Taking this one to the grave

2 Settembre / Axel

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    Era stata un'estate curiosa ed affascinante, con alcuni incontri bizzarri, altri interessanti, e altri ancora pericolosi, oltre le solite rotture di palle che si sa, erano all'ordine del giorno. Tutto sommato non si poteva lamentare. Tuttavia, salvo gli sporadici giorni in cui era riuscita a guadagnare la compagnia di qualcuno, la maggior parte della stagione più calda dell'anno l'aveva passata da sola, a gironzolare per boschi per scoprire nuovi posti, o abbandonata sul gigantesco letto a fissare il soffitto a contare i giorni che mancavano al rientro a scuola. Ricordò un giorno, in particolare, in cui si ritrovò a parlare da sola allo specchio perché cominciava a temere di aver perduto la voce per mancato utilizzo. In fin dei conti sarebbe dovuta esserne abituata, quando i fratelli non riuscivano a tornare nella casa di famiglia, lei si ritrovava ad essere solo un ospite sgradito nella sua stessa casa. Sapeva che era a causa della sua presenza che, in estate, non veniva organizzato alcun ricevimento che desse gioia e sollievo alle spossate membra di sua madre, donna che non sapeva nemmeno cosa facesse tutto il giorno ma che, in modo inspiegabile, a sentire lei era sempre stanca. D'altronde era ormai storia vecchia, fin dal giorno dell'“incidente”, parola che nella sua testa risuonava con la voce profonda e drammatica di un attore di teatro, la piccola di casa non era stata altro che un peso. Sapeva bene che i genitori avrebbero di gran lunga preferito che fosse morta quel giorno insieme al primogenito, e non dubitava che magari avessero anche pensato di farlo loro stessi, ora però era troppo tardi, e magari le cose non erano andate come loro avrebbero preferito, ma una parte di lei era comunque morta quel giorno e nessuno, eccetto Oliver, aveva mai anche solo provato a starle vicino. Alla fine cos'era? Un'arma? Un mostro? Una cazzo di bambina, ecco cos'era. Ma ehi, alla fine era sopravvissuta a quell'infanzia, congratulazioni! Ora poteva convivere con i traumi.
    Tornare ad Hogwarts la salvò dallo scivolare lentamente nella pazzia. Vero, avrebbe dovuto fare i conti con le lezioni, le regole, la competizione ma, in confronto, tutto sembrava un'enorme festa. Era arrivata quella mattina, in ritardo rispetto agli altri che, al contrario, erano giunti la sera precedente, ma il problema era proprio quello, la sera! Possibile che, nell'anno in cui erano, ancora si ostinassero ad utilizzare un treno lento come le sinapsi di quel tipo, Coleman? Ore ed ore di viaggio, partendo la mattina ed arrivando in tarda sera, come se i maghi non avessero mai inventato mezzi alternativi per spostarsi, più pratici, più veloci, e che non la mettessero in difficoltà. Purtroppo, le ultime notti erano state piuttosto pesanti, colpa della Luna piena che aveva, su Freya, una pessima influenza e, essendo lei così generosa e buona di cuore, pensò fosse meglio non rimanere chiusa su un treno in movimento insieme ad altre persone col sopraggiungere del calar del Sole. Però era arrivata, meglio tardi che mai, aveva disfatto i bagagli nella sua ormai familiare camera e aveva rivisto le solite compagne che fu piacevolmente contenta di ritrovare, e ora si trovava ancora un po' assonnata a girovagare per il parco della scuola. Presto tutto quel verde avrebbe lasciato il posto ai colori dell'autunno, sua stagione preferita, e uscire sarebbe stato ben più complicato con i frequenti acquazzoni che si abbattevano in quella parte di mondo, meglio approfittarsene. Non era la sola, ad errare per il giardino vi erano diverse facce note, alcune che salutò da lontano, altre che cercò di evitare ad ogni costo, fino a quando gli occhi smeraldini non incrociarono una figura che, da tempo, avrebbe voluto avvicinare per scoprire se ci aveva visto giusto su di lui. Già da subito dopo la famosa lezione di Incantesimi che li aveva quasi decimati avrebbe voluto provare a parlarci, ma riuscire ad incrociarlo era più facile a dirsi che a farsi. Aveva pensato di bloccarlo nello spogliatoio alla fine di qualche allenamento, ma non le era sembrata un'idea furba. Quella, poteva essere la sua occasione. Vi erano troppi punti interrogativi che aleggiavano attorno la figura di Axel, dubbi che avrebbe voluto provare a sciogliere, così, sistemate le pieghe immaginarie sul suo vestito bianco, in contrasto con l'abbronzatura che ancora si portava dietro, si avviò dietro al moro che non accennava a rallentare il passo. Si adeguò alla sua andatura, seguendolo come solo le migliori investigatrici sapevano fare, o le stalker, a seconda dei punti di vista, stupendosi quando lo vide entrare nella Foresta Proibita. Già solo il nome era un invito a starle lontani ma, più di questo, non era consentito agli studenti addentrasti fra le fronde di quegli alberi tanto fitti da non lasciare che la luce vi filtrasse, creando sempre quell'atmosfera soffusa e piacevole che faceva perdere la cognizione del tempo, ed era troppo presto perché un professore gli avesse dato qualche strano compito per cui fosse giustificato a trovarsi da quelle parti, eppure non demorse comunque. Accelerò leggermente per non rischiare di perderlo tra i tronchi scuri e le loro ombre, ma si arrestò comunque prima di varcarne il limite per controllare che non vi fossero professori in vista che potessero accorgersi dell'infrazione alle regole. Camminò ancora, fino a quando il punto da cui era entrata non fu più nemmeno visibile, ormai nascosta agli occhi di chi continuava a sostare nei territori consentiti dal regolamento e, per pochi attimi, pensò di averlo perso, ma le foreste erano quasi il suo habitat naturale e, affinando i sensi che credeva piuttosto sviluppati, riuscì a ritrovarlo. Era fermo ora, anche se cosa stesse facendo non era dato saperlo, e ne approfittò per accorciare le distanze. Se la sua idea su di lui fosse stata giusta, era probabile che avesse già percepito la sua presenza. Poco male, non era li per spiare di nascosto come una guardona. Si avvicinò ancora fino a ritrovarsi a pochi metri dalle sue spalle, annunciando la sua presenza camminando senza preoccupazione sui ramoscelli che si trovavano al suolo
    -Uno zellino per i tuoi pensieri- iniziò lei fermandosi con le braccia fasciate nel chiodo nero, che portava più per gusto personale che per il freddo che non percepiva, dietro alla schiena -Anzi, mi voglio rovinare, un'intera falce!- attese che il moro si voltasse per valutarne l'umore e, segretamente, per cercare in lui segni di stanchezza. L'angolo destro della bocca carnosa si sollevò verso l'altro in un sorrisetto sghembo -Ciao, Axel. Ti sono mancata?-
     
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    Di nuovo lì, al castello, e per l’ultimo fottuto anno di scuola. Axel sospirò, le labbra schiuse e la punta della lingua che andava muovendosi nella bocca sfiorando le punte di ogni singolo dente e canino. Non ci avrebbe scommesso d’arrivare a quel risultato, arrivare ad un passo dal diploma e dalla vita adulta lui che, quella vita, l’aveva unicamente passata a rifuggire la morte da quelle situazioni in cui il padrino adorava mettercelo e non solo lui. Tutta la famiglia Métis della quale aveva scoperto d’essere un membro appartenente e che in un modo assai astruso e complesso avevano finito per incastrarlo in un fottuto matrimonio combinato con quella mazza di scopa che avevano per erede. Una mazza di scopa piuttosto sexy, non c’era che dire ma il brutto vizio della Corvonero era che parlava. Dio quanto parlava! E quando lo faceva era unicamente per vomitare le nozioni da fastidiosa “so-tutto-io” ma anche “sono-tutta-io” di cui sembrava andar fiera. La morale? Non la sopportava nessuno esattamente per la boria e la saccenteria da lei emanati. Ed il mannaro avrebbe dovuto sposare quella? Ma nemmeno per tutto l’oro della fottuta Gringott di cui i Métis erano proprietari. Potevano succhiarglielo perché lui non era proprio per un cazzo per la quale e fortunatamente dello stesso avviso lo era anche Ethan che aveva immediatamente sentenziato che avrebbe preso lui in mano la situazione. Axel per cui s’era sfilato dalla bisaccia il contratto e lo aveva gettato nelle mani dell’uomo che aveva commentato con un certo divertimento, e apprezzamento, il modo in cui la nipote era paragonata alla stregua di un oggetto, di una vacca da latte dalle cui mammelle il bulgaro sarebbe eventualmente riuscito a portarsi a casa un bel malloppo. «Nemmeno per il cazzo» aveva replicato all’uomo che, con aria maligna quanto divertita gli aveva domandato se in fin dei conti non valesse la pena metterle l’anello al dito. Nemmeno per tutto l’oro del mondo. Ethan lo aveva osservato compiaciuto e, infilandosi il contratto in saccoccia, aveva garantito che se ne sarebbe occupato. Axel si fidava di lui, ciecamente. Conosceva lo sguardo che aveva visto negli occhi del mago fin troppo bene e voleva dire due cose: aveva un piano, o la sua mente stava già elaborando cose in tal senso e che qualcuno avrebbe davvero molto, molto sofferto.
    Era con questa assoluta certezza quindi che il mannaro aveva varcato le porte della scuola, piuttosto spossato, evitando il treno come mezzo di trasporto ma arrangiandosi con i propri mezzi proprio per essere in quel posto del cazzo in orario ma allo stesso tempo arrivando prima del fottuto calar del sole. Ovviamente l’espresso non considerava la natura di tutti gli studenti frequentanti e i ragazzi che come lui avevano quel piccolo problema mensile dovevano arrangiarsi con le proprie forze. Fortunatamente il primo giorno non si tenevano lezioni ed essendo arrivato per fatti suoi fu uno dei primi a varcare le porte della Sala Comune di Serpeverde per arrivare poi a riappropriarsi del suo posto nella stanza del dormitorio e godersi quelle ore di tregua prima che il suo snervante coinquilino, il ragazzo ribattezzato da lui come “Robot”, mettesse piede con la sua inquietante presenza nella stanza. Lui insieme al suo fottuto serpente che lo seguiva ovunque andasse e pareva osservarti quasi fosse un essere senziente. Da brivido. Ad Axel, manco a dirlo, stava sul cazzo quella biscia un po’ troppo cresciuta e se l’avesse trovata anche per sbaglio a distenderglisi di fianco a prendere le misure non c’avrebbe pensato due volte a farla fuori animale di sostegno o non sostegno che fosse. Ma almeno per quel giorno, il muso di entrambi se lo sarebbe risparmiato poiché, come di consueto, al calar del sole prese la via del settimo piano oltrepassando entrambe le torri di Grifondoro e Corvonero per dirigersi nella Stanza delle Necessità a smaltire la sua condanna. Fu solo durante il mattino inoltrato del giorno seguente che, intontito dalla trasformazione, scese quegli infiniti piani per dirigersi nell’unico luogo che gli instillava pace: la Foresta Proibita.
    Resettò al meglio che poté l’abbigliamento senza curarsi più di quel tanto d’infilare la t-shirt scura e quel tanto che bastava attillata correttamente all’interno dei pantaloni cargo che si dileguò spedito senza guardare in faccia nessuno. Un leggero mal di testa, perlopiù dettato da un incessante ronzio nelle orecchie lo infastidiva ed il brusio di voci che lo circondava mandava le sue sinapsi in tilt. Aveva bisogno di pace. Aumentò il passo e nel farlo rovistò all’interno delle tasche del pantalone dalla quale estrasse il sacchetto di tabacco nella quale era custodito tutto l’armamentario e con mano fin troppo esperta rollò e s’infilò tra le labbra una sigaretta aspirandone avidamente il fumo. Decisamente meglio. Varcò la linea d’alberi schierata a confine e solo per un’istante inclinò il capo, l’illusione d’aver percepito dei passi alle sue spalle, ma sia il mal di testa che l’impazienza lo spinsero ad ignorare quell’avvertimento dato dai sensi e ad inoltrarsi nel fitto della vegetazione che poteva dire oramai di conoscere molto bene. Essere diventato il cocco di Fletcher aveva anche dei vantaggi oltre alla merda che il damerino balbettante lo costringeva a spalare ma questa gli permetteva d’avere un’autorizzazione perenne che gli consentiva l’ingresso nella Foresta con la scusa di reperire ingredienti a nome del prof. Certo era perenne senza di lui i primi duecento metri ma andiamo, chi stava a controllare? S’inoltrò nel fitto e quando arrivò nel punto stabilito si fermò, piazzò la sigaretta tra le labbra e con gesti spinti dall’irrequietezza cominciò a slacciare e sfilare i pesanti anfibi che portava ai piedi liberando le caviglie arrossate e lesionate dai calzini. S’alzò e lo stesso, con un gemito di piacere, lo fece con le polsiere riuscendo a liberare con soddisfazione un polso scavato e sanguinolento gettando il bracciale di cuoio nell’erba prima che una voce giungesse alle sue spalle.
    «Uno zellino per i tuoi pensieri!» Si voltò e lo sguardo incontrò e passò al setaccio la provocante figura di Freya Riis. «Anzi, mi voglio rovinare, un’intera falce!» Continuò avanzando con quelle lunghe gambe quasi del tutto scoperte da un abitino casto ma solo all’apparenza poiché il gioco di spacchi e trasparenze del tessuto lasciava poco spazio all’immaginazione stimolando ben altro. Cazzo! Come faceva quella ragazza a beccarlo sempre nei momenti meno opportuni dove il confine con la sua natura di fottuta bestia era più labile?
    «Ciao, Axel. Ti sono mancata?» Le labbra del mannaro si richiusero per dipingere su di essere un sorriso sghembo di rassegnata accettazione. Scosse il capo, divertito. «Riis. Riis. Non sapevo d’avere una stalker» esordì fissandosi il polso libero. Aveva già visto lo stato in cui verteva? Nel dubbio infilò la mancina in tasca e, ostentando una sfacciata disinvoltura, s’avvicino lentamente alla Serpeverde. «O forse ti sono mancato io per... trovarti qui?» Andiamo era palese che lo avesse seguito. Era ben inoltrati nel folto del bosco e puff magicamente era apparsa come una ninfa? Mh. La vedeva un po’ difficile. «O il richiamo della Foresta?» Le sopracciglia si sollevarono in un tilt mentre le girava attorno non mancando di posare gli occhi squadrando ogni centimetro di quel corpicino fantastico. Cazzo se era bella. L’abbronzatura poi, le stava da dio. Così divinamente da percepire il sangue ribollire nelle vene. Mmmm la sua parte animale era ancora sveglia e scalpitante e l’odore selvatico emanato dalla sua pelle... S’allontanò volgendo alcuni passi indietro. «Che ci fai qui?» Ti godi lo spettacolo? Il suo sopracciglio ebbe un tilt sollevandosi rapido. In fin dei conti, tolta la polsiera poi sarebbe stato il turno della maglietta.
     
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    Stanchezza, era quella la sensazione predominante che le faceva compagnia da quando, quella mattina, i primi raggi del sole l'avevano svegliata nel bel mezzo della foresta che si estendeva nei pressi della sua casa. Raccattati i suoi vestiti, era tornata all'abitazione per sistemarsi e, soprattutto riposare quel paio d'ore indispensabili per riuscire carburare quel tanto che bastava per arrivare li dove già la stavano aspettando. Che bellezza, non bastavano lo stress e gli strascichi dei dolori che quelle notti le causavano, in cui ogni osso si rompeva e si riassemblava senza che diventasse mai più tollerabile, avrebbe anche dovuto subire le domande dei curiosi che le avrebbero chiesto il perché del suo ritardo, costringendola ad inventarsi qualche scusa credibile per tappare loro la bocca. Un funerale magari, e se avessero insistito sarebbe stato il loro. Era frustrata, come sempre quando passava quei tre giorni da sola, lontana dalla compagnia del maggiore dei suoi fratelli che, invece, l'aveva sempre accompagnata. Sapeva che era cresciuta ormai, che non aveva più bisogno di un babysitter né di un supporto morale, ma farlo con qualcuno le dava la sensazione di essere meno sola, meno sbagliata, meno anormale, ma non era giusto pretendere che Oliver mollasse la sua vita per stare dietro ai suoi capricci. Era consapevole che il fratello sarebbe corso da lei per assecondare la sua richiesta, ma era giusto che si mettesse l'anima in pace e si adeguasse, accettandolo, conscia anche del fatto che, i mesi ad Hogwarts, sarebbero stati anche più difficili. Era abituata a lasciarsi andare, correre libera nel fitto della vegetazione, persino dare la caccia a qualche povera bestia se addirittura si annoiava. Al castello, questa possibilità, era fuori discussione. Niente corse, niente nottate sotto le stelle, niente aria fresca a frusciarle tra le orecchie a punta, solo la desolazione di quella catapecchia che ancora resisteva al villaggio di Hogsmeade. Chiusa tra quelle pareti che non era sicura avrebbero retto ancora a molto, rannicchiata su qualche tappeto impolverato e circondata dall'odore di sangue rappreso di quelli che vi erano passati prima di lei. Faceva schifo, come se la situazione non fosse stata già abbastanza meschina di per sé, ma lo accettava e senza lamentarsene apertamente, solo perché l'ultima volta che in una scuola, a Durmstrung, aveva pensato di potersene stare libera per i boschi, non era finita poi troppo bene. Era già tanto che non l'avessero fatta sopprimere come un cane, non che la cosa le avrebbe causato chissà quale dispiacere. Quel pensiero era sempre li.
    Non era stata preparata per la metà delle cose attraverso cui era passata, ma ce l'aveva sempre fatta e, con un po' di fortuna, avrebbe continuato a farcela, quindi era con spirito di rassegnazione che, una volta pronta, se ne tornò tra quelle quattro mura di pietra antica che aveva ormai imparato ad apprezzare. Il rientro fu veloce, nessun noioso treno che le avrebbe fatto perdere un'intera giornata, si era smaterializzata ad Hogsmeade e, da li, era tornata al castello. Sia benedetta la magia! Persino i compagni erano stati meno curiosi di quanto si sarebbe immaginata ma, a ben pensarci, l'eccitazione del rientro aveva sovvertito l'ordine delle priorità. Non poteva non osservarli con celata invidia, inconsapevoli della fortuna che era toccata loro, ed eccola li, quell'ondata di frustrazione che tornò ad assalirla costringendola a cercare svago altrove. Uscì nella speranza che sole e aria fresca la riportassero quanto meno di buon umore, a ripensarci i quattro caffè non erano stati una buona idea, ora si che la stanchezza era un ricordo, ma aveva anche i nervi a fior di pelle che male si sposavano con i sensi ancora così attivi e suscettibili, gli ultimi strascichi della luna piena. Ma cosa ci poteva fare? Quel profumo era così caldo, così avvolgente, così invitante, che per lei non era altro che una tentazione a cui non sapeva dire di no. E parlando di invitanti tentazioni, fu proprio in quell'ora di metà mattina che la sua concentrazione si focalizzò sulla gigantesca figura del principino delle serpi, dimenticandosi il fastidio della sua condizione e la spossatezza che si portava dietro. Una volta inquadrato un obiettivo, riusciva a dimenticare tutto il resto e, questo, faceva di Axel la sua migliore prospettiva se voleva superare il resto della giornata. Lo seguì silenziosa, curiosa di vedere cosa stesse facendo da quelle parti ma, soprattutto, cercando di delineare una strategia per riuscire ad ottenere qualche informazione in più sulla sua persona. La curiosità se la mangiava viva.
    Non si sarebbe aspettata di coglierlo di sorpresa, ed invece eccolo li quello sguardo che le parve addirittura stupito. Sempre meglio che infastidito.
    -E non hai idea di quante altre cose non sai, Dragonov- il sorrisetto non accennò a sparire mentre pronunciava il cognome straniero del moro. Ci aveva già fatto caso, ma non ricordava di averlo mai sentito chiamare qualcuno per nome. Né durante le partite, quando si prendeva la briga di sgridarla facendola sentire la più piccola delle merde, né durante lezioni, neppure in quella in cui a momenti ci lasciavano le penne e che era responsabile, ora, del suo pedinamento. Lo osservò, ma sembrava il solito Axel che incontrava per i corridoi o in Sala Comune, con quel ghigno perenne che manteneva fino a quando qualcuno non riusciva a rompergli le palle. Le venne il dubbio di potersi essere sbagliata su di lui quel giorno, magari aveva preso solo qualche pozione strana per riuscire a guarire più in fretta, in fin dei conti era pur sempre l'assistente del professore. Ridacchiò alla prima domanda di lui senza tuttavia rispondere, continuando a studiarlo a distanza e ad elaborare un modo per sapere quello che le interessava. Non era facile! Non si va da una persona chiedendo “Ehi ciao, sei un licantropo?”, il vaffanculo era assicurato e pure autografato, soprattutto da un tipo all'apparenza irascibile come lui. Persino lei avrebbe mandato al diavolo chiunque glielo avesse chiesto, non era una cosa che avrebbe sbandierato ai quattro venti, né qualcosa di cui parlava con piacere. Non aveva alcun motivo per rivelarsi agli altri, e gli altri avrebbero fatto lo stesso con lei -Devi ammettere che è affascinante, no? La Foresta- e anche lui non era male mentre le girava attorno come spesso aveva visto fare ai predatori che braccavano la loro preda. Eppure, a volte, il confine tra preda e cacciatore era estremamente labile. Rimase ancora immobile, lasciandolo fare, lasciando che la studiasse a sua volta, ringraziandolo mentalmente per essersi ritratto di qualche passo e aver così dato tregua ai suoi sensi ancora così ricettivi, fin troppo ricettivi. Persino il suo sguardo sul suo corpo lo avvertiva quasi come tangibile attraverso quel sottile strato di stoffa che la copriva
    -Ti ho seguito- ammise scrollando le spalle con candida innocenza prima cominciare a guardarsi attorno per studiare quel particolare punto della Foresta in cui si era fermato. Non vedeva nulla di strano a parte gli anfibi di lui che giacevano a terra, ma uno spiccato odore di sangue raggiunse il suo naso già di norma molto sensibile. É ferito? Nulla di lui tradiva una ferita importante, ma l'odore era li e non poteva sbagliarsi -Vai spesso in giro a piedi nudi nella Foresta?- era curiosa, soprattutto perché era una cosa che lei, invece, faceva davvero, ma in realtà stava solo prendendo tempo prima di trovare le parole per spiegare la sua presenza. Poi, l'illuminazione. Si tolse la giacca, lasciando libere le braccia e scoprendo altra pelle, estraendo dalla tasca interna la bacchetta e una piuma d'oca prima di appenderla ad un ramo basso al suo fianco
    -Ti avevo promesso una bevuta, o sbaglio?- che ore erano? Le 10? 11 al massimo -Sono sicura che da qualche parte nel mondo sia l'ora dell'aperitivo- sfiorando la piuma con la bacchetta, annullò la trasfigurazione che le era stata applicata in precedenza, così che la penna lasciasse il posto ad una bottiglia di boubon nuova di zecca -Mi piace pagare i miei debiti, te la senti? O hai lo stomaco delicato?- toccò a lei guardarlo con un sorrisetto sghembo questa volta. No, non era solita girare con bottiglie camuffate nelle tasche, ma era una tradizione che portava avanti da quando suo fratello aveva pensato fosse abbastanza grande per bere, finiti i tre giorni di Luna, si faceva sempre un cicchetto. Prese ad avanzare passandogli accanto squadrandolo da capo a piedi, solo per raggiungere una roccia alle spalle del ragazzo su cui si accomodò distendendo le lunghe gambe davanti a lei ed accavallando le caviglie. Con la mano sinistra picchiettò la roccia al suo fianco invitandolo a raggiungerla, pur sapendo che sarebbe stato molto più semplice per lei tenendolo a distanza. Era masochista, cosa ci poteva fare -Tranquillo, non ti mordo mica- a meno che non sia tu a chiederlo -A meno che tu non preferisca stare solo- e anche in quel caso, avrebbe cercato ogni pretesto per restare.


    Edited by -RedFlag- - 5/8/2023, 07:17
     
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    In tutta quella merda qualcosa di positivo c’era. In tutto quel discorso della fuga, della paranoia che qualcuno li seguisse e persino in quelle lezioni con la quale il padrino, Ethan, lo tormentava quotidianamente con l’ordine – come se la cosa potesse essere tassativa – di migliorare e diventare un esperto occlumante in due mesi. Chiaramente non avrebbe mai potuto Axel definirsi in quel modo, d’aver raggiunto tale livello, non era nemmeno lontanamente in grado di mettere in difficoltà un mago della portata del Kontos – o voleva farsi chiamare Métis ora? – figurarsi un auro esperto ma, per quanto bastava loro almeno per il momento era più che sufficiente per pararsi il culo nel caso in cui il bulgaro si fosse trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Mai poteva sapersi quando quei fottuti piedi piatti decidevano di presentarsi di punto in bianco a rompere i coglioni com’era successo alla festa di San Valentino tenutasi al Wonderland quel febbraio. Tutti a divertirsi, a farsi di quei maledetti drink che facevano calare le gonne che manco in un locale di spogliarelliste e poi boom, di punto in bianco gli sbirri nel locale e da lì tutto un darsi alla macchia da parte della gente. Ciò che però non aveva potuto fare il bulgaro che per motivi adesso nebulosi s’era trovato a dover imbastire in fretta e furia buona viso a cattivo gioco nei confronti di quell’auror amico della professoressa di divinazione con la quale aveva avuto un incontro anche troppo ravvicinato per i suoi gusti. Aveva risposto – monosillabico – alle domande del mago e poi, alla prima occasione utile, aveva levato le tende ma, come Ethan aveva tenuto a sottolineare, poteva essere certo che quell’uomo non avesse frugato indisturbato nella sua testa? Axel non pensava fosse stata quella la situazione o il contesto, insomma pensava d’averlo fottuto per bene in quanto la professoressa s’era persino complimentata con lui ma allora chi aveva fatto irruzione nel loro laboratorio? Era davvero stata sua nipote a venderli o aveva aperto becco con le persone sbagliate? Tutte domande alla quale non avrebbe avuto risposta in tempi brevi e per la quale non era pagato – letteralmente – per ottenerle. Il suo scopo era concentrarsi in quella fottuta materia e frutto di quei mesi gomito a gomito, appunto, era stata la svolta nella formulazione della sua pozione anti-lupo. Finalmente avevano trovato la fottuta quadra! Erano un paio di mesi che sperimentavano quella combinazione d’elementi che sembravano riuscire a tenere a bada la bestia come non lo era stata negli ultimi tredici anni. Non sarebbero più state necessarie grosse catene a fermarlo né una gabbia di contenimento eppure, il bulgaro, troppo scottato dal passato continuava ancora ad optare per i vecchi metodi fino a che non sarebbe stato sereno all’idea di abbandonare le catene perché realmente innocuo durante quelle notti. Per cui, ancora una volta, le sere precedenti quelle investite dal plenilunio s’era chiuso nella sua personalissima gabbia che ad Hogwarts prendeva forma nella Stanza delle Necessità ed una volta lì dentro aveva posto i grossi anelli intrisi d’argento e strozzalupo serrandoli ai quattro arti ed al collo. I segni di quei soprusi c’erano, l’argento e lo strozzalupo erano nemici naturali di un lupo mannaro ma rispetto al passato, almeno, la pelle non era più scavata fino all’osso tanto da grondare sangue. Era escoriata pesantemente, era bruciata ma solo la carne viva era visibile ed il sangue appena appena sporcava la sua pelle. Un netto e colossale miglioramento rispetto allo standard a cui era abituato nell’ultima decina d’anni. Ma quindi cosa ci faceva in quel bosco?
    Niente.
    Assaporava unicamente la libertà beandosi della solitudine regalata dalla Foresta Proibita dove nessuno avrebbe disturbato la sua ricerca di quiete e nessuno avrebbe potuto attentare al suo umore ballerino insieme ai sensi fin troppo sollecitati e pronti a scattare alla minima stimolazione, quale che essa fosse. Era per cui un “problema”che Freya Riis fosse lì in piedi di fronte a lui, bella come poche donne al mondo con quell’atteggiamento piuttosto lascivo e flirtante nei suoi riguardi. Cosa voleva ottenere da lui?
    «E non hai idea di quante altre cose non sai, Dragonov» Un sopracciglio s’inarco per quella scelta di marcare il suo cognome. La sua era un’abitudine quella di chiamare chiunque per cognome, lo faceva per mantenere un distacco e non lasciare aperta al suo interlocutore la possibilità che anche solo per sbaglio pensasse di potersi prendere una confidenza che non possedeva. Pochi, pochissimi potevano vantare d’essere appellati per nome e di certo quel pezzo di gnocco non poteva ancora vantare tale confidenza, magari... chissà!
    «Devi ammettere che è affascinante, no?» Si prese una pausa mentre il mannaro le girava attorno trovandosi all’altezza del fianco, gli occhi adesso puntati in quelli chiari di lei. «La Foresta.» Certo, la foresta. Il ghigno s’accentuò, chiaro segno che aveva ben interpretato il messaggio celato nemmeno troppo velatamente nel sotto testo. Sarebbe stata un’idea così pessima sbatterla e fotterla contro l’albero alle sue spalle? Indietreggiò preventivamente di un paio di passi non mancando di fissarla per qualche breve istante prima di mettere ulteriore distanza. Certo che era una pessima idea, su di giri com’era non sarebbe riuscito a placare i suoi istinti nemmeno se lei avesse detto no e lui, ancora per il momento, non era un fottuto stupratore.
    «Ti ho seguito» ammise lei come fosse una questione di poco conto mentre Axel, invece, replicò con un’alzata di sopracciglia che avrebbe ostentato sorpresa per quanto la risposta, a prescindere, fosse oramai scontata. Era ovvio l’avesse fatto. «Quindi una stalker, interessante Quell’informazione poteva avere implicazioni dai risvolti interessanti se avesse saputo giocarsi le sue carte. Certo, non voleva si facesse i cazzi suoi quando doveva fare le sue cose ma magari, in determinate occasioni, perché no, avrebbe potuto indugiare molto più che volentieri soddisfacendo le sue curiosità. Anche tutta la notte. Dio, doveva darsi un freno ma era così complicato quando il suo odore, quando i feromoni rilasciati dal suo corpo, così persistenti quanto insistenti non facevano altro che chiamarlo. Sì passo la mano ancora coperta dal polsino tra i capelli, scompigliando la folta chioma scura. «È un peccato?» Chiese quindi di rimando, immediatamente. «Ho un particolare feeling con la natura. Sono ambientalista» che gran cazzata. L’aveva sparata così grossa che non fu in grado di trattenere un risolino. Lui, ambientalista, figurarsi. I suoi mozziconi finivano senza pietà nell’erba senza la benché minima cerimonia mandando in tilt chiunque con un minimo d’interesse per il verde. «Dovresti provare. È liberatorio non tenere i piedi costretti in quegli scarponi.» Senza contare che, così all’aria, le ferite della catene avrebbero avuto modo di rimarginarsi più rapidamente. Si chinò per terra e con disinvolto recuperò il polsino che aveva gettato prima d’avvicinarsi al ceppo di un tronco sulla quale avrebbe deposto le terga. Sfilò la mano dalla tasca e in un movimento rapido quanto preciso circondò, prima che secondo lui lei potesse intuire la pelle offesa, il polso ferito con il cuoio. Ora perlomeno non avrebbe dovuto tenere la mano in tasca per tutto il tempo scatenando nella Serpeverde una curiosità innata che lo avrebbe ulteriormente fregato. Aveva già visto troppo durante la lezione d’incantesimi di cui, peraltro, s’era dimenticata della bevuta che gli doveva?
    La risposta arrivò quasi il bulgaro l’avesse evocata. La vide sfilarsi la giacca soffermandosi sul movimento naturale che per qualche istante la portò ad evidenziarne la linea morbida ma pronunciata del seno ma ciò che ne estrasse non fu una fiaschetta quanto una banalissima piuma bianca. E adesso? «Ti avevo promesso una bevuta, o sbaglio?» Classico movimento del sopracciglio che ancora una volta svettò verso l’alto, «sono sicura che da qualche parte nel mondo sia l’ora dell’aperitivo.» Fu quando estrasse anche la bacchetta che tutto si spiegò in un batter d’occhio: magia trasfigurativa. E brava la Riis! Qualcuna era stata attenta alle lezioni della Huxley.
    «Dì un po’ Riis hai presente da dove vengo?» L’accento marcato e spigoloso non era un chiaro indicatore dei suoi natali tutt’altro che inglesi? «Allunga!» Ma ella aveva ben altro in mente. Sì avvicinò, ciondolando la bottiglia tra le lunghe dita, le falcate che andavano intrecciandosi quasi quella fosse una passerella. Freya gli passò accanto lasciando che la bottiglia sfiorasse appena il suo corpo per poi oltrepassarlo e andarsi a sedere alle sue spalle al di sopra di un masso decisamente più spazioso del ceppo. «Tranquillo, non ti mordo mica.»E allora dillo che te le cerchi”. Espirò passandosi una mano sul viso prima di alzarsi stancamente, solo all’apparenza riluttante, compiendo quei passi che lo dividevano dalla ragazza. Non le staccò gli occhi dal viso valutando e studiando il suo atteggiamento fino a che non le fu davanti, esattamente davanti. Lì non scelse il posto che le stava indicando ma preferì sporsi poggiando gli ampi palmi ai lati delle sue cosce, lì sarebbe bastata una leggera pressione per costringerla ad allargarle. «Mŭm zdraveto*», enunciò quell’augurio nella sua lingua madre attendendo che la mora aprisse la bottiglia. Una volta che gliel’avrebbe passata avrebbe tracannato un lungo sorso senza scostare nemmeno per un istante il contatto visivo indissolubile che era andato a crearsi tra i loro sguardi. Si staccò e soffiò, quello non era di certo alcool scadente. «Permetti» non era una domanda, bensì un’affermazione che se la mora avrebbe accolto senza capricci avrebbe permesso al bulgaro di poggiare su quelle lussuriose labbra carnose la bocca della bottiglia permettendo al liquido ambrato di scendere giù, lungo la sua gola. Lo sguardo del bulgaro si fece più intenso e quando una goccia del whiskey sfuggì dalla sua bocca allungò una mano posandola sul suo viso, avvolgendolo per un breve attimo evitando che nulla di quel nettare andasse sprecato.
    Sorrise.
    «Magari mordo io Riis, per questo me ne sto solo... Ci hai pensato?»

    *alla salute
     
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    Quanto tempo era passato da quella prima volta, dodici anni? Forse si, giorno più, giorno meno. Non troppo tempo, quindi, per riuscire a dimenticare tutto quello che aveva passato. Ricordava ogni cosa, come stampata a fuoco nella sua memoria, dal dolore fisico che dilaniava il suo corpicino fin troppo piccolo per credere di riuscire a contenerlo tutto, a quello che aveva provato fin dal mattino dopo. La prima luna non se la sarebbe mai scordata, lei e il fratello si erano risvegliati incatenati come bestie in seguito a qualcosa escogitato dai loro stessi genitori, li avevano rinchiusi e lasciati li dentro, per tre giorni e tre notti, facendo passare un solo elfo domestico per controllare il mattino seguente se fossero ancora vivi e, soprattutto, immobilizzati. Ricordava di essersi svegliata il terzo giorno, stesa a terra supina, senza nemmeno più la forza di gridare o anche solo piangere, disidratata e sfiancata, quella fu la prima volta in cui desiderò che le togliessero la vita. Si trasferirono subito dopo, accordandosi con il maggiore dei suoi fratelli perché fosse lui, d'ora in avanti, ad occuparsi di entrambi come se la loro situazione non riguardasse più i loro genitori, e così fu da allora, sancendo la fine di ogni qualsivoglia rapporto parentale tra loro e i due figli ormai ritenuti indegni. Meglio così, la parte razionale di lei sapeva che non ne aveva alcun bisogno, che aveva vissuto benissimo senza quel rapporto e che avrebbe continuato a farlo per il resto della vita, però c'era ancora quella parte irrazionale che ancora un po' ci sperava. Sapeva che era stupido, persino insensato, era più il tempo che aveva passato senza di loro che quello in cui erano stati felici, eppure lo voleva. Non sapeva nemmeno spiegare il motivo, o forse era la consapevolezza che non ne avrebbe mai potuta avere una sua, che le faceva desiderare di avere un rapporto con la famiglia che aveva attualmente, pur sapendo di scontrarsi con un muro, pur sapendo che non sarebbe mai successo e che sarebbe stato meglio lasciare andare. Però faceva male, e nessuno era mai in grado di dire quanto cazzo facesse male sapere di dover lasciare andare delle persone, ma allo stesso tempo desiderare rimanere per riprovare ancora una volta solo per essere accettata, sperando che qualcosa potesse cambiare, ma sapendo già che non sarebbe mai successo. Era una masochista, ne era consapevole, e lo dimostrava anche ora che si ostinava a seguire nel fitto della Foresta una persona che, già anche senza influsso della Luna, era in grado di smuoverle certe fantasie. Ridacchiò immaginandosi un Axel in versione ambientalista, per qualche motivo perdeva di fascino, non gli donava, avrebbe perso quell'aura selvaggia che lo faceva apparire così peccaminoso. E lei aveva sempre avuto un debole per le cose proibite. Lo assecondò, liberandosi come lui delle calzature e rimanendo a piedi nudi sull'erba, senza perdere di vista i movimenti del moro nemmeno per un secondo. Doveva ammettere che alcune cose erano strane
    -Prima gli anfibi, poi il polsino- fu il suo turno di girare attorno al ragazzo, mantenendo le mani dietro la schiena con fare innocente -Sicuro che non abbia interrotto niente?- se solo avesse aspettato qualche minuto in più, quale scena si sarebbe ritrovata davanti agli occhi? Ed ecco che, già solo a pensarci, un brivido le percorse la schiena, costringendola a deglutire ed a continuare a parlare per mascherare i suoi pensieri -Perché per le scarpe ti assecondo anche, ma il vestito non me lo tolgo- si fermò al suo fianco puntando gli occhi in quelli smeraldini di lui, a parti invertite rispetto a poco prima -almeno, non da sola- scherzò sorridendo con fare angelico prima di allontanarsi di qualche metro per riportarsi a distanza di sicurezza. Mascherare i pensieri, lo stai facendo male.
    Si chiese come facesse ad essere così tranquillo dopo quello che era successo, se qualcuno avesse visto le sue ferite rimarginarsi sarebbe impazzita. Lo avrebbe cercato fino in capo al mondo solo per assicurarsi che tenesse chiusa la bocca o che le dicesse quello che pensava, che intenzioni avesse, come la vedesse, qualcosa insomma! Invece, Axel sembrava la tranquillità in persona. Già durante la lezione di Incantesimi non aveva nemmeno cercato di nascondersi, né di dissimulare, o almeno non con troppa convinzione, era tranquillo e rilassato, come nulla fosse. Non aveva paura? Doveva capire di più di quella situazione, ma non potendo affrontarlo di petto, la prese larga. Una bella fortuna averlo beccato quel giorno, avrebbe dovuto ringraziare il fratello per quello strano rituale che ormai le aveva inculcato, ma portarsi dietro quella bottiglia di bourbon ricercato era stato il colpo di genio che non si sarebbe mai aspettata. Lasciò scorrere lo sguardo sull'imponente figura di lui mentre si avvicinava, studiandone le la fisicità nascosta sotto i vestiti, ricordandone la tonicità che aveva avvertito sotto le dita quando aveva tentato di curare le sue ferite aperte. Si inumidì le labbra, mentre un angolo della bocca si sollevava in un sorrisetto divertito. Li, seduta su quel masso, bloccata dalle braccia forti del moro, si sentiva quasi braccata e, in un certo senso, era eccitante. Non si oppose a quella vicinanza, anzi la cosa la divertiva. Con una mano svitò il tappo della bottiglia senza mai staccare gli occhi chiari da quelli di lui, salvo rari attimi in cui saettavano fino alle labbra sottili ma invitanti di lui. Gli passò la bottiglia lasciando che ne saggiasse il sapore, quasi compiaciuta quando si rese conto che non era solita accompagnarsi con niente di scadente e, quando lui avvicinò la bottiglia alla bocca di lei, ancora una volta non si oppose. Lasciò che fosse lui a condurre il gioco, decidendo l'inclinazione, la quantità e anche la durata di quel sorso che non si fece problemi a buttare giù come se il bruciore alla gola e alla bocca dello stomaco fosse cosa da nulla. Aveva provato di peggio. Aveva fatto la brava fino a quel momento, si era persino sottomessa al suo volere o, almeno, così aveva lasciato credere fino a quando parlò di nuovo. Delicatamente, prese la mano che le sfiorava il volto con la sua, staccandola dalla sua guancia e voltando il capo verso essa, intrappolando tra le labbra quel lembo di pelle con cui aveva arrestato la corsa di quella goccia fuggiasca, tutto senza mai interrompere il contatto con gli occhi del bulgaro perché, ormai, sembrava quasi una sfida
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    -Ci ho pensato,- cominciò facendo scivolare la mano lungo il braccio di lui, soffermandosi sulla spalla per poi arrivare al petto dove si fermò -ma magari la cosa mi piace- riprese a muovere la mano, questa volta scendendo verso l'addome. Riprese la bottiglia e ne bevve ancora un lungo sorso, il ghigno si accentuò mentre sfilava la maglietta dai pantaloni di lui e vi si intrufolava sotto per cercare il contatto diretto con la pelle tesa di lui. Gli passò la bottiglia invitandolo a bere sollevando le sopracciglia una sola volta velocemente, mantenendo sul volto un'espressione ingenua e rilassata, come se non avesse continuato a scendere con la mano fino a li dove i pantaloni facevano da barriera. Qui si fermò, senza però accennare a voler interrompere quel tocco
    -Anche se, lo ammetto, ci sono cose che mi piacciono di più- si insomma, farsi mordere non era nulla che le suscitasse chissà cosa. Solo un dito continuò ad aderire alla pelle di lui, scivolando da sinistra a destra li, tra la pelle nuda del ventre scolpito, e il tessuto ruvido dei pantaloni, per poi ripercorrere il percorso a ritroso fermandosi proprio al centro, lasciando che una sola falange si insinuasse oltre il limite consentito, facendo anche pressione cercando di tirarlo a sé, sfidandolo a venirle ancora più vicino. Allontanò la mano da quel corpo perfetto, ma non perché avesse intenzione di dargli tregua. Si sporse in avanti, avvicinando il viso a quello del moro con le labbra appena schiuse. Incatenò gli occhi socchiusi in quelli di lui, intenzionata a non perdersi nulla delle sue espressioni e, se l'avesse lasciata fare, con la lingua avrebbe solleticato il labbro superiore ragazzo prima di scartare di lato, sfiorando il viso ispido di lui con la sua guancia ora rosea per il calore che era montato da qualche minuto a quella parte
    -La caccia, per esempio- sussurrò al suo orecchio chiudendo gli occhi e lasciando che il suo profumo le riempisse le narici sensibili. Sarebbe stato sbagliato legargli le gambe alla vita e prenderlo su quella stessa roccia? Si, lo sarebbe stato se prima non avesse parlato del vero motivo per cui si trovava li. Se si fosse lasciata andare per fare ciò che più desiderava in quel momento, sapeva che non sarebbe più riuscita a sollevare l'argomento.
    Si lasciò scivolare giù dalla roccia, non mancando di far scorrere il suo corpo contro quello di lui, per poi sfuggirgli dalle braccia portandosi dietro la bottiglia e cominciando ad addentrarsi ancora di più nella foresta, zigzagando tra gli alberi e voltandosi di tanto in tanto per fargli un cenno del capo e convincerlo a seguirla. Fu quando fu abbastanza sicura che nessuno li avrebbe trovati, nemmeno entrando nella Foresta per sbaglio, che si arrestò. Si voltò di nuovo a fronteggiare il verde-argento e, dopo essersi presa ancora un sorso di quel liquore ambrato si decise a svuotare il sacco
    -Non è solo per una bevuta che ti ho seguito- senza alcuno sforzo, ruppe il collo della bottiglia in vetro, abbandonando la parte con il liquido restante sul fondo boscoso, rigirandosi il pezzo staccato tra le dita -Come ti ho già detto io pago sempre i miei debiti- impugnò il frammento di vetro come fosse un arma -e si da il caso che ti debba anche un segreto- un po' glielo doveva mentre, doveva ammettere, un po' scalpitava dalla voglia di raccontare di lei a qualcuno per quanto la cosa la spaventasse. Senza attendere oltre, si colpì la mano non dominante, lasciando che la scheggia le tagliasse la pelle in modo superficiale, ma quel tanto che bastasse per farla sanguinare. Abbandonò il frammento di vetro a terra, allungando la mano ferita verso il ragazzo così che lo vedesse. Era un taglio superficiale, banale anche per un semplice umano, ma per lei che umana non lo era del tutto, fu rapido vedere come i lembi di pelle tornassero in fretta ad unirsi, lasciando che quel leggero rivolo di sangue fosse l'unica testimonianza di quel taglio che, ora, non c'era già più. Con occhi attenti e vigili rimase fissa sulla figura di lui, non sapendo cosa dire o fare, temendo a tratti una sua reazione. Era la prima volta che si mostrava a qualcuno.


    Edited by -RedFlag- - 9/8/2023, 08:06
     
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    «Prima gli anfibi, poi il polsino. Sicuro che non abbia interrotto niente?» Circa. Axel si voltò seguendo il suo incedere per proporre alla mora un’espressione divertita per quanto allo stesso tempo enigmatica. Cosa stava facendo lì in quel bosco tutto solo? Beh, svestirsi di sicuro era nei suoi piani. Ma non per fare qualcosa di preciso o dare luogo ad una qualche tradizione, rituale quanto piuttosto per far prendere aria alle ferite aperte che sotto i vestiti pulsavano e bruciavano, anche e soprattutto in quel momento nonostante il bulgaro le ignorava stoicamente per non lasciare che l’altra intuisse quel fastidio presente. Per quanto la figura della Riis fosse ancora avvolta da una tenue ombra di mistero una cosa su di lei l’aveva inquadrata: era curiosa e forse il motivo per la quale fosse proprio lì era dovuto a quel tratto. Aveva visto a sufficienza durante la lezione d’incantesimi e per quanto sperasse e desiderasse che la Serpe avesse dimenticato quell’episodio o si fosse data una qualche risposta alternativa, sentiva che, attraverso il modo in cui i suoi occhi azzurri si socchiudevano quasi a squadrarlo che in qualche modo fosse sotto esame. Non aveva dimenticato un cazzo. Bella rogna. «Chissà» replicò invece, evitando di dargliela vinta spiegando particolari di se che alla ragazza non sarebbero certo sfuggiti. Si stavano studiando e apertamente anche, e come se non bastasse a coronare il tutto c’era anche quella vena provocatoria che aumentava la tensione tra loro. L’uno era attratto dall’altra ma quell’attrazione fungeva anche al contrario, era reciproca. Axel riusciva ad avere un ascendente su di lei, per quanto dissimulasse lo percepiva nel modo in cui le pupille si dilatavano ed il respiro si faceva a tratti irregolare.
    Si fermò concludendo quel movimento rotatorio attorno alla ragazza dando il tempo e lo spazio alla Riis di effettuare la sua mossa che non tardò ad arrivare. Era il suo turno di girargli intorno ed Axel la lasciò fare senza scomporsi mantenendo ben nascosto il polso ferito all’interno del pantalone resistendo all’impulso di sistemare lo scollo della maglietta. Un movimento in quella zona ed avrebbe sicuramente attirato lo sguardo della Serpeverde che presto o tardi avrebbe notato anche quei segni che facevano capolino. Dannato argento e dannata anche lei che riusciva ad apparire nei momenti meno adatti, nei momenti in cui la sua corazza era meno alta per un motivo o per un altro. Bene o male a lezione era sempre riuscito a dissimulare così come sul campo da Quidditch dosando forza e riflessi quel tanto da non apparire oltre il limite dell’anormale. La forza poi, veniva semplice, grosso com’era non era difficile per gli altri pensare che quella fosse una delle sue qualità ma per tutto il resto? Doveva dosarsi, doveva reprimersi. Questo però non era riuscito a farlo nella giungla quando le fottute piante lo avevano attaccato ferendone a sangue la pelle attivando irrimediabilmente il gene del lupo, della guarigione accelerata. Quello era un tratto che non poteva controllare. Era insito nel suo DNA. Il tutto era avvenuto sotto i suoi occhi. Quanto ricordava di quell’episodio? «Perché per le scarpe ti assecondo anche, ma il vestito non me lo tolgo.» Questo era un gran peccato. Strinse le labbra spostandole lateralmente in una chiara espressione di delusione. Solo un pazzo – o un frocio – non avrebbe voluto vederla nuda e lì in quei boschi con i sensi sovreccitati, sia quelli umani che quelli della bestia, era esattamente quel pensiero che non riusciva a tenere sedato. Intrusivo continuava a sgusciare distraendolo da quello che era il suo compito. “Cosa vuoi da me?” Si domandava stringendo lo sguardo perché in quell’atteggiamento di entrambi non c’era solo la volontà a voler ottenere delle risposte, c’era di più. Era come se il corpo della Riis lo stesse chiamando, i suoi feromoni cantassero per lui chiamandolo a gran voce chiedendo di possederla. Era assurdo, era nella sua mente, sapeva essere nella sua mente poiché il mannaro imputava quel richiamo irresistibile unicamente alla sua natura di lupo che, dopo le notti di luna piena, era più vivo che mai quando il confine tra le sue identità diventava incredibilmente labile. Quando l’uomo e la bestia diventavano un tutt’uno. Sapeva fosse unicamente frutto della sua immaginazione o meglio del suo desiderio particolarmente accentuato, sapeva di doverle resistere eppure faticava a contenersi. Lei non era d’aiuto.
    «... almeno, non da sola» concluse la mora con un’ultima occhiata ambigua prima di mettere della distanza tra loro saltellando, a piedi nudi, nella boscaglia. Cazzo. Axel espirò. Era in difficoltà. Le sue pulsioni erano al massimo ed il suo corpo bramava dannatamente quello della ragazza che non smetteva di solleticarlo, di provocarlo e lui, incapace del tutto di resistere, assecondava quella tensione. L’aveva sempre trovata attraente dal primo giorno in cui gli occhi smeraldini s’erano posati su di lei, l’aveva persino stuzzicata un po’ con il suo fare da incallito latin-lover ma mai s’erano spinti fino a quel punto, e mai lei gli aveva dato quell’impressione di volerci stare davvero, fino in fondo. Era sempre stato un gioco ma adesso lo era ancora? Tutto sembrava voler dire di no e questo altro non faceva che aumentare la temperatura e la tensione che aleggiava tra loro. L’aria era cambiata.
    Piegandosi e nel contempo riflettendo sul da farsi, recuperò il polsino che andò rapidamente ad infilare al proprio posto così da evitare – o almeno questa era la sua speranza – di sollevare possibili domande circa la collocazione singolare per quanto fissa della mano in tasca. “Cosa tieni lì?” La domanda sarebbe sorta fin troppo spontanea e dopo? Pretese di spiegazioni pretese, magari, di vedere cosa nascondesse. Non ne aveva nessuna voglia, nessuna d’affrontare quel tasto, in ogni contesto nella quale esso si fosse collocato. La sua natura doveva rimanere segreta, meno sapevano e meglio era soprattutto in quanto mannaro non registrato presso il ministero. Chi gli assicurava che che avessero mantenuto il becco chiuso evitando di spifferare i cazzi suoi? Già odiava la sua natura e per alcuna ragione voleva parlarne, tantomeno rivelarsi al prossimo. Era la sua condanna con la quale avrebbe dovuto farci i conti fino alla tomba vivendo le fottute conseguenze di quella maledizione che lo legava indissolubilmente alle fasi lunari, a ciò che esse implicavano e agli istinti, come quello che percepiva in quel momento e che lo avrebbe spinto ad avventarsi con violenza sulla ragazza. La bramava, ardentemente, e Freya non aveva minimamente idea di quale fosse il guaio in cui si stesse cacciando continuando a sobillare il predatore. Maledetta ragazzina curiosa. Cedere o non cedere?
    Si alzò quindi dal ceppo massaggiandosi la mandibola, lottando con sé stesso una lotta impari e, umettandosi le labbra, si chinò sulla Serpeverde inchiodandola contro il masso con la sola presenza della sua stazza. Vattene via. Eppure rimanevano lì in quell’impasse ricca di tensione mentre la ragazza apriva la bottiglia di bourbon per passarla al mannaro che l’avrebbe saggiata. Lasciò che anche lei tastasse il sapore di quel liquido infiammabile e quando una goccia le scivolò dall’angolo delle labbra Axel fermò quel rapido scivolare avvolgendone il viso con l’ampia mano. Questione di attimi prima che l’impulso lo portasse su di lei a raccogliere quel nettare magari poi azzardando il movimento spostandosi per avventarsi con impeto contro la bocca di lei ma la mano della ragazza afferrò la sua discostandola dal suo viso salvo poi prendere quella goccia, baciarla succhiando avidamente la pelle del bulgaro. Le pupille del mannaro si dilatarono mentre la bestia, gli istinti carnali prendevano il sopravvento. Giusto, sbagliato non avevano più senso.
    «Ci ho pensato» mormorò lei senza mai discostare i suoi occhi da quelli del ragazzo mentre la mano solleticava la pelle accaldata del suo braccio arrestando la sua corsa al petto, «ma magari la cosa mi piace», salvo poi riprendere la discesa muovendosi lenta ed insidiosa al di sopra del tessuto mentre ogni singolo recettore andava accendendosi al di sotto del suo tocco. Cazzo.
    «Freya» l’avvertì, lo sguardo dardeggiante che andava perdendosi negli impulsi che non avrebbe più potuto contenere. Era ciò che voleva? Perché se non era davvero ciò che voleva avrebbe fatto bene ad allontanarsi, ad andarsene. Afferrò la bottiglia mandando giù un ampio sorso che lo avrebbe privato dell’ulteriore lucidità della quale aveva bisogno ma Axel non era già più lucido. Il bisogno era logorante, era una necessità che lo stava facendo impazzire insieme al tocco di lei oramai poco sopra la cinta dei pantaloni che andava a stuzzicargli un’erezione già ben presente.
    «Anche se [...] ci sono cose che mi piacciono di più... La caccia, per esempio.» CAZZO! Era lì ad un passo dall’avventarsi su di lei, dal prendersi ciò che continuava a beffeggiargli sotto il naso quando lei sfilò da sotto il suo corpo, strusciandosi contro di esso mettendo alcuni passi di distanza fintanto che, ancora una volta lo provocava facendogli ciondolare la bottiglia davanti. Come se gliene fottesse qualcosa dell’alcool in quel momento. La seguì senza nemmeno considerare diversamente domandandosi cosa le prendesse, cosa cazzo stesse cercando di fare. Aveva guadagnato ben più della sua attenzione, dove lo stava portando adesso. Non replicò ma la seguì nel folto del bosco i sensi accentuati mentre spostava il fitto della vegetazione nella quale stavano entrando, lì erano ben oltre il confine giudicato innocuo e qualcuno avrebbe potuto attaccarli giudicando la loro presenza come un’invasione del territorio. Dove cazzo stava andando?!
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    «Non è solo per una bevuta che ti ho seguito» Sentì l’altra proferire. Aggrottò naturalmente le sopracciglia. Non poteva fottergliene di meno in quel momento dei motivi eppure la ragazza sembrava averlo fottuto per bene attraendolo nella sua trappola quasi avesse intessuto la trama di una ragnatela ed il ragazzo vi fosse cascato all’interno con tutte le scarpe. Freya ruppe la bottiglia sparandola contro il tronco di un albero quasi fosse una cosa di poco conto. «Ma che cazzo fai?!» Sbottò il mannaro arrestando il suo incedere per stranirai di fronte a tutto quell’alcool perso. Ma era pazza? Doveva esserlo per forza per fare una cosa del genere e sprecare tutto quel costoso ben di dio. Andiamo. Ma che stracazzo?!
    «Come ti ho già detto io pago sempre i miei debiti» Per quanto gli riguardava potevano considerarsi pari. «Riis piantala» che cazzo s’era messa in testa? «Metti giù quella roba» le ordinò a disagio vedendola impugnare ciò che rimaneva della bottiglia, continuando a farneticare in merito ad un segreto che gli doveva. «Non mi devi un cazzo», sentenziò avvicinandosi mentre lei sgattaiolava rapida all’indietro per poi arrestarsi e tagliare di netto il palmo libero opposto. «Ma porca puttana!» Le si avventò contro agguantandole il palmo stimando il più rapidamente possibile l’entità dei danni salvo poi accorgersi della magia che stava avvenendo proprio sotto i suoi occhi: i lembi di quella ferita si stavano rimarginando rapidamente. Incredulo tastò la ferita con le dita per poi sollevare lo sguardo negli occhi della ragazza. «Tu» lo stupore che s’era dipinto in voltò andò scemando mentre la serietà prendeva possesso dei lineamenti. Rapidamente afferrò ciò che rimaneva della bottiglia; gliela strappò di mano, forse ferendola e ferendo sé stesso ma non gli importava, e in uno scatto di collera la mandò a frantumarsi contro un tronco vicino. «Che cazzo!» Sbottò passandosi la mano nei capelli. Era come lui. Lei era come lui. Lei...
    Ma chi cazzo se ne frega. Si avventò stringendole il viso tra le mani, baciandola avidamente e fottendosene dei se, dei ma, delle possibili implicazioni e conseguenze. Non gliene fregava di nulla in quel momento solo placare il suo istinto, placare quella voglia e quel desiderio che aveva di lei. La inchiodò contro la prima superficie disponibile mentre le mani scivolarono sulle sue spalle, sul vestito bianco come il latte la quale sarebbe stato strappato dall’impeto se la Serpeverde non avesse opposto resistenza.
     
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    Provocare, qualcosa che si era sempre divertita a fare. Che avvenisse durante una lite o durante un giocoso tentativo di seduzione poco importava, Freya adorava suscitare reazioni e godeva dei risultati che otteneva. Il flirt leggero veniva usato da lei come fosse stato un gioco, il più delle volte anche senza reali intenzioni, mantenendo sempre tutto sul filo dell'ipotetico, per assurdo era il suo modo per conservare il controllo sulla situazione. Così aveva sempre fatto anche con Axel, raccogliendo le sue provocazioni e restituendone altrettante, frenando sempre quelli che erano i suoi istinti e le sue pulsioni più spontanee, ormai troppo abituata a controllarsi, a limitare se stessa per non lasciarsi mai scoprire o, banalmente, per non ferire qualcuno. Ma non quel giorno. A pensare lucidamente non sarebbe mai dovuta entrare in quella foresta, non avrebbe mai dovuto seguirlo e, di certo, non avrebbe mai dovuto iniziare quella danza di sguardi e un'infinità di non detti perché, lo sapeva bene, in quella mattina in cui l'ombra della maledizione che l'affliggeva era ancora ben presente, tutte quelle intenzioni erano più che reali. Sarebbe bastato un soffio perché vi cedesse e, come una stupida, invece di isolarsi aveva ben pensato di dargli la caccia. Le era sempre piaciuto, con quella faccia da stronzo e quei modi che lo confermavano, e benché fosse li per altri motivi, perché mai si sarebbe potuta scordare di ciò che aveva visto, riuscire a domare quell'impeto che la spingeva verso di lui era più difficile di quello che avrebbe creduto. Dannatamente difficile. Lo voleva, e non stava lasciando che questo fosse un segreto, e più lui la fissava, più lei cercava di provocarlo, di spingerlo a fare quella mossa che anche lui, come lei, non aveva mai fatto. Percepiva la tensione sulla pelle, così ricettiva alle occhiate penetranti di lui, ma più lo provocava e più lui rimaneva impassibile almeno all'apparenza, spingendola a desiderarlo ancora di più, a voler sentire le sue mani su di sé senza che questo avvenisse mai. Continuava ad osservarlo, a cercare punti di cedimento, dimenticandosi quale fosse il suo obiettivo, percependo solo l'impazienza di soddisfare quelle fantasie che aveva solleticato ogni volta che avevano avuto occasione di parlare. In quel momento non le importava di alcuna conseguenza, assuefatta da quell'istinto che, almeno in parte, era ancora così presente in lei da annebbiarle ogni sprazzo di buon senso a cui cercava di appigliarsi, continuando a provocarlo, a tentarlo, perché se fosse stato lui il primo a cedere allora, forse, sarebbe stato accettabile anche per lei lasciarsi andare. Quando le fu vicino, poi, frenare gli impulsi divenne quasi doloroso. Tutto di lui l'attraeva in quel momento, il suo odore che fungeva quasi da richiamo, il suo corpo da cui percepiva la tensione sotto il suo tocco mentre si faceva strada per esplorare ciò che con gli occhi non poteva vedere, persino la sua voce roca mentre pronunciava il suo nome, per la prima volta, che suonava come un avvertimento, non fece altro che spingerla a volere ancora di più. E infatti non si fermò, continuando quel gioco lento e logorante. Spogliati. Dio, glielo avrebbe ordinato mentre avvicinava il viso a quello di lui. Spogliami. Sarebbe stato il secondo ordine che gli avrebbe sussurrato all'orecchio. Ma non fece nemmeno questo, aggrappandosi all'ultimo barlume di lucidità che ancora le rimaneva gli scivolò via dalle braccia, con uno sforzo non indifferente e il desiderio bruciante ancora persistente a fior di pelle. Maledì se stessa per quella scelta, addentrandosi nella foresta quasi faticando a reggersi sulle sue stesse gambe che a momenti tremavano per quel desiderio che si faceva opprimente, ma a cui aveva deciso di non cedere fino a quando non avessero giocato a carte scoperte. Sapeva di apparire come una pazza, e lo poteva capire dal tono di voce del ragazzo che, giustamente, non capiva quello che stava succedendo, ma la Riis non aveva intenzione di fermarsi. Non lo fece dopo le proteste di lui per la bottiglia infranta -Aspetta- gli intimò, e non si fermò neppure quando lo vide in difficoltà
    “Non mi devi un cazzo” ma lei non era d'accordo. Fosse stata un'altra persona avrebbe potuto pensare che fosse lui a doverle qualcosa per il suo silenzio, ma lo sforzo di mantenere un segreto non era nulla se paragonato alla preoccupazione che l'altro avrebbe potuto provare per il solo fatto che qualcuno sapeva. Al posto del bulgaro avrebbe vissuto con l'ansia e con la paura delle ripercussioni, tremando ad ogni sguardo e cercando di attribuirvi un significato. E se questo non fosse stato abbastanza, lo era comunque il senso di colpa dell'essere a conoscenza di qualcosa tanto intimo che non era stato nemmeno lui a rivelarle di sua spontanea iniziativa. Sentiva quasi di avergli rubato la possibilità di viversi la sua condanna nel silenzio, o la scelta di decidere lui stesso quali fossero le persone che meritassero di sapere. No, gli doveva qualcosa eccome e, quindi, lo fece. Si ferì volontariamente lasciando solo che una smorfia appena accennata le indurisse i lineamenti prima che il ragazzo le afferrasse la mano per capire quello che la bruna cercava di mostrargli. E rimase li, impalata, aspettando una reazione e temendo quale sarebbe potuta essere
    -Axel- cominciò cercando le parole che faticavano a saltare fuori mentre lui le sfiorava la mano in cerca di quel segno ormai scomparso -Calmati, non è niente- e grazie, quello poteva vederlo anche da solo. Ma cosa dire?
    “Tu” lo sguardo serio con cui la investì la fece sentire di nuovo piccola -Io non.. non lo dirò a nessuno- cercò di rassicurarlo lei non sapendo come interpretare tutta quella serietà che li aveva investiti, capendo ora come si dovesse essere sentito poco prima. Solo che lui aveva avuto modo di sbraitarle addosso, mentre lei non aveva nulla a cui appigliarsi a parte quello sguardo che ora, per quando non minaccioso, la terrorizzava.

    “-Ehi, Oliver- una bambina di circa undici anni, seduta sul letto del maggiore dei suoi fratelli, fissava il pavimento mentre questo le dava le spalle -A volte è come se una voce dentro di me mi dice che tutti mi odiano e che fanno bene a farlo. Sai, no? Come un qualcosa che mi fa capire che sono inutile e stupida e.. mostruosa. Però se ne andrà, vero? É solo una di quelle sciocchezze da bambini, poi svanisce, giusto?-
    -.. Si-”

    Le aveva mentito quella volta, e infatti eccola di nuovo li quella voce che la faceva sentire disgustosa sotto gli occhi di quel ragazzo che non sembrava voler fare o dire nulla che le facesse rallentare i battiti cardiaci che parevano volerle far uscire il cuore dal petto. Se ne stava li, in piedi, più esposta di quanto non si fosse mai sentita anche senza vestiti addosso, in attesa di un segno che aveva l'impressione non arrivasse mai “Di qualcosa” con non sapeva quale coraggio fece un passo in avanti, incurante dei vetri ai suoi piedi che rischiavano di ferirla ancora una volta “Ti prego!” con la mano ancora fra le sue, stringeva quel frammento di vetro con l'altra come fosse l'unica cosa a cui potesse aggrapparsi in quel momento, e sussultò quando Axel glielo strappò di mano, scaraventandolo con violenza contro un albero, provocandole una ferita più profonda di quella che si era auto inflitta, ma non era importante. Era la rabbia di quel gesto, quella che vedeva nei suoi occhi, a farla ora indietreggiare portandosi la mano lesionata al petto, ricambiando il suo sguardo con preoccupazione e, doveva ammetterlo, anche terrore
    -Mi dispiace- balbettò senza sapere nemmeno di cosa si stesse scusando, se della sua natura ora venuta allo scoperto o del fatto di averglielo rivelato. Perché magari non avrebbe voluto sapere, magari non avrebbe voluto condividere niente del genere, e lasciare che quel rapporto così scherzoso fino a quel momento rimanesse tale. Non sapeva neppure se la stesse ascoltando.
    ScPHz
    Gli occhi, prima impauriti, si dilatarono per lo stupore quando lui le si fiondò addosso, ma fanculo. Giusto il tempo di realizzare quello che stava succedendo che ecco riaffiorare la fame che aveva di lui fin da quando i loro sguardi si erano incontrati fra gli alberi. La pelle bruciava li dove arrivava il suo tocco, e non si curò del vestito che le veniva strappato via dal corpo anzi, lo emulò facendo fare la stessa fine alla maglietta della serpe, arrivando così a fargli compagnia a terra. Una mano andò ad intrecciarsi ai suoi capelli corvini sulla nuca, sentendo il bisogno di approfondire quel contatto, chiedendo accesso alla sua bocca mentre, con l'altra mano, lo avvicinava a sé tirandolo per la cintura fino a sentire il petto del Serpeverde premere contro il suo seno nudo. Intrappolata tra la parete rocciosa alle sue spalle e il corpo muscoloso del mannaro, una ragazza qualunque avrebbe avuto ben poche possibilità di movimento, ma Freya aveva già rivelato di non essere una ragazza qualunque. Non aveva più motivo di trattenersi, non doveva dosarsi o modularsi, investita da quell'istinto animalesco che faceva parte di lei non doveva cercare di controllarlo, era libera. Con uno slanciò invertì le posizioni, costringendo ora il moro contro quella stessa parete ghignando a fior di labbra per come la situazione si fosse ribaltata. Si precipitò di nuovo a prendere possesso delle sue labbra, lottando con la necessità di avere ancora di più, facendo scivolare le mani sul suo corpo, liberandolo poi dalla costrizione di quella cintura che, ora, non gli sarebbe servita più, e facendo saltare il bottone dei pantaloni senza nemmeno tentare di sbottonarlo. Baciò la mandibola ispida mentre con una mano sfiorava la sua intimità cercando di strappargli un fremito. Scese quindi a tormentargli il collo, baciando e assaporando la sua pelle, quando gli occhi incontrarono quello che il suo naso aveva percepito già da molto
    -Sei ferito- non era una domanda, si fermò il tempo necessario perché il cervello registrasse quella informazione, ma il suo corpo non voleva saperne di aspettare oltre e le mani del moro su di lei le facevano perdere il contatto con la realtà, proseguendo così la sua discesa portando con sé i pantaloni di lui, e liberandolo da quella stoffa ormai superflua per potersi dedicare unicamente al suo piacere, continuando ad osservarlo per cogliere ogni sospiro, variando il ritmo a suo piacimento solo per perdurare con quella lenta tortura iniziata pochi minuti prima.
     
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    Impossibile per Axel comprendere determinate dinamiche, impossibile anche prevedere come e dove quella faccenda sarebbe andata a finire, a parare. Non riusciva a seguirne il nesso e non riusciva, complice la libido a palla che gli mandava in tilt ogni pensiero lucido e/o razionale, a far banalmente funzionare il cervello in tal senso. Era tutto annebbiato dal desiderio seppur, anche da lucido non avrebbe trovato risposta a quella sequenza d’azioni che era andata a svolgersi tra i due Serpeverde. Com’erano passati dalle focose provocazioni, dalla dita di lei che indugiavano curiose lungo il suo corpo solcando, quasi graffiando, al di sopra di quella fastidiosa maglietta per poi infilarsi al di sotto del tessuto andando ad esplorare con crescente cupidigia quanto celato ma di cui la Serpeverde aveva già avuto visione in precedenza. Axel non era mai stato un tipo pudico e sovente, alla fine degli allenamenti, usava sfilarsi le parti superiori della divisa lasciando che il suo fisico scolpito quanto accaldato prendesse aria dopo gli sforzi fisici ma quelle non erano state le uniche occasioni nella quale la lupa aveva visto il mannaro. No, poiché proprio alla lezione incriminata d’Incantesimi, la giungla indocinese aveva deciso di strappare parti dell’abbigliamento di lui non arrivando a saziarsi nemmeno quando a farne le spese era stata l’integrità della pelle di lui che, arrossata, tagliata e scorticata aveva preso a rimarginarsi sotto gli occhi della Riis. Ma quel tocco che lei gli stava riservando era ora diverso, nulla aveva a che vedere con la delicatezza a tratti imbarazzata con la quale s’era approcciata a lui nel tentativo d’aiutarlo. Il modo in cui le sue dita proseguivano verso il proibito cantavano di un desiderio che a lungo la Serpeverde pareva aver combattuto e che ora, per ragioni a lui inspiegabili, parevano aver finalmente deciso quale via intraprendere. Non poteva esserne più consenziente tanto che, sul punto di scattare, sul punto di appropriarsi della bocca di lei, sul punto di mettere finalmente le mani su quel corpo lei si ribellò. Scivolò da sotto le sue dita non mancando di far aderire in un atto di pura perfidia, il suo corpo contro quello del lupo. Come se al ragazzo servissero altri input.
    Corse quindi via mettendo quanta più distanza potesse ma allo stesso tempo facendo in modo che il ragazzo la seguisse senza che potesse fare a meno di domandarsi le ragioni dietro quel cambio di direzione. Com’erano arrivati a lei che si feriva col collo della bottiglia? Non lo sapeva Axel e banalmente nemmeno aveva interesse a darsene una risposta per quanto la stessa Serpeverde non fosse del medesimo avviso. Qualcosa in lei la spingeva a dover condividere quel tumulto che si portava dentro, un qualcosa che sembrava tormentarla fin nel profondo della sua anima tanto da decidere di trascinare a fondo con sé il mannaro così confuso, invece, dai messaggi contrastanti da lei inviati. Era stato tutto un modo per avere la sua attenzione? Per portarlo lì dove lo voleva? E se sì, per fare cosa di preciso? Che diavolo voleva da lui? La piega non gli piaceva ma poiché era in ballo la seguì addentrandosi nel folto della foresta irritato ma allo stesso tempo fastidiosamente eccitato dagli atteggiamenti avuti fino ad un attimo prima.
    «Aspetta» fece lei intimandogli di non avvicinarsi mentre lui, totalmente indifferente a quell’ordine proseguì avanzando, dandole contro in quella presa di posizione. «Aspetta un cazzo!» Ribatté con veemenza lanciando fulmini dagli occhi smeraldini. «Smettila Riis. Hai già la mia attenzione non serve che fai così…» che fai la pazza. Altro non faceva, tirando la corda, che mandarlo su tutte le furie e per quanto lei fosse ignara - perché era ignara della sua natura, no? - non era una buona idea provocare un lupo mannaro nonostante il plenilunio in sé fosse stato superato. Il pericolo non svaniva con il sorgere nel sole poiché quella maledizione era molto più subdola di così, molto più debilitante a livello emotivo costringendo chi afflitto dal gene a tenere costantemente monitorati i propri livelli di calma. Esattamente ciò a cui stava minando la Serpeverde.
    Nervoso come non mai mentre le si avvicinò per poi vederla mandare in frantumi la bottiglia destando proteste che uscirono naturalmente dalle labbra del bulgaro sempre più spazientito da quella situazione del tutto paradossale. Fottuti, dannati ormoni del cazzo. Fottuta libido a mille che altro non desiderava di mettere a novanta la Serpeverde. Ma non poteva prenderne una e continuare a scoparsela fino a consumarla? Tipo Rain? Erano questi i momenti in cui si pentiva delle sue stesse libertà. Vedi a lasciare la vecchia strada per la nuova? Gli stava bene. Rain certe puttanate non se le faceva saltare in testa per quanto a letto fosse piuttosto fantasiosa. Doveva stare più attento a cosa desiderava.
    «Riis... !» Completò quell’ordine, imprecazione, qualsiasi cosa essa fosse con una sonora bestemmia. Poi lei fece l’assurdo. Ruppe la bottiglia che gli aveva inizialmente offerto rimanendo unicamente con il collo di essa tra le dita del tutto intenzionata a compierà qualcosa di folle. Voleva avventarsi contro di lui? Era questo che voleva fare? Magari per testare o semplicemente confermare se ciò che aveva visto nella giungla non corrispondeva ad un’illusione ma ciò che fece lo destabilizzò. Al posto di scagliarsi contro di lui nel folle tentativo d’accordo la mora portò il frammento alla mano opposta scegliendo volontariamente di ferirsi il palmo aprendo un ampio squarcio che immediatamente cominciò a grondare sangue. Porca puttana. Axel scattò, fottendosene di una sua eventuale reazione così come non prestò la minima attenzione all’irruenza con la quale le afferrò il polso per studiare più da vicino il danno tastando e sfiorando i margini che via via smettevano di perdere sangue rinsaldandosi come per magia sotto il suo sguardo. Guarigione accelerata. Sollevò lo sguardo in quello della mora fissandola silenziosamente ma con trasporto mentre cercava di riordinare i pensieri: lei doveva essere come lui. Lei era come lui.
    «Io non... non lo dirò a nessuno» Per qualche motivo non lo aveva sfiorato nemmeno per l’anticamera del cervello che lei avesse potuto farlo. Strinse lo sguardo, continuando a studiarla con intensità fregandosene del cuore di lei che tamburellava all’impazzata in petto in attesa proprio di una sua reazione che non sembrava volere arrivare. Sotto il suo sguardo supplicante il bulgaro finalmente si mosse avanzando con decisione per annullare quella distanza, per appropriarsi di ciò che rimaneva del collo della bottiglia mandandolo in frantumi con la sola forza del suo tiro. Questo dovette spaventarla poiché, come un animale indifeso, una preda in difficoltà, Freya indietreggiò stringendosi al petto la mano offesa dall’impeto di rabbia del bulgaro. «Mi dispiace» mormorò flebilmente, spaurita da quella collera ma ciò che non poté nemmeno lontanamente prevedere fu la reazione di lui che, mosso da un nuovo impeto, s’avvento contro le sue labbra lasciando che fosse l’istinto animale a parlare che fosse quel desiderio recondito quanto primitivo ed impulsivo a prendere le redini della situazione mentre le schiudeva le labbra carnose insinuandosi nella sua bocca per intrecciarsi in quella danza vecchia come il mondo con la sua lingua. Le grandi mani del lupo di poggiarono sulle sua spalle premendo con possesso quanto riusciva a raggiungere ed in un nuovo impeto di foga si appropriò della spalline del vestito tirandolo con uno strattone in direzioni opposte tanto da strapparlo senza troppa difficoltà facendolo scivolare lungo quel corpo statuario. Lo stesso fece lei, con foga, aprendo un varco nella maglia nera che il bulgaro si sfilò con impazienza interrompendo per un breve attimo quel bacio prima di afferrarla per i fianchi sollevandola ed imponendo alle sue lunghe gambe toniche di avvolgersi contro la vita mentre la costringeva ad aderire contro la prima superficie disponibile non mancando di continuare a spogliare con avidità quel corpo di cui bramava ogni millimetro.
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    Ma Freya lo stupì ancora. Con una forza alla quale il bulgaro non era abituato, la mora sovvertì le posizioni sbattendolo contro la parete. Non era mai successo che una ragazza s’imponesse su di lui, probabilmente in un reale scontro nemmeno la mora avrebbe potuto ma in quel particolare contesto… scoprì piacergli. Era diverso, era nuovo. Solitamente quando le sue partner davano cenno di voler prendere l’iniziativa era semplicemente lui a permetterlo accompagnando i loro gesti dando l’illusione d’avere un comando ma lì, in quel momento, Freya aveva davvero le redini del gioco. Lei poteva realmente fare di lui quanto volesse. E lo stava facendo. Premendolo contro la parete prese a tormentarlo scendendo con la bocca lungo il suo collo lì dove risiedeva la cicatrice che da quasi quattordici anni malediva la sua vita. Baciò e ne assaporò il sangue, frutto delle escoriazioni date dalle catene. «Sei ferito.» Constatò mentre le mani di lui s’insinuavano all’interno delle mutandine strappando logica a quelle azioni, beandosi dei sospiri e del fiato che andava facendosi corto mentre, allo stesso tempo, anche le mani di lei lo tenevano in pugno liberando il suo di piacere. «Lo sei anche tu.» Le ricordò, per quanto sulla mano fosse oramai presente solo un’antiestetica crosta a ricordo del taglio. Freya lo spinse costringendolo nuovamente contro la parete e sfilando le dita dalla sua intimità le portò alla bocca gustando il suo sapore mentre la osservava scendere, inginocchiarsi, avvolgendo la sua erezione come aveva sognato lei facesse. Axel trattenne il respiro mentre automaticamente rovesciava di soddisfazione la testa all’indietro circondando di soddisfazione la capigliatura della mora, accompagnando e a tratti guidando quel movimento che non avrebbe fatto altro che accrescere la foga con la quale si sarebbe poi avventato su di lei.
    Avvolse i lunghi capelli di lei attorno alla dominante e strattonandola perentorio pose fine a quel godimento. La costrinse a tirarsi rapidamente in piedi dove cercò la sua bocca costringendola in quell’atto con la presa che aveva su di lei. Come una bambola nelle sue mani, una bambola che, però, avrebbe avuto la forza di poterlo dominare. Un minimo. Con la sinistra le afferrò la coscia sollevandole la gamba portandola a cingergli il bacino e, senza troppi giri di parole, entrò in lei portandola con irruenza con la schiena contro la parete mentre affondava a ripetizione, insaziabile, andando mano a mano a calmare il ritmo per godersi e perdersi in quell’attimo, in quell’istante in cui, finalmente, non avrebbe dovuto contenersi potendo fondere l’uomo in un tutt’uno con la bestia.
     
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    Ci aveva pensato, anche spesso, a come sarebbe stato se mai avesse incontrato qualcuno come lei. L'unico che conosceva era suo fratello, oltre a quello che lei stessa aveva creato e da cui si sarebbe tenuta ben lontana, ed era facile intuire il motivo. Non era qualcosa di cui ci si vantava, né qualcosa che si urlava ai quattro venti, era solo uno dei tanti argomenti tabù persino nel mondo dei maghi, circondato da pregiudizi e preconcetti che perseguitavano quelli come lei, facendoli sentire a volte dei reietti. Si era sempre domandata come avrebbe reagito nel caso ne avesse trovato uno, cosa avrebbe fatto o detto, o come avrebbe sollevato l'argomento e, banalmente, come si sarebbe sentita ma, quando poi si era scontrata faccia a faccia con quella realtà in Indocina, si era riscoperta solo impreparata. Partendo dal non sapere cosa dire o, ancora meglio, se dire qualcosa, passando alle sensazioni che la colsero e che le imbrigliarono la testa, facendola sentire satura di domande, e che le impedivano di comportarsi in modo razionale, cosa che già faceva a fatica. La mera curiosità aveva quasi lasciato il posto alla vera e propria necessità di sapere, di avere una conferma e, allo stesso tempo di mostrarsi e lui dopo aver riconosciuto se stessa nel moro, il bisogno di.. di cosa? Non lo sapeva nemmeno lei, forse solo l'esigenza del provare un senso di appartenenza a causa di quella condizione che l'aveva sempre fatta sentire sbagliata. Così si era ritrovata a seguirlo, con tutta l'intenzione di ricevere riprove che le potessero farle sciogliere la lingua, senza sapere come fare o se lo stesso Axel si sentisse, seppur in minima parte, come lei nonostante a lezione non fosse sembrato affatto preoccupato, come se la cosa non gli pesasse poi troppo. Eppure, una volta li, fu altro a prendere il sopravvento, a crearle quell'urgenza che non sapeva sarebbe stata così difficile da controllare. Si era lasciata prendere dai suoi più naturali desideri e lui non l'aveva frenata, concedendole di saziare il suo interesse facendole esplorare quanto più volesse del suo corpo, arrivando però a farle bramare di più senza che il vero motivo per cui era arrivata a disturbarlo venisse fuori. Si era presa il suo tempo per esplorare, per scalfire solo la superficie di quelle che erano le sue fantasie, gustandosi ogni momento di quella tensione che sentiva crescere sotto le sue dita ma, allo stesso tempo, avrebbe voluto che lui facesse altrettanto. In un certo senso avrebbe dovuto ringraziarlo, perché se in quel momento avesse ricambiato quelle attenzioni, allora, per alcuna ragione al mondo sarebbe riuscita a frenarsi come invece aveva fatto. Era scappata, letteralmente, da quella situazione che la stava facendo cedere ad una velocità allarmante, riducendosi così a compiere una serie di azioni dettate dalla fretta, dall'impazienza e dalla paura che se ne andasse piantandola li, magari infastidito per quella che, a tutti gli effetti, poteva sembrare una scena da pazza. Nonostante fosse un licantropo regolarmente registrato, le persone che conoscevano il suo segreto si potevano contare sulle dita delle mani e, di questi, nessuno lo era venuto a sapere per sua volontà. Caso, destino, fatalità, in qualunque modo lo si volesse chiamare, Axel sarebbe stato il primo e, per quanto tutta quella situazione le mettesse ansia, per quanto non sapesse cosa aspettarsi da lui e l'idea che tutto sarebbe potuto degenerare le facesse paura, perché si ne aveva e anche tanta, l'urgenza di togliersi quel peso, di liberarsi, era anche maggiore. Senza alcuna pretesa per quello che sarebbe successo dopo, con il solo desiderio di essere vista, per una volta, per quella che era, lasciò che il vetro le incidesse la carne e rimase in attesa. Ansia, fretta, apprensione, curiosità, paura, leggerezza. Era così satura di sensazioni contrastanti che, come un fiume in piena, avevano preso a scorrere dentro di lei, da arrivare al punto in cui le sembrò di non sentire più niente. Un fischio acuto nelle orecchie come se fosse potuta esplodere da un momento all'altro, forse trattenne il fiato, dimenticandosi anche di respirare. Quanto tempo era passato? Minuti, magari secondi, in cui rimase come una bambola inanimata, in attesa di una sua reazione dopo quello scoppio d'ira che le aveva visto strappare di mano quello che restava dell'arma insanguinata ed improvvisata, ritraendosi dalla sua presa ma senza sottrarsi al suo sguardo e li, fissandosi su quegli occhi verdi quanto le foreste che ad ogni luna piena accoglievano le sue urla, per un istante, un brevissimo attimo, le sembrò che lui la guardasse come se in lei ci fosse stato davvero qualcosa che valesse la pena essere guardato. Un urlo, una sola parola, un gesto, qualsiasi cosa cosa sarebbe andata bene, rimase in attesa nella speranza di qualcosa che potesse farla sentire accettata, persino da un mezzo estraneo, anche se era difficile aspettare qualcosa che sarebbe potuta non arrivare mai, soprattutto quando era tutto ciò che si desiderava. Ma Axel non parlava, limitandosi ad osservarla in quel modo indecifrabile che non era in grado di interpretare per riuscire a dare un senso a quel momento
    -Non avrei dovuto- con un macigno sul petto, pronta a darsi da sola della stupida per aver cercato di perseguire cosa? un capriccio infantile che, con tutta probabilità, non avrebbe portato a nulla, era già pronta a tornare sui suoi passi, questa volta andandosene definitivamente, quando lui la colse in contropiede annullando le distanze e rubandole quel bacio che non sapeva di stare aspettando. Nonostante tutto la voleva, almeno quanto lei anelasse lui, e lo percepiva dall'irruenza con cui si impossessò delle sue labbra, dalla frenesia delle sue mani grandi che vagavano sul suo corpo strappandole gli indumenti di dosso, la stessa che aveva colto lei facendo altrettanto. Si lasciò sollevare con la stessa facilità con cui un ragazzo qualunque avrebbe alzato una piuma, avvolgendolo con le lunghe gambe nude e lasciando che la intrappolasse contro la parete dura alle sue spalle, quasi a tagliarle ogni via di fuga che non stava nemmeno più cercando, facendola rabbrividire ed infiammare contemporaneamente su ogni lembo di pelle che le sfiorava. Sapeva che, se solo avesse voluto, avrebbe potuto ingabbiarla così per quanto tempo lui volesse, con quella forza innaturale che non sarebbe stata in grado di eguagliare, facendola sentire esile per la prima volta da che ne avesse memoria e, per assurdo, le piacque. Per la prima volta poteva permettersi di essere fragile, senza finzione, senza recite, come creta nelle sue mani, quel dislivello di forze era così fuori da quello a cui era abituata a vivere da farla sentire normale.
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    Eppure non sarebbe mai stata, anche in quel caso, solo una spettatrice passiva. Sovvertì le posizioni, guadagnandosi una parvenza di comando, decisa ad assaporare ed esplorare ogni millimetro del suo corpo possente, sfiorando con le labbra la cicatrice sul collo del lupo, così simile a quella impressa nell'avambraccio sinistro di lei, facendosi assalire da decine di domande alla vista dei segni attorno al suo collo, freschi, recenti, ma nulla uscì dalla sua bocca se non nuovi sospiri quanto lui arrivò ad insinuarsi nel suo punto più sensibile, accrescendo il suo desiderio e rendendola cieca a qualsiasi altra realtà che non fosse la necessità di soddisfare la voglia che aveva di lui e che non faceva che aumentare di minuto in minuto, osservandolo portarsi le sue stesse dita alle labbra, eccitandola più di quanto già non fosse, affamata di quel corpo a cui era decisa donare piacere, cercando di fare in modo che lui la desiderasse allo stesso modo. Non si perse un gemito, godendo di ogni espressione che riusciva a provocargli, lasciandosi guidare nei movimenti senza protestare. Non obiettò nemmeno quando lui, brusco, la fece risollevare, beandosi di quella foga che sentiva crescere anche in lui, ricambiando quel bacio famelico senza mai smettere di sondare ogni muscolo del moro e quando, dopo aver ancorato la gamba alla vita di lui, entrò in lei facendo incastrare i loro corpi come pezzi di un puzzle, lo accolse con un gemito, aggrappandosi alle sue spalle, affondando le unghie ora corte sulla sua schiena creando così una scia di segni rossastri. Poggiò la fronte contro quella di lui, lasciando che i respiri si fondessero e che l'aria si riempisse di sospiri e gemiti strozzati, senza alcuna intenzione di trattenersi o limitarsi, ma non le bastava ancora. Finirono a terra e, ancora una volta, provò ad intimare la sua volontà su di lui, costringendolo con le spalle su quel letto di erba ancora umida e foglie cadute, imponendosi sul suo corpo così che i bacini si sfiorassero ancora, ghignando della propria posizione di vantaggio, prima di lasciarlo scivolare di nuovo in lei, dettando un nuovo ritmo che accrescesse l'appagamento di entrambi. Voleva perdersi, smettere di pensare, lasciarsi sopraffare da quelli che erano istinto e bruciante impazienza. Gli prese le mani portandosele alle cosce lisce continuando a muoversi sinuosa su di lui, iniziando a farle scivolare sopra il proprio corpo, centimetro dopo centimetro, arrestando quella lenta risalita solo una volta arrivate al suo seno, senza vergogna o pudore nel mostrare ciò che voleva. Chiuse gli occhi, reclinando la testa all'indietro, pervasa da ondate di piacere che credeva l'avrebbero spezzata, per poi riaprirli e fissarli di nuovo, velati di lussuria, in quelli di lui. Lo attirò a sé, facendo sollevare quel busto coperto di vecchie cicatrici che riuscivano solo a donargli ulteriore fascino, gettandogli le braccia attorno al collo ed intrecciando le dita della mano dominante tra i capelli del mannaro tirandoli all'indietro, non per far male, quanto più per poter continuare a guadarlo, dannatamente bello, prima di riappropriarsi delle sue labbra approfondendo da subito quel contatto, come se quello che già stavano avendo non fosse mai abbastanza
    -Smetti di trattenerti- un sussurro all'orecchio, un mezzo sorriso sulle labbra, curiosa di vedere fino a che punto potevano spingersi, prima di tornare a lambire la pelle del suo collo, scendendo e risalendo fino all'incavo di congiunzione con la spalla, succhiando e mordendo ogni millimetro in un lento tormento intervallato da nuovi sospiri e nuovi lamenti.
     
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    Impeto, frenesia, passione. Era questo ciò che caratterizzava i movimenti dei due ragazzi le cui mani s’arrischiavano ad esplorare il corpo dell’altro senza più timori. Axel, con quel bacio, aveva rotto ogni indugio chiarendo quale fosse il suo punto di vista in merito alla rivelazione fatta dall’altra o almeno, questo sarebbe potuto apparire ai suoi occhi tratteggiando in quel gesto un significato che non era scontato assegnare. Questo perché il mannaro aveva poco di razionale nella maggior parte delle sue reazioni, delle sue relazioni. Lasciava fosse l’istinto, le sensazioni di pancia a guidarlo ed in quel preciso contesto erano state le provocazioni decisamente poco velate della mora a mandare in tilt ogni sua capacità decisionale. Non gli importava se fosse stata solo umana, non gli importava che fosse maledetta come lui. Gli importava averla, gli importava mettere a tacere quel bisogno pulsante che il suo corpo chiedeva spasmodicamente di lei e di cui ella gli aveva concesso un assaggio per poi ritrarsi fuggendo nel folto di quella foresta nella quale, stando alle regole, non sarebbero nemmeno mai dovuti entrare. Galeotta fu quella disobbedienza da parte di entrambi che avrebbe dovuto dare loro un assaggio, l’uno e all’altra, di quale fosse la fiamma celata al di sotto, ad esempio, di un di lui silenzio. Axel non ascoltava. Axel disobbediva. Axel seguiva unicamente sé stesso importandosene poco meno di niente della reazione che avrebbe potuto scatenare poiché, forte della sua stazza, pensava di vincere qualsiasi sfida il destino gli avesse messo davanti con la sola prontezza di quel corpo allenato ma c’erano dei limiti anche per esso: l’etica, la magia… la ragione. Non tutto poteva vincersi con la sola prestanza fisica ma non era questo il contesto, non era questa la situazione poiché, tratti al limite da ambo i lati, i due ragazzi lasciarono che fossero le sensazioni sopra citate a prendere il sopravvento quasi non aspettassero che quel momento da molto, molto tempo.
    Axel si avventò sulla Serpeverde impossessandosi di quella bocca carnosa che aveva solleticato più volte le sue fantasie da quando l’aveva vista la prima volta al castello. La Riis, per lui, aveva sempre rappresentato un punto debole in quanto, nella sua estetica, la ragazza racchiudeva tutti quei canoni di bellezza che il mannaro preferiva. Occhi chiari, capelli scuri ma non troppo ed un fisico che avrebbe fatto invidia alle più famose modelle che sfilavano per le riviste di bellezza ed Axel con lei ci aveva provato, non l’aveva di certo lasciata passare inosservata mettendo in atto un gioco di sguardi, di parole e fugaci toccate di poco conto che aveva stabilito tra loro un costante clima flirtante ma senza mai dare l’impressione che esso avrebbe potuto tramutare in qualcosa di più, in qualcosa di concreto. Era stato un gioco, un passatempo da parte di entrambi. Guardare ma non toccare per quanto solo il mannaro sapeva quanto fremeva dalla voglia di possedere quel corpo che ora, si muoveva in sincronia con il suo.
    Le strappò il vestito, quel bellissimo vestito che si posava come una nuvola su di lei evidenziando l’incarnato scurito dai raggi del sole che avevano baciato quella pelle prima che potesse farlo lui, e con lo sguardo si prese un unico infinitesimale istante per godere di quella visione prima che il fuoco s’impadronisse delle sue azioni spingendolo e possedere ancora quella bocca per scendere lungo la linea del collo e percorrerne poi, alla base, la clavicola. Le ampie mani si posarono al lato dei suoi fianchi, circondandoli quasi fino a potersi toccare nuovamente le punte della dita e la sollevò da terra, facilmente, quasi fosse una bambola permettendo alla sue lunghe gambe di circondargli la vita mentre con poca grazie la inchiodava contro una superficie di cui non si degnò d’accertarsi. Niente aveva la sua attenzione come la ragazza in quel momento. Ma Freya una bambola non era e lo dimostrò quando, accendendosi della stessa frenesia che muoveva il ragazzo lo spinse ma allo stesso tempo lo trattenne a sé dalla maglietta. Preso alla sprovvista da quella forza innaturale il bulgaro rimase spiazzato permettendo alla Serpeverde di prendere il sopravvento sovvertendo le parti, trovandosi al comando. Era una sensazione nuova, lei era nuova. In assoluto. Nonostante l’esperienza, nonostante avesse avuto altre donne prima di lei quella per lui fu una prima volta. Non era mai stata con un lupo mannaro, con una creatura che avrebbe potuto eguagliare la sua forza e, essere prevaricato, essere dominato al di fuori di un contesto non violento, non di pericolo, lo stranì ma lasciandogli una sensazione di curiosità, di piacere. Gli stava piacendo lasciare che fosse lei a prendere il controllo, lasciare che fosse lei a comandare decidendo il bello ed il cattivo tempo su di lui. Lasciando che fosse lei a togliergli di dosso la maglia per poi tornare a provocarlo, a farlo fremere con la sola imposizione delle sue mani che scivolavano su ogni muscolo, su ogni tassello disegnando ghirigori astratti ma accattivanti che sembravano lasciare una scia di fuoco lungo il loro percorso. Cazzo. Quanto la voleva. Le schiuse le labbra con le dita, permettendo a quella bocca carnosa di avvolgerle e poi, scivolando sul suo corpo senza smettere di osservarla violò il confine della biancheria insinuandosi nel suo punto più sensibile, accarezzandolo, toccandolo con dolcezza lasciando che quel fiore si aprisse per lui per poi insinuarsi con più decisione strappando respiri soffocati da gemiti mentre i fianchi s’inarcavano naturalmente tremando incontrollati al di sotto del suo tocco mentre le prime ondate obnubilavano la ragione. Quanto era bella mentre godeva. Quanto era donna.
    Lo spinse ancora, gentile ma decisa a palesargli quella che era la sua volontà, il suo comando, le labbra che scoprivano un sorriso velato dal rossore del piacere. Lo inchiodò alla parete mentre le dita si sfilavano dalla sua femminilità per venire assaporate dalla bocca del lupo. Le pupille di Freya si dilatarono mentre la dominante andava ad arpionargli la mandibola appropriandosi lei stessa di quelle labbra prima di scendere, scendere e mostrare uno sprazzo di paradiso al bulgaro che quei movimenti li aveva solo che immaginati nelle sue fantasie. La guidò, la comandò tornando a dettare su di lei legge quasi una bambola fino a che, sufficientemente eccitato, non ordinò di più. Si prese quel di più.
    Strattonandola per i capelli la fece alzare da terra mentre con l’altra cercò la coscia che sollevò con smania per entrare in lei. Lo fece con un ringhio, scoprendo in una smorfia i denti mentre la sensazione di sentirla, di possederla inondava ogni cellula nervosa. Un solo istante prima che le spinte si susseguissero impazienti per poi trovare il giusto ritmo mentre mani e bocche si cercavano bramandosi oltre l’impossibile, lasciando che ogni cosa passasse in secondo luogo, superflua rispetto a quell’attimo, rispetto a quell’unione così viscerale, così carnale che finì per farli cadere sul manto erboso dove Axel venne messo “spalle al muro”, con lei che gli bloccò i polsi con le sue esili mani, piccole, molto più piccole rispetto alle sue ma che nascondevano la forza della lupa che possedeva in sé. Gattonando sinuosa si mosse su di lui stuzzicandolo con la nudità del suo corpo mentre lo sormontava soddisfatta di ogni sospiro che riusciva a strappargli finendo per sedersi, congiungendosi di nuovo a lui, dettando quello che era il suo di ritmo mentre si sollevava e s’abbassava sopra di lui. Insaziabile cercò le sue mani e, spudorata, lo guidò lungo il suo corpo mostrando al bulgaro dove e come volesse essere toccata, posseduta. Le grandi mani del mannaro la strinsero trattenendo l’impeto che avrebbe potuto farle male mentre ottenebrato dai fumi del piacere le stringeva i fianchi guidando il suo movimento, la sua discesa, prima che fossero ancora le sue dita a chiamarlo, a chiedergli altro guidandolo in quella risalita che lo avrebbe condotto al suo seno in quella supplica a stringerglielo, massaggiarlo. Si sollevò dal manto erboso avvolgendo il corpo della mora per premerlo maggiormente contro il suo mentre la bocca andava a cercare il suo seno succhiandolo avidamente fintanto che l’obbligava a stringere le cosce.
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    «Smetti di trattenerti» scandì lei contro il suo orecchio scatenandogli un sorriso e il cenno di una risata. L’abbracciò con la dominante sollevandola dal suo bacino e l’adagiò contro l’erba dove le fu immediatamente addosso dominandola con tutta la stazza dei suoi quasi due metri. Entrò in lei e senza darle il tempo di adattarsi a lui, Axel cominciò a muoversi. Secco, quasi rabbioso. Affondi profondi, mirati. Le dita s’incastrarono nel terreno e fu tutto nuovo. Non doveva trattenersi, poteva lasciare la bestia fluire. Così fece. Le unghie s’allungarono conficcandosi nel manto erboso mentre il piacere toccava nuove vette, il respiro si fece presto irregolare. Si sollevò con il busto continuando a muoversi duro dentro di lei. Liberò una mano dal terreno osservando gli artigli scuri e, curioso, accarezzò la pelle di lei solcandola nel mezzo dove l’artiglio, affilato, creò un ferita superficiale tra i due seni. Si chinò, prima che la magia della loro maledizione facesse il suo corso guarendola e con la lingua leccò via il sangue, assaporandolo, prima di unirsi alla sua bocca e, con un ultima spinta, sancire l’apoteosi di quel rapporto.


    Edited by Dragonov - 1/9/2023, 17:25
     
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    Gli era sempre stata alla larga, limitando i contatti a battutine ed un flirt leggero che non aveva alcun fine reale, solo un gioco, un enorme facciamo finta, senza che ci fosse mai stata la pretesa di andare a fondo di quelle occhiate interessate che entrambi si scambiavano. Non sapeva nemmeno quale fosse il motivo, forse per via di quella biondina so-tutto-io sempre imbronciata che gli stava addosso come un mastino, ironico in effetti, o forse perché entrambi trovavano divertente lasciare sospesa quella tensione che si percepiva ad ogni interazione, portandola avanti come una partita per vedere chi sarebbe stato il primo a fare un passo falso, a dire troppo o, ancora, a non riuscire a dire niente. Poi l'irreparabile, quella lezione che non sapeva se ringraziare o maledire, che aveva portato una ventata di realtà in quello che era il loro rapporto zoppicante e superficiale che, fino a quel momento, si era limitato ad un'attrazione estetica ormai evidente per entrambi. Li, aveva scoperto un pezzo di lui, era stata spettatrice di una verità a cui mai avrebbe potuto credere se non lo avesse visto con i suoi stessi occhi, ritrovandosi così ad osservarlo con sguardo differente per tutti i giorni che seguirono, portando quel gioco che l'aveva sempre divertita in secondo piano e facendo nascere in lei il desiderio di conoscere quell'ammasso di muscoli riservato e con cui non aveva mai scambiato due parole che non fossero ambigue e piene di una malizia nemmeno troppo velata. Non più solo il bel tenebroso che incuteva timore ai più piccoli e non solo, ma una persona reale che avrebbe voluto scoprire. Tante le domande e i perché che si accumulavano nella testa della licantropa ma li, sorretta dalle sue braccia forti mentre i loro corpi si muovevano all'unisono con un ritmo cadenzato dai loro stessi gemiti, nulla aveva più importanza. Non le occorreva più sapere come, dove, o quando fosse successo, non le interessava più nemmeno la sua opinione, le importava solo esserci. Mesi di tensione repressa sembravano essere esplosi portandoli a smettere di giocare e viversi quell'attrazione pulsante, viva, che non faceva che far loro bramare di più. Tutto avrebbero potuto dire di quel fortuito incontro tranne che non si desiderassero, e lo si leggeva dal modo frenetico in cui le loro mani si muovevano sfrenate sfiorando e graffiando la pelle dell'altro, da come le bocche si cercassero voraci e da come i loro stessi corpi si chiamassero a vicenda per commettere il più antico di tutti i peccati. Freya tremava sotto quel tocco, ogni suo muscolo si tendeva e si rilassava senza sosta, fintanto che i baci si alternavano ai sospiri mentre, con occhi languidi, lo invitava a non smettere, assuefatta da quel piacere che non voleva ancora finisse, consapevole che quella sensazione di libertà difficilmente sarebbe potuta essere eguagliata con altri. Incastrata, tra lui e quella parete che le graffiava la schiena, portò anche la seconda gamba ad avvolgergli la vita, affidandosi a lui dopo avergli circondato il collo con le braccia. Non sentiva più i rumori della foresta né l'aria fresca sulla pelle, quei sensi a cui era solita fare affidamento sembravano ormai essersi focalizzati sulle mani di Axel che la toccavano con possesso, sulle labbra gonfie che non sembravano mai esauste dal cercarsi e dai battiti frenetici che le martellavano nel petto. E forse fu proprio per quella frenesia, quell'impazienza che da subito aveva fatto a brandelli i vestiti che non erano stati altro che un ostacolo, che finirono a terra senza nemmeno che potesse capire come, e nemmeno le interessava. Voleva solo che continuasse, mai sazia, in quella danza che li vedeva scambiarsi il ruolo di comando come se non ci fosse mai uno a prevalere sull'altro, alla pari. Si prendevano ciò che volevano, e lei voleva lui. Ogni fibra del suo corpo urlava perché lui la facesse sua ma, non avendo alcuna intenzione di aspettare, gli fu sopra. Sorridendo della propria posizione di comando si prese il suo tempo, lenta e crudele, sfiorando la sua erezione con la propria intimità, portando una mano sul petto del bulgaro e scendendo di nuovo verso l'addome come poco prima aveva fatto quando indossava ancora la maglietta che ora giaceva a terra abbandonata, ripercorrendo quelle provocazioni che avevano portato a tutto questo. Peccato che quella fosse una tortura per lui quanto per lei che non attese oltre, fondendosi di nuovo con il verde-argento e stabilendo quello che fosse il suo tempo. Non vi era stato pudore, nemmeno per un momento, sentendosi libera di essere del tutto se stessa, nemmeno quando gli afferrò le mani desiderosa di mostrargli quello che volesse. Si beò di ogni sfioramento, sorridendo nel vederlo trattenersi mentre l'afferrava per i fianchi per accompagnare i suoi movimenti. Lo capiva, tante volte si era vista costretta a frenarsi, a trattenere quello che le sarebbe venuto più naturale eppure li, con lei, non ne avrebbe avuto alcun bisogno. Era fatta per quello, il suo corpo si era adattato per poter sopportare, Axel non avrebbe potuto farle del male, a meno che non lo avesse voluto. Di nuovo guidò le sue mani, le fece risalire dal suo ventre piatto fino a portarle al suo seno. Reclinò il capo all'indietro quando queste vennero sostituite dalla sua bocca, lasciandosi sfuggire un lamento che non riuscì a trattenere, godendo di quelle attenzioni che non si era risparmiata a chiedere. Gli baciò il collo, lambì la sua pelle con la lingua, succhiandola, solo per osservarla poi tornare alla normalità sotto i suoi occhi velati del desiderio di vedere lo stesso ragazzo perdere il controllo. Così glielo disse, non aveva motivo di trattenersi, glielo sussurrò all'orecchio e rise nel ritrovarsi in un batter d'occhio sotto di lui. Riportò le gambe ad avvolgergli la vita, tirandolo a sé per impossessarsi di nuovo della sua bocca, lo voleva. Non le importava del fervore con cui ora si muoveva, voleva quella parte di lui inedita che le stava provocando nuove sensazioni mentre a sua volta assecondava i movimenti del Serpeverde. Con la mano dominante, munita degli artigli che erano sfuggiti al suo controllo, graffiò quella parete che li aveva sostenuti, intanto che il fiato le si faceva corto e si morse le labbra per evitare che altri lamenti le scappassero cercando ancora di mantenere un barlume di lucidità, tanto che rinfoderò gli artigli e, ora che Axel si sollevò, mostrandosi in tutta la sua imponenza, si portò la mano al petto, sfiorando la propria pelle, scendendo poco alla volta, toccando se stessa sotto quello sguardo smeraldino che da sempre era stato un suo punto debole. Eppure quella lucidità svanì di nuovo non appena avvertì la pelle lacerarsi sotto le dita curiose di lui. La schiena si inarcò, premendo a sua volta lo sterno contro quell'artiglio, la bocca si schiuse incapace di trattenersi oltre, espirando come se avesse trattenuto il fiato sott'acqua per troppo tempo, mostrando quei canini che, colti alla sprovvista, si allungarono solo per pochi attimi, fino a quando ghignò per quell'iniziativa che non aveva fatto altro che accrescere il suo appagamento. Eccolo li, il dolore che diventa piacere di cui era sempre andata alla ricerca. Lo baciò di nuovo, assaporando in lui quel gusto ferroso di sangue che le apparteneva, prima di raggiungere un apice che la fece gemere contro le sue labbra.
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    Sciolse le gambe che lo tenevano imbrigliato, continuando a giocare con i capelli sulla sua nuca fino a quando lo stesso Axel non avesse deciso di sollevarsi. Rimasse distesa sul manto erboso, attendendo che il respiro tornasse regolare e il pensiero a funzionare con chiarezza, riappropriandosi della ragione e iniziando già a pensare a quello che era successo. Che cazzo. Forse si erano lasciati prendere la mano. Un accenno di risata le sfuggì dalle labbra arrossate
    -Giuro, non era questo l'obiettivo quando ho deciso di seguirti- tornò ad osservarlo mantenendo un sorriso a metà tra il soddisfatto e l'imbarazzato -Però è stato divertente- lei che aveva sempre evitato il sesso casuale non poteva comunque negare che fosse stato eccitante. Si sollevò da terra stiracchiandosi e, subito, cominciò a liberare i suoi capelli dalle piccole foglioline che vi si erano intrecciate, lanciando di tanto in tanto un'occhiata al bulgaro al suo fianco. Cosa si diceva in quelle occasioni? Come ci si comportava? Odiava improvvisare, quindi non disse nulla, limitandosi a raggiungere il suo abito candido e sollevandolo per capire l'entità del danno -Uhm.. non è che me lo puoi riparare? Ho lasciato la bacchetta nella giacca- e indicò un punto indefinito alle sue spalle dove, supponeva, avessero lasciato persino le scarpe -Non mi va di tornare al castello così- mani sui fianchi, osservò la sua stessa nudità. Non che se ne vergognasse, ma qualcosa le diceva che le avrebbero sottratto dei punti, e non pareva proprio il caso il primo giorno.
     
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    Intenso. Non c’era altro modo per descrivere le sensazioni provate in quell’amplesso. Diamine! Quella non era la fottuta prima volta del mannaro, eppure, in quanto a sensazioni, poteva dire lo fosse stato. Per la prima volta non aveva dovuto trattenersi, per la prima volta aveva potuto fondere quella che era la dualità della sua persona. L’essere umano e l’uomo che era e si sentiva da una parte con la bestia, l’animale che per tre giorni al mese prendeva il sopravvento sul suo io dirigendo e comandando sulla sua ragione, relegandolo in un angolo privandolo persino dei propri ricordi che solo al mattino, con una stretta allo stomaco, poteva ricostruire osservando la distruzione che aveva disseminato attorno a sé sperando che le catene, ancora una notte, avessero retto la furia dell’animale spietato che era e ritornava a galla. Il lupo nero bramava il sangue, bramava la carne. Bramava morte. Ma Axel non era così. Certo non era innocente e tantomeno misericordioso. La sua fedina penale era ben lungi dall’essere immacolata in quanto a risse, violenza e sì, persino omicidi ma dal suo punto di vista e per come era stato cresciuto era tutto giustificato. Per la vita che faceva e per dove lo aveva condotto e conduceva Ethan la strada era una soltanto: caccia o vieni cacciato, ed Axel tra la sua vita e quella di uno sconosciuto che aveva commesso l’errore di trovarsi sul suo stramaledetto cammino non avrebbe mai e poi mai avuto lo scrupolo di coscienza di sacrificarsi per un estraneo. La bacchetta s’era sempre sollevata senza pietà. Mangia o sii mangiato. E col cazzo che si sarebbe fatto fottere così facilmente. Dannato sì, ma non fottuto. O almeno... non in quel senso. Nel modo in cui quella lupa lo stava facendo mandando ogni singolo recettore nervoso in estasi, mandando ogni senso oltre un limite e confine mai percepiti ed immaginati... cazzo! Quella donna avrebbe potuto anche abusare di lui e gli sarebbe andato bene! Così ci avrebbe messo la firma, non sul campo di battaglia.
    Che pensieri assurdi quelli, si disse mentre l’angolo destro delle labbra si sollevava in un sorriso sghembo rivolto al cielo semi coperto dalle fronde scure degli altissimi alberi della Foresta Proibita. L’ossitocina generata dall’orgasmo andava propagandosi in ogni cellula del suo corpo rilassando e sciogliendo ogni traccia di malumore e dolore che i giorni recenti e precedenti della trasformazione avevano lasciato prima di quell’incontro. Se quella era la cura ai mal di testa... beh, ne avrebbe abusato perché come un drogato avrebbe continuato a ricercare quella sensazione. Lo faceva stare bene, poiché riusciva a staccargli la testa da tutta la merda che invece doveva ingollare ogni giorno. Persino quando era a scuola, seppur più diradate, le rotture di coglioni della sua vita riuscivano a raggiungerlo sotto forma dei gufi di sua madre che lo avrebbe voluto a Burgas a terminare i suoi studi, da privatista cosicché avrebbe potuto nel frattempo compiere quelli che erano i suoi doveri da capofamiglia – l’orticaria solo a pensarci – insieme all’organizzazione di quel dannato matrimonio i cui termini erano agli sgoccioli o i biglietti ad autodistruzione programmata che il padrino gli mandava quando richiedeva, senza possibilità di scelta, quelli che erano i suoi servigi dovuti alle sue qualità. Invece lì, disteso su quel prato era come se nessun problema avesse più potuto raggiungerlo. Solo immagini, solo i ricordi vividi di quanto avvenuto e di quanto i corpi stessero guarendo nei segni che s’erano lasciati vicendevolmente.
    Il corpo della lupa che si dimenava in gemiti fuori controllo sotto il suo. Il suo petto che andava sollevandosi per andare incontro al suo artiglio, curiosa e vogliosa quanto lui di quell’esperimento che le avrebbe sì sfregiato la pelle ma consci entrambi che in pochi attimi quel segno sarebbe svanito rimanendo unicamente indelebile nei loro ricordi. Aveva visto i suoi canini allungarsi spinti dalle sensazioni che i loro corpi uniti avevano generato, entrambi, fusi in quelle che erano le loro personalità complete. La loro interezza. Senza freni, senza inibizioni. Loro. Così com’erano, nudi e senza corazze. L’umano e l’animale insieme. L’aveva baciata, con veemenza, spudoratamente ingordo di lei accarezzando con la lingua quei canini allungati, ferendosi consapevolmente a sua volta mentre anche il suo sangue andava mischiandosi al sapore ferroso di quello della lupa. Era stato tutto oltre. Oltre ogni possibile immaginazione. Persino il modo in cui aveva raggiunto l’apice, stringendosi a lui, gemendo incontrollata contro le sue labbra. Dio. Se possibile era riuscita quasi ad eccitarlo di più portandolo in breve a raggiungere il climax poco dopo di lei mentre le teneva la testa per imporle il suo sguardo.
    Lentamente l’aveva lasciata andare, dapprima la nuca piantando l’ampia mano sul manto erboso per tenersi sollevato e con la mancina le liberò la coscia lasciando che le sue lunghe gambe dorate scivolassero al suo comando e volontà permettendogli di sfilare dal suo corpo soddisfatto. Sorrise, illuminandosi, prima di sollevarsi del tutto e stramazzare accanto a lei, il braccio a coprire parzialmente lo sguardo. Dopo quella che gli parve un’infinità la sentì ridere ed il suo inconscio fu in breve riportato al presente. Stupito constatò che il suo corpo e la mente si erano per la prima volta rilassati declinando lentamente verso il dolce e soave canto di Morfeo.
    «Giuro, non era questo l'obiettivo quando ho deciso di seguirti» spostò l’avambraccio sollevando un sopracciglio nella sua direzione osservandola divertito mentre anche le labbra si piegavano in un sorrisetto provocatorio. Di certo lui non se ne sarebbe lamentato, anzi, fossero andati sempre così imprevisti! Ma sapeva che era stato un caso. Un colpo di fortuna che difficilmente sarebbe ricapitato, quindi, avrebbe potuto baciare la sua buona stella e chissà che quell’evento fosse un indicatore propizio di quello che sarebbe stato il suo ultimo anno al castello.
    «Interessante» replicò senza tuttavia sbilanciarsi più di quel tanto. Criptico ma che, allo stesso tempo, tramite l’espressione distesa e rilassata lasciava invece intendere un feedback positivo nei riguardi di quell’incontro. Sistemandosi nel manto erboso, le braccia intrecciate sotto la nuca, si dedicò ad osservare la ragazza sollevarsi da terra per cominciare a cercare e rassettare il suo aspetto e vestiario. Inclinò il capo seguendo il suo movimento mentre si chinava per recuperare l’abito che, constatò, non aveva fatto proprio una bella fine contro la sua frenesia di averla. Ops!
    «Uhm.. non è che me lo puoi riparare?» Doveva? Sollevò ambo le sopracciglia innalzando lo sguardo dallo scempio fino agli occhi della Serpeverde. «…Non mi va di tornare al castello così» Concluse ed il mannaro seguì il suo capo abbassarsi godendo un’altra volta delle visione di quel corpo nudo che era riuscito ad infiammarlo come poche altre donne in precedenza. Soffocando un ghigno s’alzò dal terreno ricercando i suoi abiti sparsi più a portata rispetto a quelli della ragazza. Afferrò boxer e pantaloni e li indossò tutti in un unico gesto per poi riappropriarsi della bacchetta. S’avvicinò alla ragazza continuando a non poter fare a meno di mangiarsela con lo sguardo. «Decisamente no» replicò ancora una volta criptico a quella sua affermazione. Non voleva che altri la vedessero? Ci teneva incredibilmente alle sorti della loro casa? «Reparo» un semplice tocco del tessuto che immediatamente cominciò a ricucirsi tornando alla forma iniziale tranne che per l’immacolatezza del suo candore. Nel silenzio, per lui privo di indugi, si rivestì e quando fu ora di congedarsi si avvicinò alla lupa afferrandole gentilmente il mento, passando il pollice sulle sue labbra turgide ancora arrossate dalla passione dei loro baci.
    «Ci vediamo… Freya» un sorriso, prima di lasciarsi andare.


    CITAZIONE
    CONCLUSA.


    Edited by Dragonov - 13/9/2023, 09:35
     
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