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With Halley M. Wheeler

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    Traccia: Teenagers
    Artista: My Chemical Romance
    Album: The Black Parade, 31 ottobre del 2006.
    Avevo scelto questa canzone, in loop, come colonna sonora per accompagnarmi tra i corridoi e le fottute scale "vivaci" di quella che per almeno un anno sarebbe stata la mia nuova casa. Dopo due anni ero riuscito a convincere i miei genitori che stare in Giappone mi stava solo danneggiando e che trasferirmi in un paese anglofono non avrebbe fatto altro che aiutarmi in tanti modi diversi, tipo avere finalmente degli amici!

    Certo, forse se avessi iniziato la scuola come tutti gli altri il primo del mese la cosa sarebbe stata molto più fattibile. E invece no, per qualche assurdo motivo dovevamo viaggiare con gli aerei invece che utilizzare qualche...portale magico (?) Per arrivare a Londra e facendo ciò non solo mi ero perso la possibilità di interagire con qualcuno alla famosa cena di benvenuto, no, mi ero perso anche il treno pieno di gente al famosissimo binario 9¾.
    Come prima esperienza non tutto stava andando per il meglio, ma non potevo demoralizzarmi subito no? No!
    Questa opportunità che ho cercato e ottenuto era la mia unica ed ultima possibilità di dimostrare ad entrambi i miei genitori che non ero io quello sbagliato, bensì tutto il sistema scolastico e sociale di Mahoutokoro.
    Non solo per loro dovevo farlo, ma anche per me stesso. Gli ultimi due anni avevano minato quelle poche certezze che avevo sulle mie capacità relazionali e dovevo dimostrare che...semplicemente non ero rotto!

    Ma cazzo se mi sentivo fuori luogo ad attraversare quei corridoi, per me così nuovi da mettermi a disagio, ripieni di tantissimi studenti del tutto sconosciuti. Non riuscivo a tenere la testa alta, gli erano occhi fissi sul pavimento, mentre l'unico pensiero che svolazzava da una parte all'altra della mia testa era una frase della canzone che stavo ascoltando in quel momento.

    Teenagers scares the livin' shit out of me

    Ero uno di loro, almeno anagraficamente, eppure vedere un gruppo di ragazzi, magari anche più piccoli, insieme che si facevano i loro affari mi metteva ansia.

    Stanno parlando di me?
    Che vergogna, forse sanno che ho 16 anni e vado al terzo anno!
    Peggio ancora, forse sanno che sono stato bocciato due volte di fila


    Nessuno in realtà stava badando minimamente a me, ma questo non potevo saperlo visto che ero fin troppo preso dalle mie paranoie da Side Character


    Devo muovermi a raggiungere la sala grande!

    Accelerai il passo per raggiungere la mia meta, dove avrei dovuto incontrare il Prefetto della mia casata che malauguratamente per lui/lei avrebbe dovuto farmi da guida per il castello. Probabilmente tale persona mi stava un po' maledicendo per farle sprecare il sabato mattina in questo modo, era più che comprensibile, ma non era stata una mia scelta e questa cosa l'avrei specificata immediatamente!

    Chissà come sarà questo Prefetto...

    Nel mio immaginario, per essere uno studente e stare dietro agli altri della propria casata, questa persona doveva essere una specie di superuomo con ottimi voti in tutte le materie e una capacità di gestione e di problem solving fuori dall'ordinario!

    Una persona ammirabile e rispettabile, quindi non fare stronzate Yuki!


    Yuki
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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Lezioni. Allenamenti. Le stronzate di David e, ora, anche i doveri da prefetto. La sua vita le aveva appena regalato un’altra dose di frenesia non richiesta. E quando mai? Una piega simpatica. Davvero. Una rapida occhiata all’ora e si rese conto che il tempo le era letteralmente sfuggito al controllo. Succedeva spesso quando si trovava lassù, alle prese con i pericolosi bolidi che in più di un’occasione avevano messo a repentaglio la sua vita. Letteralmente. La finale era costata cara a lei e a Grace ma, nonostante le ferite riportate, entrambe, non avevano perso tempo, tornando in sella a quel mezzo che riusciva a conferire più soddisfazioni delle persone stesse. Planò verso il terreno sancendo la fine del suo solitario personalissimo esercizio e, dopo aver sistemato nel baule le pericolose palle, si fiondò verso lo spogliatoio femminile. Liberò il corpo dalla striminzita divisa e raggiunse la doccia. L’acqua scorreva sulla pelle e l’adrenalina cominciò a scendere, rilassando il sistema nervoso. L’equilibrio fu ripristinato e ad Halley non rimaneva che tornare lasciare il suo ruolo di vice-capitano e vestire quello di Prefetto, giusto in tempo per essere utile a uno degli studenti appena trasferiti da Mahoutokoro, la scuola di Magia giapponese. Affascinante. Aveva sentito parecchie storie sulle usanze degli studenti orientali e, senza dubbio, alcuni aspetti erano riusciti ad intrigarla a tal punto da solleticare la sua curiosità. Aspetti che, forse, un giorno avrebbe avuto modo di approfondire in una sede consona. Si lasciò alle spalle il campo da quidditch e, a passo spedito, raggiunse la sua stanza, così da poter mettere al sicuro la sua attrezzatura. Si sporse verso lo specchio e legò i capelli in una coda alta, ordinata, levando di mezzo i ciuffi in eccesso e, finalmente, fu pronta ad affrontare quello scoglio enorme rappresentato da una prima conoscenza con una personalità con la quale non era mai entrata in contatto. Sarebbe stata una facile gestione? L’avrebbe trovata insopportabile? Ahhhhh. Che cazzo. Una presa di coscienza improvvisa. Non avrebbe mai pensato di ritrovarsi così dubbiosa davanti a quello che, da lì in avanti, sarebbe stato un suo compito. Far sentire a proprio agio i nuovi arrivi. In fondo anche lei lo era stata e trovare rifugio in coloro che disponevano di più esperienza, l’aveva aiutata ad appropriarsi di una sicurezza in sé che aveva tramutato in risultati che, lentamente, erano arrivati rendendola fiera della giovane donna che era diventata. Sbucò fuori dal ritratto e si voltò indietro, in attesa della sua chiusura. Non l’avesse mai fatto. ”Miss Wheeler.” Si voltò di scatto, nella speranza che quello scambio di convenevoli terminasse prima di subito. ”Mai un sabato mattina tranquillo, eh!” La stava controllando? Vero era che quella mattina aveva già creato scompiglio, scivolando fuori dalla Sala Comune all’alba, così da poter usufruire del suo spazio preferito in totale armonia ma da lì a farle i conti in tasca ne passava ampiamente. “Dovere, Madame.” Non si soffermò sulla natura delle sue responsabilità. Per quanto rispettasse ogni singola personalità ritratta in quei quadri, Halley, trovava la Signora Grassa eccessivamente interessata agli affari altrui. Una vera ficcanaso dalla voce stridula. “Vorrei rimanere a fare quattro chiacchiere ma, ahimè, il tempo è tiranno.” Un po’ come lei in campo. ”Stia alla larga da quell’Harris. Che Merlino lo abbia in gloria.” Certo, come no. Le voci in quel castello giravano troppo velocemente ma nessuna sembrava essere a favore di David. Peggio per lui. “La ringrazio per il consiglio. So badare a me stessa.” Sorrise affabilmente mentre, dentro di lei, la voglia di urlare si sprigionò tanto da trovarsi impegnata a contenerla. Cazzo. Quanto tempo aveva perso dietro a quelle sciocchezze? Si sbrigò e, finalmente, si trovò nei pressi della Sala Grande, da dove poi avrebbe preso il via il loro tour. Eccolo! Dopo una breve panoramica lo intercettò e i suoi tratti la indussero a credere che fosse proprio la persona giusta. “Buongiorno.” Esordì, mostrando un sorriso sincero. “Devi essere Yuki, giusto?.” Porse educatamente la mano destra per le presentazioni di rito. “Come avrai capito io sono Halley Wheeler, la tua guida per questa mattina.” Se fosse un bene o un male l’avrebbe deciso lui strada facendo. “Che dire? Benvenuto a Hogwarts.” Scherzò mentre si prendeva la libertà di posargli una mano sul braccio, esortandolo a farsi avanti. “Come mai questo cambiamento drastico?” Culturalmente parlando, un passo del genere, avrebbe arrecato una trasformazione radicale dell’intera esistenza, soprattutto a quell’età. “Ovviamente, se hai qualche domanda beh, sono qui per te!” Un punto di riferimento. Situazione bizzarra in quanto lei stessa avrebbe avuto bisogno di qualcuno che la guidasse in quel viaggio chiamato: vita. Scolasticamente parlando, beh, se la sarebbe potuta tranquillamente cavare con le sue stesse forze, così come aveva sempre fatto sin dal primo anno. Tracciò mentalmente il percorso più semplice che avrebbero potuto seguire e, quando fu libera da ogni pensiero, rivolse lo sguardo smeraldino su di lui, cercando di apparire serena a ben disposta a adempiere al suo dovere che, chissà, forse si sarebbe tramutato in piacere.



     
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    Approfittai dell'attesa, che fu circa di due cicli della canzone, per affacciarmi con il viso verso l'interno della sala grande e ammirare quell'enorme spazio in cui decine e decine di ragazzi si riunivano per mangiare, studiare o anche solo per passare del tempo insieme. pazzesco pensai dopo aver puntato gli occhi verso il cielo riflesso sul soffitto, azzurro e limpido esattamente come quello all'esterno. Nonostante avessi già frequentato ben due scuole di magia totalmente diverse tra loro, nulla poteva raggiungere lo splendore e il fascino di Hogwarts. Ilvermorny per certi versi era molto simile alla scuola britannica, a partire dalla presenza di quattro casate e all'impostazione architettonica, ma dal mio punto di vista mancava in qualcosa. Forse la storia, forse il clima in sé che rendeva questo posto quasi nostalgico o forse semplicemente il primo impatto sul sottoscritto era stato più che buono.
    Con una serenità ritrovata e un piccolo sorriso accennato tornai nella mia posizione precedente, giusto in tempo per captare la figura di una ragazza a pochi metri da me che a passo svelto si avvicinò con un largo sorriso sulle labbra, rivolgendomi la parola. Riuscì a togliermi le cuffie giusto in tempo per sentire la sua presentazione dopo aver posto la mano in avanti per salutarmi. Lasciai gli auricolari scivolare all'interno del maglione grigio mentre con la mano destra, prima di rispondere al suo saluto, andai a cliccare il tasto posto nella zona del microfono per interrompere la musica.
    Le rivolsi il timido sorriso che da poco prima aveva preso posto sulle mie labbra e risposi alla stretta di mano, sentendo nel mentre la bocca asciugarsi e il battito accelerare. Era davvero da tantissimo tempo che non entravo a contatto con qualcun* della mia età, ma in generale con qualcuno. Dacché ricordassi I miei genitori, specialmente da parte di mia madre, non avevano mai mostrato il loro affetto fisicamente, erano più che rari i baci e gli abbracci, per loro le parole e i gesti erano più che sufficienti. Nella società Giapponese e a Mahoutokoro non era comune il contatto fisico come mezzo, nemmeno tra gli amici, tanta era la rigidità della cultura. Mi trovai quindi ancor di più in difficoltà quando sentì il suo gentile e leggero tocco sulla spalla.
    Ottimo lavoro Yuki, già in tilt!

    Allora...

    Mi soffermai un'attimo a pensare a come poter spiegare ad una perfetta sconosciuta, la situazione senza sembrare un moccioso che non voleva assolutamente stare in Giappone perché incapace di adattarsi ad una nuova realtà e...effettivamente un modo non c'era.

    Diciamo che in realtà il cambiamento drastico è stato andare lì. Seppur sia per metà giapponese ho passato tutta la mia vita negli States e ho studiato per i primi due anni ad Ilvermorny, fin quando mia madre non ha ricevuto una chiamata dal suo paese natio per lavoro e sono stato costretto a trasferirmi con lei e mio padre e dopo due anni eccoci qui, ad Hogwarts, come soluzione temporanea che andava bene ad entrambi.

    Ovviamente da parte mia non andai a spifferare tutte le mie cose, ma come riassunto generale poteva andare più che bene no? Rispondeva in maniera esaustiva alla sua domanda.
    Ad essere totalmente sinceri non sapevo nemmeno cosa dire o fare, mi aspettavo un qualcuno che scarozzasse a destra e sinistra a vedere anche gli angoli più remoti del castello, ma al mio fianco mi ero ritrovato una persona molto gentile e disponibile che aveva lasciato a me decidere cosa fare/dove andare.

    Se devo essere sincero Halley-sa...

    Mi bloccai, maledette onorificenze giapponesi!
    Colpa di tosse e via.

    Dicevo: Mi dispiace arrecarti questo impegno di dovermi portare in giro per il castello, credimi, non l'ho chiesto io ma è una cosa che mi è stata imposta.

    Dissi come a volermi già scusare per il disturbo, senza sapere minimamente cosa pensasse la diretta interessata, ma era una premessa che mi sentivo di fare prima di continuare "l'esplorazione"

    Vorrei che mi parlassi un po' di Hogwarts in generale, come l'hai vissuta e la stai vivendo te. Se è successo qualcosa di eclatante ultimamente di cui tutti sono a conoscenza e di che aria butta tra le varie case e di come funziona la coppa delle case, questo sì che mi incuriosisce!




    Yuki
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    Il cambiamento. Spaventoso sotto vari aspetti. L’aveva provato sulla sua pelle. La sua quotidianità era mutata radicalmente. Così. Dall’oggi al domani, presentandole il conto di quella che era la genetica. Un qualche cosa che mai e poi mai si sarebbe cercata ma che, sfortunatamente, le era stato destinato a causa della sua linea di sangue. Difficile farsene una ragione quando, per un motivo o per l’altro, la svolta non derivava dalla volontà del singolo ma da una serie di motivazioni esterne e spesso contrastanti con la propria intenzione. I mesi erano passati ma gli sforzi per adeguarsi, ancora non trovavano fine, trascinandosi appresso sensazioni devastanti e sfiancanti. Nonostante tutto, però, l’abitudine aveva preso il sopravvento, dando una parvenza di normalità in quel disagio che sapeva benissimo di dover affrontare a muso duro, prima o poi. Tenersi occupata, quindi, non faceva altro che sollevarla da quel peso dato dalla serrata preoccupazione di non riuscire ad accettare la nuova lei imposta dal fato. Trattenne il respiro per un istante, lasciando scivolare via quella specie di depressione a favore del ruolo che, in quel momento, stava ricoprendo. Una guida. Un tramite tra il nuovo arrivato e l’ambiente nel quale si sarebbe, presto, inserito. Ogni sua parola avrebbe potuto influenzare il pensiero del ragazzo e, certamente, non era sua intenzione lasciar trapelare il suo insidioso malumore. Fu grata della sua puntualità e, dopo i convenevoli di rito, insieme, presero a camminare verso mete sconosciute, tra una domanda scomoda e l’altra. Rimase in silenzio, ascoltando il racconto di colui che un cambiamento lo stava vivendo lì, in prima persona. Che fosse un bene o un male, forse, lo avrebbe spiegato di lì a poco. Così fu. Più parlava, più si rendeva conto che la reale faccenda andava ben oltre ad un semplice trasferimento. L’interesse si fece vivo e quando il quadro fu chiaro, Halley, si prese la briga di replicare, facendo attenzione a non invadere la sua sfera privata in maniera sfacciata. “Dura disciplina, eh!” Spesso aveva sentito parlare di Mahoutokoro da sua madre. L’aveva elogiata, arrivando a credere che il rigore utilizzato all’interno di quella scuola, sarebbe servito a rimettere in riga quella ragazza deviata che aveva per figlia. Roteò gli occhi per puro riflesso e scaraventò la figura materna in un limbo, nella speranza di non doverla tirare fuori per qualche tempo. “Sei fuggito, insomma.” La buttò sulla battuta, come per voler alleggerire una possibile atmosfera nostalgica. “Soluzione temporanea?” Domandò quasi di getto, con una nota di delusione nel tono di voce. “Ti deve mancare molto l’America, allora.” Sembrava quasi un dato di fatto. La forza dell’abitudine aveva un grande potere. Lei stessa, durante le vacanze estive, era stata minacciata di una possibile migrazione verso le terre nipponiche. Il desiderio materno di allontanarla da Hogwarts, dai suoi amici, dal suo modo di vivere, aveva raggiunto il culmine, portandola a credere che quella sarebbe stata la soluzione definitiva per riportare sua foglia entro quei limiti a lei tanto cari. Fanculo. Non ci era riuscita, ottenendo anzi l’avversione del soggetto, vittima dei suoi deliri. “Mia madre è nata a Osaka, sai?” Quella maledetta! Una info di servizio, non richiesta ma pur sempre un modo per imbastire un discorso e per evitare momenti morti, caratterizzati dal silenzio assordante, padre del maledetto imbarazzo. “Da padre e madre inglesi emigrati in Giappone.” Niente di serio quindi. Nata là per sbaglio, insomma. Gli lasciò campo libero. Intrappolarlo in una visita guidata del Castello, non era di certo sua intenzione ma, al contrario, avrebbe voluto mostrargli ciò che più rientrava nel suo interesse personale, lasciando le non priorità per ultime –se ci fosse stato tempo, ops!-. I corridoi infiniti li inghiottirono, trasportandoli nel bel mezzo dell’attività che le era stata assegnata quasi d’ufficio dalle alte cariche scolaste. Il suo mero dovere e poi le faceva sempre piacere poter aiutare qualcuno ad ambientarsi in un contesto che, se sconosciuto, sarebbe potuto tranquillamente apparire ostile. “Ehi ehi ehi! Shhhh!” Lo zittì giocosamente. “Non scusarti. Forse alla fine sarò io a dovermi scusare con te per la mia monotonia.” Scherzava ma neanche tanto. Non aveva alcuna idea di quanto potesse essere tagliata per quel tipo di attività. L’anno scolastico era iniziato da pochissimo e i suoi doveri da Prefetto erano ancora tutti da scoprire. “Credimi. Nessun impegno. Mi fa davvero piacere.” Gli sorrise sinceramente. “Questa mattina, tra l’altro, sono già reduce da un duro allenamento.” Le piaceva occupare il campo all’alba, in solitudine, lontana da fonti di disturbo che avrebbero potuto minare la riuscita del suo allenamento individuale, nonostante fosse tremendamente legata alla maggior parte dei membri della sua stessa squadra che, l’anno precedente, aveva sbancato qualsiasi cosa si potesse sbancare. La fierezza era ancora presente in lei e non avrebbe mai ringraziato abbastanza tutti quanti per il grande regalo. “Niente mi spaventa!” Soprattutto quando si doveva fare gli onori di casa e, poteva dirlo, quelle mura rappresentavano per lei una vera e propria casa. Abbassò lo sguardo, cercando di riordinare quei pensieri che poi avrebbe utilizzato per spiegare cosa rappresentasse Hogwarts per lei. “Posso solo dirti che è il mio luogo sicuro.” In quella frase vi era racchiuso tutto il significato possibile. La sua residenza a Londra –che aveva accuratamente evitato, andando a stare da David nei giorni che precedevano il rientro tra i banchi di scuola- aveva perso la sua essenza, trasformandosi nel luogo di ricordi lontani, sbiaditi e dolorosi. “Eclatante, dici? A parte esserci aggiudicati il campionato di Quidditch e la Coppa delle Case? No, niente.” Concluse rimanendo umile. “Ti sei perso il falò di rientro. Niente di grave. Avrai modo di rifarti durante i prossimi eventi. Perché parteciperai, non è vero?” Era sempre cosa buona e giusta dare modo agli altri di conoscere sé stessi e, perché no, costruirsi una reputazione. “Molti pregiudizi sono stati superati. Si vive in pace.” Per il momento. Bastava prendere in considerazione le varie relazioni intraprese tra studenti che dello stemma ricamato sulla divisa se ne fregavano altamente. Lei in primis, nonostante la sua rimanesse una scelta discutibile. “Frequenta le lezioni. Svolgi i compiti. Comportati in maniera da non dover spingere le cariche a sottrarti punti e tutto andrà bene. La Coppa rimarrà nelle nostre mani.” Nessuno si sarebbe fatto male e per il ruolo da scapestrato già vi era un candidato e rispondeva al nome Liam. Il suo più grande incubo. “Sei in ritardo ma non così in ritardo da per avere problemi di integrazione, ne sono certa.” Dopo avergli mostrato alcune aree principali della quotidianità studentesca, Halley, decise di spingersi oltre nella conoscenza dei suoi gusti personali. “Ti piace il Quidditch?” Certo, non parlare di quello sport sarebbe stato un enorme peccato, soprattutto per una battitrice dal discreto talento come lei. Discreto. Quanta finta umiltà.



     
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    "Dura disciplina, eh!"
    "Ti deve mancare molto l’America, allora.”


    Per qualche secondo queste sue due affermazioni lasciarono intorpidito il mio essere, bloccato in ogni azione che comprendesse l'uso del cervello in ambiti che non fossero il camminare e lo stare attento a non inciampare facendolo. Una veloce, ma intensa, fitta attraversò il mio cuore che prese ad battere forte come poche volte aveva fatto. agitato.
    No, non era solo la dura disciplina. Era tutto il resto. La chiusura mentale verso l'estraneo, le restrizioni per chi non è -interamente - giapponese, le attività limitate e la conseguente emarginazione a livello sociale che poi rappresentava per chi in quel mondo voleva solo coabitare e non invadere.
    Solo ripensare a quei momenti mi saliva ansia. Essere guardato male da quelli che venivano chiamati purosangue per aver osato intervenire a lezione con il mio giapponese rotto, preso in giro per aver sbagliato un termine o addirittura ripreso per non aver usato le loro stupide onorificenze.
    Questo il primo motivo che mi portò in quello stato di trance mentale, il secondo fu il ricordo della mia terra e dei dubbi che si erano insinuati al mio interno mesi fa quando avevo deciso di affrontare i miei genitori sul ritornare o meno a "casa"

    D'altronde erano passati due anni e ai tempi ero più piccolo, tornare lì non mi dava alcuna di garanzia. Avrei dovuto affrontare tutta quella gente, una volta considerata amica, che di punto in bianco aveva deciso che sì, non aveva bisogno di Yuki Rhodes nella propria vita e aveva smesso di rispondere alle lettere spedite, oltre al fatto di ripartire da dove avevo lasciato con gli studi. Farlo qui ad Hogwarts, per quanto imbarazzante, pensavo sarebbe stato più facile da digerire visto che non ho conoscenze e che avrei potuto vivere meglio la mia vita da fantasma se il piano "Fare conoscenze, diventare più socievole e avere amici" fosse fallito.

    Ripresi controllo delle mie scarse abilità cognitive quando la prefetto mi si rivolse con un sorriso, accennando al fatto di essersi sottoposta a qualche tipo di allenamento prima del nostro incontro. Facendo qualche conto mentale veloce, mi resi conto di come si fosse praticamente svegliata all'alba.
    FOLLIA!
    Svegliarsi presto la mattina rientrava nella cerchia delle:"Top tre cose che Yuki Rhodes odia"
    Se mi fossi trovato in una stanza con un pericoloso prigioniero di Azkaban e una figura fisica che rappresentava "lo svegliarsi presto" con la possibilità di eliminare uno dei due per sempre allora state certi che il prigioniero non avrebbe attirato minimamente le mie attenzioni!

    Fanculo la sveglia
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    Ah, sto divagando nuovamente.


    Mi concentrai nuovamente su di lei, sul suo sorriso, sulle sue parole. Dalle sue labbra non uscirono altro che parole d'amore e orgoglio per la scuola, per le sue attività e per i risultati ottenuti l'anno precedente. Sembrava così fiera di sé e della casata di Grifondoro per aver ottenuto la doppietta Coppa delle Case-Campionato di Quidditch, la sua energia ed euforia risultavano quasi contagiosi. Addirittura accennai ad un piccolo sorriso, lasciandomi andare per la prima volta in sua presenza. Sembrava così facile lasciarsi trasportare da lei.

    Il Quidditch dici? In america va più il Quodpot, ma personalmente ho sempre preferito la vostra variante, quella originale. Ad Ilvermorny non ho mai avuto la possibilità di interagire con nessuna delle due, ai tempi ero ancora piccolo e le iscrizioni partivano solo dal terzo anno. In Giappone invece...

    Mi fermai in mezzo al corridoio, rimanendo un paio di passi più indietro rispetto a lei, mentre qualche bambino del primo anno ci passava vicino di corsa verso la Sala Grande in cerca di dolci da dividersi.
    Sapevo che non potevo lasciarmi abbattere nuovamente dai ricordi dopo aver finalmente ritrovato il sorriso, ma non era facile. Essere esclusi solo perché le regole di Mahoutokoro non permettevano ai Gaijin di partecipare in maniera agonistica fu uno dei primi reality Check che ritrovai nel paese del Sol Levante. Mi venne detto ai tempi che era stato deciso per tutelare la nazionale giapponese e i loro talenti.

    Come se avessero poi mai vinto qualcosa, Tsk!

    Mi ripromisi che sarei diventato un fortissimo cercatore e che avrei portato gli Stati Uniti alla vittoria della Coppa del mondo proprio contro il Giappone, ma il mio era solo uno sfogo di un bambino ai cui era stato negato l'ingresso in squadra per una condizione a cui non poteva nemmeno porre rimedio.

    ...Diciamo che non mi è andata bene con le selezioni, mi piacerebbe però provare ad iscrivermi per aiutare la casata!
    E per distruggere il Giappone!
    Il mio status di Hater poteva essere aggiornato: Nemico pubblico giapponese numero uno!

    Mi sembra di capire che tu faccia parte della squadra, sai indicarmi le cose da fare se voglio provare a far parte del team? Anche se forse non si direbbe molto, ma sono molto competitivo

    Al diavolo tutto!
    Era un'occasione più che ghiotta:

    - Vendicarmi del Giappone
    - Giocare a livello agonistico al mio sport preferito
    - Fare amicizie all'interno della squadra
    - Chissà, magari fare qualcosa di importante e farmi un nome

    Tutto con una semplice mossa? La perfezione!
    Halley avrebbe potuto tranquillamente notare il cambiamento radicale avvenuto in me in seguito alla sua domanda: Niente più voce bassa e timidezza, niente occhi verso il pavimento ad evitare il contatto con i suoi, anzi, avevo fatto in modo di far riflettere le mie iridi scure con le sue verdi per farle capire la serietà delle mie intenzioni!





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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    La disciplina. Quel concetto fondamentale su cui si basano tutti i successi. Lo sapeva bene lei che, per anni e anni, si era sentita ripetere quanto le regole fossero importanti per guadagnarsi una posizione di spicco nella vita. Pura utopia. Punti di vista opinabili. Ininfluenti al fine della sua crescita personale. Era vissuta tra l’incudine e il martello. Se da un lato aveva una figura genitoriale rigorosa e attenta anche alla più insignificante peculiarità; dall’altro vi era suo padre: Jason Wheeler, la libertà fatta a persona. Colui che tutto poteva e nulla lo contrastava. Per lei un esempio da seguire. Non era stato difficile scegliere la fazione che si sposasse perfettamente con il suo animo ribelle e, così, era divenuta una giovane donna intraprendente che raramente si lasciava impressionare da eventi inaspettati. Andava fiera. Ciò, però, provocò una rottura radicale con il fronte opposto, scavando una profonda crepa nel legame che avrebbe dovuto unire una madre alla propria figlia. Disgregazione. Distruzione. Tutto era andato frantumandosi, lasciando intatto l’affetto che, comunque, non sarebbe mai svanito nonostante reputasse sua madre una donna algida e priva di empatia. Il rigore utilizzato nei suoi riguardi, infatti, aveva sortito un risultato differente da quello atteso e, proprio durante la sua ultima permanenza in quel di Londra, Halley, aveva preso la decisione di sgattaiolare fuori dal luogo della sua infanzia per rifugiarsi tra le mura dell’alloggio improvvisato dei fratelli Harris, dove aveva passato gli ultimi momenti estivi, prima della ripartenza per Hogwarts. A cosa, quindi, erano valse le regole imposte da sua madre? A nulla. Si era giocata una figlia e, presto, probabilmente anche suo marito si sarebbe schierato a suo favore, convinto che fosse la soluzione migliore per aiutare la sua bambina a uscire da quel limbo dato dall’estrema preoccupazione che il suo grande potere le aveva inferto. Alzò le spalle, superando quel discorso al di fuori della portata di entrambi. Infatti, anche il nuovo acquisto, appariva pensieroso come se una delle sue affermazioni avessero colpito nel segno, lasciandolo perplesso sul da farsi. Forse aveva toccato un nervo scoperto e, per nessun motivo, si sarebbe permessa di insistere su punti potenzialmente dannosi per quel ragazzo che, a primo impatto, appariva ok. Nei suoi canoni. Sulle labbra della battitrice comparve un sorriso di circostanza ma pur sempre sincero, volto a portare la discussione su un altro piano, più comodo e meno imbarazzante. Riduttivo. Quello, per lei, era l’argomento. Il più importante. Il più interessante. Di vitale importanza: il quidditch. Quello sport rappresentava la sua essenza. Il suo essere libera. La leggerezza che qualche mese addietro l’aveva rappresentata, prima che su di lei franassero dei veri e propri macigni che le aveva soffocato quell’entusiasmo che rimpiangeva ogni giorno. Se l’era voluto? Sì, da un lato. Ma dall’altro? Il destino infame l’aveva investita in pieno, senza permetterle di scansarsi un po’ più in là in tempo per portare in salvo le sue tormentate speranze per un futuro degno di essere chiamato tale. C’era da dire, però, che mentre in molti l’avevano tradita, il quidditch no. Le era rimasto fedele e le sue abilità l’avevano aiutata a condurre la sua squadra verso la vittoria. La gioia che ne era derivata era stata così grande che ancora le sembrava di avvertire sulla sua pelle l’emozione di quel successo tanto gratificante. Annuì. “So tutto a riguardo!” Oh, sì. Non le sfuggiva proprio nulla a riguardo. Quante ore aveva passato a leggere libri rivolti a quegli argomenti per lei di fondamentale importanza? Troppe. Forse arrivando addirittura a togliere il tempo a materie senza dubbio più importanti per la sopravvivenza in quel mondo ostile. Ma che importava? “Reputo il quidditch, però, più interessante. Più giocabile e più brutale. Non trovi anche tu?” Abbassò lo sguardo, posandolo sulla sua gamba –tornata alla normalità dopo la convalescenza-. “Ma forse sono di parte!” Senza contare il fatto che stravedeva per i suoi compagni di squadra che, oramai, si erano rivelati essere la famiglia che non aveva più. Due dei suoi più cari amici vestivano la sua stessa divisa e in campo come fuori, avrebbe messo nelle loro mani la sua sorte. Ad occhi chiusi. Perché questo era lo spirito che esigeva una volta decollati. “Ho iniziato a volare quando aveva quattro anni.” Tralasciò, però, un simpatico dettaglio che l’aveva vista protagonista di una spettacolare caduta tra i cespugli del giardino del vicino. A testa in giuù, come solo una vera idiota sapeva fare. “Non si è mai troppo piccoli!” Però, come di consueto, le regole erano pur sempre regole e come tali andavano rispettate in toto, senza alcuna riserva. Lasciò che terminasse il racconto, cercando di comprendere quali fossero le sue intenzioni reali. Allargò le braccia per poi lasciarle aderire ai fianchi. Ed ecco lì, davanti a lei, un aspirante discepolo (?)- Il suo volto si illuminò e la tensione data dalle preoccupazioni andò ad affievolirsi. Il tono di Yuki si fece più sicuro, intenso. Come se avesse trovato la sua confort zone in quelle asserzioni. Ben per lui ma, soprattutto per lei. “Ehm…” Portò l’indice al mento, assumendo un’aria pensierosa. “Hai mai sentito parlare della tiranna?” Domandò, sapendo già sarebbe stata una risposta negativa. “Dicono che sia tremenda.” Un capitano esigente. Affetta da una strana forma di follia, amplificata durante le sessioni di allenamento. “Beh, mio caro Yuki…” Avrebbe posto fine a quello stupido teatrino, rispondendo seriamente alla domanda da lui posta? Ovviamente no. “… prima di tutto devi entrare nelle sue grazie.” E per quello, senza saperlo, si trovava anche sulla buona strada. “In secondo luogo, dovrai accettare di alzarti di buona lena, proprio il sabato mattina, per allenarti sotto il suo regime fatto di terrore e sudore!” Ironizzò, specchiandosi nei suoi occhi dal classico taglio orientale. “Ebbene sono io!” Basta celare la propria identità. I problemi esistenziale era meglio giocarseli immediatamente, prima che si facesse delle idee sbagliate sulla sua stabilità mentale. “Battitrice, nonché capitano della straordinaria squadra rosso-oro! Al suo servizio, Sir.” L’umiltà prima di tutto, dicevano. “Mi piacciono le persone competitive. Le trovo affascinanti.” Cacciare fuori i coglioni era ciò che più la gratificava. Gli arrendevoli, quindi, potevano starsene alla larga, nel loro angolino fatto di sconfitte e depressione. “Quindi saresti interessato a unirti a noi?” Domandò retorica. “In quale ruolo?” Piegò la testa di lato, sorridendo affabile, come se fosse una bambina alle prese con un giocattolo nuovo. Quel ragazzo la incuriosiva e più si chiudeva a riccio, più la voglia di scoprire altro sul suo conto si faceva sentire. “Ti propongo un allenamento a due. Così, giusto per prendere confidenza. Ci stai?” L’allegria che caratterizzava Halley quando di mezzo c’era un manico di scopa, beh, non aveva limiti. Finalmente, dopo giorni passati a piangersi addosso, con grande fatica, iniziava a vedere la luce in fondo al tunnel e no, non si trattava del bagliore finale, quello che poneva fine a ogni cosa ma, bensì, riguardava una speranza che potesse riprendersi dalle recenti delusioni giunte dai più disparati ambiti della sua vita.



     
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    L'avrei lasciata parlare per tutto il tempo, senza interromperà, sorridendo di tanto in tanto alle sue affermazioni. Era evidente che quello sport significasse molto per lei. La sua voce trasmetteva una tale emozione, accompagnata da un sorriso che rivelava la sua gioia nell'approfondire l'argomento. I suoi occhi verdi, intensi e penetranti, sembravano riflettere la passione che aveva per il Quidditch, come se ogni partita giocata rifiorisse nel loro splendore. Mentre lei giochicchiava con la sua fama da capitano tiranno, non potevo fare a meno di notare come il suo sorriso si ampliasse ad ogni parola. Era come se il Quidditch e il suo ruolo in esso fossero il fulcro della sua felicità, e quella ragazza riusciva a trasmettere tutta quella gioia con una semplice conversazione. Era elettrizzante!

    Apprezzo l'offerta, ma dormire la mattina credo sia la cosa più bella che ci sia al mondo. Oziare tra le coperte sapendo che non ci sono lezioni ad aspettarti, fare colazione un po' più tardi del solito e specialmente non perdersi tra i corridoi del castello è bellissimo

    Avrei detto scherzoso con un sorriso, continuando a camminare per le vie del castello che piano piano si stavano animando sempre di più di studenti - E fantasmi - indaffarati a fare nulla in uno due due giorni liberi.

    Per quanto riguarda il ruolo...

    Effettivamente, avendo giocato solo con amici e mai in maniera agonistica, non avevo mai realmente sviluppato una preferenza per il ruolo. D'altronde da piccoli ci si scambiava sempre di ruolo per accontentare tutti. Meglio mettere sul tavolo i pro e i contro di ogni ruolo prima di sparare qualche stronzata e condannarmi per sempre.

    Iniziamo dal Cercatore

    Pro: Essere il cercatore mi ha sempre dato un senso di avventura e libertà. Volare in alto alla ricerca del boccino d'oro, l'elemento più prezioso del gioco, mi ha portato a sperimentare una serie di emozioni uniche. La possibilità di determinare il destino della partita una volta catturato la piccola sfera è stata un'esperienza eccitante.

    Contro: Tuttavia, il ruolo del cercatore comportava una pressione enorme. La responsabilità di catturare l'oggetto della contesa significava che ogni mio movimento doveva essere preciso e strategico. Inoltre, la velocità e le altezze raggiungibili con la scopa richieste per farlo rendevano il ruolo estremamente impegnativo.

    Battitore

    Pro: Come battitore, il mio compito sarebbe stato quello difendere i miei compagni di squadra dagli attacchi degli avversari. Colpire i bolidi in modo da deviare la loro traiettoria è stato un vero senso di potere. Avere il controllo del gioco in questo modo è stato gratificante.

    Contro: Tuttavia, la posizione di battitore richiedeva una concentrazione costante. Il rischio di essere colpiti dai bolidi durante il tentativo di deviarle metteva sempre a rischio la mia sicurezza. Dovevo essere sempre all'erta e pronto a reagire istantaneamente.

    Cacciatore

    Pro: Essere un cacciatore significava essere al centro dell'azione. Avrei avuto la responsabilità di segnare punti per la mia squadra cercando di far passare la pluffa attraverso le porte degli avversari. Questo ruolo mi dava la libertà di muovermi liberamente sul campo e la possibilità di dimostrare la mia abilità e fantasia per orchestrare le azioni.

    Contro: Tuttavia, essere un cacciatore comportava una notevole pressione. Avrei dovuto affrontare la difesa avversaria e trovare modi creativi per superarla per segnare punti. Era un compito impegnativo che richiedeva sia abilità fisica che mentale, e ogni errore potrebbe costare punti preziosi alla mia squadra.

    E del portiere nemmeno ne parliamo, mai piaciuto e mai interessato!
    La sensazione di non avere la libertà di muovermi liberamente sul campo mi infastidiva. Essere intrappolato in una posizione così statica non era ciò che desideravo dalla mia esperienza nel Quidditch. Preferivo ruoli che mi offrissero più dinamicità e libertà di movimento.
    Anche se comprendevo l'importanza del ruolo del portiere e ammiravo coloro che lo ricoprivano con abilità e dedizione, sapevo che non era la mia strada, che invece era quella del...

    ...direi che il battitore sia quello che mi interessa di più come posizione da ricoprire, mi sono sempre divertito a prendere a pallonate la gente.

    Ottima ragione per scegliere quel ruolo, sicuro al 100% che qualsiasi battitore concorda con me. Credo.

    Per quanto riguarda l'allenamento, tu non hai appena finito una sessione? Non sei stanca?

    Forse più una scusa per evitare di uscire fuori e svolazzare in giro, anche se prima o poi mi sarebbe toccato per entrare in squadra, che una reale preoccupazione per la sua condizione fisica. Quella ragazza sprizzava energia da tutti i pori, ero più che certo che ne avesse ancora di forza per altri allenamenti. Eeeeeeeeee ad essere sinceri, se avesse "insistito", avrei accettato più che volentieri la sua proposta.




    Yuki
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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Avere una valvola di sfogo era, a tutti gli effetti, una salvezza. L’oppressione data dalla routine –e dai non pochi problemi di carattere familiare e genetico- la portava spesso a volersi estraniare da quel mondo che, oramai, non le apparteneva quasi più. Un pensiero triste se ha porlo in essere non era altro che una diciannovenne, ancora intenta a muovere i primi passi della sua esistenza. Il quidditch era il suo posto felice. Lassù, a un’altezza quasi fastidiosa, riusciva a percepire le sensazioni in maniera differente o, più semplicemente, sentiva di essere sé stessa, senza alcuna limitazione. Era ciò che dimostrava sul campo. La sua personalità (un tempo esplosiva) che ritrovava vigore solo prendendo a mazzate quegli stupidi bolidi che rappresentavano gli ostacoli che si era ritrovata a fronteggiare. Così aveva vinto il campionato l’anno precedente. Credendo in ciò che era. A distanza di mesi, per. Qualche cosa era cambiato in lei. Un qualche cosa che, nonostante ci provasse, era impossibile da debellare su due piedi, fingendo indifferenza. Le sue responsabilità erano aumentate e il pensiero di fallire la stava consumando dentro, impedendole anche di esternare il suo malessere, così da non poter essere giudicata su nessun fronte. Tacere. A tutti. A suo padre. A Grace. A Liam e Nathan. Daphne. Chiunque si interfacciasse con lei, per un motivo o per un altro, non si accorgeva della vera sofferenza provata dalla ragazza ancora riluttante nei confronti della sua natura. Anche con David, perfettamente cosciente di quel che accadeva nella sua vita, le era difficile aprirsi. Perché? Una domanda che, spesso, ricorreva nella sua mente. Perché non riusciva a spiegare il suo reale stato d’animo? Forse per via del fatto che non si reputava pronta? Si diede una smossa, proiettandosi verso ciò che la rendeva davvero felice. Le apparenze le avevano suggerito di trovarsi di fronte a un ragazzo alquanto timido, o forse semplicemente sulle sue, chissà. Eppure dopo qualche minuto, l’atmosfera le parve più distesa e affrontabile senza ricorrere a stupidi sotterfugi o alla parlantina che, si la caratterizzava ma che, no, non aveva alcuna intenzione di sfoggiare. Non con quello stato d’animo che la corrodeva giorno dopo giorno. “Ogni minuto perso...” Alzò lo sguardo. Seria. Come se stesse per pronunciare un discorso di chissà quale livello motivazionale. “… ti allontana dall’essere un buon giocatore.” Senza prendere in considerazione gli impegni scolastici che, di base, non mancavano di certo in un luogo come quello, dedito al sapere. “Se dovessi entrare nella mia squadra, Yuki, non potrai permetterti questo lusso!” E no, non stava affatto scherzando e in tanti avrebbero potuto sostenere la sua tesi. Lasciarsi sopraffare dalla pigrizia, avrebbe assicurato al nuovo arrivato, un posto esclusivo nella lista nera della Wheeler. “Tiranna, ricordi?” Domandò retoricamente. “A meno la tua massima aspirazione non sia osservare dagli spalti chi, al tuo contrario, non si è crogiolato nella pigrizia!” Meglio una scomoda verità che una bugia, no? Non era il suo modus operandi girava attorno ai concetti che le stavano a cuore. Scintille negli occhi che si ridussero a piccole fessure. “Ritmi serrati. Ti ci abituerai.” E in caso contraria, aveva già in mente un’alternativa più che valida, se non fosse bastata la sua disciplina. Obbligarlo ad affrontare una personalità ben più complessa rispetto alla sua. David. Perché no. Spaventarlo, forse, sarebbe stata l’idea giusta per farlo entrare nell’ottica giusta, la stessa che gli avrebbe permesso di mettersi alla prova. “Conosco una persona che potrebbe aiutarti, in caso trovassi difficoltà!” Un ghigno malefico le si disegnò sul volto. Oh, sì. “In questo periodo sarò occupata, sai i GUFO. Ma sono certa che Harris, il battitore dei nostri amici verde-argento, sarà lieto di farmi questo favore e quando sarai pronto...” Prenderlo sotto la sua ala, insomma, faceva un po’ ridere. Immaginare David alle prese con l’insegnamento. Ok. Un po’ bizzarra come rappresentazione mentale, doveva ammetterlo. “Ha un caratteraccio.” Eufemismo. “Ti basta non farlo incazzare.” In fondo vantava un’esperienza maggiore su quel campo e, nonostante la spiccata figura di merda durante il campionato precedente, lei credeva davvero nelle capacità del suo ragazzo. Forse più di quanto ci credeva lui stesso. Sarebbe stato un buon esercizio per entrambi. Con obiettivi diversi, certo ma due piccioni con una fava era pur sempre allettante.
    Lo osservò intensamente mentre, per qualche motivo, si estraniava dal contesto, alla probabile ricerca di una risposta alla precedente domanda posta da Halley. Eccola lì. Ciò che si aspettava giunse inesorabile. Un’ottima scelta. Aveva sempre pensato che il suo ruolo, per il quale era nata, fosse senza dubbio quello del battitore e, partita dopo partita, si era resa conto di essere totalmente a proprio agio in quei panni. “Hai una buona mira?” Mira e precisione, due caratteristiche fondamentali per sopravvivere nelle vesti di un battitore. In aggiunta, anche una buona dose di culo, non sarebbe stata disprezzata. Fece qualche passo in avanti e si fermò a scrutare l’orizzonte attraverso il vetro. Da lontano si poteva notare la costruzione che ospitava gli incontri di quel sublime sport. “Potresti essere d’aiuto!” Ma avrebbe dovuto cambiare la sua visione del mondo. Lei era quella delle seconde possibilità. In molteplici circostanze l’aveva dimostrato e, se si fosse riscattato, tralasciando la pigrizia che, come una malattia, sembrava affliggerlo, sarebbe stato un prezioso elemento.
    “Mi stai sottovalutando, Rhodes?” Questa volta il suo tono si arrestò a un registro amichevole, che non fosse il solito da capitano devoto. “Sono una ragazza piena di risorse! Imparerai a conoscermi!” E modesta. “Allora?” Domandò perentoria, sicura che sarebbe stata una risposta positiva.



     
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    Le sue parole erano taglienti come le ali di una Shooting Star, ma anche cariche di una strana dolcezza che solo chi conosceva a fondo il gioco poteva percepire ed apprezzare. Ogni sua domanda era come una sfida, un test per misurare la mia determinazione e la mia passione per il Quidditch.
    Ad essere sinceri se mi fossi trovato un'altra figura al suo posto mi sarei probabilmente rifiutato ad una prova di prima mattina, ma le sue parole avevano alimentato quella flebile e debole fiamma nascosta all'interno del mio cuore. Avrei liquidato tale persona con una qualche scusa improbabile del tipo:"Aiuto Kanye West a scrivere il suo ultimo album e arrivo, tranquillo, una roba da poco. Tu nel frattempo vai pure in campo e scaldati" (Tanto i maghi non sanno chi diamine sia Kanye) e poi avrei approfittato della cosa per rintanarmi in biblioteca ad alternare cicli di lettura e "pisolini rafforzanti per la mente e il corpo"

    Ho un'ottima mira!
    in Giappone ad una certa mi avevano sopannominato il Cecchino d'Occidente


    Ed era vero, ma di certo non era stato un episodio positivo.
    Durante i miei due anni di studio nella scuola di magia giapponese, mi sono trovato spesso al centro di situazioni strane e impreviste.
    La storia dietro questo soprannome risale a una delle mie prime lezioni pratiche di incantesimi.
    Era una giornata calda e soleggiata,m e il giardino della scuola era pieno di farfalle danzanti. Il compito che ci era stato assegnato era quello di lanciare un incantesimo di trasformazione su un oggetto piccolo. Io, però, optai di fare qualcosa di diverso. Volevo mettermi in mostra per attirare buone attenzioni su di me.
    Con un'aria sicura e un pizzico di presunzione, avevo la mia bacchetta puntata verso un gruppo di farfalle pronunciando l'incantesimo con sicurezza. Ma quello che avrei dovuto ottenere era ben diverso da ciò che accadde.

    Invece di trasformare un oggetto, il mio incantesimo colpì una ragazza che stava passando dietro le farfalle. Un lampo di luce rosa, un sibilo nell'aria, e lei iniziò a ruttare farfalle senza controllo. Era un disastro totale e io ero il responsabile.

    Quel momento imbarazzante non passò inosservato e, oltre ad procurarmi una severa punizione, mi rese noto ai più come il cecchino d'Occidente.

    Susu fammi strada, capitano

    Mi sarei fatto guidare attraverso i corridoi illuminati del castello, lasciandomi affascinare dai dipinti animati e dai fantasmi che si aggiravano silenziosi tra gli studenti. Se la mia guida mi avesse raccontato storie e aneddoti sulle partite di Quidditch passate e sulle leggende che circondavano il gioco, così per dire, mi sarei fatto trovare pronto a continuare la conversazione facendole a mia volta domande sulle partite della scorsa stagione e sugli esiti.

    Finalmente, dopo una lunga camminata attraverso il castello e il giardino esterno, giungemmo ai campi di Quidditch.
    Mi persi nei dettagli del campo, catturato dall'energia e dalla passione che permeava l'aria. Era solo l'inizio della mia avventura a Hogwarts, ma già sapevo che i campi di Quidditch sarebbero diventati uno dei miei luoghi preferiti nel castello in assoluto.

    Da cosa iniziamo?

    Forse mettermi su una scopa per volare e vedere come sto in aria?
    Lanciarmi addosso bolidi?
    Prendermi a mazzate?



    Yuki
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