The wolf and his little lambs.Bronx, fine maggio.

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    Dean Harris

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    La suola della scarpa sporca di terreno era premuta contro la gola dell’insetto che aveva provato a mandare a puttane un carico di oggetto magici illegali destinata a uno dei più cari clienti, José, in Colombia. L’auror in questione, Nick Coleman, trentacinque anni, un metro e settanta, padre di famiglia e stupido difensore della legge, credeva di avere qualche speranza contro di lui, Dean Harris, il capobranco dei mannari del Bronx. Aveva peccato di presunzione ed era stato schiacciato. Nei suoi occhi non c’era più il fuoco di poco fa no, c’era il tipico terrore di chi sapeva che, da lì a poco, sarebbe finito all’altro mondo. Prese la bacchetta e con un movimento netto gli squarciò il petto, il sangue iniziò a scorrere a grandi quantità e l’uomo respirava a stento. Inclinò leggermente in capo e sorrise sadico prima di affondare gli artigli nella ferita inferta in precedenza, beandosi delle grida di dolore della sua vittima. Erano musica per le sue orecchie. Tuttavia, non lo uccise, quel compito, oggi, spettava al figlio minore, Micheal. Si voltò a guardarlo, era bianco in volto e stava quasi per vomitare. Patetico, debole, inutile. Gli aveva mandato una lettera tempo fa ma il signorino non si era degnato di rispondere, solo mesi dopo aveva bussato alla sua porta pronto a sottostare al suo volere. Aveva ordinato ai suoi sottoposti di allenarlo nel combattimento corpo a corpo, doveva migliorare i suoi riflessi se voleva avere qualche speranza contro David. Lo scontro tra i due avrebbe dovuto essere memorabile perché quei due erano la sua stirpe e non dovevano osare sporcare il suo nome. Aveva una reputazione da mantenere. Certo, l’apprendere che entrambi i suoi figli avessero eredita il genere era stata una sorpresa, era da secoli che non succedeva, ma questa era l’ennesima dimostrazione di quanto lui, Dean, fosse eccezionale.
    Ritrasse lentamente la mano, solo per graffiargli la faccia evitando, almeno per il momento, di accecarlo. Si allontanò da quel corpo martoriato per avvicinarsi al figlio e dargli un pugno che gli fece voltare la faccia dall’altro lato. Gli faceva schifo quanto fosse debole. Non avrebbe mai dovuto permettere alla donna che aveva sposato di crescerlo, lo aveva deviato ed era a causa sua se non riusciva a spezzare neanche le ossa delle sue vittime, gli mancavano proprio le basi. “Che figlio inutile.” I lamenti dell’auror cominciavano a dargli fastidio, così usò il suo potere per riempirli la bocca di terreno e farlo tacere. Gli piaceva solo quando urlavano in preda al dolore, non quando squittivano come topi. Fece segno a James, il suo beta, di tenere fermo Micheal. Ubbidì immediatamente prendendogli le braccia e tirandole all’indietro verso di lui con violenza, sapeva bene che non avrebbe potuto liberarsi, non era forte abbastanza. Dean fece due passi avanti e posò i suoi occhi freddi su Micheal, poi gli prese il viso tra le mani e strinse quel tanto che bastava per fargli male. “Sai già cosa devi fare, vero?” Nonostante apparisse calmo dall’esterno, il capostipite degli Harris era pronto a scattare al minimo segno di disubbidienza e ribellione da parte del figlio che si ostinava a non chinare il capo di fronte al suo padrone. Negli anni aveva imparato ad essere paziente, a torturare lentamente le sue vittime invece di ucciderle subito. Era noioso. Quella stessa pazienza l’applicava negli affari e nell’educazione dei suoi presunti eredi, i quali erano testardi quanto lui; quindi, ci voleva un po’ per domarli. Con David ci era riuscito, aveva reso la sua vita un inferno e se Micheal non si decideva a dare il colpo di grazia a quell’insetto avrebbe fatto lo stesso anche con lui, se non peggio. A differenza del maggiore, aveva meno tempo a disposizione per sottometterlo e non poteva avvalsi dell’aiuto di sua moglie, la quale si rifiutava categoricamente di lanciare una Cruciatus contro il suo bambino. A lei ci avrebbe pensato dopo. “Vai e uccidi quella feccia altrimenti” Usò la mano sinistra per lacerargli la carne della gamba destra. Andò abbastanza affondo e sorrise malato di fronte alla sofferenza suo stesso figlio, chiedendosi di quante ottave la sua voce si sarebbe alzata se avesse subito le stesse torture del fratello. L’odore del sangue fresco, il terreno bagnato, grida di agonia. Ah, che goduria. “sai cosa ti aspetta. Questo è il mio ultimo avvertimento.” Roteò gli artigli nelle sue carni delicatamente per testarne la morbidezza e poi gli estrasse lentamente. Osservò la sua mano intrisa di quel liquido scarlatto che tanto amava, ne conosceva il sapore, la consistenza e l’importanza, perché era proprio grazie ad esso che la maledizione del licantropo scorreva nelle sue vene. Si leccò le labbra, un riflesso della bestia che giaceva in lui e che non vedeva l’ora di uccidere e mangiare. Presto sarai libera.







     
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    Michael Harris

    Gli occhi cerulei indugiarono sulla figura agonizzante di Coleman, il giovane Auror colpevole di essersi posto sul cammino di Dean Harris, mandando a monte uno dei suoi piani volti ad arricchire le tasche di uno dei suoi clienti migliori. Affari illegali, ovviamente. Affari che rientravano nell’ambito di competenza dell’uomo che, ora, si trovava in bilico tra la vita e la morte, senza possibilità di lottare per la propria sopravvivenza. Un topo in trappola. Un topo che non avrebbe potuto fare ritorno a casa per riabbracciare i propri figli che sarebbero rimasti orfani di padre, dopo quell’ingiusta giornata che, lentamente, volgeva al termine. Mike osservava in silenzio, conscio del fatto che quello spargimento di sangue non si sarebbe potuto evitare ma, anzi, quella sceneggiata avrebbe solo prolungato il profondo strazio provato dalla vittima di quel regime formato da terrore puro. Sospirò, reprimendo a fatica l’istinto di scagliarsi prepotentemente contro quell’uomo sadico che, comunque, gli aveva donato quella misera vita che ora cercava di fargli rimpiangere in ogni modo. Il suo rientro nel Bronx era stato traumatico e non privo di titubanze. Accettare il rientro in patria gli aveva provocato parecchi grattacapi, seguiti da tentativi vani di escogitare stratagemmi che lo avrebbero tenuto al sicuro da quell’energumeno senza cuore. Sforzi inutili. Niente gli avrebbe assicurato l’incolumità e, una volta giunto bel Bronx, Dean non si era fatto alcuno scrupolo nel trascinarlo appresso a sé e al suo dannato branco che, ora, si aspettava una presa di posizione da parte del figlio minore del loro, indiscusso, capo. Che si aspettavano? Che danzasse sul cadavere di un padre di famiglia? Uccidere per dovere, era un conto ma da lì a godere di quella sensazione beh, era tutto un altro paio di maniche. ”Che figlio inutile.” Quel parere non lo scalfì minimamente. Ciò che fuoriusciva da quella lurida bocca non avrebbe avuto ascendente alcuno, rimanendo un convincimento di un illuso che, prima o poi, avrebbe trovato la sua fine proprio per mano di chi sottovalutava a tal punto da reputarlo feccia. Studiava le sue movenze, la sua mimica. Qualsiasi cosa potesse indurlo a comprendere più a fondo quella personalità disturbata, così da trovare un punto debole attraverso il quale colpirlo in seguito, quando la sua forza sarebbe stata tale da permettergli uno scontro, quantomeno, equo. Piegò la testa di lato, aprendo la visuale sul corpo dilaniato dell’uomo. Il vuoto. Spense ogni sentimento, convinto di poter gestire meglio quel gioco di potere che si era instaurato tra loro. ”Sai già cosa devi fare, vero?” I lamenti provenienti da terra si fecero insistenti e, Mike, si voltò verso il padre con aria di totale apatia, come per sottolineare il fatto che non gli importava un cazzo di essere lì, alla presenza di quell’ostacolo. Annuì debolmente, ripensando a quanto fosse ridicolo quel teatrino messo in piedi per mettersi alla prova su chi ce l’avesse più lungo. La tortura? Il suo metodo preferito. Lo stronzo ne aspettava solo una mezza per dare sfoggio della sua infinita perversione. Per i figli, Harris Senior, avrebbe voluto lo stesso. Se con David vi era andato così vicino, per Mike era tutta un’altra storia. Il tempo a disposizione era poco e la paura che potesse sfuggirgli di mano, lo rendeva così inquieto da porre in essere atteggiamenti avventati. Uomo di merda. Sua madre si era battuta per crescerlo lontano da quella violenza ma, sfortunatamente, giocava un ruolo marginale nella faccenda, non abbastanza importante per vantare una valenza decisionale sui figli. Ed eccolo lì. In balia di quel destino che l’aveva investito in pieno, senza dargli la possibilità di scegliere ciò che potesse essere meglio. O forse no. ”Vai e uccidi quella feccia altrimenti…” Con un colpo secco andò a laceragli, gratuitamente, la carne della gamba destra, obbligandolo a sorreggersi con la sola forza della sinistra. Figlio di puttana. La rabbia gli pervase totalmente le fibre nervose. Le sue pupille si dilatarono, sovrastando l’azzurro delle sue iridi. Lo detestava con tutto sé stesso ma non gli diede la soddisfazione di cedere sotto la sua efferatezza. Strinse i pugni, riportandosi in posizione erette, mosso da quella forza di volontà che lo avrebbe riportato da Grace, sano e salvo. Glielo aveva promesso. La sua anima si tinse di nero mentre l’odore del sangue si poteva percepire lontano chilometri portato dal vento che, improvvisamente, si era alzato, come per voler cullare quella mente tormentata. Se non avesse compiuto il suo volere, probabilmente, si sarebbe assicurato lui stesso di metterlo fuori gioco, ancora prima di arrivare al combattimento con il fratello maggiore. “Se no? Mi ucciderai?” L’ira immensa che provava, lo portò a porre quella sconsiderata domanda a senso unico. Che si aspettava? Che non facesse alcuna resistenza e obbedisse, senza riserve, a quegli ordini malvagi dopo essere stato colpito senza pietà? Che illuso. Mike non era nella posizione di dare ordini ma, per via del suo modo di essere, non si lasciò scappare l’occasione di puntualizzare la sua posizione. “Se vuoi la mia obbedienza, beh, questo non è di certo il modo per convincermi.” Alzò lo sguardo, abbandonando la visuale sul color cremisi che dipingeva l’intera superficie della sua gamba e tuffandolo in quello di colui a cui non aveva chiesto di metterlo al mondo. “Chiedimelo per favore.” Stronzo. Senza giri di parole o sotterfugi. Un quesito diretto.


    Edited by Harris Jr. - 29/6/2023, 11:53
     
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    Dean Harris

    Nella sua vita, Dean Harris, aveva commesso un solo errore: quello di far crescere il figlio minore a sua moglie. Quella donna sapeva essere crudele quando voleva, con David lo era stata e insieme avevano creato il mostro perfetto, con Micheal, tuttavia, le cose erano andate diversamente e invece di temerlo come avrebbe dovuto fare, lo aveva sfidato apertamente, davanti al suo beta, davanti al suo branco. Lo punì lacerandogli la carne della gamba destra, senza pietà, affondando gli artigli quel tanto che bastava per lasciargli una cicatrice permanente così, ogni volta che l'avrebbe guardata, avrebbe ricordato chi era il suo padrone e a chi doveva la sua ubbidienza. La vide, la bestia che aveva dentro, voleva uscire e farlo a pezzi ma, a differenza dell'ultima volta era solo, non c'era David a proteggerlo ed era talmente debole che avrebbe potuto farlo fuori anche senza trasformarsi. Sarebbe stato un gioco da ragazzi. Era davvero patetico. “Troppo facile spedirti all'altro mondo, non trovi?” Gli strinse forte la mascella quasi a volerla spaccare e sorrise crudele, prima di usare i suoi artigli affilati per sfregiare il bel faccino che aveva eredito grazie a suoi geni evitando, però, di cavargli gli occhi, non voleva di certo un figlio cieco. Più che ucciderlo, preferiva torturarlo fino alla morte, proprio come faceva con le sue vittime; tanto un essere umano poteva sopravvivere anche senza gli arti, quelli che, gradualmente, avrebbe amputato al figlio se non smetteva di sfidare la sua autorità. Qualcosa, però, gli diceva che Micheal, piuttosto che piegarsi al suo volere, se li sarebbe fatti strappare. Dean voleva vedere fin dove si sarebbe spinto, anche perché aveva un asso nella manica che non avrebbe esitato a giocare se non avesse ucciso la feccia umana che stava, ancora, squittendo come un topo pur avendo tutto quel terreno in bocca. Fece segno al suo terzo uomo, John, di farlo tacere. Così, dopo avergli dato un calcio nel costato, lo privò della sua voce. Finalmente c'era silenzio, solo quando urlavano, quegli insetti, dovevano essere ascoltati. Ognuno di loro produceva un suono diverso quando moriva, si muovevano anche diversamente e l'unica cosa che li accomunava era la vana richiesta di pietà. Le donne offrivano il loro corpo mentre gli uomini, quelli potenti, del denaro, come se ne avesse avuto bisogno. Navigava nell'oro, a volte non sapeva neanche come spenderli quei soldi, a puttane neanche aveva bisogno di andare visto che erano le donne a pagare per stare con lui. Ah, era davvero straordinario. Tuttavia, non avrebbe fatto l'errore di quello stupido di suo padre che aveva avuto dei figli al di fuori del matrimonio, una femmina tra l'altro, che si ostinava a usare il loro cognome pur non essendo mai stata inserita nell' albero genealogico di famiglia. Anche quell'inetto di suo fratello la considerava una nullità, e se uno dei suoi stupidi figli avesse, malauguratamente, ereditato il gene non sarebbe mai stato accolto dal suo branco. Sarebbe rimasto solo come un cane. Nel mentre, dalla bocca di suo figlio uscivano solo stronzate. La rabbia, il suo sentimento preferito, iniziò a crescere, gli occhi divennero gialli e i canini cominciarono ad affilarsi, pronti ad affondare nella giugulare di Micheal che, nonostante i precedenti avvertimenti, aveva continuato a mancargli di rispetto. “Chiedimelo per favore." Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Inspirò nervosamente l'aria dalle narici, il suo volto cambiò radicalmente espressione e quando i suoi uomini se ne accorsero, si fecero subito da parte, lasciando che la bestia sfogasse la sua ira su colui che l'aveva provocata. In un movimento repentino gli fu addosso, lo prese per la gola e lo sollevò da qualche metro da terra, poi strinse, privandolo dell'aria per respirare e gli diede un calcio negli stinchi mandandolo a sbattere contro un albero poco distante. "Devo chiederti per favore, eh?" Nessuno osava parlargli in quel modo e, se non fosse stato suo figlio, a quest'ora sarebbe già tre metri sotto terra. Lo raggiunse in poche falcate e gli puntò contro la bacchetta. "Incarceramus." Dopo averlo privato di qualsiasi libertà di movimento, Dean sollevò un piede da terra e lo poggiò sul ginocchio destro del ragazzo senza mai smettere di sorridere sadicamente. Se solo avesse ubbidito ai suoi ordini, uccidendo quell'auror e tenendo a freno la lingua, non sarebbe arrivato a questo punto; in fondo, nelle sue vene, così come in quelle di David, scorreva il suo sangue, purtroppo, però, i suoi figli erano stati educati male e, in quanto padre, toccava a lui rimetterli sulla retta via usando metodi drastici se necessario. Schiacciò violentemente il piede sul suo ginocchio per fargli stendere bene la gamba, poi si protese leggermente in avanti e glielo spezzò a mani nude. Grazie al suo udito sopraffino sentì le cartilagini delle ossa cedere sotto il peso della sua forza e rise, rise di gusto mentre Micheal si contorceva in preda al dolore. Essere un mannaro era meraviglioso, quella maledizione li rendeva simili agli dei e lui, Dean, poteva essere paragonato a Zeus. "Se vuoi che smetta" Gli diede un calcio sulla gamba rotta. "chiedimelo per favore." Avrebbe anche dovuto leccargli la suola delle scarpe per la sua insolenza. Inoltre savrebbe fatto meglio a compiere il suo dovere se non voleva essere privato degli altri tre arti. "A te la scelta."




     
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    Michael Harris

    ”Troppo facile spedirti all’altro mondo, non trovi?” Eppure, quella modalità, rientrava perfettamente nel modus operandi di quel bastardo senza cuore. Escludere a priori che fosse ricorso a metodi drastici, sarebbe stato stupido da parte di Michael il quale, d’altra parte, non aveva nessuna intenzione di cedere alla sua volontà senza combattere. La differenza tra padre e figlio era lì, visibile a tutti coloro che si trovavano in quella porzione di mondo dimenticata da Merlino eppure, quella personalità ribelle non mancava di puntualizzare quello che era la sua visione del mondo. Più lo osservava e più si chiedeva come faceva ad essere ancora vivo e vegeto. La sua spavalderia, il suo modo di trattare il prossimo. Tutto di lui lo lasciava basito in quanto figlio e portatore dei suoi fottuti geni. La natura, con lui, era stata più clemente, donandogli quel buon senso che, invece, dall’altra parte rasentava il nulla. Una fortuna non indifferente, dal suo punto di vista. In ogni caso, se lo avesse spedito all’altro mondo, avrebbe trovato quella felicità che lì, in sua compagnia, non avrebbe mai potuto neanche sfiorare lontanamente. Gli strinse forte la mascella, obbligandolo ad osservare quel volto marcato dal tempo e ostile. Le sue iridi lo puntarono, senza alcun indugio sostenendo quello sguardo malvagio dal quale trapelava solo ed esclusivamente l’odio nei suoi riguardi. Odio per essere sfuggito al suo controllo per troppi anni, difeso da una donna che per lui altro non era che una puttana usa e getta, utile nel momento del suo bisogno fisiologico di sfogare i suoi impulsi sessuali. Né lui, né David avevano chiesto di venire al mondo e, forse, sarebbe stato meglio non aver messo piede in quel mondo fatto di violenza e menzogne. Ma, beh, i genitori erano stati di tutt’altro avviso e, ora, a pagare quell’errore erano solo loro, impossibilitati ad avere una vita normale. L’auror si trovava ancora a terra, agonizzante, quando Dean diede l’ordine di stordirlo ponendo fine a quei lamenti inutili da topo in trappola. “Mmmm!” Con gli artigli gli procurò una ferita superficiale sul volto ma, per qualche assurdo motivo, si premurò che non fosse permanente. Un figlio cieco e sfregiato non sarebbe servito alla sua causa. Tutto calcolato in quella mente malata. Non diede alcuna soddisfazione mentre, il sangue, zampillava all’altezza del suo viso. Non mi avrai mai. Evitò di dare voce a quel pensiero che lo avrebbe portato solo a peggiorare la situazione nella quale versava e neanche troppo felicemente. Lo avrebbe torturato. Gli avrebbe fatto raggiungere il limite, oltre il quale credeva di vederlo implorare quella pietà che non sarebbe mai giunta. Mike aveva avuto ben chiaro, sin da subito, quello che avrebbe voluto provocare nel padre e, alla fine, si sarebbe fidato di lui, lasciandolo libero di tornare al castello da suo fratello e da lei. Per giungere a quel risultato, però, avrebbe dovuto soffrire e forse rinunciare a quella dignità sulla quale fondava il suo intero essere. Certo, una sceneggiata ma agli occhi del capostipite degli Harris sarebbe stato un bel colpo di autostima, innalzandola ad un livello superiore ed imbarazzante. Non sei l’unico ad aver calcolato tutto! Strinse i denti, mentre il classico sapore metallico del sangue pervadeva i suoi sensi. Lo sfidò apertamente, a muso duro e cono scendo alla perfezione cosa gli sarebbe spettato dopo quell’affronto avvenuto davanti ai suoi scagnozzi. Non poteva accettare che si mettesse in dubbio il suo potere, tantomeno da un figlio che considerava una nullità. ”Devo chiederti per favore, eh?” Ed eccolo intento a preparare la sua personalissima vendetta. Quell’uomo era il male allo stato puro. Quale padre avrebbe voluto tutto ciò per i figli? Solo un essere spregevole e malato di potere, lo stesso che al momento gli puntava la bacchetta contro, pronto a scagliare su di lui tutta la sua frustrazione derivata da una vita discutibile, riversa nell’illegalità. ”Incarceramus.” Una mossa astuta. Che avesse paura di una ribellione era chiaro. “Sei solo un vigliacco.” Inibirgli i movimenti non era sintomo di onore, di certo. Gli piaceva vincere facile, come al solito. Sollevò un piede da terra e lo poggiò sul ginocchio del minore dei suoi figli, stampandosi sul volto quel sorriso sadico che, oramai, poteva dirsi l’unico da lui conosciuto ed, improvvisamente schiacciò verso il basso, obbligandolo a distendere la gamba. Gliela spezzò. A mani nude, senza pietà e godendo di quel panorama che, per quel che gli suggeriva la sua mente perversa, aveva delle sfumature eccitanti. Il dolore fu lancinante, insopportabile. Strinse i pugni, conficcandosi le unghie nei palmi delle mani ed, di istinto, chiuse le palpebre senza proferire parola. Sarebbe imploso piuttosto che mostrare quel desiderio di morire che stava salendo in lui. ”Se vuoi che smetta…” Sferrò un calcio alla gamba interessata dalla rottura. ”… chiedimelo per favore.” Un sorrisetto compiaciuto si insinuò tra i lineamenti del verde-argento, sovrastando la maschera costituita da ripetute fitte derivate dal suo infortunio. “Liberami.” Combatti da uomo. Solo un idiota avrebbe pensato di cavarsela contro quel mostro ma, in fin dei conti, l’obiettivo di Mike era proprio quello di allenarsi -cogliendone i punti deboli- e quale miglior occasione se non quella contro colui che, prima o poi, avrebbero affrontato insieme lui e il fratello. Una breve resistenza e poi? Poi avrebbe ceduto, accontentando il sangue del suo sangue, così da farsi bello ai suoi occhi e convincerlo di essere totalmente dalla sua parte. Un prezzo alto da pagare ma, secondo i suoi calcoli, era pur sempre il male minore.
     
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    Dean Harris

    La testardaggine era, da sempre, una caratteristica dominate negli Harris e quando due di loro, in questo caso padre e figlio, avevano opinioni divergenti trovare un punto di incontro era difficile, se non impossibile, visto che quell'inetto di Micheal si rifiutava di uccidere un auror che aveva osato sfidare l'autorità del suo padrone. Spedire all'altro mondo la feccia umana con cui la sua famiglia, da generazioni, aveva a che fare era uno dei compiti base dei suoi membri; lui aveva perso la sua innocenza a diciassette anni e, da allora, senza la minaccia della traccia magica, era diventato un assassino a tutti gli effetti e adesso, all'età di cinquant'anni, era più bestia che uomo e i suoi sensi da mannaro così sviluppati da essere in grado di sentire l'odore del sangue a metri di distanza. Era una macchina da guerra, un mostro che traeva piacere nell'ammazzare brutalmente chiunque volesse e i suoi figli, i suoi eredi, dovevano essere come lui, così da avere uno scontro per la successione come non se ne vedevano da anni. Con David ci era riuscito e, quando le sue vittime esalavano l'ultimo respiro, sembrava divertirsi. Così avrebbe dovuto essere anche per il figlio minore che invece si ostinava a disubbidirgli, per cosa poi? Per non sporcarsi le mani? O aveva paura che, dopo, non sarebbe stato più lo stesso? Niente di tutto questo aveva importanza,doveva solo ammazzare quell'insetto perché, se non lo avesse fatto, il prezzo da pagare sarebbe stato caro. Sbagliava a credere che l'unica tortura che eseguisse fosse quella fisica, quella era solo una parte, il resto, per certi versi, era anche peggio. Per ora si limitò a graffiare superficialmente il viso di Micheal e a ridurlo uno straccio, impedendogli qualsiasi libertà di movimento, non voleva interruzioni durante sua opera di bene. Gli stava insegnando a stare al mondo, a sopravvivere, a combattere e lui come lo ripagava? Dandogli del vigliacco. Sua moglie gli aveva dato troppe attenzioni e questo era il risultato. Me la pagherete entrambi. Gli occhi divennero completamente gialli, il mostro era emerso dalle viscere dell'oscurità e guidato dal desiderio di uccidere e torturare il figlio, gli spezzò il ginocchio a mani nude e poi sferrò un calcio violento per farlo urlare dal dolore senza, però, ottenere il risultato voluto. Micheal si contorceva, si mordeva quasi a sangue il labbro inferiore ma dalla sua bocca non uscì mezzo suono, a parte qualche lamento simile allo squittio dei topi. Era testardo, non voleva dargliela vinta e questo spinse Dean ad essere ancora più crudele, perché chiunque osasse sfidarlo non meritava pietà alcuna. Prese la bacchetta e lanciò una serie di Diffido procurandogli dei graffi abbastanza profondi sull'avambraccio sinistro e la gamba sana, poi si fermò ma non prima di avergli lacerato il petto come l'auror che, da lì a poco, sarebbe morto soffocato a causa del terreno presente nelle cavità orali. A Micheal restava poco tempo per decidere, doveva agire in fretta altrimenti la prova non sarebbe stata superata e, in quel caso, l'ira di Dean Harris non avrebbe avuto precedenti. "Smetti di ribellarti e fa il tuo dovere. Non te lo ripeterò di nuovo." Lo aveva già fatto troppe volte. Da quando aveva seguito suo fratello in quella scuola era cambiato, prima era molto più servizievole e accondiscendente mentre adesso si rifiutava di chinare il capo e mostrare rispetto a lui, il capofamiglia, nonché padre e padrone. Lo aveva fatto anche mesi prima nella foresta in cui gli aveva ordinato di incontrarlo e, in qualche modo, aveva spinto anche David ad andargli contro. Il maggiore, però, era decisamente più intelligente perché dopo quel futile atto di ribellione era tornato ad essere quello di sempre a differenza dell'inetto che aveva davanti. Era cambiato, Micheal, c'era qualcosa che non andava in lui e, presto, grazie all'aiuto del suo beta, avrebbe avuto le sue risposte. "Uccidilo." Il tono in cui lo disse non ammetteva repliche. Inspirò rumorosamente l'aria delle narici, la pazienza, già precaria, era arrivata al limite e l'atmosfera in quel posto dimenticato da Dio era pesante. Fece scricchiolare il collo, i canini uscirono e gli artigli erano pronti a lacerare la tenera carne di suo figlio il quale, di fronte a quella versione del padre, avrebbe fatto meglio a tacere. David lo aveva visto solo una volta così e, dopo averlo quasi ammazzato, si era sottomesso a lui, per il minore, però, aveva in mente ben altro perché, a differenza del primogenito, era in grado di provare sentimenti postivi, se n'era accorto dal modo in cui, in rare occasioni, aveva guardato sua madre. Era sempre stato debole. Avrebbe dovuto prenderlo a pugni già allora, ma le probabilità che anche lui ereditasse il gene erano basse, per questo lo aveva ignorato. Il suo era stato un errore di giudizio al quale, però, presto, avrebbe rimediato.
     
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    Michael Harris

    Che si aspettava da lui? Una totale resa? No. Sapeva bene che non sarebbe stato facile convincerlo a desistere nel suo intento. Dean aveva in mente ben altro per lui. Un progetto superiore che lo avrebbe indotto a cedere al suo volere, trascinandolo dalla sua parte anche contro la volontà del suo stesso figlio. Perché avrebbe dovuto compiere il lavoro sporco per suo conto? Uccidere quell’auror avrebbe segnato per sempre la sua vita, rendendo un inferno ogni secondo della sua esistenza. Il senso di colpa lo avrebbe divorato ma, in fin dei conti, non vi era alcuna alternativa che gli assicurasse la tranquillità della quale necessitava, almeno fino a quando quell’uomo fosse stato al mondo, pronto a minare la sua serenità e quella di coloro che orbitavano intorno alla sua persona. Gli graffiò il voltò, mosso da un impeto di rabbia. Mike strinse i denti, tentando di mantenere la solita aria strafottente e apatica ma, dentro, il dolore lo stava dilaniando tanto da fargli credere di essere ad un passo dalla morte. E se non fosse riuscito a tornare da lei? Cosa avrebbe pensato? Sarebbe rimasta con l’assurda convinzione di essere stata abbandonata? Il cuore andò in frantumi mentre, la testa, elaborava rapidamente un piano che gli permettesse di uscire indenne da quella circostanza. Gli occhi del padre si fecero animaleschi, vitrei e pronti ad godersi lo spettacolo che vedeva il minore dei suoi figli contorcersi dal dolore. Figlio di puttana. La voce gli morì in gola, deludendo le aspettative di colui che avrebbe voluto nutrirsi di quell’agonia. Mai. Mai gli avrebbe permesso una tale soddisfazione. Implose e pregò di sopravvivere abbastanza, giusto il tempo per far sapere a Grace che la colpa era sempre stata sua. Sua e di nessun altro. Un calciò sferrato con rabbia raggiunse il suo petto, lasciandolo per qualche istante incapace di respirare mentre il mostro si appropriava della bacchetta. Avvertì chiaramente il suono dell’incantesimo lanciato nei suoi riguardi e chiuse gli occhi, pronto ad incassare ancora quei colpi gratuiti che non avrebbero fatto altro che aizzarlo contro colui che, diciotto anni prima, aveva deciso di metterlo al mondo, senza una vera motivazione se non quella per la smania si assicurarsi una progenie, cresciuta a sua immagine e somiglianza. Ed ora la situazione gli stava sfuggendo di mano proprio con quello che reputava il figlio meno degno di portare il suo cognome. Una sconfitta su ogni fronte per quel dannato maniaco del controllo che non desiderava altro che acquisire sempre maggior potere per poi sfoggiare alla prima occasione utili, arrecando danno a qualcuno del calibro dello sventurato Coleman, colpevole di aver semplicemente svolto il suo lavoro. “Sei un povero pazzo!” Scoppiò in una fragorosa risata isterica, la prima da quando aveva messo piede in quel luogo dimenticato da Dio. Un’esplosione di sentimenti contrastanti, impossibili da contenere. Il dolore fisico non era nulla in confronto a quello mentale provocato da quella circostanza ostile. Avrebbe pagato fior fiore di galeoni per trovarsi lontano da quell’abominio ma no, quello non era altro che il suo destino designato a priori. ”Smetti di ribellarti e fai il tuo dovere…” Faceva sul serio? Il suo dovere? Da dove arrivasse tutta quella convinzione non era dato a sapere. Come se tutto fosse dovuto quando, al contrario, non aveva mai mosso un dito per crescere i suoi figli come una persona normale avrebbe fatto. ”… non te lo ripeterò di nuovo.” Ghignò malamente mentre, a fatica, si riportava in piedi trascinando la gamba rotta. “Un dovere? Ma hai idea di cosa sia?” Domandò, reprimendo il desiderio di volargli al collo per stringerlo a tal punto da rendergli impossibile il respiro. “E il tuo dovere da padre?” Si era scordato di essersi riprodotto? “Ma sai? Forse è meglio così. Per noi.” Anche se su David, quel bastardo, aveva quell’ascendente distruttivo che l’aveva reso quel che era, Mike, non aveva smesso di sperare in lui. Si avvicinò al corpo quasi esanime di quel pover uomo e lo osservò provando quell’empatia di cui non sapeva di essere fornito. Socchiuse gli occhi ed iniziò la carrellata di scene felici che l’avevano visto protagonista negli ultimi mesi. Cosa sarebbe rimasto di quel Michael? L’ombra di sé stesso? Porre fine alla vita di un individuo non poteva definirsi, di certo, una passeggiata soprattutto per uno come lui che, con tutte le forze, aveva lottato per divenire un essere umano decente. Scusami. Un flebile soffio sancì l’inizio della fine. “Non mi permetterai mai di vivere la mia vita, non è vero?” Domandò mentre lavorava sulla possibilità di spegnere quell’interruttore che lo teneva ancorato a quella che era la vita reale, con i suoi pregi e i suoi difetti. La stessa che si era imposto di rispettare. E ora? Tutto convergeva verso quella decisione che aveva dovuto prendere a priori. Assecondalo per un bene superiore. La sua libertà. “Hai vinto. Ma se pensi, anche solo per un istante, che io ti debba qualche cosa, ti sbagli!” Vivere o morire. Un bivio, certo, ma nonostante avesse sempre pensato di preferire la morte a quell’esistenza, ora, aveva motivo per restare in quel mondo.
     
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    Dean Harris

    Quell'inetto di Micheal continuava a sfidare la sua autorità, forse non era stato abbastanza crudele? Voleva che lo riducesse in fin vita per ubbidirgli? Tanto meglio per Dean che si divertiva a tormentare le sue vittime, figli inclusi, fino a fargli perdere il senno. Non c'era niente di più soddisfacente nel vedere la follia e la disperazione nei loro occhi, le stesse che, adesso, vedeva in quelli di uno dei suoi eredi mentre rideva istericamente e gli dava del pazzo. Tanti lo avevano chiamato così, anche suo padre prima di morire per mano sua, perché i segni del suo squilibrio mentale erano noti da quando, all'età di dodici anni, aveva ucciso il suo gufo per avergli recapitato in ritardo una lettera di suo fratello. E pensare che quello non era stato nemmeno il suo primo omicidio, aveva iniziato a uccidere animali da tempo, poi era passato agli esseri umani scoprendo il piacere della tortura e del potere. Ah, era davvero divertente sentirli squittire come topi quando non riuscivano a respirare, si contorcevano come blatte e la loro faccia diventava viola e si gonfiava per via del mancato ossigeno. Purtroppo quella di suo figlio aveva solo un graffio superficiale, ma se non avesse fatto il suo dovere, l'avrebbe sfregiato sul serio. Si alzò in piedi a fatica, i suoi occhi gialli erano fissi su di lui ed era pronto a scattare alla minima provocazione. Quando era in quello stato era la bestia a controllarlo e il suo lato umano, già di per sé violento, non faceva altro che aumentarne la ferocia. "Sto facendo il padre, Micheal. Ti sto rendendo un uomo." Sorrise sadico con i lunghi canini affilati che gli graffiarono la pelle del mento, erano delle armi letali per lacerare e strappare la carne quando, da mannaro, si nutriva delle sue prede. Alla prossima luna piena lui e il suo branco avrebbero cacciato in una nuova zona, ma prima dovevano impossessarsene ed eliminare qualunque ostacolo, come l'auror che, presto, suo figlio avrebbe ucciso. Micheal avrebbe perso la sua innocenza e, omicidio dopo omicidio, la sua anima, ancora pura, sarebbe stata corrotta dal male e quei pochi sentimenti postivi che quella stupida di sua moglie gli aveva mostrato sarebbero spariti. Per sempre. Così come sarebbe sparito chiunque suscitasse in lui le medesime emozioni. Doveva provare solo rabbia, odio, risentimento, rancore, ira, proprio come David che, da tempo ormai, era diventato l'assassino che voleva che fosse. Lo vide avvicinarsi zoppicando al verme che aveva tentato, invano, di farlo fuori; gli auror non erano più quelli di una volta, non gli aveva fatto neanche un graffio, ma a che razza di addestramento erano sottoposti? Persino il membro più debole del suo branco, Kevin, sarebbe riuscito a farne fuori due da solo se questo era il livello. "La tua vita?" Che domanda inutile gli aveva fatto. Non solo era un inetto, ma era anche stupido. Cosa gli aveva insegnato sua madre oltre ad allacciarsi da solo i lacci delle scarpe? Non sapeva niente delle regole base degli Harris. Leyla, Leyla, non sai cosa ti aspetta. L'inferno in terra insieme al figlio, questo l'aspettava. "Mi appartiene." Si avvicinò di scatto e gli diede un calcio violento sulla gamba rotta, per poco non gli procurò un danno irreversibile. Poteva anche essere un mannaro, ma certe lesioni non guarivano mai del tutto e le cicatrici profonde restavano, come quella che David aveva sulla schiena. Ora tutto quello he Micheal doveva fare era puntare la bacchetta contro quel verme e ucciderlo, semplice. Invece no, continuò inutilmente a dare aria alla bocca. Stizzito dalle stronzate che non smetteva di sparare, lo zittì a modo suo affondando l'intera lunghezza dei suoi canini all' interno della spalla sinistra. Gli sarebbe rimasta una cicatrice permanente. Il sapore metallico del sangue invase la sua bocca, era sempre un piacere sentirne il sapore. La bestia dentro di lui si eccitò e fece più pressione, poi, dopo qualche secondo, lo liberò perché, nel mentre, gli aveva tenuto ferme le braccia con le sue. "Fallo e smettila di perdere tempo." Dopo avrebbe pagato il prezzo per la sua insolenza, se credeva che la sua tortura fosse finita lì si sbagliava di grosso. Davanti avevano un'intera settimana.
     
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    Michael Harris

    Lo credeva stupido. Una leggerezza che, prima o poi, sarebbe costata cara a quell’uomo troppo sicuro di sé per ragionare obiettivamente sulla situazione. Un punto a suo favore. Se Mike aveva deciso di scendere la scala che l’avrebbe portato direttamente all’inferno, era perché in tutta quella merda, aveva scorto una sorta di via d’uscita. Uno spiraglio che avrebbe condotto lui e suo fratello alla vittoria contro il loro aguzzino di una vita. Che fosse solo un abbaglio? Non lo avrebbe mai saputo se non si fosse messo in gioco, mettendo in palio la sua stessa moralità per quello che, senza dubbio, sarebbe stato un bene superiore. Socchiuse gli occhi ed incamerò la maggior quantità d’aria possibile nei polmoni, soffocando il desiderio di morire lì, in quel momento, pur di non essere messo davanti a quella scelta che lo avrebbe trasformato, in seduta stante, in un mostro.
    ”Sto facendo il padre, Michael.” Il Serpeverde scoppiò in una fragorosa risata. Grottesca, come se la sua umanità si fosse, momentaneamente, volatilizzata nel nulla. L’isterismo prese il sopravvento e l’intolleranza lo trascinò a un passo dalla follia pronta ad avvolgerlo tra le sue braccia. ”Ti sto rendendo un uomo.” La sua espressione si fece seria, attonita a causa di quello che era appena uscito dalla bocca infetta di quella deplorevole figura genitoriale. Il suo sguardo si fece severo. Mentre le pupille presero a dilatarsi, oscurando il colore chiaro delle sue iridi. “Sei patetico.” Non sprecò altro fiato, non sarebbe servito a nulla se non per aizzarselo contro ulteriormente, peggiorando quella posizione scomoda. “Non ho bisogno delle tue stronzate per diventare uomo, Harris.” Provava schifo. Null’altro per quella persona che nella sua vita aveva arrecato danno già a troppe persone. Lo stesso che non si sarebbe fermato davanti alle suppliche di quell’auror che, ancora, giaceva a terra agonizzante in attesa che il suo destino si compiesse. Un destino di nome Michael. Dean si aspettava che obbedisse, all’istante, senza temporeggiare così da non mostrare il turbamento che, invece, pervadeva ogni singola terminazione nervosa del suo corpo. Non vi era alcuno spazio nella vita degli Harris per l’indecisione. L’ agire. L’unico credo nel quale credere e, proprio in quel momento, sulle spalle del minore dei fratelli, pendeva non solo il dovere ma anche la dimostrazione della sua mansuetudine. ”La tua vita?” Lo rimbeccò ancora una volta, con un tono piatto e afono. La sua vita. Sì. Quella che si era costruito a fatica, lavorando sodo e mettendosi in discussione ogni qualvolta fosse stato necessario. Aveva superato difficoltà che, prima del suo arrivo a Hogwarts, avrebbe affrontato in maniera totalmente diversa o, forse, addirittura, si sarebbe voltato dall’altra parte fingendo indifferenza. Era cambiato. Era maturato e, di certo, non avrebbe dovuto ringraziare nessuno per il lavoro svolto su sé stesso. ”Mi appartiene!” Era convinto che qualsiasi genitore avanzasse, naturalmente, diritti sul proprio figlio ma quell’affermazione gli fece definitivamente aprire gli occhi su quel mondo che, per alcuni versi, gli apparteneva per via indiretta. Fuggire non sarebbe servito a nulla. Lui lo avrebbe trovato in ogni dove; non importava la distanza misurata in chilometri che intercorreva tra quelle due figure opposte. Suo padre avrebbe avuto sempre il controllo di quella che, per lui, non era altro che una miserevole vita sacrificabile per una causa maggiore. Il dolore era lancinante e la lucidità, man mano, veniva meno, lasciandolo in balia dell’autoconservazione, attivata per non soccombere. Un ghigno beffardo. L’ultimo, prima di lasciarsi andare a quel vuoto che lo avrebbe invaso di lì a poco. Era giunta l’ora. Tergiversare avrebbe voluto dire aumentare l’agonia di Coleman, oramai stremato dalle ampie ferite procurategli da quel branco di stronzi, leccapiedi. La sua espressione si fece intensa. Sul suo volto non vi era più alcuna espressione che indicasse il suo essere umano. Si trascinò a fatica verso quel corpo semi inanimato e, dopo essersi chinato su di esso per osservare da vicino quanto fosse grave la situazione, Mike, si riportò in posizione eretta, appoggiandosi sull’unica gamba non interessata da fratture e si rivolse nuovamente al suo aguzzino: “Hai vinto.” Non serviva aggiungere altro, non dopo il morso rivoltante ricevuto sulla spalla che non sarebbe andato via facilemente, solo con le abilità da mannaro. Sentiva gli occhi dei presenti puntati su di lui, in attesa di assistere all’iniziazione del figlio del loro leader indiscusso che li avrebbe portati alla disfatta con il suo ego smisurato.
    Si concentrò sull’auror e con la sola forza del braccio sinistro lo raddrizzò, in modo da poter avere spazio per compiere l’inevitabile. Osservò quel volto decadente, pronto alla fine e, senza dire una parola, circondò gli circondò il capo con le mani e compì il classico gesto che avrebbe portato la rottura dell’osso ioide della sua vittima. Così fece. Coleman cadde a terra, senza vita e con lui anche la parte umana di Michael. L’interruttore era scattato. Il biondo, oramai, non sarebbe stato altro che l’ombra di sé stesso, da lì, all’eternità. “E ora fottiti, papà.” E ora? Se fosse uscita la sua vera natura, come avrebbe reagito lei?


    Edited by Harris Jr. - 26/7/2023, 18:51
     
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    Dean Harris

    Stava lentamente portando suo figlio verso la pazzia. L'omicidio di un uomo avrebbe corrotto la sua anima pura, il senso di colpa, lo sapeva, l'avrebbe logorato in eterno e la speranza avrebbe lasciato il posto alla disperazione. A differenza di David che, fin dalla nascita, era stato abituato all'odio, alla rabbia e alla vendetta, Micheal aveva dentro di sé ancora un po' di umanità, se ne era accorto dalla pietà intravista nei suoi occhi quando questi si erano posati sull'insetto che avrebbe dovuto schiacciare. Un Harris non avrebbe mai dovuto provare un sentimento così patetico, loro traevano gioia dall'arrecare dolore alle altre persone, nel vederle soffrire e implorare pietà, nell'essere superiori. Quando aveva ucciso la prima volta, David aveva il suo stesso sguardo, era come lui, e non si era perso in inutili chiacchiere ma non poteva di certo aspettarsi la stessa cosa dal secondogenito, un debole privo di spina dorsale cresciuto da una donna, un essere per natura irrazionale e inferiore all'uomo. Eppure, quando l'aveva sposata, Leyla era diversa dalle altre; ambiziosa e crudele, non aveva esitato nel torturare il sangue del suo sangue, né a uccidere le puttane che, malauguratamente, aveva incrociato nei corridoi di casa sua, allora perché aveva voluto occuparsi dell'istruzione di Micheal? Cos'aveva di diverso da David? Serrò la mascella pensando a tutte le cose che gli aveva tenuto nascosto, una volta finito qui, sarebbe andato direttamente da lei e le sue urla, insieme a quelle del suo amato bambino, sarebbero riecheggiate tra le spesse mura del maniero.
    “Sei patetico." Un pugno al centro della schiena. “Non ho bisogno delle tue stronzate per diventare uomo, Harris.” Un calcio negli stinchi e uno alla gamba rotta. Continuò a sfidarlo, a parlare a vanvera senza curarsi dell'opinione dei membri del suo futuro branco. E allora Dean lo colpiva sempre più forte, senza risparmiarsi, perché tanto grazie al gene che aveva ereditato da lui sarebbe guarito nel giro di qualche giorno anche se le cicatrici dei suoi canini e dei suoi artigli sarebbero rimaste per sempre impresse sul suo corpo. E presto gliene avrebbe lasciate altre, lo avrebbe sfregiato fin quando, stremato, non avrebbe potuto far altro che chinare il capo di fronte al suo padrone. Lo avrebbe trasformato in un assassino, in un manichino senz'anima il cui unico scopo era quello di uccidere, indistintamente, uomini, donne e bambini. Persino suo fratello, ora in esilio, non si era fatto scrupoli nell'ammazzare chiunque osasse minacciare la stabilità della sua famiglia, proprio come quell' insulso auror con la bocca piena di terreno che stava per morire soffocato. "Hai vinto.” Quando udì quelle parole sorrise sadicamente al figlio. Lo vide avvinarsi a fatica al corpo di quel bastardo, circondargli con le braccia il collo e spezzarglielo. Scoppiò in una fragorosa risata, aveva raggiunto il suo scopo e Micheal aveva appena dimostrato di essere un Harris uccidendo a mani nude un uomo. Avrebbe potuto usare la bacchetta, come qualsiasi mago che si rispetti, invece aveva fatto esattamente come suo fratello. "Allora non sei del tutto inutile." Gli mise una mano sulla spalla in segno di approvazione solo per dargli, qualche istante dopo, un cazzotto che gli fece girare il viso dall'altra parte. Lo prese per i capelli e, insieme al suo beta, si smaterializzarono in una delle celle di isolamento nei sotterranei della loro dimora. Con la bacchetta schiantò violentemente il figlio contro la parete alla sua destra e ordinò a James di legargli mani e piedi con catene d'argento che gli avrebbero bruciato la pelle. Una punizione più che giusta per la sua insolenza. In due falcate gli fu davanti, gli prese il mento tra le dita e glielo sollevò con forza, obbligandolo a guardarlo negli occhi. Era tornato umano, ma la bestia dentro di lui voleva ancora divertirsi. Perché non assecondarla? "Adesso urla." Gli artigli affilati tagliarono la carne del torace, delle braccia, delle gambe e del viso. Rise sadicamente mentre l'odore metallico del sangue gli invadeva le narici stimolando la sua voglia di uccidere. Si trattenne a stento dal strappare il cuore dal petto a quell'inetto del figlio, non era lui la sua vittima. Ho in serbo altro per te. "Crucio." La maledizione fu scagliata con una violenza inaudita e, dopo di lei, ne seguirono molte altre.
    Per giorni Dean lo aveva torturato, umiliato, pesato, preso a pugni e negato cibo e acqua. Era debole, sporco di sangue e maleodorante. "Un ratto è più pulito di te." Quella era la fine che meritava. Ma c'era un'ultima cosa che doveva fare prima di liberarlo. Con un cenno del capo fece segno al suo beta di avvicinarsi; era una risorsa essenziale per il branco perché in possesso di un dono estremamente raro che, in più di un'occasione, gli aveva permesso di anticipare le mosse degli avversari. "Tutto tuo." Si fece da parte e lasciò che gli leggesse la mente. Attese pazientemente di conoscere i segreti dei suoi figli, di capire cosa stessero tramando e, soprattutto, do scoprire se qualcuno era diventato un ostacolo per i suoi piani, in quel caso l'avrebbe eliminato seduta stante. Nessuno doveva deviare i suoi eredi dal destino che aveva scelto per loro. Nessuno. Dean, però, non era a conoscenza di un dettaglio importante: James Bass era un traditore. Da anni stava tramando nell'ombra per mettere fine alla tirannia di quel sadico bastardo, ma non era facile, aveva bisogno di alleati abbastanza potenti da contrastarlo e i suoi figli facevano proprio al caso suo anche se, prima, doveva guadagnarsi la fiducia di uno di loro. Così non disse della ragazza che aveva visto nei ricordi di Micheal, né di quello che provava per lei. Scelse, invece, di parlare dell'altra. " Non è lui ad avere qualcuno, ma David, alfa." Un silenzio tombale calò nella stanza, l'unico suono udibile era il respiro irregolare di Dean che, con gli occhi iniettati di sangue, si diresse verso la porta.


    Edited by Aiden; - 30/7/2023, 22:33
     
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    Michael Harris

    Quell’atteggiamento crudele non l’avrebbe smosso di un millimetro. La pazzia –data da quel dolore lancinante che, oramai pervadeva il corpo nella sua interezza- sarebbe sopraggiunta di lì a poco, inesorabile, pronta ad avvolgerlo con le sue malate spire. Niente di tutto ciò, però, sarebbe riuscito a distogliere la mente da quell’obiettivo che l’aveva spinto a tornare in patria, dritto nel mirino di colui che non aspettava altro che forgiare la sua anima, così che potesse somigliare alla sua. Godeva nel vederlo soffrire in quel modo. Lo si leggeva nei suoi occhi scuri iniettati di puro sangue. Amava sentirsi addosso quel potere, così come amava essere dal lato della barricata in cui, ad ogni suo schioccare di dita, i suoi leccapiedi sarebbe corsi ad esaudire ogni suo richiesta. Lui era così. Né più, né meno. Un animale feroce. Un animale che non era mai stato in grado di prendersi cura neanche di coloro che aveva deciso, volontariamente, di mettere a quel mondo, rovinando la loro vita sin dal primo vagito. Cosa sarebbero diventati? Dei mostri? Troppo tardi. Lo era già da tempo. Eppure, Michael, in fondo a sé, sentiva che vi era quel margine di miglioramento su quale avrebbero potuto fare leva per iniziare a condurre un’esistenza, quantomeno, decente. Il riavvicinamento a David, ne aveva sancito i termini. Il loro capostipite sarebbe dovuto sprofondare negli abissi del non ritorno. Solo così avrebbero potuto conquistare ciò che possedevano per diritto di nascita: la fottuta libertà. Davanti a quelle provocazioni, il Serpeverde, non riuscì a trattenere l’odio. Il suo istinto animale, rischiava di prendere il sopravvento. Il dolore corporeo, venne scavalcato da quello morale e il desiderio di afferragli il collo, lo assillava come non aveva mai fatto prima. No. Un suo passo falso lo avrebbe condotto, senza alcun dubbio, verso morte certa e tutti i suoi sforzi sarebbero stati inutili. Incassò il pugno in piena schiena e l’ennesimo calcio sulla gamba già fratturata. Infierire, d’altra parte, era sempre stata la sua inclinazione principale. Un disco rotto e vomitevole e tutto nella convinzione di poter traviare la mente di chi, sfortunatamente, si trovava a dover raccogliere quelle sentenze da quattro soldi. Un atteggiamento stupido e lascivo. Un atteggiamento che, prima o poi, l’avrebbe trascinato alla disfatta, senza neanche la possibilità di lottare per i suoi ideali del cazzo. Si portò una mano alla spalla, lì, dove vi era il segno di quel morso, quasi voler significare che gli apparteneva come figlio e come soldato del suo esercito di sfigati.
    Il suo sguardo si spense, così come ogni suo sentimento. Le emozioni vennero a meno, proprio come avrebbe voluto per non arrestare la sua scalata alla conquista di quella fiducia paterna alla quale ambiva. Un gesto deciso delle mani e le lamentele del giovane auror cessarono improvvisamente. Il suo sguardo vitreo seguì la scia della sua voce. ”Allora non sei del tutto inutile.” La mano di Dean scivolò sulla spalla di un Mike attonito. Un attimo di intimità, rotta da un gancio destro in faccia. Figlio di puttana. Quella violenza gratuita su di lui lo mostrava agli occhi di quel branco per quel che era: un pezzo di merda, senza un briciolo di intelligenza per renderlo un leader adatto a quello scopo. Si atteggiava come se tutto il mondo fosse ai suoi piedi ma, da qualche parte, vi era qualcuno pronto a sfoggiare le sue armi migliori per mettere fine a quel regime senza senso. O forse, il nemico si trovava più vicino di quanto potesse mai immaginare. Tra le sue mura domestiche.
    Stremato. Privo di forze e di umanità, lasciò che decidessero per lui, senza neanche avere margine di giudizio. Le sue condizioni erano critiche. La sofferenza aveva raggiunto l’apice ma, apparentemente, non si sarebbe mai piegato a quell’evidenza, così da non dare quella soddisfazione al sadico davanti a lui. Sbarrò gli occhi e l’atmosfera familiare, spiegò quel che era appena accaduto. Insieme a Dean e al suo beta, James Bass, Michael si smaterializzò all’interno di una delle celle d’isolamento situate nei sotterranei di casa sua. Lì, dove anche David aveva affrontato la cerimonia della sua iniziazione. Dopo essere stato schiantato contro il muro, il leccapiedi numero uno del padre, si affrettò a legargli mani e piedi. Mike alzò la testa, ritrovandosi faccia a faccia con quell’inutile uomo: “Hai paura, Bass?” Dai suoi movimenti sembrava agitato e, così, decise di provocarlo, con le ultime energie che gli rimanevano per risultare spavaldo e fastidioso. Harris gli fu davanti subito dopo e nonostante non fosse più nella sua versione più animalesca, si rese conto di non essere ancora soddisfatto della sua perversione. Lo portò al limite. Mike serrò la mascella. Soffocando le urla in quella stretta di denti potente. Piuttosto si sarebbe ingoiato la lingua, piuttosto di mostrarsi deboli a quelle nullità. Una. Due. Tre. Le maledizioni si susseguirono a una velocità implacabile. Quando finalmente cessò di attaccarlo, si avvicinò. ”Un ratto è più pulito di te.” L’umiliazione ricevuto era così grande da definire, una volta per tutte, su quale piano fosse l’odio nei confronti del suo vecchio. Non perse il contatto visivo ma, saggiamente, decise di non rincarare la dose.
    Il cuore si fermò. Sì. Doveva essere così per forza. Il sangue gli si ghiacciò nelle vene quando, Dean, senza scomporsi, lo lasciò nelle capaci mani di James. Quel bastardo frugò nella sua mente, come il figlio di puttana che era. Il suo pensiero puntò Grace. No. Se fosse venuto a conoscenza della sua esistenza, avrebbe fatto di tutto per impedire qualsiasi legame che potesse indirizzarlo verso sentimenti positivi. Dopo una lunga pausa, il silenzio fu rotto da una constatazione che lo sorprese. ”Non è lui ad avere qualcuno…” Cosa cazzo stava accadendo? Perché? ”… ma David, alfa.” Un’inquietante quiete calò fra quelle mura di pietra. Bass aveva appena rivelato a Dean la presenza della Wheeler nella vita del suo primogenito. Una notizia che sarebbe bastata a scagliarlo contro suo fratello e alla ragazza colpevole di cosa? Di avere un ruolo nella vita di David? Assurdo. “Harris! Porca troia. Non toccarli. Torna qui!” Ti ammazzo con le mie mani. Si trattava pur sempre del sangue del suo sangue e di Halley, una delle più care amiche di Grace. Il padre uscì dalla porta, lasciandosi alle spalle la creatura che aveva appena creato.

    Conclusa.
     
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