Now, speak!

With Michael.

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  1. yourgrace.
     
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    Pensieri, frustrazioni, fantasie, tutto le vorticava in testa come preda d’una tempesta, d’un forte vento pronto a dar vita al più burrascoso dei tornadi. Quella rabbia, quell’incapacità – nemmeno più velata – di comprendere il perché delle scelte messe in atto dal Serpeverde la faceva impazzire e con esso tutto il bagaglio di non detti che oramai da tempo aleggiava nell’aria. Era da sempre stato un loro problema quello. Il non parlare, il non mettere in tavola quelli che erano gli argomenti cardine per mandare avanti la loro relazione. Grace aveva omesso di quella sua instabilità magica che, in più di un occasione, s’era palesata tra loro. Aveva fatto finta di nulla e Michael, dal canto suo le aveva dato quello spazio che lei giudicava non avere bisogno. Aveva bisogno d’affrontare la realtà e, in alcuni casi, d’essere persino messa alle strette. Doveva affrontare quella situazione, prendere il coraggio a due mani e renderlo reale parlando ad alta voce del suo problema: il calore. Cos’era quella strana vicinanza all’elemento. Com’era possibile che, se si concentrava, era in grado di visualizzare e percepire ogni singola fiamma presente in una stanza. Anche gli altri ci riuscivano? Anche gli altri, se arrabbiati, si collegavano ad un elemento manifestando la proprio inquietudine attraverso la manipolazione dello stesso? Non aveva avuto il coraggio di chiederlo ai suoi amici. Nè ad Halley né tantomeno a Nathan. La prima era lampante non stesse passando il miglior periodo della sua vita e ricevere un “no” proprio da lei avrebbe potuto metterla in guardia costringendola a preoccuparsi ancora e ancora per quella ragazzina dai capelli biondi che giorno dopo giorno incarnava sempre più una sorellina minore da proteggere. Grace non voleva darle preoccupazioni, ne aveva passate e tutt’ora ne passava abbastanza e la causa di quel suo malessere era da ricercarsi sicuramente nell’odiata figura del di lei ragazzo, David. L’idiota. Non era riuscita a parlarne nemmeno con Nathan e lì c’era da dire non ci fosse un problema preciso. Con il ragazzo riusciva a parlare di davvero tante cose e su sua stessa richiesta, il Grifondoro, l’aveva pregata di utilizzarlo alla stregua di un confessionale quando ne avrebbe avuto bisogno. Perché non lo aveva fatto allora? Per paura. Paura di ammettere di non riuscire a controllarsi. Paura di ammettere di avere un problema, un vero problema e che quel problema era la causa per la quale sua sorella Elisabeth era morta. Il suo dannato, stramaledetto, potere incontrollato che aveva portato l’auto a sbandare e... tutto quello che ne era conseguito dopo. Parlarne avrebbe voluto dire trasformare quella congettura in realtà. Avrebbe voluto dire assumersi la colpa. Avrebbe voluto dire richiedere l’aiuto di un adulto, qualcuno che, con la sua esperienza, avrebbe potuto aiutarla... se c’era qualcosa da poterci fare. E se fosse stata prima di speranze? Spacciata? Una sciagura esattamente come sua madre la definiva quando s’arrabbiava con lei. Era stata davvero tutta colpa sua? In cuor suo sentiva fosse così ma non era pronta né sentiva di avere le forze d’affrontare quella verità. Una cosa per volta.
    «Perché mi fido di te. [...] Non c’è nulla da capire, Grace.» Una smorfia le increspò i lineamenti. La rabbia non le permetteva di apprezzare una risposta simile, una tale maturità da parte di quello che era il suo ragazzo. Era offuscata, completamente obnubilata nella ragione da quello che era il suo obiettivo tanto da non riuscire stimare la meravigliosa persona che Michael dimostrava d’essere. Lui la voleva libera, la voleva sé stessa senza la preoccupazione di dover badare a quello che era il suo essere per lui. Certo anche lui era umano e, come ammise qualche istante dopo, un po’ ne era rimasto contrariato almeno inizialmente ma era stato un pensiero, un misero pensiero del tutto umano prima che la fiducia nei riguardi della Grifondoro zittisse quella possibilità di dubbio. Ma per Grace fu l’ennesimo tassello che andò ad aggiungersi a quella montagna di omissioni, di quella parvenza di menefreghismo; il sassolino che, scivolando, avrebbe trainato con se il terreno dando vita ad una vera e propria frana. Perché Michael stava zitto? Perché non le parlava dei suoi pensieri, dei suoi dubbi o di qualsiasi dannata cosa gli passasse per la testa? Grace lo faceva, a volte persino pensando di annoiarlo con i suoi immensi monologhi dove gli raccontava la sua giornata o gli allenamenti, le sue impressioni ed i “gossip” che aveva raccattato sul campo. Gli parlava dei suoi sogni e di quello che avrebbe voluto fare “da grande” e Michael? Michael non diceva niente se non risposte, mezze risposte, che però non includevano sé stesso in quella futura visione. Sperava il meglio per lei, faceva il tifo per lei ma non s’includeva mai in quel disegno e Grace aveva iniziato a notarlo con una certa apprensione ed ora eccola lì la resa dei conti.
    «Basta, Grace!»
    «NO!» Sbottò ancora, frustrata. Era finito o almeno per lei finiva lì, in quel dannato istante il tempo dell’indifferenza selettiva verso determinati modi di fare messi in atto dal Serpeverde. O parlava e lo faceva all’istante o l’avrebbe persa per quanto non fosse pronta a perderlo, non sentiva di poterlo fare ed il solo pensiero razionale in quel verso le avrebbe infranto il cuore in mille pezzi.
    «Quindi ritieni sia sano non parlare? Non dirmi niente di te. L’ho capito che c’è qualcosa che non va Michael. Non sono stupida! Permettimi di... di-di esserci, dannazione. Di essere qualsiasi cosa tu abbia bisogno.» Perché non glielo lasciava fare? Lui accoglieva le sue confidenze, le dava consigli o semplicemente l’ascoltava sfogarsi ma la medesima cosa non avveniva mai dall’altra parte. Grace si sentiva bloccata in una relazione a senso unico dov’era unicamente il suo cuore quello messo in gioco, quello a gonfiarsi di sentimento per l’altro ma dall’altra parte? Il verde-argento la riempiva di belle parole, belle promesse e riflessioni ma nel concreto? Le aveva posto un muro, una barriera impenetrabile. Impossibile – o quasi – d’aggirare. Perché la teneva a distanza?
    «Sto cercando di cambiare. Perché ciò che ero potrebbe non piacerti» Grace voltò lo sguardo stringendo le labbra carnose in una linea sottile. Perché non capiva che già così facendo non le piaceva?
    «Non mi fiderò mai di te se non mi parli!» Sbottò, gli occhi gonfi di lacrime che non avrebbe voluto oltrepassassero il confine delle ciglia. Strizzò gli occhi azzurri, lucidi di tormento mentre quella sensazione, quel legame a doppio filo con l’elemento sfogava tutto il tumulto interiore nell’intensità della fiamma. Michael l’aveva notata ma non Grace, non la Grifondoro che stoicamente aveva ignorato quel potere cercando invece di focalizzare l’attenzione su quelli che erano i loro problemi, loro come coppia e non i suoi.
    «Impossibile» sussurrò, “impossibile”, ripeté scuotendo la testa. Ciò che sentiva per il ragazzo non le avrebbe mai permesso di prendere davvero le distanze da lui.
    «Che cazzo ne sai di qual è il mio bene?!» Strillò in replica. Non era una questione d’età eppure Michael con quelle parole dimostrò quanto fosse invece il contrario. Perché doveva decidere per lei? Per loro? Perché era immatura per farlo? Troppo sciocca?
    «’STA ZITTA LO DICI A QUALCUN’ALTRA! » Esplose furente insieme al fuoco delle fiaccole ignorando il ringhio animale nella quale si era tramutata la voce del Serpeverde. Non le aveva mai rivolto la parola a quel modo né lei a lui. Non erano loro. «N-non sono una bambola che puoi muovere a tuo piacimento.» La voce di Grace tremava così come le fiamme nelle fiaccole. Strinse i pugni percependo l’energia concentrarsi nelle mani, il calore sprigionarsi in essere. «Non puoi prendermi e posarmi come ti torna comodo! Sono la tua ragazza! Merito di sapere!» Perché la faceva così difficile così complicata. «Michael, parlami... ti prego!» Era arrabbiata, disperata.
    «Se le cose stanno in questo modo, non vedo come possa esserci un futuro per noi.» Le fiaccole si spensero, il cuore si fermò per un’istante mentre una crepa ne infrangeva la superficie. Le lacrime sfuggirono alla barriera delle ciglia.
    «Credi [...] che mi diverta a fare lo stronzo?» Lo sguardo rimase puntato alle mani strette spasmodicamente in un groviglio inespugnabile. Il fiato le mancava, insieme al respiro mentre nelle orecchie un fischio sordo copriva le parole del verde-argento. Si allontanò scivolando sulla panca, mettendo della distanza tra i loro corpi. Le mani le tremavano.
    «Non so cosa credere.» Sussurrò. «Voglio crederti quando dici di tenere a me ma poi ometti, non parli. Non mi degni... Non mi reputi all’altezza. Decidi persino per me.» Scosse il capo, delusa, incapace di spiegarsi cosa lo avesse portato a maturare una tale considerazione di lei tanto da renderla indegna delle sue confessioni. Indegna persino di potersi assumere le responsabilità delle sue scelte. Diceva di non considerarla troppo piccola, asseriva di volerla libera eppure dimostrava il contrario proprio imponendo la sua scelta come unica visione plausibile. «Non è normale questo. Non lo capisci che mi ferisce? Non mi reputi degna... Non credi in me!» Non aveva considerazione dei suoi sentimenti. Non credeva che ciò che provasse fosse sufficiente. «Mi hai sempre chiesto un atto di fede. Ora sono io a chiedertelo Mike. Abbi fiducia in me. Per favore Michael, ti prego. Fallo per noi. Se davvero provi ciò che dici... parla con me. Cavolo ma non lo capisci che ti amo? Come diavolo devo mettertelo in testa? Ma tu no, tu rimani chiuso ad offendermi con la distanza. A metterti da solo in testa che qualsiasi cosa tu nasconda possa allontanarmi. Non succederà okay? Non può perché maledizione mi sono innamorata di te e solo l’idea... L’idea... » Ma le parole le morirono in gola, strozzate dalle lacrime e dai singhiozzi incontrollati di quel panico generato da alcune semplici parole ma pesanti come il piombo: non può esserci futuro, la fine.
     
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