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.La superficie del lago nero, quel pomeriggio, era increspata solo a causa della brezza fredda che si era alzata negli ultimi giorni. L'inverno era alle porte e, come ogni anno, le temperature in Gran Bretagna erano schizzate vertiginosamente verso il basso.
Mi strinsi maggiormente nel giubbotto e presi un profondo respiro. Erano passati due giorni esatti dalla notte di Halloween, due giorni durante i quali non avevo chiuso occhio: non sarebbe stato facile dimenticare le immagini crude, talvolta raccapriccianti, delle quali ero stata testimone e non solo. Feci un tiro profondo dal filtro della sigaretta che reggevo tra pollice e indice e soffiai fuori il fumo, pensierosa. Le acque calme del lago nero erano in netta contrapposizione con il mare di emozioni che si agitavano dentro di me da Halloween. Ero certa di non essere l'unica ancora sconvolta nel profondo per via di tutto ciò che ero stata costretta ad affrontare quella notte, ma ero la sola che era sopravvissuta a quel gioco macabro di cui tutti - noi studenti - eravamo stati vittime. Il ché mi era costato parecchi sguardi addosso, motivo per il quale avevo evitato tutti i luoghi affollati del castello, compresa la Sala Comune e la mia camera.
Non avevo mai pensato alla magia come a qualcosa di oscuro, prima di quella notte assurda, ma soprattutto non avevo mai creduto - prima di allora - di essere capace di compiere gesti riprovevoli quali uccidere qualcuno pur di salvare la mia vita. Persino in quel momento, seduta al freddo, con le ginocchia avvolte tra le braccia, mi chiedevo come avevo potuto assecondare le voci nella mia testa. I ricordi di quella sera erano sfocati, dei flash back brevi e ovattati. C'era solo una cosa che non riuscivo a dimenticare, malgrado gli sforzi. La pulsione, quel desiderio folle di farmi giustizia da sola, di uccidere: potevo definirmi davvero una Grifondoro dopo tutto quello avevo fatto, seppur in una dimensione che aveva - fortunatamente h poco a che fare con la realtà?
Quando decisi di rientrare al Castello, il sole era già tramontato da un pezzo. Volendo azzardare una previsione, era ormai ora di cena e - senza pensarci due volte - decisi di superare la Sala Grande e di rintanarmi in camera. Non avevo fame, né mi andava di subire altri sguardi giudicanti. Ero bravissima a colpevolizzarmi da sola, non avevo bisogno che tutto il resto della scuola mettesse il dito nella piaga. Mi precipitai in direzione delle scale e, a passo svelto, imboccai i corridoi che mi avrebbero portata al dormitorio. In quei giorni avevo evitato proprio tutti, compresa Carrie. Temevo mi avrebbe biasimata persino lei e, quell'ennesimo colpo , io proprio non l'avrei retto.
Insistetti con la parola d'ordine finché la Signora Grassa non si decise a lasciarmi entrare nella Sala Comune, non prima di essersi lamentata del poco interesse che noi studenti continuavamo a dimostrare nei confronti delle sue doti canoreinesistenti, e mi fiondai in direzione del dormitorio femminile. Ironia della sorte, dalla porta aperta della camera, intravidi Grace di spalle. Mi morsi il labbro inferiore e alzai gli occhi al cielo, maledicendo il fato. Non avevamo ancora parlato dell'accaduto. Anzi, dalla sera di Halloween non avevamo parlato in generale ed io non ero riuscita a trovare il coraggio di aprire l'argomento. D'altronde, cos'avrei potuto dirle? "Ehi Grace, perdonami, non volevo ucciderti, mi è solo scappato un incantesimo potenzialmente mortale?!"
Feci un respiro profondo e mi avvicinai allo stipite della porta, poi bussai. «Si può?» domandai, facendomi coraggio. Non ci sarebbe stato momento migliore di quello ed io non volevo continuare a nascondermi. Se il cappello mi aveva smistato in quella casata ci doveva pur essere un motivo.
Edited by camden. - 28/11/2022, 22:29. -
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.In un'altra circostanza, ritrovarmi difronte ad una Grace parzialmente svestita, nell'atto di infilarsi la maglietta probabilmente mi avrebbe messa in difficoltà, ma in quel momento avevo tutt'altro per la testa. Quello che avevamo dovuto affrontare, pochi giorni prima, ci aveva segnate entrambe, era innegabile. Chiunque sano di mente avrebbe necessitato di tempo per riprendersi, ed io e lei non facevamo eccezione.
Sorrisi leggermente a seguito della sua canzonatura e mi portai indietro una ciocca di capelli invisibile, un movimento spontaneo che facevo involontariamente tutte le volte che mi sentivo nervosa. Con lo sguardo basso e i pensieri parecchio confusi, cercai le parole giuste per scusarmi, ma l'altra mi precedette, ed io mi ritrovai ad alzare finalmente le iridi verdi in quelle azzurre dell'altra. Avevo un groppone in gola e facevo fatica persino a respirare, al ricordo di ciò che le avevo fatto in ciò che lei aveva chiamato sogno.
«E' quello che pensi che fosse? Un sogno?» le domandai, poi, cercando di riprendere il controllo del mio corpo. Allora mi sedetti sul letto più vicino a lei e, a gambe incrociate, presi a torturarmi le pellicine intorno alle unghie. «Perché i miei ricordi sembrano confusi e veloci, ma piuttosto autentici...» ammisi, cercando nuovamente il suo sguardo. Non ero sicura avessimo assistito alle stesse atrocità, eppure, il suo disagio mi diede da pensare che - in qualche modo - quell'incubo era stato condiviso.
Da quando avevo messo piede ad Hogwarts, le ragazze della mia camerata erano state le persone con le quali avevo condiviso i momenti più felici, le serate più serene, le risate più fragorose. Carrie, Halley, Grace, persino Kynthia mi avevano fatta sentire subito a casa ed io non sarei mai stata loro grata abbastanza per l'atmosfera familiare nella quale mi avevano accolta sin da subito. Ciò nonostante, non c'era stata occasione di parlare di argomenti profondi, né avevamo sentito l'esigenza di confidarci dettagli sul nostro passato, cosa che invece sentivo di dover fare lì, davanti alla Johnson, per giustificare ciò che era successo la notte di Halloween. «Cosa ricordi, esattamente, di quella notte?» le domandai dopo qualche istante di pausa, durante il quale raccolsi l'energia necessaria ad affrontare il discorso che presto o tardi avremmo fatto.. -
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.Sebbene non lo dessi a vedere, l'inquietudine di Grace era del tutto condivisa da parte mia. Quello che avevamo fatto in quel sogno, le azioni che eravamo state costrette a compiere per salvaguardare la nostra vita...non era facile fingere di aver dimenticato tutto per non far preoccupare le nostre compagne di stanza.
«Se così non fosse gli altri sarebbero tutti morti» «Lo so.» dissi, aggrottando la fronte, nervosamente. Era proprio quello il punto. Mi ero sentita sollevata quando, risvegliatami da quell'incubo, avevo ritrovato intorno a me tutte le persone che temevo fossero morte per mano mia, eppure...c'era qualcosa, una sensazione che mi tormentava, un pensiero fastidioso come un tarlo che scavava nella mia testa e riguardava proprio Grace.
Ascoltai la Johnson parlarmi dei suoi incubi, di come alcuni di quelli ti rimangono attaccati addosso anche da svegli ed io annuii, senza dire niente, pensierosa. Per anni, un ricordo in particolare mi aveva torturata, di notte, di giorno, continuamente. Quando subisci una violenza, di qualsiasi genere, sembra ti si appiccichi addosso e, come una macchia, finisci per portartela ovunque. E anche quando nessuno all'esterno lo sa, ti sembra di avere una grande freccia sulla testa, una di quelle insegne al led che preannunciano l'avvicinarsi uno squallido motel in mezzo al nulla. Non era stato facile ricominciare a vivere, allontanarmi dall'idea distorta che mi ero fatta di me stessa e del mondo. Come una ferita in battaglia, mi aveva lasciato una cicatrice che sì, si era rimarginata, ma continuava a pulsare al ricordo di chi me l'aveva fatta. Quello stesso mostro era il motivo per cui non riuscivo a guardare Grace negli occhi per più di qualche secondo, da quella dannata notte di Halloween. Da quando avevo assecondato quell'istinto omicida, continuavo a riesaminare gli ultimi istanti prima del risveglio: la riserva delle barche, il buio, il freddo pungente e lui. Un brivido freddo mi distolse da quei pensieri.
Sentii Grace rivivere i momenti che descriveva e mi permisi di appoggiare una mano sul suo ginocchio quando vidi una lacrima rigarle la guancia. Sebbene in forma diversa, sapevo cosa poteva aver significato per lei trovarsi davanti ad un Mikhail che non riconosceva. Non che il tipo fosse completamente a posto, nella realtà, avevo sentito certe voci su di lui.. però i sentimenti della grifondoro erano autentici. «E' stato solo un dannato incubo, uno scherzo di cattivo gusto per animare la festa peggiore dell'anno.» tentai di rassicurare Grace, cercando il suo sguardo. «Johnson, guardami.» la esortai, appoggiando le mie mani sui suoi polsi per allontanarli dal suo viso. «Io so chi sei, ok? Non avresti fatto niente di quello che hai descritto, se non fossi stata costretta. Non devi giustificarti con me.» Tra tutte noi, Grace era l'amica per la quale lealtà avrei messo entrambe le mani sul fuoco. Non importava nemmeno che ci conoscessimo da relativamente poco, l'anima della Johnson era pura, bastava trascorrerci un'ora insieme per capirlo. «E Mikhail, lui è vivo. Stiamo tutti bene.» la rassicurai, cercando il suo sguardo. «Staremo bene.» ripetei con convinzione, cercando di credere alle mie stesse parole. «Cazzo, sei riuscita a farmi piangere.» finsi di lamentarmi, allontanando una lacrima dagli occhi prima che questa potesse cadere.. -
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.Ascoltai Grace scusarsi, giustificarsi, raccontarsi forse nel tentativo di fare ammenda, in qualche modo, come se ce ne fosse bisogno, come se non fossimo stati tutti vittime del gioco malato di qualcuno che aveva avuto pieno accesso alle nostre menti, un mago talmente oscuro da riuscire a sfuggire agli sguardi attenti del vice preside e di tutti i professori. E, sebbene in quella sorta di incubo collettivo avessimo agito da carnefici, non eravamo che vittime innocenti. Oppure no?
In quei due giorni avevo pensato e ripensato agli scenari davanti ai quali mi ero ritrovata, alle decisioni che istintivamente avevo preso non appena avevo percepito il pericolo farsi concreto e a quello che avevo provato nel riuscire a sbarazzarmi di quelli che avevo erroneamente etichettato come "i miei avversari": piacere. Non lo avrei mai ammesso ad alta voce e il solo pensiero che - anche solo per un secondo - mi ero sentita elettrizzata all'idea di alzare la bacchetta, indotta ad utilizzare incanti potenzialmente mortali quasi fosse nella mia natura castarli mi faceva venire la nausea e mi spingeva a pormi altre mille domande, come ad esempio: eravamo stati "scelti" per un lato oscuro che ignoravamo di avere? E cosa significava essere usciti "vivi" da quel sogno? Avrebbe avuto delle conseguenze sulla nostra anima? O, ancora, e se il sangue di cui mi ero sporcata le mani avrebbe cercato altro sangue? Poteva dirsi davvero tutto concluso? Una parte di me avrebbe voluto chiedere a Grace se quei pensieri tormentavano anche lei, ma l'altra voleva solo dimenticare tutto il prima possibile.
Lasciai i polsi della Johnson per ripulirmi da quella lacrima solitaria che, per fortuna, avevo bloccato in tempo e sorrisi al pensiero di quel ragazzo bizzarro (e dallo strano accento) che si rivolgeva a Grace appellandola nei modi più assurdi possibili, magari convinto di far leva sui suoi sentimenti in quel modo. Scossi piano il capo. Maledetti ragazzi, pensai, impareranno mai a corteggiare una ragazza come si deve? Nutrivo ben poche speranze a riguardo.
Mi sentii sollevata, per qualche istante. Parlare con Grace dell'accaduto mi aveva alleggerita, mi aveva fatta sentire meno sola e incompresa. C'erano sicuramente tante questioni irrisolte, interrogativi che ci saremmo portate dietro finché qualcuno non ci avrebbe dato delle risposte, ma eravamo insieme: amiche, non rivali. Il tempo di fare mia quella consapevolezza, però, fu lo stesso che impiegò Grace a dar voce ad un'ultima curiosità. Mi morsi il labbro inferiore e deglutii a vuoto: me l'aspettavo, in un certo senso e non era nemmeno la prima volta che mi ritrovavo ad affrontare quella conversazione. Ma erano poche le persone con le quali mi ero confidata e non era mai facile raccontarmi in quei termini, era come mettersi a nudo, spogliarsi nel bel mezzo di una tempesta: seppure davanti ad una persona fidata, non era e non sarebbe mai stato piacevole. Scattai in piedi e, lentamente, chiusi la porta del dormitorio alle mie spalle, poi ci poggiai contro la schiena e presi un profondo respiro. «Avevo 14 anni e...beh, mio padre, lui...» cominciai, scivolando in terra fino a sedermi sul pavimento. «I miei genitori non sono mai state due persone adatte a fare i genitori.» riconobbi, fissandomi le mani, prima di riprendere il racconto. «Mio padre è un alcolizzato e i suoi amici come lui.» dissi, serrando la mascella. «Loro restavano spesso fino a tardi, nel fine settimana, ed io generalmente cercavo di evitarli, uscivo con i miei amici, tornavo a casa a notte fonda..» continuai, cercando di ignorare il groppone in gola che cominciava a rendermi difficoltoso parlare. «Anche quel sabato sera tornai tardi, molto più del solito. Era quasi mattina, forse le quattro..» La mandibola era indolenzita, ma non smisi di parlare. «Quando rientrai, lui...era come se mi stesse aspettando...» dissi, ignorando gli occhi umidi. «Non so nemmeno il suo nome. Ma ricordo...tutto, di lui.» Con mio profondo ribrezzo. «Era la prima volta...non avevo mai...» aggiunsi, torturandomi le pellicine intorno alle unghie. Insomma, potevo non pensarci e avevo fatto passi enormi, negli anni. Ero persino riuscita ad andare avanti, anche se prima avevo dovuto toccare un fondo ancora peggiore. Ma quando ad Halloween avevo rivisto quell'uomo, era stato come tornare a quella sera, sentire le sue mani ruvide addosso, la sua voce, il suo alito vicino al mio orecchio. Era stato soffocante e, al contrario della volta precedente, non avevo esitato. Avevo reagito. «E' lui che ho visto.» dissi a denti stretti, alzando finalmente lo sguardo sulla ragazza. «M-mi dispiace Grace, io...» sussurrai, con la voce tremante. «N-non avrei mai alzato la bacchetta s-se avessi saputo che eri tu...lo giuro..» dissi infine, portandomi le mani sul volto e scivolando in un pianto silenzioso.. -
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.Purtroppo le lacrime erano scese prima che potessi fermarle. Complice lo stress accumulato in quell'ultimo periodo, il fatto che per la prima volta dopo tanto tempo non mi sentissi sola e che finalmente mi fossi tolta un grosso peso dallo stomaco, non riuscii a trattenerle e mi lasciai avvolgere dall'abbraccio sincero di Grace. In un'altra vita non avrei mai lasciato che qualcuno che conoscevo da così poco tempo, venisse a conoscenza di un dettaglio così personale della mia storia, ma con la Johnson sentivo di poter essere me stessa, nel bene e nel male. «Grazie.» le sussurrai sincera, sciogliendo l'abbraccio. «Non sei stata tu, davvero, non sentirti in colpa.» aggiunsi, mentre col dorso della mano mi asciugavo le guance ancora umide. «Era da tempo che non ci pensavo più, sono passati tanti anni. E' solo che...vedermelo davanti è stato...» cercai di spiegarle, interrompendomi per scuotere appena il capo, come incapace di trovare le parole giuste per descrivere la sensazione di turbamento che avevo provato. Ero rimasta letteralmente pietrificata quando la sua voce mi aveva raggiunta ed ero stata assalita da una rabbia cieca. «Non avrei creduto di poter arrivare a tanto, ma la cosa che più mi preoccupa riguarda l'aver perso il controllo della mia mente, della mia magia.» dissi, portando una mano tra i miei capelli, prima di poggiare la testa indietro, contro il legno della porta. «Avrei potuto ucciderti sul serio.» confessai ad alta voce, cercando lo sguardo della Johnson. «Non posso perdervi.» mi lasciai sfuggire, indurendo improvvisamente la mascella. Avevo visto andar via fin troppe persone negli ultimi anni, inghiottiti dalla vita e dalle circostanze e ognuno di loro mi aveva lasciato un vuoto dentro, vuoto che - per impedire mi schiacciasse - avevo tentato di riempire con altro, ma con risultati piuttosto scadenti. Non c'era notte in cui non pensassi a Lilith, che non mi chiedessi dove fosse e se stesse bene. Avevo persino provato a mandarle dei gufo, qualche volta, ma le lettere erano tornate indietro. Lei e il bambino erano come sparite nel nulla, ed io ero finita per raccontarmi che - alla fine - forse il padre si era fatto avanti, decidendo di prendersi finalmente le proprie responsabilità e, a quel punto, sparire dalla mia vita era stata l'unica soluzione possibile per garantire il miglior futuro possibile alla sua famiglia. Una nuova famiglia che - questa volta - non comprendeva me.
E' possibile riempire una voragine così grande? Forse no, ma continuare a provarci mi sembrava la miglior opzione possibile.
Improvvisamente sentii il bisogno di una sigaretta, ma mi morsi il labbro, cercando di allontanare quei pensieri e tornai a Grace. «Non penso ci tornerò più, no.» dissi, umettando le labbra. Avevo già lavorato come barista in qualche locale della capitale e sapevo non sarebbe stato difficile trovare un lavoretto estivo e un appoggio. Me la sarei cavata come sempre, ma cercai di rassicurare la grifondoro con una piccola gomitata, prima di tirarmi su e porgerle una mano affinché facesse lo stesso. «Senti, posso chiederti di non dire nulla alle altre? Tanto meno a Carrie... sai, io e lei...» le dissi, quando l'altra fu difronte a me. «Non so bene cosa ci sia tra noi, ma vorrei che non lo venisse a sapere da altri.» la pregai, piegando le labbra in un sorriso. «Non chiedere, non ne so più di te per il momento. Se dovesse succedere qualcosa tra noi sarai la prima a saperlo.» finsi di borbottare, felice che qualcuno si dimostrasse interessato alla mia vita sentimentale (che non era mai stata più incasinata). «Vado a fare due tiri al campo, non si sa mai che Halley non decida di farmi entrare sul serio.» informai Grace, tirandomi su i capelli in una coda e portandomi dietro giusto l'occorrente per la doccia post-allenamento. «Se ti va, sai dove trovarmi!» dissi infine, alzando le dita in una specie di saluto abbozzato.
Uscita dalla camera, non riuscii a trattenere un sorriso. Malgrado tutti gli ultimi avvenimenti mi sentivo leggera come non succedeva da tempo. Andrà tutto bene. pensai, marciando sulle scale, pronta a raggiungere il campo di Quidditch..