Now, speak!

With Michael.

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Harris Jr.
     
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Serpeverde
    Posts
    178
    Location
    Bronx, USA.

    Status
    i'm sleeping
    mike
    C’era qualche cosa in quella ragazza che riusciva a smuoverlo nel profondo. Una sensazione nuova. Mai provata. Una fortuna. Un appiglio. Un qualche cosa che avrebbe potuto aiutarlo a riemergere da quel buio pesto nel quale si era ritrovato in seguito alla sua condotta deviata dal volere di un padre padrone, tiranno e deciso a rovinare l’esistenza ai suoi due figli. Il senso di colpa gli attanagliava il petto e, giorno dopo giorno, lottava per non lasciarsi sopraffare dalle ore che scorrevano inesorabili, avvicinandolo all’incontro successivo con quel destino che lo attendeva dietro l’angolo, con tutta l’angoscia annessa per via dei “compiti” a lui riservati. Fanculo. Si lasciò sfuggire maldestramente la pluffa, attirando l’attenzione di un David, pronto a sottolineare le mancanze altrui senza, però, badare alle sue. Nulla di nuovo. Un atteggiamento che, sotto molti aspetti, riusciva a tendere quei nervi che non avevano bisogno di ricevere ulteriori colpi. Sbuffò e attese le direttive del fratello mentre, i suoi compagni, sfrecciavano sulla sua testa, impegnati a rincorrere la gloria persa miseramente sul campo, nella stagione precedente. Alzò al cielo lo sguardo colpevole e incassò tutta la frustrazione del moro, convinto che con quell’atteggiamento avrebbe ottenuto il benestare della squadra. Illuso. Così facendo, era quasi certo, sarebbe riuscito a scavarsi la fossa con le sue stesse mani, tirando a sé il disappunto di chiunque passasse sotto alla sua forma di dittatura. Problemi suoi, finché la sua rabbia non si fosse scagliata, gratuitamente, su di lui. “Il tempo è scaduto.” Sentenziò distrattamente ma con tono secco, scandendo il tempo che, terminato, andava a sancire il loro ritiro in ambienti decisamente più salubri. Prima di ciò, però, urgeva una doccia ristoratrice, utile a lavare via non solo la stanchezza data dall’allenamento ma anche la coscienza dai suoi innumerevoli errori. Così avrebbe fatto. Si lasciò cadere per un attimo su una delle panchine e, una volta che tutti uscirono dal suo campo visivo, prese a liberarsi della divisa da quidditch, riponendola ordinatamente nel borsone adibito proprio al trasporto della stessa. Più leggero e svuotato di qualsiasi tipo di pensiero, si godette quel momento privato e intimo, lontano da quel mondo che tanto lo spaventava da impedirgli di essere sé stesso, quello vero che esulava dalle sue stesse gesta ancora inspiegabili nella sua testa. Nonostante reputasse che il suo essere fosse di gran lunga migliore di così, la realtà indicava ben altro e le bugie che era costretto a propinare alle persone alle quali teneva. Grace in primis. Strinse i pugni, sbattendo il destro contro il muro, senza calibrare quella forza che negli ultimi tempi era diventate un vero e proprio problema, quando si trattava di trattenerla, così da celare anche la sua natura non propriamente umana o, almeno, non del tutto. Che avrebbe fatto quando la verità sarebbe venuta a galla, consegnandolo al mondo per ciò che era veramente? Sarebbe riuscito ad uscirne indenne, senza lasciarsi dietro pezzi importante di sé. Pezzi irrecuperabili di quello che era il puzzle della sua breve vita, costruita a fatica. Sì. Si era messo in gioco, cercando di mettere da parte i suoi deficit di fiducia nel prossimo. Si era aperto, aveva lasciato che Grace entrasse nella sua personale realtà, senza per forza sconfinare in discorsi che l’avrebbero portata ad un allontanamento certo, almeno per come stavano le cose tra loro in quel determinato frangente. L’inizio di una storia? Un periodo delicato. Fragile. Un passo falso e l’avrebbe persa per sempre e no, non era ciò che voleva. Lo scrosciare dell’acqua lo trascinò in un universo parallelo, nel quale non vigevano più le regole del tempo e dello spazio ma, al di là del muro, qualcuno batté con violenza, palesando la propria disturbante presenza. “Me ne vado. Ti aspetto in Sala Comune.” Il tono di voce seccato di David raggiunse le sue orecchie, strappandolo a quella perfezione venutasi a creare con il silenzio. Non rispose. Lasciò che quel grugnito si dissolvesse, accompagnato dai pesanti passi intenti ad allontanarsi dallo spogliatoio e, finalmente, la quiete tornò a regnare sovrana, così come aveva sperato. Terminò di lavarsi e, dopo essersi circondato la vita con un asciugamano, tornò nel punto in cui aveva lasciato la divisa verde-argento, perfettamente ripulita e piegata, quasi maniacalmente. La infilò ma non si preoccupò di andare a sistemare i suoi folti capelli biondi che, quindi, rimasero in disordine, in attesa di trovare la loro naturale piega una volta asciutti. Pazienza zero, come la maggioranza della popolazione maschile, senza tratti narcisistici. Si alzò in piedi, portando entrambe le mani sulla cinta, così da facilitare il gesto di andare ad allacciarla ma, improvvisamente, qualcuno si insinuò all’interno di quello spazio, senza chiedere il permesso di entrare. Tornò a sedersi, indifferente. Alzò gli occhi azzurri, sperando di non dover scontrarsi con qualche energumeno, alla ricerca di grane –e con lui le avrebbe trovate- ma, davanti a lui trovò una gradita sorpresa. La piccola Johnson, per qualche assurdo motivo, si era presentata lì, per chi? Per lui? Beh, per chi se no? Sicuro si sarebbe ben guardata da un possibile incontro con suo fratello. Avanzò con decisione, spudorata e dannatamente sicura di sé. Un punto a suo favore. La lasciò fare, senza opporre resistenza ma, anzi, incentivando quell’atteggiamento che, diciamocelo, lo pungeva sul vivo, risvegliando un desiderio assopito ma per niente dimenticato. La attirò ancora più a sé, ricambiando il bacio, approfondendolo e addirittura aumentando il ritmo, così da lasciare intendere quanto gli fosse mancato il contatto con lei. Si sedette su di lui, approfittandone nel prenderla tra le braccia, con intento romantico e delicato. ”Sei una testa di rapa Michael Harris.” Testa di rapa. Gli erano stati riservati parecchi epiteti ma mai nessuno lo aveva definito in quel modo. Ne scaturì un sorrisetto, appena percettibile ma presente. Capiva il motivo per il quale avesse utilizzato quel particolare appellativo ma, d’altra parte, aveva deciso di abbandonare la nave per una motivazione più che valida secondo il suo punto di vista. La libertà. Lasciare spazio all’altra metà, credeva fosse cosa buona e giusta, così da non soffocare un sentimento appena nato con l’eccessiva foga nel voler presenziare nella vita dell’altro. Lui era lì e se avesse chiesto la sua assistenza, non avrebbe esitato ad intervenire. Punti di vista ancora da esporre per ampliare la conoscenza l’una dell’altro. “Credevo fosse meglio così.” Non aveva la benché minima idea di cosa fosse successo alla sua amica e, di certo, non erano affari che lo riguardavano da vicino. “Sono stato occupato.” A tenere a bada i miei sensi di colpa! Certo, questo lo tenne per lui. “Come sta la Crain?” Si era ritrovato faccia a faccia con lei più e più volte ma il loro rapporto si riduceva ai meri convenevoli imposti dall’educazione di base. “Perdonami.” Una semplice parole. Un duplice significato. Uno evidente, l’altro latente che non avrebbe trovato espressione facilmente. Le baciò la fronte, stringendola ancora un po’ di più. “E tu? Come stai?” In caso di risposta negativa, beh, la colpa andava fatta ricadere su lui stesso, incompetente quando si trattava di rapporti interpersonali, accentuati da quello che era un palese interesse verso quella ragazzina che forse, un giorno, non si sarebbe più accontentata delle sue risposte tanto vaghe da neanche apparire risposte vere e proprie.
     
    .
12 replies since 18/10/2023, 16:05   307 views
  Share  
.
Top