Now, speak!

With Michael.

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  1. yourgrace.
     
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    Grifondoro
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    C’era un pensiero intrusivo, minaccioso, pericoloso, a cui non avrebbe voluto credere, quello di non essere all’altezza. Un pensiero ricorrente che, al pari di una ruota, tornava ciclicamente a tormentare la vita della piccola Grace Johnson che altro non aveva fatto se non sentirsi fuori posto vuoi per un motivo, vuoi per un altro. Troppo piccola di statura. Troppo piccola d’età. Troppo vivace, troppo silenziosa, troppo bionda, pallida o poco aggraziata. Ogni giudizio era stato sentenziato dalle strette labbra di sua madre che non perdeva la minima occasione per svalutare quella figlia che poi così male in realtà non era. Commenti gratuiti privi del benché minimo fondamento in quanto Grace non dava problemi a livello caratteriale o di ribellione né era così male come essere umano in sé e per sé. Era la classica adolescente modello – quasi, era pur sempre una ragazzina con quelli che potevano essere i “capricci” dell’età – ricca di sogni ed aspettative per il futuro, che avrebbe voluto, con tutto il suo cuore, essere apprezzata da quella famiglia alla quale la giovane, invece, sembrava stare stretta. Tanto odio, tanta insofferenza e del tutto privi di motivo. Così Grace aveva riversato quella frustrazione nello sport trasformandolo dapprima in uno strumento per scaricare tensioni e frustrazioni e da lì scoprendo quanto fosse invece nelle sue corde, nella sua natura. Era portata. Prima la scherma, nella quale era stata in grado d’eccellere portando a casa diverse coppe e campionati lasciando che sulle mensole della cameretta in quel di Londra andassero a cumularsi in un’ordinata fila i premi conquistati con il puro talento dato dal sudore della fronte. Avrebbero dovuto essere motivo di vanto ma agli occhi di Heather Somer, sua madre, altro non era che ciarpame a differenza di quanto invece, con gli studi, aveva conquistato sua sorella, la perfetta Elisabeth. Grace amava sua sorella ma così, in quello stato di perenne competizione, persino ora che la ragazza era morta, era impossibile non provare almeno una punta di insofferenza. Sentiva il suo ricordo intaccato e per certi versi odiava sua madre per starle facendo proprio questo. Aveva provato ad eccellere ma era stato tutto inutile e, a malincuore, poi, aveva dovuto lasciare quel mondo – dove era davvero apprezzata – per dedicarsi ai suoi studi al castello, alla sua vera identità di strega. Quello era stato un momento complesso nella quale la Grifondoro aveva avuto una certa difficoltà a comprendere quella nuova identità di cui non aveva avuto particolare sospetto se non quegli episodi di magia incontrollata che la sua mente, e quella di chi la circondava, aveva tentato di giustificare con la logica. C’era una logica dietro a tutto per gli altri e così, a seguito di quelle spiegazioni a volte campate stentatamente s’era quietata non immaginando nemmeno lontanamente quanto speciale in realtà fosse. Era una strega e solo in seguito a ciò avrebbe scoperto quello che sarebbe stato il suo problema peggiore: non sapeva controllare quel potenziale magico e, soprattutto, in presenza del fuoco, quella sua magia così instabile sembrava legarsi con l’elemento a doppio filo, manipolandolo. Un disastro senza precedenti e su tutta la linea ma, a distrarla da quei pensieri totalizzati era giunto in suo aiuto il quidditch. Uno sport che all’apparenza poteva sembrare una passeggiata ma che in sé richiedeva immenso sforzo e spirito di sacrificio. Allenarsi era la parola chiave e non solo a livello di mira per una cacciatrice come lei ma anche a livello di resistenza fisica. Su in cielo l’aria si faceva rarefatta ed allenare la capacità polmonare era di vitale importanza. Il quidditch s’era rivelato essere la giusta valvola di sfogo ammettendo ben pochissimi sconti finendo per riuscire a scalare qualsiasi classifica stanziandosi indiscussamente sul podio delle preferenze. Era quel passatempo in cui le era consentito spegnere il cervello da attività nella quale altrimenti si sarebbe crogiolata fin troppo ed a lungo: i suoi pensieri. Il suo più grande nemico era proprio quella testa che non smetteva di pensare, non fermandosi mai un attimo per passare sotto la lente del giudizio le situazioni analizzando da qualsiasi possibile angolazione lo svolgimento del suo cruccio del momento. Giudice e boia in quello che era il suo personalissimo quanto intransigente tribunale interiore. Non c’era azione che non venisse passata al vaglio, poi, ed era questo che la infastidiva maggiormente di sé stessa: l’istintività. Mai una volta che riuscisse a ponderare le sue azioni meditandole prima, no, doveva gettarsi di pancia facendo quello che l’istinto le comandava per poi, in secondo luogo, arrivare a pentirsene. Un po’ come in quel caso, lì, nello spogliatoio ad inseguire il suo ragazzo che credeva arrabbiato con lei per il modo in cui lo aveva piantato in asso alla festa d’inizio anno. Grace era convinta d’averlo infastidito con il suo comportamento, era pronta a giustificarsi per esso permettendo a lui di capire i motivi che l’avevano spinta ad abbandonarlo per correre in soccorso alla sua amica ma Michael l’aveva stupita: non gliene importava. O questo era ciò che aveva interpretato dalle sue stentate risposte iniziali. Che non gliene potesse fregare di meno. La Grifondoro era ammutolita, basita da cotanto menefreghismo dimostrato dal ragazzo. Un livello tale da percepire il suo cuore scalfirsi. Stava sbagliando tutto? S’era forse innamorata della persona sbagliata? Non riusciva a crederlo e quel roller-coaster d’emozioni non fece altro che ripercuotersi nelle fiaccole presenti all’interno dello spogliatoio che immediatamente cominciarono ad ondeggiare in quel sali-scendi emotivo costituito dal sentito della Grifondoro.
    Non poteva crederci. No! Non lo accettava. Grace scosse il capo a più riprese mettendo da parte quel cuore infranto, lasciando che l’animo, così come quell’elemento alla quale pareva essere legata, s’infiammasse non riuscendo a credere che il suo Michael, il ragazzo che era convinta d’amare fosse un troglodita al pari del fratello. No. Doveva esserci una spiegazione e proprio per questo, adirata, prese a rispondere colpo su colpo impedendo all’altro di riprendere persino fiato per incalzarlo con domande ed affermazioni che l’altro, eventualmente, avrebbe dovuto smentire. Lo stava portando all’esasperazione se ne rendeva conto, in parte, ma non le importava, non davvero. Se doveva mettere un punto a quella storia non lo avrebbe fatto accontentandosi di risposte buttate lì su due piedi o richieste di silenzio. Col cavolo! L’era del silenzio finiva lì in quell’istante con lei piena rasa di quell’atteggiamento. Aveva pazientato a sufficienza, aveva tentato di comprendere cercando di misurare quella sete di curiosità che aveva per l’altro ma dopo tutto quel tempo che stavano insieme reputava che non avere la benché minima idea del passato del suo ragazzo fosse letteralmente ridicolo. Non sapeva nulla di lui né della sua famiglia o del suo parentado, né capiva perché per tutta l’estate non l’avesse invitata da loro mentre Halley era persino riuscita a passare alcuni giorni con David. Non poteva essere legato all’astio vigente col di lui fratello maggiore, c’erano mille ed uno mezzi in grado di bypassare il problema. Doveva esserci altro ed ora come ora l’unica risposta che riusciva a darsi era che Michael non fosse coinvolto da lei tanto quanto lo era lei da lui. Si era stancato? Aveva realizzato che lei non fosse ciò che si doveva essere immaginato mentre frequentava Marshall? Doveva saperlo e se per farlo sarebbe stato necessario portarlo al limite lo avrebbe fatto, senza se e senza ma. Ancora una volta avrebbe imboccato la strada dell’istinto che le diceva di forzare pesantemente la mano per ottenere delle risposte che a quel punto le erano dovute.
    «Per l’amor del cielo, Grace! Chi ha mai pensato a una cosa simile?»
    «Lo penso io!» Sbottò passando poi a rincarare la dose. «E sai perché? PERCHÉ TU NON PARLI!» Finì per urlare fregandosene altamente della sceneggiata che stava mettendo in atto. «Non posso sapere cosa ti passa per la testa se non me ne parli. Posso immaginare, ipotizzare e sai cosa? Penso al peggio perché tu mi costringi a fare questo!» Se le avesse parlato, se le avesse raccontato di sé avrebbe avuto la chiave per comprenderlo meglio, per immaginare le sue reazioni ma Michael rimaneva sempre freddo, impenetrabile con solo i suoi occhi ad illuminarsi per brevi spiragli di spensieratezza. Dio quanto lo amava! Quanto amava quegli occhi tristi ed infelici che non facevano altro che farle desiderare di dar loro la gioia che meritavano ma lui, maledetto, non glielo permetteva.
    «Forse neanche merito la tua fiducia!»
    «Vaffanculo» replicò di getto affranta e sfiduciata da ciò che quella discussione stava rivelando della loro relazione: Michael non aveva fiducia in lei. Nemmeno un briciolo, nemmeno un po’ per aprirsi e raccontarle cosa portava dentro. La sua “scusa” era il timore che ciò che le avrebbe rivelato l’avrebbe portata ad allontanarsi ma lui cosa ne sapeva di cosa avrebbe fatto lei? Ne era certo? Avrebbe potuto metterci la mano sul fuoco? E cosa aveva fatto di tanto grande e terribile? Il Serpeverde le aveva chiesto, quando ancora non stavano assieme, un atto di fede nei suoi riguardi, d’avere fiducia in lui ed in quella che era la sua verità. Grace gliel’aveva concessa, credendo in lui, perché non poteva restituirle almeno una piccola parte di quella fiducia?
    «So quel tanto che basta!»
    «Allora non sai niente! Non hai capito niente!» Se pensava di poter comandare sulle sue scelte, su di lei, pensando che remissiva avrebbe accettato ogni cosa... Beh, si sbagliava di grosso. Non era nella sua natura darsi per vinta, in nessun campo. Avrebbe dovuto capirlo anche solo dal suo stile di gioco. La discussione progredì portando entrambi gli animi a raggiungere e superare un limite che invisibilmente ed inconsapevolmente i due sembravano essersi imposti. Non avevano mai litigato in maniera così accesa nemmeno quando la Grifondoro era arrivata a schiaffeggiarlo nei corridoi. Questo era peggio proprio perché le parole, i toni, erano puntati a colpire, a far soffrire.
    «Nessuno deciderà mai per me» sibilò, la voce tremante appena udibile in quella che era una promessa che la Johnson stava facendo più a sé stessa che all’altro. Non avrebbe mai più permesso a qualcuno di decidere per lei né di trattarla come non meritava. Prese fiato mentre alle loro spalle le fiamme tremavano quasi l’incendio si stessa caricando di nuova energia e poi la Grifondoro colpì e come un fiume in piena rovesciò sul ragazzo quella che sarebbe stata la sua ultima parola, l’ultima disamina che l’avrebbe esposta irrimediabilmente portandola a porgergli il suo cuore incurante di ciò che l’altro ne avrebbe fatto e poi, quando le parole le sarebbero morte in gola sopraffatte dal pianto avrebbe raccolto ciò che rimaneva di sé stessa, i cocci, alzandosi e togliendosi di mezzo.
    Ma ciò non avvenne. Michael l’avvolse immediatamente tra le sue braccia tirandola a sé. Grace si ribellò, istintivamente, colpendo il suo torace con pugni privi di qualsiasi intenzione. Non poteva farle questo. Non ora. Si accasciò contro di lui, stremata, piangendo disperatamente contro il suo petto mentre la dolcezza del suo tocco leniva ed allo stesso tempo feriva ulteriormente il suo cuore.
    «Va bene!» Sussurrò contro il suo orecchio mentre le dita andavano a cercare la guancia per asportarne le lacrime. Tirò su con il naso sollevando lo sguardo lucido in quello del Serpeverde. Cosa voleva dire?
    «Risponderò ad ogni tua domanda.» Lo avrebbe fatto davvero? Senza più omissioni? Senza più silenzi incomprensibili? «Prima, però voglio che tu sappia che hai reso la mia esistenza migliore. Hai reso me un uomo migliore!» Aggrottò le sopracciglia, confusa. Quelle parole erano bellissime ma non aveva gli elementi per dar loro un contesto, per capirle. Perché diceva questo? Non reputava d’aver fatto nulla. Tentò di parlare ma finì per boccheggiare non sapendo da quale parte cominciare.
    «Io...» Cominciò infine. «Io voglio sapere tutto.» Ammise candidamente ma da che parte avrebbe dovuto iniziare il verde-argento e soprattutto, di che calibro di rivelazioni si parlava? Era pronta? «Permettimi di capire, di capirti...» perché non ci sto riuscendo. Da che parte cominciare? «La tua famiglia... ?» Cosa gli avevano fatto? Perché al ballo di Natale lui e suo fratello erano sbiancati all’arrivo di quella lettera? Perché a maggio, al suo rientro, aveva zoppicato per qualche giorno? Perché? Perché perché perché?

    Buon Natale, Zoc 🖤
     
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12 replies since 18/10/2023, 16:05   307 views
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