I will follow you into the dark

Nathan.

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  1. acid rain.
     
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    La paura dietro l’arroganza. Utilizzava spesso il suo carattere tagliente per mascherare quelle debolezze che, inevitabilmente, alla sua età, spesso comparivano sulla sua strada già di per sé tortuosa. Per questo motivo si era comportata da vera stronza. Al falò non aveva fatto altro che assecondare il suo istinto fin troppo naturale, ponendo in essere un atteggiamento vendicativo, senza alcuna motivazione valida. Gelosia? Sì, certo. Vedere Nathan approcciare con le sue amiche, per qualche assurdo motivo, le aveva smosso qualche cosa all’interno. Un sentimento fastidioso e irrazionale. Nonostante sapesse che non vi fosse nulla di male, la sua impulsività, contribuì a dipingerla come la stronza, ruolo che già, per molti, interpretava alla perfezione. Le andava bene così. Ammettere le proprie debolezze, in fondo, non sarebbe mai stata cosa facile, soprattutto per un tipo come Rain. La reazione del Grifondoro provocò un lento cambio di espressione. Un sorriso sincero comparve, addolcendo quei lineamenti così duri da confermare quella reputazione costruita sulla base di una conoscenza superficiale. Si morse il labbro inferiore e, così facendo, palesò il suo imbarazzo quando si toccò l’argomento incriminato. La gelosia. L’espressione più crudele dell’insicurezza. Da un lato era certa di non aver nessun diritto di avanzare pretese; dall’altro teneva a quel ragazzo più di quel che era disposta ad ammettere a sé stessa. Un conflitto di interessi non indifferente, capace di creare un caos ingestibile, in quella quiete fatta di menefreghismo, alla quale era abituata. Ed eccola. Messe alle strette. Davanti a quella domanda non poteva fare altro che issare bandiera bianca e invocare perdono per quella parte di lei che, in prima persona, avrebbe voluto smussare un giorno –per la persona giusta, ovviamente-. “Lo sono.” I suoi occhi scuri si fissarono, come fossero una calamita, in quelli chiari di lui. Annunciò la verità. Semplice ma dolorosa. Per la prima volta, dopo anni, la sua versione più intima, stava prendendo piede, sommergendo l’enorme ego di cui era provvista. “Non ci sono abituata.” Si era sentita spaesata. Sperimentare quell’esagerazione l’aveva stremata e, per giorni interi, si era persa nella ricerca delle varie motivazioni che avrebbero potuto spiegare quella forza invisibile che l’aveva tratta in inganno, tanto da attuare quel comportamento del cazzo e ridicolo. Tutto, però, confluiva in un’unica e scomoda spiegazione. Ora, a mente lucida, poteva affermarlo con certezza. “Sono andata in panico!” Certo il tentativo di farlo ingelosire con l’automa per eccellenza, non era stata un’idea ottimale. Aiden. Il biondino dall’aria stralunata, non rispondeva certo al suo prototipo di ragazzo e, con grande egoismo, si era servita di lui per un atto deplorevole. Andrò all’inferno! Là, dove era certa di trovare una camera doppia con idromassaggio. Mica male. Il paradiso? Sopravvalutato. Beh, forse con delle scuse, avrebbe risolto la cosa, sempre che il verde-argento si fosse accorto del torto subito. Ne dubitava. Appariva ingenuo. Candido come la neve e con la testa tra le nuvole. Certo, si trattava solo di una sua opinione ma, come sempre, la ragione stava dalla sua parte. Predicare bene e razzolare male, però, sembrava essere una sua dote nascosta. Chi era lei per comportarsi da idiota quando, fino a prova contraria, era lei stessa ad intrattenersi clandestinamente con l’unico ragazzo che, grazie anche alla sua stazza, non passava inosservato. Chissà quanti aneddoti erano già giunti all’orecchio del povero Knox, all’oscuro di tutto. Ecco perché, con estrema fatica, prese la saggia decisione di portare alla luce del sole i suoi altarini. Questione di giustizia, comunque. Non era di certo sua intenzione nascondere ciò che, invece, stava davanti agli occhi attenti di chiunque. Reputava Axel importante. Un punto di riferimento in un mondo a lei, decisamente, ostile. Accantonarlo, quindi, non corrispondeva per nulla al suo volere. Il loro rapporto sarebbe profondamente mutato, sì, senza però escluderlo dalla sua vita. Ascoltò attentamente la reazione a quella notizia e, con sua grande sorpresa, Nathan non si scompose più del necessario, nonostante stesse ammettendo di non fare i salti di gioia. Beh, chi li avrebbe fatti? Quel che gli stava chiedendo, necessitava di un grado di fiducia non indifferente e, a quanto poteva constatare, le stava conferendo un qualche cosa che mai nessuno aveva osato. Ciò la diceva lunga sul suo conto. Oh, sì. Sei fortunata, bella mia! Non sai quanto. Si disse, con grande orgoglio. “Ti puoi fidare di me?” Abbassò il tono della voce, riducendola a un soave sussurro. Fargli del male? Fuori questione. Da quando era entrato nella sua vita, la personalità della rossa, aveva subito un arresto. Come se lui riuscisse ad incanalare la sua energia negativa altrove, evitandole parecchi problemi che avrebbero, poi, trascinato dietro dei grattacapi non indifferenti. “Sa ascoltare.” Cercò di argomentare il fatto il suo dubbio, il quale si incentrava sull’amara evidenza che la Scamander, sbagliando, aveva l’abitudine di allontanare anima viva –e morta-, prediligendo la solitudine o, per lo meno, conoscenze circoscritte e ben selezionate. “Non giudica.” Una caratteristica non da sottovalutare. Lo afferrò per il colletto e gli franò contrò, cercando un rifugio. “Un buon amico. Cosa che non puoi essere tu.” Alzò lo sguardo e sorrise. “O meglio.” Non perse tempo a riflettere. Sapeva esattamente quali fossero le differenze tra i due rapporti. “Vorrei che fossi molto di più!” Sempre che fosse stato d’accordo, ovviamente. Obbligarlo non sarebbe stato possibile ma, gli ultimi tempi, le avevano suggerito quanto fosse caduta nella monogamia più totale, come una scolaretta, investita da un mix tra sentimenti e ormoni, impossibili da gestire. Si alzò in punta di piedi e gli posò un delicato bacio, all’angolo della bocca. Un semplice gesto che nascondeva un desiderio elettrico di avere di più. Sempre di più. Perché, doveva ammetterlo, una volta provate certe trepidazioni, difficilmente se ne riesce a fare a meno. Sì. Un confronto con Dragonov urgeva. Il primo possibile.

    Si lasciò trascinare. Per un attimo i suoi problemi non furono altro che un lontano ricordo. Quel luogo aveva su di lei un ascendente molto forte. Il bacio fu lento. Sentito e voluto a tal punto da maledire l’attimo in cui, purtroppo, terminò. Smorzato, tra l’altro, da una sua uscita non proprio felice sulla sua amica, creduta morta dal povero cacciatore, preso alla sprovvista dall’affermazione tetra. “Mi è uscita male.” Tentò di scusarsi, senza scusarsi realmente. Cercate di capirla. Ci pensò un po’ su e poi: “Effettivamente potrebbe essere anche morta.” Certo, Reina, non era la classica tipa tranquilla e per niente incline alle grane. In tutto quell’arco di tempo, sarebbe potuto succedere qualsiasi cosa, senza che lei ne fosse a conoscenza. “Mi piaceva quella stronza mangia formiche.” Nessun rancore, piccola Scott! “Ma un giorno è sparita.” Non proprio. Aveva avuto almeno la decenza di lasciarle un biglietto, con appuntata una richiesta singolare che, però, non era stata in grado di esaudire, dopo l’arrivo di colei che aveva preso il suo posto nella stanza. Freya era stata una degna sostituta, forse un dono dal cielo. Una ragazza che non le avrebbe fatto rimpiangere la sua ex amica, svanita nel nulla. “Ti è mai capitato di perdere qualcuno in questo modo del cazzo?” Nonostante ne avesse pochi, per Rain, gli amici costituivano il centro del proprio universo e quando, in quel giorno funesto, Reina aveva lasciato la scuola, un pezzo delle sue certezze, se ne era andato con lei, chissà dove, in giro per il mondo. Volse lo sguardo verso il panorama e aggiunse, con sconforto: “Chissà se un giorno avrò la fortuna di rivederla?” Sospirò. Pensieri inutili ma, si sa, la speranza è pur sempre l’ultima a morire, no? Stava di fatto che con lei aveva trovato quel gioiellino, durante una delle loro “uscite” alla ricerca di qualche cosa che andasse oltre la solita noia scolastica. “Mi stai sottovalutando per caso?” Aveva per caso l’aria di una santarellina? Beh, non amava trasgredire alle regole, a meno che non le facesse comodo ma era nata avventuriera. “Mi stai chiedendo un appuntamento?” Se voleva metterla in quel modo. Perché no? Avrebbe colto sempre al volo la possibilità di passare del tempo in sua compagnia. Tempo che, senza dubbio, si sarebbe trasformato in qualche cosa di estremamente interessante. “Come se potessi rifiutare.” Lo guardò dritto in volto, arrendendosi al fatto di non potersi opporre a quel sorriso e a quegli occhi che avrebbero potuto calarle le mutande, con un cenno. Vaffanculo! Sciò. Via. Allontanò ogni pensiero impuro –come no- e si concentrò sul discorso successivo, incentrato su ciò che nascondesse dietro al suo fare da stronza patentata. “Non sarai di parte, a questo punto? Eh, Signor Knox?” Lo apostrofò con un lampo negli occhi che indicava la sua volontà provocatoria. In realtà ce la stava mettendo tutto per mostrare un lato di sé inedito. Una parte intima e riservata solo a colui che, proprio in quell’istante, se ne stava davanti a lei, prendendola in giro. In tutta risposta si guadagnò un sorriso sarcastico, che incassò con estrema eleganza. ”Sono uno stronzo se dico che non vorrei condividerti?” La comodità offerta da quel divano la fece sentire a suo agio, più del dovuto. “Sono una stronza se dico che non accetterei di condividerti?” Alludeva a un rapporto esclusivo, ovviamente. “In ogni caso è ciò che penso. Non sopporterei di vederti con un’altra!” Poco ma sicuro. Avrebbe dato di matto, perdendo la testa senza dignità. “Egoista?” Domandò. “Sei riuscito dove molti hanno fallito. Non può essere una colpa, non credi?” Non ci pensò. Lasciò la sua postazione e si accomodò su di lui, divaricando le gambe, infischiandosene di quanto quel gesto potesse far saltare i freni inibitori che si era ripromessa di tener presente. Si incollò a lui, lasciando aderire i loro corpi. “Sai troppe cose!” Lo baciò come se fosse l’ultima volta e si staccò, dopo aver affondato le sue dita tra i capelli di lui. “Se dovesse andare male, beh, dovrei ucciderti!” Si rituffò sulle sue labbra, afferrandogli la mano e portandola a forza sul suoi fianchi, per poi obbligarlo a risalire all’altezza del seno. Necessitava di quel tocco e non ne poteva fare a meno.
     
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