I will follow you into the dark

Nathan.

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  1. acid rain.
     
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    Una perfetta idiota. Sapeva sempre come sorprendere in negativo le persone e, proprio mentre la vita stava iniziando a sorriderle, ci aveva pensato da sola a complicarsela. Un genio. Una mente eccelsa quando si trattava di rovinare il seminato da lei, a fatica, costruito. Ordinaria amministrazione. Quel fare distruttivo le usciva totalmente naturale. Nessuno sforzo. Niente di niente. Dopo un’estate all’insegna della semi tranquillità, cullata dalla sua nuova conoscenza, Rain, aveva ben pensato di mandare tutto a puttane con un gesto tanto plateale quanto stupido. Al falò, infatti, si era approfittata della vicinanza a Aiden per tentare di urtare la sensibilità del Grifondoro al centro della sua attenzione. Perché? Beh, il suo movente non era altro che un pensiero fisso, forse sterile, che la induceva a credere che tra lui e la biondina –sua compagna di squadra-, vi fosse una relazione che si spingesse oltre il limite consentito. Il fastidio l’aveva sopraffatta, lasciandola in balia della più profonda confusione. Lo smarrimento completo, lo stesso che limitava il tentativo di razionalizzare la situazione, così da poter fornire una spiegazioni valida a quell’atteggiamento –a suo avviso- troppo amichevole. Non le importava in realtà. A lei sarebbe bastato vincere, da buona primadonna. D’altra parte, se tutti i tasselli fossero andati al loro posto e la verità non fosse la stessa da lei temuta, sarebbe stata la prima ad accettare –seppur non con felicità- la loro amicizia. Roteò gli occhi castani, arrendendosi a quella che si sarebbe probabilmente tramutata in una certezza, contando sul fatto di averci visto lungo quando, mesi prima, aveva preso la decisione di porre nelle mani di Knox la sua fiducia. A poco a poco. Lentamente. Con i piedi di piombo. Come mai si era azzardata di fare in vita sua. Agire di impulso, per lei, poteva dirsi una consuetudine e, da un lato, il suo gettarsi tra le braccia del leone ne era stato un piccolo sintomo. D’altra parte, però, il loro primo incontro era stato significativo. Così importante da passare sopra alla quantità del tempo trascorso in sua compagnia, favorendone la qualità. Ed eccola lì. A distanza di mesi, ancora più convinta che la strada scelta, fosse quella giusta che l’avrebbe condotta a ciò a cui aveva sempre ambito: la felicità Un’utopia. Un sentimento che le era stato strappato bruscamente dalle mani quando, senza alcuna pietà, i suoi genitori avevano preferito i loro affari a lei. Un trattamento per nulla di favore che, per forza di cose, aveva innescato meccanismi complessi sia nel suo essere che nella vita di tutti i giorni, Un cambio repentino di quotidianità che, con il passare del tempo, era riuscita ad assorbirla a tal punto da auto convincersi che ciò che il destino le aveva riservato, fosse un bene piuttosto che una tragedia. Si sfregò le mani con foga, cercando di ignorare l’agitazione che iniziava ad infrangere la sua apparente tranquillità, tenuta insieme da un potentissimo ego che non le avrebbe mai permesso, in pubblico, di apparire fragile e vulnerabile. Non ad un occhio estraneo, insomma. I minuti passavano inesorabili quando, finalmente, dall’entrata fece capolino il primo componente della squadra rosso-oro, reduce di quell’allenamento che li aveva tenuti occupati. Matti. Il clima, oramai, si era fatto rigido e quel desiderio di continuare a svolazzare in quel cielo colmo di nubi minacciosi, sinceramente, non lo comprendeva. Forse qualcuno teneva in ostaggio le loro famiglie? Ah, no. Quella era lei. Dissentì e si assicurò di non dover attendere ancora molto. La solita impaziente di turno. Smentirsi? Mai. Si rallegrò e quando il giovane fece la sua trionfale entrata in quel campo visivo insofferente, non perse un solo attimo. Scattò in avanti e lo raggiunse, circondandogli la vita ma celando la sua identità, soffermandosi contro la sua schiena e godendosi il momento, così come il suo profumo. Una ventata d’aria fresca. Una sensazione della quale necessitava realmente, come se servisse a riportare l’equilibrio messo a rischio da tutto ciò che, sfortunatamente, la circondava. Reagì con un sorriso al suo saluto, velocemente, prima di prendere l’iniziativa che li avrebbe condotti dritti all’obiettivo che si era prefissata non appena aveva aperto gli occhi quel mattino. Sì. Non era da lei programmare un qualche cosa che potesse assumere le sembianze di un appuntamento romantico ma, d’altra parte, non solo avrebbe voluto sopperire a quella mancanza di tatto uscita alla festa di ritorno ma la sua idea stava proprio nel regalargli un momento differente. Un momento che gli potesse spiegare la sua vera essenza. Non quella costruita. Non quella indotta da fattori esterni. Un gesto che spiegasse chi fosse Rain Scamander. Lo trascinò in lungo e in largo, sino a quando non furono esattamente dove sarebbero dovuti essere: davanti all’aula in disuso. Al suo interno sembrava tutto come una volta. Come se nessuno si fosse azzardato a liberarsi del più insignificante granello di polvere. Oh, sì! Quella stanza avrebbe avuto bisogno di una bella rassettata. Eppure no. Forse stava proprio in quel disordine il suo fascino o, almeno, così era nella mente della verde-argento, ricolma di quei tristi ricordi legata alla sua vecchia compagna di stanza. La sua amica. La persona che più le mancava tra quelle mura. Osservò il sorriso forzato di Nathan a braccia conserte e con aria imbronciata, lo stesso di una bambina capricciosa. “Allora proprio non ti fidi di me!” Per chi l’aveva presa? Per una Grifondoro scontata qualunque? Niente di più sbagliato. Mai sottovalutare una bomba a orologeria come lei. Si esibì in una mezza giravolta e lasciò la sua postazione per percorrere con lo sguardo l’arredamento discutibile che riempiva, a caso, l’ambiente. “Questa stanza, come dire…” Nascondeva ben più di quello che poteva immaginare. “Mi somiglia!” Un paragone azzeccato. Fece spallucce, quasi come se reputasse scontato il concetto che stava per proporre, anche se consapevole che fosse tutt’altra la realtà. “Io? In punizione?” Il sopracciglio sinistro schizzò all’insù. Testa di cazzo sì, lo poteva essere ma da lì a farsi confinare in qualche remoto angolo del castello a vestire i panni di Cenerentola, beh, ne passava. “Ma hai visto il mio rendimento?” Perfetto. “Macchiarlo a causa di un’infrazione al regolamento? Mai.” Dopo aver perso l’anno per i suoi colpi di testa, la giovane, si era imposta un personale schema di pensiero, al di fuori del quale non sarebbe potuta andare. Finalmente le distanze andarono a puttane e il contatto le diede quel sollievo che attendeva da quella notte d’estate, impressa a fuoco nei suoi più intimi pensieri proibiti. “Che importa dove?” Puntò le sue labbra, bramandole a tal punto dal doversi imporre di contegno che, altrimenti, avrebbe infranto una miriade di regole anche morali –alle quali badava decisamente meno-. “Tu…” Lui? Non terminò la frase ma, ancora una volta, si sporse in avanti, scegliendo il silenzio come miglior risposta, capace di completare il concetto rimasto inespresso. Si prese qualche centimetro, tornando a contemplare quello spazio angusto, per poi soffermarsi sul passaggio segreto che li avrebbe condotti davanti a uno spettacolo verso e proprio, uno di quelli che sicuramente non si sarebbe aspettato. I suoi occhi azzurri raggiunsero, confusi, il grande armadio e una domanda si levò, infrangendo il silenzio che il suo meditare aveva procurato. ”… perché stiamo guardando un armadio?” Alzò il braccio e, con delicatezza, adagiò il palmo della candida mano sulla guancia di Nathan, ancora perplesso. “Non si tratta di un armadio qualsiasi.” Anche se da fuori nessuno avrebbe scommesso un galeone. “Nate?” Pronunciò il suo nome, specchiandosi nei suoi occhi dai freddi colori. “Prima di andare…” Ma poi dove? Neanche si era degnata di accennare qualche indizio. “Volevo scusarmi. Non l'avevo ancora fatto e il peso mi uccide!” Un evento più unico che raro. “Mi sono comportata da pazza furiosa.” Tentare di farlo ingelosire? Quanti anni vantava sulle sue spalle? Dieci? Andiamo. “Dopo quella notte…” Come era stata? “… bellissima notte.” Si corresse, prima di continuare quello che in molti avrebbero reputato “un patetico monologo”. “Bhe… mi piaci molto di più di quanto io sia pronta ad ammettere!” Non era questione di intesa fisica. No. O meglio, anche! “Non mi esci dalla testa! Io non voglio che tu ci esca! Sto bene. Sono felice.” Sperava di essere stata chiara. Ciò che aveva visto non era altro che una cazzata posta in essere per alimentare il suo ego già smisurato. “Ci tengo che tu sappia che quella notte è stata importante per me!” Le aveva fatto capire che a quel mondo qualcuno teneva a lei. Qualcuno che non si sarebbe tirato indietro davanti alla complessità d’animo da lei dimostrata. “Andiamo?” Allungò la mano, richiamando a sé quella di lui. Un flebile sorriso. Un regalo che riservava a pochi.
     
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