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    La prima pagina della Gazzetta del Profeta era tutta dedicata a sua madre e al successo che stava avendo. A gennaio aveva aperto una gioielleria in uno dei quartieri più ricchi di Londra e, da quel che aveva letto, era un luogo frequentato da persone di un certo calibro, tra di loro era stata vista persino la moglie dell'attuale Ministro. Quella donna aveva in mente qualcosa, non era un caso se era tornata in Inghilterra e le aveva chiesto, anzi ordinato, di incontrarla. Le aveva scritto molte lettere, ma lei le aveva ignorate tutte, alcune le aveva persino bruciate, eppure quella donna non si era arresa finché non le aveva risposto in malo modo, dicendole di andare al diavolo. Quando l'aveva fatto non sapeva ancora chi fosse realmente sua madre, avrebbe dovuto fare più attenzione perché se si arrabbiava, erano guai grossi. A maggio l'avrebbe incontrata nella casa in cui era stato celebrato il funerale di sua nonna, i suoi occhi gelidi le avrebbero perforato le retini e la sua voce, simile al canto di una sirena, le avrebbe detto solo bugie per portarla dalla sua parte. O forse le avrebbe detto la verità, mostrando il suo vero volto e torturandola con il suo potere mentale. Aveva paura di ciò che avrebbe potuto farle, ma non si sarebbe mai mostrata debole dinnanzi a lei, l'avrebbe guardata allo stesso modo: con occhi freddi privi di qualsiasi emozione. Questi erano i pensieri che albergavano la mente di Daphne mentre usciva dalla biblioteca. Aveva fatto delle ricerche sulla magia nera nei libri consultabili, ma erano quelli del reparto proibiti che le interessavano. Sua madre si serviva dell'oscurità per raggiungere i suoi scopi quindi, se voleva vendicarsi per ciò che le aveva fatto, doveva conoscerla a trecentosessanta gradi perché solo così avrebbe potuto combatterla ad armi pari. Doveva assolutamente migliorare nei duelli; era brava sì, ma se messa a confronto con Ellen era una principiante, l'avrebbe disarmata in poche mosse. L'aveva vista scontrarsi con suo padre, molte volte, in uno scontro amichevole e non aveva perso neanche una volta. Contro chi si era messa?
    Aggiustò la coda di cavallo che si era fatta e svoltò a destra, scese rapidamente le scale e si ritrovò nel corridoio del secondo piano. Tra un'ora aveva un appuntamento con Halley, doveva aiutarla in Pozioni, quella materia proprio non le entrava in testa. Erano un po' indietro con il programma, il professor Fletcher era stato via per un mese e si erano dovuti arrangiare. Sperò che, al suo ritorno, le avrebbe fatto una lezione di approfondimento sull'alchimia. Gli aveva spedito un gufo qualche giorno fa e la sua risposta non era stata un no secco, forse gli impegni che lo avevano tenuto lontano da scuola erano diminuiti. Chi poteva dirlo. Guardò per un po' il cielo azzurro, erano le tre del pomeriggio e non volava una mosca. L'inverno era passato e, con esso, anche il freddo, la neve e ghiaccio per lasciare spazio al caldo, i ciliegi in fiore e gli insetti. Odiava la primavera. In Norvegia, a quest'ora, c'erano ancora quattro gradi. Casa sua le mancava e, quest'anno, ci sarebbe ritornata perché aveva urgente bisogno di parlare con suo padre; doveva sapere ciò che Ellen aveva fatto, solo così si sarebbe schierato dalla sua parte. Socchiuse gli occhi, pensando alla faccia che avrebbe fatto e alla rabbia che avrebbe provato per essere stato ingannato e manipolato da sua moglie. Se c'era una cosa che Aleksander Andersen odiava più di tutto erano le bugie e, a sua insaputa, gliene erano state dette tante. Avrebbe pianto per la perdita di Ludde? Dubitava. La persona che aveva conosciuto lei era fredda e indifferente, completamente diversa dal quella che, spesso, vedeva in una delle sue trance. Erano ricordi anche quelli? O illusioni? Non ne aveva idea. Ma ormai non aveva più importanza, aveva vissuto senza un padre e avrebbe continuato a farlo, se andava da lui era perché le serviva.
    Guardò diritto davanti a sé e il suo sguardo indifferente incontrò quello infuocato di Aaron. Non si scompose più di tanto, non era la prima volta che si incrociavano nei corridoi, però, dopo quello che era successo al ballo, non si erano più parlati. In passato, si erano già trovati in una situazione del genere, i loro caratteri opposti li avevano portati spesso a scontrarsi ma mai in questo modo. In pochi passi furono l' uno di fronte all'altra, Daphne gli passò di fianco, eppure qualcosa la spinse a voltarsi. Aaron fece lo stesso, fermandosi nel bel mezzo del corridoio con i pugni stretti e la mascella serrata, se non stava attento rischiava di rompersela. «Devi dirmi qualcosa?» Voltò completamente il corpo in sua direzione, erano faccia e faccia adesso. Conoscendo il tipo, avrebbe dato sfogo alla sua rabbia da un momento all'altro, era solo quesitone di tempo prima che esplodesse. Lei, invece, era perfettamente calma. Come al solito.



    Edited by Daphne. - 16/4/2023, 19:37
     
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    Ahh la primavera! Ero fermamente convinto che non ci fosse stagione migliore di quella: le giornate andavano ad allungarsi man mano che le giornate passavano, il clima diventava più mite e l'allontanarsi della brutta stagione rendeva gli animi più leggeri. Avevo sempre amato la primavera perché mi dava la possibilità di passare più tempo all'aria aperta e meno tempo rinchiuso in qualche stupida stanza. Persino con il mio patrigno, la primavera diventava un buon motivo per allontanarsi dalla magione nella quale ero costretto a passare intere giornate e andare in qualche villaggio oltre la città. Solitamente andavamo sempre nella villa situata a Abbotsbury, uno storico villaggio sulla costa giurassica del Dorset. Il mio patrigno, quando ci recavamo in quel posto, si chiudeva nella torre più alta della villa e rimaneva chiuso nel suo studio che si affacciava sul lago contempleando il paesaggio e studiando la sua prossima mossa. Non mi ha mai voluto dire cosa intendeva dire con "prossima mossa" ma io finivo quasi sempre per disinteressarmene perché avevo altro a cui pensare. Quel villaggio offriva davvero così tante attività da fare ma io apprezzavo passeggiare a cavallo lungo la Chesil Beach oppure fare wind surf o meglio ancora le gare a bordo delle canoe sulle acque del lago. Quello stile di vita mi piaceva davvero tanto e infatti non vedevo che ritornasse la bella stagione proprio per approfittarne e scappare in quel villaggio così bello. Purtroppo i miei doveri di studente mi tenevano confinato in quel castello a contare i giorni che mi separavano dalle vacanze estive. Non vedevo l'ora che arrivasse l'estate così avrei mollato tutti all'insegna del divertimento senza limiti. Non ti sforzare così tanto, vedo del fumo uscire dal tuo cervello. O forse stai fumando di nascosto? Mars ed io, quel pomeriggio, avevamo approfittato del bel tempo per andare a studiare sulle rive del lago nero magari il panorama ci avrebbe aiutato a rendere più digeribile la ricerca di storia della magia. Quella Grace ti sta facendo mettere la testa a posto. Da quando ti piace studiare? Mi fai paura, quasi non ti riconosco più. Un po' ero geloso della sua relazione con Grace sia perché vedevo che la vicinanza della ragazza lo stava portando sulla retta via ma anche perché avevo paura che il biondo decidesse di abbandonarmi di punto in bianco. Ero felice per lui però avevo visto numerose amicizie terminare per colpa dell'arrivo improvviso di una ragazza e non volevo che capitasse anche a noi. Mi fidavo di Mars ma se mai dovesse accadere, capirei l'importanza che il tassorosso dava alla nostra amicizia. Basta! Mi distesi di schiena sul prato e rivolsi lo sguardo verso il cielo, sentendomi improvvisamente sereno, tranquillo. La primavera mi metteva proprio di buon umore e faceva sì che prendessi con più leggerezza tutto quello che mi capitava durante le giornate. Nulla sembrava scalfire il mio umore in quei giorni e io ero sicuro che all'orizzonte c'era una catastrofe pronta a colpirmi e a darmi il ben servito. La quiete prima della tempesta, era così che chiamavano quei periodi costellati di tranquillità. Io vado a farmi una nuotata. Quando hai finito di fare il secchione a tempo perso e ti ricordi come ci si diverte, mi trovi in acqua. Da quella gita fuori porta con il professore di erbologia, avevo rubato qualche pianta di algabanchia perché volevo essere sicuro di averne una buona scorta da utilizzare al momento opportuno. Mi privai dei miei vestiti e ingerì una foglia, poi corsi nelle acque gelide del lago immergendomi nelle sue profondità e facendomi cullare dalle sue onde leggiadre.

    Avevo appena lasciato Mars ed ero tornato nella mia stanza per lavarmi, poi mi sarei diretto nel cortile del castello dove avrei incontrato la mia amica Danielle che mi aveva chiesto una mano per qualcosa di segreto. Quella ragazza mi faceva sempre sorridere e la sua vicinanza non faceva che aumentare il mio buon umore. Era la prima volta che da una ragazza non volevo un contatto fisico, con lei volevo divertirmi ma nel senso più puro del termine. Tra di noi non c'erano allusioni o strane tensioni sessuali ma semplicemente la voglia di godere della compagnia reciproca. Le volevo mostrare la mia ultima invenzione: i biscotti memoria visiva. Non avevo ancora trovato loro un nome ma ciò che mi interessava era sapere che funzionavano e portavano a termine il loro compito, ovvero aiutare gli studenti a studiare senza versare sangue e sudore. Sapevo che nessuno come la tassorosso avrebbe apprezzato quei piccoli biscottini. Ricorderete che poco fa avevo menzionato la quiete prima della tempesta, no? Bene. Mentre percorrevo il corridoio del secondo piano, mi imbattei negli occhi glaciali di Daphne che ridussero il mio umore ad uno straccio. Non riuscivo ancora a guardarla con diffidenza dopo quello che mi aveva fatto alla festa di San Valentino ma ogni volta che ci beccavamo nei corridoi desideravo che non fosse una ragazza, così avrei potuto sfogare la mia rabbia sulla sua faccia. Le regalai una spallata vigorosa mentre la superavo e proprio quando stavo per lasciarmela alle spalle, la biondina decise di aprire bocca. Mi voltai e prima di avvicinarmi pericolosamente a lei, le riservai uno sguardo stizzito. No. Non ho nulla da spartire con chi non sa stare ad uno stupido scherzo. La mia espressione rimase impassibile, solo la mia voce tremò per il nervosismo che quel volto mi provocava. Specialmente con chi per dimostrare la sua stupida superiorità, deve far sentire una merda il prossimo. Strinsi i pugni lungo i fianchi e mossi qualche passo indietro così da guardarla dritto negli occhi senza dover abbassare il mio volto. Spero di non aver detto nulla che possa in qualche modo aver scalfito la regina dei ghiacci, in quel caso dovrò subire la sua ira. Non è così? Per troppo tempo avevo soffocato e represso la mia rabbia, era giunto il momento di restituirgli il torto che mi aveva fatto. Avanti. Cosa aspetti? Tanto so che è ciò che vuoi perché è solo questo che ti preoccupa: la tua reputazione del cazzo. Non è così? Mi avvicinai nuovamente a lei e la spinsi leggermente. Tranquilli ragazzi, si sta solo riscaldando. Presto vedrete di cosa è capace la vostra adorata prefetta. Dieci galeoni che mi lancia uno stupeficium o qualcosa per far vedere quanto è irraggiungibile, imbattibile. La stavo sfidando e probabilmente stavo anche esagerando ma non riuscivo a fermarmi. Daphne mi aveva davvero ferito e deluso.
     
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    Lo sguardo pieno di sdegno che Aaron le rivolse non le face né caldo né freddo. Se pensava di incuterle timore si sbagliava di grosso, ai suoi occhi era solo un ragazzo, un grifondoro tra l'altro, il cui orgoglio era stato ferito e che adesso doveva riversare la propria rabbia su chi, secondo lui, l'aveva pubblicamente umiliato. Per Daphne era esattamente il contrario; era lui che con quel ballo non richiesto le aveva fatto fare una pessima figura davanti a tutta la scuola, per fortuna i professori non erano presenti, altrimenti si sarebbe arrabbiata ancora di più. Le era stato insegnato a mantenere un certo contegno in pubblico, a mostrarsi sempre perfetta e controllata, senza strafare, e essere oggetto di quel ridicolo scherzo non le era piaciuto affatto. Aveva superato i limiti e glielo aveva fatto capire ma Aaron la pensava diversamente; in fondo, alle feste, si era sempre divertito così, facendo casino e stando al centro dell'attenzione con i suoi amici. Più di una volta l'aveva invitata a sciogliersi, ad essere meno rigida, ma non faceva per lei dare spettacolo o ubriacarsi fino a stare male e, onestamente, non ne capiva neanche il senso. Le era capitato di alzare il gomito, ma sempre nei limiti e non era mai arrivata a vomitare o a dimenticare cosa fosse successo la sera prima diversamente da Astrid. Quella mezzosangue che si atteggiava ad erede degli Andersen aveva messo molte volte in imbarazzo la famiglia del braccio destro del Ministro norvegese, e suo padre, invece di rimproverarla o punirla, si impietosiva davanti alle sue lacrime di coccodrillo e la perdonava, facendole persino dei regali per consolarla. Con lei era sempre stato severo e intransigente, guai a macchiare il buon nome della famiglia, l'avrebbe richiusa nella sua stanza per una settimana e sequestrato i pattini per un mese come quella volta che aveva rovesciato addosso dello champagne alla figlia di un suo collega. Lo aveva fatto di proposito, quella ragazza parlava troppo per i suoi gusti, ma la sua reazione era stata esagerata e anche l'ex capofamiglia glielo aveva fatto notare, ovviamente in privato.
    Daphne era un'ereditiera e la sua reputazione era importante, inoltre ci teneva ad apparire in un certo anche a scuola e scherzi del genere non erano affatto graditi. Suo nonno avrebbe concordato. «Uno di pessimo gusto aggiungerei.» Cosa c'era di divertente nello strusciarsi addosso ad una ragazza e twerkare nel bel mezzo della pista da ballo? Niente. Assolutamente niente. Ad alcune poteva anche piacere, ma lei non rientrava tra queste. «Umiliato?» Inclinò leggermente il capo e lo osservò per qualche istante senza dire niente: lo sguardo duro, i pugni e la mascella serrati, il fiato corto, le spalle rigide. Era incavolato nero, ma Daphne lo aveva visto così tante volte in passato, con l'unica differenza che, quella rabbia, non era mai stata per lei. Adesso, invece, dopo mesi che non si parlavano erano arrivati a questo. «Non l'hai trovato divertente? Molte persone hanno riso.» Brutto, vero, provarlo sulla propria pelle? Anche lei era stata umiliata davanti all'intera scuola e lui, troppo preso dal suo balletto, non si era neanche accorto di averla messa a disagio. Avrebbe potuto fermarsi, invece aveva continuato imperterrito per la sua strada a dare spettacolo perché essere al centro dell'attenzione lo faceva sentire vivo, un po' come quando si esibiva. Ma avrebbe dovuto tenere in conto che, per lei, non era affatto così. «O forse avresti potuto semplicemente riflettere prima di agire, non trovi? Mi hai messo in una posizione scomoda.» Sapeva che era insieme ad Hunter, eppure se ne era fregato, perché nella sua testa non stava facendo niente di male. Le loro differenze li stavano portando a scontrarsi e Aaron era troppo incazzato per parlare civilmente, infatti non perdeva occasione per provocarla. Cosa sperava di ottenere? Una rissa? Un duello? Stava perdendo il suo tempo, non l'avrebbe fatto, non solo perché era da stupidi scontrarsi alle tre del pomeriggio, in un corridoio, davanti a mezza scuola ma anche perché era un Prefetto e, come tale, doveva comportarsi in un certo modo. «Perché tu non ci tieni alla tua, Aaron?» Rispose di rimando. Quest' ultimo si avvicinò e le diede una spinta con il chiaro intento di farle perdere la pazienza. Daphne non si scompose, fece elegantemente un passo indietro, per mettere distanza, e lo guardò con i suoi imperturbabili occhi azzurri. Molti, nella sua famiglia, aveva provato ad avere una qualche reazione da lei, fallendo miseramente, persino suo padre non ci era riuscito, quindi il grifondoro davanti a lei non aveva alcuna speranza. Se si fosse arrabbiata per così poco non avrebbe mai potuto tenere testa a sua madre, e lei si che sapeva quali tasti toccare per farle perdere il controllo. «Se ti sei sentito umiliato nello stare appeso a testa in giù è perché sei apparso in un certo modo, no? Altrimenti non ti saresti arrabbiato così tanto.» Tutti, chi più chi meno, tenevano alla propria reputazione e Aaron non faceva eccezione. In quel momento sembrava voler sporcare la sua, o quantomeno metterla in ridicolo, perché attorno a loro si era radunata una folla di persone pronte ad assistere a uno scontro che, per loro sfortuna, non sarebbe avvenuto. Addirittura c'era anche chi aveva scommesso sulla vittoria dell'uno o dell'altro, che branco di disadattati. Daphne scosse leggermente la testa davanti a quella scena pietosa di cui, purtroppo, era entrata a far parte. Aveva fermato Aaron perché si vedeva che aveva qualcosa da dirle, avrebbe anche accettato la sua rabbia perché sapeva com'era fatto anche se avrebbe mantenuto lo stesso il punto, la pensavano troppo diversamente, ma questo spettacolo da quattro soldi non aveva scusanti. L'aveva fatto di proposito. Forse dopo oggi non si sarebbero più parlati, erano troppo diversi e negli anni erano cambiati. L' amicizia che, un tempo, li aveva legati sembrava essere sparita al momento. «Non pensi di star esagerando? Non capisco dove vuoi arrivare. » Intanto un primino aveva urlato loro di iniziare a combattere, al che Daphne lo aveva freddato con lo sguardo per rimetterlo in riga. Sperò che Aaron avesse ancora del buon senso e non l'attaccasse per primo, in quel caso si sarebbe difesa ma le cose, tra loro, non sarebbero finite bene ugualmente.

     
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    Ero uno di quei classici attaccabrighe, uno che se veniva provocato contrattaccava senza mezzi termini, uno che non aveva paura di lanciarsi in risse e azzuffarsi con il primo che capitava. Questo era risaputo. Ció che era anche risaputo, era la mia tendenza ad incazzarmi specialmente con chi restava impassibile alle mie provocazioni o di fronte alla mia rabbia. Proprio il tipico atteggiamento che in quel momento stava assumendo Daphne. Era ferma immobile, impassibile, dal suo volto non trapelava alcuna emozione e piú lei si dimostrava calma e pacata, piú sentivo il sangue ribollirmi nelle vene e salire fino alla testa. Mi dava fastidio quella calma apparente. Tremendamente fastidio. A che razza di gioco stava giocando? Mi fermava nel corridoio, mi lanciava frecciatine e poi non dimostrava nemmeno un cenno di collera? Dio solo sa cosa le farei se non fosse una ragazza. Era già successo in un locale che avevo spaccato la faccia ad un ragazzo che non reagiva alle mie provicazioni, dopo che quest'ultimo mi aveva palesemente sfidato. Tra l'altro. Oh l'algida regina delle nevi ha trovato il mio scherzo di pessimo gusto? Ma vaffanculo. Era un balletto del cazzo che, tra l'altro, dovevo fare per uno stupido obbligo. Se non ci fosse stato quell'obbligo di mezzo, non lo avrei mai fatto. Mi scusi, sono davvero desolato per questa mia mancanza. Portai la mano al petto e iniziai a batterla quasi come se mi stessi pentendo amaramente di quello che avevo fatto. Se mi conosceva davvero come tanto mi aveva decantato durante il nostro primo incontro, sapeva benissimo che amavo quel genere di cose. Amavo stare al centro dell'attenzione, bramavo gli occhi delle persone e soprattutto amavo vedere ridere le persone che mi circondavano. Perché tutto questo? Perché la mia stupida condizione, quella con cui mi ero ormai abituato a vivere, mi metteva in una posizione tale da non riuscire a pensare a nulla di positivo. La paura costante di non riuscire a recuperare piú la memoria o peggio di venire a conoscenza di qualcosa di tragico, mi perseguitava e non mi lasciava dormire sogni tranquilli. Per questo adoravo circondarmi di persone e farle ridere, dargli qualcosa che li facesse sentire meglio o che gli donasse un pó di spensieratezza per qualche breve istante. Ma evidentemente, questo, Daphne non lo aveva ancora capito. Eppure la facevo piú intelligente. Abbiamo un concetto diverso di divertente. Serrai la mascella, reprimendo il mio impulso di voler tirare un pugno al muro che avevo accanto. Beh, io credo che abbiano trovato te piú divertente o forse non ti ricordi di come ti indicavano e se la ridevano mentre mi strusciavo su di te? Un ghigno comparve sul mio volto. Il mio spettacolino aveva riscosso un gran successo tra i vari ospiti presenti a quella festa e volevo che anche lei se ne ricordasse e che lo tenesse bene a mente, magari questo l'avrebbe portata ad abbandonare quella calma apparente che tanto la distingueva. Sí, speravo di ottenere una sua reazione perché mi stava davvero stancando il suo volto tranquillo. In una posizione scomoda? Sei seria? Proprio non riuscivo a comprenderla, per me quello che aveva appena detto era un'eresia bella e buona. Qui abbiamo un grosso problema, milady. Tendi a prenderti troppo sul serio, davvero. Prendi tutto troppo sul serio: te, l'opinione delle persone, tutto. Una che non riusciva a ridere di se stessa, per me, andava aiutata perché c'era sicuramente qualcosa sotto. Ti daró una notizia sconvolgente: il mondo non gira intorno a te, Daphne. Alla gente non gliene frega un cazzo di te o di me, di quello che succede e puoi stare sicura che si sono giá dimenticati di quello che é successo alla festa. Il giorno dopo era come se non fosse successo nulla perché tutti erano troppo presi dalla vita quotidiana per ricordarsi del mio spettacolino o della mania di voler prevalicare sugli altri di Daphne. Se io avrei potuto pensare prima di agire, tu avresti dovuto avere l'accortezza di dirmi che quello che stavo facendo, ti infastidiva. E mi sarei fermato se solo avesse aperto la bocca. Sei stata munita anche tu del dono della parola. Io non ce l'avevo con lei per quello che mi aveva fatto, ero incazzato nero con lei perché aveva preferito agire piuttosto che parlare. Certo che mi importa della mia reputazione ma non sono cosí fissato come te e soprattutto non penso che una stupida festa possa rovinarmela. Che assurditá. Le feste erano anche un pretesto per lasciarsi andare, per non restare incatenati alle stupide formalitá che la vita di tutti i giorni ti imponeva a seguire. Non mi sono sentito umiliato, mi sono infastidito perché avresti potuto parlare ed esprimere le tue emozioni come tutti i comuni mortali. O forse é una cosa che le ragazze come te non sanno fare? Incrociai le braccia al petto e puntai il mio sguardo nel suo. Quella era la cosa che piú mi aveva infastidito, al di lá delle sue ignobili azioni sulle quali potevo sorvolare. Sai una cosa? La reputazione, la carriera e tutte queste stronzate qui, non sono tutto nella vita. Ci sono cose ben piú importanti e ti invito a capirlo prima di ritrovarti completamente sola. Era questo il triste destino al quale stava andando incontro.
    Mi auguro che con Hunter tu non sia cosí, altrimenti sai che sofferenza deve sopportare quel poverino? Sorrisi di gusto. In realtá non lo pensavo davvero perché mi sembrava che il suo ragazzo e lei fossero davvero molto simili, quindi dovevano comprendersi nella loro banalitá. Chissá che noia dovevano essere le loro uscite, non volevo nemmeno saperlo. No, non credo di star esagerando. Le feci il verso, esasperato da quello stupido faccia a faccia che stavamo avendo. Ah scusate, dimenticavo di dirvi che sua maestá Daphne odia la folla. Perció sparite prima che se la prenda anche con voi perché l'avete umiliata e avete rovinato la sua reputazione. Dissi, ripetendo alcune delle cose che aveva detto a me poco prima. Contenta adesso? Ora siamo solo io e te. Le regalai una smorfia, un sorriso che sottolineava l'ironia delle mie parole.
    Se ci troviamo in questa situazione, é solo colpa tua.
     
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    Il soprannome che Aaron continuava a rifilarle non le dava fastidio, era abituata ad essere chiamata in quel modo da quando, all'età di sei anni, aveva iniziato a pattinare e il suo maestro si era riferito a lei come "regina dei ghiacci" dato che, fin da subito, aveva dimostrato il suo talento sul suolo ghiacciato vincendo numerose gare. Tuttavia, ciò che il ragazzo davanti a lei intendeva chiamandola così era una donna fredda, dal comportamento rigido e l'espressione impassibile, incapace di mostrare alcun tipo di emozione. Daphne era fatta così, erano poche le persone con cui si lasciava andare completamente e, attualmente, ce n'era solo una: Hunter. Oltre a lui si era aperta con Halley, anche se non allo stesso modo perché si stavano conoscendo un po' meglio visto che, fino a qualche mese fa, neanche si parlavano. Inoltre, essere così seria e riflessiva le permetteva di non cedere alle provocazioni del grifondoro che, quando ci si metteva, era davvero irritante, oltre che testardo, solo che lei lo era il doppio quindi questa discussione sarebbe potuta andare avanti anche fino domani ma lei idea non la cambiava. Quello scherzo era stato stupido, ridicolo e soprattutto evitabile, che poi, dopo averla ignorata per mesi, approcciava così? Pessima mossa. Come pessimo era il suo comportamento mentre si batteva la mano sul petto, la stava prendendo in giro, era ovvio, ma Daphne non disse nulla, si limitò ad una scrollata di spalle e lo guardò in attesa che tornasse serio. Aaron l'aveva fatta ridere molte volte con i suoi scherzi e le sue battute, ma quando si comportava così durante un confronto era irritante e, infatti, in passato l'aveva mandato a fanculo parecchie volte, adesso, però, sapeva come gestirlo. E poi aveva molto più controllo sulla sua persona rispetto a prima, negli anni aveva imparato a controllare le sue emozioni, a spegnerle se necessario, salvo vari casi ovviamente. «Decisamente. » La loro idea di divertimento era del tutto diversa, eppure un punto di incontro l'avevano sempre trovato, perché adesso non ci riuscivano? Forse perché Aaron continuava a sputarle addosso parole taglienti per farla arrabbiare senza sapere che, così facendo, avrebbe solo ottenuto l'effetto contrario. «Davanti al pagliaccio quale sei come potevano non ridere? » Sorrise crudele, inclinando leggermente la testa di lato. Se pensava che se ne sarebbe stata lì ad incassare i suoi colpi senza rispondere si sbagliava di grosso, e avrebbe voluto dirgli anche un'altra cosa ma si morse la lingua e tacque. Non gli avrebbe dato soddisfazione alcuna. «E a te invece importa troppo poco. » Faceva quello che voleva fregandosene delle conseguenze, una volta aveva persino fatto uno scherzo a un professore, uno dei più severi finendo in punizione per una settimana con tanto di missiva ai genitori, ma non si era fermato, aveva continuato a combinarne di tutti i colori. Questo era Aaron, uno spirito ribelle, qualcuno di completamente diverso da lei. «Questo lo credi tu, ma mi dispiace dirti che non è sempre così.» Nel mondo in cui era cresciuta lei la gente ricordava ogni gesto, ogni parola e ogni sbaglio che faceva, sapeva persino di che colore era il vestito che aveva indossato un mese fa. Il modo in cui si presentava una persona era importante, questo era ciò che le era stato insegnato. Da sua nonna. «E se tu mi avessi guardata anche solo per un secondo ti saresti accorto che ero a disagio, ma eri troppo preso dal tuo spettacolino. Mi hai fatto incazzare, e dato che con te i fatti sembrano contare più delle parole, te l'ho fatto capire con quelli. » Quando era arrabbiata non guardava in faccia nessuno, agiva e basta, ragionando a mente fredda e complendo dove faceva più male, allo stesso tempo, però, era riuscita a salvarsi la faccia dicendo che era stata tutta una scommessa nonostante sul giornalino fossero state scritte cose assurde, ad esempio che Aaron ci stesse provando provando con lei. Certo, come no. «Sai com'è, noi regine dei ghiacci ci esprimiamo diversamente da comuni mortali, non te l'ha mai detto nessuno? » La prossima volta gli avrebbe fornito un manuale d'istruzioni. «Grazie del consiglio, lo terrò a mente. » Adesso le dava anche lezioni di vita, che carino. Il suo viso era freddo e inespressivo, in netto contrasto con il sarcasmo che trapelava dalla sua voce. Era stata sola tutta la vita, rinchiusa in una bellissima gabbia dorata che, per anni, aveva chiamato casa e la solitudine, ormai, era un'amica di vecchia data che, prima o poi, avrebbe rivisto.
    «Non pensavo avessi così a cuore il suo benestare, glielo farò sapere, tranquillo.» Indifferente, si aggiustò la coda di cavallo e con altrettanta indifferenza scrutò la folla che si era riunita attorno a loro. Aveva tutti i loro occhi puntati addosso, stavano aspettando che si dessero battaglia per fare le loro scommesse e ridere alle loro spalle. Scosse leggermente la testa, annoiata da tanta stupidità e immaturità, perché tra loro c'erano anche studenti del quarto e quinto anno. Proprio non volevano sapere di crescere, eh? Come Aaron che adesso si metteva a farle il verso, manco avesse cinque anni. Sarebbe andato d'accordo con il figlio di sua cugina che anagraficamente aveva quell'età, ce li vedeva a fare una gara di smorfie e altre stronzate varie. Per fortuna quei pochi neuroni che gli erano rimasti ancora funzionavano, perché mandò via le persone che lui stesso aveva riunito, ovviamente sempre facendo dell'ironia su di lei. «Sei ripetitivo. » Almeno si inventasse qualcosa di nuovo, era da quando avevano iniziato a parlare che diceva sempre le stesse cose: sua maestà, la regina dei ghiacci, le ragazze come lei. Cambiasse disco. «Solo colpa mia?» Incrociò le braccia al petto e lo guardò con un sopracciglio alzato. « Tu sei innocente invece, certo. Non mi hai salutato per mesi, però poi ti sei preso una confidenza che non ti è stata data, facendo finta di niente e mettendomi in una situazione scomoda. Ma tu sei esente da colpe, non è vero?» L'aveva evitata perché non era pronto ad affrontare il suo passato e lei aveva rispettato i suoi tempi, lo avrebbe persino aiutato a ricordare perché erano amici, ma con quel gesto aveva superato i limiti. Non era mai venuta meno agli insegnamenti di sua nonna, aveva promesso di non farlo mai perché, oltre ad Alec, era l'unica prova concreta che le rimaneva di lei, però Aaron aveva rovinato tutto con quello show del cavolo. L'aveva delusa? Nella sia mente sì. Per questo si era arrabbiata così tanto e l'aveva appeso a testa in giù rovinando il suo bel faccino con un acne nodulo-cistica. Niente di irreparabile, però dentro di lei era nato un desiderio di vendetta che... Scacciò via quel pensiero, non era come sua madre.

     
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    Guardando lei mi resi conto che eravamo agli antipodi: due mondi troppo diversi che non riuscivano ad incontrarsi perché cozzavano tra di loro. Eppure durante il nostro primo incontro, avevo visto una similitudine tra noi due ma probabilmente ero stato accecato dall'euforia di aver ritrovato una vecchia amicizia. Ero così contento che non ero riuscito a guardare oltre le apparenze, non ero riuscito a vedere quello che Daphne nascondeva dietro quel suo aspetto fin troppo perfetto. Era proprio vero che chi cercava di mostrarsi agli altri puro, privo di difetti, quasi sempre aveva qualcosa da nascondere. Perciò mi domandai: cosa aveva la biondina da nascondere? Ma ti senti quando parli? Alzai gli occhi al cielo. Pensi davvero che l'unica vittima di questa storia sia solo tu? Daphne doveva seriamente imparare a riguardarsi perché di questo passo, si sarebbe semplicemente fatta del male. Come puoi pensare di essere nel giusto? Avevo le mie colpe e va bene ma lei? Pensava davvero di non aver commesso nessun peccato? Mi dispiace Daphne ma non è così. Anche tu hai le tue colpe, solo che non lo vuoi ammettere perché sei troppo presa da te stessa e dalle tue azioni per nulla nobili. L'aggredì ancora una volta. Ciò che mi aveva causato lei, era di gran lunga peggiore rispetto a quello che le avevo fatto io. Il mio era stato uno stupido scherzo mentre i suoi gesti erano davvero di dubbio gusto. Hai sbagliato, questa volta anche tu hai commesso degli errori e devi accettarlo. Era come se nessuno dei due volesse scendere ad un accordo pacifico, ognuno difendeva a spada tratta le proprie convinzioni e non accennava a fare un passo verso l'altro. Io ero un tipo orgoglioso e lo sapevo bene perché me lo avevano fatto notare in più di una persona che mostravo un esagerato senso di autostima e di apprezzamento di me oppure che ritenevo di non essere mai in errore o ancora che mi consideravo quasi sempre superiore agli altri. Stavo cercando di mitigare questo mio aspetto ma qui il problema non era il mio orgoglio ma l'egocentrismo esagerato di una persona che non riusciva a vedere al di là del proprio naso. Mi aspetto le tue scuse. Incrociai le braccia al petto e attesi che mi dicesse ciò che mi meritavo di essere detto, una semplice parola che avrebbe dovuto dirmi già molto tempo fa. Io poi, forse, lo avrei fatto a mia volta. Difficilmente chiedevo scusa per primo e aspettavo sempre che fossero gli altri a farlo perciò questo comportamento non era nuovo ai miei occhi e forse nemmeno alla biondina che continuava a guardarmi con quell'odiosa aria indifferente. Se non sai come si pronuncia, te lo posso scrivere su un foglietto così magari sarà più facile per te. La provocai mentre continuavo ad impuntarmi sul fatto che dovesse porgermi delle sentite scuse. Certo che mi importa della mia reputazione, semplicemente me ne sbatto il cazzo del parere degli altri e dovresti farlo anche tu. Le dissi semplicemente come se fosse una specie di consiglio spassionato. Oppure hai paura di qualcosa? Alzai un sopracciglio e la guardai con aria di sfida. Daphne Andersen ha paura! Te lo leggo in faccia. Hai paura che i tuoi genitori vengano a sapere che stai rovinando il nome della tua prestigiosa famiglia del cazzo? Oppure che Hunter scopra la tua vera natura e ti pianti in asso? Ti ascolto, dimmi. Per me, comunque, non aveva nessun senso preoccuparsi in questo modo così ossessivo della propria reputazione. Io alle spalle vantavo ogni genere di cazzata possibile e immaginabile che aveva messo a repentaglio la mia reputazione ma nulla che qualche buona azione non potesse rimediare. ...e dato che con te i fatti sembrano contare più delle parole, te l'ho fatto capire con quelli. Certo, certo. E' facile credere a queste cazzate, no? Sbuffai, palesemente stufo di ascoltare quelle scuse. E' proprio vero che la mente umana, è fantastica: si crea delle convinzioni dietro alle quali nascondersi pur di non affrontare la verità. Mi diedi delle arie come se sapessi realmente ciò di cui stavo parlando. E sai qual é la verità? Che sei semplicemente una ragazzina viziata, Daphne. Una ragazzina che fin da piccola è stata abituata ad ottenere qualsiasi cosa e che adesso non riesce nemmeno a rendersi conto quando commette qualche errore. Era ciò che pensavo, anzi, ciò che lei mi aveva fatto pensare con i suoi comportamenti inammissibili. La osservai mentre con aria indifferente, si sistemò la coda di cavallo e con altrettanta indifferenza scrutò la folla che si era riunita intorno a noi. Eravamo sotto i riflettori, gli occhi dei vari studenti erano puntati su di noi e scrutavano ogni nostra mossa, probabilmente speravano di vedere un bel duello. Con noncuranza e sempre prendendola in giro, decisi di allontanare quella folla perché quelli non erano affari loro e non erano tenuti a stare lì impalati in attesa di una rissa o qualcosa del genere: quello che stava accadendo era una cosa che riguardava solamente Daphne e me. Basta! Mi hai rotto! Gridai e avanzai minaccioso verso di lei. Sì, ti ho evitata. Ti ho evitata perché avevo una paura fottuta di scoprire qualcosa di grave sulla mia famiglia, avevo paura di venire a conoscenza di qualcosa di cui non sarei andato fiero. Cosa avresti fatto tu al mio posto, eh? Non l'avevo evitata senza un motivo valido e mi ero anche sentito in colpa nel farlo ma ero terrorizzato. Non lo avevo fatto in cattiva fede, solo non ero ancora pronto ad affrontare una possibile verità spietata. Mi sono risvegliato da solo in un letto d'ospedale, senza più alcun ricordo. Dei miei non c'è traccia e io vivo nell'angoscia che un giorno qualcuno mi possa venire a dire che i miei probabilmente sono morti. In più vivo con un patrigno che continua a torturarmi ogni volta che sbaglio perché proprio come te, ha queste manie di perfezionismo di cui mi sono davvero rotto il cazzo. Sbraitai, ritrovandomi a pochi centimetri di distanza da Daphne. Per te sono un coglione, un'idiota e sarà anche così ma quello che tu non sai é che mi comporto in questo modo perché so cosa vuol dire vivere nella sofferenza, nel dolore e nella preoccupazione. Non ero stupido ma mi comportavo in quel modo perché volevo creare un ambiente sereno in cui passare le mie giornate, quella stessa serenità che si spegneva non appena mi infilavo sotto le coperte. Mi piace far ridere la gente perché so quanto può far bene una risata e francamente non mi importa se ridono con me, di me o altro. Mi importa semplicemente di riuscire a far star meglio gli altri, di donargli qualche minuto di leggerezza e se tu questo non riesci a capirlo, è solo perché sei rinchiusa nelle tue stupide barriere mentali. Ti preoccupi solo di te stessa, a tal punto da non riuscire a guardare chi ti sta davanti e questo è un male. Ti preoccupi solo di te stessa e del tuo bene, sei arida. Ero davvero stanco di tutte le persone come lei che credevano di poterti impartire preziose lezioni di vita solo perché si sentivano superiori agli altri. Indietreggiai di qualche passo, Daphne mi aveva davvero deluso e con me non aveva proprio più niente da spartire. Le rivolsi un ultimo sguardo, poi mi voltai di spalle pronto ad andarmene.


    Edited by schneider. - 29/5/2023, 11:46
     
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    «Non c'è nessuna vittima in questa storia, Aaron.» Non lo erano né lui né lei, perché l'essere appeso a testa in giù con la faccia piena di brufoli era la conseguenza del suo stupido scherzo. Era andata quel ballo per distrarsi, per dimenticare che, da pochi mesi a questa parte, avrebbe dovuto incontrare sua madre e invece era stata protagonista di uno spogliarello del cavolo fatto da qualcuno che neanche la conosceva. Non si ricordava di lei, sapeva solo che erano stati amici in passato e questo non gli dava certo il diritto di prendersi una confidenza tale da strusciarsi su di lei, davanti al suo ragazzo e all'intera scuola. Sarebbe anche stata allo scherzo se fosse stata una dedica stupida, un ballo divertente, persino il suo vestito trasfigurato in quello di una banana l'avrebbe fatta ridere, ma twerkarle addosso in quel modo proprio no, e la cosa peggiore era che nemmeno se ne rendeva conto, non era interessato a capire il suo punto di vista e allora perché avrebbe dovuto farlo lei? «Pensala come ti pare.» Fece spallucce, per nulla toccata dalla predica che le stava facendo. C'era bisogno di essere così moralisti? L'aveva fatta incazzare e aveva agito di conseguenza, e nonostante ciò aveva chiesto anche a qualcuno di aiutarlo poco dopo in nome dell'amicizia che li aveva legati un tempo ma, ovviamente, non si era accorto di quel gesto d'altruismo nei suoi confronti, continuava solo a dirle di aver sbagliato senza, però, ammettere di averlo fatto anche lui. L'orgoglio era sicuramente il tratto distintivo dei Grifondoro, ma anche la sua casa ne aveva e se pensava di ottenere qualcosa con quell'atteggiamento si sbagliava di grosso. L'aveva fermato per parlare civilmente, non per essere spinta, attaccata e offesa da quando aveva aperto bocca. «E dovrei farlo perché a dirmelo sei tu?» Lo guardò freddamente, scuotendo leggermente il capo con evidente disappunto di fronte alle richieste, anzi pretese, insensate del biondo che adesso addirittura si aspettava delle scuse. Lui, delle scuse da lei dopo averle sputato addosso veleno da quando avevano iniziato a parlare. Ma cosa si era fumato? «Non le avrai quindi non scomodarti nemmeno.» Pronunciò quelle parole con una freddezza disarmante, infastidita dalle continue provocazioni del ragazzo. Era fin troppo sicuro di sé, non si metteva in discussione e continuava a darle consigli non richiesti come se la conoscesse da anni quando, in realtà, di lei, non sapeva niente. Neanche come si chiamasse il suo gufo. " Hai paura che i tuoi genitori vengano a sapere che stai rovinando il nome della tua prestigiosa famiglia del cazzo?" Quelle parole non avrebbe mai dovuto dirle, mai. L'unica famiglia che aveva era sua nonna, era lei che aveva deluso, non quell'assassina di sua madre o l'uomo tutto d'un pezzo che era sua padre. Si era spinto oltre nel ipotizzare qualcosa sulla base del nulla e, come se non bastasse, mise in mezzo anche Hunter, la persona a cui teneva di più. Alzò il mento e lo squadrò dalla testa ai piedi con i suoi occhi gelidi, ora privi di qualsiasi emozione. Non le importava più quello di che faceva, che diceva, che provava, le era indifferente adesso. Quel minimo di empatia che provava nei suoi confronti fu del tutto rimossa, davanti non aveva più l'Aaron che conosceva, il suo amico, ma un estraneo che non aveva esitato nel cercare di ferirla, e mentre per il balletto ci sarebbe passata anche sopra dopo aver avuto le sue scuse, o quantomeno qualcosa che le facesse capire che anche lui aveva fatto mea culpa, su questo no. Non ci sarebbe passata sopra. «Hai finito? O ne hai ancora per molto?» No, non aveva finito. Dopo la parentesi filosofica le diede della ragazzina viziata, in corridoio, davanti a delle persone che non sapevano niente di lei, del suo passato, della sua storia e tutto questo per cosa? Solo per averlo messo a testa in giù? Lo lasciò sfogare senza dire niente, non ne valeva la pena. Lui non ne valeva più la pena. Fece due passi indietro, mettendo le distanze perché da oggi lei e Aaron non avrebbero avuto più nulla da dirsi, soprattutto visto quello che pensava di lei. Neanche Halley si era mai spinta a tanto quando discutevano ed era anche per questo che erano diventate amiche, nessuna della due aveva mai messo in mezzo la famiglia dell'altra perché, quello, è sempre un campo minato. «Adesso che ti sei sfogato e hai fatto il tuo spettacolino con tanto di pubblico, penso che possiamo chiuderla qui, non trovi? Anche perché non mi va più di starti a sentire e, per la cronaca, hai detto un marea di stronzate. Non sai niente di me.» E niente saprai. Poteva dire o fare quello che voleva, non gli interessava più. Strinse la coda di cavallo e lo guardò alla pari di un insetto, delusa e contrariata da tutte le offese gratuite che le erano state rivolte contro ma non sarebbe scesa al suo livello, non lo avrebbe ripagato con la stessa moneta; perché farlo quando, per lei, ormai, aveva valenza zero? Tuttavia, ci tenne a fargli sapere che se erano in quella situazione era stata innanzitutto a causa sua, salutarla in corridoio non avrebbe significato buttarsi a capofitto nella riscoperta del suo passato, si trattava di semplice educazione, qualcosa che, a lui, evidentemente mancava. Scoppiò di nuovo, avvicinandosi minaccioso e riversandole addosso tutta la frustrazione che aveva in corpo. L'aveva presa per un sacco da box? «Un saluto non significava questo.» E neanche aveva più importanza visto come si erano messe le cose tra loro. Avrebbe potuto capirlo meglio di tutti perché sapeva come ci si sentiva ad essere privati dei propri ricordi, di parte della propria vita, conosceva il dolore della perdita essendo stata spettatrice della morte di sua nonna e di suo fratello, uccisi dalla sua stessa madre, ma non gli avrebbe dato conforto, non lo avrebbe aiutato, non avrebbe fatto niente. Aveva perso la sua stima nel momento stesso in cui aveva messo in mezzo la sua famiglia in un confronto in cui non c'entrava niente perché, alla fine, non è che gli aveva fatto chissà cosa. Avrebbero potuto tranquillamente trovare un compromesso ma adesso era tardi, non voleva avere più niente a che fare con Aaron Scheninder. «Ma io non sono il tuo patrigno e il mio voler essere perfetta non nuoce agli altri. La tua rabbia l'hai indirizzata verso la persona sbagliata.» Questa ira che aveva avrebbe dovuto sfogarla su qualcun altro, per altro anche eccessiva rispetto a ciò che era successo al ballo. Lo guardava a distanza ravvicinata con gli stessi occhi di sua madre: indifferente di fronte al dolore altrui. Anche lei era stata torturata, trasformata quasi in una bambola, non era l'unico. «Avresti solo dovuto capire che non tutti scherzano nel tuo stesso modo, invece hai messo in mezzo la mia famiglia, mi hai offeso, deriso e pretendi ancora di aver ragione. Con me hai chiuso. » Ne era fermamente convinto. E dopo tutta quella tirata non mancò di dirle che pensava solo a se stessa e che era arida, al che Daphne inclinò leggermente la testa di lato e sorrise crudele, da degna figlia di sua madre. «Preferisco regina dei ghiacci.» Era quello il soprannome che le aveva dato, no? Quando le diede le spalle e fece per andarsene non lo fermò, né gli disse altro. Non voleva più avere niente a che fare con lui, la loro amicizia si era dissolta insieme alle sue parole.


    Role conclusa.😱


    Edited by Daphne. - 4/6/2023, 10:57
     
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6 replies since 15/4/2023, 20:49   156 views
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