Posts written by Barnes is our king.

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    Cercatore Serpeverde
    Harry Barnes - 18 - V

    La folla rideva.
    E io avrei voluto spaccare la faccia a tutti. A colpi di bolide. Ma anche a mani nude mi sarebbe andato bene.
    Che grandissima, enorme, abissale figura di merda.
    Non era mai successo qualcosa di simile, lo giuro. Davvero! Mai ero entrato in campo tanto ubriaco, anzi per nulla ubriaco perché, per quanto bere fosse una delle cose che amassi di più, e qualcosa del quale davvero non riuscivo a fare a meno, lo sport - e in particolare il Quidditch - era comunque una delle mie passioni principali, e in quanto tale aveva per me un’assoluta priorità, soprattutto se si poteva fare il culo a strisce alle altre case in modo da chiudere l’anno in bellezza. Uno direbbe poi che, per giunta, aver fatto qualcosa come un mese e mezzo di allontanamento dall’alcol possa bastare a disintossicarsi alla perfezione. Cioè, forse anche meno. Il problema era che, a questo punto della mia vita, si trattava di una cosai totalmente mentale, ne ero certo, e direi una bugia se dicessi di non averci pensato ogni singolo giorno fino al momento in cui il mio boccale di whiskey incendiario non si era trovato nuovamente pieno, sfogando nella prima serata utile tutta la frustrazione di quell’astinenza forzata portata dal non aver più un centesimo in tasca (e col cazzo che avrei venduto la mia roba), nonché da una vera e propria depressione in cui ero caduto e dalla quale ero riuscito a riprendermi a fatica. Ma il punto è che, non appena ebbi ricominciato a bere, non la smisi più, tanto da portarmi al punto in cui ero oggi che, con la scusa di un fottuto festino (perché altro non era), mi ero ridotto una vera merda.
    Cercai di trattenermi davanti alle due ragazze rosso-oro il meno possibile mentre, tornato in groppa alla scopa e con una soglia della concentrazione ai minimi storici (l’udito pregno di risate e fischi che parevano l’unica cosa che fossi in grado di percepire in quel momento), cercavo di ritrovare la spinta a volare; il problema era che più guardavo in giù e più il mondo pareva un caleidoscopio di colori più che di cose. Fu con la vista ancora leggermente annebbiata che strinsi le palpebre nel cercare con lo sguardo ciò che pareva aver fatto impazzire il pubblico: fu con enorme delusione e senso di sconfitta che mi resi conto dell’appena avvenuta presa del boccino. Fu tra schiamazzi e cori che ricaddi seduto sul borso della tribuna dei grifi, una gamba penzoloni verso l’esterno e l’altra piegata, sulla quale poggiai stancamente un braccio. Non restava che sperare di aver fatto comunque abbastanza punti, nonostante tutto. I miei compagni di squadra, al contrario mio, erano stati grandiosi - come giusto che fosse. Mi spalmai la mano opposta sulla faccia, con la consapevolezza che non avrei davvero potuto giocare una partita in maniera peggiore in tutta la mia vita, e chiedendomi se mai, a quel punto, si sarebbero convinti a tenermi in squadra, perché cazzo, io non lo avrei fatto.

    Cerca di ignorare, nel dubbio, le due grifoncine e di riprendere il volo, ma la vista è troppo confusa, così come la sua capa, e finisce per notare la presa del boccino ancora sugli spalti rosso-ora. Mo ha un motivo per tornare nel periodo depre chebbell. MAI NA GGGIOIA

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    Harry C. Barnes

    Fosse mai che mi desse retta per una volta, la cogliona. E che cos’altro potevo aspettarmi? Ne ero praticamente certo, d’altronde. – Prevedibile come la merda. Devi sempre andarmi contro. Insopportabile ragazzina. – quella, infatti, non poteva scegliere un abbigliamento più lontano da quello che avrei immaginato. Eppure… eppure la trovavo figa, nonostante tutto. Il nero, dopotutto, era il mio colore preferito (seguito dal verde lime), con la capacità sia di rubare personalità che di darla, a seconda di come lo si portava. Kaeris Duval, per esempio, al di là dell’aria da bambolina cadaverica, lo portava con un certo stile. E alla Métis, beh… diciamo che desse un certo contrasto con quell’aspetto così pastelloso che si ritrovava, trovandosi sicuramente più naturalmente affine allo stile da Barbie, sapete, quella bambolina babbana che abbiamo studiato una volta a lezione, tanto famosa per essere una zoccolina tuttofare. Credo. Lezioni di merda per una materia di merda, d’altronde. Eppure dubitavo l’avrei mai vista conciata a quel modo, che era poi il genere di “vestiti figa” che intendevo. No, la Métis non era quel genere di ragazza, lo sapevo. Tubini rosa e onde vaporose non si addicevano al suo carattere. Purtroppo. – Stronzaggine? – feci scattare un sopracciglio in alto, prima di buttar via la sigaretta. – Non so di cosa tu stia parlando. – mentii, sapendo bene che sicuramente si riferisse alla lezione del giorno prima, durante la quale cercai di ignorarla o al limite infastidirla per buona parte del tempo. – Sai, forse stai scambiando persona. Ne fissavi soltanto una, quel giorno, dopotutto. – lanciai ufficialmente la prima frecciatina della serata, perché era sempre così brava a tirarmele fuori, e la mia faretra era abbastanza affollata. – Cazzo fai? – sbottai quando quella si mise a braccetto, così, a caso. – La gente potrebbe pensare che sia il tuo boyfriend. O, peggio, l’amichetto gay del cazzo. – se mi bruciava ancora il culo per quegli appellativi che mi erano stati affibbiati per mesi? Assolutamente sì. Tuttavia, nei paraggi, a quell’ora, pareva non esserci nessun altro, quindi non la sciolsi prontamente la sua presa, optando per continuare a tenere entrambe le mani ficcate in tasca. Un sorrisetto compiaciuto mi increspò un lato delle labbra al sentirmi chiamare ancora a quel modo: mio Re. Ovviamente la sua era una presa per il culo, ma per le mie orecchie era musica. – Giuro che mi eccito quando lo dici – la informai, lanciandole un’occhiata di sbieco per verificare la sua eventuale espressione in risposta. Magari lo faceva a posta. Elegantissima, sì. La principessa degli scaricatori di porto. – non che fosse stata una mia richiesta quella di soffermarsi su un abbigliamento elegante… ma, detto da me, si poteva solo pensare a un vestitino succinto, suvvia, non facciamo finta che non fosse chiaro come il sole. – Peggio per te: sfigurerai accanto a me come una perlina di plastica in una collana costosa. Mi toccherà essere il bello della situazione… ma, mhh, in effetti è sempre così. – ahhh, se potessi ricevere una falce per ogni uscita modesta che faccio… sarei ricco nel giro di un mese. – Troppo da dura, comunque. Non ti si addice. – le assicurai, anche se dovevo ammettere che in Indocina mi avesse stupito… “ammettere” solo mentalmente, è chiaro. – Ah, sulla violenza non posso assicurarti nulla – misi le mani avanti, perché la mia fedina penale - di cui lei non aveva la minima idea - mi precedeva, – Mentre sullo svagarsi… ne avevo un leggero sentore. Non ti vedo tanto male, comunque. A parte la faccia di cazzo, ma quella peggiora quando ti diverti. – quanta gentilezza. Non l’avrei biasimata se avesse fatto retro front verso il castello, ma ero certo che non lo avrebbe fatto. Perché infondo mi amava. O, insomma, a 'sto punto ero convinto fosse una sottona del cazzo, dunque coerente. – Ad Hogsmeade, sì, ‘stocazzo. Quel posto è una noia mortale, e al Wonderland col cazzo che ci torno. – l’ultima mi era bastata per la vita. – Andiamo a fare un giro nella mia città. Non mi vede da un bel po’. Farà i salti di gioia. – sogghignai sarcastico, consapevole di quanti danni avessi causato al capoluogo inglese. Cosa che mi mancava molto. – Stringiti: il tuo culo sta per smaterializzarsi. – la avvertì, poggiando un palmo ad abbracciare il dorso della sua mano, ancora intrecciata al mio braccio. – Uno… due… –

    Clacson. Risate. Un brusio persistente. Un cantante di strada che ci accoglieva al suono di una chitarra classica che accompagnava, probabilmente, la canzonetta di quel babbano coi capelli rossi, Ed Sheeran, che gli inglesi amavano tanto. O forse era quell’Harry Styles? Impossibile da dire secondo le mie sole vaghe conoscenze. Vi erano dei piccoli quartieri di maghi, ma a me piaceva bazzicare segretamente tra di loro (i babbani), divertendomi come ammirando delle scimmiette cappuccine allo zoo. Riuscivano sempre a sorprenderti per qualche motivo, quei coglioncelli, e io amavo sorprenderli a mia volta, creando caos e disagio con le mie magie o, beh, il mio temperamento. Quella città e io ne avevamo passate davvero tante, soprattutto in quegli ultimi anni passati a studiare a casa, quando sgattaiolavo in centro una sera sì e l’altra pure fino al mattino seguente. Quando fa buio sono sempre più belle, le città, hanno più fascino; i negozi vengono chiusi, e locali e piazze diventano per lo più gli unici punti di ritrovo utili, quando la gente decide di alzare il gomito dopo una settimana di lavoro impegnativa, e io posso finire di rovinargli anche il weekend, perché why not.
    In mezzo a tutta quella folla, ero certo che notare la nostra improvvisa apparizione fosse praticamente impossibile, tutti impegnati nel dedicarsi ad altro, le teste che si scambiavano di posizione fin troppo velocemente. Un odorino distinto di caldo e speziato cibo orientale proveniva da un ristorantino cinese lì all’angolo, uno dei più grandi della città, con una sfilza di lanterne cinesi a decorazione della stradina alla nostra sinistra. Un alto bus rosso svoltava l’angolo alla nostra destra, invece, che dava sulla strada. Una coppia di biondine ci passò davanti; una di quelle mi squadrò, e venne ricambiata, vestita con uno striminzito top azzurro e una gonnellina fasciante a livello inquinale: un tipo di ragazzacce che era facile trovare in quella città, come se non avessero mai abbandonato gli anni novanta/duemila. Il mio genere di ragazza per quel genere di serate. Girai il collo fino al suo limite, troppo impegnato a seguire l’appassionante percorso del suo culetto strizzato in quella strisciolina bianca, pensando che… cazzo, sì, forse potevo anche venirci da solo. Però va beh, almeno se finisco mortalmente ubriaco ci sarà qualcuno utile a farmi smaterializzare altrove. In teoria. Anche se, quel giorno preciso, la bionda avrebbe potuto benissimo sorprendermi nel senso opposto. – Che c’è? So che l’hai guardato anche tu – replicai in tutta risposta alla sua espressione dopo il passaggio delle due gnocche. – Allora, bionda, hai familiarità con Londra? Non te l’ho mai chiesto – le cose che sapevo sul suo conto erano sempre meno di quelle che non sapevo, dopotutto. – Hai già mangiato? – perché io, in effetti, no. Parlavo mentre camminavo, mani in tasca, finché non spinsi la Métis contro un muro. – Shhh. – le sussurrai a un palmo dal viso, portando lo sguardo in basso; in pratica feci finta di intrattenermi con lei, mentre in realtà davo semplicemente le spalle alla strada nell’aprire avidamente un portafoglio che mi era appena levitato fra le mani; uno bello largo e pesante, cosa di cui ero sicuro, visto l’abbigliamento altolocato della tizia in questione. – Non male, direi – piegai le labbra in un sorriso a rovescio e annuii intascando una serie di banconote, per poi lasciare cadere il portafoglio aperto per strada, come un cadavere in mare. – Hey, questo è il mio nuovo lavoro. Non si giudica il lavoro altrui. Vuoi mangiare oppure no? – sapevo che non sarebbe stata d’accordo con quel gesto, ma lei, a sua volta, doveva sapere che ormai era fatta e non ci sarebbe stato modo, eventualmente, di farmi ragionare.



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    Cercatore Serpeverde
    Harry Barnes - 18 - V

    Cazzo, quel giorno non c’ero proprio con la testa. Ma che diavolo mi era saltato in mente di ubriacarmi a merda prima di una partita? Coglione che non ero altro. Ero totalmente su di giri, perché cazzo, il nostro sport doveva essere proprio volare sulle scope, altissimi verso il cielo più blu e chi ti incula più. Maledizione nera. Mi girava tutto. Eppure, anche volendo, senza cercatore non si fa nessuna partita, avevano per forza bisogno di me, ma iniziavo a domandarmi quanto davvero sarei potuto essere utile alla squadra. Il mio primo atto significativo era stato quello di difendere una tassa, cioè, ma per quale motivo?! La figa sarebbe stata la mia rovina, ve lo dico io. Tentai di recuperare in corner col lancio di un bolide che neppure andò a segno come sperato, essendo stato effettuato, come prima cosa, con la coda della scopa. Avrei dovuto avere un culo micidiale a colpirla a quel modo, ma col diavolo che mio cugino o qualsiasi altro dei miei concasati si facessero rubare le mazze, ovviamente. Eppure quanto mi mancava, fare il battitore, memore dei bei vecchi tempi andati, risalenti a qualche anno prima, quando potevo lanciare bolidi fumanti a tutti quelli che mi stavano sul cazzo. Cioè… tutti, sì, più o meno… – Se vuoi posso muovere il tuo, Riis – tipo su e giù. Sguardo eloquente. A buon intenditore poche parole.
    Me la sghignazzai un bel po’, onestamente, quando vidi la scenetta Dragonov-Fairychild. Avrei voluto i pop corn. Quella biondina se lo meritava. Cioè, così, nel dubbio. Qualche fallo, dopotutto, doveva esserci sempre, altrimenti che partita vs Serpeverde era? No?!
    Passai dalle risate all’ira più profonda quando un bolide mi colpì da dietro, mandandomi a sbattere proprio sull’altra cercatrice. Oh, no, ora mi gira peggio. Barnes non vomitare, non vomitare, cazzo! mi ripetevo, disperato. Andai ad incrociare lo sguardo fastidiosamente giudicante della Fairychild, al quale risposi con un silenzioso ma chiarissimo “cazzo guardi?!” che mi si poteva ben leggere in volto, e la mandai a quel paese con l’ennesima spallata furiosa, perché mi chiedeva pure come stavo. Ma vaffanculo.
    Vidi sgusciare fuori dal banco di nuvole il boccino con un soffio di vento, e decidi di scendere in picchiata, credendo di aver beccato la traiettoria giusta.
    L’aria tiepida di giugno mi tappò le orecchie per qualche momento, ma ciò mise il mio corpo in rinnovata difficoltà: scesi in picchiata in maniera imprecisa e visibilmente instabile, fino a che non precipitai contro le tribune rosso-oro, finendo con una gamba dentro e una fuori, a cavalcioni. E Merlino bestia che dolore immenso alle palle. Strizzai le palpebre scivolando di lato, sui primi sedili, in mezzo ai quali era caduta la mia scopa, una mano a mantenere i gioielli come dall’aprirsi in due.
    Quando riaprii gli occhi, vidi la Wheeler e la Johnson. Ma che cazzo di figura di merda. – Non. Dite. Niente. – agitai una mano in segno di falsa noncuranza, che assomigliava più a un più corretto “nel dubbio, andate a farvi fottere”, perché quel giorno ce l’avevo con tutti, ma proprio tutti. Mi rialzai indolenzito il più velocemente possibile (che non fu esattamente velocissimo per via dei sempre persistenti capogiri, temo), e mi misi in piedi sulla seduta pronto (si fa per dire) a risfrecciare in volo.
    Se mi viene la geniale idea di bere nuovamente prima di una partita, ammazzatemi, grazie.

    Interagito con Freya, Astrid (lol) ed Halley e Grace in contemporanea. È infatti caduto in picchiata sugli spalti rosso-oro, sfracassandosi le palle, perché oggi il disagio si spreca.

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    Harry C. Barnes
    Non avevo detto molto, in quella lettera. Non ce n’era bisogno. Sapevo che, in ogni caso, sarebbe venuta. Il motivo era semplice: era sola, lo vedevo. E aveva un disperato bisogno di svagarsi. Cosa che io avevo sempre, quindi perché non approfittarne? Avevo il fottuto presentimento che, dopo quella fottutissima lezione di Incantesimi del giorno prima (che era parsa più una sorta di missione omicida), alla bionda sarebbe tornata la fottuta depressione, se mai se n’era andata. Insomma, pareva si stesse riprendendo, un minimo. Che fosse così brava a mentire, o che la mia presenza, per qualche motivo, favorisse così tanto l’incresparsi dei lati delle sue labbra, almeno recentemente, a me non importava un ficco secco: quando era di buon umore - o pareva tale - mi rompeva il cazzo meno del solito, ma infondo riusciva anche divertirmi, qualche volta, un po’ come quando ti compri un criceto e i primissimi giorni ti diverti a guardarlo girare la ruota. Mi avrebbe scocciato allo stesso modo? Molto probabile, anzi estremamente ma, per qualche motivo, quella sorta di montagna russa emotiva con lei, fatta di scherzo, desiderio sessuale e desiderio omicida (tutti intervallati nella stessa percentuale), riusciva, almeno per il momento, a non stancarmi. Ma, attenzione, non sto certo dicendo che fossimo “amici”. Che cazzo di parola, associata a lei. Anzi, che cazzo di parola in generale. Non lo so mica se li ho dei veri amici, io. Ma poco importa. E poi dubito fortemente che, con una grande attenzione fisica alla base, potrebbe mai esserci della “vera amicizia” fra qualcuno. Non che ne avessimo le basi, in ogni caso. Almeno credo. Il tempo che passavamo insieme era tornato ad essere parecchio, soprattutto in vista degli esami G.U.F.O. di fine anno, che spettano a tutti quelli del quinto. Una gran rottura di palle. Dopo quella serata in Africa, e ancor di più quel pomeriggio nel bagno dei prefetti, passato a fare cose molto disdicevoli (come tentare di uccidersi a vicenda e limonarsi letteralmente la linfa vitale dalle tonsille reciproche), però, anche una semplice sessione di studio, che ormai condividevamo, era diventata ostica. L’avevo sempre guardata immaginandola nuda, beninteso, ma una volta essere arrivati così vicini dal vederla davvero nuda, e aver tastato con mano - e bocca - punti del tutto nuovi della sua carne, non potevo davvero evitare di fissarla pensando a quanto, quando e come avrei voluto farmela su ogni superficie disponibile della biblioteca, anziché seguire le sue spiegazioni noiose a morte su determinati concetti che faticavano ancora ad entrarmi in testa, come certa roba allucinante di babbanologia, tipo l’elettronica o la meccanica (che cazzo me ne fotteva di com’era fatta una macchina babbana all’interno e del nome dei suoi componenti? Ma implodete!).
    In Indocina, però, mi aveva fatto girare il cazzo. Perché il suo adorato Dragonov era tornato, ma non sembrava affatto intenzionato a cagarsela. Il motivo? Che cazzo ne so. Suppongo di aver avuto ragione tutto il tempo: semplicemente non gliene fregava un cazzo. Aveva preso spazio per sé, togliendosela dalla testa e voleva scollarsela di dosso. Cosa che capivo perfettamente: le femmine, dopo una certa, fanno riciclate. Evviva la carne fresca! Però, che cazzo, la corva aveva già ricominciato a mettere su il muso lungo, e odiavo a morte sopportarla in quello stato.
    Dunque l’avrei trascinata dove avrebbe potuto farsene una ragione.

    Calciai una pietruzza, scocciato, e vidi una piccola nuvola polverosa risalire in risposta. Feci rumoreggiare la lingua sul palato, creando un fastidioso rumore tamburellante, e chinai il capo per dare un'occhiata rapida al lussuoso orologio da polso, le quali rifiniture luccicavano ai bagliori della luna che ormai stava sostituendo il sole: ore diciannove. Alla faccia della puntualità, Métis. Col cazzo che ti aspetto. Almeno non più di qualche minuto, insomma, le ragazze ci mettono sempre le ere mesozoiche a prepararsi. Magari ne sarebbe valsa la pena. O magari non aveva neppure dato conto alla mia richiesta: andarmi contro le piaceva sempre, tipo questione di principio. In quel caso, beh, cazzi suoi: le sue scarpe da ginnastica, o la divisa scolastica, avrebbero cozzato terribilmente col mio completo total black semplice ma allo stesso tempo costoso e curato, la camicia nera perfettamente stirata aperta di un paio di bottoni di troppo.
    Stavo giusto sistemandomi un risvoltino al polso, che i miei occhi caddero sulla figura in avvicinamento, anzi, a solo un metro da me: che cazzo era, un gatto, che non faceva rumore? I miei occhi risalirono la sua figura dai piedi fino al volto; mi rigirai la sigaretta in bocca con la lingua e la guardai con la fronte corrugata, dando uno scossone verso l’alto ai lunghi pantaloni neri dalla vita. – Mezzo minuto in più e giuro su Merlino che avresti trovato il grande nulla ad aspettarti. Se dico le diciannove, mi aspetto che tu venga alle diciannove. – sospirai rumorosamente e aspirai per l’ultima volta la sigaretta, che lanciai ancora accesa ai piedi di un cespuglio lì vicino. – Comunque sia, sei stata fortunata: per questa volta sei graziata. Mi sento buono. – un gran dire. Feci un paio di passi verso di lei, sorrisetto sghembo presente all'appello, e mi abbassai leggermente verso di lei, manco fosse una bambina: – Allora, sei pronta a farti un giro? Se stasera ti vedo col muso lungo giuro che ti dò un pugno in faccia. – e se lo dico lo faccio.


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    Cercatore Serpeverde
    Harry Barnes - 18 - V
    In tutta risposta alla mia richiesta, David serrò la mascella, guardandomi come se gli avessi scopato la madre. Che, dico, non fosse stata mia zia… ma dettagli a parte. Scoccai la lingua sul palato e mi avvicinai a lui con una nuova prepotenza, che mai, forse, fino a quel momento, avevo dimostrato nei suoi confronti. – Perché, se no che mi fai? Eh?! – alzai il mento, le labbra corrucciate con aria di sfida. Feci sfrecciare le pupille sulle sue, da un occhio all’altro, nel cercare di capire che cazzo di problema avesse. Personalmente, il mio, in quel momento, era trovarmi così su di giri a causa del dopo sbronza da non connettere troppo le sinapsi… di certo meno del solito. Il tiro in porta da parte di un tassofesso - fottutamente spettacolare - mi riportò alla realtà: ma che cazzo stavo facendo? Facevo quasi petto a petto con mio cugino e per cosa, difendere una tassa? Che non me l’aveva neanche data? No, no, focalizzati, Barnes, e che cazzo.
    Mi portai due dita alla base del naso, stringendola e scuotendola leggermenete, gli occhi chiusi nel tentativo di svegliarmi da quel rincoglionimento fottuto. Poi diedi un basso grugnito di sfogo e, con un’ultima occhiata snervata al cugino, ammisi: – Hai ragione. Nessuna pietà. – mi allontanai da lui e, dopo un paio di metri, vidi un bolide sfrecciarmi vicino e, con un colpo netto del retro della scopa, lo colpì per mandarlo diretto contro la Turner. Cosa voleva essere? Un messaggio a mio cugino o a me stesso? Forse entrambi. Forse era un debole tentativo di non deludere l’unico pezzo della famiglia decente che credevo mi rimanesse.
    La bionda stava sfrecciando verso l’alto. Aveva visto qualcosa? Pareva proprio di sì. Nel dubbio, feci per seguirla.
    Peccato che, arrivato lì, non vedevo proprio un bel cazzo di niente. La biondina, però, pareva tanto assorta da quel branco di nuvole da non notarmi ed ero sicuro che, se mai ne fosse uscito qualcosa, sarei stato il primo a vederla. Ma avrei dovuto fidarmi?

    Harry Barnes, V anno, Serpeverde.
    Interagito con David, col quale si espone prima con fare minaccioso, per poi cercare di dimostrargli di non essere una mammoletta (?) e così, col retro della scopa, prova a mandare un secondo bolide contro la Turner. Sorry mi amor (?). Poi va a seguire la direzione fin troppo convinta della Fairychild, sperando di non sbagliare a fidarsi.

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    Bolidazzo contro Ollie Turner: 3
    • 1d10
      3
    • Inviato il
      18/6/2023, 23:51
      Barnes is our king.
  6. .
    Cercatore Serpeverde
    Harry Barnes - 18 - V
    Occhi da zombie, niente più niente meno: avevo dormito poco, a causa dell’ennesimo festino, e più di tutto, avevo un post sbronza dall’aspetto assolutamente pessimo: i capelli erano più scompigliati del solito, la divisa era visibilmente in disordine e lo sguardo pareva perennemente perso mentre, con un curioso bipolarismo, alternavo espressioni intrise di un’allegria ebete ad altre apparentemente depresse o malaticce, o ancora, assassine, ma comunque sia facendo largo uso della stessa spavalderia orgogliosa che avrebbe avuto un assassino seriale di draghi. In quello stato non facevo molto caso a cosa mi stesse accadendo intorno, o quantomeno non ai discorsi che stavano facendo: stavo cercando di allacciarmi la scarpa sinistra per la quarta o quinta volta, e proprio quando alla fine riuscii venni colpito da un potente conato risalente l’esofago e, con una mano allo stomaco, dovetti correre in bagno.
    Quando ne uscii, nello spogliatoio non vi era più nessuno.
    Merda.
    Corsi fuori con la mia firebolt ultimo modello - qualcosa di prezioso di cui vantarmi ancora lo avevo - intravedendo in lontananza i miei compagni di squadra intenti già a spiccare il volo dalle proprie scope. – Oh, arrivo! Figli di puttana… – sibilai a denti stretti mentre facevo per salire in groppa al mio fedele manico per raggiungerli, salvo però venire interrotto a metà strada da quella faccia di cazzo di Lennox. “Barnes. Vieni qui!” un profondo rantolio stanco e gutturale fu l’unica mia reazione mentre, in preda al fastidio che pareva risalirmi in gola esattamente come la scarica di vomito di poco prima, mi apprestavo ad affiancare il professore di volo nonché arbitro rottinculo con un palmo aperto davanti a me. Distolsi lo sguardo da lui e mugugnai qualcosa di apparentemente incomprensibile mentre mi apprestavo a tirar fuori il lungo catalizzatore dalla tasca per porgerglielo a malincuore, con la stizza che pareva evaporarmi da ogni poro, ma tentando di far buon viso a cattivo gioco, almeno per quel poco che riuscivo, soprattutto per non fargli capire quanto quel giorno fossi su di giri. Mi auto congedai senza troppa gentilezza, probabilmente prima del tempo, e mi riunii agli altri appena in tempo per, in realtà, dividerci nuovamente tutti prendendo le posizioni e direzioni più sparse, notando per la prima volta quanto la mia vista fosse annebbiata. Merda di un Merlino mangiatore di merda. Merda. Merda! imprecai a ripetizione mentalmente, rendendomi conto che non avevo la più pallida idea di che fottuta direzione avesse preso il fottuto boccino e, per questo, decidendomi per prendere una direzione totalmente casuale… o forse non troppo casuale, perché in realtà ne approfittai per spintonare con tutta la forza possibile la Fairychild, partendo a tutta velocità contro di lei, come un toro che aveva visto rosso, dicendomi che, infondo, mica c’era bisogno per forza della bacchetta per mandare qualche stupido tasso all’ospedale. – Succhiami il cazzo, fatina – fu la mia onesta risposta alla sua espressione stitica, così presi a girare in tondo per il campo, cercando di far credere a tutti che sapessi esattamente ciò che stessi facendo, e non fossi invece stato privato dall’alcol della mia solita vista da falco.
    Quando un bolide mi passò dritto davanti al muso, scansato giusto per poco, spalancai gli occhi scuri nel seguire la sua traiettoria e… andava dritto verso Ollie. La prese proprio in pieno. Mi voltai rapidamente dalla parte opposta, la fronte aggrottata, nell’incrociare lo sguardo di mio cugino. – Non la Turner, David – scandii con un tono solo apparentemente contenuto, ma con un fondo di minaccia nella voce, dopodiché mi morsi l'interno di una guancia e ripresi l’ennesimo giro del campo, cercando di ignorare ciò che accadeva più in basso.

    È ubriaco a merda, o meglio, post sbronza (che forse è pure peggio); così tanto che entra in ritardo in campo, troppo occupato a vomitare pure l’anima.
    Interagisce (vagamente) con Lennox, l’altro cercatore e infine David, citando Ollie.

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    Edited by Barnes is our king. - 12/6/2023, 00:48
  7. .

    Harry Barnes

    casa
    18 anni - V anno
    *possibile violenza, linguaggio volgare o offensivo

    – Aggrappati e basta! Merlino, ma come fa mio cugino a sopportarti, esattamente? – scrollai il capo mollando la grifa, volente o nolente, a quella dannata liana; dovevamo muoverci: questo era l’importante. Faceva tutte quelle storie sull’essere toccata, anche quando l’avevo presa per il fianco; avrebbe preferito la manina? Eppure era stato un gesto così casto. O i punti erogeni delle donne erano stati aggiornati e non ne sapevo nulla? Comunque, la Shiny parve preferire il mio approccio dei rampicanti, e così procedemmo insieme sul ponte traballante, il più lontano possibile da quella mamma Occamy incazzata come una belva, diretti chissà dove, appresso a quel fuoco fatuo di merda. – Questo coso ci porterà ad ammazzarci tutti, ve lo dico io – brontolai, le mani in tasca, proseguendo con fare solo apparentemente annoiato, per nascondere quanto in realtà quella strana prova di sopravvivenza mi preoccupasse per la sua imprevedibilità; dopo un po’, però, pensai che la tecnica migliore per non pensarci sarebbe stato fare il coglione come al solito; decisi dunque di iniziare a dare un po’ di fastidio alle gallinelle, così per passare il tempo in attesa di non si sapeva bene che cosa.
    Quelle donne, tutte quante, sembravano essersi svegliate tutte con la luna storta, e che cazzo. – Ma avete per caso il ciclo sincronizzato? O avete solo giocato insieme con delle scope prima dell’inizio della lezione ficcandovele tutte dentro al culo? – brontolai, nuovamente annoiato. – La Vane doveva riempire le bottigliette con della camomilla, altroché – azzardai, prelevando dal mio zaino la mia personalissima bottiglia d’acqua per berne un paio di sorsi abbondanti e lasciarmene cadere un poco sul viso, ampliando la zona umida con il palmo di una mano. – Uh. Non sai quanto. – lanciai un’occhiatina ironica in risposta alla sua bacchettata sul sedere - ma forse non troppo - alla nana darkettona, la Duval con una elle, o forse due, non so, le confondevo sempre. – Stai attenta a maneggiarla così però, o ti scappa qualche incantesimo random, e ci tengo alle mie sodissime chiappe, thank you very much. –
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    Quella colluttazione tra noi e la banda di Leprecauni e Doxy era stata totalmente inaspettata, almeno quanto fosse stata fastidiosa, così come il Tuono Alato che passò sopra le nostre teste spazzandoci quasi via a causa di quella violenta tempesta improvvisa; la situazione parve tornare alla normalità, ma solo per poco; qualcuno, infatti, mi cadde addosso, facendomi spaccare un paio di assi di legno e facendomi così scivolare nel buco sospeso da loro creato prima con un piede, e poi con l’altro; quella tonta di Skylee tentò il tutto e per tutto per tirarmi su ma, nonostante gli sforzi generali, non fu abbastanza, e finimmo per cadere uno dietro l’altro - un po’ come le tessere di un domino - dritti nella morsa di un qualcosa di non meglio identificato (almeno sulle prime) in quell’improvviso semi buio; sembravamo essere caduti di qualche metro, ma ancora sospesi, in una specie di… “Sembra una pianta… radici…” pensai fra me e me, più occupato dalla confusione mentale che al momento stavo riconoscendo assalirmi; d’un tratto non mi ricordavo più bene cosa ci fossi lì. Mi parevano certe ben poche cose, tra cui il fatto che la Wheeler fosse la mia ragazza, e che stessimo tutti per morire.MA SEI PAZZA?!! sbraitai alla mora, confuso e sinceramente offeso: altro che amarmi, questa non si faceva manco toccare e, in più, mi voleva morto. Decisamente non poteva essere la mia ragazza: non avrei mai scelto una frigida del genere! – Uhh. Al diavolo. Non sono neanche questo granché, francamente. – le assicurai stizzito, prima di prendere ad agitarmi con braccia e gambe nel sentirmi sempre più costretto sul posto; ma ciò peggiorò soltanto la situazione: avevo portato entrambe le mani al collo, nel cercare di far mollare la presa a una radice impegnata a stringermi al collo, quando pensai davvero fosse arrivata la fine; per qualche motivo, mi sentivo troppo confuso per pensare a qualsiasi cosa, in quel momento. Nel momento in cui un potente fascio di luce illuminò l’ambiente, pensai di aver raggiunto, non so, l’al di la? E invece venimmo risucchiati tutti quanti all’interno, o meglio, vi scivolammo, visto che si aprì un varco rotondo in mezzo a loro, con un gran rumore di radici umidicce…

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    …Sbattei i gomiti per terra, così come il fianco, e sotto le piante dei piedi nude percepii della terra - terra, finalmente! - sulla quale, però, sarebbe risultato abbastanza difficoltoso camminare; purtroppo, però, le scarpe erano belle che andate; così, non avendo altra scelta, mi misi in piedi e ridussi gli occhi a due fessure nel tentativo di vedere in quell’oscurità ora intensificata; sollevai un sopracciglio quando toccai col piede un rametto diverso rispetto agli altri, così mi abbassai per tastarlo e, con mio enorme sollievo, ripresi possesso della bacchetta che avevo perso al momento della caduta dal ponte: non avrei avuto neppure i soldi necessari per comprarmene una nuova, al momento. Povertà di merda.
    – Che razza di rincoglionite! – mi salvai dal capitombolare appresso a due delle mie accompagnatrici, senza capire subito chi fossero in quell’oscurità, ma riconoscendo istantaneamente il lamento della Wheeler. Le allungai un braccio per farla aggrappare ed aiutarla ad alzarsi: dopotutto sono un cavaliere, nonché unico cazzo-munito presente: quelle cose spettavano a me. Lo stesso provai a fare con la seconda vittima del tronco, qualora avesse voluto accettare la mia mano. – Faremmo meglio ad accendere tutti le bacchette, o spaccarci la faccia sarà il minimo – consigliai caldamente ad ognuna di loro, accendendo prontamente la punta del mio catalizzatore; solo un istante dopo, però, rimasi di stucco nel ritrovarmi dinanzi ad una… vecchia? – Ehm, mi scusi… lei è un’indigena?…Si dice indigena? Non pare vestita come un’indigena… domandai allungandomi verso Skylee, che lei, nel dubbio, sapeva spesso le cose più inutili. – Shiny… ma sei terrorizzata da una vecchia?…Signora, non è che sa dirci da che parte andare? Dovremmo… MERLIN BUCCHIN!!! – d’un tratto la mia concasata venne spintonata e, al posto della vecchia, apparve nientemeno che un orripilante clown. – Adesso si organizzano feste per bambini nella giungla??! – alzai entrambe le braccia al cielo, lasciandole ricadere abbandonate per poi portamele a livello dei fianchi, sconcertato da tutto quel no sense. Okay, il Riddikulus della grifa lo aveva fatto ben intendere: si trattava di un molliccio. Odiavo quelle creature di merda, buone solo a sfracellare il cazzo con i loro trucchetti da quattro soldi - per quanto assolutamente realistici - ma davvero rimanevo esterrefatto, ogni santa volta, da quanto stupide potessero essere le paure altrui: una vecchia e un clown? Davvero? Non dovevano aver conosciuto davvero nulla di spaventoso, nella loro vita, allora.
    Ok, ne avevo sfidato uno solamente una volta, in realtà, al terzo anno; mi sentivo dunque preparato a ciò che avevo già visto un tempo: un me tredicenne abbandonato da tutti, vestito di stracci, deriso. Avevo fatto la rapida pensata che, ironicamente, quell’anno avevo subito un po’ tutti e tre quei destini, dunque non sarebbe stato affatto destabilizzante… ma mi sbagliavo.
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    Era una donna. LA donna. L’unica che contava davvero.
    Mia madre.

    Il suo sguardo era delusissimo. No, anzi, c’era più di quello: era pregno di un profondo disgusto. Harry, Harry, Harry. – sussurrò, con una voce lontana e ultraterrena, Mi hai molto delusa. Ho cercato di crescerti bene, ma sei stato sempre troppo da sopportare. Un piromane. Un ladro. Un deviato. E ora un omosessuale. la donna si avvicinava a piedi nudi a me, con estrema lentezza, mentre mantenevo gli occhi sbarrati, luccicanti, contro la sua figura. Io e tuo padre non vogliamo che torni mai più a casa. Mai più, è chiaro? Non sei più mio figlio. Non sei più mio figlio. Lo zimbello di tutti. Non più mio figlio… d’un tratto, la donna parve colta da un profondo dolore al petto, che la costrinse ad accasciarsi al suolo. – Mamma! MAMMA!!!! – corsi e mi chinai contro la sua figura, prendendole una mano, o almeno tentando di farlo, perché la ritirò prontamente impedendomelo, Mi hai dato un profondo dolore… troppi dolori… troppo dolori… gli occhi mi si annebbiarono di lacrime che, risalendo in corsa, bagnarono il corpo del molliccio: avrei dovuto saperlo, che non fosse lei, ma in quel momento riuscivo solamente a pensare che mia madre stesse morendo, l’unica persona di cui davvero mi importava, e lo stava facendo odiandomi…
    Nulla, in quel momento, avrebbe potuto farmi prendere in mano la situazione: sarei rimasto lì, con lei, mi sarei disteso al suo fianco quando l’anima avesse lasciato il suo corpo, senza la minima intenzione di andarmene…

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    Buio. Alberi. Rumori. Paura. Un inseguimento. Ma chi correva da chi? Noi sicuramente da qualcuno. O da qualcosa.
    Risate. Luci. In lontananza. Si avvicinavano.

    Ansimai per la corsa, tentando di tirare Skylee e Kaeris - le più vicine a me - dietro un albero, senza fidarmi minimamente della situazione. Senza fidarmi più di nulla, a quel punto. – Nascondetevi tutte! Veloci! – tentai di avvertirle, ma le altre due rimasero allo scoperto, scoprendo l’identità che si celava dietro a quelle lanterne fluttuanti che, per un momento, mi avevano ricordato molto il fuoco fatuo che al momento pareva essere disperso: non si trattava però, chiaramente, di quello che era un semplice fuoco, ma di una vera e propria forma fumogena dall’aria gnomesca, fastidiosamente ridacchiante; ma non era una, diciamo più che ce n’erano quattro, o forse cinque? Si muovevano intorno a noi così rapidamente, come dei bambini giocosi, da non permettermi una conta corretta. – ATTENZIONE! – esclamai generalmente, tirando una delle ragazze di lato, quando da una delle lanterne si sprigionò una palla di fuoco che iniziò a nutrirsi del tronco alle mie spalle, illuminandolo tanto da renderci chiara tutta la scena; la Shiny si rese forse conto prima di tutti che si trattassero di quelli comunemente conosciuti come “Marciotti”, illuminandone prontamente uno, in modo da rendere la sua figura tangibile. – EVERTE STATIM!!! – scagliai sul Marciotto più vicino, scaraventandolo lontano e portandolo a disperdersi; dopodiché avverrai la Métis per un braccio e presi a correre per dritto, intenzionato a lasciarmi indietro quelle creature fastidiose; qualcun altro, forse, si sarebbe occupato dell’albero in fiamme: a me, in tutta verità, non poteva fregarmene meno di un accidente.

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    La luce esterna parve apparire dal folto degli innumerevoli alberi all’improvviso: corsi contro la luce, e continuai a correre ancora per un po’, senza riuscire a fermarmi subito; rallentai nel tentativo di guardarmi intorno, sbattere gli occhi contro quella luce alla quale non ero stato più abituato probabilmente per quelle che erano state un paio di ore buone, e mi sentii stranamente sollevato alla vista di un tempio… no, non del tempio: del fuoco fatuo che ci aspettava lì, all’entrata di un grosso cancello naturale, fatto principalmente di rocce e rampicanti. – Forse è finito questo strazio! – i palmi poggiati sulle ginocchia, ripresi fiato per un momento, prima di addentrarmi nel tempio, che parve apparentemente disabitato. – Sentite, io mi siedo qui un attimo: sto crepando dalla fame. E che cazzo. – poggiai con tutta la calma di questo momento il culo su una grossa roccia ed estrassi dallo zaino il mio tramezzino, chiudendo gli occhi nell’assaporarlo come il più buono dei pasti e il più meritato dei premi, sospirando soddisfatto. Lo poggiai un attimo di lato per svuotare la bottiglietta fino all’ultima goccia, solo per riportare gli occhi su un fazzoletto vuoto. – Hey! Chi cazzo è stato?! – domandai alle ragazze presenti, prima di venire assalito da una scimmietta che mi salì in testa.
    La colluttazione con la scimmia durò un po': pareva intenzionata a voler darmi botte in testa a tutti costi e mostrarmi da vicino il suo deretano ma, prima che le sue amichette riuscissero a raggiungermi anch'esse, riuscii a scaraventarla di lato e mi apprestai, con una corsetta, a seguire la Shiny e la Wheeler, già dentro il tempio.
    Oh, perfetto. Direi che siamo ufficialmente giunti al termine di quest’avventura del cazzo. Merlino il bucchin sia sempre lodato. Quanto vorrei un whiskey incendiario, porco cazzo. Chi la tocca? – domandai al gruppo, senza vedere l’ora di tornare al castello e farmi un bel bagno rigenerante. Quella Vane, era una pazza. – A proposito, Shiny, se vuoi raggiungermi in camera, stasera... – un ghignetto compiaciuto terminava quella frase da sé, lasciando bene intendere le mie intenzioni; avevo notato come la Shiny mi guardasse, mi cercasse; l'avrei esaudita senza problemi.

    Harry Barnes, V anno, Serpeverde.
    Nel primo spezzone riprendo la situazione del giro seguente fino alla caduta dal tranello del diavolo, interagendo un po' con tutte generalmente;
    Nel secondo, invece, prima di tutto Harry allunga una mano per aiutare le due povere sfigate che sono cadute, dopodiché tratto la fase molto drammatica del molliccio, interagendo/reagendo a quelli di Rey e Halley, e incentrandomi poi su quello di Harry, che vede la madre rivolgersi a lui con rabbia e repulsione, assicurandogli di non volerlo mai più riaccogliere a casa, fino a quando quella si accascia al suolo in preda a un attacco di cuore; qui Harry è colto da profonda apprensione e tristezza, piegandosi sul corpo della madre e arrivando addirittura a lacrimare, senza riuscire a prendere il controllo della situazione da solo, poiché sembra tutto così reale;
    Nel terzo parlo della fuga e dei Marciotti, trascinando prima Sky e Kaeris dietro a un albero e citando chiaramente un albero che, al momento è rimasto a bruciare (pensateci voi restanti donzelle a spegnerlo, perché lui mica lo ha fatto);
    Nell'ultimo pezzo, arrivano al tempio, ritrovando il fuoco fatuo all'entrata in pietra, ma lui si ferma su un enorme masso a magnare e a bere (anche se una scimmietta gli ruba il tramezzino e gli balla sulla testa), prima di entrare anche lui nel tempio, vedere la carta e fare un invito finale alla Shiny... a buon intenditor.
    Le ho citate / ho interagito un po' a caso ovunque.


  8. .

    Harry Barnes

    casa
    18 anni - V anno
    *possibile violenza, linguaggio volgare o offensivo

    Totalmente inaspettato. Fottutamente inaspettato. Non vedevo quel tipo da una delle mie serate peggiori in assoluto, quella dell’anti-san valentino… Merlino se avrei voluto scordarmi tutto! E invece? Quella storia di merda continuava a saltare fuori ogni tanto, questa volta proprio nella forma dell’uomo che mi aveva fatto letteralmente cagare in mano dopo che, avendomi ritrovato ricoperto di sangue con le prove evidenti di percosse ai danni di quel corvonero frocio - che peraltro non avevo più visto, chissà che cazzo di fine aveva fatto - che evidentemente usava i muscoli solo per guadagnarsi la scopata del giorno, tanto che quasi avevo finito per ucciderlo… o così mi parve; i ricordi sono ancora confusi, non ne ho più saputo niente, e neppure me ne frega, se me lo chiedete. Ma il punto è che ero già stato ripreso da degli auror per ragioni similari, fatti scomodi prontamente coperti da quel fottuto bastardo mio padre, ma che ero certo non fossero stati ripuliti del tutto; scampare alla legge per merito della sua grande influenza non cancellava i fatti stessi, sulla carta, ed ero certo che, se solo quel vecchio capellone lo avesse voluto, ci avrebbe messo giusto mezzo secondo a scoprire tutti gli altarini ai quali potesse avere facilmente eccesso. E non erano poi così pochi. Per fare solo qualche esempio, sono piombato in sella alla mia firebolt ultimo modello contro la vetrina di una famosa gioielleria del centro magico - una di quelle che era sotto gli occhi dei babbani ma che allo stesso tempo non erano in grado di vedere, quei senza-poteri di merda - dopo aver preso a volare per tutta Londra in preda al troppo alcool in corpo e causando, oltre che danni al negozio e alla scopa, un gran caos di obliviatori che, insieme ai loro colleghi del ministero, avevano dovuto cancellare la memoria di mezza città, eliminare tracce video, giornalistiche ecc. In realtà, quella non sarebbe stata né la prima né l’ultima volta a costringerli a farlo; specialmente negli anni nei quali sono stato costretto a studiare da casa, ero solito passare il tempo a creare i più svariati danni per la città, divertendomi particolarmente a prendere di mira i babbani ignari con l’uso della magia, o prendendoli direttamente a botte per i più stupidi motivi. Ci fu un’estate, in particolare - quella dopo la mia espulsione - nella quale mi sfogai praticamente col mondo, senza il minimo senso, se non il mio bisogno di farlo. Mi faceva sentire vivo, e mi è sempre piaciuto sentirmi in grado di poterlo semplicemente fare: sapevo che sarei stato coperto, per l’appunto. Ma c’è un limite a quante volte puoi venire coperto, anche con tutta l’influenza del mondo e, se ci mettiamo anche le sevizie nei vicoli e il sesso in pubblico, diciamo che non potevo davvero sperare di non finire mai col culo schiaffato in una sedia del Wizengamot, con mio padre che fu costretto a presenziare dopo avermi slogato una mandibola, e mia madre con un velo davanti, senza avere nemmeno il coraggio di farsi vedere in volto. Sono un figlio di merda, sì, lo sappiamo tutti. O forse dovremmo dire che lo ero: tecnicamente, al momento, ero un senza-famiglia… ma per questo non avrei avuto nessuno da deludere, no? Non tutti i mali vengono per nuocere.
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    Ebbi questi infiniti flash di cattive azioni passate a sfrecciarmi davanti agli occhi come vagoni di un treno in corsa, nell’istante stesso che il vecchio mi fu davanti. Quanti anni poteva avere? Quaranta o sessanta? Impossibile dire se si portasse gli anni troppo bene o troppo male. Fu con questo dubbio esistenziale che non dovetti elaborare più volte ciò che mi stava dicendo. – È un side-job? Vi pagano così male? Accidenti – bravo Harry, certo, prenditi gioco di un soldato della legge nel primo minuto e mezzo in cui te lo trovi davanti. Un genio. Ma la lingua biforcuta era dura da nascondere. Prendeva sempre il sopravvento, la stronzetta. – È venuto a chiedermi di sturare un cesso? – era ironia nervosa, la mia, doveva intravedersi dalle pupille non proprio fermissime. Ma che cazzo significava? Non quello che credo. Fa che non sia ciò che credo.
    Alle spalle del tipo vidi due figuri che non avevo mai visto, ma che già mi stavano profondamente sul cazzo: ”Che cazzo avete da ridere?” fu la mia chiara espressione. Se fossi stato italiano, probabilmente in allegato ci sarebbe stato una bella mano a coppetta.
    – Hey, ma che cazzo fai…!!? – mi uscì del tutto spontaneo, mentre il sacchetto tintinnante abbandonava la mia tasca per arrivare a toccare inesorabilmente, il suo palmo; provai ovviamente a riacciuffarlo in volo, ma fu tutto inutile. Lo sarebbe stato in ogni caso. «Perché la terapia si paga.» “figlio di puttana”, pensai d’istinto, però c’era da dirlo: se non fossi stato io la sua vittima, avrei ritenuto senza dubbio interessante il suo approccio. Ammirevole, addirittura. – Non dovrebbe restituirli? – azzardai, incrociando le braccia, un sopracciglio alzato, cercando di studiarlo. Che uomo strambo.
    «Fai un po' meno casino la prossima volta. Sei un mago no? Usa gli incantesimi.» aspetta, no, cosa? Che cazzo. Mi aveva visto. E ora? – Quella donna… cioè… era così grata che ha deciso di ripagarmi… – con tutti quei galeoni, che cazzo di altruista. E che culo. Gli occhi dell’uomo, però, erano più duri, consapevoli e decisamente furbi; chiaramente, sapeva tutto e non mi avrebbe mai creduto. La sua presenza era così forte - imponente, quasi - che mi fu subito chiaro che non fosse uno con cui si potesse scherzare; non se volevi prenderti gioco di lui, almeno. – Non mi mandi in cella per la notte... – e non indaghi su di me, per Merlino. Pregai non lo avesse già fatto.
    Una cosa, in quella situazione come in tutta la mia vita, non mi sarei mai aspettato di subire: di venire trattato, in maniera terribilmente letterale, da cane; il sarcasmo che sgorgava dalle parole dell’uomo andava solo ad accentuarlo. Gemetti più volte per lo sforzo nel provare a togliermelo di dosso, ottenendo solo di fami un male cane - che gioco di parole - alla nuca. – Tutta questa è follia. – dissi con una nota di disperazione crescente nella voce. Ormai mi aveva in pugno. Fanculo ai soldi e a tutti i bei piani per spenderli in giornata. Magari in fiumi di alcool.
    «Non fuggirai da uno scontro come una femminuccia, vero? Sei un vero uomo, mi auguro.» lo fisso accigliato, giudicante ma sommesso per forza di cose, consapevole che quei giochetti mentali fossero totalmente inutili, perché tanto… avevo qualche altra cazzo di scelta? Io non credo.
    – Gente ossessionata che porta avanti dogmi stupidi o addirittura folli. Credo che i culti possibili siano pressoché infiniti. C’entra col “grandissimo stronzo figlio di puttana”? – domandai ironico, prevedendo già quella che sarebbe stata una grandissima giornata del cazzo.


  9. .

    Harry Barnes

    casa
    18 anni - V anno
    *possibile violenza, linguaggio volgare o offensivo

    – Ti ho detto di lasciarmi fare… – le intimai con voce secca e decisa, mentre cercavo di concentrarmi su un gesto la quale motivazione sarebbe dovuta essere incentrata su un semplice contatto casto… o almeno credevo. Non avevo veramente una dannata idea di come funzionasse, per Merlino! Quando c’eravamo frequentati, anni prima… non avevo conosciuto nulla del genere. Era una parte di lei completamente inedita quanto completamente folle, e dall’insicurezza con la quale si esprimeva mi dava modo di pensare che neanche lei ne fosse certa, insomma… quelle cose non venivano con un libretto di istruzioni. Ero certo, tuttavia, che dei libri ne parlassero: da quanto tempo andava avanti quella storia? Da quanto lo sapeva? Avrei voluto chiederglielo per pura curiosità, visto che il suo essere una secchia micidiale avrebbe dovuto tornare d’aiuto… ma non era il momento adatto, per nulla: i nostri corpi si avvicinavano sempre di più, e fui certo solo di una cosa: quando una cosa va fatta, va fatta, strappata via come un cerotto. Con la differenza che non faceva per un cazzo male, anzi…
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    – Ho detto che devi stare… zitta… – ansimai dopo solo pochi secondi di contatto con le sue labbra, poggiando un indice contro di loro e facendolo scivolare verso il basso, scoprendone l’interno per poi impossessarmene succhiandolo avidamente, mentre con una mano tenevo la sua nuca sia per far sì che non la sbattesse per la foga contro il bordo della vasca, sia, soprattutto, per non farla sfuggire a quel contatto di cui tanto necessitava per non far sì che, che ne so, morisse stramazzata dentro quella vasca e io ne uscissi come l’unico papabile colpevole di tale delitto. La purezza di quello stesso proposito, però, finì per cadere inesorabilmente nel momento in cui mi staccai da lei solo per sferrarle quello che pareva un attacco in piena regola, un attacco famelico spinto da un desiderio durato mesi senza mai riuscire a raggiungere quella lingua che ora danzava con la mia come una coppia di amanti che non si rivedeva da tempo, troppo tempo, e sapeva di un qualcosa che non saprei definire meglio che con: vittoria.
    In una posizione di totale controllo, feci per distendermi contro il suo corpo morbido, l’increspatura dell’acqua che accompagnava e avvolgeva ogni movimento, mentre le mia labbra carnose si spostavano a ridiscendere a piccoli rapidi assaggi il mento e la mascella, per poi sostare con più insistenza in vari punti del collo, graffiandone la pelle con le arcate e poi prendendomi la libertà di succhiarla, andando a creare qualcosa che avrebbe dovuto coprire a dovere, nei giorni seguenti, per far sì che passasse inosservata; contemporaneamente, feci scivolare una mano sulla sua coscia e andai, con fare impaziente, alla ricerca dell’elastico laterale delle sue mutandine; una volta arpionato, feci in modo di farle scivolare verso il basso, desideroso di percepire sotto i polpastrelli nudità del suo corpo che non avevo mai raggiunto, ma ben curioso di scoprirle. – Zitta… zitta… – ringhiai contro il suo collo, per poi riprendere possesso delle sue lebbra ora non più pallide come quelle di un cadavere ma rosee come petali in primavera; se mi avesse lasciato fare, sarebbe stato contro la delicatezza del suo frutto che il mio bacino si sarebbe mosso, spinto proprio dalla forza motrice delle sue gambe che, con mia grande sorpresa, andarono ad intrecciarsi dietro la mia schiena prima ancora che arrivassi io a prendere tale iniziativa, costringendomi lei stessa a quel contatto intimo come mai ne avevamo avuti... e come dirle di no? Andai a strusciarmi ripetutamente contro il suo corpo al quale mai mi era stato dato così tanto accesso, ma che per questo volevo gustarmi lentamente, istante per istante, decidendo di stuzzicare il suo frutto con la mia mascolinità prima ancora di denudarmi. – Cosa non dovrebbe ricapitare? Questo? spinsi con più intensità il mio bacino contro il suo, facendole percepire qualcosa che al tempo, in Africa, era stata soltanto un’anteprima; volevo che mi desiderasse, con tutta sé stessa, che mi implorasse per averlo, facendole pagare tutta l'attesa che io avevo dovuto subire. – O questo? in un gesto secco feci probabilmente saltar uno dei pochi bottoni rimanenti a tenere unite le due parti frontali della camicetta, che andò ora a spalancarsi come un balconcino su vista, una vista collinare molto morbida e bagnata; avidamente, presi a risucchiare la pelle del seno non ancora completamente nudo; e lo sarebbe stato presto, visto che con i denti feci per abbassarle una coppa, mentre entrambe le mani erano troppo impegnate a far altro; una ora era in mezzo alle sue gambe, pronta a stuzzicarla, se solo…
    Bussate. Prima timide, poi ripetute. Merda. – imprecai.




    Con la gentile partecipazione di Daphne.


    Edited by Barnes is our king. - 3/6/2023, 02:25
  10. .

    Harry Barnes

    casa
    18 anni - V anno
    *possibile violenza, linguaggio volgare o offensivo

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    Nessun incantesimo mi era riuscito particolarmente alla grande, purtroppo; al meglio avevo mandato una coppia di pesci non perfetti e per nulla feroci contro la Anderson che, tuttavia, venne un po’ mordicchiata anche lei, e quello mi bastò. Il risultato della fenice, invece, vista la mia particolare vicinanza col fuoco, era quello che mi aveva deluso di più: era uscita una sorta di fenice, sì, ma per nulla grande e maestosa come me l’ero immaginata… come quella della grifondoro che neppure faceva parte della nostra classe, insomma. La Lloyd che, al contrario mio, non doveva essersi impegnata granché per l’opportunità di recupero in inverno, ed era rimasta così agli anni inferiori… sbeffeggiandoci palesemente, facendoci passare come idioti, perché nonostante ciò aveva fatto meglio di ognuno di noi. Era bona, eh, ma in quel momento mi stava decisamente sul culo.
    “E tu come mai scendi nei bassi fondi?” ghignai divertito, increspando una guancia e mostrando una simpatica fossetta. – Studi antropologici – ironizzai a mia volta, non certo comunque di quale sarebbe dovuta essere la mia reale risposta. – Sì… lo dicono tutti. Ma il cappello non sbaglia mai. – la osservai con fare curioso: quella ragazza sembrava un mistero.
    Quando la professoressa ci richiamò, mi alzai dai piedi dell’albero, ritrovandomi decisamente troppe formiche addosso, che provai a scacciare in mano modo dai pantaloni e dai polpacci a colpi di pesanti sberle, prima di prestare una mano in aiuto della tassorosso per alzarsi; dopotutto ero un signore, no? Beh, a volte. Diciamo che ero stato educato così, ma non sempre mi andava di avvalermi di quel lato di me, che avrebbe dovuto farmi apparire come vagamente aristocratico. Nelle situazioni formali, certo, non potevo che fare altrimenti, ma per quanto riguardava il resto del tempo… non era forse troppo noioso? E soprattutto immeritato, dall’altra parte. Non era mica un diritto della gente essere trattata da me in modo signorile, no? Dovevi quantomeno ispirarmi tale istinto. La Turner, beh, non mi ispirava certo nulla di fine… anzi; non doveva far parte di un ceto molto alto, o comunque era ben lontana dal sembrarlo. Ma infondo… quelle povere tassine non andavano protette dal mondo, troppo cattivo per loro, sempre e comunque? Mi facevano tenerezza. Circa. Le ragazze. I ragazzi solo pena. Comunque sia, non accettò la mia mano, che ritirai lentamente per infilarmela in tasca con fare scocciato, prendendo a raggiungere gli altri.
    Una prova, eh? E che cazzo! Quel bel culo avrebbe dovuto dircelo. Maledetta. Ci aveva colti tutti nel sacco: non avremmo avuto affatto modo di ritrarci a tale evento. Non restava che farsene una ragione, e limitarsi a sbuffare mentre mi posizionavo quel dannato zainetto in spalla. Sollevai un sopracciglio decisamente poco convinto quando la Vane che informò del fatto che fosse stata proprio la Lloyd a preparare le suddette pozioni: avrebbero funzionato? O ci avrebbero come minimo fatto spuntare otto braccia e un pene al posto del naso? Dentro di me, mi dissi che avrei fatto di tutto per cercare di non ingerirne neppure una: gli altri membri della mia squadra potevano fare un po’ quel che volevano…
    Una mano strinse la mia: abbassai lo sguardo solo per un istante, sul palmo pallido che si unì al mio, per farlo risalire sulla proprietaria: la Métis. Merlino, ma che avevo fatto di male? – Non ti faccio un bel cazzo, Métis. – sibilai sprezzante; ma che cosa voleva da me? Problemi suoi! Quella donna doveva spararsi delle siringhe di camomilla in vena, altroché incantesimi… e poi quella tipologia non faceva proprio per me; non che l’avrei comunque aiutata, intendiamoci. Doveva darsi una svegliata a smettere di crogiolarsi su strane pozioni e incantesimi per inseguire una pace che comunque io trovavo inesistente. Chi mai era in pace? Il pappone delle puttane che giravano al Wonderland, forse…
    Tirai via la mia mano dalla sua in maniera netta e brusca, per poi stringerle forte il polso, premendo i larghi polpastrelli contro la sua carne e lasciandovi, probabilmente, dei segni basati sulla mancata circolazione che avrebbe visto di lì a un po’; serviva pur sempre un qualche contatto. Allo stesso modo, strizzai la mano sinistra contro la carne del fianco opposto della Wheeler, avvolgendole un braccio attorno, in attesa che ognuna afferrasse le altre e la professoressa ci desse il via per…sì: far ballare nuovamente un po’ le nostre budella, perché evidentemente per lei non era mai abbastanza.

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    «Per favore» la ignorai totalmente invece, quella volta, proprio nell’istante nel quale venimmo tutti risucchiati per sparire da quella sorta di piccola spiaggia per ritrovarci in… – Una… casa di legno? – sollevai un sopracciglio sorpreso, guardandomi attorno incerto e spaesato, interessato soprattutto a sporgermi dalla larga finestra dissestata, senza vetri né tende di alcun tipo, solo per notare che… – Siamo… decisamente in alto. Complimenti per l’arredatore, davvero. Sarà forse opera di “Jimmy Muffetta”, rinomato interior designer dei troll… – dissi notando della strana muffa che pareva risalire a sprazzi le pareti. Ma forse… no, non era propriamente muffa… – Hey, io ho le suole… calde. Che cazzo è questa roba? – alzai uno anfibio nel tentativo di allungarne un occhio al di sotto per constatarne lo stato, – Merlino schifoso… me le sta mangiucchiando! imprecai a catena contro probabilmente ogni mago noto presenza sul libro di Storia della Magia del nostro anno, prima che degli strani versetti acuti arrivassero alle mie orecchie. – Ma che… diavolo sono? – mi avvicinai verso una sorta di nido di fortuna fatto principalmente di rametti secchi intrecciati con…merda? Fango? Impossibile dirlo. – “Bellissimi”? Insomma… – mi chinai sui talloni, gli avambracci posizionati sulle cosce, mentre piegavo leggermente la testa di lato, le braccia corrucciata nel rimirare quelle strane creaturine, – … non è proprio la parola che userei. Sono piuttosto rinsecchiti e… pelati e… cazzo sono proprio orribili… AHIO! ritirai un dito di scatto dopo che, nel tentativo di farlo svolazzare fastidiosamente sopra la testa di uno di loro, quello decise di morderlo con forza decisamente inaspettata. Agitai la mano dolorante e poi mi ficcai il dito in bocca per succhiare il sangue che stava ora gocciolando dal polpastrello. – Bestie di mer… DAAAH! – spalancai gli occhi quando una versione decisamente extra large di quei mostriciattoli - più colorata, in salute e abbastanza temibile - faceva la sua apparizione facendoci diventare praticamente tutti biondi quanto la Métis a causa del suo urlo isterico. – Che cazzo di problemi hanno le femmine di ogni fottutissima razza?!! INCARCERAMUS! INCARCERAMUS! puntai la bacchetta contro la l’enorme bestia nel tentativo di farla bloccare sul posto da una serie di giri di corda invisibili che, almeno per un po’, l’avrebbero bloccata. Forse. Andiamo, andiamo, ANDIAMO! spinsi fuori la Duval e la Shiny con i palmi puntati sulla loro schiena, con tanta forza e rapidità da rischiare di farle inciampare entrambe sui loro stessi piedi. A giudicare dal taglio sul dito, un morso della madre non era nulla che avrei mai ambito a provare.

    – Questo fuoco ci sta pigliando per il culo. – digrignai i denti sbuffando, nel vedere lo spazio vuoto davanti a noi. – E STAI ZITTA, MERLIN BUCCHIN! – presi un anfibio e lo lanciai contro la creatura, seguito anche dal secondo, colpendola prima sul muso e poi in testa; tanto quella roba verdastra stava per bucarmi anche la pianta del piede. Costavano decisamente troppe, quelle scarpe. E ora non mi sarei potuto permettere di ricomprarle. Impossibile contare il numero di impropri dedicati alla professoressa di Incantesimi anche solo in quel primo quarto d’ora. «Se non ve la sentite di fare questo salto nel vuoto chi passa dall'altra parte puo far fluttuare a mezzaria chi non ci riesce per superare il burrone, però non so quanto possa essere sicuro» ma quanto blaterava la Métis? La mia semplice risposta fu onesta e silenziosa: la spinsi, facendo in modo che si aggrappasse per puro spirito di sopravvivenza alla liana, – Datti una mossa, bionda, o ti faccio cadere di sotto – incrociai le braccia in attesa che facesse i suoi fottuti comodi nel recarsi dalla parte opposta in tutta tranquillità, prima di attirare nuovamente a me la corda e prendere di peso la Wheeler - praticamente dal culo - per farla attaccare anch’essa alla liana a mo di scimmia: – Falla una dieta, ogni tanto – proposi con fare serio per il solo gusto di infastidirla. – Ora tocca a te? – sollevai un sopracciglio facendo passare come uno scanner lo sguardo sull’unica mia concasata presente, la Shiny, nel constatare che, purtroppo, la gonna le si fosse già bella che asciugata. Solo quando rimasi l’ultimo, comunque, ci riflettei. – Repsi Genitum…Repsi Genitum…Repsi Genitum… – ripetei varie volte, la bacchetta puntata da principio sul bordo di terra che dava sul vuoto di fronte ai miei piedi, nel tentativo di andare a ricreare una sorta di piccolo ponte formato da piante rampicanti da lì all’inizio del ponte. Non ci riuscii perfettamente, ma utilizzai la liana per tenermi semplicemente in equilibrio mentre comunque prendevo a camminare abbastanza tranquillamente da una parte ad un’altra.

    – Che pippe – pronunciai denigratorio, ma con il giusto tocco di ironia compiaciuta, mentre iniziavamo a percorrere un ponte sospeso dopo l’altro, del tutto ignaro di dove ci stessimo dirigendo. Il tutto andò comunque avanti per un po’ di tempo; a un certo punto mi trovai ad affiancare Kaeris, alla quale feci rendere conto della mia presenza imminente alle sue spalle con un sonoro schiaffo sulla chiappa più prossima. Ops, scusami, è diventato un vizio. pronunciai con aria molto falsamente dispiaciuta, – Com’è che ci troviamo sempre in squadra insieme, noi, eh? Dillo che lo hai chiesto esplicitamente alla Vane perché ormai siamo “collaudati” e infondo non puoi fare a meno di me – le lanciai un’occhiata di maliziosa intesa. – Wheeler, per caso ci vivono i tuoi parenti qui? – alzai lo sguardo nel notare per la prima volta una serie di minuscole e pittoresche casupole poco più in alto di noi, sparse un po’ ovunque. – Potevi avvertirmi che abitassero qui. Ora mi toccherà conoscerli. Di già. Che ansia… potevamo aspettare almeno il secondo bacio. – lanciai un’occhiata in tralice verso Skylee, che comunque feci per ignorare per tutto il tempo. Speravo che quell’ultimo commento la infastidisse in maniera particolare. – Dici che dovrei fargli una bella piantina carnivora da portargli? Un bel gesto… sarà utile sicuramente per gli insetti… – finii appena di dire, che mi sentii colpire il retro del collo da qualcosa di pesante e ruvido, e mi graffiò.
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    – Ma che cazzo… ?! – Mi portai giusto una mano sul punto dolente, prima che la mia nuca venisse colpita nuovamente, e nel voltarmi quasi l’occhio, nel rendermi appena conto dell’inizio di una scarica feroce di legnetti, ramoscelli, pietre, piccoli frutti e cose non meglio identificabili che sembrarono piombarci addosso da tutte le direzioni. Strinsi gli occhi per adocchiare in lontananza quelli che sembrarono un branco di piccoli uomini in miniatura. – Leprecauni? – constatai fra me e me, trovandolo inaspettato. In effetti quello era un habitat coerente. – Protego! – mentre la Métis si scagliava contro quelle creature, la mia premura maggiore era quella di evitare di essere colpito al volto; il mio fisico era già stato abbastanza martoriato durante quell’anno - che sembrava iniziato da ormai almeno il doppio del tempo - ma il mio viso, almeno quello, volevo che rimanesse il più possibile invariato per molto, molto tempo ancora. Avrei lasciato che fossero le donzelle a fare il lavoro sporco. Perché no? Il mio comodissimo piano andò a farsi benedire, però, quando qualcosa andò a tirarmi i capelli, e mi trovai ad afferrare nientemeno che un Doxy che strinsi nel pugno, osservandolo da vicino. Quello mi fece una pernacchia, prima di provare a mordermi, ma in risposta a quell’ultimo strinsi il suo piccolo e gracile corpo talmente forte da spezzargli le alucce e stritolarlo fino alla morte o… un semplice svenimento? Boh, in ogni caso, non credevo che lasciarlo cadere da chissà quanti metri di altezza gli avrebbe fatto bene. Ops. Quelli, però, erano arrivati come uno sciame fastidiosissimo, e – Pressure! – fu solo uno degli incantesimi che decisi, di totale impulso, di scagliare contro di loro, spingendoli a fare meno faticosamente la fine del primo; tuttavia, mi ero già rotto abbondantemente le scatole quando iniziai a usare un Recido contro gli ultimi arrivati, privandoli di arti casuali in maniera molto poco diplomatica. – Aspettate… che cazzo è quel coso, adesso?indicai qualcosa che stava sorvolando le nostre teste, e solo dopo qualche istante lo riconobbi: era un Tuono Alato. Quella vista maestosa, però, durò poco, perché tutto attorno a noi prese a sbatacchiare in preda a un vento di bufera e una pioggia impietosa, data da un temporale improvviso e decisamente fuori luogo. Tutto ciò che potei fare, in quei lunghissimi momenti di confusione, fu aggrapparmi saldamente alle corde di quel ponte che, comunque, aveva preso ad ondeggiare violentemente a destra e a sinistra senza sosta.
    Proprio quando desiderai fortemente che si fermasse, quello parve farlo, e tutto tornò lentamente come prima: niente più vento, pioggia e lampi, ma un fastidioso sciame di esseri minuscoli, che cercai di scacciare con una mano come meglio potei, ci venne addosso, e subito dopo la Métis parve imitarli, perché mi diede una culata talmente potente da farmi scivolare all’indietro e farmi rompere un’asse… dentro la quale caddi prima con un piede, e poi con l’altro. Guardai cadere l’asse sotto di me, talmente in basso da non sentire alcun tonfo. Sarebbe stata quella la mia fine?
    In alto, lo sguardo bicolore di Skylee mi assicurava che per nulla al mondo avrebbe lasciato le mie braccia, nelle quali conficcò brutalmente le sue unghia. «Non. Azzardarti. A. Mollarmi. Capito?» distolsi lo sguardo: essere aiutato proprio da lei? Mi dava al cazzo. E poi che figura ci stavo facendo? Del rammollito. Intanto, però, la bacchetta mi era caduta di sotto, e avevo ben poco da fare. – Se ti tiro a mia volta ti porto giù con me, piccola deficiente! – le feci notare non tanto per salvaguardarla quanto per l’ovvietà del fatto che non avrebbe portato davvero a nulla. La pozione sarebbe effettivamente potuta essere una buona opzione, ma non ebbi neanche modo di rendermi conto se qualcuno avesse fatto in tempo a berla o meno; probabilmente no, perché d’un tratto mi sentii precipitare… e la Métis appresso a me.

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    Un verso di dolore mi fuoriuscii dalla bocca non appena la bionda mi cadde giusto addosso ai “gioielli di famiglia”. – Merlin bucchin…!!!!… – mi piegai di lato portandomi entrambe le mani sulle parti basse; con un volo del genere, la botta era stata davvero potente. – Si può sapere perché cazzo…?!!… – mi voltai verso la corvonero, senza più riconoscerla. – Che… che stavo dicendo…?? – corrugai la fronte e buttai la testa all’indietro osservando il cielo e poi tutto attorno a me, fino a fare cadere l’occhio su degli strani rampicanti che, nel semi buio, abbracciavano le mie gambe. – Qualcuno sa che cosa diavolo è questa cosa schifosa che si muove sotto di noi…?! E magari cosa ci facciamo qui… ah, c'e la mia ragazza – rivolsi uno sguardo nuovo alla Wheeler, uno che certamente non le avevo mai lanciato, mosso da una consapevolezza del tutto irreale, ricordando solamente un nostro bacio e, da quello, deducendo fosse la mia amante. Cercai di allungare una mano verso di lei ma, nel muovere le gambe, quelle vennero strette ulteriormente da quella specie di pianta che finì per affossarle talmente tanto da non poterle più muovere. – Oh no… oh no… moriremo. Moriremo tutti. – allungai una mano sul seno della grifondoro, alla mia destra, stringendole il sinistro nel palmo. – Almeno morirò toccando delle belle tette. Mi hai almeno amato, Wheeler, o ti interessavano solo il cazzo e i soldi? – le rivolsi un’occhiata profondamente drammatica, sicuro di essere giunto al capolinea, mentre il mio corpo veniva trascinato sempre più in basso.

    Harry Barnes, V anno, Serpeverde.
    Citati all'inizio Hestia e Kynthia.
    Interagito con Ollie all’inizio del post, e successivamente col resto della squadra, un po’ alla volta. Non acconsente nel fare l’incantesimo richiesto a Sky. Un piccolo Occamy lo morde, facendogli uscire sangue dal dito; successivamente lancia un paio d’incarceratum sulla mamma Occamy e spinge violentemente Kaeris e Rey verso l’uscita. Prima di seguire il fuoco fatuo, zittisce la bestia lanciandogli entrambi gli anfibi - ormai in condizioni pessime - contro, e rimanendo dunque con le calze nere. Spinse Sky contro la liana e poi si offre di farlo anche con Rey; in ogni caso, aspetterà che siano tutte passate dall’altra parte - in un modo o nell’altro che narrerete voi - prima di creare una specie di ponte di piante rampicanti per spostarsi più agilmente. Non poteva farlo prima? Assolutamente no.
    Continua a interagire e poi reagisce a Leprecauni e Doxy, ai quali fa fare davvero una brutta fine (scusate animalisti per questo post ignobile). Dopo il tuono alato perde la bacchetta, lui cade e appresso a lui Skylee che gli cade molto dolorosamente sui gioiellini. Contemporaneamente i Velenotteri hanno fatto il loro dovere e lui non si ricorda più una beata… ma crede che Halley sia la sua amante/fidanzata, e adesso fa pure il drammatico convintissimo di morire, con il tranello che lo stritola per risucchiarselo più a fondo.





    Edited by Barnes is our king. - 27/5/2023, 02:05
  11. .
    Ma benvenuta! E grazie a Yuna per averti indicato proprio noi :insane: a volte mi scordo di dirlo ma lol unisciti pure su telegram e fatti conoscere meglio! Farai un adulto o uno studente? :mah:
  12. .

    Harry Barnes

    casa
    18 anni - V anno
    *possibile violenza, linguaggio volgare o offensivo


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    – Mh? – arriccio le labbra, sopracciglia aggrottate, in direzione della Wheeler, prima che si spiegasse meglio e i miei tratti si ammorbidissero, divertiti; annuii ad occhi chiusi, poi scossi la testa: – Come sempre, sei adorabile, Wheeler. Quasi quasi ti darei un altro bacio. – cercai istintivamente mio cugino con lo sguardo, ben consapevole che fosse presente, quel giorno, e infatti lo vidi lanciare occhiate buie nella nostra direzione. – Non gli hai detto niente, giusto? – mi avvicinai alla grifondoro quel tanto che bastava per sussurrarle quelle parole, cercando di nascondere un briciolo di timore; quello dipendeva non tanto dal fatto che avessi paura di mio cugino, anzi, ma dal fatto che, molto semplicemente, non volevo problemi. Non che li stessi più vedendo molto insieme, per la verità… in quel caso tanto meglio. – Non lo avresti mai fatto, grifoncina, hai un cu…ore troppo grande. Comunque farei poco la minacciosa… conto ancora un favore da parte tua, da ritirare… a tempo debito uno sguardo eloquente prima di voltarmi verso la Riis che, rispondendo al mio saluto, la vidi lanciare una chiara occhiata ai miei bicipiti. – Puoi palparmi, se vuoi, Riis. Non fare complimenti. – magari, con quella scusa, a quel punto mi sarei anche preso la libertà di ricambiare… è sempre un dare e un avere, nella vita, giusto? O dare per avere, insomma… siamo sinceri! – Hai ricevuto un trattamento viso-corpo gratuito made in Indocina, Wheeler… smetti di fare la lamentosa. Fai cadere le pa… lle. – mi bloccai quando vidi mio fratello a.k.a la fottuta pecora nera della famiglia avvicinarsi ad Hestia. E cosa pensate che avrei potuto fare?
    Esatto. Mi parai loro davanti, anzi, mi frapposi proprio fra di loro, come a dividerli, impedendo che usufruisse dell’oggettino con il quale la corvonero sembrava farsi benvolere da tutti.Non prenderlo, Roy. È una diavoleria babbana. E poi… – mi voltai ora verso la corva, annusandole il capo dall’alto, – …questa cosa puzza. Stai lontano da mio fratello, Anderson. È il primo avvertimento. – un colpo di sopracciglia, sguardo minaccioso e decisi che per il momento avevo abbastanza fatto il mio dovere da fratello nel pisciare il territorio; gli stavo anche facendo un favore: una volta datole retta, non avrebbe mai smesso di romperti i coglioni. Mai.
    “Grazie, Harry.” mi succhiai l’interno della guancia, dando istantaneamente le spalle alla tassorosso dalla pelle ambrata, le braccia incrociate, nel tentativo di ignorarla com’era giusto che fosse. Le ragioni erano molteplici: per dirne soltanto due, aveva la pelle scura ed era tipo… la persona meno popolare al castello; che passava inosservata, par lo più. Doveva avere un carattere per nulla amabile, forse persino peggio del mio. Forse era proprio questo, però, che la faceva apparire interessante ai miei occhi. Sì, cioè… ho detto interessante? Volevo dire patetica, sì… assolutamente patetica.
    Scossi la testa e mi dedicai alle spiegazioni della professoressa, che rispose alle domande con la solita pazienza, persino quando le toccò riprendere quel corvonero strambo che fino a un momento prima stava facendo la danza dei coleotteri. Che cazzo di strambi, in quella casa, Merlino santo.
    Ogni tanto, dovevo ammettere che lo sguardo cadesse automaticamente su Skylee ma, ogni qual volta me ne accorgevo, mi imponevo di interromperlo bruscamente voltandomi dall’altra parte.
    Elementalismo, eh. Quella parola, ormai, mi faceva venire i brividi. Se mi concentravo, potevo ancora avvertire le vie aeree come fossero piene d’acqua che schizzava fuori senza ritegno: sapevo già che avrei odiato l’incantesimo di quell’elemento, e infatti così fu. – MA CHE CA…??!!! – esclamai cercando di spingere via i pascetti d’acqua, che iniziarono a banchettare a piccoli morsi con il mio abbigliamento; in realtà non erano poi così violenti, ma avvertivo comunque dei fastidiosi pizzicotti alla pelle al di sotto dei vestiti e, questi ultimi, andarono presto a sgualcirsi e qualche buchetto, purtroppo, si creò comunque. Non mi feci domande sul perché di quel gesto: la Vane doveva avermi sicuramente visto spingere nel fango la Wheeler o, comunque, ritenere fossi il più meritevole ad essere il grazioso manichino su cui provare il Piscis Gemini. Cercai di non farmi vedere quando le riservai un’occhiata torva e profondamente seccata, che però si dissolse nel tutto tramutandosi in pura sorpresa, quando la tassorosso di poco prima andò a riparare il tessuto dei miei vestiti con un tocco di bacchetta. La osservai allora pieno di curiosità… senza però conoscere la parola “grazie”, che non pronunciai. Anzi, non dissi proprio niente. Mi dissi che volesse semplicemente ricambiare il mio gesto di strana gentilezza nei suoi confronti che, infondo, avrei dovuto evitare… che dire:? Mi era venuto totalmente istintivo… e il mio istinto era da sempre imprevedibile, perfino per me stesso.
    L’incantesimo d’aria mi parve noioso a primo acchito, ma dovetti ammettere che avrei potuto usarlo in svariate situazioni per il semplice gusto di creare caos attorno a me; riguardo a quello di terra, avrei apprezzato davvero la pianta se avesse staccato arti senza pietà; ma fu quello di fuoco, ovviamente, a colpirmi: osservai ammirato la splendida fenice di fuoco che scaturì dalla bacchetta della professa, mi voltai su me stesso quando parve girare intorno a me e a un altro gruppo di studenti e mantenni gli occhi incollati finché quella non divenne impercettibile nell’andare incontro al sole splendente. Purtroppo, anche in questo caso, non era un incantesimo potenzialmente distruttivo… ma sembrava pur sempre divertente da fare.
    Iniziai proprio con quello, stringendo la bacchetta e chiudendo gli occhi nell’immaginarmi la fenice più grossa, bella e maestosa di tutte, una che avrebbe fatto voltare tutti gli altri colmi d’ammirazione; sin da bambino, adoravo il fuoco: una delle mie prime magie involontarie, riguardava proprio quell’elemento, nel quale vedevo disastro, distruzione e, con un po’ di fortuna, dolore; amavo il modo in cui mangiasse famelico quasi tutto ciò con cui entrasse a contatto, riducendolo in cenere, e a volte neppure quella; avrei dunque adorato essere un elementalista di fuoco ma, per lo stesso motivo, se lo fossi stato, avrei già saputo di esserlo, perché coglievo ogni opportunità per starvi a contatto. Avere l’opportunità di usarlo a una lezione era abbastanza raro, ma sempre un piacere: visualizzai dunque il fuoco dentro di me, che aveva il sapore di tutta la rabbia distruttiva che avevo in corpo, di quei mesi che erano stati i più orrendi di tutta la mia vita e… di Skylee. Fenixendio! Feci un’unica prova con quell’incantesimo, spalancando lo sguardo sull’esito e percependo che, in ogni caso, continuare sarebbe potuto dimostrarsi potenzialmente distruttivo. Ero sospeso anche di aver pensato a lei… ma forse non avrei dovuto esserlo poi molto.
    La terra, beh… anche lei aveva del potenziale: i terremoti erano un esempio. Era inoltre sempre interessante creare qualcosa dal nulla e, anche lì, avevo sicuramente in mente come avrei potuto usare tale incantesimo; tuttavia, cercai di concentrarmi su una versione diversa della pianta, una carnivora sul serio, che sicuramente non avrebbe mai potuto riuscirmi, ma nessuno mi impediva di usare tale desiderio come “spinta creativa”, che speravo avrebbe comunque potuto rendere il mio incantesimo abbastanza potente. Nepentalius! esclamai, facendo eseguire al mio polso il gesto che aveva compiuto la professoressa il più correttamente possibile, piegandomi verso terra e, da lì partendo, andando verso l’alto in un leggero turbinio che sapeva della speranza di veder sbocciare qualcosa di buono.
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    Ero titubante all’idea di tornare in acqua ma, con tutto lo scazzo del mondo, mi costrinsi a farlo: mi sollevai i pantaloni piegandoli fino a metà coscia, cercando di non bagnarli (almeno finché potevo), e mi immersi quanto bastava a mollo. Merlino se ne avevo già abbastanza di quei pesci di merda, ma almeno - pensai - avrei potuto far subire la mia stessa sorte a qualcuno sul quale mi sarebbe particolarmente divertito. Qualcuno come… Hestia: fu su lei che mi concentrai, immaginando una coppia di piranha cicciotti, dai denti particolarmente lunghi e affilati che, possibilmente, anche qui, avrebbero potuto infilarsi nelle sue carni e renderla un adorabile scolapasta dal caschetto biondo: ghignai a quell’immagine soddisfacente, toccai la superficie dell’acqua e pronunciai: Piscis Gemini! il mio piano, però, non era finito qua, e infatti - soltanto un momento dopo - decisi di lanciare l’incantesimo Turbos! proprio a seguito dei pesci che, possibilmente, sarebbero volati in un turbine d’acqua esattamente nella direzione della corvonero. Poco odio, dite? Vi dò ragione.
    Proprio in quel momento vidi uscire l’unica tonta ad aver deciso di recarsi a quella che, come minimo, avrebbe potuto essere una gita con la divisa scolastica, ma… hey, forse non era poi tanto male. – Ancora nel 2023 portate i reggiseni??? – esclamai in direzione della Shiny che, cazzo se era porno, tutt’a un tratto, dopo averle dedicato un sonoro fischio d’assenso con due dita posizionate in bocca. Anche il Dragonov sembrava compiaciuto, e come dargli torto? Per un momento mi scordai ogni dettaglio di vita e, mani sui fianchi e testa piegata, annuimmo insieme compiaciuti davanti a tutto quel ben di dio di culi piegati in acqua. Quando si avvicinò a lui Skylee, però, smisi di ridere. «Dai. Levati dal cazzo.» Strinsi forte un pugno quando quello la spinse via. Una parte di me avrebbe voluto fronteggiarlo dinanzi a quella scena, ma… infondo mi dispiaceva davvero? Sciolsi il pugno e decisi che, no: era la giusta punizione per una troia. Uscii dall’acqua con espressione seccata, scuotendo la testa e mordendomi un labbro, finché non vidi la Turner sotto a un albero…
    Sotto cui mi sedetti, di fianco a lei, con un tonfo.
    – Ma tu stai sempre sola? I tassi non dovrebbero essere, tipo… super espansivi? O è una leggenda metropolitana? – le scoccai uno sguardo interessato, i gomiti sulle ginocchia piegate, senza sapere neanch’io perché cazzo lo stessi facendo.

    Harry Barnes, V anno, Serpeverde.
    Interagito all’inizio del post con: Halley, Freya, Roy, Hestia (alla quale dedica poi l’insieme degli incantesimi d’acqua e d’aria <3), Rey (alla fine); citata Ollie e interagito con lei alla fine del post, essendosi seduto di fianco a lei. Scambiata un’occhiata d’intesa con Axel e citata Skylee in vari punti.



    Esito Fenixendio: 5
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    Esito Nepentalius: 3
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    Esito Piscis Gemini: 6
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    Esito Turbos: 5
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    Edited by Barnes is our king. - 21/5/2023, 08:17
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