando entrò di nuovo, e questa volta non gli avrebbe più permesso di allontanarsi. Gli prese il viso tra le mani e si avventò su di lui, baciandolo con foga mentre aumentava il ritmo e le spinte diventavano sempre più veloci e frenetiche, agevolate dal suo bacino che non smetteva di muoversi all' unisono con il suo. Lo strinse, bisognosa di averlo vicino, e sospirò quando si fece ancora più strada in lei, andando affondo, spingendola verso il limite. Inclinò la testa di lato, schiuse di più le labbra e gli permise di rendere quel bacio forse fin troppo profondo, perché non poteva fare a meno di imprimere ogni cosa di lui in lei. Così, quando si accorse che stava per scivolare via, serrò la presa con le gambe e lo bloccò, spingendolo con un movimento deciso, di nuovo, dentro di lei e sospirò soddisfatta, leccandosi le labbra lascivamente. Poi riprese a muoversi, godendo di quella connessione della quale non si sarebbe stancata mai.
    Dalla prima volta che erano stati insieme tra di loro non c'erano state barriere di alcun tipo, né fisiche né mentali, si era concessa a lui priva di difese anche nell'intimità, ma adesso voleva qualcosa in più, qualcosa che avrebbe sancito la totalità del loro rapporto. Ne aveva bisogno. Lo guardò con occhi languidi e gli sorrise. «Non fermarti.» Dapprima la osservò confuso, poi quando capì cosa intendesse, le strinse forte la gamba e affondò in lei quasi con violenza, spinto da una passione bruciante e da un desiderio carnale talmente forte che la lasciarono quasi senza fiato. Assecondò quelle spinte profonde e decise, si mosse insieme a lui, urlando di piacere per l'intensità con la quale la stava prendendo e poi lo baciò. Spinta dopo spinta la portò all'apice, ma non si fermò per farle riprendere fiato, continuò finché non arrivò anche lui al culmine. Gettò la testa all' indietro, graffiandogli la schiena e gemendo quando il suo calore si diffuse in lei, era piacevole sentirlo, e in questo modo il loro legame era diventato ancora più forte. Stremata, nascose il viso nell'incavo del suo collo e rimase lì qualche istante, poi alzò lentamente la testa e lo guardò, felice, sconvolta, innamorata. «Hunter» Gli circondò le spalle con le braccia e lo tirò verso di lei con le gambe. «voglio averti sempre così. Completamente.» Glielo disse a voce bassa, quasi fosse un segreto, una verità da non rivelare mai. Lo amava, si fidava e sapeva che sarebbe andato tutto bene. Perché era lui.



    Edited by Daphne. - 26/8/2023, 16:12
     
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    Le persone che mi hanno visto in questo stato, nella mia veste peggiore, possono contarsi sulle dita di una mano. Il fatto che Daphne faccia parte della lista è un qualcosa che non avevo previsto e che non avrei voluto che accadessero. Daphne è imprevista, da ogni punto di vista: tutto ciò che fa mi coglie alla sprovvista e quando penso di averla inquadrata, fa qualcosa per confondere le mie idee su di lei come se fosse sempre un passo avanti a me. A quel punto io devo camminare più rapidamente per raggiungerla, per starle accanto. Suona come qualcosa di complicato da fare eppure non mi costa alcuna fatica, non devo pensarci, sono naturalmente predisposto a muovermi verso di lei e raggiungerla qualsiasi faccia. Cosa farei se un giorno mi dicesse che non vuole più che provi a starle vicino? Cosa farei se decidesse di andarsene troppo lontano e i chiedesse di non seguirla? «Per questo non ti lascerò più andare.» ah, sì... che scemo. Può cancellare ogni dubbio soltanto con poche parole, può annullare ogni paranoia inutile che rischia di rovinarci il momento. In realtà sono molte le cose che mi riportano nel momento, la lista potrebbe cominciare con le sue parole, proseguire con i suoi che emette per concludere con le sensazioni intense che mi fa provare ogni volta che ci uniamo in questo modi. Non riesco ad immaginare come tutto questo possa mai stancarmi, anche perchè sembra soltanto che non possa smettere di volerne ancora, sempre di più.
    Con frenesia, con urgenza la costringo contro il pianoforte che adesso funge da appoggio e su cui dapprima punto le mani. Sento il calore del suo corpo avvolgermi quando entro in lei, respiro a pieni polmoni il profumo della sua pelle affondando il viso nel suo collo, tra i suoi capelli. Sono insistente mentre mi spingo in lei, più del solito, come se avessi raggiunto un nuovo livello di irrequietezza che mi fa pensare soltanto a quanto voglio tutto di lei, tutto ciò che si possa avere.
    Stacco le mani dal pianoforte pensando che troverò qualcosa di molto più interessante scorrendole sul suo corpo; la mano sinistra sale verso l'alto, passa sul su seno fino a quando non scorre lungo il suo collo. La destra invece si muove partendo dal bacino per poi scivolare in avanti e andarsi a posare sulla sua intimità così da darle il massimo piacere. Ho la vista annebbiata, mi sembra di riuscire a sentire il sangue scorrermi in vena mentre il respiro si fa sempre più pesante e segnato da quella sensazione elettrica, infinitamente piacevole. Ed è come in uno stato di trance che con i miei movimenti la costringo a girarsi verso di me per guardarla negli occhi, perchè voglio guardarla e voglio che lei mi guardi, voglio legarla a me. Quest semplice desiderio trasuda da ogni centimetro del mio corpo, da ogni mio movimento ora così ritmato ed irruento, si nota da come schiudo le mie labbra contro le sue e da come la mia lingua si intreccia alla sua in questo momento di piacere crescente. Abbraccio il suo corpo tremante e serro la mano sulle sue cosce con fermezza pronto a raggiungere il culmine. Allungo quel contatto finchè posso, finchè non arriva il momento in cui il buon senso mi dice che dovrei fermarmi. Ma i gesti di Daphne mi frenano: alzo lo sguardo su di lei, interrogativo, e ho la conferma delle sue intenzioni quando la sento stringere ancora la preso intorno al mio bacino, quando la sento mentre mi avvicina a sè non intenzionata a separarsi. Vuole spingersi davvero a tanto?
    - ti fidi così tanto di me?- è praticamente un sussurro basso e rauco, una domanda che non attende risposta perchè sono già tornato ad affondare in lei più freneticamente di prima, con insistenza e con forza. Una mano la trattiene dal collo, il pollice si insinua nella sua bocca, umida e piacevole, e la tiene aperta. La fronte si poggia alla sua, i nostri respiri si mischiano così come i suoni di piacere che emettiamo. Inizio a pensare che forse sia anche un po' di egoismo mentre prepotentemente accellero il ritmo di quelle spinte. Ancora un po', ancora un attimo. Fino a quando mi lascio andare e non raggiungo anche io l'apice, la generosa ricompensa che mi aspetta alla fine. E' caldo come non lo è mai stato. Dio. Nulla è come questo. Il mio petto si alza e si abbassa mentre riprendo aria con profondi respiri restando così, ancora in lei, complice anche la sua stretta che on ha ceduto di un millimetro. Chiama il mio nome e io amo quando lo fa - puoi avere quello che vuoi - le lascio una breve scia di baci sul collo, morbidi, un forte contrasto rispetto all'intensità di pochi attimi fa - puoi averlo anche subito - sancisco le mie parole con un bacio e nel mentre fuori continua a piovere. Non importa, ho tutto quello che mi serve qui dentro.

    Chiusa 😌


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