The desire, to destroyx Harry

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    AUROR | CN | 56 Y.O.
    The desire, to destroy
    Eddie Silverhand
    (tw: leader di culto, violenza)

    Si accese una sigaretta.
    Come faceva ogni volta che era nervoso, ovvero sempre. Chi cazzo glielo aveva fatto fare di accettare la proposta di sua nipote di aiutare un moccioso, in piena fase ormonale, a riprendersi mentalmente? Cioè davvero Dorothea pensava che con i traumi lui avrebbe capito il senso della vita?
    Il senso della vita lui ancora non lo aveva capito, ciò che sapeva era che i ragazzini gli stavano proprio sul cazzo, facevano sempre quello che volevano e mai una volta che si mettevano lì ad ascoltare l'autorità.
    «Fanculo.» uno sbuffo di fumo, lo sguardo che si perde nelle strade di Hogsmade e la giornata di merda che si prospetta. Hidalgo non c'è, ultimamente è più impegnato a compilare burocrazia e scoparsi sia moglie che seguirlo in avventure mistiche. Santa Muerte e Katana-man sono gli unici che davvero lo seguirebbero pure negli abissi dell'inferno e meno male che ha loro, meno male che ha quei due matti. Rosalva arriva e gli passa un rospo di menta piperita preso da Mielandia, gli chiede se ne vuole uno ma Silverhand rifiuta perché non ha più tredici anni, non ha più tredici anni da almeno quarantatré anni. Ha proprio il broncio l'Auror, il broncio di chi vorebbe avere il suo braccio destro vicino a sé, ma quel pezzente e a fare altro, ma soprattutto perché in quella triste giornata di Aprile deve incontrarsi con Harry Christopher Barnes, lo sfigatello del San Vale Who.
    Quello lì, sicuro come l'oro, aveva zero neuroni in testa, ci scommetteva tutto il suo braccio d'argento. Solo un coglione parteciperebbe ad una festa con un giro di cocktail corrotto, solo un coglione si metterebbe a fare casino in un bar e, sempre un coglione, si metterebbe a fare il povero cane bastonato anche dopo tutte le batoste ricevute dal padre tradizionalista e dalla scuola.
    Harry Barnes si doveva rialzare, doveva capire che cazzo volesse dalla vita e secondo Dorothea il signor Silverhand era lì per questo, per essere la sua guida. Solo che la guida aveva bisogno di aiuto per arrestare uno.
    Uno stronzo che aveva seminato il terrore per un po' di tempo ad Hogsmade. E non si parlava del contrabbandiere di veleni di terza categoria che faceva esperimentini, o del serial killer della domenica, no qui si parlava di un leader di culto che era sfuggito agli auror del CIM per molto tempo. Questa volta però, la fortuna aveva smesso di sorridergli e la sua ingordigia gli aveva fatto commettere alcuni errori. Meglio per lui, meglio per chi voleva catturarlo e spedirlo a Dissennatorilandia, o quel che ne rimaneva, perché cazzo quello stronzo si meritava la pena di morte per tutte le schifezze che aveva fatto.
    Lo sguardo di Silverhan osservava tranquillo le persone di Hogsmade che camminavano tranquille per le strade, ignare del mostro che si era insinuato nella città, quel demone che lui e la sua squadra avrebbero esorcizzato. Assieme anche a quel piccolo adolescente cretino che, prontamente, venne notato dall'Auror.
    «Tu sei Harry Barnes, giusto?» non c'era da sbagliarsi, se lo ricordava quel piccolo bastardo «Mi ha mandato qui la tua professoressa, dice che hai bisogno di un po' di terapia.»
    Quella parola sembrava prendere una connotazione decisamente diversa dal solito, una parola che in quel momento sembrava significare tutt'altro ma quasi sicuramente quel genio in preda agli ormoni non se ne sarebbe accorto. Di positivo c'era che aveva più neuroni di Takeru Asakura che invece se li era bruciati quasi tutti con la droga e si stava mangiando tutti i rospi di menta di Rosalva.
    Era proprio un bambino.
    Silverhand non è che stesse dando una scelta al suo interlocutore, ma ehi chi era lui per non picchiarlo eventualmente? Nessuno. Solo un Auror del MACUSA.
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    Barnes is our king.
     
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    Harry Barnes

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    18 anni - V anno
    *possibile violenza, linguaggio volgare o offensivo

    Mi rigiravo la sigaretta in bocca, spingendola con la lingua da un lato all’altro, poggiato a un muretto, gambe e braccia incrociate, intento ad osservare i passanti. Non ero un tipo da cappelli, ma quel giorno avevo optato per un cappello nero, il classico da baseball babbano, con una visiera utile sia a pararmi gli occhi scuri dalla luce di quel sabato mattina di aprile particolarmente soleggiato, sia per nasconderli, eventualmente, alla vista di qualcuno dal quale non avrei voluto farmi riconoscere. E quel tipo di persone, c’era da dire, stavano aumentando a dismisura; con stratagemmi, rapidità e un pizzico d’aiuto di tanto in tanto, però, al momento ero riuscito a far sì che nessuno mi riconoscesse, o beh, almeno era ciò di cui ero momentaneamente convinto. Più che per non farmi riconoscere in un secondo tempo, però, mi serviva proprio a non dar modo ai poveri sfortunati del giorno di non potere guardarmi dritto negli occhi neppure una volta, in modo da non dovermi preoccupare in futuro e, magari, ritrovare uno stupido manifesto da ricercato con il mio bel faccino stampato sopra, e sotto una dicitura del tipo: “fate attenzione: adolescente borseggiatore per le strade di Hosgmeade”. Avrei apprezzato la fama, certo, ma non le rotture di palle. Dopotutto un povero studente senza famiglia doveva pur guadagnarsi da vivere, in qualche modo. Quindi perché non quello più facile e proficuo, nonché il più divertente?
    – Jax, a ore dodici – avvertii quello che era diventato ufficialmente il mio braccio destro solito - un concasato dall’aria non proprio sveglia, ma utile per lo scopo - con una spallata che lo ridestasse dal culo di una biondina decisamente felice per l'arrivo della primavera, essendo un po’ troppo svestita per il clima scozzese che, comunque, era famoso per essere piuttosto pazzerello, benissimo in grado di passare da un sole cocente a un attacco di pioggia violento nel giro di soli dieci minuti. – Ripigliati. Abbiamo del lavoro da fare. – picchiettai la cenere in eccesso sulla sua giacca - perché sappiamo tutti che sono un bastardo - e mi strinsi la sigaretta tra i denti, avendo già un’idea su come utilizzarla. Spinsi un vecchiaccio barbuto tra la folla e mi avvicinai dunque alla vittima designata, lanciando uno sguardo al mio compagno nel crimine, un cenno che avrebbe compreso benissimo. Jax fece infatti per confondersi fra la folla, mentre io mi avvicinavo a una donna riccamente ingioiellata che, di spalle, era intenta a guardare il contenuto di una vetrina; quando le fui accanto, sfilai la sigaretta dalle labbra e la avvicinai cautamente alla punta dei suoi capelli, sui quali, in pochi istanti, si accese una fiammella che prese a mangiucchiarseli centimetro per centimetro; io mi ero già prontamente allontanato, mentre la stronza neppure se ne accorgeva. Alla sigaretta avevo dato l’ultimo tiro, prima di lasciarla cadere al suolo e ucciderla prima del tempo con una schiacciata di tallone. “Signora…signora!…i suoi capelli! un signore che stava venendo nella sua direzione la avvertì, e subito la donna prese ad allarmarsi… talmente tanto che, esattamente come avevo previsto, lasciò andare la presa sul passeggino. Ghignai increspando una guancia, soddisfatto di quella prima fase; infretta, sfilai la bacchetta e, parandola in parte con la giacca di pelle, la agitai mentre con un sussurro pronunciavo l’incantesimo che avrebbe fatto sì che la carrozzina prendesse a camminare da sola in mezzo alla folla, perfettamente indisturbata visto il caos di persone che tentavano di aiutare la donna a spegnere l’incendio fra i suoi capelli in qualche modo che volesse probabilmente evitare di infradiciarla nel bel mezzo della stradina acciottolata ricca di gente. Quando qualcuno arrivò a farle notare del passeggino, ormai giunto in direzione di un carro di pesanti merci che stava passando di lì, io lo stavo già prontamente “salvando” da quell’orrendo destino: che caritatevole, non è vero? Come farebbe il mondo senza di me?
    “IL MIO BAMBINO! IL MIO BAMBINO!!!” la donna urlava, le mani al petto, i capelli ormai spenti ma decisamente più corti e bruciati, decisamente… orridi, che sembrarono quasi prendere un aspetto più elettrizzato a seguito di due spaventi non calcolati nel giro di pochissimi minuti. “Ragazzo mio, sei un angelo! Così pronto e gentile! Come posso ripagarti??” fece per prendere il borsello dalla sua tasca, ma io le fermai il braccio prontamente, – Non si preoccupi, signora mia, è stato un dovere! Che spavento deve essersi preso anche lui. Ciao, piccolino! – diedi un buffetto al bimbo nella carrozzina, sempre attento a non farmi vedere bene in volto dalla donna, che mi sorrise, e allora alzai una mano per congedarla: – Buona giornata a voi! Bei capelli, a proposito! – mi misi le mani in tasca affrettando subito il passo verso il punto di partenza - il solito muretto di appostamento - mentre la donna fece dapprima per compiacersi, ma finendo per passarsi una mano fra i capelli con sguardo perso e rammaricato, realizzando certamente che la stessi prendendo per il culo.
    E non come probabilmente avrebbe voluto.
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    Diedi una sonora pacca all’altro serpeverde, ora di spalle, intento a far finta di niente, gli occhi puntati nella direzione opposta: – Allora? Quanto abbiamo fatto? – gli domandai, scippandogli il sacchetto tintinnante dalle mani e facendomi cadere qualche moneta sul palmo, “La tipa girava con una cinquantina di galeoni in tasca… che idiota, questa gente ricca” gli lanciai un’occhiata glaciale, sentendomi colpito, ma decisi di non farci caso, ma anzi approfittarmene, – Che dire, Jax… già sono la mente di tutto, adesso offendi anche la mente… direi che passiamo dal settanta percento di ricavato al novanta per me… ecco ciò che ti rimane – gli feci cadere giusto un paio di galeoni sui palmi aperti, sui quali saltellarono nel suo tentativo di non lasciarli cadere, richiusi il sacchetto e misi in tasca il bottino. – Non guardarmi così, amico. La prossima volta imparerai ad esprimerti. Andiamo. Ho voglia di un cazzo di whisky incendiario. – piegai la testa di lato, invitandolo a seguirmi, cosa che fece, nonostante lo sguardo mogio. Prendemmo a chiacchierare per qualche passo, però, che lo bloccai per la camicia. – Cazzo, è quell’auror… e mi sta guardando… cazzo, cazzo! – non feci neanche per tirarmelo via che quello mi sgusciò dalle dita da solo e, voltandomi per guardarmi intorno confusamente, chiedendomi dove fosse finito così rapidamente, l’auror mi raggiunse con falcate degne di un tirannosauro. «Tu sei Harry Barnes, giusto?» sbarrai gli occhi, deglutendo per cercare di trattenere il panico crescente: mi aveva semplicemente riconosciuto dopo la festa di non-san valentino, o qualcuno aveva veramente appeso dei manifesti con la mia faccia? – Credo che si stia sbagl- – non arrivai a finire di dirlo che, con poco, mi assicurò che ogni tentativo di fuga, a quel punto, sarebbe stato totalmente inutile: «Mi ha mandato qui la tua professoressa, dice che hai bisogno di un po' di terapia.» corrugai la fronte, offeso e sconcertato: – Io? Terapia? Ma quando mai!… e poi lei non sarebbe un auror?? – lo fissai con aria interrogativa, incerto su come prendere quelle parole. Ma la professoressa Lovecraft, i cazzi suoi, no??!




    Si dia il via alle danze :mah: (ho paura)
     
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    Eddie Silverhand
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    Lo aveva osservato per tutto il tempo nello stesso modo in cui un magizoologo osservava i Mooncalf danzare o gli Erumpent accoppairsi. Cielo, questo Harry Barnes ne sapeva una più del diavolo, il suo teatrino era stato estremamente educativo e mentalmente Edward si era appuntato la stronzata del giorno per poi gustarsela in secondo momento. I mocciosi in piena fase ormonale erano straordinari, Eddie ne rimaneva sempre più estasiato perché erano talmente stupidi che facevano il giro e diventavano intelligenti. Come Harry che aveva capito una cosa importante.
    «Appunto.» gli sorride Eddie, sghembo e per nulla rassicurante perché «Hai avuto proprio culo ragazzo, oggi sarò io il tuo terapeuta.» e con lui anche la bellissima e straordinaria fregatura. Un Auror non era uno psicologo, né uno psichiatra e non cura dalle malettie mentali, avere Eddie Silverhand, uno degli auror più potenti in circolazione come terapista non era una cosa positiva anzi. C'era da cagarsi in mano.
    «E la terapia di questa magnifica serata prevede che tu, piccola testa di cazzo, mi dia una mano a catturare un grandissimo stronzo figlio di puttana.» è plateale mentre dice queste parole, lo indica, lo guarda dritto negli occhi sotto lo sguardo rilassato di Rosalva e Takeru che sono palesemente divertiti dalla situazione. Due bambinoni grandi e grossi, due teste di cazzo che sicuramente avrebbero cercato di uccidersi ergo la missione di quella serata sarebbe miseramente fallita.
    Se lo sentivano e se anche Takeru sentiva che tutto sarebbe andato a puttane era tutto dire. E lui era stupido come un sasso.
    «Questi li prendo io.» con un gesto della bacchetta, Eddie fa scivolare il sacchetto di galeoni via dalle tasche gonfie di Harry lasciandolo, di fatto, con un pugno di mosche «Perché la terapia si paga.» pure. Questo fa capire quanto sia odioso e stronzo, è un cagacazzo di prima categoria quanto il signor Barnes, se non di più ma vedremo, vedremo come andrà a finire quello che sembra essere uno scontro tra titani nel loro ambito. Di cazzate infondo ne ha fatte tante anche Eddie.
    «Fai un po' meno casino la prossima volta. Sei un mago no? Usa gli incantesimi.» il che indica che lui lo stava osservando da un po', stava osservando il suo operato e lo aveva visto derubare la povera scema col bambino, solo che invece di restituire il maltolto aveva deciso di tenerselo lui.
    Perché Edward era il bullo del bullo, alla fine.
    E con un gesto tira fuori dalla tasca della giacca quello che a tutti gli effetti è un collare in argento. Lo appiccica al collo di Harry con una facilità disarmante,
    «Questo collarino bellissimo serve a non farti smaterializzare a cazzo di cane nel mezzo della battaglia.» perché ci sarebbe stato uno scontro, oggi si sarebbe lavorato e Harry sarebbe stato uno dei protagonisti perché «Non fuggirai da uno scontro come una femminuccia, vero? Sei un vero uomo, mi auguro.» e lo sguardo che Silverhand da al ragazzo è abbastanza eloquente da aspettarsi una risposta affermativa. Harry Barnes non è una fichetta, non è uno sfigatello che davanti al pericolo scappa, perché se così fosse beh... Silverhand non ci avrebbe pensato due volte a farlo sapere a tutti.
    «Non preoccuparti, prima di riportarti da White te lo tolgo. Non sei un cane.» detto poi con un tono che in parte lo sottointendeva ed un sorriso che pigliava per il culo. Tipico di Silverhand fare così, mentre dava un'amichevole pacca sulla spalla al povero disgraziato ragazzo che a breve si sarebbe scontrato con la vita.
    «Tornando a noi...» fa cenno a Rosalva e Takeru, che stava litigando con un sasso, di seguirlo per poi rivolgersi ad Harry con un tono più serio «Cosa sai dei cultisti? Mia nipote dice che ti appassiona il macabro.»
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    Harry Barnes

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    Totalmente inaspettato. Fottutamente inaspettato. Non vedevo quel tipo da una delle mie serate peggiori in assoluto, quella dell’anti-san valentino… Merlino se avrei voluto scordarmi tutto! E invece? Quella storia di merda continuava a saltare fuori ogni tanto, questa volta proprio nella forma dell’uomo che mi aveva fatto letteralmente cagare in mano dopo che, avendomi ritrovato ricoperto di sangue con le prove evidenti di percosse ai danni di quel corvonero frocio - che peraltro non avevo più visto, chissà che cazzo di fine aveva fatto - che evidentemente usava i muscoli solo per guadagnarsi la scopata del giorno, tanto che quasi avevo finito per ucciderlo… o così mi parve; i ricordi sono ancora confusi, non ne ho più saputo niente, e neppure me ne frega, se me lo chiedete. Ma il punto è che ero già stato ripreso da degli auror per ragioni similari, fatti scomodi prontamente coperti da quel fottuto bastardo mio padre, ma che ero certo non fossero stati ripuliti del tutto; scampare alla legge per merito della sua grande influenza non cancellava i fatti stessi, sulla carta, ed ero certo che, se solo quel vecchio capellone lo avesse voluto, ci avrebbe messo giusto mezzo secondo a scoprire tutti gli altarini ai quali potesse avere facilmente eccesso. E non erano poi così pochi. Per fare solo qualche esempio, sono piombato in sella alla mia firebolt ultimo modello contro la vetrina di una famosa gioielleria del centro magico - una di quelle che era sotto gli occhi dei babbani ma che allo stesso tempo non erano in grado di vedere, quei senza-poteri di merda - dopo aver preso a volare per tutta Londra in preda al troppo alcool in corpo e causando, oltre che danni al negozio e alla scopa, un gran caos di obliviatori che, insieme ai loro colleghi del ministero, avevano dovuto cancellare la memoria di mezza città, eliminare tracce video, giornalistiche ecc. In realtà, quella non sarebbe stata né la prima né l’ultima volta a costringerli a farlo; specialmente negli anni nei quali sono stato costretto a studiare da casa, ero solito passare il tempo a creare i più svariati danni per la città, divertendomi particolarmente a prendere di mira i babbani ignari con l’uso della magia, o prendendoli direttamente a botte per i più stupidi motivi. Ci fu un’estate, in particolare - quella dopo la mia espulsione - nella quale mi sfogai praticamente col mondo, senza il minimo senso, se non il mio bisogno di farlo. Mi faceva sentire vivo, e mi è sempre piaciuto sentirmi in grado di poterlo semplicemente fare: sapevo che sarei stato coperto, per l’appunto. Ma c’è un limite a quante volte puoi venire coperto, anche con tutta l’influenza del mondo e, se ci mettiamo anche le sevizie nei vicoli e il sesso in pubblico, diciamo che non potevo davvero sperare di non finire mai col culo schiaffato in una sedia del Wizengamot, con mio padre che fu costretto a presenziare dopo avermi slogato una mandibola, e mia madre con un velo davanti, senza avere nemmeno il coraggio di farsi vedere in volto. Sono un figlio di merda, sì, lo sappiamo tutti. O forse dovremmo dire che lo ero: tecnicamente, al momento, ero un senza-famiglia… ma per questo non avrei avuto nessuno da deludere, no? Non tutti i mali vengono per nuocere.
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    Ebbi questi infiniti flash di cattive azioni passate a sfrecciarmi davanti agli occhi come vagoni di un treno in corsa, nell’istante stesso che il vecchio mi fu davanti. Quanti anni poteva avere? Quaranta o sessanta? Impossibile dire se si portasse gli anni troppo bene o troppo male. Fu con questo dubbio esistenziale che non dovetti elaborare più volte ciò che mi stava dicendo. – È un side-job? Vi pagano così male? Accidenti – bravo Harry, certo, prenditi gioco di un soldato della legge nel primo minuto e mezzo in cui te lo trovi davanti. Un genio. Ma la lingua biforcuta era dura da nascondere. Prendeva sempre il sopravvento, la stronzetta. – È venuto a chiedermi di sturare un cesso? – era ironia nervosa, la mia, doveva intravedersi dalle pupille non proprio fermissime. Ma che cazzo significava? Non quello che credo. Fa che non sia ciò che credo.
    Alle spalle del tipo vidi due figuri che non avevo mai visto, ma che già mi stavano profondamente sul cazzo: ”Che cazzo avete da ridere?” fu la mia chiara espressione. Se fossi stato italiano, probabilmente in allegato ci sarebbe stato una bella mano a coppetta.
    – Hey, ma che cazzo fai…!!? – mi uscì del tutto spontaneo, mentre il sacchetto tintinnante abbandonava la mia tasca per arrivare a toccare inesorabilmente, il suo palmo; provai ovviamente a riacciuffarlo in volo, ma fu tutto inutile. Lo sarebbe stato in ogni caso. «Perché la terapia si paga.» “figlio di puttana”, pensai d’istinto, però c’era da dirlo: se non fossi stato io la sua vittima, avrei ritenuto senza dubbio interessante il suo approccio. Ammirevole, addirittura. – Non dovrebbe restituirli? – azzardai, incrociando le braccia, un sopracciglio alzato, cercando di studiarlo. Che uomo strambo.
    «Fai un po' meno casino la prossima volta. Sei un mago no? Usa gli incantesimi.» aspetta, no, cosa? Che cazzo. Mi aveva visto. E ora? – Quella donna… cioè… era così grata che ha deciso di ripagarmi… – con tutti quei galeoni, che cazzo di altruista. E che culo. Gli occhi dell’uomo, però, erano più duri, consapevoli e decisamente furbi; chiaramente, sapeva tutto e non mi avrebbe mai creduto. La sua presenza era così forte - imponente, quasi - che mi fu subito chiaro che non fosse uno con cui si potesse scherzare; non se volevi prenderti gioco di lui, almeno. – Non mi mandi in cella per la notte... – e non indaghi su di me, per Merlino. Pregai non lo avesse già fatto.
    Una cosa, in quella situazione come in tutta la mia vita, non mi sarei mai aspettato di subire: di venire trattato, in maniera terribilmente letterale, da cane; il sarcasmo che sgorgava dalle parole dell’uomo andava solo ad accentuarlo. Gemetti più volte per lo sforzo nel provare a togliermelo di dosso, ottenendo solo di fami un male cane - che gioco di parole - alla nuca. – Tutta questa è follia. – dissi con una nota di disperazione crescente nella voce. Ormai mi aveva in pugno. Fanculo ai soldi e a tutti i bei piani per spenderli in giornata. Magari in fiumi di alcool.
    «Non fuggirai da uno scontro come una femminuccia, vero? Sei un vero uomo, mi auguro.» lo fisso accigliato, giudicante ma sommesso per forza di cose, consapevole che quei giochetti mentali fossero totalmente inutili, perché tanto… avevo qualche altra cazzo di scelta? Io non credo.
    – Gente ossessionata che porta avanti dogmi stupidi o addirittura folli. Credo che i culti possibili siano pressoché infiniti. C’entra col “grandissimo stronzo figlio di puttana”? – domandai ironico, prevedendo già quella che sarebbe stata una grandissima giornata del cazzo.


     
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