In memory ofTenuta della famiglia Moore, Atlanta

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    Non uso calendari, non ne ho mai vista l'utilità semplicemente perché un calendario ha senso se lo usi per annotarci qualcosa e io non lo faccio. Ho provato più volte a tenerne uno, magari per ricredermi, magari per costringermi a segnarci gli eventi importanti ma non ha mai funzionato, mi dimentico di annotare le cose e quelle rare volte che lo faccio mi dimentico di controllare. Paradossalmente per me è più facile tenere gli impegni a mente, fino ad adesso è sempre andata bene così. Poi c'è qualcosa che non mi piace nel funzionamento di un calendario, strappare via i fogli man mano che passano i giorni mi ricorda quanto tempo passa dagli eventi che ti segnano, lo rende più vero, te lo mette prepotentemente davanti agli occhi e per una persona come me è solo deleterio. Quando segno un impegno nel mio calendario mentale, più precisamente quando segno un impegno scomodo, conto i giorni che mi separano da quel giorno, le ore, i minuti, persino i secondi. E passo a figurarmeli in mente, a simulare ogni sguardo, ogni parola, ogni saluto fino a quando improvvisamente, come se venissi risvegliato da una sorta di lunga ipnosi, quel giorno non arriva. Cazzo, quando Emilie mi ha precisato che il piccolo party pensato dai miei nonni si sarebbe trasformato in una cena per commemorare la morte di mio padre, non ho saputo trovare neanche una parola per tirarmi indietro, un'argomentazione, niente. È stato come se per la prima volta il mio cervello si fosse finalmente spento. Ma no aspetta, non è stata la prima volta, mi è successo anche quando mi è stato chiesto di tenere un discorso al suo funerale, esattamente un anno fa. Salì su una basetta rialzata, gli occhi perfettamente asciutti, non era stata versata neanche una lacrima nemmeno di fronte agli sguardi pieni di pietà dei presenti. Forse sono stati proprio quegli sguardi a ad ammutolirmi: non volevo parlare a chi per me, in quel momento, provava solo pietà. Passai la parola a mia sorella e me ne andai. Era davvero necessaria la presenza di tutte quelle persone? La metà di loro, se non di più, avranno parlato con lui una sola volta nella vita e con grande probabilità, avranno parlato più al suo cognome che al suo nome; quando ti porti dietro una tradizione ed un rispetto coltivato negli anni, il tuo nome smette di essere quello è diviene un simbolo per alcuni, un'opportunità per altri. Per la maggior parte di loro. Mio padre è sempre stato così fastidiosamente disponibile da fare la parte dello scemo, fingeva, fingeva di non essersene accorto. Io l'ho sempre definita una grande perdita di tempo ma lui sembrava vederla diversamente, io non sono mai riuscito a capirlo e credo che l'unica che ci sia riuscita sia davvero mia sorella. È stato sfortunato ad avere una famiglia come la nostra, logicamente sarebbe così ma praticamente so che non lo avrebbe mai pensato.
    Rimando il momento più che posso finendo per preparare la valigia frettolosamente, piazzandoci dentro giusto quelle cose che mi servono per questo fine settimana. So già di aver preso qualcosa in più rispetto al necessario, ma so anche che se non lo avessi fatto sarei impazzito a cercarle. Io ci provo davvero a rimandare il momento, ad immaginare situazioni in cui l'evento verrà annullato ma alla fine arriva davvero, quello che fino ad ora sembrava solo una brutta prospettiva. Ho pensato di annullare tutto e riempirmi di droghe, magari anche fino a collassare piuttosto che venire oggi, avrei davvero preferito stare di merda per i fatti miei piuttosto che stare di merda qui, oggi, nella casa delle persone più ipocrite mai nate. Ancora una volta il viso di Emelie mi si è palesato in mente costringendomi a fare retromarcia... eppure per questa volta credo di doverla ringraziare. Mi è venuta un'altra idea, una migliore e meno nociva della droghe con cui altrimenti mi sarei riempito: ho chiesto a Daphne di accompagnarmi, di farmi da amuleto per questa sera e renderla sopportabile con la sua presenza. Lei non lo sa, non sa quanto mi avrebbe aiutato la sua presenza, le mancano delle parti fondamentali della storia che unite al mio modo di fare, non le avrebbero permesso di capire. La mia presenza questa sera è dipesa unicamente da lei, anche se questo lei non lo sa e probabilmente neanche lo immagina. Sono rimasto in sospeso a lungo prima di ricevere un suo sì e quindi ho tirato un respiro di sollievo sapendo che non avrei dovuto affrontare la cosa senza di lei. Mi ritrovo a fare pensieri strani, penso a come facevo prima che Daphne entrasse a far parte della mia vita e mi chiedo se questa possa essere chiamata dipendenza affettiva. Non passa giorno senza che ci sia un contatto, di volta in volta mi ritrovo a sorprenderla in biblioteca soprattutto e casualmente se si trova insieme a qualche concasato di sesso maschile. Non ho mai osato però dire qualcosa in proposito o lasciarmi andare a segni di gelosia troppo evidenti, memore dell'esperienza di quella maledetta festa di San Valentino mi sono rifiutato di replicare l'esperienza. In realtà non ne avrei neanche avuto motivo perché la serpeverde come sempre, come con tutti, non ha mai dato modo a nessuno di superare la soglia da lei imposta. Sono soltanto io che mi comporto come un deficiente rendendo palese il livello di confidenza che abbiamo forse anche più di prima. Il desiderio di averla vicino mi ha fatto pensare che invitarla qui sarebbe stata la scelta migliore, sarei stato io stesso ad accompagnarla se un impegno con mia sorella non mi avesse costretto a passare dalla Francia prima. Emilie ha trovato un diario, uno strano taccuino senza particolari indicazione, anonimo quasi. Alcune pagine sono illeggibili, altre bianche, altre strappate via, sembrerebbe solo da buttar via e senza nulla di particolarmente interessante all'interno, passerebbe del tutto inosservato se non lo avesse trovato in un doppiofondo nell'armadio dello studio di nostro padre, protetto da un incantesimo. Ci siamo chiesti se quelle pagine non nascondano più di quanto mostrano ma per adesso non siamo riusciti a venire a capo della cosa, affiorata in un momento che definirei simbolico. Abbiamo rimesso l'oggetto dove è stato trovato e siamo venuti a questa maledetta festa come ci aspetterebbe dai figli di Christopher Moore, il rispettabile Auror, con l'accordo di non dire neanche una parola a riguardo.
    Raddrizzo il colletto della camicia, parte di un completo nuovo di zecca che ho dovuto acquistare di recente, perché l'abito formale più adatto che avevo era quello del funerale e ho giurato che non lo avrei mai rimesso. - Che faccia - sbuffo contro lo specchio consapevole di avere l'espressione meno entusiasta del mondo, espressione che non mi sforzerò nemmeno di nascondere. Fuori dalla porta ad aspettarmi c'è Daphne e io le sono grato che alla fine abbia scelto di utilizzare quella metropolvere che le ho fatto recapitare insieme al mio invito. Per un attimo ho temuto di averla messa a disagio, ho temuto in realtà fino a quando non ho visto che era davvero qui, in carne ed ossa. Quando esco dalla stanza è vederla lì che mi fa cambiare repentinamente espressione, non si merita un'espressione torva da parte mia - fregatene del ritardo - le metto una mano sul fianco per avvicinarla a me e quindi dirle quelle semplici parole. È bellissima, come sempre. Mi sono fatto distrarre da lei e a causa del mio troppo entusiasmo, chiamiamolo così, abbiamo finito per tardare insieme; ho dovuto dedicarle del tempo, era un'esigenza ed un obbligo morale a cui non potevo sottrarmi. Mi ha fatto bene come sempre e mi è servito per dimenticare dove mi trovassi anche se solo per poco, una magia che solo lei è pochissime altre cose sono capaci di fare. Vorrei che questa sensazione durasse il più a lungo possibile, sarebbe una dose di tranquillità che mi aiuterebbe a superare la serata. Ahimè non appena percorro i corridoi larghi e scuri dell'enorme tenuta dei Moore, sento già ogni muscolo del corpo irrigidirsi e una voce nel cervello che mi dice di tornare indietro, infilarmi dei vestiti normali, prendere Daphne e andare altrove. Tormento il colletto come se fosse troppo stretto intorno al collo, mi guardo intorno come se la stessa vedendo per la prima volta ma questa carta da parati scura, il contrasto con le rifiniture bianche delle pareti che caratterizzano l'intera casa, sono dettagli che ho memorizzato e che da piccolo mi sembravano più affascinanti di adesso. Prendo Daphne sotto braccio affiancandola per le scale che portano al grande portone della sala principale, riesco già a sentirne il brusio man mano che scendo gli ultimi gradini - grazie per essere venuta, davvero - continuo a guardare dritto, come se mancassero pochi passi al patibolo. Potrei aggiungere qualcosa sulla natura dei miei nonni, tipo sul fatto che hanno una grande abilità nel trovare i punti deboli e usarli per farti sentire a disagio, tipo di ignorare le loro parole di troppo ma Daphne non ha bisogno di queste raccomandazioni, è abbastanza brava da cavarsela anche senza e avvertirla lo vedo come un insulto alla sua intelligenza. Si sente un brusio di voci, un pianoforte suona una musica che fa da sottofondo alla voce degli ospiti e adesso, varcata la soglia del portone aperto, è davvero arrivata quella data sul calendario ed è troppo tardi per tirarsi indietro. Come se fossero tutti dotati di un super udito, un gruppo di teste inizia a ruotarsi nella nostra direzione appena facciamo il nostro ingresso nel grande salone. Un paio sorridono malinconicamente, altri mi rivolgono cenni della testa, altri preferiscono bisbigliare qualcosa all'orecchio del loro accompagnatore. Quanto a me, mi limito a chinare leggermente il capo in risposta di non si sa precisamente chi. Nessuno di loro mi interessa, potrebbero sparire tutti e non batterei ciglio - per quanto mi riguarda, potremmo già andarcene - commento con una punta di sarcasmo, ma c'è molta verità in ciò che dico. E mentre parlo, quasi mi avesse sentito, incrocio lo sguardo di mia sorella. La sua espressione pare dire "eccoti, finalmente", parla chiaro e non perde tempo ad avvicinarsi a noi - è mia sorella - riesco giusto a dire a Daphne prima che questa sia troppo vicina a noi. Non ho ancora visto i proprietari di casa però, saranno in qualche angolo impegnati a fare qualche discorso sulla famiglia e sul lavoro, l'ennesimo, sempre la solita propaganda che in tutta sincerità mi fa solo venire la nausea.





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    Emilie Moore

    Sposto una ciocca di capelli dietro l'orecchio e aggiusto il vestito nero che sto indossando. Tra qualche minuto devo lasciare la stanza nella quale mi sono rinchiusa tutto il giorno a piangere perché la mia presenza è richiesta al piano di sotto, nella sala ballo in mezzo a persone che neanche conosco. Oggi è un anno che mio padre si è tolto la vita, è passato così tanto tempo eppure, per me, non è cambiato niente perché il vuoto che sento al centro del petto è sempre lo stesso. Il dolore della sua perdita non mi fa dormire la notte, mi sveglio tutta sudata con il volto rigato di lacrime e mi copro il viso con il cuscino per soffocare i singhiozzi e non farmi sentire da nessuno. Al suo funerale ho pianto, non sono nemmeno riuscita a fare un discorso in suo onore e così, da persona debole quale sono, ho passato il testimone a mio fratello che, invece, non ha versato neanche una lacrima. Mi sono rimproverata tante, troppe volte per la mia debolezza, per non essere riuscita ad essere una brava sorella maggiore, ma Hunter mi ha perdonato e alla fine l'ho fatto anche io. Sospiro, voltandomi e dirigendomi verso la porta, è arrivato il momento di uscire di qui. Giro la maniglia e attraverso la soglia, mi ritrovo in un lungo corridoio vuoto che non esito a percorrere. Conosco quella casa a memoria, ci ho passato l'infanzia qui, una felice, anche se da quando papà è morto cerco di venirci il meno possibile, anche perché so bene di non essere la benvenuta qui, non dai proprietari almeno. A volte mi chiedo se mio padre fosse davvero figlio loro, mi riesce difficile pensare che qualcuno di così dolce e coraggioso sia stato cresciuto da persone così fredde e ipocrite che tengono solo alle apparenze. Mi considerano di troppo e se mi hanno invitato a quella festa è solo perché, senza di me, Hunter non si sarebbe mai presentato. Ho pensato che non sarebbe venuto, quando gliel'ho chiesto mi detto di no ma, stranamente, ieri mi ha scritto che ci sarebbe stato perché la persona a cui aveva chiesto di accompagnarlo sarebbe andata con lui. Ho una vaga idea di chi possa essere, ma non pensavo che questa ragazza avesse un tale ascendente su di lui da determinare la sua presenza o meno a questo evento. Dev'essere molto preso, e non nascondo che un po' mi dispiace non sia successo con Emma, l'avevo dato quasi per scontato ma sono felice che qualcuno, oltre me, sia riuscito a fargli provare qualcosa di bello. Quando ci siamo visti stamattina non ho esitato nello stingerlo forte, mi è mancato un sacco e gliel'ho detto anche a parole, lui ha fatto lo stesso ma non mi ha sorriso. So che vorrebbe essere altrove, ma è importante che sfrutti le conoscenze dei nostri nonni per il futuro e che si faccia valere, deve essere forte e io lo sosterrò come meglio potrò in questo. Il motivo per il quale gli ho chiesto di incontrarci prima è per via di un diario che ho trovato nella studio di papà, era rinchiuso in una scatola nel doppiofondo dell'armadio protetto da un incantesimo e non so perché, ma ho sentito la necessità di prenderla e aprila, era come se quell'oggetto mi stesse chiamando. Non appena ho toccato la scatola, l'incanto di protezione è svanito e al suo interno ho trovato un diario impolverato dalle pagine sbiadite, illeggibili. Ho provato diversi incanti per poterne estrapolare qualcosa ma niente, è stato tutto inutile, così io e mio fratello abbiamo deciso di nasconderlo in un posto sicuro per ora. Nessun altro deve sapere della sua esistenza.
    Giro a destra e scendo una lunga rampa di scale, facendo attenzione a non cadere con i trampoli che mi ritrovo ai piedi. Passo davanti a numerosi quadri appesi alla parente che mi scrutano silenziosi, forse anche loro si chiedono cosa ci faccia io qui. Li ignoro, cammino più veloce e finalmente arrivo nella sala principale stracolma di gente. Entro con eleganza, salutando con un cenno del capo alcune vecchie conoscenze e, non appena un cameriere mi passa di fianco, lo fermo e prendo un bicchiere di champagne. Le mie labbra toccano il bordo, e senza esitare lo butto giù tutto d'un fiato. Mi servirà. Nel frattempo guardo insistentemente la porta in attesa che mio fratello la varchi e, quasi come per magia, lo fa con affianco una ragazza talmente bella da sembrare quasi finta. I nostri sguardi si incrociano e io gli sorrido. Senza perdere altro tempo mi dirigo verso lui e lo abbraccio, dandogli anche un bacio sulla guancia. - Andrà tutto bene. - Glielo sussurro e poi mi stacco da lui, osservando la sua accompagnatrice. Mi dà l'impressione di essere una ragazza fredda, anche il suo sguardo lo è, non è caldo come quello di Emma, ma non sono di certo tipo da fermarmi alle apparenze. - Tu devi essere Daphne, Hunter mi ha parlato di te. Io sono Emilie, benvenuta a villa Moore.- Le sorrido amichevole facendo gli onori di casa, mantenendo comunque un certo distacco perché la sto ancora studiando. Sono iperprotettiva con mio fratello e voglio assicurarmi che chi gli sta affianco lo tratti nel migliore dei modi. Nel corso della serata avrò modo di conoscerla meglio, quindi torno a guardare Hunter e non esito nel dargli una piccola comunicazione di servizio. - Emma non è potuta venire perché suo padre non si è sentito bene, ma ti abbraccia forte e mi ha detto che presto ti verrà a trovare. - Mi sono dimenticata di dirglielo stamattina presa da mille impegni, ma sono certa che gli faccia piacere saperlo. Da quel che so mio fratello ha mantenuto la sua promessa di scriverle, così come ha fatto con me, e questo mi ha reso felice. A parte me c'è un'altra persona che lo sostiene anche se lontana, e mi pare di capire che adesso ce ne sia anche una terza con Daphne. Gli prendo una mano e la stingo forte, ho bisogno di sentirlo vicino per affrontare ciò che ci aspetta perché a breve i nostri nonni sarebbero entranti e la festa in onore di Christopher Moore sarebbe ufficialmente iniziata. Come se mio padre avesse voluto questo. Mi mordo il labbro inferiore e chiudo di scatto gli occhi, non posso piangere adesso. Non lo farò. Ricaccio indietro le lacrime e fisso mio fratello che, ovviamente, è palesemente preoccupato per me. Gli sorrido e mi metto di fianco a lui, posando a terra il bicchiere vuoto che presto verrà raccolto da qualche elfo domestico.

     
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    Un pomeriggio, mentre era tra le sue braccia ad osservare le onde del Lago Nero infrangersi sulla terra ferma, Hunter le aveva chiesto di accompagnarlo ad un ricevimento che la sua famiglia avrebbe dato durante l'ultima settimana di aprile cogliendola alla sprovvista. Daphne aveva sgranato leggermente gli occhi, volgendo il viso di tre quarti per poterlo guardare in faccia e l'espressione sul suo viso aveva fatto scattare in lei dei campanelli d'allarme perché, per tutto il tempo che erano stati insieme, non l'aveva mai visto così. Ad un certo punto gli aveva preso la mano per assicurarsi che fosse ancora lì con lei, aveva lo sguardo perso nel vuoto ed era chiaro che la sua mente fosse da tutt'altra parte. Quando era tornato in sé, non aveva aggiunto altro ed era rimasto in attesa di una sua risposta ma Daphne, a differenza delle altre volte, non gli aveva detto subito sì perché una cosa era stare da soli in un cottage in Francia, e l'altra era andare insieme ad una festa ufficiale, in America, e conoscere sua sorella e i suoi genitori. "Devo pensarci" queste erano state le sue parole, prima di dargli un bacio sulla guancia e tornare a guardare l'orizzonte. Non aveva fatto domande perché tanto non le avrebbe risposto, aveva imparato a conoscerlo e quello non era il momento adatto per affrontare un certo tipo di discorso. Per due settimane aveva riflettuto sulla questione, non era una scelta facile, la sua, perché una volta varcata la soglia di quella casa la loro relazione sarebbe diventata troppo seria. Stavano insieme da quattro mesi, un tempo relativamente breve per ufficializzare, anche se indirettamente, il loro rapporto. Non era ancora pronta, forse perché quel passo avanti avrebbe concretizzato ciò che provava per lui, in qualche modo, e questo la spaventava, così come il fatto che, tra di loro, fosse tutto così naturale e intimo che non aveva letteralmente controllo su nulla quando si trattava di lui e, almeno in quel caso, voleva avercelo. Hunter non le aveva fatto pressioni di alcun tipo, non era da lui, eppure in quei giorni era scontante, a volte persino assente, e la cosa la preoccupava non poco. C'era qualcosa che lo tormentava, e spesso avrebbe voluto scuoterlo per farlo parlare, ma aveva desistito perché non sarebbe stato giusto obbligarlo quindi si era morsa la lingua e aveva lasciato perdere. Il suo mistero era rimasto tale. Il giorno prima della partenza non aveva ancora preso una decisione, ma quando l'aveva visto in serata, da solo, immobile sotto un albero gli era corsa incontro e lo aveva stretto a sé per assicurarsi che fosse ancora lì, con lei, perché le era sembrato che da un momento all'altro sarebbe potuto sparire per non fare mai più ritorno. Una sensazione di panico l'aveva invasa, così lo aveva baciato e gli aveva detto che sarebbe andata con lui, e quando, finalmente, le aveva sorriso, Daphne aveva capito di aver fatto la scelta giusta. Conoscendo Hunter ci doveva essere un motivo ben preciso per volerla con lui in America, la città natale di suo padre, la persona della quale faceva più fatica a parlare. A villa Moore ci sarebbe andata da sola perché il suo ragazzo in mattinata era andato in Francia dopo aver ricevuto una lettera da parte di sua sorella, doveva essere qualcosa di importante visto che, dopo averla salutata con un bacio, si era precipitato subito da lei.
    In quel momento si trovava nella stanza di una grande tenuta americana e aveva appena finito di allacciarsi le scarpe. Si guardò allo specchio, si spostò una ciocca di capelli biondi dentro l'orecchio e sistemò il tubino bianco che aveva indosso. Non aveva messo nulla di troppo appariscente, aveva optato per qualcosa di semplice ed elegante, così come il trucco. Erano in leggero ritardo, e per una come Daphne che era la puntualità fatta a persona, era un problema, anche perché era importante essere in orario per un evento di quella portata. Però, non appena era arrivata con la metropolvere, aveva trovato Hunter ad aspettarla e quando aveva incrociato il suo sguardo le era parso che avesse bisogno di lei, così aveva buttato via le valigie e gli si era gettata tra le braccia, baciandolo fino a non avere più fiato. Poi i vestiti erano volati via ed erano stati insieme. Sentì la porta del bagno aprirsi, si voltò e sorrise nel vedere il corvonero vestito di tutto punto. La raggiunse e l'attirò a sé, al che Daphne gli passò le braccia introno al collo e posò le labbra sulle sue in un delicato bacio. «Per questa volta credo proprio che lo farò.» Tanto erano solo pochi minuti. Lo prese per mano e si lasciò guidare in quella grande casa, testimonianza del fatto che Hunter facesse parte di una famiglia prestigiosa e dal sangue puro da generazioni, proprio come la sua. Tuttavia, non sapeva che lavoro facessero i suoi genitori né per cosa quella festa fosse stata data, non era a conoscenza di niente. Perché mi hai voluto qui? Con la coda dell'occhio lo vide allentarsi il colletto della camicia e nonostante apparisse calmo, la rigidezza delle sue spalle e il suo guardarsi attorno di continuo erano segnale di un certo nervosismo. Non era a suo agio, c'era qualcosa che non andava in lui, quella sera. In realtà era così da tutta la settimana. Che hai? La stava facendo seriamente preoccupare. "Grazie per essere venuta, davvero," a quelle parole si voltò di scatto e quando vide l'espressione di pura agonia sul suo volto, si fermò, costringendolo a fare altrettanto. Gli prese il viso con entrambe le mani e, dolcemente, lo avvicinò al suo. Gli sfiorò delicatamente una guancia con le dita e sfregò la punta del naso contro la sua, in un gesto d'affetto. «Non potevo lasciarti andare da solo.» Rimase in quella posizione finché non si calmò, poi si allontanò e lo riprese per mano; ancora qualche passo e sarebbero entrati nella sala principale. Quando lo fecero, Daphne assunse un'espressione neutrale, in quel tipo di ambiente era meglio non mostrare le proprie emozioni e lei lo sapeva bene visto ci era cresciuta in quel mondo sfavillante fatto di feste, balli e menzogne. Quello era il regno di sua madre, della regina dell'alta società inglese. «Respira, non agitarti. Sono con te.» Gli accarezzò il dorso della mano con il pollice e si fece più vicina per trasmettergli un po' di calore in quel luogo così freddo. Hunter guardava insistentemente diritto davanti a sé, lo imitò e vide una ragazza dai capelli castani che, con un sorriso sincero e quasi di corsa, stava andando verso di loro . Sua sorella. Si fece da parte quando lo abbracciò calorosamente e provò una fitta allo stomaco al pensiero che lei e Ludde sarebbero potuti essere esattamente così se quella donna non l'avesse ucciso per colpa sua, sua e di quel potere che non aveva mai voluto. Emilie le diede il benvenuto e Daphne sorrise cordiale, si era accorta che la stava studiando, un po' come aveva fatto suo fratello all' inizio. Doveva essere un vizio di famiglia. Le sembrava una ragazza a modo, socievole, ed era una, se non la persona più importante della vita di Hunter, e quando le disse che le aveva parlato di lei, non poté fare a meno di mostrare un sorriso sincero questa volta. «Ti ringrazio. Mi ha detto tante cose su di te.» Quando i suoi occhi si posarono sul ragazzo accanto a lei, addolcì lo sguardo e gli sfiorò la mano con la sua. Doveva essere bello avere qualcuno su cui poter fare sempre affidamento, come una sorella, e sapere che, qualsiasi cosa fosse successa, quella persona ti sarebbe stata vicino in ogni caso. Un tempo l'aveva anche lei, ma sua nonna non c'era più, era andata via. In un posto migliore.
    Due passi e il suo corpo fu di nuovo in contatto con quello di Hunter, si rilassò contro di lui, come faceva sempre, ma quando alle sue orecchie giunse il nome Emma, si irrigidì completamente. Andare a trovarlo? Abbracciarlo? Di chi stiamo parlando esattamente? In tutti quei mesi insieme, il corvonero non aveva mai, neanche una volta, accennato a questa ragazza, ma tra i due sembrava esserci confidenza. E anche troppa. La cosa non le piaceva affatto, soprattutto il non sapere che tipo di rapporto ci fosse tra loro. Il suo sguardo si freddò e per un attimo
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    sentì il ghiaccio scorrerle per le vene, lo stesso di tanti anni fa, e questo la spinse ad allontanarsi di qualche millimetro da lui. Prese aria, lentamente, guardando diritto davanti a sé, e solo quando fu certa di non avere più il gelo negli occhi, si voltò in sua direzione; la sorella era in difficoltà, lo erano entrambi, ma Daphne non sapeva niente della loro situazione. Non sapeva niente di lui. Cosa gli era successo? Che aveva? Perché stava così male? Erano troppe le domande senza risposta. Allungò una mano per prendere la sua e stringerla, intrecciare le dita e, dopo aver colmato quella stupida distanza che aveva messo, poggiare la testa sulla sua spalla. Di solito non si sarebbe comportata così ad una festa, ma con Hunter in quello stato non poteva fare altrimenti, il suo istinto di protezione ebbe la meglio e non lo avrebbe lasciato solo ad affrontare qualunque cosa lo aspettasse. Sarebbero stati insieme fino alla fine della serata.



    Edited by Daphne. - 4/5/2023, 01:26
     
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    È bello che Daphne mi assecondi, è bello che non mi corregga, non mi riprenda, non mi dica cosa fare. Parla sempre con una tranquillità tale da essere contaggiosa e io lascio che lo faccia, lascio che mi contagi perché mi fa sentire bene. Lei, Daphne, è l'unico caso su cui ho smesso di scervellarmi e farmi domande, non mi sono più chiesto perché con lei provi certe cose, perché mi riesce ad intrigarmi tanto, perché ho desiderato così tanto che fosse solo mia. Ho bypassato la fase dei quesiti con una rapidità ed una naturalezza che non mi appartengono, sono solito pormi domande fin quando non ottengo una risposta che mi soddisfi ma non stavolta. Accetto la cosa per quella che è... accetto la cosa per quella che è, un pensiero che non credevo che avrei mai fatto, non io che non so darmi pace.
    Eppure nonostante l'effetto calmante che la ragazza ha normalmente su di me, sembra che neanche la sua presenza basti a calmarmi e il mio disagio in questo posto che non avverto affatto come casa, è evidente. Sono contento che lei sia qui e non esito nel dirlo. Qualcosa però, nel mio tono di voce forse, deve averla turbata perché Daphne si ferma e mi ferma di colpo, si fa un po' più vicina per sottolineare che lei è qui, è presente e non mi abbandonerà stasera. Le sono veramente grato per avermi raggiunto oggi nonostante il poco preavviso, nonostante non le abbia dato molti dettagli sulla cosa - grazie - ripeto respirando profondamente con la fronte poggiata contro la sua. Ispiro il suo profumo, dolce, ed espiro lentamente chiudendo le palpebre. Quando le riapro lei è ancora lì di fronte a me, non si è mossa di un millimetro e continua a scrutare dentro i miei occhi per assicurarsi che l'ansia non prenda il sopravvento. Non so come fa, ma sembra che sappia esattamente come mi sento. Le sorrido per rassicurarla - va meglio adesso- sfioro le sue labbra con le mie prima di stringerle la mano e procede nuovamente verso la sala principale - andiamo -.
    Dicono che la cosa difficile in qualsiasi ambito sia iniziare e che dopo la partenza, il resto sia in discesa. Me lo ripeto ogni tanto, soltanto nelle situazioni particolarmente scomode come questa, mi fa sperare che dopo aver fatto il primo passo tutto ciò che ne seguirà sarà più facile da affrontare. Questo è uno di quei pensieri che mio padre troverebbe confortanti, riesco a figurarmelo mentre me lo dice. Guardo dritto davanti a me temendo stretta la mano della ragazza al mio fianco, ogni tanto mi volto a distribuire cenni di saluto vuoti e insignificanti ignorando invece gli occhi curiosi che si incollano a me e Daphne come se fossimo fenomeni da baraccone. Sono con te, mi sussurra. Io mi volto a guardarla negli occhi concretizzando che lei è davvero qui al mio fianco stasera e che probabilmente è solo grazie a lei se posso farmi andare bene la serata. In realtà un po' di merito mi tocca darlo anche all'altra persona che mi viene incontro non appena i nostri sguardi si incrociano, Emilie, che come di consueto mi riserva il suo saluto speciale e particolarmente caloroso condito da qualche parola di conforto, in vista dell'occasione particolare di stasera. Le spalle si rilassano mentre, guardando prima il volto di una e poi quello dell'altra, realizzo che ho qui tutto il supporto che mi serve per uscire vivo da questa serata. Mi servono loro, un paio di bicchieri alcolici e magari un po' d'erba, et voilè, la ricetta per salvarsi dalla follia. Le due si presentano con disinvoltura o forse, almeno epr quanto riguarda Emilie, ostentando più disinvoltura di quella realmente provata, giusto per celare il fatto che in realtà stia ancora cercando di capire chi è la persona di fronte a lei. Emilie non è una dai giudizi veloci, anzi, ci mette del tempo prima di esprimersi in merito ad una persona. Ne cerca sempre per primi i pregi e, spesso, ne trova in numero maggiore rispetto ai difetti. Nonostante ciò, sa riconoscere il buono nelle persone il che mi permette di fidarni del suo giudizio - non dirglielo, sennò si monta la testa - prendo un po' a punzecchiarla, come mio solito fare - e poi non le ho raccontato così tante cose. Solo che sei troppo apprensiva - questo scambio di battute con le persone che qui dentro mi sono più vicine, mi serve. Mi serve per concentrare la mia mente su una cosa sola anzichè permetterle di vagare come una pallina impazzita alla ricerca dei problemi, delle cose più scomode su cui riflettere, perchè a me piace autosabotarmi.
    - Spero nulla di grave - conosco Victor fin da quando ero bambino, fin da quando non ci siamo trasferiti in Francia. È sempre stato un po' più di un amico di famiglia, quasi uno zio, qualcuno su cui fare affidamento. Ho chiamato lui quando ho trovato il corpo di mio padre, lui subito dopo di me è stato il primo a scoprire della sua morte. Ricordarlo adesso è come ricordare una memoria che non mi appartiene... è come se mi tornassero in mente dei ricordi che non sono i miei. Scuoto la testa, torno alla realtà - va bene. Comunque le scriverò per informarmi - mi dispiacerebbe se Emma stesse attraversando un brutto momento. Lei c'è stata per me quando mi sono improvvisamente ritrovato senza un genitore, mi sembra il minimo esserci per lei se ne ha bisogno. Al momento però mi concentro sui presenti; per Emilie, emotiva com'è, essere qui stasera è ugualmente difficile, riesco a leggerglielo in faccia. Riesco a intravedere i suoi occhi gonfi quando si avvicina per affiancarsi a me. Allora mi avvicino ancora un po' a lei, le nostre spalle si toccano, mi assicuro che mi senta - facciamo un giro, salutiamo e vediamo di finire la serata velocemente. Ok? - le rivolgo uno sguardo alla ricerca di una conferma. Non è necessario che restiamo qui più del dovuto, possiamo benissimo togliere il disturbo dopo esserci esposti per un po', proprio come vogliono tutti, proprio come vogliono i nostri nonni. Alla mia sinistra invece c'è silenzio, un po' troppo, ed inoltre sento la presa di Daphne farsi un po' meno certa, come se la sua mano stesse scivolando via dalla mia. È un attimo, una specie di brevissima e strana distanza che la serpeverde colma nuovamente stringendo ed intrecciando la sua mano con la mia. Abbasso lo sguardo su di lei, la studio, curioso: forse me lo sono immaginato? Forse è a disagio?
    - che ne pensi se prendiamo qualcosa da bere?- le mie dita stringono un po' più forte le sue. Ci serve una distrazione, è inutile restare qui come se fossimo in attesa della sentenza della sentenza di morte.



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    Lawrence Moore

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    Lawrence e la moglie Evelyn avevano sempre organizzato eventi sociali di svariato tipo e avevano accolto nella loro casa innumerevoli nomi del mondo magico; ministri, professori, auror. Quest'ultimi costituivano un buon settanta per cento degli invitati poiché la famiglia Moore aveva la maggior parte delle sue conoscenze proprio lì, tra gli auror, stimati colleghi da ormai troppi anni. Dopo il suo ritiro, Lawrence non interruppe mai i rapporti con chi aveva devoluto alla sua vita alla famosa "giusta causa", un concetto relativo ma in cui l'uomo credeva fortemente. Tuttavia quel tipo di legame non poteva basarsi solo su motivazioni tanto astratte; per quanto pure, le buone cause nella concezione dell'uomo non avevano mai creato basi troppo forti per un legame. Esso doveva basarsi su un dare e avere, chiedere ed ottenere, uno scambio insomma, una ragione di convenienza ancora più valida per quei continui eventi organizzati dalla famiglia Moore: la discendenza. Non era un caso se la stragrande maggioranza dei partecipanti non solo apparteneva a famiglie di auror ma anche di purosangue, perfetti dunque per mantenere una discendenza impeccabile. Talvolta l'uomo giustificava a sé stesso le sue stesse scelte e in questo caso, di diceva che quello potesse essere visto come il suo piccolo contributo per ripopolare il mondo di maghi forti e capaci, impeccabili, cavalli da corsa selezionati con attenzione su cui poter scommettere in sicurezza. Lawrence però non si era mai abbassato ad un gesto di poca classe quale discriminare mezzosangue e nati babbani su piazza pubblica, la considerava una barbarie, era un discorso totalemnte diverso che lo avrebbe fatto somigliare vagamente ad un dittatore, posizione con cui non voleva identificarsi. Fatta questa premessa, risulta facile immaginare perché non si fosse mostrato particolarmente eccitato all'idea che il suo unico figlio maschio si mischiasse ad una donna dalla provenienza sospetta, purosangue, certo, ma dalle scelte di vita opinabili. La donna tuttavia aveva superato ogni pressione psicologica a cui Lawrence l'avesse sottoposta, una sorta di interrogatorio non ufficiale il cui scopo era quello di capire se Chloe, questo era il suo nome, avesse preso le distanze dagli errori svolti dalla sua famiglia in gioventù. Non bastava che fossero Mangiamorte pentiti ormai da diversi anni, poichè il patriarca della famiglia Moore riteneva che la mela non cadesse mai troppo lontana dall'albero e che quindi, un giorno, nonostante a detta loro la figlia fosse cresciuta in una casa normale ed amorevole, anche lei avrebbe rivelato la sua vera natura. Una sensazione che lo aveva sempre accompagnato e che il tempo aveva rivelato essere vera. Una vergogna, un'ironia amara aveva voluto che il figlio Cristopher, ovviamente auror anch'esso, si sposasse con una donna che anni più tardi sarebbe stata rinchiusa ad Azkaban per ciò in cui credeva. Forse per la prima volta in vita sua, Lawrence non fu contento di aver avuto ragione sul conto di qualcuno.
    Camminava per la sala distribuendo affabili sorrisi ai suoi ospiti e tenendo a braccetto Evelyn, la sua compagna di vita. Controllò l'orologio da taschino per verificare qualcosa di cui già era certo: suo nipote, il nipote maschio, era in ritardo. L'uomo lanciò allora un'occhiata eloquente ad Emilie, la sorella del giovane, proprio dall'altra parte della stanza; se c'era un compito in cui Emilie era utile, era proprio quello di riportare all'ordine suo fratello che sembrava ascoltare solo lei e le sue richieste. Non avrebbe mai accetato di presenziare a questa serata se non fosse stata proprio lei a porgli l'invito, una scelta strategica quindi che approfittava delle debolezze di Hunter. Il ragazzo possedeva una certa dose di imprevedibilità e squilibrio, entrambe caratteristiche ereditate dalla madre, che riuscivano ad indisporlo rendegoli così la comunicazione per nulla semplice. In pratica i due non si erano mai capiti, non avevano mai compreso l'uno l'esigenze dell'altro nè in verità sembravano molto interessati a farlo. D'altronde non importava, Hunter aveva già la strada ben delineata di fronte a sé, volente o nolente che fosse.
    Il Moore teneva sott'occhio la porta d'ingresso così che sarebbe stato facile individuare il nipote una volta che avesse finalmente deciso di presentarsi alla serata. Sapeva già cosa dire, come agire, come rivolgersi a lui ma quello che l'uomo dall'aspetto autorevole non poteva sospettare, è che il ragazzo non sarebbe affatto passato inosservato, non con una giovane donna ad accompagnarlo nel suo ingresso. Inaspettato, al punto da essere quasi oltraggioso perché nessuno lo aveva aveva avvisato di questo cambio di programma. Assottigliò lo sguardo, ora concentrato tutto sulla ragazza al suo fianco. Chi era lei per poter poter prendere parte ad un evento come questo?
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    «Evelyn» una voce sussurrata all'orecchio richiamò l'attenzione della donna fino a quel momento occupata a fare gli onori di casa. Evelyn aveva tutte le caratteristiche delle donne dell'alta società, elegante, composta, dallo sguardo severo e giudicante, lo stesso che stava rivolgendo proprio all'estranea che il nipote aveva portato in casa sua. La donna non era mai stata una di molte parole, preferiva esprimersi solo quando lo riteneva davvero necessario lasciando che fosse il suo sguardo esaustivo a parlare per lei. Quando però decideva di esporsi, spesso riusciva a sorprendere per la durezza o, al contrario, per l'estrema gentilezza dei toni: Evelyn era, infatti, una personalità difficile da inquadrare richiedeva tempo per essere scoperta e non poca pazienza. Quasi fosse la sua consigliera, con voce suadente e piena, parlò al marito «và ad accoglierli» e dopo aver pronunciato parola tornò ad occuparsi dei suoi ospiti così come aveva fatto fino a quel momento. Consapevole del fatto che la moglie li avrebbe raggiunti più tardi, Lawrence si allontanò dirigendosi con passo sicuro verso il nipote e la sua accompagnatrice, che nel mentre avevano attirato l'attenzione dei presenti. Ovviamente, il figlio di un defunto Moore è sempre oggetto di attenzione. Sorridente e severo nella posturo, l'uomo si avvicinò al gruppetto da tre e porse loro la parola «Hunter, eccoti finalmente, ben arrivato» al nipote era sempre riservato un atteggiamento cordiale, perché la gentilezza non era mai troppa quando la priorità era tenere vicino i membri della famiglia in modo da poterli indirizzare in maniera corretta. Non costringere, solo condurre sulla strada migliore per loro «insolito vederti con un'accompagnatrice» una mano si erge verso la ragazza nel tentativo di riservarle un baciamano in segno di cortesia «benvenuta alla tenuta dei Moore, signorina. Chi ho il piacere di ospitare?» nella sua voce non vi è ostilità, non vi è ironia, solo gentilezza e circospezione ovvero le stesse sensazioni trasmesse dallo sguardo che vagava adesso sui due fratelli. In particolare su Emilie che, sicuramente sotto richiesta del fratello, non aveva fatto cenno alla presenza della ragazza. Le sorprese non sono mai state particolarmente apprezzate e questa non faceva eccezione, ma il Moore dovette dissimulare e continuare ad ostentare le sue buone maniere da padrone di casa «stasera qui con noi c'è anche il capo degli auror della divisione americana. È qui con tutta la famiglia» il che lasciava intendere che anche la figlia fosse presente e da quanto gli sembrava di ricordare, i due erano praticamente coetanei «ti consiglio di andare a salutarli quando hai un attimo» ancora una volta, Lawrence rivolse lo sguardo ad Emilie e poi nuovamente sul ragazzo «più tardi terremo un discorso in onore di vostro padre» le labbra si incurvarono in un sorriso triste, facilmente definibile di circostanza. Non importava che i suoi nipoti avessero o non avessero voglia di essere lì quella sera, la loro presenza, soprattutto quella di Hunter, era un simbolo e in quanto tale, era necessario per mandare un messaggio che fosse forte. Nonostante la sua perdita, la famiglia Moore avrebbe continuato ad inseguire gli stessi ideali a cui portava rispetto ormai da decenni, questo non sarebbe cambiato, il loro ruolo non sarebbe cambiato. «Signorina» un cenno del capo servì per rivolgersi alla ragazza bionda che affiancava il nipote «spero le resti un buon ricordo di villa Moore» quello voleva essere un modo elegante per sottointendere che non ci sarebbero state altre sorprese, antri incontri inaspettati, non in casa sua. Dopo l'errore fatto con Chloe, Lawrence avrebbe prima studiato molto più attentamente le persone che sarebbero entrate fra quelle mura, fosse anche solo per una notte. Con un ultimo sguardo ai tre l'uomo si congedò per tornare dalla sua Evelyn. Avrebbe continuato a tenere gli occhi su quella strana situazione deciso ad avere le idee molto chiare prima della fine dell'evento.




    In questa role userò il profilo di Kynthia per muovere i nonni di Hunter, PNG.
     
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    Emilie Moore

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    Anche adesso che Hunter è arrivato sento su di me lo sguardo di mio nonno, Lawerence Moore, che mi ha invitato a questo ricevimento solo per assicurarsi che l'erede maschio vi partecipasse. Non servo a nient'altro che a lo questo, eppure vorrei ricordargli che mio padre, suo figlio, mi amava sopra ogni altra cosa, ma non sarebbe servito a niente perché, per lui, sono e sarei sempre stata una nullità. Incrocio il suo sguardo per un istante, prima di voltarmi lentamente e raggiungere mio fratello accompagnato da Daphne. Lo saluto come di consuetudine, poi mi presento alla sua accompagnatrice e le dedico un sorriso sincero dandole il benvenuto. La osservo e da vicino devo ammettere che è ancora più bella, ma ciò che mi interessa è capire come questa ragazza sia riuscita a conquistare Hunter perché lo vedo che è preso, me ne accorgo dal modo in cui stinge la sua mano. - So che parli spesso di me perché ti manco, puoi dirlo, non mi offendo mica. - E' un bene che riesca ancora scherzare in una situazione come questa, almeno non sono scoppiata a piangere davanti a tutti non appena ho varcato la soglia di questa maledetta sala da ballo. Non sopporto gli sguardi pietosi della gente qui dentro, sono tutti degli ipocriti e la maggior parte nemmeno conosceva mio padre, quindi che sono venuti a fare? Ah giusto, perché il capostipite di una delle più importanti famiglie americane ha richiesto la loro presenza. - Non sono apprensiva, mi preoccupo solo per te!- Metto il broncio e giro la faccia dall'altra parte, fingendomi offesa, ma non passa molto prima che mi alzi sulle punte per dargli un bacio sulla guancia. Mi comporto come sono solita fare quando siamo soli per fargli dimenticare, anche solo per un istante, il motivo per cui siamo qui. - Non farci caso Daphne, è sempre così tra noi. - Le sorrido e lei fa lo stesso, è una ragazza a modo, su questo non ci sono dubbi, però mi chiedo se qualcuno di così freddo e posato possa essere la persona giusta per mio fratello. Ho sempre pensato che Emma fosse più adatta a lui, ma questo è solo un mio parere, non per questo lo obbligherò a mettersi con lei o tratterò male la sua ragazza; se Daphne è quella che vuole, rispetterò le sue scelte come ho sempre fatto. - Non so i dettagli ma niente di grave per fortuna.- Emma non mi ha detto cos'avesse esattamente suo padre, so solo che non è venuta qui per questo. Victor ci è stato vicino dopo tutto quello che è successo l'anno scorso e sono passati mesi dall'ultima volta che l'ho visto, non ho appena ho un po' di tempo lo andrò sicuramente a trovare, mi mancano le nostre lunghe chiacchierate. - Ne sarà felice.- C'ero anche io quando ha ricevuto una sua lettera e il sorriso a trentadue denti che ha fatto quando ha scoperto chi era il mittente, lo ricordo bene. Le emozioni che prova le si leggono in faccia, in questo siamo simili perché lo sguardo preoccupato di Hunter mi fa capire che non sono riuscita a nascondere il mio dolore neanche questa volta. Sono sempre così debole e dipendente dagli altri, quando imparerò a cavarmela da sola? Gli stringo la mano e annuisco alle sue parole. - Sì, di stare qui proprio non mi va. - Sono stata io a insistere affinché venisse, ma solo per sfruttare le conoscenze dei nonni e riuscire in qualche modo a staccarci dalla loro influenza perché più vado avanti e più voglio fuggire da questa casa. Un tempo l'ho amata, così come ho amato mio padre e mia madre... Scuoto leggermente la testa e mi ricompongo, è inutile pensare al passato, devo vivere il presente per quanto possa fare schifo.
    Da quando ho parlato di Emma, Daphne non ha più detto una parola. Mi giro per assicurarmi che vada tutto bene ma una voce che riconoscerei tra mille giunge alle mie orecchie e mi fa bloccare. Il nonno è lì, a pochi passi da noi, ci guarda, mi guarda, ma si comporta come se non esistessi. Si rivolge a Hunter e poi a Daphne e dal modo in cui la osserva mi accorgo che la sta studiando, vuole capire chi ha davanti. Non si aspettava di certo che suo nipote venisse accompagnato, odia essere preso alla sprovvista e sapere di averlo messo in difficoltà non rivelandogli quel piccolo dettaglio mi fa sorridere compiaciuta. Continua a parlare e a porre false domande di cortesia, mi chiedo se la bionda sappia leggere tra le righe perché mio nonno sa essere molto insidioso. Come adesso, che invoglia Hunter ad andare dal capo degli Autor perché ha già deciso che quello sarà il suo futuro. Scuoto impercettibilmente la testa di fronte alla sfrontatezza di quest'uomo, davvero crede che tutto andrà come vuole lui? Non ci conosce, per lui siamo solo strumenti, o meglio mio fratello lo è perché io, ai suoi occhi, sono una nullità. Stringo i pugni quando parla di un discorso in onore di nostro padre... Cosa vuole dire? Sento Hunter irrigidirsi così gli prendo la mano e gliela stringo forte per sostenere sia lui che me. So che è nervoso per ciò che il nonno dirà e adirato dal fatto che mi ha ignorato persino di fronte a Daphne che, comunque, riceve un trattamento solo in apparenza migliore perché prima di congedarsi si è augurato di non doverla più vedere. Non so come reagirà Hunter e non so nemmeno come si sente la sua ragazza, non la conosco bene, ma so come mi sento io e il tutto si riassume con due parole: uno schifo. Vorrei essere altrove, lontano da qui, e quasi non gli lancio una fattura a mentre se ne va. Un tempo volevo il suo affetto, il suo amore, poi ho capito che non ne vale pena e ad oggi sopporto la sua presenza solo perché sono,anzi siamo, ancora economicamente dipendenti da lui. Sospiro e mi volto verso mio fratello con espressione preoccupata e mi avvicino affinché le nostre spalle si tocchino. - Sto bene, non preoccuparti. Non mi importa più. - Essere notata da lui. Cerco di tranquillizzare Hunter con quelle parole, non mi va che stia male per me. Mi dispiace anche che Daphne debba assistere a tutto questo e che il nostro primo incontro sia avvenuto in circostanze così spiacevoli,ma sono sicura che sapesse a cosa andasse incontro quando ha deciso di venire, no?



    Edited by Ellen. - 13/5/2023, 19:17
     
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    Sorrise appena davanti al simpatico battibecco che Hunter stava avendo con la sorella, le sarebbe piaciuto scoppiare a ridere e prendere le parti di uno dei due ma non ci riuscì, il viso di Ludde era perennemente nella sua testa e il senso di colpa era sempre lì, a ricordarle perché fosse morto e per mano di chi. A inizio maggio avrebbe guardato negli occhi la donna che le aveva portato via tutto, sua madre. Non sapeva se era pronta, non era abbastanza forte da impedirle di leggere nel pensiero e l'ultima cosa che voleva era che scoprisse della sua relazione con Hunter. Avrebbe sfruttato la cosa a suo vantaggio, e Daphne voleva tenere quella donna lontana dal ragazzo di cui... dal ragazzo con cui stava. «Non badate a me, continuate pure.» Non aveva problemi nel farsi da parte e lasciargli un po' di spazio, sapeva quanto Emilie gli fosse mancata. Le aveva parlato di lei qualche volta ed era esattamente come l'aveva descritta: solare, simpatica e gentile. Anche lui era gentile, a volte fin troppo, ma quello era un lato del suo carattere che le piaceva, lo diversificava dal resto della popolazione maschile di Hogwarts. Poco dopo si era avvicinata a lui, ma la conversazione aveva preso una piega strana e una certa Emma era stata nominata. Le si era gelato il sangue nelle vene nell'apprendere che tra Hunter e questa ragazza ci fosse uno scambio di lettere e, a quanto pareva, conosceva anche i suoi genitori. Era vicina alla sorella, voleva abbracciarlo e il suo ragazzo era preoccupato per lei. Perché non gliene aveva mai parlato? Aveva qualcosa da nascondere? Da quanto tempo si conoscevano? Sempre più domande iniziarono a formarsi nella testa, ma quello non era il momento adatto per fargliele, avrebbero affrontato l'argomento più avanti perché delle spiegazioni gliele doveva. Adesso, quello che più contava, era stargli vicino. Intrecciò le dita alle sue e gli sorrise quando si rivolse a lei, non mancando di spostargli un riccio ribelle dal viso come faceva sempre per fargli capire che andava tutto bene. Stava per rispondere alla sua domanda, ma vennero raggiunti da una terza persona che aveva tutta l'aria di essere il padrone di casa. Daphne osservò ogni suo movimento, dal modo in cui parlava a quello in cui camminava, e si fece subito un' idea. Raddrizzò la schiena e assunse un'espressione neutra, di uomini come lui ne aveva visti a bizzeffe nei ricevimenti dati da sua madre ed erano della peggior specie. Dapprima si rivolse ad Hunter e poi a lei manifestando, in maniera alquanto sottile, la sua sorpresa nel vederla lì. Considerando l'età doveva essere il nonno, e il nipote non l'aveva informato della sua presenza. Perché? Cos'era esattamente questo evento a cui aveva partecipato? Non sapeva niente, a parte il fatto che il corvonero avesse bisogno di lei, e il modo in cui l'aveva ringraziata in corridoio era solo un'ulteriore conferma. Allungò elegantemente una mano in sua direzione per permettergli di baciarla e sorrise cordiale, se credeva di intimidirla si sbagliava di grosso. «La ringrazio per il benvenuto, anche Emilie è stata gentile nel farlo.» Non aveva degnato neanche di uno sguardo la nipote da quando era arrivato e Hunter le stringeva così forte la mano che le era quasi impossibile muoverla. Una volta ritratta la sua in seguito al baciamano, si fece ancora più vicina, forse il calore del suo corpo l'avrebbe aiutato a rilassarsi anche se la situazione non sembrava essere delle migliori. Cosa sta succedendo qui? «Daphne Andersen, e lei è?» Gli chiese con educazione il suo nome, ma tra le righe ci tenne a fargli sapere che neanche lei aveva idea di chi fosse visto che il suo ragazzo non gliene aveva mai parlato. Non aveva un bel rapporto con lui? Lo odiava? Non ci stava capendo niente, però nascose la sua confusione dietro una maschera di indifferenza e falsa cordialità. Mai mostrare le proprie emozioni in una stanza piena di avvoltoi, era la prima regola. Capo Auror della sezione americana? Quanto prestigio ha la tua famiglia, Hunter? Perché non mi hai mai detto niente? Conosceva il suo sapore, il suo calore, il suo tocco, sapeva quando era triste, felice o agitato, cosa gli piacesse e cosa no, sapeva tante cose di lui, ma poteva dire di conoscerlo davvero senza sapere niente del suo passato? Le mancavano dettagli importanti su suo padre, sua madre e anche sui suoi nonni a questo punto. Quando poi il Sig. Moore accennò ad un discorso in onore di suo figlio per poco non si girò di scatto verso Hunter, ma mantenne la sua maschera di cera e si limitò nel guardarlo con la coda dell'occhio. Per la prima volta non riusciva a decifrare le sue emozioni, ne stava provando troppe tutte assieme. Non sapeva che dire, né cosa fare, a parte mettergli una mano sul braccio e accarezzarlo dolcemente con un movimento dall'altro verso il basso. Pesandoci, di suo padre difficilmente parlava e, quando lo faceva, era sempre in difficoltà quasi come se il suo ricordo... Sgranò impercettibilmente gli occhi e rimase immobile per qualche secondo mentre una nuova consapevolezza si fece strada in lei. Era morto. Adesso tutto aveva più senso: il discorso in suo onore, il dolore negli occhi di Hunter, le parole dette a metà, lo sguardo nel vuoto, il non voler essere qui stasera. Per questo aveva bisogno di lei, per non crollare sotto il peso di sguardi estranei posati su di lui, di condoglianze non sentite, di falso conforto, falsa condivisone. Nessuno, a parte le persone coinvolte, avrebbe mai potuto realmente capire il dolore di quella perdita, nemmeno lei perché un padre non l'aveva mai avuto. Sapeva, però, quanto facesse male perdere qualcuno che hai amato, sotterrarlo e vederlo morire davanti ai tuoi occhi mentre tu sei lì, inerme, senza poter far niente per salvarlo. Il cuore le martellava nel petto, avrebbe voluto trascinare Hunter fuori da quella sala e stringerlo a sé, baciarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene, ma non poteva, non davanti a quell' uomo che la stava mettendo alla prova in attesa di suo passo falso. Così, nonostante il bisogno impellente di buttare le braccia al collo al ragazzo che aveva di fianco, si mostrò controllata e per niente scossa dalle sue parole. La Daphne con cui stava avendo a che fare era quella cresciuta da Ellen Blackwood, non Ginevra Taylor. E se c'era una cosa che sua madre le aveva insegnato era come comportarsi nell'alta società e avere il controllo, sempre, in tutto. «Sicuramente. Spero di rivederla presto.» E con quello gli comunicò che, di lasciare il nipote, proprio non ne aveva intenzione. Con un cenno del capo si congedò e, solo quando fu sufficientemente lontano, guardò Hunter. Addolcì lo sguardo e, lentamente, gli mise una mano sulla guancia esercitando un lieve pressione per farlo girare. Di nuovo quel dolore, quel vuoto, quel tormento. Si avvicinò quel tanto che bastava per poggiare la fronte contro la sua e respirare la sua stessa aria mentre, in un gesto delicato, portò la mano che stringeva la sua sul suo petto, all'altezza del cuore, per farne sentire il battito. Si era accorta di quanto spesso si focalizzasse sui dettagli, quelli che pochi notavano, sui suoni, anche i più flebili, quando erano all'aperto per rilassarsi e con quel gesto cercò di fargli capire che era lì, con lui, e che aveva il suo sostengo. Sempre e comunque. «Respira con me.» Insieme, dovevano farlo insieme. Passarono dei lunghi istanti, con lei che lo guardava negli occhi e gli accarezzava il viso e lui che, semplicemente, respirava. «Non andare.» Non in quel modo dove spesso ti rifugi, lontano da tutti, perché lì non so ancora come raggiungerti.


    Edited by Daphne. - 18/5/2023, 14:00
     
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    - Mh, certo - dall'alto del nostro dislivello di altezza continuo a smentire Emilie silenziosamente, che insinua che mi sia mancata in questo periodo distanti. In realtà nonostante non lo dia a vedere, la cosa in parte è vera; la presenza di Emilie mi ha sempre conferito una sorta di equilibrio in più che in determinate situazioni, si è rivelato essere fondamentale. È un viso amico, fidato, uno dei pochissimi e almeno con lei posso essere al cento per cento me stesso e non devo trovare per forza qualcosa da dire o da fare. Possiamo anche passare le giornate in silenzio, nella stessa stanza, ognuno a farsi gli affari propri e andrebbe benissimo. Rimango ad osservare anche la faccia imbronciata che mette su ogni volta che dico qualcosa di vero ma che non le piace ammettere e qua, riesco anche a ridere. È la stessa faccia di quando era bambina, non so perché mi stia tornando tutto quando in mente adesso... sarà questa casa che mi riporta un po' indietro nel passato, fortuna vuole che il mio cervello ogni tanto mi aiuti riportando alla memoria solo le cose positive. L'intervento di Daphne in qualche modo evidenzia ulteriormente l'interazione singolare fra me e mia sorella ed è per me una piccola realizzazione di quante io e lei siamo effettivamente vicini. A volte me ne dimentico, è una cosa che do fin troppo per scontato ma in rare occasioni come questa, realizzo che sono davvero fortunato ad avere Emilie accanto. Ovviamente tutto questo rimarrà solo nella mia testa, sono convinto che basterebbe per farla piangere.
    Apprendo della notizia su Victor e non nascondo una certa preoccupazione per la cosa, preoccupazione che comunque dura giusto il tempo di capire che non sembra essere nulla di grave. Conoscendolo si starà opponendo al volere di Emma, deve essere sua l'idea di non prendere parte all'evento per questa sera perché se fosse stato per Victor, si sarebbe presentato anche con un febbrone da cavallo pur di commemorare il suo fidato amico. Forse io ed Emilie possiamo fidarci solo di lui e forse, potrebbe essere proprio lui la persona giusta per far luce sulla questione del diario. È una preoccupazione che per adesso metto da parte, sono costretto a farlo per il mio bene e per quello di chi stasera mi sta accanto.
    L'atmosfera si rilassa appena; cerco ancora di capire a cosa fosse dovuta la momentanea assenza di Daphne ma per adesso, sembra che ce la stiamo cavando. Basta poco però per sentire di nuovo l'aria farsi pesante, le pareti farsi opprimenti, lo spazio diventa claustrofobico e tutto a causa dell'uomo che ci viene incontro e freddamente ci rivolge i suoi saluti. Lo guardo mentre si avvicina a noi e mi limito a continuare a fissarlo quando mi da il suo benvenuto, interessato e freddo. Non perde tempo, chiede immediatamente a Daphne di presentarsi e lei raddrizza la schiena e mettendo su un'espressione che definirei fiera, risponde, senza esitazione - tenevo al fatto che fosse con me, questa sera - è la prima cosa che gli dico, senza abbassare lo sguardo nè tanto meno mostrare il disagio che provo in sua presenza. Continuiamo a puntarci, entrambi sappiamo che il nostro rapporto non è propriamente dei migliori ed entrambi sappiamo che stiamo comunicando soltanto per amore dell'apparenza - li ho già conosciuti in passato. Non vorrei rischiare di risultare disperato con la mia insistenza - il suo sguardo si fa lievemente più severo, lui la prende come una mancanza di rispetto immensa quella di disobbedire ad un suo consiglio, che poi consiglio non è. Faccio scivolare una mano dietro la schiena di Emilie, che sento farsi più rigida giusto un passo dietro di me. Non permetto che continuino a riservarle questo trattamento. Lei non deve stare dietro di me, mai, ecco perchè la spingo delicatamente affinchè sia costretta ad avanzare di un passo, proprio qui dove Lawrence può vederla meglio. Purtroppo però quest'uomo riesce a prenderci fastidiosamente alla sprovvista, entrambi, menzionando un qualche discorso dedicato a nostro padre. Quale discorso? Che intenzioni ha? Mi volto in direzione di Emilie e a giudicare dalla sua espressione, sembra che neanch elei ne sapesse nulla -Cos'è questa storia? Si permette di parlare di nostro padre senza nemmeno metterci al corrente di ciò che dirà - mi rivolgo a mia sorella in francese sia perchè non voglio che nostro nonno origli, sia perchè so quando detesti che si usi questa lingua in suo cospetto perchè gli ricorda troppo quella metà di famiglia che giudica marcia - avremmo preferito essere informati -a lui non importa cosa avremmo preferito noi e non importa che tono usi io per dirglielo e mostrare così il nostro disappunto, lui ha parlato e una volta che ha dato le sue comunicazione, può nuovamente congedarsi. Espiro, scocciato, il primo pensiero va ad Emilie che prontamente mette le mani avanti dicendomi qualcosa che dubito sia totalmente vero - non hai bisogno dell'approvazione di quell'uomo, non ne avrai mai bisogno - le dico, guardandola negli occhi mentre il mio sospiro si unisce al suo. Mi sorride appena, annuisce, e mi stringe un po' di più la mano. Per ora, va bene così. Espiro per la terza volta nel corso di troppo poco tempo, i miei respiri si accorciano ogni attimo di più lasciandomi una stretta soffocante al petto, dolorosa quasi. Odio che mi faccia questo effetto. Alzo il viso verso le pareti di uno scuro verde bosco, un colore che in alte situazioni mi avrebbe tranquillizzato ma che ora non sembra sortirmi alcun effetto. Certo, che idiota, questo posto non potrebbe in alcun modo tranquillizzarmi, neanche se provassi a concentrarmi sui quadri o sul legno decorato del pavimento. Inizio allora a giocare con le dita stringendole contro il palmo in maniera alternata ma neanche quel movimento mi fa poi molto effetto. Poi avverto un contatto, quello delicato della mano di Daphne e voltandomi di scatto verso di lei, è come se realizzassi nuovamente per la prima volta che lei è qui. C'è, è presente, il battito ritmato del suo cuore me lo conferma ed è come se si amplificasse contro il palmo della mia mano, una vibrazione che sento sui polpastrelli, sulle dita, quasi riesco a percepirla dentro la mia testa «Non andare.» dove? Dove dovrei andare? Forse a rinchiudermi nella mia mente, è lì che non dovrei andare. Alzo lo sguardo su di lei, mi concentro sull'azzurro dei suoi occhi e riempio i polmoni di ossigeno mentre un angolo delle mie labbra si incurva leggermente verso l'alto. Mi schiarisco la voce, muovo un mezzo passo in avanti e mi giro un momento alla ricerca di Emilie - ti dispiace se andiamo? - una musica suonata al pianoforte e accompagnata da archi intanto, inizia a riecheggiare magicamente amplificata all'interno della sala, segno del fatto che si sta per tenere un ballo. Le devo delle spiegazioni per averla trascinata qui, sarà confusa, quantomeno disorientata, non le ho spiegato niente - Scherzi? Andate pure, ho visto nostra cugina lì. Decisamente meglio di molte altre persone qui - è lei stessa a darmi una piccola spinta e ad allontanarsi subito dopo.
    - Che ne pensi, ti va? - la mia mano scivola lungo il braccio di Daphne e poi a stringere la sua mano, per attirarla leggermente verso di me, verso una parte più centrale della sala dove intanto qualcuno aveva preso a ballare. Musica, certo, non può mancare ad una festa tenuta dai miei nonni e non importa che l'occasione sia la morte di mio padre. Cingo il fianco della serpeverde attirandola ancora al mio corpo in modo da creare una dimensione privata, in quel contesto che di privato ha ben poco, così da poter magari recuperare e fare quello che non ho fatto prima - non sono in buoni rapporti con i genitori di mio padre, scusa se ti ho messa disagio - le mie labbra per poco non sfiorano il suo orecchio mentre le rivolgo quelle parole, quelle spiegazioni che avrei dovuto darle prima. Cazzo, perchè non ho agito prima? - loro provano a farmi integrare, provano a farmi conoscere le persone giuste così che possa portare avanti la tradizione di famiglia - dal mio tono è facile evincere che la cosa non mi interessi minimamente ed in realtà non ho una vera opinione sulla cosa. Non so se mi sia ddica la carriera dell'auror, fatto sta che se ho sviluppato un'antipatia per questo settore è proprio per l'insistenza dei miei nonni paterni, che continuano a ronzarmi nell'orecchio come mosche fastidiose da quando ho quindici anni - mio padre... - l'uomo a cui fino ad adesso ho solo accennato - lui è morto, un anno fa - cè molta consapevolezza in ciò che dico. Non tremo, non soffro, è quello che è - tutto questo, teoricamente, è per lui - la frase è come tranciata a metà, come se lasciasse deliberatamente intendere che quella non è la la sola ragione di questa festa. E infatti non lo è, affatto.



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    " Tenevo al fatto che fosse con me, questa sera." Distolse i suoi freddi occhi azzurri dalla figura di Lawrence Moore per portarli su quella di Hunter. Addolcì lo sguardo e sorrise appena, sapeva che aveva bisogno di lei, stasera, glielo aveva fatto capire in molti modi prima di venire qui, ma sentirglielo dire era un'altra cosa, era speciale; il suo ragazzo non era uno di tante parole quindi, quelle ammissioni, erano particolarmente apprezzate da Daphne che sapeva quanto difficile potesse essere dire certe cose. Strinse la sua mano e osservò, in silenzio, lo scambio di battute tra due dei membri della famiglia Moore. Il tono di voce caldo, profondo, e a tratti dolce, a cui era abituata era stato sostituito da una freddo, quasi glaciale, mentre parlava con suo nonno. Non conosceva quel lato del suo carattere, era la prima volta che lo vedeva e, onestamente, sperò che tra di loro non si venisse mai a creare una situazione tale da doverlo richiedere. Avrebbero discusso, litigato, urlato anche, ma quella freddezza avrebbe significato la fine del loro rapporto e lei non poteva, non voleva perdere Hunter. Con lui non aveva difese, era un libero aperto e, per la prima volta da quando sua nonna era morta, si era fidata di una persona, di un ragazzo che con i suoi modi eleganti e gentili era riuscito a sciogliere il ghiaccio che aveva dentro. Ma della sua gentilezza, adesso, non c'era traccia, l'espressione severa sul suo viso suggeriva una rabbia a stento trattenuta perché, nonostante dall'esterno apparisse calmo e controllato, dentro doveva star provando una serie di emozioni tutte insieme. Questo era ciò che pensava Daphne che,in quei mesi, aveva imparato a conoscerlo eppure aveva la vaga sensazione che ci fosse ancora tanto altro da scoprire su di lui; in fondo era un enigma che, solo adesso, aveva davvero iniziato a decifrare. Per esempio, quella era la prima volta che lo sentiva parlare in francese e si augurò che lo facesse più spesso, le piaceva il suo accento. La scoperta della morte di suo padre la colse alla sprovvista, non se l'aspettava. Tuttavia, sotto gli occhi indagatori del padrone di casa, si mostrò indifferente, per nulla scossa da ciò che aveva appreso, e solo quando girò i tacchi e se ne andò, si concesse un momento di intimità con Hunter in quella sala piena di gente. Sorrise quando posò il suo sguardo su di lei, sembrava essere tornato quello di prima. Si sporse in avanti per dargli un leggero bacio sulle labbra, poi si allontanò di un passo e si ricompose. Non ci si comportava così ad una festa dell'alta società, se l'avesse vista sua madre non avrebbe esitato nel punirla severamente, però quella stronza non c'era e Hunter aveva bisogno di tutto il supporto possibile quella sera, quindi al diavolo le buone maniere. Nel mentre, una dolce melodia di sottofondo riempì la sala. Qualcuno stava suonando il pianoforte. Erano mesi che le sue mani non sfioravano i tasti di quello strumento, ma era così impegnata che a stento riusciva a guardarsi allo specchio la mattina e, recentemente, le trance erano anche aumentate. Era stressata per l'imminente incontro con sua madre che, con la solita arroganza, le aveva chiesto di recarsi nella nuova gioielleria che aveva aperto in uno dei quartieri più in voga di Londra perché le mancava sua figlia. Certo, come no. In un'intervista che aveva rilasciato alla Gazzetta del Profeta, aveva persino dichiarato che il motivo che l'aveva spinta a tornare a casa dopo il divorzio dal suo ex marito era stata proprio lei, Daphne, l'amore della sua vita. Bugie. Erano tutte bugie. Avrebbe voluto mandarla al diavolo come aveva sempre fatto, ma non poteva, era arrivato il momento di affrontare i suoi demoni. Dopo sarò io ad aver bisogno di te, Hunter.
    La sua mano riccadde lenta sul suo braccio, prima di unirsi alla sua. Il suo sgurdo si posò su di lui e in quegli occhi occhi verdi rivide lo stesso calore di sempre. Non era scomparso. «Certo che mi va.» Si lasciò condurre al centro della pista dal corvonero che, delicatamente, le cinse la vita e l'attirò a sé. Normalmente avrebbe dovuto esserci un minimo di distanza tra loro, ma anche in quel caso, Daphne se ne fregò delle regole e gli circondò il collo con entrambe le braccia, facendosi ancora più vicina. «Sono cresciuta in questo mondo, non mi hai messo a disagio, non preoccuparti.» Gli diede un bacio sulla guancia e, con dolcezza, gli accarezzò i capelli alla base della nuca. Ciò che gli aveva detto era vero, aveva trascorso una vita intera tra balli, feste e gran galà, sapeva esattamente come muoversi; sua madre era considerata la regina dell'alta
    società inglese per i suoi modi impeccabili e l' eleganza sopraffina, anche quando diventava un'arpia non perdeva la sua classe. Per questo non aveva avuto alcuna difficoltà nel tenere testa a quell'uomo, lo stesso valeva Hunter che, però, non sapeva essere parte di quel mondo. Aveva scoperto solo ora che era un purosangue, futuro erede di una famiglia importate e che, se voleva, era capace di una freddezza disarmante. La stessa che le stava mostrando adesso mentre parlava dei suoi nonni; non avevano un bel rapporto, l'aveva capito anche dal modo in cui era stata tratta Emilie, ma molte famiglie purosangue non accettavano di essere guidate da una donna e, almeno in questo, poteva dire che i Blackwood e gli Andersen erano molto più avanti. «Mi sono accorta dell'insistenza di tuo nonno, ma sarai tu a decidere del tuo futuro, nessun altro.» Lo guardò diritto negli occhi, decisa a trasmettergli quel messaggio perché le imposizioni, Daphne, proprio non le sopportava. «Sai già cosa vuoi fare dopo Hogwarts?» Gli chiese mentre continuava a solleticargli i capelli per farlo rilassare, e poi era davvero curiosa di sapere in che campo avrebbe voluto specializzarsi. Hunter era bravo in diverse materie, tra cui l'Astronomia, però non gli aveva mai chiesto quale fosse la sua preferita. " Lui è morto, un anno fa," quelle parole spensero il sorriso che stava per fare sul nascere. Il modo in cui lo disse la sorprese, non c'era traccia del dolore che, tante volte, aveva visto nei suoi occhi quando parlava di suo padre. Sotto quell'albero aveva lo sguardo perso nel vuoto, spesso aveva dovuto prendergli il viso tra le mani per farlo tornare da lei nelle due settimane precedenti questo evento, lo aveva stretto a sé talmente forte che quasi faceva fatica a respirare perché si era accorta che stava soffrendo per qualcosa, per qualcuno, ma lui le diceva sempre di non preoccuparsi. Solo adesso aveva capito che stava soffrendo per la morte di suo padre con il quale, era certa, avesse avuto un rapporto bellissimo, e ne aveva avuto anche la conferma, ma Hunter si comportava come se la cosa non lo toccasse minimamente. Perché me ne parli in questo modo? Avrebbe voluto chiederglielo, ma decise altrimenti, perché il suo ragazzo, come lei, spesso preferiva nascondere le sue emozioni e poi quello non era di certo il luogo adatto per lasciarsi andare. Così, annuì e nascose per un attimo il viso nell'incavo del suo collo, baciandolo, e poi tornò a guardarlo, serena, per trasmettergli un po' di tranquillità. «Dimmi, che tipo era? Misterioso come te?» Non gli disse parole come mi dispiace, no, gli chiese piuttosto di raccontargli di lui, alleggerendo anche l'atmosfera con una battuta. Tanti, lì dentro, avrebbero speso parole di rammarico per qualcuno che neanche conoscevano perché era ciò che erano chiamati a fare, proprio come era successo al funerale di sua nonna. Li aveva odiati tutti. Preferiva sapere della vita di suo padre, di chi era stato, di cosa aveva fatto, del rapporto che avevano. Era interessata a tutto quello che riguardava Hunter e, se mai avesse voluto mostrale il suo dolore, dopo, lei ci sarebbe stata. «Possiamo andare via quando vuoi, lo sai.» E lo avrebbe trascinato via lei stessa se necessario. Era molto protettiva nei suoi confronti. Un'altra novità.

     
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    Corvonero
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    Non ricordo che i miei nonni siano mai stati particolarmente affettuosi con noi, di conseguenza non ricordo un occasione in cui io e mia sorella siamo stati particolarmente affettuosi con loro. Quando sai di non guadagnarti stima solo per via del nome di tua madre, è abbastanza spontaneo alzare un muro a dividere noi da loro. Qualcosa è iniziato a cambiate quando i miei nonni hanno realizzato che nei loro nipoti, o meglio nel loro unico nipote maschio, risiedeva il futuro dei Moore che si sarebbe dovuto fare carico di diffondere il cognome e fare così in modo che sopravvivesse con la fama di Auror. In quell'esatto momento, avrò avuto tredici o quattordici anni, è iniziato il loro graduale avvicinamento o per meglio dire, si è attivato il loro piano che con pazienza e una buona dose di perseveranza dovrebbe condurre dove vogliono loro. Io non l'ho mai accettato, non mi è mai interessato proseguire le tradizioni di famiglia e semmai dovessi farlo, sarà solo perché sono io ad averlo voluto. Negli occhi di quell'uomo non vedo altro se non uno scopo da raggiungere e noi, che dovremmo essere i suoi nipoti, siamo il mezzo per raggiungerlo.
    Solo quando finalmente ci da le spalle e si allontana rilasso il viso in un'espressione che sta perfettamente a metà fra l'irritato e l'amareggiato perchè sarebbe potuto essere tutto diverso. Per mettermi da parte quell'incontro spiacevole ma prevedibile, visto che siamo in casa sua, stringo la mano a Daphne per invitarla a ballare con me ed è tutta una scusa per sentirla più vicina. Come una sorta di terapia, il contatto con il suo corpo funge da tranquillante, un po' come se il mio battito cercasse di allinearsi al suo, rallentando man man che la stringo a me iniziando ad ondeggia seguendo la musica del piano. Mi sento di doverle delle scuse per averla messa praticamente in mezzo ai due fuochi che siamo io e io nonno, per averle mostrato quel tipo di tensione che facilmente metterebbe a disagio chiunque, tranne lei. Mantiene il suo famoso controllo tirandosi fuori con grande dignità dalla conversazione in cui mio nonno ha provato ad intrappolarla e magari è successo proprio perchè la serpeverde, come me, ha già vissuto questo genere di situazioni in passato. Ecco perchè dice di essere abituata, si è costruita la sua corazza con il tempo e ora ci vuole ben altro per farla scomporre - ...mh - una mano si stacca dal suo fianco solo per accarezzare il suo braccio destro che va ad intrecciarsi con l'altro dietro il mio collo per poi lasciarle un bacio proprio lì, nel punto in cui il braccio mi passa vicino al viso. Non so se riesco a far passare il messaggio, non so se riesce a sentire quanto sia grande la mia gratitudine nei suoi confronti per essere qua stasera. Lei è molto più brava di me in questo e questo è uno dei motivi per cui mi sento tanto in debito nei suoi confronti. Cerco di darle una chiave di lettura, delle informazioni grazie a cui può interpretare meglio la situazione e spiegarsi questo clima freddo che aleggia fra e i miei nonni paterni. In realtà lo faccio perchè lei possa capire me poi che comprenda i miei parenti e le loro ragioni, non mi importa neanche tanto. Nessun altro dovrebbe decidere per me, già, nessun altro. A quella parole, mi viene automatico accarezzarle la schiena, avvicinarla a me e lasciare che la mia fronte si poggi contro la sua, non importa poi se qualche curioso ci scruta con un po' di attenzione in più. Tanto cosa cambia? Lei non è un segreto - hai ragione - sospiro contro il suo collo, non resistendo dal lasciare un piccolo bacio anche lì - sinceramente, non lo so ancora. Forse potrei concentrarmi sull'astronomia, o forse... non lo so - non so nemmeno se il percorso di mio padre effettivamente possa interessarmi o se mi oppongo a questa scelta per partito preso. Faccio difficoltà ad esprimere questo dubbio, forse non mi voglio ancora interrogare sulla cosa, forse sono troppo complessato per potermici soffermare -ci sono tante cose che vorrei fare e altrettante che non vorrei fare - ironico. Però, vero. I miei interessi sono vasti e la mia noia è cronica, mi chiedo se troverà mai un'attività che effettivamente possa riempirmi e darmi uno scopo - scommetto che tu hai già lo sai - risollevo il viso solo per poterla guardare in volto. Stasera è davvero bellissima - mi sembra che le tue idee siano sempre così chiare - mi sembra che tu sappia esattamente chi sei, sempre. Per me non è così, mi interrogo di continuo su quale sia la mia vera essenza e questo scervellarmi sembra inconcludente. Mi chiedo se prima o poi arriverò a slogare la matassa e nel mentre, riempio la testa di pensieri confusi e conclusioni sbagliate. Mio padre in questo era come me, o meglio, io sono come lui - misterioso? - riesce a strapparmi un sorriso, perchè ancora non sono abituato agli appellativi che ha per me - pensieroso. Pensieroso come me. Ma era molto più bravo a nasconderlo dietro ad un sorriso. Emilie ha preso tanto da lui, è gentile allo stesso modo - mi viene istintivo sollevare gli occhi su Emilie, ora dall'altra parte della sala. Quando la guarda, rivedo nostro padre e so che questo per lei è il complimento più grande che può ricevere.
    - Lo so, non preoccuparti - era questo che stava facendo Daphe per me, si stava preoccupando. La faccio compiere un giro su stessa in modo che poi si ritrovi con le spalle poggiate contro il mio petto. Mi piace averla in questa posizione, mi fa sentire come se per una volta fossi io il suo sostegno - per adesso devo restare - le sposto una ciocca di capelli dietro l'orecchio per scoprirlo - è importante. Voglio sapere cos'ha da dire mio nonno, capisci? - certo che capisce, quello che non capisce sono io. Troppe domande, poche risposte.


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    Serpeverde
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    Oslo, Norvegia

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    Pur essendo cresciuta tra feste e gran galà, erano poche le volte in cui Daphne aveva ballato e, perlopiù, lo aveva fatto con suo padre in quanto legittima erede degli Andersen. Era un dovere che era chiamata a compiere, niente di più, perché, ormai, con quell'uomo non aveva più alcun tipo di rapporto, e come poteva quando, guardandola diritto negli occhi, le aveva detto che non sarebbe mai dovuta nascere? Quella era stata la stoccata finale, ciò che l'aveva spinta a fare le valigie e a trasferirsi a casa di sua zia a Londra lontano da tutto e da tutti ma si sa, il passato torna sempre e adesso si ritrovava a fare i conti con una realtà difficile da accettare. L'Alekander Andersen che aveva visto nei suoi ricordi non era quello che aveva conosciuto, Ellen aveva fatto il lavaggio del cervello anche a lui ed era arrivato il momento di farglielo sapere; quando si sarebbero rivisti in estate, avrebbe dovuto prendere atto di molte cose e, per com'era fatto, si sarebbe sicuramente vendicato della donna che gli aveva portato via tutto. Come avrebbe preso la perdita di un figlio? Avrebbe cacciato la babbana e la figlia mezzosangue che tanto amava? Sì, perché una famiglia di maghi purosangue potente come la loro non poteva mischiarsi con dei sudici babbani, questo era ciò che suo nonno, l'ex capofamiglia, le ripeteva sempre e il fatto che suo figlio l'avesse fatto era stato un duro colpo per lui, l'aveva quasi diseredato. Si era salvato solo grazie alla sua vicinanza con l'attuale Ministro norvegese: era il suo braccio destro. E poi l'amore che provava per quelle due era frutto di un inganno, quindi sì, presto le avrebbe cacciate e lei avrebbe riso della loro disfatta. Sperò solo che dopo non provasse a stringere alcun tipo di contratto prematrimoniale con il figlio del suo amico, in quel caso lo avrebbe mandato direttamente al diavolo perché lei un ragazzo ce l'aveva già, uno che aveva tutte le carte in regola per starle affianco. I suoi nonni lo avrebbero accolto a braccia aperte, persino sua madre non avrebbe avuto nulla da ridire, quindi suo padre avrebbe fatto meglio a starsene zitto, anche perché non aveva la benché minima intenzione di lasciarlo andare, Hunter era suo e suo sarebbe rimasto. Perché solo lui era in grado di farla sciogliere, proprio come adesso, mentre le accarezzava delicatamente il braccio con la punta delle dita prima di baciarlo dolcemente. Sorrise, sfiorandogli la punta del naso con la sua in un gesto d'affetto e mettendo da parte tutto il resto. Mai, prima d'ora, si era comportata così ad un evento formale, aveva sempre mantenuto un certo contegno, eppure il corvonero era così elegante nei modi che quel ballo così intimo non avrebbe dato adito a nessun tipo pettegolezzo e nessuno, neanche le peggiori pettegole, avrebbero potuto criticarlo. Quella era una delle cose che più le piacevano di lui, non era mai volgare e la sua raffinatezza lo distingueva dagli altri; gli uomini rozzi non facevano per lei, era troppo altolocata per averci a che fare.
    Poggiò la fronte contro la sua, avvicinandosi, e Daphne gli sorrise. «Lo so, ho sempre ragione.» Scherzò. Quando nascose il viso nell'incavo del suo collo e glielo baciò, sospirò beata, socchiudendo leggermente gli occhi e affondando le mani nei suoi morbidi capelli stando attenta a non sconciarglieli troppo. Gli diede un delicato bacio sulla tempia, godendo di quel breve momento di intimità che si erano concessi. Ogni volta che Hunter le dava quel tipo di attenzioni si scioglieva come neve al sole, anche quando faceva qualcosa che la infastidiva, bastava che la stringesse a sé e passava tutto. Cosa mi hai fatto? Quella domanda avrebbe mai avuto risposta? Dubitava, ma le andava bene così, fin tanto che restasse lì, vicino a lei. «Concentrati solo quello che vuoi fare allora, il resto mettilo da parte, tanto c'è tempo. Non metterti fretta. » C'erano ancora così tante cose da imparare ad Hogwarts che scegliere adesso sarebbe stato prematuro, lei stessa era indecisa sulla strada da prendere dopo il diploma e anche su dove avrebbe studiato o lavorato. Qual era la migliore opzione: restare in Inghilterra o tornare a casa, in Norvegia? Era presto per dirlo. E Hunter, dove sarebbe andato? In Francia? O in America? Meglio non pensarci adesso. «Cosa non vuoi fare invece?» Era interessata ai suoi piani futuri, alla sua vita, ai suoi sogni, voleva conoscere quante più cose possibili su di lui perché , stasera, si era accorta di saperne ben poco. Quella Emma ti conosce di più di me? Quel pensiero le causò una spiacevole sensazione allo stomaco, così poggiò la fronte contro la sua spalla e inspirò il suo profumo dalle note legnose per farsela passare. Non le piaceva sentirsi così, per niente. Dopo qualche istante tornò a guardarlo e istintivamente lo strinse a sé, facendo aderire completamente i loro corpi e avvicinando il viso al suo per ricordarsi che lui era lì, con lei, e con nessun altra. «Di solito sì, ma neanch'io so cosa farò dopo Hogwarts. Mio padre vorrebbe che entrassi al Ministero per intraprendere una carriera diplomatica come la sua, però ciò che pensa non mi interessa. » Non più. Per anni aveva cercato di soddisfare le richieste e le aspettative di genitori indifferenti, fermandosi solo quando aveva capito di essere stata messa al mondo per dovere e non per amore. Da allora aveva spento del tutto le sue emozioni, diventando fredda e cinica, e se era tornata a provare qualcosa era stato solo grazie a sua nonna. «Pensieroso dici? Mmh...» Lo era in parte. «Sì e no, e poi è proprio per il tuo essere così misterioso che mi sono interessata a te. Volevo conoscerti, capirti e sono contenta di averlo fatto.» Gli sorrise sincera e lo baciò, schiudendogli leggermente le labbra con la punta della lingua ma si trattenne dall'approfondire il bacio visto il luogo in cui erano. Si ritrasse poco dopo e gli spostò un riccio ribelle dal viso come di consuetudine. «Anche tu lo sei, gentile.» Premuroso, dolce, attento. Somigli a tua madre? Avrebbe voluto chiedergli di lei, ma il ricordo della sua foto rovesciata la fece desistere. Non era il caso.
    Si lasciò condurre da lui in quel ballo, così, quando si allontanò per farle fare una mezza giravolta, Daphne scosse leggermente la testa divertita e lo assecondò solo per ritrovarsi con le spalle poggiate contro il suo petto, avvolta in un abbraccio. Le parole gliele sussurrò, il suo fiato le solleticò il collo e, persa nel suo calore, volse lentamente il viso verso di lui, lo guardò incantata per qualche attimo e poi lo baciò di nuovo. Devo darmi un contegno. Si staccò immediatamente dalle sue labbra e si schiarì la gola, tornando alla pozione di prima e mettendo un po' di distanza tra loro, perché davvero, non poteva andare avanti così, rischiava di mandare al diavolo tutto quello che le era stato insegnato e sua nonna non ne sarebbe stata affatto contenta. Quanto erano forti i sentimenti che provava per qual ragazzo? Non si sarebbe mai comportata così se non si stesse... No. Ispirò profondamente, non poteva scappare, non più, non adesso. Ho deciso di restare. «Si capisco.» Si accorse dell'espressione preoccupata di Hunter, il suo cambio repentino doveva averlo confuso. Addolcì lo sguardo e gli sfiorò delicatamente la guancia destra con la punta delle dita per fargli capire che andava tutto bene, non voleva farlo preoccupare, non oggi che era già una giornata difficile per lui. «Scusami, non so cosa mi sia preso. » Bugia. «Vado a prendere da bere, vuoi qualcosa anche tu?» Aveva bisogno di stare un momento da sola, le serviva aria, doveva riprendere il controllo. Dentro le emozioni scalpitavano, ma in viso, Daphne, indossava una maschera di cera.



    Edited by Daphne. - 1/6/2023, 01:28
     
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    Ho qualche ricordo fra queste mura, qualche ricordo di quando ero più piccolo che a volte sembra così distante da non sembrare nemmeno una memoria mia. Sembra assurdo immaginare i volti di me e mia sorella sorridenti a villa Moore, che era un po' il nostro enorme parco giochi; le stanze non sono mai abbastanza quando hai una fantasia da sfogare e mondi da immaginare e nonostante non sia così evidente, da piccolo i miei giochi preferiti vertevano sempre su qualcosa di dinamico. Ho come dei flash improvvisi, frammenti di memorie che riguardano me, Emilie e nostro padre. Anche lui sorride ma è un sorriso diverso, stentato, forzato, il sorriso di un padre che vuole solo apparire al meglio agli occhi dei figli. Questo lo capisco oggi dopo averci riflettuto attentamente ma all'epoca sarebbe stato impossibile per me distinguere un sorriso vero da uno indossato per coprire la fatica, la delusione che deve aver provato a quel tempo scoprendo che la donna che amava non era quella che credeva di conoscere così bene. Come la prenderei io? Come la prenderei se un domani Daphne dovesse rivelarsi diversa da quella che pensavo? Troppo diversa in un modo impossibile da raggiungere. Ci penso e la osservo mentre ci muoviamo seguendo la musica del pianoforte e comunque, non ho una risposta. Non ho mai una risposta chiara quando si tratta di lei e andando contro me stesso e la mia natura, lo accetto perché non posso fare altrimenti. Stranamente assecondo quella sensazione tanto irrazionale non contemplando alternativa alcuna, un po' come una barca in balia delle onde. Vorrei essere rilassato come all'epoca, come quando da bambino mi sentivo a mio agio in queste sale nonostante la tensione continua fra la nostra famiglie e la loro. Cerco la tranquillità in lei, avvicino il mio viso al suo, inspiro il profumo della sua pelle come se questo potesse avere un effetto palliativo su di me e quando mi risponde, realizzo che persino la sua voce riesce a calmarmi. E forse era proprio quello che cercavo, quello di cui avevo bisogno. Riesce a strapparmi l'accenno di un sorriso, la trattengo ancora più vicina a me quando lascia quel bacio sulla mia tempia e godo anche di quel piccolo leggero contatto. Adesso, qui, oggi, non è affatto come quando ero bambino: non c'è nessuna stanza che voglio visitare, nessuno strano mondo da immaginare ma solo gente attratta dal nostro cognome che si aggira nella sala come squali ala ricerca dell'occasione perfetta. È proprio qul tipo di ambiente in cui sono i miei nonni a trovarsi a loro agio - cosa voglio fare ora? - così, su due piedi, la risposta a cui penso mi strappa un altro mezzo sorriso che dedico tutto alla serpeverde mettendoci una pinta di malizia che è del tutto voluta. Mentre invece il resto della risposta, è facilemente intuibile se si presa attenzione ai miei gesti: il palmo della mia mano destra aperto ad esplorare la sua schiena per poi seguire un percorso verso l'alto, a sfiorarle la spalle, piccolo contatto pelle contro pelle che ricerco e di cui mi devo accontentare, per ora.
    A quella domanda per me rispondere non è poi tanto difficile - non voglio non avere uno scopo. Non voglio che il lavoro che sceglierò abbia il controllo su di me. Ho visto com'è e non mi piace- due concetti basici, semplici ma per me fondamentali. Mio padre è stato prosciugato dal lavoro che gli è stato imposto e di cui alla fine si è innamorato, ma l'ha trascinato via in una strada senza ritorno. Ancora mi chiedo se sia stata colpa sua e della sua eccessiva sensibilità o se la colpa fosse del lavoro stesso, non lo so, ma evidentemente ho bisogno di incolpare qualcosa, qualcuno, per quello che gli è successo. L'ascolto parlare del suo futuro, di suo padre e del suo volere, di quello che lui ha pianificato per lei. Mi stupisce sentirla incerta, era una risposta che non mi aspettavo di ricevere - sembra che i nostri parenti abbiano la brutta abitudine di scegliere al posto nostro - o quantomeno, questo era quello che provavano a fare - non hai bisogno di ascoltarlo, se non vuoi farlo. Credo che tu possa riuscire in tutto se vuoi - potrebbe essere perché sto con lei e lei sta con me, potrebbe sembrare, ad un occhio poco attento, che il mio complimento sia di parte visto il legame che ci unisce ma in realtà non è affatto così: l'ho osservata per un tempo sufficientemente lungo, quanto basta perché inizi a provare una sincera ammirazione nei suoi confronti e nei confronti della sua intelligenza che ha dimostrato di avere in svariate occasioni. Ora che ci penso, cosa mi attrae così tanto in lei? Oltre la sua oggettiva ed innegabile bellezza è questo, è la sua intelligenza? O è il fatto che sembra sempre sapere cosa fare e cosa dirmi? Forse tutti questi elementi messi insieme, forse l'unione di queste e altre mille cose che nemmeno io riesco bene ad indentificare. Non l'ho nemmeno cercato, mi ha colpito un giorno prendendomi totalmente alla sprovvista. Lo sta facendo anche adesso qualcosa di me sembra averla colpita. Anche io sono contento di aver fatto questa scoperta, così, un po' per caso quel giorno alla stamberga strillante. Forse è anche questo, ci siamo incontrati quando entrambi avevamo le difese basse e ad un certo punto connettersi è diventato fin troppo naturale, in un modo che talvolta mi confonde. Sento di non poter fare altro che avvicinarla a me sorridendo ancora una volta noncurante dello spazio intorno a noi, la trattengo persino un attimo in più prima che si allontani fermando il bacio, la trattengo stringendole il fianco e premendo un po' di più le mie labbra sulle sue. Che guardino, la cosa non mi interessa - con te, sempre. Non potrebbe essere altrimenti - sono tante cose quando sono insieme a te.
    Intreccio la mano con la sua mentre le sue spalle sono poggiate contro il mio petto e in questo momento ballare non è poi così impegnativo, non è un dovere ma un modo per stare a contatto con lei che sia pertinente alla situazione in cui ci troviamo. Mi sembra di poter sentire addosso gli occhi dei miei nonni mentre ci baciamo, balliamo, parliamo quasi come se la stanza fosse vuota. Forse è uno sguardo tanto pesante che anche lei lo percepisce e sceglie quindi di ristabilire una distanza che reputerà necessaria. Però aggrotto le sopracciglia stranito perchè c'è qualcosa nel modo in cui si è allontanata che per un attimo mi spiazza. Cos'è stato, la velocità del gesto? Forse la sua espressione, o forse quel modo di schiarirsi la voce che sapeva di nervosismo. Le carezzo le braccia scorrendo con le mani verso il basso - puoi dirmelo se hai bisogno di allontanarti - non so esattamente cosa sia successo, cosa le sia passato per la mente, che sensazione abbia provato. Le sorrido appena, quantomeno ci provo per cercare di trasmettere qualcosa di buono. Un piccolissima accortezza, lo so, però per me dice molto - no grazie, sto bene così - guardo per un istante oltre le sue spalle per scorgere il viso di mia sorella, la sua espressione mi sta palesemente chiamando - se dovessi cercarmi, sono con Emilie. Credo mi stia chiedendo aiuto - mi avvicino lasciandole un lieve bacio proprio fra la mandibola e il colo prima che lei si diriga verso il cameriere e io invece vada verso mia sorella. Fremo, non vedo l'ora che questa serata giunga al termine.




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    Grifondoro
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    Evelyn Moore

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    La famiglia Moore era sempre stata una famiglia maschilista, lo spazio per le donne è sempre stato ridotto e questo Evelyn lo sapeva bene anche prima di intrecciare rapporti con essa. La donna aveva accettato quel contratto, quella collaborazione conveniente fra la sua famiglia e quella dei Moore, un'unione che sarebbe stata fruttuosa sotto svariati punti di vista ed Evelyn era stata cresciuta con il presupposto che se qualcosa portava pregio e vantaggi, allora era la cosa giusta da fare. Tuttavia, non era mai stata adatta a ruoli marginali e anche una volta divenuta la moglie di Lawrence Moore, la parte ella moglie trofeo che facesse d'accompagnatrice all'uomo di successo le è sempre stata stretta. Non ci mise molto a mostrare il suo disappunto ed esprimere i suoi pensieri e scelse il modo più intelligente per farlo: lo fece lentamente, senza nessuna ribellione rumorosa he avrebbe indisposto la famiglia del marito finendo probabilmente per inimicarsela. Lei lentamente, goccia dopo goccia, consiglio dopo consiglio, riuscì ad avere un ruolo nelle scelte del marito e così, come fosse un'incantatrice o una sirena, era riuscita a fare in modo che la sua opinione venisse sempre richiesta perchè lei era intelligente, sapeva come prendere le giuste decisioni e non si sbagliava mai.
    Lawrence si era fatto guidare senza probabilmente neanche accorgersi del potere che aveva dato alla donna che dal canto suo, aveva lasciato che credesse di poter avere il controllo su di lei. neanche Lowrence era uno stupido, in fondo sapeva di non poterla domare, ma ammetterlo avrebbe significato perdere di credibilità di fronte al resto della famiglia. Eppure una nota stonata in quella famiglia in cui gli eventi sembrava ripetersi come in un pattern ben definito, c'era: Christopher, il figlio maggiore, non era come suo padre e alla donna sembrava che non fosse nemmeno come lei. O forse sì? Forse aveva lo stesso spirito di ribellione, condito da una sensibilità spiccata che era difficile comprendere da dove venisse. Evelyn non ricordava di essere mai stata tanto emotiva ma era passato così tanto tempo da quando aveva provato delle emozioni sincere, che forse si era solo dimenticata di quale fosse la sua vera natura. Certo, provava pena per Emilie la cui unica colpa sembrava quella di essere nata donna, eppure era fortemente convinta che anche lei dovesse vivere le sue stesse esperienze per poter capire, per poter scegliere cosa pensare della propria famiglia. Doveva farlo da sola, non c'era altro modo per uscirne vittoriosa.
    Adesso in casa sua entrava un'altra giovane donna ad accompagnare il nipote, così simile al figlio... o forse alla madre? Il nipote era difficile da inquadrare, puro ma allo stesso tempo simile all'acqua torbida di un lago di cui non si vede il fondo. Evelyn passava lunghi istanti a studiarlo in silenzio e sempre silenziosamente, selezionava quelle che riteneva essere le strade più adatte per lui, perchè non facesse la fine che aveva fatto suo figlio Christopher. I due giovani non avevano nascosto la loro relazione dal primo istante in cui avevano varcato la soglia della sala e quella ragazza, che aveva scoperto chiamarsi Daphne, aveva tenuto la testa alta per tutto il breve scambio di battute avuto con Lawrence e poi aveva preso a ballare sempre senza privarsi delle attenzioni di Hunter. Evelyn trovò quantomeno interessante quell'interazione fra i due, inaspettata, inedita. Era qualcosa a cui non aveva mai assistito, un nuovo oggetto di studio perchè solo così poteva tenere sotto controllo la situazione e progettare le scelte migliori. Li lasciò fare osservandoli discretamente da lontano mentre si intratteneva con gli ospiti di tanto in tanto, elargendo sorrisi al momento giusto e alle persone giuste. Si sistemò l'abito nero e aspettò che la ragazza fosse sola prima di attraversare sinuosamente la sala per avvicinarsi a lei, ritenendo che ad un evento organizzato dalla famiglia Moore una donna dovesse parlare per forza con un'altra donna. Recuperò elegantemente due bicchieri di champagne da un vassoio sospeso a mezz'aria e si avvicinò al lato della pista raggiungendo la ragazza alle spalle. La superò di poco entrando nel suo campo visivo perchè lei potesse accorgersi della sua presenza «benvenuta a villa Moore, Daphne» la voce calma della donna venne accompagnata da un sorriso di cortesia e uno sguardo fisso negli occhi della giovane donna. Le porse il bicchiere e aspettò che lo prendesse prima di continuare con le presentazioni «sono Evelyn Moore, la moglie di Lawrence» era sicura che il marito non si fosse presentato per primo, che non le avesse fornito neanche quelle semplici spiegazioni alla base di ogni conversazione. Era un modo per porre il confronto su un piano sicuro, pacato, il più neutrale possibile perchè Evelyn sapeva come comportarsi in quelle situazioni, soprattutto nei confronti di un'altra donna «non siamo abituati al fatto che Hunter porti con se un ospite. Devi avere qualcosa di speciale per lui» non mancò di guardarla negli occhi anche questa volta, se era una ragazza intelligenza avrebbe dedotto che questo comportava una responsabilità nei confronti non solo del nipote ma dell'intera famiglia. La ragazza era giovane e bella, dal portamento poteva facilmente dedurre che quello era anche il suo ambiente. Ma quanto sarebbe stata disposta a spingersi oltre? Avrebbe accettato quello che lei aveva accettato a suo tempo? Erano domande che Evelyn si poneva dal momento in cui il figlio era morto e Hunter era divenuto l'oggetto di attenzione principale. Continuò a parlare ritenendo che fosse il caso di farle capire dove si trovava «lui è particolare, avrai notato. Come il resto di questa famiglia» il suo sguardo di spostò al di là della sala, in direzione del marito. Prese un sorso dal suo bicchiere prima di riprendere a parlare «si regge sui dei principi ben precisi che possono essere condivisibili o meno» non riteneva necessario aggiungere altro preferendo piuttosto fermarsi ad elargire u numero di informazioni che fosse minimo ed indispensabile «sta tutto alla tua tolleranza, alla tua forza. A quanto sei motivata a farti strada fra i Moore» e da cosa, sei motivata. Evelyn stava velatamente facendo riferimento a sè stessa e al suo passato, a come lei per prima aveva anche faticato per arrivare dov'era oggi, per far sentire la sua voce. Stava sondando il territorio, stava cercando di capire che tipo di cuore avesse la ragazza, se sarebbe stata in grado o meno di sopportare quello che l'attendeva. Quando ti relazioni con un Moore vai incontro a tutta la sua famiglia , no è per i deboli, non è per i fragili. Era questo che, segretamente, ammirava in Chloe prima che si rivelasse per quel che era: la sua forza.

     
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    Serpeverde
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    Era iniziato tutto dalle mani. Quelle dita lunghe e affusolate, da pianista, le aveva notate tempo fa, alla Stanberga, e non le aveva più dimenticate. Le aveva sognate su di lei, in lei, per un'intera estate, svegliandosi ogni notte con il viso in fiamme chiedendosi perché non riuscisse a smettere di pensare a quel dannato cornovero; cosa l'aveva spinta a farlo? Erano stati i suoi occhi magnetici, il suo profumo, la sua voce, la delicatezza con cui la toccava? Cosa? A quella domanda, Daphne, non aveva mai trovato risposta però, da quando stavano insieme, una cosa l'aveva capita: Hunter Moore le era sempre piaciuto. Non sapeva come, né perché, ma da quando si era seduto accanto a lei alla lezione di Ebologia e Pozioni un anno fa, non aveva fatto altro che interessarsi a lui e il sollievo che aveva provato quando le aveva detto di non essersi appartato con Chanel, adesso, aveva molto più senso. Inconsciamente era gelosa, non ne aveva motivo all'epoca, eppure lo era. Con lui aveva sempre perso il controllo, non era mai riuscita a mantenere le distanze perché, la verità, era che voleva stargli vicino, toccarlo, baciarlo ed era esattamente ciò che aveva fatto su quel prato, si era lasciata completamente andare, incurante delle conseguenze delle proprie azioni, proprio come adesso che nel sentire le sue mani su di sé non poté fare altro che impossessarsi avidamente delle sue labbra e lasciare che il suo sapore le invadesse la bocca, mentre la sua lingua accarezzava, lenta, la sua. Nascose quel gesto intimo mettendo le mani davanti, mentre continuava ad assaporarlo ad un evento formale dato dalla sua famiglia perché, quando si trattava di lui, cedeva sempre. Dopo un po' si staccò, arrossendo, e abbassò lo sguardò imbarazzata perché davvero, non aveva un avuto minimo di pudore, sua madre avrebbe dato di matto di fronte a una scena simile. «Scusami.» Si schiarì la gola e gli circondò il collo con le braccia, perché, in tutto questo, non si era staccata di mezzo millimetro dal suo corpo, continuava ad avere il seno schiacciato contro il suo petto e a respirare la sua stessa aria. Non poteva fare altrimenti, la vicinanza era necessaria.
    In quel particolare momento stavano parlando del loro futuro, di ciò che avrebbero voluto fare dopo Hogwarts e sembrava tutto così facile, così semplice ma niente lo era perché dietro l'apparente tranquillità di Hunter si celava il dolore per la perdita di suo padre. Avrebbe voluto fargli tante domande ma si limitò a stargli vicino, a non lasciarlo solo neanche un attimo e ne approfittò anche per conoscerlo meglio. Com'è possibile avere una connessione così forte con qualcuno senza sapere del suo passato? Con lui era tutto un mistero. «So quanto sia brutto non avere il controllo, è una cosa che odio.» Forse non lo aveva mai avuto davvero visto che, per anni, era stata una marionetta insieme a suo padre nelle mani di Ellen. Quella donna era pericolosa, plasmava le menti delle persone per indurle a fare ciò che voleva, ma Daphne era pur sempre sua figlia e, presto o tardi, avrebbe sviluppato anche lei una simile dote; le sarebbe stata utile per raggiungere i suoi scopi e non si sarebbe fatta alcuno scrupolo nell'usare gli altri per uccidere sua madre, tutti tranne Hunter. Lui era esente da questo. «Non lo farò.» Non avrebbe mai dato retta a suo padre, era troppo indipendente e testarda per ascoltare un uomo che, nella sua vita, non aveva alcuna valenza. «Posso riuscire in tutto? Mi sopravvaluti, Hunter.» Scosse leggermente la testa e gli sorrise sincera, ringraziandolo con un bacio sulla guancia e poggiando la fronte contro la sua mentre una delle melodie più tristi di Bethoveen, Sonata al Chiaro di Luna, faceva da sottofondo. Sembrava tutto così magico, eppure, non lo era, perché il suo ragazzo stava soffrendo anche se non lo dava a vedere. E gli avvoltoi in quella sala avrebbero fatto meglio a smettere di fissarlo come se fosse un oggetto da esposizione il cui unico scopo era quello di creare delle connessioni tra due famiglie anche perché era una persona, la sua persona, non una merce di scambio qualunque.
    Gli accarezzò i capelli alla base della nuca mentre lo baciava dolcemente, e dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non approfondire il bacio quando Hunter la attirò a sé. "Con te, sempre. Non potrebbe essere altrimenti." Il suo battito cardiaco aumentò, non se lo aspettava. Lo guardò per qualche istante senza dire né fare niente, poi mandò tutto al diavolo e gli prese il viso tra le mani ,baciandolo con foga. Inclinò la testa di lato per dargli maggiore accesso perché i loro baci erano sempre così :profondi, intensi, sentiti . Strinse tra le dita il colletto della camicia e schiuse ancor di più le labbra, voleva assaporarlo come mai prima d'ora. Merlino, il modo in cui lo stava baciando era tutt'altro che casto. Quando non ebbe più fiato, si staccò lentamente e lo fissò sbarrando gli occhi. Che ho fatto? «Io..tu...» Ma cosa cavolo le passava per la testa? «Non ho un minimo di controllo quando ci sei di mezzo tu, lo sai questo?» Assurdo, era tutto assurdo. Ma questo non le impedì di farlo ancora una volta, a quel punto mise le dovute distanze, doveva darsi un contegno e controllare la valanga di emozioni che aveva dentro. Troppe cose tutte insieme. Eppure il suo tocco ebbe un potere calmante su di lei e, quando le sorrise, non poté far altro che ricambiare. Annuì e chiuse per un attimo gli occhi quando le diede quel leggero bacio prima di andare via, prese aria e si assicurò che la sua maschera di cera fosse sempre lì, al suo posto, una scelta saggia visto chi le si avvicinò poco dopo: la padrona di casa. A differenza del marito, la donna padroneggiava alla perfezione l'arte della conversazione, sapeva come intrattenere i suoi ospiti e, in un certo senso, le ricordava sua nonna. «Lieta di fare la sua conoscenza Signora Moore e la ringrazio per il benvenuto.» Sorrise cordiale, usando lo stesso tono di voce neutro e misurato, perché ciò che stava avvenendo tra loro era molto di più che un semplice scambio di battute. Sapeva come muoversi in quell' ambiente, ci era cresciuta, e aveva avuto due insegnati alquanto esigenti che, da lei, in quanto erede di due importanti casate, pretendevano la perfezione assoluta. «Non sarei mai venuta qui se anche lui non lo fosse per me.» In tal caso non avrebbe mai fatto un passo così importante. Se era lì, in quella casa, a conoscere la sua famiglia era perché era speciale, era lui, era il suo... Il suo Hunter. «Particolare?» I suoi occhi freddi scrutarono attentamente il volto inespressivo della donna e le venne quasi da ridere quando capì cosa stesse cercando di dirle. C'era oscurità nei Moore? E qual era il problema? Daphne aveva visto sua nonna e suo fratello morire, sua madre era un'assassina, era stata torturata, manipolata e illusa, suo padre presto sarebbe impazzito; ci voleva ben altro per spaventarla. «Trovo che Hunter sia speciale.» E se in lui c'era un lato oscuro avrebbe accettato anche quello, perché anche lei lo aveva. Uno molto pericoloso. «Se il fine giustifica i mezzi, allora tali principi sono condivisibili.» Sorrise enigmatica, inclinando leggermente il capo. Lei stessa avrebbe usato la magia nera per spedire Ellen all'altro mondo, perché la bianca, da sola, non bastava. L'avrebbe fatta vivere l'inferno in terra e, alla fine, si sarebbe uccisa con le sue stesse mani. «Se per stare con suo nipote devo farmi strada tra i Moore, lo farò. Non ne dubiti.» Aveva scelto consapevolmente di restare mossa da un sentimento che, solo adesso, aveva cominciato ad accettare. «Quel bicchiere di champagne è per me?» Daphne era sicura di sé perché, anche se non ostentava mai la sua posizione, sapeva di essere una figura importante nell'alta società visto i genitori che aveva e il modo in cui era stata cresciuta e, per quanto Hunter fosse un buon partito secondo l'ottica del mercato matrimoniale dei maghi purosangue, lo era anche lei, basti pensare che suo padre era il braccio destro del Ministro e non era da escludere che un giorno lo sarebbe diventato a sua volta.



    Edited by Daphne. - 19/6/2023, 02:58
     
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    Evelyn Moore

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    Evelyn era brava ad inquadrare le persone, a capirle, a farsi una sua idea che spesso finiva per corrispondere alla realtà. Forse era diventata un'abitudine - o se vogliamo un'abilità - dovuta ai suoi ritmi e al suo stile di vita, in cui volti nuovi entravano e provavano ad intromettersi troppo frequentemente. La donna non ricordava di aver avuto un sesto senso tanto sviluppato in gioventù, le sembrò naturale considerarla come qualcosa che aveva acquisito nel tempo, dal momento in cui le venne chiesto in maniera implicita di giudicare che chi fosse o non fosse adatto alla famiglia Moore. Forse era per questo se con Lawrence aveva avuto un'accesa discussione dopo la brutta faccenda di Chloe e di Akzaban, l'uomo in fondo la riteneva in parte responsabile di ciò che era successo. Nonostante ciò, Evelyn non gli permise mai dai addossarle quella colpa, fino a prova contraria non era forse lui il capofamiglia? L'uomo che decideva cosa era giusto o sbagliato? Continuare ad incolpare la moglie sarebbe stato come ammettere che la sua voce in capitolo era un po' troppo importante quindi l'uomo, essendo un uomo intelligente, decise che era meglio mettere da parte la faccenda e guardare al futuro.
    Ora questo famoso futuro, sembrava più vicino di quanto non fosse mai stato: Hunter non era mai stato così vicino ad una ragazza al di fuori di quelle appartenenti al nucleo familiare e al di fuori di un'amica che i nonni sapevano avesse ma di cui non si erano mai interessati. Forse anche per orgoglio personale, Evelyn era decisa a non sbagliare la sua valutazione questa volta e a osservare molto bene la ragazza che gli stava di fronte con portamento sicuro e dal tono cordiale.
    I due sembravano legati, Daphne, così si chiamava, sembrava aver scelto di trovarsi lì perchè lei per prima aveva dato un'importanza al nipote. Il suo quindi non era un coinvolgimento passivo, ma una scelta consapevole «mi fa piacere sentirlo» ed era vero, quella risposta denotava intelligenza. Evelyn sorrise davanti alla nota di iperprotezione che le sembrò di scorgere negli occhi e nel tono della giovane «speciale, anche, se la preferisci come definizione» in qualsiasi modo lo si voglia definire, Hunter era un ragazzo fuori dalla norma. Una mente articolata, forse troppo, difficile da leggere, difficile individuarne i pattern. Evelyn sospettava a volte che avrebbe potuto prendere la stessa scelta estrema del padre, un giorno. Forse perché leggeva troppa malinconia nel suo sguardo. In cuor suo, questa era una delle rarissime volte in cui sperava di sbagliarsi.
    La risposta di Daphne fu alquanto particolare, Evelyn restò qualche attimo in silenzio a soppesare le sue parole prima di procedere «per una donna con dei principi forti, è difficile avere a che fare con il resto della famiglia.
    Hunter è un'eccezione. Non è lui l'ostacolo. Ma questo penso che tu l'abbia capito benissimo da sola»
    ancora una volta Evelyn sorrise, anch'essa poco chiara nel motivo di quel sorriso. Quello di cui era quasi certa, era che la ragazza sapesse bene quello che stava facendo, che non avesse paura di prendersi quell'impegno, che essere lì non la spaventasse. Alla donna venne facile immedesimarsi in lei e quasi dispiacersi per le difficoltà a cui sarebbe andata incontro. Tuttavia se era così forte e decisa come sembrava, sarebbe uscita vittoriosa da quella lotta, giusto? «ti auguro di riuscirci, Daphne. E mi auguro che vorrai davvero farlo» poteva sembrare difficile coglierlo, ma in realtà c'era sincerità in quelle parole «si certo. Presto brinderemo per Cristopher, prendilo» le porse elegantemente il calice prima di interrompere quella conversazione. Aveva la sensazione che avrebbe avuto altre occasioni per studiarla in maniera ancora più approfondita «se vuoi scusarmi, ci vediamo più tardi» le rivolse un cenno con il capo e poi si allontanò consapevole di quello che stava per accadere. Il momento probabilmente più atteso della serata.
    La musica ad un tratto iniziò ad abbassarsi gradualmente, così come il mormorio della gente che riempiva la sala andò scemando fino a zittirsi del tutto a quel punto non era difficile capirne il motivo: Lowrence stava in piedi sul fondo della sala, su di una pedana di poco rialzata da terra. Sembrava che anche l'intensità della luce si fosse abbassata, lasciando in evidenza l'uomo che guardava i suoi ospiti con un sorriso rilassato sul volto e un bicchiere di champagne in mano. Aveva chiaramente attratto su di sé gli occhi di tutti e lo scopo era proprio quello, fare che tutti fossero concentrati sulle parole che stava per dire. La serata era in onore dell'anniversario della scomparsa del suo unico figlio maschio, in onore di Cristopher che da quando era diventato auror aveva portato onore alla famiglia con i suoi successi lavorativi. Meritava quella festa, meritava quegli onori e meritava quelle parole, perché tutti si ricordassero del figlio eccellente che era
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    «prima di tutto, vorrei ringraziarvi nuovamente per essere qui stasera. Per essere qui per Cristopher» la voce magicamente amplificata dell'uomo era chiara e piena. I suoi occhi si rivolsero velocemente al cielo nel pronunciare il nome del figlio. Evelyn, che aveva avanzato qualche passo verso la pedana rialzata, adesso aveva lo sguardo puntato sul marito; le si gonfiò un attimo il petto quando aprì bocca come se il suo corpo si fosse irrigidito per la tensione del momento. Anche in quell'occasione sembrò che il marito si fosse dimenticato che anche lei aveva perso un figlio, esattamente come lui «tutti voi avete conosciuto il mio ragazzo, penso possiate concordare con me se dico che era un uomo capace, intelligente, attento. Sensibile» quella era un'aggiunta che Evelyn non si aspettava, un'aggiunta che mostrava un'apertura in Lawrence probabilmente impercettibile agli occhi degli altri, ma palese ai suoi «aveva dei grandi valori, forse migliori persino dei miei. Valori che ha insegnato ai suoi figli, Hunter ed Emilie, che oggi soffrono la sua mancanza più di chiunque altro» un cenno era stato rivolto ai due ragazzi che per educazione, ricambiarono. Loro avevano perso un padre dopo aver perso anche una madre; anche se non era morta, Chloe ormai non poteva più prendersi cura dei suoi figli. E forse vista la morale della moglie, quella era da considerarsi una fortuna. «Rivedo lui in loro e questo per me è consolatorio» Evelyn sapeva bene che quello che Lawrence intendeva dire è che in loro, soprattutto in Hunter, vedeva il futuro del nome della famiglia Moore e si chiedeva se davvero provasse dispiacere per loro o se doveva solo fingere. Questo neanche Evelyn riusciva bene a comprenderlo, probabilmente perché suo marito ha sempre combattuto in solitaria i suoi malesseri «non passa giorno in cui non ripensi a lui, alla sua positività e al modo in cui si batteva per ciò in cui credeva. I suoi colleghi della divisione americana hanno potuto vedere con mano ciò di cui parlo» un altro cenno viene rivolto agli auror presenti in sala «è andato incontro alla morte con fierezza per ciò in cui credeva. Ha sempre saputo di non aver scelto una carriera semplice, eppure non si è mai tirato indietro nemmeno di fronte al pericolo imminente. Per uomo come lui, non poteva esistere morte più dignitosa» e adesso eccole, le bugie. Quelle bugie che Evelyn e Lawrence avevano scritto insieme per far far apparire il figlio come un eroe, per fargli riguadagnare quell'orgoglio che dal loro punto di vista aveva perso togliendosi la vita. Ora i calici si alzano in alto, al cielo «a Cristopher. Che tu possa riposare serenamente, io e tua madre siamo fieri di te» quella fu l'unica menzione che Evelyn sembrò meritare. A Cristopher, furono le uniche parole che si levarono in coro. Un coro formato da gente che forse Cristopher non lo aveva mai conosciuto davvero, questo la donna lo sapeva bene eppure era un'altra delle cose che doveva sopportare. Strinse forte il bicchiere portandoselo alle labbra. Il figlio davvero non c'era più e lei avrebbe preferito restare sola con il suo dolore piuttosto che stringere le mani di tutte quelle persone che adesso si avvicinavano a lei per condividere il momento. Eppure nessuno dei suoi reali sentimenti si intravedeva sul suo volto. Evelyn era ormai diventata perfetta per il ruolo che le era stato assegnato. L'uomo scese dalla pedana avvicinandosi affettuosamente alla donna. Lo spettacolo era finito.

     
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