I will follow you into the dark

Nathan.

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  1. acid rain.
     
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    Il Natale. Una di quelle feste in cui la gente sente il bisogno di aggregarsi. Un istinto naturale. Incontrollabile. Come se non si potesse fare a meno di vivere quello spirito con l’entusiasmo tipico di quel periodo dell’anno. La famiglia. Gli affetti. Tutti elementi che, insieme, avrebbero contribuito ad infondere nel cuore delle persone, la gioia e la sicurezza di un focolare pronto ad accoglierle a braccia aperte, nel quale trovare ristoro. Giorni felici, spensierati, esattamente come quelli che, fino all’anno precedente, era riuscita a vivere anche lei, nella più totale semplicità in compagnia di coloro che, gli eventi, le avevano strappato in maniera crudele. Abbassò lo sguardo affranto e lasciò scivolare via la divisa, andando a scoprire la sua pelle diafana, poco prima che l’acqua calda della doccia prese a scorrerle addosso. Alzò la testa. I suoi grandi occhi scuri si chiusero e rimase immobile, godendo di quel momento che avrebbe contribuito a calmarla al fine di portare a termine il suo obiettivo giornaliero. Ogni pensiero negativo fu spazzato via e, al centro della sua attenzione, improvvisamente, vi fu solo un soggetto. Un soggetto così interessante da farle salire una sorta di ansia da prestazione di cui mai, prima di allora, aveva conosciuto. Una sensazione strana. Nuova e destabilizzante ma così fresca ed invitate da scacciare l’angoscia che, altrimenti, l’avrebbe travolta e spinta nell’oblio senza ritorno. Per un giorno si era imposta di dire no. I problemi sarebbero stati lì, ad aspettarla, anche l’indomani. Arrestò lo scroscio e ne uscì rigenerata. Un sospiro di sollievo la motivò a perseguire ciò che la sua testa le aveva suggerito per tentare di sorprendere quel ragazzo che, sin dal primo momento, era riuscito con una naturalezza disarmante a fare breccia in quella corazza costruita per ripararsi dal dolore immenso provocato, in primis, dall’abbandono subito in tenera età. Poco male, certo, ogni fibra del suo corpo poteva percepire il bene che, quella scelta aveva donato in favore alla sua vita, d’altra parte, all’epoca non era altro che una bambina e un trauma così grande era, di per sé, difficile da digerire. Gli strascichi si facevano ancora sentire e lei non poteva farci proprio nulla per cambiare le carte in tavola, se no auto convincersi di essere abbastanza forte da poter riscrivere la sua storia dall’inizio, facendo riferimento a ciò che di buono aveva incontrato lungo il suo tortuoso cammino, caratterizzato da alti e bassi. Nathan era il picco. Una ventata d’aria pura, giunta nel momento più opportuno. Un regalo da parte di Merlino, forse. Se solo avesse creduto alle divinità, sarebbe corsa ad accendere uno di quegli stupidi ceri che si portavano in dono, per porre nelle loro mani speranze e sogni. Insomma, cazzate. Tornò nei pressi del suo letto e ci si accasciò sopra, ancora avvolta dal suo scarlatto asciugamano, posizionato per celare le sue forme, dando quella parvenza di privacy così sopravvaluta. Era giunta l’ora. Perdere tempo si sarebbe rivelato un rischio, considerando la sua necessità di cogliere di sorpresa il malcapitato per fare di lui un prigioniero con i fiocchi. Sì. Un sequestro di persona, in fondo sembrava un vizio di famiglia, probabilmente sarebbe riuscita nel su intento, senza neanche troppa fatica. Il DNA non mentiva. Passò la mano tra i capelli bagnati e, alla fine, si decise a muovere le sue chiappe d’oro. In pochi minuti i preparativi giunsero al termine e il suo outfit impeccabile la rallegrò. Osservò l’ora e sistemò i capelli per poi rivolgere un gesto di intesa a Freya, distratta da chissà quale pensiero impuro nei confronti di chissà chi. Quella ragazza l’avrebbe mandata ai matti, se avesse continuato sulla strada del mutismo. Pffff. Abbandonò la stanza e si addentrò nel covo delle serpi dove, come al solito, a perdere tempo prezioso, vi erano quelli che lei definiva balordi. Uno su tutti David Harris che, senza alcun motivo apparente, viaggiava con quel suo muso lungo improponibile e fastidioso. “Harris grande!” Lo salutò poco cordialmente, posandogli una mano sulla spalla per poi superarlo in tutta fretta. “Morto il gatto?” Ironizzò ma neanche tanto, poi. Lei per prima si definiva stronza intrattabile ma non era affetta da una paresi facciale che le impediva di cambiare espressione in base a chi si trovasse al suo cospetto. “Stammi bene.” Non si voltò, non attese una risposta ma, in lontananza, avvertì una specie di brontolio che la portò ad alzare il terzo dito, congedandosi definitivamente da quel luogo che era fiera di poter definire casa.
    Riemerse dai sotterranei giusto in tempo per intercettare uno dei compagni di squadra del rosso-oro, al quale rivolse un sorriso di circostanza prima di pararsi davanti a lui, impedendogli di proseguire per la sua strada, lontano dalla vipera per antonomasia. “Nathan è già rientrato?” La squadrò, forse chiedendosi del perché fosse così interessata alle mosse del cacciatore. Il sopracciglio rosso fuoco schizzò all’insù, impaziente. ”Sta arrivando!” Affermò con un filo di voce, prima di essere liberato da quella morsa infernale rappresentata dalla prorompente fisicità della Scamander. “Grazie, tesoro! Che Morgana ti abbia in gloria!” Con gentilezza raggiunse la parete nei pressi della scalinata centrale e si appoggiò ad essa, in trepidante attesa che dall’entrata principale facesse capolino il destinatario delle sue attenzioni. Non passo poi molto. Il suo campo visivo fu invaso dalla sua presenza, accendendo il lei il desiderio di stringerlo a sé. Calma. Sangue freddo. Correre non sarebbe servito al fine di quello che, per lei, era un regalo di Natale anticipato. Beh, più o meno. Neanche aveva idea se quel tipo di accorgimenti sarebbero serviti per far felice il biondino. Lentamente, celando la sua presenza, gli si parò alle spalle, circondandogli la vita da dietro e, così, obbligandolo ad arrestare la sua corsa verso il meritato riposo post allenamento. Quel giorno, avrebbe fatto meglio a rinunciarci o, meglio, a spostare il suo rilassamento verso nuovi orizzonti, da lei minuziosamente scelti per loro. Insieme. Si staccò solo per prendergli la mano e, dopo essersi alzata sulle punte dei piedi per posargli un bacio sulla guancia, lo invitò a seguirla, sulla fiducia. “Vieni con me!” Un tacito invito a non porre domande. Non in quel momento. Sarebbero state superflue. Lo trascinò a lungo fino a quando, a distanza di circa cinque minuti, si trovarono davanti alla stanza in disuso, proprio lì dove, un anno prima, si era ritrovata immersa in una piccola avventura che aveva portato lei e la sua amica Reina a scoprire un luogo che aveva custodito gelosamente, come se si sentisse in dover di proteggere quel momento condiviso con chi, oramai, non faceva più parte della sua vita. L’attesa poteva dirsi terminata. Aprì la porta e il caos caratterizzante quella che prima altro non era stata che un’aula, si palesò a loro. Sempre uguale. Era certa che le visiti a quel luogo fossero ridotte ai minimi termini, altrimenti qualcuno si sarebbe preso la briga di ridare un aspetto decente a quello spazio che sarebbe potuto tranquillamente potuto utilizzare in altri modi. “Eccoci arrivati!” Lasciò la presa e si mise a curiosare in giro, alla ricerca di un piccolo Arci. Oh, sì. Quello era il covo di mille e più Arci, viste le ragnatele sistemate quasi come ornamento. Ora che la meta era stata raggiunta, però, sbrigare la parte del piacere, le avrebbe migliorato l’umore. Tornò da lui e, senza troppi complimenti, gli sfiorò le labbra con lei sue scarlatte, circondandogli il collo con le braccia per approfondire quel contatto che le era tanto mancato. “Mi sei mancato, Nate!” Dopo il falò, il loro rapporto aveva subito un cambio di direzione, minato da equivoci alimentate, forse, dalle malelingue che non attendevano altro che infangare il suo buon nome. Per quanto si fosse comportata da perfetta idiota, mossa da una gelosia immotivata, Rain, davanti a lui si sentiva fragile. Umana. Il terrore di compiere un passo falso, ora, stava alla base della sua attenzione. “Avevo bisogno di passare del tempo con te!” In maniera disinteressata, con i vestiti addosso perché, dopo parecchio tempo, la verde-argento era presa da qualcuno non solo sul piano fisico ma, soprattutto, su quello mentale. Un livello pericoloso e di difficile gestione per chi, come lei, non si era mai posta il problema di quanto potesse essere faticoso non deludere qualcuno e no, lei non aveva alcuna intenzione di vederselo scivolare via delle dita. Lei teneva a lui e neanche aveva faticato ad ammetterlo a sé stessa. “E poi…” Voltò le iridi castane verso la parte ovest della stanza, occupata dall’armadio che li avrebbe trasportati in una specie di dimensione differente da quella. “… volevo mostrarti una cosa.” Mancavano tre giorni al momento fatidico dell’apertura dei regali ma l’impazienza aveva preso il sopravvento.
     
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