Feelin' insane

24 Dicembre / Axel

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  1. Dragonov
     
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    Una giornata iniziata a cazzo, continuata tale e a quel punto – poteva dire – finita peggio. Il mal di testa lo stava infastidendo da buon parte della giornata ma quel malessere sottile era il meno considerato il contesto alla quale era abbinato. Pochi giorni soltanto e la sua maledizione avrebbe imperversato cambiandogli non solo i connotati ma il suo aspetto per intero. Il corpo, quindi, subiva l’influsso di quel satellite che, ignaro, volteggiava gravitando intorno alla terra scoprendo e nascondendo il suo volto con il passare dei giorni e, più quel viso veniva mostrato, più il tormento s’agitava nelle membra del mannaro. Il suo corpo si tendeva, turgido, saturo di quel cambiamento nell’aria che presto sarebbe esploso anche nella sua pelle in una sanguinolenta rinascita ma in una forma differente da quella che riconosceva come sua allo specchio. Presto il lupo avrebbe preso la sua parte di palcoscenico rubando quella che era la sua quiete, quella che era la lucida freddezza con la quale andava interfacciandosi con il mondo volgendo quell’espressione austera e cinica al proprio interlocutore. Freya in quella serata ma non solo in essa poiché stava lentamente rubando porzioni delle sue settimane, aveva rappresentato una piacevole via di fuga da quel costante tormento rappresentato dalla sua vita. Con la svedese il bulgaro non aveva bisogno di parole. Freya capiva e soprattutto condivideva quella sorte fatta di dolore ed incubi che la stessa mannara gli aveva rivelato. Come lui, la mora non dormiva in prossimità del plenilunio ma se la Serpeverde aveva forse trovato sollievo in quella pozione che il ragazzo le aveva aiutato a fabbricare, lo stesso non poteva dirsi di lui che stoico e con una spiccata vena masochista accoglieva quel tormento quasi esso stesso fosse meritato a causa dell’orribile onta con la quale s’era macchiato in giovane età. Aveva ucciso suo fratello l’erede del fottuto nobile casato dei Dragonov, una delle famiglie più antiche e potenti della Bulgaria magica per quanto non navigasse da anni in acque tranquille. Da quando il precedente capofamiglia e padre di Axel, Dimitar, era stato arrestato per poi essere stato assassinato, la loro famiglia non aveva più avuto tregua. Elèna, nell’ignoranza, aveva dovuto gestire la maledizione acquisita dal suo secondo genito e vuoi l’inesperienza vuoi i pessimi consigli ricevuti, avevano finito per portarla a seguire una strada che l’aveva indotta a sperperare parte del patrimonio nei fini più sbagliati. Contenere era stata la parola d’ordine di quei pochi anni che il giovane Axel aveva passato in famiglia prima di macchiarsi del crimine più grande e per questo andarsene. Il resto era storia.
    Lo stesso crimine ma in un forma nettamente differente era stato perpetrato lì, quella sera, al castello di Hogwarts. Davanti ai suoi occhi il bulgaro aveva avuto modo d’osservare la rossa Scamander, solitamente animata dalla sua lingua tagliente, farsi pallida. Più bianca del già chiaro candore che caratterizzava il suo incarnato. I suoi occhi nocciola s’erano fatti più grandi, turbati, mentre il cambiamento più evidente avveniva a livello comportamentale. Quello non sarebbe passato inosservato a nessuno: Rain aveva balbettato. Rain Scamander la regina della Serpeverdi, la regina di Hogwarts non balbettava. Si era irrigidito e presto il suo sguardo era calato poggiandosi sul corpo esanime dell’insegnante. Fu come lo spezzarsi di un incantesimo. Quando era diventata così anonima? Quando così… brutta? Assottigliò lo sguardo calando le lunga ciglia sulle iridi verdi mentre istintivamente i sensi andavano amplificandosi, focalizzandosi percependo il silenzio più assoluto provenire da quel corpo. Non c’era più vita. La professoressa Lovecraft aveva esalato il suo ultimo respiro quella notte nella più totale inconsapevolezza generale dell’accaduto. Nessuno se ne era accorto, né lui né i docenti né la lupa accanto a lui. Nemmeno i suoi super sensi avevano potuto qualcosa. Roteò il capo verso il basso mentre le sopracciglia andavano a corrucciarsi incassando quel colpo al suo ego e lo sguardo finì per posarsi su Freya portandolo naturalmente ad affiancarsi alla mora. Il cuore di lei, invece, poteva percepirlo forte e chiaro. I battiti accelerati, l’adrenalina pompata in ogni dove fino a raggiungere il cervello che in pochissimo avrebbe elaborato le implicazioni di quella situazione. Il gioco, i moventi, la colpa. Lei era stata scelta per interpretare la parte dell’assassina: un caso? O un proposito? D’altronde era stata bravissima ad interpretare la parte della colpevole nascondendosi abilmente dietro quella dialettica che le apparteneva. Aveva tenuto palco rispondendo colpo su colpo dissociandosi dall’idea che avrebbe potuto c’entrare qualcosa con la morte della protagonista dirottando con logica il ragionamento di tutti quanti. Quale miglior nascondiglio quello della luce del sole. Era di nuovo quello il caso? O era stata usata come un capro espiatorio?
    Lo sguardo di Freya lo investì. I suoi grandi occhioni verdi erano limpidi ma intrisi di terrore. Era, per forza di cose, la prima sospettata per quanto quello fosse uno stupido gioco inscenato dai professori. La mano del mannaro si strinse attorno al suo polso. Una resa salda, d’acciaio ma rude. C’era poco da star lì a guardare. Gli auror avrebbero presto messo piede al castello. Maledetti sbirri ficcanaso. Dovevano – doveva – sparire. Le tirò il polso impartendole quello che era a tutti gli effetti un ordine e cominciò ad indietreggiare nelle più ombreggiate retrovie mentre il panico si faceva largo tra i presenti. Rumori di sedie stridenti, voci, paura e terrore si fecero largo aizzando quella folla di ragazzini impauriti che sarebbe presto stata domata dai proposti del castello. Scivolò in disparte facendosi naturalmente largo tra le persone che altro non volevano se non uscire dalla stessa stanza dove giaceva un corpo assassinato e tirò la lupa fino a che questa non protestò chiedendo una tregua. La fulminò con i suoi vitrei occhi verdi prima di darle nuovamente le spalle alzando il passo verso quella che era la Sala Comune e, di li a qualche metro la sua stanza.
    «Io non.. non avevo mai visto un cadavere prima» squittì sconvolta la Serpeverde. Benvenuta nel club!
    «Non qui.» Fu l’unico commento glaciale soffiato dal mannaro. C’erano occhi e soprattutto orecchie ovunque in quel dannato castello e, a quanto avevano appena avuto modo di assistere, anche un assassino che muoveva i suoi passi calcolati nascosto nel più totale anonimato. Potevano conoscere le sue mosse? No ma ciò che avrebbe potuto fare era fare in modo di tutelare entrambi. Ignorò tutte le sue domande alla quale non avrebbe saputo dare una risposta e si fermò unicamente quando finalmente valicarono la soglia della sua sua stanza. Lì richiuse la porta alle sue spalle castando un Muffliato sulla stessa. Mai come in quel momento reputava necessario proteggersi dagli indiscreti poiché, a prescindere, qualsiasi cosa fosse fuoriuscita dalle loro bocche avrebbe potuto essere stata male interpretata o, per quanto poteva saperne, avrebbe potuto incastrarli in una posizione ben peggiore.
    Gettò la bacchetta sul proprio letto dove vi prese posto a gambe larghe mentre, gomiti poggiati alle ginocchia, affondava le dita inanellate nei capelli corvini. Che situazione del cazzo. Che serata del cazzo di una vita del cazzo. Sbuffò e si stropicciò gli occhi stancamente. Di tutto avrebbe sopportato meno che quello, così vicino al plenilunio poi! Dove ogni gesto o parola arrivava amplificato, ingigantito nelle proprie intenzioni nel bene e soprattutto nel male. Non il miglior momento per ostentare una calma che non gli apparteneva.
    «Ma che cazzo ne so.» Sbottò con una certa frustrazione mentre il fastidio e l’irritazione maggiormente accentuati dalla fase lunare lo rendevano più intrattabile del solito.
    «Sarà una merda adesso» esordì. «La scuola finirà sotto la lente d’ingrandimento del ministero.» Giusto quello gli serviva! «Avremo gli sbirri col fiato sul collo!» Perché ne era certo fino al midollo che con un avvenimento simile il ministero avrebbe sicuramente inviato in pompa magna gli auror a difendere il castello e soprattutto ad indagare tra le mura. Axel non era direttamente connesso a quella particolare situazione – per quello che ne poteva sapere – ma ciò che lo preoccupava era la sua fedina penale (e morale) diversamente pulita. Sarebbe apparso sospetto? Avrebbero potuto incastrarlo? Sollevò lo sguardo incontrando quello smarrito della lupa.
    «Dimmi che non c’entri un cazzo» le ordinò ancora ma senza davvero avanzare reali accuse, non poteva crederlo. Perché avrebbe dovuto attentare alla vita della Lovecraft? Non aveva senso. «Come… Chi ti ha contattata per il ruolo? Hai parlato con qualcuno di sospetto? Cazzo…» Lei sarebbe stata la prima messa sotto al torchio degli auror per capire cosa sapeva, se poteva essere stata coinvolta. «Dammi la fiala!»
     
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