I will follow you into the dark

Nathan.

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  1. acid rain.
     
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    Era riuscita a incasinare tutto? Non ne aveva l’assoluta certezza ma, tirando le somme, ogni avvenimento positivo nella sua vita, riusciva a rovinarlo con le sue stesse mani. Un potere non indifferente, se vogliamo darci un voto. Forse, però, sarebbe stato meglio mettere da parte la pateticità e concentrarsi su ciò che di buono la vita le stava offrendo su un vassoio d’argento: Nathan. Un ragazzo d’oro che, forse, neanche meritava. Le era stato vicino dal primo momento. Anche quando non erano altro che semplici sconosciuti, imbattutisi, per caso l’una nell’altro, in un giorno qualunque. Uno strambo inizio. Sì. Doveva ammetterlo. Aveva riversato su di lui informazioni non proprio degne di un primo appuntamento ma, nonostante la palese follia dimostrata, non aveva dato segno di voler fuggire via a gambe levate. Oh, sì! Ne avrebbe avuto ogni motivo. Quel ricordo, in una situazione differente, l’avrebbe fatta ghignare ma, in quel momento come non mai, la serietà avrebbe dovuto regnare sovrana. Si vergognava. A morte. Si era comportata come una perfetta idiota, nascondendo dietro al suo fare spavaldo tutta l’insicurezza che provava nei confronti di quella situazione nuova, caratterizzata da sentimenti e cazzate varie che, mai prima di allora, aveva avuto modo di sperimentare direttamente sulla sua pelle. Era capitato di provare attrazione fisica per qualcuno. Ok, più di uno. Ma la faccenda si fermava lì. Sveltine. Storielle di poco conto. Stronzate adolescenziali alle quali ricorreva per sentirsi sicura di sé e avere il controllo sugli altri. Una sorta di manipolazione che aveva lasciato andare in seguito alla decisione che la vide fare ritorno tra quei banchi di scuola che aveva rifiutato categoricamente, soffocando il suo intelletto ingiustamente e poi per quale, stupido, motivo? Neanche ricordava i fatti come fossero accaduti. Si era premurata di archiviare quei lontani ricordi, così da lasciare spazio a qualche cosa di nuovo ma, alla fine, al loro posto si erano posizionate le preoccupazioni che, ancora, le pesavano sul cuore. Di certa vi era una cosa sola e solamente: Diamond Rain Scamander non poteva più dirsi la stessa persona che in molti conoscevano o, almeno, pensavano di conoscere. In pochi, però, avrebbero potuto affermarlo con certezza. Gli altri? Feccia. Non si curava delle dicerie sputate, gratuitamente, dalla gente. Loro non potevano sapere. Niente. Né della sua famiglia. Né di ciò che provava ogni giorno, una volta messo giù il piede dal letto. Quando la sensazione di inutilità le afferrava la gola, stringendola a tal punto da farle mancare il respiro. Ma forse sarebbe stato meglio così. Crederla superficiale e vuota, avrebbe allontanato domande scomodo e indiscrete.
    ”Voglio fidarmi di te.” Ogni assillo si dissolse. La voce del Grifondoro la riportò alla realtà, allontanandola da quel baratro nel quale stava per lasciarsi andare. Senza biglietto di ritorno. Una rassicurazione che neanche si aspettava. L’ennesima. Ma avrebbe fatto bene a porre in lei così tanta fiducia? L’ansia da prestazione sarebbe stata inevitabile per un tipo come lei, irresoluto. In ogni caso la seguì dentro alla stanza, apparentemente insulsa. Non aveva tutti i torti nel suo scetticismo. Quell’aula, però, rappresentava uno dei momenti più emozionanti vissuti in compagnia di una persona che, senza neanche saperlo, si era ritagliata un posto importante nella sua quotidianità. Reina, però, non ne faceva più parte e il biglietto scritto in fretta e furia, le aveva suggerito che non avrebbe più fatto ritorno. Un’amara delusione. Un colpo al cuore ma, dopotutto, se aveva preso quella decisione, sotto ci doveva essere più che un valido motivo. “Anche. Sì! Non posso negarlo, sarei idiota!” Si trattava di due aggettivi azzeccatissimi. Incasinata. Niente l’avrebbe descritta meglio. Cullata da quell’ironia, Rain, si lasciò stringere, lieta che quelle inutili distanze si azzerassero in un attimo. Gli circondò il collo con le braccia e posò lo sguardo su di lui, senza lasciarsi scappare neanche la più piccola reazione sul quel viso così attraente. Quei gesti uscivano spontanei, tanto da farle credere realmente di aver ceduto a qualche forma di romanticismo. Beh, non tutti i mali venivano per nuocere, in fin dei conti, no? Che male vi era nell’ammettere di provare qualche cosa per un’altra persona. Prendere il toro per le corna. Affrontare quelli che, una volta, altro non erano che ostacoli da bypassare. In quel frangente, la rossa, non avrebbe avuto problemi ad ammettere quanto fosse coinvolta nel loro rapporto, se solo lui l’avesse domandato. “Forse lo sono sempre stata!” Sorrise. Questa volta non vi era alcun segno di sarcasmo nelle sue parole. Solo estrema serietà per un argomento che era giusto trattare con i guanti di velluto. “Stavo solo aspettando la persona giusta!” O quella che avrebbe reputato tale, insomma. Mai dire mai, per l’amor di Merlino, ma se non avesse avuto il coraggio di provare, non sarebbe stata in grado di comprendere quanto di vero vi era nella faccenda. Le loro labbra si cercarono. Ancora e ancora. Come se non potessero farne a meno e quando l’atmosfera scemò, per forza di cose, l’attenzione si spostò verso il protagonista indiscusso di quello scenario impolverato. L’armadio. Apparentemente un oggetto privo di alcun valore. Ma dietro a quella banalità, nascondeva un segreto nel quale si erano imbattute per caso, un anno prima. Mai avrebbe pensato che ciò che si celava dietro a quelle ante, sarebbe divenuto il suo luogo sicuro. Eppure era accaduto. La stanza segreta inglobava in sé le paure più recondite della verde-argento. Se quelle pareti avessero parlato, la verità sul suo conto sarebbe venuta a galla, mostrandola per la ragazza semplice, appena uscita da un’adolescenza più che complicata. Una ragazza sola al mondo. “Lo è!” Confermò, posando la mano destra sulla maniglia ma, prima di svelare la sorpresa, la Scamander si sentì in dovere di chiarire la sua posizione, in seguito ad alcuni fraintendimenti avvenuti durante il falò di rientro dalle vacanze estive. “Invece è mio dovere scusarmi con te!” Comportarsi da pazza sclerata, utilizzando la presenza di un ragazzo, per attirare la sua attenzione beh, era stata una meschinità. Lasciargli credere di essere quella che non era, solo per vendetta. Mossa davvero stupida. Una mossa data, meramente, dal suo essersi sentita facilmente sostituibile. “Non avrei dovuto comportarmi in quella maniera!” Si reputava migliore di così eppure, qualche volta, la rabbia prendeva il sopravvento sulla ragione, portandola a compiere atti che, a mente fredda, non si sarebbe mai sognata di mettere in piazza. Davanti a tutti, poi. No. Follia assoluta. Le piaceva. Più di quanto riusciva ad ammettere a sé stessa e, anche quella volta, non mancò di ricordarglielo. Così sarebbe stato fino a quando, lui, non si sarebbe stufato di lei e della sua voce a tratti fastidiosa e, per la maggior parte delle volte, ricola di quel tagliente sarcasmo al quale ricorreva per avere sempre il coltello dalla parte del manico. Continuò ad ascoltarlo, compiaciuta e felice delle sue parole fino a quando un solo che… non lasciò presagire nulla di buono. Sentiva che qualche cosa sarebbe piombato sulla sua serenità. Trattenne il respiro a fatica, pronta ad incassare qualsiasi cosa lui stesse per sganciare. ”… tu e Dragonov.” Cazzo, Axel! Il loro rapporto era lì, alla luce del sole. Non vi era anima viva e morta in quel castello che non fosse a conoscenza del loro piacere reciproco e, casualmente, anche Nathan era giunto a quella conclusione. Con l’aiuto di qualcuno, probabilmente. Un qualcuno di nome Grace Johnson. Colei che non si sarebbe mai e poi mai fatta i cazzi suoi, neanche sotto tortura. Era giunto il momento di dirgli la verità. Negare non sarebbe servito a nulla, così come tergiversare o arrampicarsi su degli specchi così lisci che le avrebbero assicurato solo una caduta con pochissimo stile.
    “Io e Dragonov, già…” Arrancò. Come si poteva spiegare al ragazzo che aveva deciso di frequentare, un rapporto come quello tra lei e il bulgaro? Improvvisando, ovviamente. “Non ci girerò intorno.” Sentenziò. “Andiamo a letto insieme da parecchio tempo! Avrei dovuto dirtelo prima, lo so!” Un anno? Due? Neanche ricordava esattamente quando quell’abitudine aveva avuto inizio. La nuda e cruda realtà saltò fuori. “Tra di noi non c’è altro.” Credeva non potesse essere che una magra consolazione. “Ma le cose sono cambiate, no? Vuoi sapere altro su di me? Sul mio passato?” La sua mano andò a sfiorare la guancia del rosso-oro. “Voglio te!” Axel avrebbe compreso. Forse. Sapevano entrambi che, prima o poi, così come era già successo a lui in passato, anche lei avrebbe trovato qualcuno in grado di farla capitolare. Arrendendosi ai sentimenti provati. “Lui, però, rimarrà sempre importante per me. Un amico.” Colui dal quale sarebbe corsa in caso di bisogno, se gliel’avesse permesso. “A questo punto, sarebbe meglio riflettere attentamente sulle nostre aspettative. Reciproche, intendo.” Fare chiarezza. “Quindi, Nate! Cosa ti aspetti da me?” Domandò, cercando la sua mano. Non era sua intenzione metterlo alle strette ma, anche senza ufficialità, Rain viveva quel legame all’ennesima potenza, tanto da non poter più lasciare spazio ad altri uomini. Non in quel senso, almeno.

    Insieme si addentrarono, poi, in quel pezzo di antiquariato. “Vedrai!” Seguì la sua strada e, finalmente, giunsero a destinazione. Dall’altra parte. “Benvenuto sulla mia isola felice!” Si alzò in punta di piedi e gli circondò il volto con le mani, baciandolo appassionatamente e sfogando la tensione che i discorsi precedenti le avevano provocato. “Non l’ho mai mostrato a nessuno.” Portarci chiunque altro, l’avrebbe vissuta come un’invasione della sua privacy e no, non poteva permetterselo. “Mi credi ancora pazza?” Il suo scetticismo non era valso a nulla. Era certa che quel panorama gli avrebbe mozzato il fiato e reso quel pomeriggio più interessante del solito.
     
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