Now, speak!

With Michael.

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  1. yourgrace.
     
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    Nervosismo. Era questo ciò che provava ed era esattamente questo che non si aspettava – almeno non del tutto – da un confronto con il Serpeverde. Grace aveva messo in conto la possibile rabbia di lui, il possibile sentimento che lo avrebbe potuto spingere a richiedere una giustificazione sensata per il suo comportamento ma ciò che non si aspettava era quell’arrendevolezza, quel modo con cui Michael, all’apparenza, sembrava lasciarsi scivolare tutto addosso. Le sarebbe andato bene se questo tipo d’atteggiamento fosse stato indirizzato per altra tipologia d’argomento ma non questo, non questa indifferenza che la feriva, nell’ego e non solo, portandola a pensare che il Serpeverde si lasciasse scivolare anche lei. Era questo che pensava di lei? Erano queste la considerazione e l’importanza che era disposto a darle? O semplicemente il gioco aveva perso d’attrattiva una volta ottenuto? Le sembravano tutte congetture distanti, incredibilmente distanti, da quello che era sempre stato fino a quel momento lo stile del biondo, eppure, l’allarme del dubbio era scattato sonoro quando Michael aveva proferito quelle parole: “credevo fosse meglio così. Sono stato occupato”. Parole gettate così su due piedi ma che avevano gelato la giovane come se fosse stata esposta ad una doccia d’acqua fredda. Con quelle parole Michael sembrava credere che la distanza fosse un bene, che la mancata comunicazione fosse un bene e magari non avendola tra i piedi si sarebbe potuto concentrare su dell’altro. Dell’altro che fosse realmente importante rispetto a lei, fastidiosa bambina capricciosa. Quest’ultima cosa, ad onor del vero, il giovane Harris non l’aveva nemmeno pronunciata, forse persino nemmeno pensata, ma l’impeto collerico della Grifondoro era già andato oltre riempiendo gli enormi spazi vuoti lasciati dalle omissioni del ragazzo. Cosa diamine c’era di più importante di loro? Chi?! Il solo pensiero che le attenzioni del Serpeverde si fossero indirizzate verso altri lidi le riempiva la bocca di nausea torcendole lo stomaco mentre gli occhi cerulei si facevano più lucidi. Non avrebbe pianto, no, col cavolo. Avrebbe combattuto con le unghie e con i denti per quella relazione se ci fossero stati i giusti appigli per farlo e lei sapeva, sentiva e credeva ci fossero. Con tutto il cuore, quel cuore destinato a quel ragazzo dallo sguardo perennemente incupito.
    Ma il suo di sguardo, questa volta, non fu in grado di sostenerlo, incapace in quel momento di mantenere e reggere quello algido del ragazzo insieme a quelle parole che, come bastoni, l’avevano colpita ma non si diede per vinta e, stringendo i denti, partì immediatamente al “contrattacco” non lasciando che possibili non detti aleggiassero nell’aria intorno a loro. Cos’era stato quindi più importante? Risposta: la famiglia. Questa famiglia misteriosa e all’apparenza oscura che sembrava esigere dai figli cose alla Grifondoro sconosciute. Che volevano da loro? Grace non riusciva a capirlo ed i caratteri tanto diversi dei due eredi Harris le rendevano difficile, se non impossibile, l’impresa di riuscire a venire a capo del mistero di quella famiglia. «Niente di interessante.» Pure. Sul suo viso per qualche frazione di secondo si dipinse una smorfia. Delusione e rabbia lottavano per prendere il sopravvento eppure la Johnson si tratteneva, si tratteneva esternamente così per istinto e natura per quanto dentro di lei albergasse un vero e proprio tumulto che, se il Serpeverde fosse stato attento, avrebbe intuito dall’agitarsi improvviso delle fiaccole presenti nello spogliatoio. Del loro improvviso movimento quasi una brezza le solleticasse infastidendo il loro lento bruciare e glielo disse, gli disse che era arrabbiata con lui così senza ulteriori mezzi termini perché di quelli si era stancata da un po’.
    «La tua amica sembrava avere bisogno di te. Sarei stato di troppo.»
    «No!» Replicò di getto, fin troppo. In realtà il Serpeverde aveva ragione e sarebbe stato effettivamente di troppo in quella conversazione che poi ne era seguita con Victoria ma da un lato la Johnson proprio sentiva di non poter fare a meno di quel ragazzo in ogni aspetto della sua vita. Morbosa? Forse un po’ ma dal canto suo era un modo che aveva di vivere i rapporti umani al di fuori del suo nucleo familiare così freddo, così anaffettivo ed ora che in casa erano rimaste solo lei e la madre, persino asettico. Heather non sembrava apprezzarla, tantomeno amarla e la piccolina ricercava quell’affetto sconosciuto negli amici e proprio in quel ragazzo per cui non sapeva dosare i sentimenti.
    «Perché sono fuggita via! Perché ti ho lasciato lì senza una spiegazione... I-io non capisco!» Non riusciva ad immedesimarsi, né a mettersi nei suoi panni. Come faceva a farsi andare bene... tutto? Era inspiegabile, assolutamente inspiegabile ai suoi occhi.
    «Non mi è andato bene, ma non sono te. Le mie reazioni sono... mie.» E aveva senso, senso e fottuta ragione eppure l’ansia non le permetteva di capire un concetto così semplice, naturale. «Ma perché non me ne hai parlato?» Se lo aveva scontentato come diceva, perché sempre quel dannato silenzio?! «Perché non mi parli mai di niente?!» Era frustrante, a quel punto persino logorante quella situazione. E poi glielo domandò. Le parole sfuggirono dalle sue labbra tormentate dai morsi ancor prima che potesse anche solo pensare di ponderarle: non t’importa?
    Sollevò lo sguardo rivolgendolo contrita in quello algido del Serpeverde e, ignara della possibile reazione del ragazzo, il cuore di entrambi si fermò. Lo sguardo di Michael si velò di un’ombra e, dopo qualche istante, le mani del ragazzo l’attirarono stingendola quasi a volerle infondere la sua tangibile presenza: lui era lì, c’era davvero ma a lei non bastava più. Non così.
    «Mi importa di te. Più di quanto io possa ammettere, Grace. Ci tengo a te.» La pressione delle sue mani sulle sue braccia era una sensazione piacevole così come l’urgenza nel suo sguardo. «A noi. Voglio stare con te.» Gli occhi della Grifondoro si riempirono di lacrime. Commozione e sollievo la facevano da padroni a sentire il trasporto di quelle parole. Qualcuno avrebbe potuto mettere in dubbio frasi del genere, maligni avrebbero persino potuto insinuare che fossero frasi fatte ma Grace leggeva in quegli occhi la purezza della verità. Mike non stava mentendo, non quando le parlava di ciò che provava.
    «Allora perché fai così?» Perché si tratteneva di continuo? Perché sviava le sue domande. Lei avrebbe davvero voluto donargli tutta sé stessa ma non così, non finché tutte quelle ombre avrebbero continuato a gravare sul loro rapporto. Non finché spariva adducendo impegni di famiglia finendo per tornare poi zoppicante o dolorante o chissà che altro! Che gli facevano quei bastardi?!
    «Ti fidi di me?»
    Scorretto.
    «Io voglio fidarmi ma tu non me lo permetti. Tu e i tuoi dannati silenzi. Non posso stare con una persona che non mi parla e non capisco perché tu non lo faccia!» Sbottò lasciando che per una volta tutto ciò che si teneva dentro da mesi venisse a galla. Aveva lasciato correre per troppo. «È perché sono più piccola?» Era quello il problema? Di quanto poi? Si parlava di meno di due anni. «Sono maggiorenne Mike, non sono più una bambina. È... È offensivo che» una lattante. Si fermò cercando di mantenere la calma. Spostò lo sguardo dal Serpeverde inspirando, chiudendo gli occhi per ritrovare il giusto controllo.
    «Stare con una persona vuol dire fidarsi. Io mi fido di te se tu ti fidi di me. È sostenersi. A vicenda. Tu... Tu svii. Me ne sono accorta, sai? E non capisco perché e più non lo capisco e più mi manda ai matti e mi fa arrabbiare che tu non abbia una considerazione di me che mi renda degna di... di-di di qualsiasi cazzo di cosa! Non mi stai parlando, Mike! Non. Mi stai. Parlando!»
    Recuperò il fiato pesantemente affannata dallo sforzo che le era costato tutto quel discorso e, come rispondendo ad un comando, le fiaccole persero d’intensità spegnendosi insieme alla Grifondoro.


    Edited by Dragonov - 26/11/2023, 20:33
     
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