i wanna be yours.

with Hunter, Francia.

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    24 dicembre 2022

    Il treno che l'avrebbe portata a Londra sarebbe partito tra qualche minuto e gli studenti che avrebbero passato le vacanze natalizie a casa salivano con un sorriso, in attesa di rivedere i loro famigliari dopo mesi di lontananza. Alcuni erano rimasti per partecipare al banchetto organizzato dalla scuola, ma Daphne aveva deciso di non andarci, dopo tutto quello che aveva scoperto, compresa la morte di suo fratello, le serviva del tempo per sé, lontano da tutto e da tutti. Tre giorni fa era stato il suo compleanno, aveva fatto diciassette anni ed era legalmente un'adulta nel mondo magico, nonché erede ufficiale dei Blackwood e degli Andersen. Suo padre non si era fatto sentire, non le aveva scritto mentre sua madre sì, le aveva mandato una lettera di auguri e un regalo: un mantello che le permetteva di passare inosservata agli occhi della gente, un oggetto utile che avrebbe sicuramente apprezzato di più se glielo avesse spedito un'altra persona. Non le aveva risposto, tanto sapeva che, a breve, l'avrebbe incontrata e dopo quello che aveva visto durante l'ultima lezione con il vicepreside, aveva sempre più timore di vederla. Quella donna era un angelo della morte: tanto bella quanto letale. Il fischio della locomotiva la distolse dai suoi pensieri, sospirò e portandosi dietro la valigia con su la gabbia di Alec, si diresse all'entrata più vicina. Salutò educatamente il controllore con un sorriso tirato e, una volta dentro, cercò un posto libero dove sedersi. Il treno era semivuoto, la maggior parte sarebbe partita l' indomani o in serata, quindi non ci mise molto nel trovare uno scompartimento libero. Posò i bagagli di lato, assicurandosi che il suo gufo stesse comodo, e si sedette sul lato sinistro accanto al finestrino. Tolse, poi, il cappotto grigio che indossava, rivelando una gonna nera e un maglioncino bianco, lo poggiò sul sedile di fronte e si rilassò, guardando fuori la finestra la prima neve dell'anno. In Norvegia faceva molto più freddo, aveva nevicato da un pezzo e il lago dove era solita pattinare doveva essere completamente ghiacciato. Sorrise nostalgica, ripensando ai momenti che aveva trascorso lì con sua nonna: a quando le aveva insegnato il suo primo salto non puntato, il Salchow, alle battaglie di palle di neve dove, dopo un'accesa lotta, si arrendeva per farla vincere, ai pupazzi costruiti e poi distrutti, a quando era felice. Un sentimento che aveva provato solo in sua compagnia, lontano dai suoi genitori, perché con lei poteva essere semplicemente Daphne e non la bambola perfetta che voleva sua madre. Il Natale era la sua festa preferita, lo passava con lei in uno chalet di montagna, bevendo una tazza di cioccolata calda davanti al camino, sotto le coperte e scambiandosi i regali non appena scoccava la mezzanotte. L' ultimo dono che le aveva fatto, prima di morire, era Alec. Per questo era così legato al quel gufo: era l' unica cosa che le restava di lei, oltre ai ricordi che, di tanto in tanto, riemergevano senza preavviso, lasciandole addosso un vuoto che non avrebbe mai colmato. Chiuse gli occhi per scacciare via le lacrime che non avrebbe versato e prese un libro dalla borsa da leggere durante il viaggio. Sua zia l'aspettava al Binario 9¾, era contenta di riaverla a casa per le vacanze anche se Daphne avrebbe preferito essere altrove. Quella festa, ormai, aveva perso tutta la sua magia.
    Sentì la porta dello scompartimento aprirsi, alzò lo sguardo per vedere chi fosse e rimase immobile, fissando la persona che, da due mesi a quella parte, le era terribilmente mancata entrare e salutarla freddamente con un cenno del capo. Non si parlavano nemmeno più e l'espressione seria che aveva ogni volta che la guardava non le piaceva. Per niente. Voleva l'Hunter di quella sera, quello che l'aveva baciata dolcemente e poi con passione, che l'aveva stretta a sé così forte tanto da farle mancare il respiro, che aveva visto sorridere davvero per la prima volta da quando si erano conosciuti. Quello era il suo Hunter. E se era cambiato era stato a causa sua, perché era scappata senza voltarsi indietro nemmeno una volta. Ricambiò il gesto, aspettando che andasse via e scegliesse di sedersi altrove, ma il corvonero la sorprese entrando e sedendosi di fronte a lei. Strinse il libro che aveva tra le mani, non sapeva che fare né cosa dire e, forse, la cosa migliore sarebbe stata quella di stare in silenzio e lasciar andare il ragazzo che le faceva perdere il controllo. Ma era davvero ciò che voleva? No, non lo era. Chiuse il libro, gettandolo di lato, si alzò e si andò a sedere di fianco a lui, mantenendo comunque una certa distanza perché non aveva idea di come avrebbe reagito se avesse invaso il suo spazio personale nella situazione in cui erano. Lo guardò diritto negli occhi, la luce del sole li rendeva ancora più verdi e per un attimo si incantò. Aveva sempre amato quel colore. Poi, prese aria, e parlò.
    «Mi dispiace per come mi sono comportata, per averti lasciato così senza una spiegazione ed essere sparita. Non volevo starti lontana per due mesi, ma sono successe delle cose e non sapevo che fare. Non sono brava in queste cose.» Quando sbagliava, Daphne, ammetteva sempre i suoi errori, ma lo faceva solo quando ne valeva la pena e visto che non voleva perdere Hunter, era esattamente ciò che stava facendo.
    Non biasimava il suo comportamento, se fosse stata al suo posto avrebbe fatto lo stesso. Cosa cavolo avevo in testa?Avrebbe dovuto affrontare quelle emozioni invece di scappare, proprio come le aveva detto il professor White, ma non era facile per una maniaca del controllo come lei. Eppure, alla fine, aveva deciso di sentirle, perché con lui non poteva fare altrimenti, non quando tutto quello che voleva era prendergli il viso tra le mani e baciarlo. Quei due mesi distanti le avevano fatto capire delle cose, una di quelle era che, se avevi qualcuno in testa, fuggire era inutile. «Scusami.» Il tono della voce era basso, le mani erano strette a pugno e gli occhi azzurri celavano un velo di tristezza. Non stava nascondendo le sue emozioni come faceva sempre, era sincera, con lui lo era sempre stata.




    Edited by Daphne. - 14/12/2022, 15:55
     
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    Erano giorni che guardavo il mio baule pieno in previsione del rientro a casa. Avevo lasciato a portata di mano giusto quegli effetti personali che sapevo mi sarebbero stati utili, cose quotidiane, libri, maglioni, giacche che avevo riposto ordinatamente per ultime in cima alla pila di cose che avrei riportato in Francia. In Francia, non in America questa volta; quello che ho vissuto l’ultima volta mi è bastato, Dio, era passato molto tempo da quanto avevo visto tutta questa ipocrisia. Dopo la morte di mio padre ammetto di aver avuto una debolezza e di aver creduto che l’evento avesse smosso persino i miei nonni, spingendoli a vedere me e mia sorella come veri elementi della famiglia. Si trattava solo di sabbia negli occhi che fortunatamente ho rimosso con una certa rapidità, ricordandomi di come io sia soltanto utile per portare avanti il cognome e di come mia sorella sia invece quella di troppo. La sua unica sfortuna è essere nata donna, sento profumo di medioevo nell’aria. Per cui non avrei mai acconsentito a mettere piede in America questa volta, non esiste, non era necessario farlo.
    Emilie ha accettato la condizione anche perché o così, o non avrebbe rivisto nè me, nè Whisky, nè nessuna bancarella londinese questo Natale. Il suo desiderio prima di tornare in Francia è proprio questo, vedere Londra addobbata a festa. Ogni tanto riesce ad essere veramente frivola.
    Ovviamente un husky è perfettamente a suo agio in questo clima, io un po’ meno, vorrei che questa sciarpa voluminosa ed ingombrante non mi servisse e forse sarei più sciolto nei movimenti.
    Un fiocco di neve fa contrasto con il pelo di Whisky, palesemente non contento del fatto che dobbiamo viaggiare in vagoni separati e palesemente contrariato dal fischio del treno, a cui non sembra riuscire ad abituarsi - prendi qua - un pezzo di carne essiccata lo metterà a tacere, si spera. Anche perché le ore di viaggio non sono poche. Baule al seguito, mi faccio spazio tra gli altri studenti che, come me, sono di rientro. Li sento mentre si fanno raccomandazioni del tipo “non dimenticarti di me” oppure “scrivimi ogni tanto”. Fossi io non potrei garantire nè l’una, nè l’altra cosa. E a proposito, non devo scordarmi gli allenamenti per il mio mentalismo, non posso permettermi pause invernali o tornerò al punto di partenza.
    Mi colpisce il cambio di temperatura una volta sul treno, finalmente posso liberarmi della sciarpa che iniziava a prudermi sul collo oltre che a farmi sentire soffocato. Ho preso le pillole, vero? Controllo le tasche in cui ne conservo un paio per ogni evenienza, solo il pensiero di tenerle sempre con me mi calma ed evita che i bruschi pensieri intrusivi di cui sono vittima prendano il sopravvento.
    Sembra che in molti si siano sbrigati a trovare loro sistemazione sul treno, attraverso il vetro intravedo in una cabina un paio di ragazzi del primo miei concasati. Decido di superarli e allo stesso modo, di superare quegli abitacoli che già mi sembrano troppo incasinati preferendo invece qualcosa di più tranquillo. E quando faccio scorrere la porta della cabina che mi sembra la più vuota fin'ora, inizio a domandarmi se il caso alla fine non esista davvero. Non ci ho mai creduto, zero, sono sempre stato un sostenitore del pensiero secondo cui il nostro futuro è costruito dalle scelte di oggi. Eppure come dovrei chiamare questa cosa? Coincidenza? Fato, destino... karma?
    Avevo cercato di sbrogliare da solo l'enigma Daphne per molto tempo dopo quel nostro avvicinamento così repentino e inaspettato e ho detestaro il fatto di dovermi arrendere di fronte alla sconfitta: non avevo trovato la soluzione nè una possibile spiegazione al suo atteggiamento così distante, in totale contrasto con quello che mi aveva fatto capire quella sera. Non mi aveva nemmeno mai dato la chance di parlane, come dannazione avrei dovuto fare a capirci qualcosa? Normalmente avrei saputo come giudicare questo genere di atteggiamento e mettere da parte la questione, ma qua stavamo parlando di Daphne e il mio giudizio per la prima volta non mi soddisfaceva. Avevo la necessità di sentire la sua campana e trovare così il capo della matassa. Guardandola adesso, seduta, non riesco a provare indifferenza. Il fastidio non è indifferenza infatti, resta un'emozione che sto provando nei suoi riguardi, fastidio per i dubbi che mi ha lasciato, fastidio anche verso me stesso per non essere stato capace a sbrigarmela da solo.
    Un cenno del mento inespressivo è comunque tutto ciò che riesco ad offrirle come saluto. E ora che sono qui una strana forza, probabilmente la stessa che mi ha portato a pormi varie domande, mi spinge ad entrare per dare una conclusione a questa storia. Ho deciso di chiudermi alle spalle la porta, assecondare gli eventi e darmi la possibilità di studiare le sue intenzioni, capire quale processo mentale ha fatto, ottenere una spiegazioni sensata per la sua assenza di questi mesi.
    Mi siedo esattamente di fronte a lei, non so se lo faccio perché non ci sia altra alternativa o perché ci tenga davvero ad allinearmi sulla sua stessa linea. È il mio modo si metterla alle strette. I capelli biondi le ricadono su una spalla, io mi ritrovo ad osservarla con espressione seria più di quanto sia necessario fare. Si muove e io penso "finalmente non scappa via": prende posto accanto a me e io sto ancora guardando la seduta che mi sta di fronte, adesso vuota. È poco prima che inizi a parlare che mi soffermo sul suo volto, vicino adesso più di quanto lo sia stato in ben due mesi di nulla cosmico. Dopo quella sera non l'ho più sfiorata neanche per errore sforzandomi di assecondare quella distanza che lei aveva deciso di imporre, rispettare le batriere altrui è sempre stato il mio punto di forza. Poi mi ha facilitato il lavoro il fatto che a distanza sia diventata un'abitudine e adesso sono sempre più bravo a stare al mio posto, nonostante con lei mi risulti più difficile di quanto non sarebbe se al posto suo ci fosse qualcun altro. Quando inizia a parlare mi stupisce: l'ho mai sentita così? Giurerei di no. Sembra che stia scaricando dei pensieri che teneva intrappolati da tempo, eppure non mi sta davvero fornendo una motivazione. Riconosco il meccanismo e nella sua testa sono sicuro che ci sia altro da tirare fuori. Quello che invece mi smuove facendo cadere la mia maschera di indifferenza sono le sue scuse, pronunciate con un filo di voce. Sincere, non per orgoglio, questo riesco a vederlo. Segue un silenzio utile a me per capire se abbia finito il suo discorso, ma anche necessario per darle a mia volta una risposta sensata. Tuttavia più che una risposta autoconcludente, è altamente probabile che le porrò altre domande - tu puoi fare quello che vuoi - esordisco - normalmente è così che avrei chiuso il discorso. Purtroppo però questa volta ho bisogno di capirci di più - i miei occhi si posano sui suoi di quell'azzurro freddo che in più di un'occasione mi aveva colpito, sono alla ricerca di qualcosa. Cosa poi non lo so nemmeno io. Non sembra che stia guardando Daphne, l'ho sentita così distante che ora somiglia di più ad un miraggio nonostante si trovi a pochi centimetri da me. Cerco altro da aggiungere stringendomi il ginocchio con la mano destra, come se da lì potessero provenire i ragionamenti sensati - hai detto che lo hai voluto quanto me. Quindi perchè? - non aveva logica, il suo atteggiamento contrastava troppo con le sue parole - cos'è che ti ha trattenuta? - e anche se avessi fatto una domanda troppo personale, la mia voglia di ricevere una motivazione è così alta che le parole lasciano bocca quasi senza limitazioni. Meglio così: se l'obbiettivo è raggiungerla, non è il momento di lasciare le frasi a metà.



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    Edited by .Moore. - 18/12/2022, 10:53
     
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    Quando diede voce a tutti i suoi pensieri l'espressione di Hunter non cambiò, la guardava ancora con freddezza. Era serio, impassibile quasi e Daphne non era abituata ad avere a che fare con quel lato del suo carattere, le dava l'impressione di essere un'estranea per lui ,come se, quella notte, non l'avesse mai baciata, mai toccata, mai accarezzata. Lo sentiva distante, c'era un muro invisibile tra loro che lei, indubbiamente, aveva contribuito ad erigere allontanandosi, ma adesso voleva assolutamente buttarlo giù per averlo di nuovo vicino. Questa volta senza scappare. Le mani strette a pugno resero evidente il suo nervosismo, non aveva idea di come fare per raggiungere il ragazzo davanti a lei, salvo essere sincera e trasparente. Così furono le scuse pronunciate a bassa voce, poi non parlò più, aspettò che Hunter le desse qualche segnale. Aveva tenuto conto del fatto che avrebbe anche potuto non volerla ascoltare, infondo nessuno lo obbligava a farlo e lei, anche in quel caso, non lo avrebbe biasimato. Aveva pensato a tutte le possibilità in quei mesi, a tutte le reazioni che avrebbe potuto avere se mai avesse deciso di fare la prima mossa ma, da vigliacca qual era quando si trattava di sentimenti, aveva scelto di non affrontarlo e di sopprimere tutto quello che le aveva fatto provare, convinta che, prima o poi, lo avrebbe dimenticato. E invece aveva fatto ancora più rumore: era lì, nella sua mente, insieme ai ricordi di quella sera e non ne voleva sapere di andare via, era radicato troppo in profondità. Poi era iniziata la mancanza, e allora aveva iniziato a cercarlo per i corridoi, a lezione, in biblioteca per colmarla, ma senza successo. L' unico modo per farlo era averlo accanto a lei, però non poteva, così aveva soppresso anche quella. Aveva passato quei mesi a riflettere su tante cose, a cercare di capire perché Hunter la facesse sentire in quel modo, chiedendosi cosa avesse di diverso da tutti i ragazzi che aveva conosciuto. Alla fine era giunta alla conclusione che non c'era una spiegazione logica; quella connessione che aveva con lui, quella naturalezza che l'aveva spinta ad approfondire il loro rapporto esisteva e basta. E che sarebbe stata una stupida a rinunciarvi.
    Hunter parlò e Daphne si concentrò unicamente su di lui, non si fece distrarre nemmeno dal fischio del treno che ne segnava la partenza. Era chiaro che volesse una spiegazione al suo comportamento e lei gliel'avrebbe data, anche se questo significava esporsi a livello personale. Non era facile, per lei, raccontare di sé e rendersi vulnerabile nei confronti di un'altra persona, si stava fidando correndo un rischio non indifferente, però aveva deciso che il gioco valeva la candela. Hunter valeva. «Sì e non ritiro ciò che ho detto: l' ho voluto quanto te.» E lo voleva ancora. Lo guardò diritto negli occhi senza distogliere lo sguardo, nemmeno per un secondo, perché aveva bisogno di quel contatto visivo. «Solo che io sono fissata con il controllo, necessito di controllare tutto quello che mi circonda e le mie emozioni non fanno eccezione. Negli anni è diventata un'abitudine, lo faccio quasi meccanicamente. E poi non voglio che le persone si avvicinino più tanto, non voglio legami e sto bene da sola. Ma tu... » Scosse la testa, pensando che non era nei suoi piani quello di essere così attratta da un ragazzo nella sua totalità. Fisicamente lo poteva capire, Hunter era affascinate e aveva dei lineamenti che le erano sempre piaciuti, per non parlare di quelle mani che, dall'estate scorsa, aveva immaginato su di sé e di quegli occhi magnetici che l'attiravano ovunque andasse. Ma non era solo quello, c'era ben altro sotto: le faceva venire voglia di legarsi, di creare un rapporto stretto con lui e questo, a Daphne, faceva paura. Ma l'avrebbe affrontata, al diavolo. Aveva smesso di scappare. «Tu sei diverso. Il controllo con te non ce l'ho, provo cose che non so spiegare, voglio averti vicino ed è tutto strano, perché non mi sono mai sentita così, è tutto illogico. E quindi, dopo quello che è successo, avevo bisogno di riflettere, di capire solo che poi sono accadute altre cose e i mesi sono passati. » Stingeva la gonna tra le mani, sforzandosi di rimanere seduta e non darsela a gambe, perché l'istinto era forte. Ma altrettanto forte era il desiderio di toccarlo, di baciarlo, di sentire il calore del suo corpo contro il suo, di avere quelle maledette mani su di lei, di vederlo sorridere. La stava mandando al manicomio, non era abituata a tutto questo, dannazione. C'era un'altra cosa che voleva dirgli, un dettaglio che, volendo, avrebbe anche potuto omettere, ma Daphne non era una da mezzi termini: o diceva tutto o non diceva niente. E poi si sentiva sicura nel farlo perché, di lui, si era fidata già tempo fa. Si avvicinò, accorciando le distanze e lasciando solo pochi millimetri a dividerli. Aveva deciso che avrebbe riavuto il suo Hunter e, visto quanto era testarda, ce ne voleva per farla desistere. Lentamente, allungò una mano e gli spostò un riccio ribelle con le dita, facendole poi scorrere delicatamente sulla guancia destra e lì si fermarono. Quel minimo contatto la fece completamente rilassare, tutto il nervosismo che, fino ad allora, aveva provato, scomparve. E solo ora che lo stava finalmente toccando, tirò un sospirò di sollievo. La mancanza era stata colmata. Si prese del tempo per godere di quel momento, aprì la bocca per dire qualcosa ma la richiuse subito dopo. Sentì le gote arrossarsi, era imbarazzata ma non si fermò. «E non sapevo come comportarmi perché sei stato l'unico che mi abbia mai toccato in quel modo. » Ora stava andando letteralmente a fuoco, tuttavia non smise di guardarlo. Prima di lui aveva baciato altri ragazzi, tre per la precisione, Lys compreso, ma non era andata oltre perché non ne sentiva la necessità e poi i dramma amorosi non facevano per lei. Aveva sempre avuto altro a cui pensare, la sua vita si era complicata ulteriormente e quella era davvero l' ultima cosa di cui aveva bisogno, eppure eccola lì, a non capire quasi più niente e a perdere il controllo a causa di un dannato corvonero. Assumiti le tue responsabilità adesso.
    Smise di toccarlo, ritraendo la mano e abbassando lo sguardo. La stava guardando troppo intensamente e, dopo essersi esposta così, le serviva un attimo di privacy. I capelli le coprirono il viso, ma non erano abbastanza per nascondere il rossore che ora le arrivava persino sul collo. E non per il freddo. Non era da lei mostrare così tanto, però la maschera che portava sempre, con lui, non faceva altro che cadere. Appoggiò la fronte contro la sua spalla, il suo profumo la cullò e lei rimase in quella posizione per qualche secondo, godendo della sua vicinanza mentre il treno andava sempre più veloce con il rumore dei binari, in sottofondo, a interrompere il silenzio che era calato. «Mi sei mancato.» Un sussurro così flebile, il suo, che sperò non avesse sentito.




    Edited by Daphne. - 19/12/2022, 02:12
     
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    Sembra quasi che la serpeverde oggi si sia svegliata con la volontà di porre finalmente fine a questo silenzio durato praticamente due mesi, un silenzio che - per dirlo con un ossimoro - ha creato un gran casino nella mia mente. Normalmente non è necessario che ci si metta un elemento esterno ad aumentare il mio flusso di pensieri, anzi, normalmente cerco di evitare che le cose mi coinvolgano troppo per non complicarmi l'esistenza. Ogni tanto penso che preferirei morto, così quantomeno scoprirei che suono ha il silenzio. Eppure lei è riuscita in questa impresa, non si sa come, non si sa quando, ma è riuscita a far si che almeno un pensiero nell'arco della giornata sia dedicati a lei, seppur fugace. Forse è stata la distanza, forse è una specie di tattica quella di darmi delle certezze e poi togliermele senza se e senza ma, forse è stato il brio di una sera. E quindi? Anche se così fosse, sarebbe un problema?
    Sì. Ci sono tante cose che vorrei capire di lei, sarebbe un peccato non avere più l'occasione di farlo - l'hai voluto per una sera? - una domanda avventata che non sono riuscito a trattenere. Se così fosse non la giudicherei, ma preferirei che fosse chiara nel comunicarmi le sue intenzioni. Così facendo mi darei una risposta e smetterei di farmi domande inutili.
    Forse la domanda era anche un po' troppo avventata, il dubbio mi sorge quando passa a specificare tutte le motivazioni dietro ai suoi gesti. Ecco, questo livello di dettaglio lo preferisco decisamente di più. Ci ha messo due mesi per partirei questo discorso, per capire, per capirsi. Questo è un livello di dettaglio che lì per lì mi spiazza: mi rivela degli aspetti del suo carattere che prima di adesso non aveva mai menzionato e questa espressione sul suo viso non l'avevo mai vista. Quante cose ci sono dietro alla perfetta apparenza delle persone più insospettabili, Daphne nella fattispecie. Ironico, affascinante anche.
    Lascio che continui la sua frase in sospeso non compiendo chissà quali movimenti, deglutisco e riesco a sentire che le mie sopracciglia si avvicinano tra loro in uno sguardo inquisitorio.
    Io sono diverso.
    È sotto esame. Il mio cervello ha deciso che è sotto esame, che devo studiarla e prestare un orecchio più attento alle sue parole per non farmi sfuggire niente. Più parla più condivide informazioni su se stessa, non mi è mai sembrata qualcosa che Daphne farebbe con leggerezza. Quindi si sta sforzando di comunicare e di dare delle giustificazioni alle sue azioni.
    Sono l'ultimo che può giudicarla per essersi presa del tempo per capire, poco per volta inizio a rilassare l'espressione e quando poi allunga quella mano in mia direzione sfiorandomi i capelli e poi la pelle del viso, sento rilassarsi anche le spalle. Chiudo gli occhi per un istante di più e piego il collo di lato assecondando il tocco delle sue dita, è familiare. Come ha fatto a trasformarsi in un tocco così familiare? Sembra che qualcosa sia tornato in ordine e che adesso sia tutto più giusto. Ma è ciò che segue a farmi avere una vera reazione - cosa - elaboro le parole un attimo in più - l'unico - se sono stato l'unico a toccarla in quel modo, poteva solo significare che... per lei è tutto nuovo, di più di quanto lo sia per me - quindi dovevi aver avuto molto su cui riflettere. Potevi almeno avvisarmi, non ti avrei forzata - e io, che cazzo, avrei potuto capirlo prima o quantomeno pormi la domanda - te la sei presa comoda - è evidente dal modo in cui lo dico che sto ironizzato, cercando di smussare questa sorta di pesantezza che c'è nell'aria. Aaaaah, a volte sono davvero ottuso, ne ho le palle piene di me. Slancio all'indietro il collo in un gesto liberatorio; ho tante cose da chiederle ancora, voglio saperne di più riguardo i suoi impegni, i suoi impedimenti
    - voglio saperne di più - nessuna frase articolata potrebbe dirlo meglio di così, non so che altre parole usare per esprimere questo concetto e se una frase semplice può farlo, perché non dirla?
    Scorgo la sua pelle arrossarsi e un po' mi trattengo dal non cambiare espressione, tutto per evitare di renderle la cosa ancora più imbarazzante. A me non importa.
    È come se allungare la mano verso i miei capelli scombinato fosse stato un modo per sciogliere il ghiaccio e abbassare pian piano le difese, non lo so, abbassare i muri che ci separano. Io in qualche modo mi sento debole al suo richiamo, l'assecondo come se non ci fosse altro da fare. O come se avessi semplicemente desiderato anche io questo momento. Ed è sicuramente per questa ragione se quando poggia la sua fronte contro la mia spalla, non posso non prenderle una ciocca di capelli e rigirarmela tra le dita, come se questo fosse semplicemente il naturale corso degli eventi. È stato strano stare senza di lei, solo adesso realizzo quanto.
    Il rumore metallico dei binari riempie l'abitacolo e a causa sua rischio di perdermi una di quelle frasi che non pensavo avrei sentito oggi, non so perché ne sono tanto sorpreso ma in fondo è la sorpresa stessa a renderla più piacevole. Però non so se ho sentito bene, non ne sono totalmente sicuro, potrei rischiare di fraintendere in fin dei conti, no? È del tutto sensato. Dunque seguendo i capelli biondi della ragazza la mano risale sfiorandole il viso, cerco io suo sguardo, cerco le sue parole. Scorro sulla seduta in pelle, scivolo in sua direzione costringendola a compiere lo stesso movimento ma all'indietro, a ritirarsi a sua volta sulla poltrona - non so se ti ho sentita bene - il braccio destro si poggia sulla spalliera quasi per cingerla, senza però davvero trattenerla. Scivolo un altro po' sulla seduta, il mio avvicino col corpo e lei indietreggia - ripeti quello che hai detto - guardo il suo viso, mi concentro sugli occhi, poi sulle labbra, su tutte quelle zone per me particolarmente interessanti - non voglio perdermi nessun dettaglio - e pensare che io alle piccole ci stavo sempre attento. Eppure nonostante i miei sforzi. Qualcosa mi è sempre sfuggito di mano, come se mi fossi sempre concentrato sulla cosa sbagliata. Non volevo fare lo stesso errore, avrei provato a concentrarmi su tutto. La mano poggiata allo schienale giocherella per un po', poi l'indice si allunga in direzione del viso della serpeverde sfiorandolo impercettibilmente. Il paesaggio semi innevato, è un cornice perfetta per lei.



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    «Certo che no.» Rispose decisa alla sua domanda, guardandolo diritto negli occhi con espressione seria. Sarebbe stato più facile se l'avesse voluto solo per una notte, per togliersi uno sfizio, ma Daphne non era il tipo di persona che cedeva a desideri irrazionali e illogici, per lei il controllo e la ragione erano tutto e se si era lasciata andare in quel modo la sera del dieci ottobre era perché era con lui, con un altro dubitava sarebbe successo. Quando, in passato, aveva baciato gli altri era stato grazie all'alcol che aveva in circolo e che l'aveva aiutata a spegnere il cervello e a pensare meno. Con Hunter, invece, era stato tutto così naturale e spontaneo che sarebbe sicuramente successo di nuovo se si fossero ritrovati da soli, per questo aveva messo le distanze e si era presa del tempo per riflettere e razionalizzare il tutto. In realtà, era da mesi che lo voleva: quei sogni non erano un caso. A lungo aveva cercato di sopprimere l'attrazione che provava nei suoi confronti, poi si era dovuta arrendere alla realtà dei fatti: lo desiderava. E anche tanto. Quella notte ne aveva avuto conferma, il problema era che Hunter le faceva provare ben altro e quindi era scappata per paura di legarsi. E ora era qui, con lui, a spiegargli il motivo del suo comportamento visto che, di stargli lontana, proprio non ne voleva sapere.
    L'espressione seria era ancora lì, sul suo volto, ma Daphne non si lasciò scoraggiare: andò diritta per la sua strada. Esporsi e parlare di lei non era facile, era da anni che non si raccontava e poi alle persone poteva anche non interessare quello che aveva da dire. Lei per prima era diffidente, in generale non le importava più di tanto della gente, faceva domande per pura cortesia visto che aveva ricevuto un'educazione esemplare. Raramente teneva davvero a qualcuno ma, quando succedeva, uscivano lati del suo carattere che nemmeno sapeva di avere. Una delle cose che aveva scoperto di sé era che aveva questa stana voglia di toccarlo, ed era esattamente ciò che stava facendo: gli sfiorò delicatamente la pelle del viso con le dita e, quando lo vide chiudere gli occhi e piegare il collo per assecondare il suo tocco, sorrise, facendo aderire completamente il palmo della mano mentre gli accarezzava la guancia con il pollice. A stento si trattenne dal baciarlo; non era ancora il momento, c'erano altre cose da chiarire. Quando gli confessò quella verità, la guardò incredulo e Daphne arrossì ancora di più. «Sì, Hunter. L' unico.» La mano che aveva sul suo viso finì sulla spalla destra e, per un attimo, distolse lo sguardo. Era in imbarazzo, ma questo non le impedì di avvicinarsi e di baciarlo all' angolo della bocca, soffermandosi, forse, più del dovuto. Poi si ritrasse di scatto, sgranando leggermente gli occhi quando si rese conto di ciò che aveva fatto: si era contradetta. Di nuovo. Solo pochi secondi prima aveva deciso di trattenersi ma, come al solito, quando si trattava di lui, diceva una cosa e ne faceva un'altra. Era in costante lotta con se stessa, con ciò che era abituata ad essere e ciò che un tempo era stata.
    Il rossore aumentò, si schiarì la gola e tornò a parlare, facendo finta di niente. «Te l' ho detto, non sono brava in queste cose.» Era tutto nuovo per lei e stava ancora cercando di capire come gestire quest'ondata di sentimenti che l'aveva travola da un giorno all'altro, senza avvisare. «Beh, chi va piano va sano e va lontano, no?» Lei era andata fin troppo piano, però, quel tempo, le era servito per schiarirsi le idee e, una volta presa la decisione di conoscere meglio Hunter, non si sarebbe più tirata indietro: sarebbe rimasta con lui per vedere questo viaggio dove li avrebbe portati e visto l'interesse che stava mostrando, non era la sola. Se così fosse stato si sarebbe fermata, le cose a senso unico non facevano per lei.
    «Su cosa?» Su di me? Perché non era l' unico a voler sapere qualcosa in più sulla persona che aveva davanti. Valeva anche per lei. Ma non aveva fretta, avrebbe scoperto il suo mistero lentamente. Nel mentre, per nascondere il rossore sempre più evidente, aveva appoggiato la fronte contro la sua spalla, respirando il suo profumo. Quando iniziò a giocare con i suoi capelli, si rilassò completamente, godendosi il momento. Era tranquilla, serena e a suo agio con Hunter. Le era mancato sentirsi così e le era mancato lui. Glielo disse a bassa voce, sperando che il rumore assordante dei binari gli impedisse di sentirla. Poi la sua mano le sfiorò il viso, fece una leggera pressione e Daphne alzò la testa, fissando gli occhi nei suoi. Indietreggiò, osservò di sfuggita il braccio posato sulla spalliera e poi di nuovo lui. Mi ha sentita, dannazione. Volendo, avrebbe anche potuto negare, però aveva deciso di non fuggire più e non le andava di continuare a tergiversare sulle cose. Si piegò di lato, poggiando la testa sulla sua spalla e la mano sul ginocchio sinistro. Sorrise e addolcì lo sguardo, non dicendo nulla per un po'. Si prese il suo tempo, godendo del calore del suo corpo in quella fredda giornata d'inverno. « Mi sei mancato.» Glielo sussurrò. Quei mesi senza di lui erano stati strani, mai avrebbe pensato di sentire così tanto la mancanza di una persona, non dopo la morte di sua nonna. Non aveva mai avuto l'esigenza di legarsi o di fare amicizia con qualcuno, figuriamoci di essere così vicina ad un ragazzo. Eppure, con lui, voleva avere un rapporto, non sapeva di che tipo, ma lo voleva e le piaceva. Così come le piaceva l' intimità che, naturalmente, si era creata tra loro. Gli sfiorò io collo con la punta del naso e poi gli diede un leggero bacio.« Tanto.» La mano libera stringeva ancora l'orlo della gonna, non era solita dar voce ai suoi sentimenti, però, stranamente, fu felice di averlo fatto.




    Edited by Daphne. - 21/12/2022, 09:11
     
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    Era quello che volevo sentire perchè per me non sarebbe stato facile mantenere la distanza fra di noi. Per qualche motivo, Daphne era riuscita a riuscita nell'impresa epica di coinvolgermi in qualcosa e mi piaceva, mi piaceva essere coinvolto. Precisamente neanche io sapevo bene in cosa, è come se una parte di me avesse accuratamente evitato la domanda aspettando che avessi una risposta chiara e definita anziché queste risposte abbozzate e incerte. Ormai mi è chiaro, sono attratto da questa ragazza e diversi aspetti di lei risvegliando in me una curiosità che pensavo non mi appartenesse. Insomma sono impreparato, con troppi quesiti e senza certezze su me stesso ma comunque deciso a non lasciare che quella sera rimanga un episodio isolato, qualcosa che lei potrebbe condividere con chiunque. È paradossale. Di solito aspetto di avere più certezze prima di giungere ad una conclusione simile, eppure... eppure qualcosa nel suo modo di parlare mi suggerisce che lei non è poi tanto diversa da me, che forse non sono l'unico povero pazzo.
    È tutto paradossale, contraddittorio, dalle parole ai gesti che ci scambiamo, la mia espressione dice una cosa ma il mio corpo ne dice un'altra nonappena la sua mano si avvicina a sfiorarmi il viso. Non scelgo io che risposta avere, non ho il controllo delle mie reazioni, sembra che non abbia altra alternativa se non assecondare quel movimento poggiando a mia volta la mia mano sulla sua un po' come se volessi prolungare quel contatto. Forse è timore che si interrompa troppo in fretta e che poi passino altri due mesi prima che possa starle di nuovo così vicino.
    L'unico, questo cambiava le cose, almeno dal suo punto di vista: sono egoista, avrei voluto semplicemente che ci mettesse meno tempo a capire ciò che voleva e non ho tenuto conto delle variabili. Stupide variabili. Adesso non ha senso pensarci anche perché quando mi sfiora le labbra con quel bacio leggero, per un attimo la mia mente tece e di domande non se ne pone altre. Mi piace che mi faccia sentire così.
    Ispiro dal naso riempiendo i polmoni sia di aria che del suo profumo, ora che posso. Nonostante l'istinto mi suggerirebbe altro non sono mai stato uno che si lascia governare dagli impegni improvvisi, fatta eccezione per qualche occasione che può essere catalogata come evento speciale. Dice che questo genere di cose non sono mai state il suo forte, ironia della sorte - nemmeno io... questo è un bel problema - ironizzo immaginando scenari in cui nessuno dei due riesce ad esprimersi come vorrebbe. Neanche ho bisogno di immaginarlo in effetti, è accaduto per i precedenti due mesi in cui non siamo stati capaci di dirci cosa accadeva nelle nostre vite o nella nostra testa e anche adesso, dietro ogni parola ci sta uno sforzo enorme. Forse è questo somiglianza a farmi sentire pienamente a mio agio con lei, non so, è merito di questo disagio che ci accomuna - beh l'importante è arrivare - anche questa frase aggiunta con ironia. A quanto pare di quel sentimento di frustrazione che provavo fino a poco tempo fa, ci è rimasto ben poco.
    - Su di te, su questi due mesi - senza che me ne accorgessi avevo finito per conoscere la routine di Daphne, cosa le piaceva fare, come passava il suo tempo, mi sembrava di sapere già in anticipo dove l'avrei trovata a studiare o magari cosa avrebbe fatto quel giorno. Da due mesi a questa parte invece, oltre al fatto che le sue routine sembravano essersene andata a fanculo, non avevo più avuto neanche modo di chiederle come stesse. Ora, sembra che siano accadute diverse cose in questo periodo, quindi - abbiamo tempo. Potrai raccontarmelo quando vorrai - per me che mi ero sempre fatto gli affari miei nella vita, per me che avevo sempre vissuto nella mia parte di mondo, sembrava persino troppo chiederle qualcosa di troppo personale. Non ho fretta.
    Per la maggior parte del tempo penso e agisco così, lasciandole spazio a sufficienza per esprimersi come e quando meglio crede; però qualcosa mi scatta nella mente quando sento quelle parole sussurrate, dette a mezza voce forse perché la mettono in imbarazzo. Lo posso immaginare, eppure io ho ugualmente bisogno di sentirla meglio per fissare la cosa. So che è stupido ma per me è come se diventasse meno astratto, lo assimila meglio e in qualche modo... mi piace questo suono. Si rilassa maggiormente finendo per adagiare la testa sulla mia spalla, anche questa volta la posizione mi sembra del tutto naturale. Ripete quelle poche parole che adesso risuonano come un ecco nella mia testa e suggella il tutto con un secondo bacio. Da quando Daphne è così esplicita? Mi sembra che si sia esposta molto più di quanto non abbia fatto io, probabilmente è solo più coraggiosa. E forse non sarà brava con questo genere di cose ma voglio avere la presunzione di aver capito ugualmente il suo stato d'animo, che penso somigli almeno un po' al mio. Espiro ancora una volta come se stessi tirando un sospiro di sollievo. Le scosto una lunga ciocca di capelli biondi che le ricade sulla spalla, la portò subito dietro l'orecchio come a vole sgombrare la via alla mia mano che si allunga e raggiunge Il suo mento. Le alzo il viso quanto basta perché i miei occhi incontrino i suoi, quanto basta perché possa notare la mia espressione che per quanto sia corrucciata è in realtà in scoperta. Di tutto, dei suoi pensieri e probabilmente anche dei miei. Mi chino ancora un po' su di lei, abbasso per un attimo gli occhi a guardare la mano aggrappata al bordo della gonna. Mi ricorda uno dei miei mille strani modi per alleviare l'ansia. Solo dopo questa breve riflessione arrivo abbastanza vicino da sfiorarle il naso con il mio e a quel punto quasi con fatica, sussurrarle - ...anche tu - io stesso appaio stranito per quella ammissione prima che, dopo essermi fugacemente inumidito le labbra, le poggio sulle sue. Non esito nell'approfondire quel bacio passandole la mano destra dietro la nuca per avvicinarla a me. Mi ritrovo a pensare che è già stata troppo lontana. Le schiudo le labbra con la lingua e assaporo quel momento per un lungo attimo prima di separmi lentamente da lei. Non troppo però, ho sempre la fronte poggiata alla sua e le sorrido mentre penso a qualcosa che detta adesso, potrebbe suonare molto da sfigati - mia sorella me l'ha sempre detto che non ci ho mai capito un cazzo di queste cose - le sorrido, spontaneamente, amche divertito perché nonostante Emilie abbia ragione se mi vedesse ora, farebbe fatica a credere che mi sia davvero esposto con qualcuno che non è lei. E mentre fuori dalla finestra scorgo la neve che copiosa ricopre i paesaggi che stiamo attraversando, mi sorge spontanea una domanda che le pongo mentre la mano sinistra percorre la lunghezza el suo braccio fino poggiarsu sul dorso della sua mano ancora stretta a pugno - scapperai ancora? - intanto i versi acuti di Alec ci fanno da sottofondo, evidentemente non è molto entusiasta della scena a cui sta assistendo. E io sto approfittando del fatto che sia dietro ad una gabbia.




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    Con il pollice gli accarezzò delicatamente la guancia e Hunter sembrò godere di quel contatto, tanto che appoggiò la mano sulla sua. Daphne addolcì lo sguardo, quel ragazzo aveva delle reazioni che non si aspettava. Credeva che non avrebbe accettato le sue scuse e che l'avrebbe allontanata, lei lo avrebbe fatto con una persona che era sparita per due mesi senza fornire alcuna spiegazione e, forse, nemmeno si sarebbe scomodata nell' ascoltare le motivazioni dietro quel gesto, soprattutto se non gliene fregava niente. Ed era lì il punto della questione: a lei di quel ragazzo importava eccome, tanto da contraddirsi ogni volta, proprio come adesso. Gli aveva svelato di essere l'unico con il viso il fiamme, aveva distolto lo sguardo perché era imbarazzata e poi che aveva fatto? Lo aveva baciato all'angolo della bocca perché non era riuscita a controllarsi, il suo corpo si era mosso da solo e poi, non appena era tornata in sé, si era ritrattata e aveva cercato di darsi un contegno inutilmente. Stava scoprendo quanto essere attratta da qualcuno potesse essere illogico e pericoloso, soprattutto se si parlava di attrazione sia fisica che mentale, come nel suo caso. Aveva scoperto anche quanto potesse essere bello e spaventoso entrare naturalmente in intimità con qualcuno, tanto da avvicinarsi e trovare strana l'assenza di un tocco prima estraneo e ora così famigliare, di sentire la mancanza di una persona nella sua totalità e nel volerci parlare, anche solo per dire cose stupide perché, alla fine, ciò che conta è stare in sua compagnia. Insomma, un vero casino.
    Sorrise nel sapere che nemmeno lui era tanto esperto in quelle cose, un po' se l'aspettava vista la difficoltà che aveva nel esporsi, però non era scappato dopo quella sera anzi, l'aveva cercata anche solo con lo sguardo e lei, da codarda, era fuggita via. Che idiota sono stata. «Tanto non c'è nessuna fretta, non è che esiste un manuale da seguire.» E poi ogni rapporto è diverso, ogni persona è diversa e quei consigli scritti sui giornaletti per giovani streghe erano solo idiozie, come facevano a credere a quella robaccia? Anche le sue cugine lo facevano, inutile ripetergli che erano solo sciocchezze perché "tanto tu non ci puoi capire, sei fredda come il ghiaccio Daphne, non apri il tuo cuore a nessuno." Si irrigidì un secondo quando si rese conto che, con Hunter, in qualche modo, era esattamente ciò che stava facendo. Strinse l'orlo della gonna, la paura stava tornando, così appoggiò per un attimo la fronte sulla sua spalla, respirò il suo profumo e si calmò. Le persone, di solito, avevano il terrore di restare sole, per lei era il contrario: aveva il terrore di legarsi, soprattutto quando alla base c'erano tutte le premesse per creare qualcosa di forte. «Esatto, nessuno ci corre dietro.» Tornò a guardarlo, staccandosi da lui e confermando che no, non c'era alcuna fretta. Ognuno aveva i suoi tempi e le loro personalità così chiuse e introverse ne richiedevano tanto, però di passi avanti ne avevano fatti e a Daphne andava bene così, voleva godersi quel viaggio senza pensare troppo per una volta.
    Voleva saperne di più su di lei? Lo fissò per qualche secondo senza dire niente, poi si fece più vicina, appoggiando il mento sulla sua spalla e sfiorandogli il naso con il suo. «Anche io voglio sapere di te.» Si incupì quando pensò a tutto quello che era successo in quei due mesi, a sua madre, suo fratello e al prezzo che aveva pagato per ottenere quel potere. Si chiese se avesse mai avuto il coraggio di parlarne con qualcuno, forse no, non voleva coinvolgere nessuno in quell' inferno. «Sono stati due mesi intensi, diciamo così. » Il tono di voce era freddo, privo di emozioni. Quella era la Daphne di tutti i giorni, la versione di sé a cui era più abituata, però, adesso che ci pensava, con Hunter non era mai stata così distaccata, era sempre stata diversa con lui. Prese aria, si calmò e appoggiò la fronte contro la sua mentre gli sfiorava il collo con le dita. « Sì, abbiamo tempo.» Si allontanò leggermente senza smetterle di toccarlo. Gli osservò le labbra, voleva davvero baciarlo ma si trattenne, adesso voleva sapere un'altra cosa. «La lezione di difesa è stata pesante, stai bene?» La dimensione della mente era pericolosa, incerta e ingannevole, se non si era abituati era difficile uscirne indenni. Hunter ci era riuscito entrambe le volte, però lei si era preoccupata lo stesso. Lei, che non si preoccupava quasi mai per nessuno, era in pensiero per un corvonero. Lo era stata dalla lezione di cura. Non c'era niente fare: era fottuta da tempo ormai.
    Quelle parole gliele aveva ripetute guardandolo diritto negli occhi, senza tentennare né ritrarsi perché voleva che sapesse quanto le fosse mancato in quei mesi. Era decisa, anche se l'imbarazzo non tardò ad arrivare, eppure non si pentì di essersi esposta in quel modo, non quando finalmente aveva avuto indietro il suo Hunter. Le spostò delicatamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio per poi prenderle il mento e sollevarle il viso mentre, lentamente, avvicinava il suo. Daphne fece lo stesso, socchiudendo gli occhi quando il suo fiato le solleticò il collo e sorrise, portando la mano destra alla base della sua nuca. Voleva essere baciata. Eppure, quel desiderio passò in secondo piano quando sentì quelle parole pronunciate a fatica: "anche tu." Era un'ammissione importante, lo sapeva. Il battito cardiaco aumentò, ma non ebbe il tempo di metabolizzarle perché Hunter la baciò e lei si dimenticò di tutto il resto. Sospirò, schiuse le labbra e approfondì il bacio, assaporandolo di nuovo dopo quella lontananza imposta. Inclinò la testa di lato per dargli maggiore accesso e gli strinse leggermente i capelli mentre il bacio si fece sempre più intenso. Quando le era mancato tutto questo. Si staccò per prendere aria e si leccò le labbra con la punta della lingua, non bastava. «Come si chiama?» Glielo chiese sottovoce, erano così vicini che non serviva parlare ad alta voce. Il treno andava veloce, tra qualche ora sarebbero arrivati a Londra. «Mio padre si è risposato e ha avuto un'altra figlia, ma quella ragazza non la vedo come una sorella.» Un'altro tassello della sua vita svelato. Erano cose che accadevano tutti i giorni, la gente si sposava e poi si separava, trovava qualcun altro e si rifaceva una vita. Era normale. Il problema era che nella sua famiglia non c'era niente di normale, tutto quello che era accaduto era stata opera di sua madre che aveva mossi i fili delle vite di tante persone.
    Le sfiorò il braccio fino quando non arrivò a poggiare la mano alla sua, quella che stringeva con insistenza l'orlo della gonna. "Scapperai ancora?" Una domanda difficile a cui rispondere. Distolse lo sguardo, ma la mano stretta a pugno si aprì e prese quella di Hunter, incorniciando le dita. La libera era di nuovo sul suo viso, lo sfiorava lenta. Il corpo era lì, con lui, ma con la mente no, stava riflettendo sulla risposta. Non sarebbe più scappata, lo aveva deciso tempo fa, però la paura c'era ed era forte. Tuttavia, il controllo su quella l'avrebbe avuto perché lontana da lui non ci sapeva stare, l'aveva capito. .
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    Portò gli occhi azzurri in quelli verdi di lui, lo fissò per qualche attimo e poi poggiò le labbra sulle sue, annullando di nuovo quella distanza minima che li separava. Lo baciò con foga questa volta, aveva bisogno di sentirlo perché ciò che avrebbe detto sarebbe una conferma importante da parte sua. Strinse forte la sua mano, godendo della morbidezza delle sue labbra e del piacere che provava ogni volta che lo baciava. Si allontanò lentamente, ma prima gli diede un leggero bacio sulle labbra, il primo di una lunga serie. «Non vado da nessuna parte. Resto.» E sorrise sincera. D' un tratto il verso sconvolto di un gufo la distrasse. Con la coda dell'occhio si accorse che Alec era incredulo, la sua padroncina aveva lasciato avvicinare un ragazzo. Daphne si trattenne dal ridere, non l'aveva mai visto così. Le diede le spalle facendo l'offeso. «Dai Alec!» Niente. «Mi sa che una volta tornata a casa di mia zia devo farmi perdonare.» Con kili di beacon, minimo. Riportò la sua attenzione su Hunter, era meglio goderselo per tutto il viaggio; una volta arrivati a Londra si sarebbero dovuti salutare. Troppo presto. «Dove passi il Natale?» In Francia? O in America? Era curiosa di saperlo.



    Edited by Daphne. - 1/1/2023, 14:06
     
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    Sorrido, meno male che un manuale non esiste davvero sennò io non sarei neanche capace di leggerlo; è strano e snervante allo stesso tempo, capisco tante cose, mi piace capire. Con un po' di presunzione potrei dire che capisco tutto, capisco come funzionano le cose anche in maniera abbastanza rapida eppure, quando si parla di persone e degli stati d'animo più intimi e profondi è come se non fossi capace di comprendere il linguaggio con cui queste sensazioni vengono trasmesse. La mia è un amente analitica dannazione, ho bisogno di informazioni dai contorni chiari e definiti e il linguaggio dei sentimenti è tutt'altro che chiaro e definito. Ecco perchè sono insensibile a molte cose... a molte cose, ma non a lei. Questo mi turba, non riuscire ad avere dei pensieri più precisi a cui aggrapparmi mi manda fuori strada. Non la capisco fino in fondo e non capisco fino in fondo nemmeno me eppure, paradossalmente, mi sembra tutto molto chiaro. Non ha senso ma evidentemente mi devo soltanto arrendere al potere di questa cosa. O magari Daphne è molto brava a comunicare.
    Incontro gli occhi azzurri della serpeverde con evidente stupore, come se avesse appena detto che la terra è piatta. Invece ha solo ammesso di voler sapere più cose su di me e io, come se non fossi il protagonista della mia stessa vita, appaio sorpreso per via di questa sua curiosità - mi sembra equo. Allora ti racconterò qualcosa, se ci tieni a saperla - non è che abbia la totale coscienza di quello che sto dicendo, le parole si susseguono in un flusso naturale e spontaneo - mh, diciamo così. Sei sopravvissuta però - ironizzo che magari quel pensiero la consola, con me funzionerebbe, con me funzionano questi pensieri scontati. La sua espressione però, così come il suo tono di voce, mi preoccupano: non so fino a che punto mi è consentito spingermi con le domande, sono prudente, non amo esagerare. Però mi offre una finestra, uno spunto per poter effettivamente dar voce a qualche curiosità. Però per scrupolo o forse per senso del dovere, non voglio che sia l'unica a dare - quelle lezioni sono sempre pesanti - deglutisco vagando per un attimo chissà dove con la mente. Ci penso un attimo, la domanda è semplice ma io comunque non so rispondere - ho visto mia madre - decido di espormi, di esporle quell'incubo o comunque parte di esso - non la vedevo da... dieci anni, undici, non me lo ricordo neanche più - e rivederla in un incubo sì che era strano, quella donna non era apparsa chiaramente neanche nei miei sogni. Ma il suo viso è sempre rimasto stampato nella mia testa come un tatuaggio che preferiresti coprire. Non è forse la risposta alla domanda che Daphne mi ha posto, ma è più facile così. Come lo spiego come mi sento? Sembra che lei si preoccupi sempre per me - tu come stai? Era qualcosa di troppo personale? - sembrava stupido ricambiare la domanda in quel modo, suonava davvero stupido.
    Mi muovo spontaneamente in sua direzione, un movimento su cui praticamente non ho controllo. La cosa non mi turba, anzi, è quasi un sollievo non doversi chiedere cosa sia giusto o sbagliato fare, lo faccio e basta. Non sono un tipo da mancanze, normalmente non sento chissà quanto la mancanza della presenza di una persona specifica. So che quella persona esiste, che in qualche forma è presente e quella consapevolezza - che ogni tanto do troppo per scontata - mi basta. Eppure con lei ho sentito la necessità di volere di più e non quel genere di "di più" che ho desiderato sul prato, quella sera ma un "di più" a trecentosessanta gradi. Anche questo contatto mi era particolarmente mancato, questo sapore; il modo in cui si muove, il modo in cui mi asseconda nel bacio li prendo per una risposta, un segnale del fatto che ancora una volta i nostri desideri sono allineati. Quando ci separiamo rimango ad osservare le sue labbra, quel piccolo movimento con la lingua che scorre come a voler trattenere quella sensazione. Un gesto piccolo che su di me ha una grande attrattiva. Riprendo aria lasciando che la mano sulla nuca si rilassi un pò senza però spostarsi, le punte delle dita stanno ancora accarezzando quella zona - Emilie - è già sa della tua esistenza. Il pensiero mi fa sorridere, ma riesco a trattenerlo, non è per niente adatto al momento. In quello stato di assoluta rilassatezza, si apre ancora un po' a me rivelandomi l'esistenza di una sorellastra, figlia di suo padre. Ascolto le sue parole mordendomi appena un angolo della bocca, una delle espressioni che faccio quando mi metto in posizione di ascolto - e non hai nessun tipo di rapporto con lei? - in realtà la capisco, neanche io la vedrei come tale, non è la stessa cosa. Qui una domanda in più gliela pongo, spinto da quella curiosità che c'è ma che a volte preferisco non mostrare. Contemporaneamente però non voglio interrompere il contatto e quando la mano scorre per la lunghezza del suo braccio andandosi poi ad intrecciare con la sua, sembra che quasi riesca a sentire i miei pensieri eliminando quei pochi centimetri fra di noi. Come se potesse davvero scappare via all'improvviso, non lo so, aprire la porta dello scompartimento ed andarsene, la trattengo a me scivolando con la mano sul suo fianco prima delicatamente, poi con presa ferma l'avvicino ancora come se non fossimo abbastanza in contatto. E se il suo maledetto gufo geloso non ci avesse interrotti, Dio, a quell'affermazione l'avrei stretta ancora di più. E invece sembra che non sia possibile, per ora. Espiro rumorosamente e scuoto la testa - è una fortuna che tu sia dentro la gabbia, almeno non puoi provare a staccarmi un dito - rido, a volte sembra che davvero questi animali capiscano ogni singola cosa.
    Chiuso il siparietto con il volatile, torno con l'attenzione sulla ragazza. Vero, siamo sotto le feste, ognuno rientra a casa propria eh? Questo viaggio in treno si sarebbe dovuto svolgere in qualsiasi altro momento dell'anno, magari in estate, quando nessuno dei due sarebbe stato impegnato - torno a Lione, dovremmo essere solo io e mia sorella - se nessun altro parente decide di farci qualche sorpresa non totalmente gradita.
    Però sto pensando a qualcosa: il pollice della mano che stringe la sua scorre ad accarezzarle le dita e io abbasso lo sguardo fissando la scena. L'altro mano ha allentato la presa sul suo fianco ma adesso sta tamburellando allo stesso ritmo dei miei pensieri. - Hmm... - vorrei avere più tempo. Anche solo un paio di giorni, due giorni per due mesi di assenza, mi accontenterei. Posso davvero chiederglielo? L'occhio mi cade sulla tasca sinistra del cappotto scuro, la chiave di questi due giorni sta proprio lì e non pensavo che mi sarebbe tornata utile. Forse, non è detto, però... chiedere è lecito. Le dita smettono di tamburellare sul suo fianco - ho una proposta da farti - ancora guardo la mia mano intrecciata alla sua - pensi di... poter cambiare i tuoi piani all'ultimo? - scusa zia di Daphne, non sono riuscito a trattenermi - perchè voglio che tu venga con me in un posto - a quel punto uno sguardo fugace va ad Alec che non sarà entusiasta. Ma il secondo sguardo va a Daphne, l'unica di cui mi interessi davvero la risposta.



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    Pensò a cosa volesse sapere di Hunter. Avrebbe potuto fargli una domanda personale, ma non voleva metterlo in difficoltà e, anche se tra loro si era creata una certa intimità, sapeva che alcune questioni era meglio non affrontarle a meno che non fosse il diretto interessato a volerne parlare. Avrebbe scoperto il suo mistero lentamente, non aveva fretta, soprattutto adesso che aveva la certezza che il suo interesse fosse ricambiato. «Quando sei nato?» Una domanda stupida, quasi scontata, eppure gliela fece lo stesso perché sua nonna le aveva sempre detto che era importante festeggiare il compleanno con le persone, o la persona, a cui tenevi. Il suo era stato tre giorni fa, non aveva fatto niente perché non era dell' umore e poi, a dirla tutta, non aveva nessuno con cui volesse davvero condividere quel giorno. In realtà, se non fosse scappata, lo avrebbe fatto con Hunter ma ormai era tardi quindi, il suo, voleva celebrarlo se possibile. Perché stava diventando importante. Non sapeva né come né quando, ma quel ragazzo si era insinuato lentamente nella sua vita con i suoi modi eleganti e il suo sguardo magnetico, radicandosi sempre di più in essa, tanto che il non averlo accanto per due mesi l'aveva fatta uscire fuori di testa per quanto le era mancato. Aveva scoperto verità che avrebbero fatto meglio a non venire mai a galla, aveva pianto, sofferto e maldetto sua madre come mai prima d'ora, eppure, anche in quel dolore, una parte di lei aveva sempre pensato a quel ragazzo. Le faceva paura quello che, pian piano, stava iniziando a provare, ma aveva deciso di andare avanti senza guardarsi indietro. Così come aveva deciso di esporsi sempre di più, accennando al fatto che, in quei mesi distanti, erano successe tante cose. Non indossò alcuna maschera, lasciò che il tono freddo e l'espressione impassibile svelassero esattamente quanto difficile fosse stato per lei affrontarle. «Sì, non mi hanno ucciso alla fine.» Non voleva più pensarci. Così, nascose il viso nell'incavo del suo collo per un attimo, respirando il suo profumo, prima di chiedergli della lezione di difesa. Iniziò a vagare con la mente, come lo aveva visto fare tante volte, e lei non disse niente, aspettandolo come sempre. Si limitò a farsi ancora più vicina e ad appoggiare la mano su quella che lui aveva ancora sul ginocchio, incrociando le dita e stringendo forte per ricordargli che lei era lì, con lui. Non era solo. Quando nominò sua madre, Daphne sgranò leggermente gli occhi. Hunter non si fermò, le raccontò parte di ciò che quel dannato specchio gli aveva mostrato e, istintivamente, gli passò un braccio intorno alle spalle per stringerlo a sé. Poggiò la fronte contro la sua mentre gli massaggiava delicatamente i capelli con la punta della dita. Poteva capire il dolore che stava provando, non conosceva tutta la storia ma sapeva cosa voleva dire crescere senza una madre. «Io non vedo la mia da tre, ma è come se fossi cresciuta senza. Spero che almeno la tua, per il periodo in cui è stata con te, ti abbia lasciato dei bei ricordi.» La sua aveva lasciato dietro di sé solo dolore e disperazione e il solo pensiero di rivederla le faceva venire la nausea. Scacciò via la sua immagine, adesso voleva solo godersi quel momento di pura pace con Hunter. Non c'era spazio per quella donna. «Se così non fosse, se ne può andare a quel paese con la mia.»Gli sorrise incoraggiante mentre continuava ad accarezzarlo come se fosse la cosa più naturale del mondo. E, in un certo senso, lo era. Con lui era tutto naturale. Lo lasciò andare e la sua mano tornò a stringere l'orlo della gonna. «Ho visto qualcosa che riguardava lei.» Non disse altro, non le andava di parlare di quella stronza. Aveva sprecato già troppo tempo a pensare a lei, a maledirla e ad odiarla fino a consumarsi.
    Hunter aveva la capacità di farle mandare al diavolo qualsiasi forma di autocontrollo di cui fosse dotata. Le era bastato stargli un attimo vicino per dirgli quanto le fosse mancato e ricambiare il suo bacio con la stessa intensità dell' ultima volta. Non si sarebbe mai stancata del suo sapore, delle sue mani su di lei, del calore del suo corpo e di come la faceva sentire ogni volta che la stringeva a sé. Si staccò troppo presto, quel bacio non bastava a colmare quei mesi di lontananza, voleva di più. Aveva bisogno di sentirlo come mai prima d'ora, non solo da un punto di vista fisico, ma anche mentale. C'era questa connessione, questo legame che voleva approfondire anche se la paura di legarsi era sempre lì, non se n'era mai andata. Eppure l'aveva messa a tacere, perché quel ragazzo era diverso. «Si vede che ci tieni molto a lei.» Sorrise, dandogli un bacio sulla guancia. La situazione era così intima che si lasciò sfuggire un altro dettaglio della sua vita, non aveva problemi a raccontare cose che, per molto tempo, aveva preferito tenere per sé. Forse era perché aveva scelto di fidarsi di un corvonero che dietro un'apparente apatia, nascondeva un mondo. Il Vaso di Pandora era stato aperto. «No, e non lo avremo mai.» Non dopo tutto quello che aveva fatto. Sospirò, beandosi del fatto che Hunter non avesse smesso di toccarla neanche per un istante da quando erano quel treno. Poi c'era stata quella domanda, le loro mani intrecciate e il bacio che gli aveva dato per fargli capire che sarebbe rimasta, che non sarebbe fuggita via. Le portò una mano su un fianco per stingerla ancora di più, come se non fossero abbastanza vicini. Assecondò il movimento, approfondendo il bacio e perdendosi nel suo calore. Quanto le piacevano quei momenti. Si allontanò leggermente per prendere aria, aveva le labbra gonfie e i capelli non erano più in ordine. Con lui era sempre fuori posto. «Lo avrei fermato, non temere. Non capisco perché sia così possessivo.» A lei non era mai successo. Eppure sapeva che se qualcuno ci avesse provato con Hunter, ora, non l'avrebbe presa per niente bene. In realtà, neanche prima. Forse, inconsciamente, era sempre stata un po' gelosa del suo mistero anche se non glielo avrebbe mai detto. Guardò per un attimo Alec, prima di tornare da lui e chiedergli delle vacanze di Natale. Tra qualche ora avrebbero dovuto separarsi di nuovo e non voleva, era troppo presto. Prima di rivederlo sarebbero passate come minimo altre due settimane. «Vivi lì?» Quindi più che in America, passava la maggior parte del suo tempo in Francia. Perché c'era la sorella e forse anche qualcun altro? Prima o poi glielo avrebbe chiesto.
    La mano era ancora sul suo sfianco, le dita si muovevano al ritmo dei suoi pensieri e Daphne sorrise, poggiando la testa sulla spalla e osservando per qualche istante il paesaggio innevato. Era davvero un bel momento, il loro. Quando sentì la sua voce, riportò il suo sguardo su di lui e ascoltò interessata la proposta che stava per farle. Che aveva in mente? "Perché voglio che tu venga con me in un posto," quella frase la colse alla sprovvista. Daphne, però, era un persona decisa quindi, anche se non si aspettava un invito del genere, rispose senza pensarci due volte perché l'ultima cosa che voleva era separarsi. Si sporse in avanti, avvicinando le labbra al lobo del suo orecchio e gli sussurrò: «Vengo con te, portami dove vuoi.»Si allontanò e gli sorrise sincera, in attesa che la portasse via.




    Edited by Daphne. - 4/1/2023, 01:46
     
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    - Mi stai chiedendo quando faccio il compleanno? - la guardo un attimo perplesso prima di ridere davvero. Una domanda così semplice, così quasi scontata eppure non ci avevo pensato; per ciò che ho visto io, Daphne non è una ragazza invadente ma mi è sembrata curiosa, mi sareia spettato tutt'altro genere di domanda su di me, magari qualcosa che aveva a che fare con la musica o con questo mio dividermi tra Francia e America. E invece no, mi chiede del mio compleanno che per una strana coincidenza è proprio fra qualche giorno - il ventisette dicembre - le rispondo finendo di ridere e pensando che effettivamente è una di quelle cose che non ho mai avuto modo id chiederle. Sarebbe stato strano, mi avrebbe fatto apparire stupido, non lo chiedo mai e di solito lo scopro solo per caso, quando magari è anche già passato. Eppure penso che ricambierò la domanda per aggiungere un altro tassello al famoso puzzle Daphne, un piccolo elemento in più che intanto può fare la differenza. Ho detto di non volermi perdere i dettagli, di voler essere più attento e già stavo ricadendo nell'errore - il tuo quand'è? - strano, suona strano detto da me: in questo poco tempo sul treno con lei mi sto comportando in maniera davvero strana per i miei standard. Non ho mai pensato di chiedere cose piccole come la data di nascita, non mi è mai importato chissà quanto e quindi spesso di molte persone incontrate non ho nemmeno questa informazione. Con lei mi viene naturale ed è proprio questa naturalezza a stroncarmi, non ci sono abituato. Anche nel toccarla, cercare un contatto con lei diventa quasi un'urgenza - menomale - per un attimo nel suo sguardo quasi in lontananza, ho scorto la possibilità che le sue parole non fossero poi troppo lontane dalla realtà.
    Nemmeno la sua doveva essere una famiglia facile e non ci vuole molto prima che il conforto diventi reciproco: così come lei torna a giocare con i miei capelli anche io lo faccio con i suoi, lunghi e biondi, che ricadono giusto sulla mia mano libera. Sembra che ci accomuni la lontananza di una madre, una madre che non è morta ma che forse sarebbe meglio che lo fosse. Quantomeno potremmo rassegnarci e andare avanti con la nostra vita, non so se funzionerebbe, ma ogni tanto penso che possa essere la soluzione - qualcuno - mi esce solo quella parola mentre la guardo negli occhi, attenti ad ogni virgola che dico - forse non sono veri, ma preferisco pensare che lo siano - concludo, non ho più altro da aggiungere, serro le labbra e sento la mascella contrarsi come a trattenere qualsiasi altra cosa ci possa essere da aggiungere. Non voglio tediarla e non voglio diventare nemmeno il protagonista di questa conversazione. Però è bello che riesca a trovare un modo che per farmi rilassare, un modo per non farmici pensare e per allontanare la presenza - anche se astratta - di quelle due donne. Mi chiedo che tipo di ricordi abbia lei e mi rispondo anche che non devono essere dei migliori; è possibile essere così simili? Non sono capace di essere di grande conforto ed il massimo che riesco a fare e sorriderle per poi passarle delicatamente un pollice sul mento - non serve che me ne parli - dalle sue mani così chiuse a pugno sulla gonna, sembra tutt'altro che tranquilla nel toccare quell'argomento - vadano a quel paese - che è la cosa che so fare meglio, evitare i problemi e fingere non esistano almeno per un po'.
    Preferiamo lasciarci trascinare e colmare la distanza che c'è stata in questi mesi e discorsi familiari a parte, sembra che comunque entrambi siamo più interessati a concentrarci l'uno sull'altra. Sorrido a quel bacio sulla guancia, decisamente più dolce - a volte è una rompipalle però... sì - mi ritrovo sempre a pensare che sia la donna più importante della mia vita, cosa che a voce alta non ammetterò mai neanche sotto tortura. Mi dispiace che per lei non sia lo stesso con la sorella, cerco di comunicarglielo con lo sguardo piuttosto che con le parole, perchè non voglio essere invadente. Anche dietro a questo tassello devono nascondersi dei retroscena non del tutto piacevoli, rivelando come Daphne avesse sofferto probabilmente molto di più di quanto non potessi aspettarmi - le famiglie sono un vero casino - è un pensiero ad alta voce, più che altro fra me e me, un "chiusa parentesi" ad un argomento che è pesante sia per lei che per me.
    - Ah tranquilla, se dovrò combattere contro la gelosia del tuo gufo allora lo farò - ed è un po' come se facessi un dispetto all'animale quando poggio sorridente le labbra su quelle della serpeverde, un po' come se stessi dichiarando guerra al rapace. Ma ovviamente me ne frego delle sue lamentele, soprattutto quando Daphne si presenta di nuovo spontanea e fuori posto, nella sua versione più invitante - sì, vivo lì - le rispondo impaziente, perchè in realtà la mia mente viaggia verso altri lidi. Infatti non sono stato capace di resistere, ho dovuto chiederle di venire via con me per le vacanze perchè qualche ora su un treno non basta. Esito, non so se sto osando troppo ma non sono riuscito a trattenere le parole ed è quando lei mi da la sua risposta che capisco di aver fatto la cosa giusta. Portami dove vuoi, sono le parole che per un attimo annebbiano la mia mente e mi spingono a reagire nell'unico modo possibile: mi spingo in avanti in un movimento che con il senno di poi definirei irruento, le avvolgo il fianco con una mano e torno a baciarla con foga. Assolutamente rilassato e anche soddisfatto da quella risposta, non esito nemmeno ad accarezzarle una coscia con le mani; è come se per via della memoria tattile la mia mano sapesse perfettamente dove andare. Abbiamo dell'altro tempo a disposizione, avremo dell'altro tempo a disposizione. - Allora la tengo come sorpresa -.

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    Fuori nevica ancora, sembra che nevichi ancora più di prima. L'aria è densa, l'atmosfera malinconica ma piacevole, lo scenario inizia ad essere familiare: stiamo per arrivare a King's Cross, questione di minuti. Sento il braccio sinistro un po' indolenzito ed il motivo è che fermo nella stessa posizione da poco più di un'ora, precisamente da quando Daphne si è addormentata sulla mia spalla. Ho seguito il suo esempio poco dopo ed è stato uno dei sonni più sereni degli ultimi tempi, paradossalmente. Non sono mai stato uno col sonno particolarmente pesante però, quindi mi sono svegliato e ho ingannato il tempo ascoltando della musica e osservando, osservando sia il panorama che lei. Quasi mi dispiace interromperla, ha un'espressione così rilassata che sembra poter dormire ancora per molto tempo ma comunque se non lo faccio io, a breve lo farà il fischio del treno - ehi - la musica ha smesso di suonare, mi tolgo gli auricolare e le sfioro delicatamente il viso sperando che si svegli - siamo arrivati - alla tappa numero uno del viaggio quantomeno.
    Non mi ero neanche accorto che le nostre mani sono rimaste a toccarsi per tutto il tempo.



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    Alla sua domanda scoppiò a ridere e Daphne sorrise, scuotendo la testa. L' ultima volta che l'aveva visto così rilassato era stato quella notte e rivederlo così, ancora, dopo il gelo che era calato la loro, le fece dire che sì, il suo Hunter era tornato. Anche lei era a suo agio, e averlo così vicino dopo tanto tempo la faceva sentire bene, era come se il suo corpo necessitasse di quel contatto, di quella vicinanza di cui si era privata per mesi a causa di quei muri costruiti negli anni per tenere lontane le persone. Eppure, adesso che sentiva il calore del suo corpo, aveva capito che era bello lasciar entrare qualcuno nella sua vita, di tanto in tanto, anche se essere così coinvolta non era nei suoi piani. Ma ormai era tardi, quel ragazzo aveva stravolto tutto.
    Il ventisette dicembre, tra tre giorni. Avrebbe voluto fare qualcosa, ma non era possibile, perché lei sarebbe stata a Londra da sua zia e lui da qualche parte in Francia o in America con la sua famiglia. «Il ventuno dicembre. » Sorrise quando le chiese quando fosse il suo, era sempre attento a quello che la riguardava e, spesso, si era chiesta se questa sua curiosità fosse qualcosa che riguardasse soltanto lei o se facesse così anche con altri. Qualcosa le diceva che era solo per lei e, onestamente, preferiva così, perché se si fosse mostrato così interessato nei confronti di un'altra, si sarebbe irritata non poco. Daphne non era possessiva, non lo era mai stata, ma gelosa sì, sia delle sue cose sia delle persone a cui teneva. Hunter era fra queste. «Festeggi?» Aveva qualcuno con cui farlo? Lei no. Distolse lo sguardo per un attimo, pensando a quanto sarebbe stato bello se sua nonna fosse stata lì, con lei, al compimento della maggiore età. Avevano fantasticato tante volte su cosa avrebbero fatto insieme, quel giorno, e invece Daphne aveva passato il suo compleanno da sola, a guardare la prima neve che cadeva sulle sponde del Lago Nero. Tornò a guardare il ragazzo davanti a lei che, a modo suo, aveva cercato di tirarle su il morale. Aveva il viso nascosto nell'incavo del suo collo, una mano stringeva l'orlo della gonna e l'altra accarezzava i suoi capelli. Non rimase a lungo in quella posizione, giusto il tempo di allontanare quelle spiacevoli emozioni. Stare così vicina ad Hunter la calmava. Si allontanò leggermente, senza smettere di toccarlo, ma quella breve lontananza durò qualche istante, perché non appena parlò di sua madre Daphne lo strinse a sé, appoggiando la fronte contro la sua. Un gesto intimo, perché tra loro, ormai era così. Ascoltò attenta ogni parola, ogni frase e maledisse anche la sua, di madre, per non essere stata in grado di ricoprire quel ruolo. Sperò che fosse meno peggio della sua, che non fosse un'assassina senza cuore che gli aveva portato via tutto, anche i ricordi. «Lo sono Hunter, lo sono.» Gli diede un leggero bacio sulle labbra e chiuse il discorso, non aveva bisogno di sapere altro, per ora. Era un argomento delicato quello che avevano affrontato, si erano detti cose a metà, senza andare affondo, ed era meglio così per adesso perché nessuno dei due era pronto. Lei non lo era almeno. E poi l'ultima cosa che voleva era trascinarlo nel suo inferno personale; l'oscurità, su di lui, non stava bene.
    Lo specchio le aveva mostrato quanto temesse di essere controllata da sua madre, per anni era stata la sua marionetta. La odiava, Merlino, quanto la odiava. Quei pensieri vennero scacciati via dalla voce di Hunter e dal suo tocco. Gli sorrise, e annuì. «Anche al diavolo.» La sua ce l'avrebbe mandata personalmente.
    Decisamente migliore sembra essere il rapporto con la sorella. Lei anche aveva un fratello, un tempo. Chissà, un giorno, in qualche modo, lo avrebbe rivisto. «Raccontami di lei, sono curiosa. » Sua madre era lontana, del padre non sapeva niente, quindi Emilie doveva essere la persona più importante della sua vita. «Già. » Famiglia, un concetto sconosciuto per lei. In fin dei conti, non ne aveva mai avuta realmente una, perché, tanto, era stata messa al mondo per dovere.
    «Col tempo si abituerà, spero. » Era con lei da quando era uscito dall'uovo e nessun ragazzo, prima d'ora, si era avvicinato tanto come Hunter. Quando poi, sorridendo, posò le labbra sulle sue in un casto bacio, sentì il suo povero gufo dare di matto. Rise, appoggiando la testa sulla sua spalla e rilassandosi. Era un po' giù, proprio non le andava di separarsi da lui ma, come sempre, dissimulò. Hunter, però, aveva altro in mente e lei, consapevole del fatto che anche lui volesse passare più tempo con lei, accettò la sua proposta senza esitare. Voleva chiedergli dove l'avrebbe portata, ma non ebbe il tempo di fare né di dire niente perché la baciò con foga. Daphne ricambiò, schiudendo subito le labbra e lasciando che le loro lingue si incontrassero. Lo attirò a sé passandogli un braccio introno alle spalle, mentre la mano destra stringeva i capelli alla base della nuca. Sospirò quando le accarezzò una coscia, approfondì il bacio e gli morse il labbro inferire prima di staccarsi. Riprese fiato, era rossa in viso e stava iniziando a sentire caldo. «Con te è tutto una sorpresa.» Sorrise.

    Da quando il suo mentalismo si era manifestato, aveva incubi quasi ogni notte. Alcuni erano ricordi di una vita passata, altri erano scherzi giocati dalla sua mente. Prendeva delle tisane e dei calmanti per dormire, ma spesso non avevano effetto. All' inizio si svegliava di soprassalto, poi, col tempo, ci aveva fatto l'abitudine. Si limitava ad alzarsi, sudata, e ad andare in bagno per sciacquarsi il viso, poi tornava a dormire come se niente fosse successo, indossando la solita maschera di indifferenza. Questa volta, però, fu il tocco delicato delle dita di Hunter
    a fargli aprire gli occhi. Si era addormentata sulla sua spalla, nemmeno ricordava di averlo fatto. Lo osservò per qualche istante, curiosa, prima di sporgersi in avanti e baciarlo a fior di labbra. Poi si allontanò, rossa in viso, e si mise ad osservare la neve che cadeva dal finestrino. Strinse la mano che ancora teneva quella di Hunter e, solo quando il treno si fermò, la lasciò. Si alzò, prendendo il cappotto bianco sull'altro sedile, lo indossò e iniziò a sistemare le sue cose. «C'è anche Whisky con te?» Non vedeva l'ora di affondare di nuovo le mani nel suo morbido pelo. Una volta messa la gabbia del suo offeso gufo sulla valigia, aprì la porta dello scompartimento e uscì, aspettando che il corvonero facesse lo stesso. Attraversò il treno semi-vuoto a passo svelto. Una volta fuori, la fredda brezza invernale le scompigliò i capelli, ma non ci fece caso, era inutile aggiustarli con quel tempo. «Ti aspetto qui se devi prenderlo.» Whisky doveva essere da qualche altra parte. Nel mentre, dalla borsa a tracolla che aveva portato, tirò fuori un foglietto per avvisare sua zia che avrebbe passato le vacanze in compagnia di qualcun altro. Non aspettava altro.


     
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    - Quindi... è già passato - devo avere una voce un po' delusa, non mi aspettavo questa risposta, un po' perchè tra il suo ed il mio compleanno intercorre appena una settimana e un po' perchè essendo già passato, non potrei comunque farle gli auguri. Poi sono terribilmente contrario agli auguri in ritardo, non hanno senso; auguri per cosa, ormai che la ricorrenza è finita? Te li conservi per il prossimo anno? Comunque credo che me ne stia preoccupando anche troppo - non proprio - mia sorella ci prova ogni anno, ma in realtà alla fine rispetta sempre la mia volontà - solitamente è una giornata all'aperto in cui mangiamo una torta - e tanto mi bastava.
    Strano come una persona possa condizionare in questo modo il mio flusso di pensieri, che si calmano e mi permettono di godermi meglio altre piccole cose, tipo gli stimoli del momento. Questi stimoli hanno tutti un'unica fonte ed è la prima volta che sperimento qualcosa del genere, da quel che riesco a ricordare. Stiamo mandando a fanculo tutto, l'unica che effettivamente è degna di attenzione sembra essere mia sorella che, nonostante l'abbia appena accennata, cattura la curiosità della bionda. Ci sarebbero anche tante cose da raccontare su di lei e quando le cose da raccontare sono molte, fare una selezione diventa difficile. La cosa positiva è che nessuno mi costringe a correre, a dire tutto subito - è... una brava sorella maggiore. Sono stato fortunato con lei - brevemente, quelle poche parole racchiudono ciò che provo nei confronti di mia sorella nonostante faccia fatica ad esprimerlo in termini più amorevoli. Per un attimo però mi sembra di minimizzare, solo perchè è stata molto più che soltanto una sorella. Ci sarebbero però troppe premesse da fare, troppe cose da raccontare, troppi retroscena da svelare e ora come ora non mi sento di affrontare la cosa.
    Un'altra cosa che si poteva dire di Emilie comunque, era che aveva un grande spirito di protezione, praticamente al pari del gufo di Daphne che si agitava inutilmente dentro la sua gabbia. Che si fosse abituato o meno, non avrei smesso di toccarla per via della sua gelosia, andiamo, era stupido farsi condizionare dal comportamento di un animale. Però non so se il mio è menefreghismo nei confronti del gufo o quasi un dispetto quando stringo decido di stringere ancora di più la serpeverde in un contatto sempre più stretto. Ultimamente sono molte le cose che dimentico, ma questa volta la mia memoria tattile mi permette di ricordare la morbidezza della sua pelle che è esattamente come quella sera, quando lei - ma anche io - ha tolto ogni distanza fra di noi. La sensazione è simile a quella di quando si torna in un posto in cui si è stati bene.

    Daphne riapre lentamente gli occhi e con naturalezza si sporge verso di me. Questa sensazione di intimità è quasi troppo nuova, è tutto così naturale da sembrare strano per me. Il treno arresta la sua corsa e prima di scendere, istintivamente controllo se ho quello che mi serve nella tasca del cappotto in maniera quasi paranoica perchè è ovvio che la passaporta si trovi esattamente dove l'ho lasciata - certo - infatti eccola, sento il sacchetto di velluti che la contiene - anche per lui sarà un cambiamento di programma improvviso - ma considerando il posto in cui stiamo andando, non gli dispiacerà affatto.
    Dopo le ore passate sul treno il freddo all'esterno mi colpisce più violentemente rispetto a prima, in piena faccia, spostandomi i capelli davanti agli occhi e bloccandomi la vista per un attimo. Forse dovrei tagliarli - sì, è qualche vagone più in là. Torno subito - le sorrido prima di avviarmi consapevole del fatto che non ci vorrà molto, perchè Whisky salterà fuori dal treno appena aprono le porte. Infatti così è, lo vedo allungare la testa dietro un dalmata ed un piccolo pincher, si fa subito strada rischiando quasi di travolgere il cane di piccola taglia. Ringrazio che il padrone non sia nei paraggi - quanto sei casinista - la scena in realtà era anche divertente ma non posso dargli tutta questa soddisfazione, sennò si abitua. Siccome poi evidentemente non sa trattenere l'entusiasmo lo metto a guinzaglio e insieme torniamo dalla serpeverde, e meno male che l'ho assicurato altrimenti Daphne avrebbe fatto la stessa fine del pincher: le si avvicina senza timidezza nè ritegno, allungando le zampone sulla ragazza. Il freno glielo metto io tirando leggermente a me il guinzaglio. Ok che di solito è entusiasta, ma così sembra quasi che Daphne sia mancata anche a lui - vieni, spostiamoci da qui - istintivamente la mia mano scivola sul suo polso come a volerla guidare verso uno spazio meno affollato. Le famiglie degli studenti di ritorno da Hogwarts si accalcano nei pressi dell'Hogwarts Express per recuperare i figli, c'è un forte brusio in cui si distinguono risate, pianti felici, qualche lamentele forse per il troppo affetto e qualche nome urlato a squarciagola. I rumori della calca mi hanno sempre mandato un po' in confusione, fin da bambino andare in posti troppo frequentati mi causava forti mal di testa. L'unico rumore forte che riesco a sopportare bene e che anzi, mi piace molto, è quello della musica e dei concerti; lì paradossalmente è come se mi sentissi immerso nel mio mondo. Se mio padre fosse ancora vivo, probabilmente anche lui sarebbe venuto a prendermi oggi.
    - Eccoci - qualche metro più in là, separati dalla gente da un semplice pilastro. Sono tutti a conoscenza della magia qua, nessuno si scandalizzerà vedendo due ragazzi e un cane sparire per aver usato una passaporta. Metto la mano nella tasca e tiro fuori il sacchetto di velluto blu che tiene al suo interno una vecchia palla di neve. In questo oggetto c'è del genio: mio padre ha ben pensato di incastonare la sfera di vetro, la passaporta vera e propria, nel suo sostegno che imita il tronco di un albero. Dentro la palla invece c'è un classico cottage francese, perfetta riproduzione di quello che stiamo per raggiungere - ci siamo, quando vuoi - svelo il contenuto del sacchetto e ovviamente dentro la sfera nevica. Siamo in inverno d'altra parte. Guardo Whisky per un attimo assicurando meglio il guinzaglio alla mano: gradirà la meta ma non il viaggio. Pensandoci è meglio se prenda anche la mano di Daphne, giusto per non rischiare di perdermela per strada e quando lei alza la mano per toccare la palla di neve, lo faccio anche io. La normale prassi vuole che iniziamo a vorticare fino a quando pochi secondi dopo non ci ritroviamo a posare pesantemente i piedi sul legno del pavimento del cottage, la passaporta ci ha portati direttamente dentro casa; arriva subito l'ondata di calore che proviene dal camino acceso, mio padre ha pensato di incantarlo affinchè si accendesse non appena avessimo varcato la soglia della porta che Whisky inizia già a graffiare chiedendo di uscire all'esterno. Prima che la distrugga, la apro in modo che possa andare a tuffarsi nella neve quanto gli pare - vai, vai - ci mette un secondo a sfrecciare dalla porta socchiusa, saltella a destra e sinistra lasciando buchi sullo strato di neve spessa. Mi richiuso la porta alle spalle e questa volta mi sposto verso la grande finestra proprio a destra del camino: scosto la tenda che ne copre il vetro e la stanza si illumina immediatamente a giorno. Fuori ha smesso di nevicare, ma lo scenario è comunque un ottimo sfondo per tutto questo - è da un po' che non ci veniamo, potrebbe esserci della polvere qui e lì - la stanza inizia a scaldarsi e il cappotto inizia a non servirmi più. Lo sfilo via per poi abbandonarlo sulla spalliera del divano, non c'è nessuno che può rimproverrami per questa strana abitudine che ho - vieni, dammi anche il tuo cappotto - le vado incontro e mi posiziono dietro di lei per aiutarla a liberarsi di quel peso, che presto raggiunge il mio sul divano. Non ricordo di averci mai portato nessuno qui, neanche Emma è mai stata in questa casa, la casa delle vacanze... e "le vacanze sono per la famiglia", così diceva. Le passo le mani sulle spalle e adesso che siamo qui, sembra un contatto un po' più intimo - mettetevi comodi - guardo nuovamente la gabbia - sia tu che Alec. Ti faccio fare un giro - glielo sussurro all'orecchio pensando che ai posti interessanti che potrei farle vedere, sia in casa che fuori, nell'innevata campagna francese. Cazzo, siamo in Francia, giusto. Mi arresto appena realizzo che mia sorella mi aspetta a Londra. Cazzo - scusami un secondo - non l'ho avvisata.
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    So che non la prenderà male, soprattutto se le dico che sono in compagnia. Supero la serpeverde, mi torna in aiuto una specie di telefono modello fino '800 appeso alla parete proprio davanti a noi: funziona come una specie di segreteria telefonica che le recapiterà il messaggio in tempo reale. Un messaggio breve, giusto le informazioni importante, dove sono, con chi sono, che magari passeremo il mio compleanno insieme, mi lascio sempre il beneficio del dubbio. Ok insomma, il mio dovere di fratello l'ho fatto - ho informato Emilie del cambio di piani- ritorno con lo sguardo su di lei, avvicinandomi passo dopo passo e annullando nuovamente la distanza fra di lei poggiandole le mani sui fianchi, avvicinando il mio viso al suo - me ne stavo quasi dimenticando, ero troppo distratto da altro - mai affermazione fu più sincera. Non esito nel sorriderle, nemmeno nel baciarla, non esito in niente, ogni movimento si sussegue senza pause. Non sono guidato dal pensiero ma dal desiderio, e mi piace sentirmi così.




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    Sorrise sincera quando lo vide parlare di sua sorella, era palese che avessero un bel rapporto. Per lui, Emilie, rappresentava ciò che sua nonna era stata per lei: una boccata d'aria fresca, l' unica persona in grado di farla ridere e della quale si era sempre fidata. La sua non c'era più ormai, ma il ricordi di ciò che avevano fatto insieme erano ancora lì e a Daphne, questo, bastava. Stranamente, dopo essersi addormentata sulla spalla di Hunter, l'aveva sognata. A differenza delle altre volte, però, non l'aveva vista morire come spesso le capitava, in quel sogno era felice e, serenamente, l'aveva salutata prima di sparire all' orizzonte. Poi si era svegliata, tranquilla e rilassata, e lo aveva baciato come se fosse la cosa più naturale del mondo. Era ancora sorpresa del livello di confidenza e intimità che avevano raggiunto. Dopo due mesi lontani ci sarebbe dovuto essere dell' imbarazzo tra loro, invece, era successo l'esatto contrario: si erano avvicinati ancora di più. E a lei, quella vicinanza, piaceva.
    «Non vedo l'ora di vederlo!» Aumentò il passo, uscendo finalmente dal vagone. La fredda brezza invernale le scompigliò i capelli, mentre Alec, abituato alle basse temperature norvegesi, se ne stava appollaiato nella sua gabbia, guardandola con disappunto. Era davvero offeso, soprattutto perché la sua padroncina sembrava eccitata all'idea di vedere qualcun altro, come se lasciar avvicinare un ragazzo non fosse abbastanza. Daphne sospirò, poggiando la gabbia per terra e, una volta preso carta e penna, scrisse velocemente un messaggio a sua zia per informala del fatto che avrebbe passato le vacanze fuori con un'amica e un altro a suo cugino. Li arrotolò insieme e si inginocchiò, in modo da essere faccia e faccia con Alec. «So che ce l' hai con me, ma mi farò perdonare. Nel mentre, puoi consegnare queste lettere?» Gli fece gli occhi dolci. Funzionava sempre. E infatti, anche se contrariato, accettò la commissione e volò via. Sperò che John le rispondesse il prima possible. Si alzò e, dopo aver preso la bacchetta dalla tasca destra del cappotto, rimpicciolì i bagagli e li mise dentro la borsa che, grazie ad un incanto di estensione, poteva contenere di tutto. Hunter arrivò poco dopo con Whisky al guinzaglio e, non appena la vide, le saltò addosso, felice. Daphne non perse tempo e affondò le mani nel suo morbido pelo, per nulla infastidita dal caloroso benvenuto. «Mi sei mancato anche tu.» Le erano mancati entrambi. Gli solleticò il collo prima di lasciarlo andare. Si lascio poi guidare tra la folla dal corvonero, evitando, il più possibile, di scontrarsi con qualcuno. La stazione era piena di gente: studenti, genitori che erano pronti a riabbracciare i loro figli, nonni, cugini, fratelli. Per lei non era mai venuto nessuno e, in parte, era meglio così visto la madre che si ritrovava. Tirò un sospiro di sollievo quando si allontanarono da quella massa di persone; odiava i luoghi affollati, le facevano mancare l'aria. Essendo cresciuta in Norvegia, era abituata ai grandi spazi e Oslo, nonostante fosse una capitale, a stento raggiungeva i settecento mila abitanti e rispetto a Londra, che ne aveva ben otto milioni, era niente. Quando si era trasferita da sua zia, due anni fa, era stato difficile per lei ambientarsi e, ancora oggi, non poteva dire di esserci riuscita del tutto.
    Dopo aver camminato qualche metro, si fermarono dietro un pilastro. Dalla tasca del cappotto, Hunter tirò fuori una vecchia palla di neve. Doveva essere una passaporta e, se il posto in cui l'avrebbe portata era come il cottage in miniatura al suo interno, sarebbe stata più che felice di seguirlo. Da piccola era solita trascorrere il Natale in una baita di montagna con sua nonna, davanti al camino, con una bella tazza di cioccolata calda tra le mani e, allo scoccare della mezzanotte, aprivano i regali. Dopo la sua morte non ci era più andata e , adesso, stava per farlo con Hunter. Ciò che gli aveva detto sul treno era vero: con lui era tutta una sorpresa. Gli dedicò un sorriso a trentadue denti, scuotendo la testa incredula. Assurdo. Era tutto assurdo. «Andiamo via di qui.» Strinse la sua mano, toccando con la libera la passaporta e, in un attimo, si smaterializzarono. Quando giunsero a destinazione, Daphne si guardò attorno, apprezzando l'arredamento e il calore del camino acceso. Apprezzò particolarmente le grandi vetrate dalle quali era visibile il paesaggio innevato. Fuori nevicava, le chiome degli alberi erano mosse da un vento freddo e il sole stava lentamente tramontando, tingendo il cielo di splenditi colori pastello. Le ricordava casa sua. Era famigliare.
    «Non preoccuparti. Ma dove siamo precisamente?» L'aveva portata via ma senza dirle dove. «Mi piace questo posto.»Non esitò nel farglielo sapere. Nel mentre, si tolse la borsa posandola a terra. Stava per fare lo stesso con il cappotto ma Hunter, da gentiluomo qual era, l'aiutò a sfirarglielo per poi buttarlo sulla spalliera del divano senza troppe cerimonie. Le passò le mani sulle spalle e Daphne, completamente rilassata, appoggiò la schiena al suo petto, volgendo il viso in sua direzione e posando le labbra sulle sue. «Non c'è fretta e Alec non so quando ci raggiungerà.» Gli sfiorò delicatamente la guancia con le dita prima che si allontanasse. Il giro della casa poteva aspettare, per quello c'era tempo. Ora, tutto quello che voleva, era stare con lui e non pensare più a niente. Non che fosse poi così difficile: Hunter aveva tutta la sua attenzione. Tornò da lei poco dopo, poggiandole le mani sul fianchi e avvicinando il viso al suo. «Ah si?» La mano destra era già tra i suoi capelli. «Spero sia stata una bella distrazione, la tua.» Chiuse gli occhi e ricambiò il bacio, schiudendo le labbra per assaporarlo.
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    Fece un passo avanti, avvicinandosi ancor di più mentre la mano sinistra si intrufolò sotto il maglione nero che indossava, posandosi, con delicatezza, sulla sua schiena. Gliela sfiorò con le dita, andando su e giù. Sospirò, approfondendo il bacio e stringendogli leggermente i capelli. Quando sentì le sue mani a contatto con la pelle nuda, lo baciò con foga, godendo della morbidezza delle sue labbra del calore del suo corpo. Dopo essersi staccata per riprendere fiato, lo guardò diritto negli occhi prima di posare le labbra sul suo collo e morderlo, proprio come aveva fatto lui quella sera. Si scusò per il segno rosso che gli aveva lasciato inumidendolo con la punta della lingua. Dopodiché, tornò a baciarlo con passione, portando anche l'altra mano sotto il maglione per cingergli la vita e avvicinarlo a sé. Lo desiderava. Dio, quanto lo desiderava. Si allontanò leggermente, appoggiando la fronte contro la sua: erano così vicini che, tra di loro, non passava neanche mezzo filo d'aria. Eppure, per Daphne, non era sufficiente. Voleva di più. Perché sentirlo, toccarlo, sfiorarlo, baciarlo, ormai, era diventata una necessità. «Hunter...» Pronunciò il suo nome con un filo di voce mentre, dolcemente, gli sfiorò le labbra con le sue. « Fammi tua.» Un flebile sussurro, il suo, ma era certa che l'avesse sentita.


     
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    Corvonero
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    Whisky è fortunato a non aver incontrato il disappunto della serpeverde, a colpi di pelo morbido e muso da scemo sembra essersi conquistato anche lei. Meglio così, non lo fermo, gli lascio terminare le sue cerimonie e sinceramente sono anche più contento di non doverlo bloccare; ad ogni azione questa ragazza mi colpisce sempre di più, cancellando quella immagine della bambola perfetta che tutti sembrano averle costruito intorno. Anche mia sorella non appena ne ha sentito il nome ha subito pensato ad una ragazza perfetta, fatta di porcellana, spocchiosa probabilmente eppure se la vedesse adesso sarebbe costretta a ricredersi. In realtà basterebbe che le raccontassi qualcosa, Emilie si fida del mio giudizio e anche ascoltando il breve messaggio che le ho mandato capirà subito che se ho deciso di passare il natale con quella famosa Daphne di cui le ho parlato, qualcosa di diverso deve pur esserci. Non so definire nemmeno io bene cosa ma stranamente, ci convivo.
    - Val Thorens... siamo in Francia - le avevo detto che questa sarebbe stata una sopresa e credo che scoprendo la destinazione, lo sia su tutta la linea. Equivale concettualmente ad un rapimento anche se consensuale e con buone intenzioni. Le sorrido - anche a me - tornare qua è una delle cose che mi è mancata di più quando la famiglia si è disgregata, ma mi sono sempre accertato che la cosa non si notasse; per principio, per orgoglio forse, non volevo che nulla che fosse collegato a mia madre mi mancasse. L'ho scelto e ha funzionato. Ed è così che deve continuare ad essere: questo è solo un bel posto che volevo mostrarle, perfetto per riprenderci il tempo perso. L'idea poi che il suo gufo starà via per un po' mi fa sorridere nuovamente, perchè qualcosa mi fa pensare che con lui di mezzo avremmo avuto meno privacy e più versi infastiditi di sottofondo.
    Forse però non avrei sentito un cazzo lo stesso, pure se avesse iniziato ad urlare a squarciagola - una distrazione molto bella, sì - da cui continuo a farmi distrarre molto volentieri. La stringo a me mentre le mani vanno a sollevarle il maglione, un ostacolo lungo la via che mi porta sui suoi fianchi e poi, lentamente, sul suo fondoschiena. I suoi movimenti assecondano ed imitano i miei e mi piace l'iniziativa con cui mi fa capire ciò che vuole, è come se mi parlasse senza proferire parola. Io le rispondo, approfondisco quel bacio, godo di quel morso sul collo sprofondando con una mano nei suoi capelli, le trattengo il labbro inferiore fra i denti prima che un paio di centimetri di lontananza si frappongano fra noi. È davvero una distanza effimera che evidentemente le serve solo per riuscire a pronunciare il mio nome e... qualcosa in più. Quella due parole sono l'espressione verbale di tutto quello che fin'ora mi ha solo suggerito con il corpo, ma che adesso è del tutto chiaro ed inequivocabile. È impossibile che riesca a pormi un limite, adesso. Come se volessi squadrarla meglio dopo aver proferito parola, indietreggio appena con il corpo e poso lo sguardo, fisso, sul suo. Dalla mia bocca schiusa non esce un suono, solo un sospiro prima che la mano destra vada ad aggrapparsi saldamente alla sua nuca. Anche volendo, sono incapace di porre alcun tipo di distanza fra noi. Il punto è che neanche voglio. Rapidamente, con foga, torno ad avventarmi sulle sue labbra che schiudo nuovamente con la lingua. Sento il calore del suo corpo con la mano sinistra che da sotto i maglione disegna un percorso che parte dai fianchi e poi sale, su verso il suo costato. La guido ad arretrare di qualche passo fin quando la nostra rapida avanzata non si ferma bruscamente: è arrivata a scontrarsi con la spalliera del divano. Entrambe la mani scorrono verso il basso guidate dalla stessa forza di quella volta sul prato, scivolano sulle sue cosce, si insinuano sotto la gonna, vanno a posarsi sul suo sedere , la alzo appena così che riesca a sedersi. Non mi importa molto quanto possa risultare gentile, adesso. Non riesco a fermare la mani insinuate adesso sotto il suo maglione, subito sotto il suo reggiseno. Interrompo il bacio solo per poterla guardare una volta di più, ha la pelle arrossata e i capelli fuori posto. Espiro dalla bocca, profondamente, rumorosamente, socchiudo gli occhi per poi riaprirli lentamente - voglio farti completamente mia - è un sussurro a fior di labbra mentre trattengo con pollice ed indice il suo mento, è profondamente egoistico - completamente - se la prima
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    volta non avesse afferrato bene, lo ripeto per renderlo inequivocabile. Voglio che sia mia. Il pollice le sfiora le labbra prima che vengano di nuovo a contatto con le mie. La libero dalla presa solo per poter tornare a stringerle le cosce e guidarle cosi a cingermi la vita, per sentirla più vicina. Sposto le mani per andare ad aggrapparmi al suo maglione, iniziare a tirarlo su ed eliminare così uno degli ostacoli che si frappone fra il mio corpo ed il suo. Non è di certo la ragione a guidare i miei movimenti, come è giusto che sia. Mi governa il desiderio che dopo quello che mi ha detto... Dio, non posso fermarmi.


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    Serpeverde
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    L'aveva portata in Francia, nel luogo in cui viveva, in un cottage che apparteneva alla sua famiglia. Un gesto significativo da parte di uno come Hunter che si esprimeva più a gesti che a parole e Daphne non poteva fare altro che apprezzarlo. Non a caso, era rimasta piacevolmente sorpresa quando le aveva detto che anche lei gli era mancata, dando voce, forse per la prima volta, a quello che realmente provava nei suoi confronti. Perché tra loro c'era qualcosa che, col tempo, non avrebbe fatto altro che rafforzarsi e questo la spaventava. Non si era mai lasciata andare così tanto con qualcuno, non le era mai mancata così tanto una persona e non aveva mai desiderato che un ragazzo la toccasse, la baciasse e la stingesse tanto quanto Hunter. Sentiva il bisogno di andare oltre, di sentire la sua pelle contro la propria, di sfiorarlo, di assaporalo, di averlo completamente.E glielo disse senza mezzi termini. Perché aspettare quando volevano entrambi la stessa cosa? In quei mesi distanti aveva riflettuto fin troppo su tutto, valutando i pro e i contro di quel rapporto che, lentamente, si stava creando tra loro. La sua parte razionale le diceva di scappare ed era ciò che aveva fatto all' inizio, salvo poi capire che la lontananza non era la giusta soluzione; aveva solo finito col pensare di più. Le era entrato nella testa, aveva provato a scacciarlo via, ma senza successo. Era sempre stato lì. Poi, quando si erano ritrovati da soli sul treno, aveva mandato tutto il diavolo, seguendo il suo istinto e spiegandogli perché si era comportata in quel modo. Ed era davvero felice di averlo fatto, perché non ne poteva più di stargli lontano. Aveva raggiunto il limite.
    Hunter si allontanò di poco, con lo sguardo fisso nel suo e le labbra leggermente socchiuse. Conosceva molto bene quello sguardo. Non passò molto prima che si avventasse su di lei, catturando le sue labbra in un bacio da mozzare il fiato. Daphne ricambiò, baciandolo con foga e affondando le mani nei suoi capelli. Aveva perso il conto di quanti baci si erano dati da quando si erano incontrati, tanti, forse troppi, ma non le importava perché non aveva alcuna intenzione di smettere. Le piaceva il modo in cui la faceva sentire. Eccome se le piaceva. Indietreggiò di qualche passo, fino a che la sua schiena non urtò con la spalliera del divano. Le accarezzò le cosce prima di posare le mani sul suo fondoschiena, sotto la gonna, e sollevarla di peso per farla sedere. In tutta risposta, gli afferrò il colletto del maglione e lo attirò ancor di più a sé, approfondendo il bacio e affondando la lingua. Sospirò, quando le sue mani si posarono sul suo seno, stringendolo con delicatezza. Gli cinse la vita con le gambe e si spinse in avanti, facendo aderire completamente i loro corpi. Si staccò da lei, guardandola intensamente e Daphne iniziò a sentire caldo. Se la mangiava sempre con gli occhi. Si inumidì le labbra per sentire ancora il suo sapore, non era abbastanza. " Voglio farti completamente mia," quella frase la fece letteralmente impazzire. Chiuse gli occhi, respirando a fatica e cercando di darsi un contegno, ma quando Hunter le passò un dito sulle labbra con quella delicatezza che l'aveva sempre contraddistinto, spense il cervello e si lasciò guidare completamente dal desiderio. Schiuse subito le labbra e lo baciò con la stessa intensità di prima, godendo del calore del suo corpo. Si allontanò leggermente per permettergli di sfilarle il maglione e lei fece lo stesso, liberandolo da quell' indumento che le impediva di sentirlo come avrebbe voluto. Gli passò le mani sulle spalle, sulle braccia e poi si protese in avanti, mordendolo, di nuovo, nell' incavo tra il collo e la spalla. Poi scese sempre più giù, lasciandogli una scia di baci umidi partendo dalla clavicola, passando per il torace e fermandosi poco sopra l' ombelico. Fece il percorso a ritroso con la punta della lingua. Le mani, nel mentre, gli accarezzarono la schiena nuda. Lo baciò di nuovo, con foga, perché non poteva fare altrimenti. Non si era mai sentita prima d'ora: stava andando letteralmente in fiamme.
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    D' istinto, mosse il bacino in avanti, sospirando. In quel momento esitava solo Hunter, solo lui. Appoggiò la fronte contro la sua per qualche istante prima di guardarlo e posagli una mano sulla guancia. «Non sei il solo.» Gli sfiorò il labbro inferiore con il pollice. « Anch'io voglio che tu sia mio.» Gli sorrise, prima di tornare a baciarlo. Daphne non era mai stata una persona possessiva, gelosa forse, ma possessiva mai. Eppure, per la prima volta in vita sua, si ritrovò a esserlo: voleva Hunter tutto per sé. Il pensiero che un'altra avrebbe potuto averlo in quel modo, toccandolo e baciandolo come stava facendo lei, le dava su i nervi. Gli morse il labbro inferiore un po' troppo forte, si scusò passandoci sopra la lingua e baciandolo lentamente, con dolcezza. Adesso ti assumi le tue responsabilità, Hunter.


     
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30 replies since 14/12/2022, 00:39   697 views
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