Che cazzo. Che cazzo. Quelle imprecazioni dirette alla sua persona, da parte di esseri che reputava inutili, le avevano acceso quella miccia che, da troppo tempo, era rimasta sopita, soffocata da quella maschera fatta di perbenismo che era costretta ad indossare per non rischiare di far saltare la sua, così detta, copertura. Difficile, giorno dopo giorno, cercare di apparire quello che, per natura, non si è portati ad essere, Eppure ci era riuscita discretamente, grazie a quel bel faccino, sorridente e per niente riconducibile al suo lato oscuro, nascosto in quelle viscere che non perdevano occasione di contorcersi davanti a un qualsiasi essere disumano, come quei dementi che ancora si dimenavano per inneggiare a quei loro insulsi modi di pensare. Doveva uscire da quella situazione. Che ne sarebbe stato della sua reputazione? No, non se lo sarebbe mai perdonata. Lei, così ambiziosa e proiettata a quel futuro che avrebbe voluto a sua immagine e somiglianza. Poteva fare una fine da topo? Intrappolata tra quelle fiamme che neanche riuscivano a bruciarla, per Merlino.
Idioti. Mettersi contro qualcuno estremamente più dotato di loro, che pessima mossa. Ma, in fondo, che ne volevano sapere delle menti semplici come le loro, capaci esclusivamente di unirsi ad una causa portata avanti a inetti, senza spina dorsale. Una rabbia cieca la pervase.
Figlia mia… cosa ti è successo?” Ma faceva sul serio? Tutta quelle parole gettate al vento non riusciva più a tollerarle. Il suo sguardo si fece cupo, assetato del suo sangue. Per la prima volta, da che ne avesse memoria, voleva la morte di qualcuno così disperatamente da neanche sentirsi più umana. Che le era successo? Bella domanda ma di certo non avrebbe perso tempo a spiegare, a quel mentecatto, chi fosse in realtà. A che sarebbe servito? Quello stolto, forse, avrebbe compreso meno della metà delle sue spiegazioni.
“FOTTITI!” Sul suo volto si aprì un sorriso grottesco, quasi innaturale. Quel che stava avendo luogo in quella piazza non era altro che uno scempio, scene di vita da cancellare completamente dai libri di storia. Un abominio. La folla, a gran voce, richiedeva la sua morte e lei, in tutta risposta, si ammutolì già soddisfatta di tutte quelle minacce che, con estrema schiettezza, aveva riversato su quegli esseri ignobili che, punti sul vivo, presero a tirarle sassi. Abbassò lo sguardo su chi, fortunato, risiedeva in prima fila, così da poter osservare meglio la
strega al rogo. Così piccoli, così maledettamente ingenui. Nei loro gesti risiedeva quella profonda convinzione di avere la verità in tasca.
“Ma che…” Una pietra. Due. Tre. Piovvero sulla sua persona, provocandole graffi e ferite anche di importante entità. Il sangue le ribollì nelle vene, come se al suo posto, nelle vene, scorresse del vero e ardente fuoco. Sentiva la pelle bruciare ma, fortunatamente, non per via del rogo. Il trucchetto posto in essere aveva funzionato e, ancora, sembrava che la sua morte fosse del tutto lontana. La sua mente elaborava più e più informazioni contemporaneamente mentre, il suo corpo, si muoveva mosso dalla volontà di liberarsi da quella prigionia insensata. Tutto inutile e frustrante. Tirò la testa indietro, alzando gli occhi azzurrini verso quel cielo che, fino a quel momento, non aveva mai sondato con tanta attenzione. Il suo destino era stato compiuto. La fine che si meritava era proprio quella? Che aveva fatto di male, in fin dei conti? Essere sé stessi, però, non sempre risultava facile e quando ci si provava, questi erano i risultati. Quanta ipocrisia.
”Signori… Signori” La sua testa scattò in direzione di quella voce familiare. Sì, ne era certa.
”Suvvia calmiamoci.” Ben detto. Porre fine a quel trambusto, forse, sarebbe stata cosa buona e giusta anche se, d’altra parte, non vi era nulla da chiarire con quei poveri imbecilli.
“Signor Blackwood!” Farfugliò speranzosa ma, allo stesso tempo, timorosa che fosse rimasto lì in mezzo così a lungo da aver assistito per intero al suo ridicolo spettacolino che, però, aveva mostrato ciò che avrebbe voluto tenere nascosto se non per sempre, almeno fino a momento debito. Lo osservò mentre, con estrema calma, si approcciava a quel branco di bestie inferocite, senza un briciolo di sgomento nel suo tono di voce solenne.
“Dove…” L’uomo scomparve in un lampo per apparire, subito dopo, ai piedi della pira, alla quale Ruby era stata legata contro la sua volontà. Il botta e risposta tra il professore e gli organizzatori di quello scempio le impedirono di proferire parola, reprimendo il suo istinto di sfogare per l’ennesima volta la sua ira che, con il passare dei minuti, aveva raggiunto livelli davvero impensabili per un dolce faccino come il suo. Trattenne il respiro. Cosa sarebbe successo ora che, ingenuamente, era stata portata a vuotare clamorosamente il sacco, davanti a Blackwood. Tremante e a disagio, Ruby, cercò una qualsiasi scusa da propinare in caso di interrogatorio ma, inaspettatamente, una semplice parola pose fine alle sue insicurezze
”Ardemonio!” Dalla bacchetta si sprigionarono lingue di fuoco impossibili da domare che, con una ferocia disarmante, si abbatterono su quello spazio occupato da quelle anime semplici che, in un batter d’occhio, furono spazzate via. Una dolce fine per i suoi gusti deviati da una mentalità malata e, per alcuni versi, anche rivoluzionaria. Si sentì libera. Riacquistò quel movimento che, fino a qualche istante prima, credeva di non poter provare mai più.
”… mi dia la mano!” Senza farselo ripetere due volte, la Duvall, tese la mano e si arpionò all’uomo, quasi come fosse la sua unica ancora di salvezza. Buttò l’occhio su quello spettacolo e fu lieta di poter osservare quel risultato.
“Non avrei chiesto di meglio!” Sibilò in un soffio appena percettibile mentre le fiamme ardevano ancora, specchiandosi nell’azzurro delle sue iridi. Eccitante al punto tale da permetterle di godere di quella che molti avrebbero reputato una tragedia.
“Che cosa non va in me?” Domandò, più che al suo compagno di viaggio, a sé stessa. Era certa che qualche cosa in lei non funzionasse come di dovere ma, tirando le somme, chi poteva definire con certezza cosa fosse la
normalità? Nessuno o, per lo meno, non quell’ammasso di umani.
“La ringrazio.” Raccolse il suo invito con piacere ed, insieme, lasciarono quel campo di battaglia che l’aveva vista scoppiare di rancore verso una razza che, sin dal suo primo vagito, aveva sempre reputato inferiore.
Riapparvero dove? Non lo poteva sapere. Quel luogo a lei sconosciuto aveva, però qualche cosa di estremamente affascinante. Forse per via della sua passione per quel riguardava la storia, chissà. Dopo una breve panoramica poté constatare, finalmente, di essere al sicuro da quegli esaltati ma chi l’avrebbe protetta da sé stessa. Si voltò e trovò proprio davanti a lei l’artefice di quella smaterializzazioni riuscita perfettamente e la sua mano si trova, ancora, ben ancora in quella dell’uomo.
“Mi scusi.” Per Merlino. La ritrasse velocemente, fingendo una disinvoltura che non possedeva realmente. Alle loro spalle vi era una costruzione fatiscente, una di quelle circondate da un ampio spazio formato da campi e nulla più. Un rifugio. Questo era ai suoi occhi.
“Le devo la vita!” O forse di più? Non poteva saperlo.
“Sono così confusa e incazzata.” E poi, dove cazzo erano finiti? Aveva visto la morte in faccia eppure, per qualche assurdo motivo, non riusciva a pentirsi di quel che aveva proferito in quella schifosa piazza.
“Volevano uccidermi. QUEGLI STRONZI VOLEVANO UCCIDERMI! Perché?” Il panico si insinuò nella sua psiche, rompendo quell’equilibrio che credeva di poter mantenere fino all’ultimo istante. E invece no, tutto a puttane, come al solito. Forse sarebbe stato il caso di tenere a freno la lingua ma, vista la situazione, non avrebbe avuto alcun senso tornare sui suoi passi, oramai segnati da quell’alone di oscurità che la circondava.