Posts written by blue velvet.

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    Ero pronta. Pronta a lasciarmi andare con la ragazza che per anni avevo evitato, dalla quale mi ero sapientemente nascosta per proteggermi dai sentimenti che provavo per lei e soprattutto per proteggerla dalla mia natura distruttiva. Avevo permesso a me stessa di sabotare il nostro rapporto, complice anche le continue pressioni di suo padre. Non lo avevo fatto con l'intento di ferirla, anzi, l'avevo fatto proprio per evitare di ferirla. Mi conoscevo e avevo paura di trascinarla nei miei drammi, nei miei problemi. Mi annoiavo e stancavo in fretta di tutte le cose, persone, situazioni che entravano a contatto con la sottoscritta e non volevo farlo anche con lei. Probabilmente non sarebbe successo perché sapevo che lei era diversa ma avevo preferito metterla al riparo da un lato che lei ancora non aveva conosciuto. Quella sera, l'alcol e l'erba che avevo fumato, avevano messo a tacere ogni mia singola particella rendendomi piú disponibile ad accogliere i sentimenti che provavo per la norvegese.
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    Sentimenti che avevo sapientemente soppresso e nascosto fino al giorno in cui l'avevo rivista nel locale in cui lavoravo. Quel giorno aveva segnato l'inizio del mio cambiamento e aveva fatto riaffiorare sentimenti che credevo fossero svaniti da quando Erika ed io avevamo smesso di vederci. Le mie labbra sfiorarono il suo collo, il lobo del suo orecchio perdendosi nuovamente tra le sue labbra. La mia mente era assopita dall'alcol e dai nostri baci, non riuscivo a pensare a nient'altro se non a quello che sarebbe avvenuto tra poco. Fremevo e l'attesa mi stava uccidendo cosí, quando la norvegese si allontanó, rimasi interdetta per qualche secondo. Erika? La chiamai tra un sospiro e l'altro mentre cercavo di ricompormi. Perché aveva interrotto questo momento? Aveva cambiato idea? Si era resa conto di quanto fossimo incompatibili? Domande che cercai di sopprimere immediatamente mentre la cercavo con lo sguardo. Che...che...succede? Mi sistemai il vestito e raccolsi i miei capelli in una crocchia morbida, cercando di mascherare il mio aspetto in modo tale che non lanciasse segnali di quello che io e la giovane Haarde stavamo per fare. Stavo per aprire bocca, presa dal panico e dall'incertezza che scorsi nei movimenti della bionda. Che stava facendo? Abbassai immediatamente lo sguardo quando la sentii parlare, timorosa di sapere quello che voleva dirmi. Non sei solo questo per me. Ed io non voglio solo questo da te. E io? Cosa volevo da lei? Mi feci pensierosa, cercando di riordinare i miei pensieri e le mie emozioni che sembravano essere leggermente in contrasto. Lei mi piaceva e la desideravo, volevo lasciarmi andare completamente con la norvegese sapendo di non pentirmi della scelta il giorno dopo e che dall'indomani le cose sarebbero state diverse. La norvegese non sembrava dello stesso avviso. In...che senso non é con me che ti risveglieresti domani? Ero decisamente confusa. Pensava che sarei sparita nuovamente? Non potevo biasimarla, sapevo che non mi ero comportata nel migliore dei modi ed ero consapevole del fatto che avevo fatto insorgere in lei tutti quei dubbi e insicurezze. In passato lo avrei fatto, avrei preso da lei quello che mi interessava e poi sarei sparita. Ma quella volta, ero sicura sarebbe stato diverso. Alzai la testa quando nominó Asthon, il ragazzo per il quale non provavo piú nulla ma dal quale non riuscivo a separarmi. Il mio era un comportamento un pó controverso ma lasciarlo, significava ammettere di avere un problema con le relazioni interpersonali. Sapevo di averle portato numerose sofferenze, presentandomi in casa sua con lui e mostrandomi felicemente innamorata. Ero stata davvero meschina, comportandomi in questo modo con lei. Erika hai fegato da vendere, mi hai aspettata per tutto questo tempo? Sorrisi mentre i sensi di colpa bussavano alla mia porta, intimandomi di crollare. Lei mi aveva aspettata, pur sapendo che probabilmente non mi avrebbe mai avuta Dio solo sa cosa doveva aver passato mentre io mi costruivo la mia presunta felice storia d'amore con Ashton. Ma questa volta, se hai finalmente deciso di scegliere me...allora lascia lui, e...frequentiamoci. Eh? Voleva frequentarsi con me? Davvero? Non potevo crederci che ci stava capitando questo, che stavamo davvero per dare un nuovo inizio al nostro rapporto. Dopo che pronunció le ultime parole, dicendomi che voleva un appuntamento e tutte quelle cose lí, tentennai un pó. Ci eravamo perse di vista, i nostri genitori non ci avevano permesso di vivere a pieno il nostro rapporto e forse quella era davvero l'occasione giusta per rimediare al tempo in cui eravamo state lontane. Alzai lo sguardo e finalmente la guardai con un sorriso stampato in volto. Non pensavo che sapessi farci con le dediche. Ti sei esercitata moltp durante questi anni? Scherzai, probabilmente rovinando l'atmosfera che si era creata nel momento in cui la norvegese esprimeva le sue intenzioni. La veritá era che non sapevo che dire, per la prima volta in vita mia ero rimasta senza parole. Di solito avevo sempre la risposta pronta per qualsiasi evenienza ma quella volta non riuscivo a capire cosa dovevo dire. Sei consapevole di essere riuscita a mettermi a tacere? Ironizzai ancora mentre nella mia mente passavo in rassegna tutti i pro e i contro di quella proposta. Potrei dirti tante cose ma non penso che sarei altrettanto brava come te nell'utilizzare le parole giuste per dirti cosa penso. Iniziai quel discorso sperando di essere all'altezza della situazione. Abbiamo aspettato tanto e credo che darci altro tempo, sia un problema. Ammisi mentre mi avvicinavo a lei. Voglio darci una possibilitá, andare al nostro primo appuntamento e recuperare tutto quello che abbiamo perso durante questi anni. Le sorrisi mentre in sottofondo inizió a partire il conto alla rovescia per salutare il vecchio anno e dare il benvenuto a quello nuovo. 3...2...1 Si sentí un boato provenire dalla sala accanto, voltai la testa verso la porta prima di accingermi a baciare la norvegese. Le presi il volto tra le mani e avvicinai il mio volto al suo, sfiorando le sue labbra in un bacio dolce e lento come a voler suggellare quel nuovo inizio. Buon anno Erika.
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    Dietro il bancone avevo un'ampia vista su tutto quello che stava accadendo dentro il locale, riuscendo ad intuire che le persone si stavano divertendo. I drink, poi, aiutavano le povere anime indifese a dare una svolta a quella serata. I cocktail erano stati corretti dalle sapienti mani del proprietario del locale che aveva un certo repulso per la festa dedicata all'amore e lo aveva fatto con l'intento di mettere un pó di pepe nella vita amorosa di queste suddette coppie. Osservavo la stanza incuriosita da quello che avrebbero combinato i ragazzi una volta ingerite le varie bevande, pronta a godermi le varie scene con un sorriso stampato sul viso. C'era chi stava ballando, chi non riusciva a mettere a freno la propria lingua dando voce ai suoi pensieri piú reconditi, chi dedicava canzono d'amore, insomma la serata stava prendendo vita. Alcuni dei vari ospiti li conoscevo perché erano stati i miei compagni di scuola e mi era capitato piú volte di incrociarli tra i corridoi, altri invece mi sembravano nuovi, freschi di assunzione. Con un sorriso malinconico sul volto, riportai alla mente i miei anni di gloria e subito mi vennero in mente Helena, Ashton, Derek e Travis.
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    Eravamo un gruppo molto affiatato che non perdeva mai l'occasione per festeggiare o di creare un pó di scompiglio lá dove le cose erano troppo monotone. I professori ero sicura non sentissero per niente la nostra mancanza, specie dopo l'ultima lezione di pozioni in cui di proposito avevamo riempito l'aula di bolle. La classe era letteralmente fuori controllo, cosí come il professore che ci fece pulire i recinti delle creature magiche fino alla fine della scuola. Ad Hogwarts mi ero divertita come non mai e avrei pagato qualsiasi prezzo, pur di ritornarci anche solo per qualche istante. Persa tra i miei pensieri, non mi resi conto della presensa di un ragazzo che sostava davanti al bancone. Non era un ragazzo qualsiasi, bensí era Harry. L'erba cattiva non muore mai. E giá. Harry era venuto almeno un paio di volte ad importunarmi durante i miei turni al locale. Mi domandavo quando saresti arrivato. Lo provocai leggermente mentre toglievo dal bancone alcuni bicchieri ormai privi del loro contenuto. In arrivo qualcosa di forte, sicuro di riuscire a reggerlo? Guarda che questa volta non saró io ad aiutarti, perció non ci proverei se fossi in te. L'ultima volta era toccato a me soccorrerlo, giungendo poi alla conclusione che era solo un modo per potermi toccare. Questa volta non mi avrebbe fregato perché avevo capito che genere di ragazzo fosse. Callie. Risposi brevemente mentre mi accingevo a recuperare un bicchiere pulito per iniziare a preparare la bevanda da lui richiesta. Normale, per il momento non sta accadendo nulla che io non abbia giá visto. Lavoravo in questo locale da un pó e non era la prima volta che vedevo comportamemti strani in seguito all'aver buttato giú uno dei nostri drink, diciamo che quella era la prassi. Nel frattempo versai nel bicchiere un liquido bianco che si tinse di rosa non appena lo girai con alcune bacche di ribes che avevo precedentemente schiacciato in una ciotolina nera. Preferirei di gran lunga essere tra gli ospiti ma purtroppo devo pure sopravvivere in qualche modo. Sorrisi brevemente mentre aggiungevo al bicchiere due o tre cubetti di ghiaccio, la quantitá giusta che serviva per rinfrescare la bevanda. Odiavo quando nei bicchieri era piú presente il ghiaccio dell'alcol, cosí ai miei clienti cercavo di fare esattamente l'opposto: piú alcol e meno ghiaccio. Mi sembra una richiesta implicita, vorresti essere per caso tu quel qualcuno? Con un ghigno sul volto lo guardai prima di poggiare entrambe le mani sul bancone, sporgendomi leggermente in avanti. Provocare e giocare con i clienti faceva parte del mio lavoro, dovevo mostrarmi disponibile e affabile per contratto ma chiaramente non mi sarei mai spinta oltre. Il mio pensiero andó ad Erika, la quale mi stava aspettando per una chiacchierata notturna. Mi aveva chiesto di iniziare a frequentarci e di lasciare Ashton, una richiesta che mi aveva messa in difficoltá ma che avevo accettato pur di non vedere la norvegese scivolare nuovamente via da me. Sai che é maleducazione ridere delle disgrazie altrui? Effettivamente era divertente quello che era successo al ragazzo su quell'aggeggio infernale sul quale non avrei mai posato il mio sedere regale. Tieni. Allungai il bicchiere sul tavolo e nell'istante successivo mi sbrigai per levare di mezzo tutto quello che avevo utilizzato per preparare il suo drink al sapore di rum bianco al ribes. Intorno al bicchiere c'erano dei cristalli di zucchero con tutti i colori dell'arcobaleno che conferivano dolcezza alla bevanda. Passarono alcuni minuti, il tempo che serviva per creare altro movimento attorno al bancone delle bevande. Harry aveva levato le tende ma ero sicura sarebbe tornato presto, nel frattempo il suo posto venne occupato da un ragazzo biondo dai tratti somatici differenti rispetto a quelli dei ragazzi di Hogwarts. La conferma giunse quando pronunció le parole mon dieu. Sfortunatamente no. Risposi con un sorriso divertito sicura che dopo quella sera avrei proposto al proprietario della barracca di lasciare quell'aggeggio all'interno del locale. Avevo una vaga idea di quale tra i miei clienti con la mano lunga, avrei spedito lí sopra. Potrei sapere prima il nome di chi vuole salvarmi da questa serata cosí noiosa? Domandai con un sorriso. Cosa posso offrirti? Ero lí per quello, perció la domanda era piú che legittima. Non sei di qui o sbaglio? Nel frattempo che sceglieva la bevanda, cercai di capire qualcosa in piú sul suo conto.


    Interagito con Harry e poi con Theodore.
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    Indovinate chi era stata obbligata a lavorare ad una stupida festa in onore di San Valentino? Io. E no, non centrava un cazzo il fatto che io lavorassi lì e che quindi ci sarei dovuta andare per forza. Quella sera era il mio giorno libero ma un mio collega, nonché amico, che mi aveva coperto durante il periodo in cui non mi presentavo a lavoro aveva deciso di restituirmi il favore. Sperai che quel momento non arrivasse mai e invece…eccomi lì davanti ad una cabina telefonica che alcuni maghi utilizzavano come passaporta per arrivare ad Hogsmeade. Sapevo che lo aveva fatto di proposito perché lui odiava le feste che il nostro locale organizzava, specialmente dopo il modo in cui le ultime erano finite e così aveva pensato bene di passare la patata bollente alla sottoscritta. In quel periodo non ero proprio nello stato ideale per lavorare a stretto contatto con la clientela. Dopo l’incontro di capodanno con Erika mi ero ripromessa di non cadere più nel tranello delle regole ma evidentemente il mio cervello continuava a dirmi che era ciò di cui avevo bisogno. Nonostante mi sentissi in colpa dopo averne fatto uso, non riuscivo a smetterla.
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    Credevo che quello era ciò che mi meritavo perchè ero arrivata ad un punto in cui non sapevo più chi ero, dove dovessi andare o cosa avrei dovuto fare della mia vita. Continuavo a combinare disastri, a far soffrire le persone che mi circondavano e che mi volevano bene, ero diventata una delusione per tutti e non riuscivo ad accettarlo. Volevo salvarmi da sola, pensando realmente di farcela ma la realtà dei fatti era un’altra: avevo bisogno di una mano. Ma voi pensate davvero che Calliope Rider avrebbe chiesto aiuto? Chiaramente no. Non ero una che tendenzialmente si faceva aiutare dagli altri, preferivo sbrigarmela da sola e arrivare alla soluzione con la mia testa senza aiuti esterni. E avrei fatto così anche in quella situazione anche se, apparentemente, non avevo la situazione sotto controllo. Preso un respiro profondo prima di entrare nel locale sperando con tutta me stessa che gli altri colleghi avessero già iniziato a lavorare perché io non ne avevo le forze. E non osavo immaginare come sarei arrivata a fine serata. Mi recai nel retro del locale per cambiarmi prima di mettermi all’opera. Queste dov’è le mettiamo? Domandai a Sam mentre uscivo dal deposito del locale. Mi indicò dove gli avrei dovuti appoggiare, poi mi dedicai all’allestimento della stanza. Il piano inferiore della stanza presentava un'ampia pista da ballo dalla forma rotonda con al centro di essa un bancone da bar, anch'esso tondo, dove le persone potranno gustare cioccolatini, bibite, cocktail e altre cose preparate dal nostro chef. Ai quattro lati della sala posizionammo quattro diverse tipologie d'attrazioni che io mai e poi mai avrei testato. Guardai soddisfatta il lavoro di quel pomeriggio e ne rimasi soddisfatta ma sempre fermamente convinta di non voler provare nessuno dei drink o cioccolatini o altre cianfrusaglie varie presenti in quel locale. All’arrivo dei primi clienti andai a prendere il mio posto dietro al bancone, consapevole del fatto che quello sarebbe stato il luogo di punta della maggior parte delle persone che si recavano a quella festa. Era quello che facevo sempre io ogni volta che entravo in un locale, com’era il detto? Prima il piacere e poi il dovere, giusto? Ecco a te. Sorrisi al ragazzo prima di pulire e riordinare il bancone che con il passare dei minuti iniziava a diventare pieno di bicchieri vuoti. Certo, provvedo subito. Alcolico o analcolico? Chiesi alla ragazza in compagnia di un ragazzo, probabilmente la sua dolce metà. Versai alla ragazza una bevanda dalla colorazione rossa (molto tenue) e dall’aroma asprigno che deriva dalla rosa canina con cui è preparato questa bevanda. Ragazzi, ecco a voi. Dissi dopo aver preparato il drink anche per il ragazzo. Diedi una rapida occhiata alla sala, notando in che maniera rapida si stava riempiendo sperando in cuor mio di non dover riparare ai danni che inevitabilmente sarebbero successi.

    Hellooo! Callie è alla festa in quanto barman. È a vostra completa disposizione per qualsiasi cosa: scelta delle bevande, per una chiacchierata, per consolare i cuori infranti, per qualche consiglio (che non seguirei alla lettera perché diciamo che non è proprio la persona adatta per dispensare pillole di saggezza), insomma per qualsiasi cosa di cui abbiate bisogno lei è qui.
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    Il battito del mio cuore era talmente accellerato che lo potevo sentire fin dentro la mia testa. Questa sera non avrei mai creduto che mi sarei spinta fino a questo punto, mi ero ripromessa di non causare ulteriore dolore alla Haarde e di soffocare i miei sentimenti per lei prima di combinarne un'altra delle mie. Purtroppo cosí non é stato. Il vederla cosí concentrata al lavoro, la sua continua gentilezza nei miei confronti e probabilmente l'alcol ingerito fino a quel momento mi avevano fatto credere che quella sera era il momento giusto per dimostrarle quali erano le mie reali intenzioni. Lei probabilmente meriterebbe qualcuna di migliore piuttosto che ritrovarsi con un mucchio di cocci rotti tra le mani che sicuramente la farebbero sanguinare ma ero troppo egoista per lasciarla andare nelle braccia di qualcun'altra. Volevo averla e dovevo averla, fosse anche l'ultima cosa che avrei fatto. La fissavo negli occhi e poi spostavo il mio sguardo su tutta la sua figura, volevo fissarla per bene nella mia mente come se quella era la prima volta che la guardavo. Anche se, effettivamente, quella era davvero la prima volta che la guardavo in quel modo.
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    Prima di quella sera non l'avevo mai vista in quel modo, mi ero sempre limitata ad osservarla da una distanza di sicurezza per paura di quello che avrei potuto pensare o di quello chei avrebbe causato. Se pensavo a quanto tempo avevo perso in quegli anni per paura di potermi innamorare di lei, mi veniva da darmi tanti di quegli schiaffi in faccia che voi non avete idea. Che cosa pensavi che stessi facendo? Le domandai con tono ironico volto a provocarla. Era quello che sapevo fare meglio: provocarla. Lo avevo sempre fatto, anche durante gli anni in cui vivevamo insieme sotto lo stesso tetto. Non ho bevuto troppo. Diventai seria prima di lasciarmi sfuggire dalle labbra una risata. Probabilmente avevo esagerato davvero con l'alcol quella sera ma ero ancora sotto il numero di bicchieri che mi serviva per mettermi completamente al tappeto. Ero perfettamente sobria e riuscivo a ragionare ancora lucidamente. Mi avvicinai a lei, ancora di qualche passo, ed eravamo cosí vicine che riuscivo a sentire il suo respiro caldo. So bene quello che sto facendo. Sussurrai mantenendo il contatto con i suoi occhi. Vuoi davvero tornare di lá? Le sfiorai il braccio con una mano, percorrendolo lentamente prima di decidermi ad agire. Avevo il presentimento che la norvegese mi avrebbe piantata lí e io non potevo permetterglielo. Cosí la spinsi contro la porta, chiudendola a chiave in modo tale che nessuno potesse venire a disturbarci. Dimmelo tu cosa sto facendo. Le sfiorai le labbra sicura che prima o poi avrebbe ceduto. E cosí fu. Vidi la norvegese muoversi in avanti, costringendomi ad indietreggiare contro il minuscolo lavandino retrostante. Sussultai per quel movimento improvviso prima che un ghigno comparve sul mio viso. La sentii afferrare i bordi del lavello cosí da ritrovarmi bloccata tra quello ed il corpo di Erika. La osservai e le sorrisi mentre lasciai la mia mano libera di infilarsi tra i suoi capelli. Sí, la Haarde mi piaceva. La serata continuó nell'esatto modo in cui avevo sperato dal momento in cui avevo visto Erika entrare nel bagno: sentii i suoi denti mordermi il labbro inferiore tirandolo a sé prima di annullare definitivamente le distanze. Mi bació prima dolcemente e poi con foga, percepí in quel bacio la voglia fremente di Erika di baciarmi come si bacia qualcuno che si aspetta da sempre. Portai l'altra mano al lato del suo collo lasciandola scivolare dolcemente verso il basso mentre sentivo il suo corpo spingermi ancora di piú contro il lavello. Ad un tratto, peró, la Haarde si bloccó. Alzai lo sguardo verso di lei e la guardai confusa non capendo il motivo di quella interruzione. Poi, alzó la bustina che avevo portato con me e che avevo dimenticato sul lavandino. Cazzo, cazzo, cazzo. Pensai mentre cercavo di rimanere con un'espressione impassibile. Se avessi detto ad Erika che quella bustina apparteneva a me, probabilmente mi lascerebbe davvero qui. La presi tra le mani e la osservai come se fosse la prima volta che ne guardavo una. Qualcuno l'avrá dimenticata. Scrollai le spalle disinteressata lasciando cadere la bustina per terra e sperando che Erika mi credesse. Poi feci scivolare una mano sotto la sua maglietta e nel mentre le sfiorai l'orecchio con le labbra. Erika ti voglio. Le sussurrai prima di baciarle il collo lentamente, con l'intento di proseguire con quello che stavamo facendo prima che la norvegese si distraesse. Continuai a sfiorarle il collo per poi tornare a baciarla con passione come mai avevo fatto prima. Volevo che sentisse le sensazioni che provavo ogni qualvolta lei era nei paraggi, volevo che sentisse quali erano i miei veri sentimenti per lei e volevo che capisse che mi dispiaceva davvero tanto averla respinta per tutto questo tempo. Ero arrivata alla conclusione che non sarei piú scappata né da lei e né dai miei sentimenti. Ero stanca di scappare ma allo stesso tempo avevo bisogmo di una certezza alla quale aggrapparmi e quella certrzza era lei,Erika.
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    Le risate dei miei amici e le loro stupide chiacchiere su chissá quale strano argomento, facevano di sottofondo ai miei pensieri che in quel momento erano rivolti alla ragazza impegnata a servire i tavoli. Guardavo Erika di nascosto, cercando di non farmi notare né dai miei amici e né tantomeno dalla diretta interessata. Ero in quel locale perché nell'ultimo periodo i miei sentimenti per lei mi stavano tormentando e io avevo bisogno di risposte. Sí, non avevo ancora capito la natura dei miei sentimenti o forse facevo finta di non capire. Avevo paura di complicare le cose che erano giá in una posizione critica e non avevo alcuna intenzione di aggiungere altra carne al fuoco. Non quella sera almeno: entrambe ci meritavamo un pó di serenitá, lei specialmente e non volevo rovinarle l'ultima sera dell'anno. Ci avevo pensato su diverse volte durante le mie ultime notti passate in bianco e mi ero resa conto di essere stata la causa di tutte le sue sofferenze: avevo rovinato il rapporto con suo padre, l'avevo fatta spedire a Durmstrang quando saremmo dovute andare insieme ad Hogwarts e se ci eravamo allontanate era solo ed esclusivamente colpa mia. Erika non meritava una come me, perció per quella sera avevo deciso di non causarle altro dolore.
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    Però volevo ugualmente guadagnarmi la sua attenzione, palesando la mia presenza a quella festa e la mia occasione per salutarla si presentó quando la giovane Haarde, tornó dietro il suo bancone. A quel punto, avvisai i miei amici che mi sarei allontanata un attimo per prendere da bere. Mi avvicinai al bancone con disinvoltura e con altrettanta disinvoltura la salutai. Fui felice di vedere che fosse serena, questo mi fece sentire piú rilassata. L'ultimo incontro ero sicura avesse lasciato ad entrambe un pó di amaro in bocca, perció ero un pó nervosa all'idea di dover interagire con lei. Non oso immaginare cosa stia succedendo al Wonderland. Qui com'é la situazione? Le domandai cercando di mantenere la conversazione su dei toni tranquilli, come se fossimo amiche di vecchia data che spettegolavano sulle ultime vicende. Sono in compagnia di alcuni miei vecchi colleghi. Le spiegai indicando verso il tavolo dove c'erano altre due ragazze e un ragazzo. Dovresti conoscerli, sono dei personaggi. Mi lasciai sfuggire quel commento privo di malizia, lasciando sottintendere quanto fossi legata a quei ragazzi. Travis era stato il primo ad accogliermi quando mi ero trasferita nel quartiere di Camden Town: lo avevo conosciuto sul pianerottolo del mio appartamento che cercava disperatamente di recuperare le chiavi di casa mentre teneva in mano una cosa come tre buste giganti della spesa. Fu lui ad invitarmi a cercare lavoro presso il pub di Soho, così diventammo colleghi e nel pub poi ho conosciuto: Sophie e Abby. Sto meglio, grazie e...Erika? Richiamai la sua attenzione, volevo che mi guardasse negli occhi mentre le porgevo le mie scuse. Volevo scusarmi per come mi sono comportata quella sera e ci tenevo a ringraziarti per esserti presa cura di me. Abbozzai un sorriso, ero davvero patetica. Ero arrivata giusto un tantino in ritardo alla conclusione che forse le dovevo delle scuse sincere ma meglio tardi che mai. No? Mi dispiace per essere sparita ma non mi sentivo nella posizione giusta per poterti ricontattare. Era cosí. Avevo visto come se ne era andata in camera da letto senza degnarmi di uno sguardo, aveva sentito il tono che aveva utilizzato nei miei confronti e avevo pensato che la cosa migliore da fare fosse sparire. Certo, ti seguo. Accettai allegramente quella proposta per poi seguirla fuori dal locale. Presi il mio pacchetto di sigarette e glielo porsi. Offro io. Aspettai che prendesse una sigaretta e poi ne presi una anch'io portandomela alla labbra. L'accesi e feci il primo tiro, portando poi indietro la testa nel momento in cui buttai il fumo in eccesso. Le rivolsi un'occhiata fugace, prima di ritornare a fissare il vuoto con un sorriso che non riuscivo a togliermi dal volto. L'averla lí, proprio accanto a me, mi infondeva sempre una certa sicurezza e tutto ció mi rendeva felice. Una felicità che sentivo di non aver mai provato. A che ora stacchi? Le domandai. Pensi che il tuo capo ti lascerá venire a brindare con noi? Le domandai come se mi importasse realmente di ció che diceva il suo capo, la volevo con me nel momento in cui sarebbe scoccata la mezzanotte. Che il tuo capo lo voglia o no, tu vieni a festeggiare con noi. E che diamine, era pur sempre una serata di festa! Erika sapeva benissimo che se volevo una cosa me la sarei presa a tutti i costi, perció avrebbe fatto meglio ad assecondarmi. Erika se a mezzanotte meno cinque non ti vedo al mio tavolo, ti vengo a prendere. Sí, la stavo minacciando ma sempre con il mio solito ghigno provocatorio stampato in faccia.

    Un'ora piú tardi La serata stava procedendo piú che bene, io ero brilla e me la ridevo per una battuta che Travis aveva appena detto. Mi sentivo spensierata e allegra come non mai, nell'ultimo periodo avevo dimenticato quanto fosse bella la sensazione di spensieratezza, quanto era bello non aver nessun problema al quale pensare. Mi sentivo diversa e probabilmente era tutto merito dell'alcol che aveva addormentato il mio cervello, rendendo anche quest'ultimo piú disteso e rilassato. Ad un tratto, al nostro tavolo si avvicinó un ragazzo che aveva tutta l'aria di volerci dare qualcosa di divertente. Aveva uno sguardo strano, spento e forse sapevo da cosa era dovuto e infatti sgranai gli occhi quando mi porse un sacchetto con una polverina bianca. Erano circa dieci giorni che non facevo piú uso di quella roba e mi ero ripromessa di non ricascarci di nuovo ma alla vista di quel pacchetto, mi vennero in mente tutti gli scenari in cui avevo fatto uso di quella sostanza e di come mi ero sentita felice dopo averla consumata. Guardai il ragazzo e tentennai un pó prima di accettare quell'offerta, infilandomela subito in tasca e aspettando il momento giusto per sgattaiolare in bagno lontano dagli occhi dei miei amici ignari del fatto che facessi uso di quella roba. Aspettai qualche istante e poi inventai la scusa che avevo bisogno di usare il bagno perché avevo bevuto troppo e non riuscivo piú a trattenermi. Raggiunsi la porta del bagno, guardandomi intorno per assicurarmi che nessuno stesse avendo la mia stessa idea. Dopo essermi assicurata di essere sola, mi chiusi la porta alle spalle e estrassi dalla tasca dei miei pantaloni la bustina con dentro la polverina bianca. L'appoggiai momentaneamente sul bordo del lavandino, dedicandomi alla ricerca dell'occorrente che mi serviva per poterla sniffare. Dovevo avere i vari strumenti nella borsa che mi ero portata dietro e infatti, dopo svariati minuti passati a mettere a socquadro l'interno della mia borsa, poggiai tutto l'occorrente vicino alla bustina. Fissai ció che sostava sul lavandino e le mie mani presero a tremare, lo stavo facendo di nuovo? E se fosse l'alcol che stava guidando le mie scelte? Io non ero una debole, io non potevo cascare nuovamente in quel tranello, io ero piú forte di quella stupida cocaina. Ma l’impulso di farne uso era più forte di me così allungai una mano, prendendo la bustina tra le dita consapevole di ció che avrei fatto di li a poco. Improvvisamente una vampata di calore si espanse sul mio volto perché ero consapevole che quello che stavo per fare era qualcosa di sbagliato, anche se sentivo il bisogno di farlo. Quando sentii bussare alla porta, mollai la presa. La porta si aprí e riveló il volto della norvegese: sembrava preoccupata. Rimasi in silenzio ad osservarla, rendendomi conto di quanto in realtá mi piaceva. L'avevo sempre rinnegata, allontanata e non perché non mi interessasse ma solo perché avevo paura. Erika. Sussurrai il suo nome, lentamente mentre cercai di ricompormi. Come ogni volta che mi capitava di essere in sua presenza, mi sentivo destabilizzata e quella poca luciditá che mi era rimasta decise di abbandonarmi per lasciare spazio alla Calliope priva di freni inibitori. Feci un passo in sua direzione, guardandola negli occhi: nella mia mente era appena balzato un pensiero che avevo da un pó di tempo e volevo giocarmelo, per vedere dove ci avrebbe portate. Mi cercavi? Le chiesi come se la risposta non era abbastanza evidente. Eccomi, mi hai trovata. Sorrisi mentre feci un altro passo, stavo temporeggiando perché non avevo la piú pallida idea di come iniziare quel discorso. Cos'hai pensato la prima volta che ci siamo rincontrate? Mi interessava davvero saperlo? Si o forse no, non lo sapevo. Erika mi rendeva terribilmente confusa e metteva in discussione le poche certezze che avevo. Sai cosa ho pensato io? Finalmente la raggiunsi, ora potevamo guardarci negli occhi ad una distanza piú ragionevole. Ho pensato che se ci eravamo incontrate, doveva pur significare qualcosa. Non sei d'accordo con me? Lo avevo sempre pensato ed era una convinzione che nessuno mi avrebbe tolto dalla testa. Rivederti a distanza di tutto questo tempo, mi ha destabilizzata cosí come mi destabilizzava la tua presenza quando eravamo piccole. Glielo stavo dicendo sul serio? Mi sono sempre domandata perché tu mi facessi questo effetto e finalmente sono arrivata ad una conclusione. Vi prego, fermatemi. Se sono confusa quando tu sei nei paraggi, se continuo a combinare cazzate su cazzate, se sono cosí sfuggente é perché mi piaci. Ecco, l'avevo detto. Ma non mi fermai di certo lí: poggiai una mano sopra la sua testa, avvicinando il mio corpo al suo e spingendola contro la porta. Poi con l'altra mano andai a chiudere la serratura della porta, per poi portare la mano sul suo fianco. Ti ricordi il nostro primo bacio? Mi morsi le labbra prima di avvicinare il mio volto al suo, abbassando lo sguardo proprio sulla sua bocca. Io non l'ho mai dimenticato. Le sfiorai lentamente le labbra come a voler suggellare quel ricordo, volevo che lo riportasse alla mente e volevo che provasse le stesse sensazioni che aveva reso quel bacio indimenticabile.


    Edited by blue velvet. - 28/1/2023, 11:30
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    31 dicembre, mattina presto. L'ultimo dell'anno era arrivato in rigoroso silenzio, senza che io me ne accorgessi. Com'era possibile che il trentuno dicembre era giá lí? Io non ero pronta a salutare l'anno appena vissuto e soprattutto non avevo intenzione di entrare nell'anno nuovo. Avevo paura di ció che avrei dovuto affrontare con l'arrivo del nuovo anno, visto che il 2022 era stato ricco di imprevisti, problemi e cambi di programma. A Gennaio ero ancora ad Hogwarts, seguivo le lezioni e studiavo un modo per arrivare agli esami senza impegnarmi troppo, senza fare troppa fatica. Poi, a giugno, era iniziato un nuovo capitolo della mia vita: lasciavo la scuola per catapultarmi nel mondo degli adulti, un mondo che non avevo ancora compreso a pieno. Decisa a non tornare mai piú da mia madre e il signor Haarde, per tutta l'estate ho vissuto a casa dei nonni di Ashton. La convivenza non era andata cosí male, solo che ad un certo punto lui aveva iniziato a parlare di cercare casa insieme, di futuro e io me ne sono andata in palla. I miei sentimenti per lui, giá deboli all'inizio del nuovo anno, continuarono a tremare come se da un momento all'altro avrebbero minacciato di crollare del tutto. A quel punto, mi sono mossa alla ricerca di un appartamento che fosse tutto mio e in cui potessi avere un po' di privacy. Ashton era un ragazzo meraviglioso, dolce, attento, innamoratissimo di me e pronto a raggiungere la luna qual'ora glielo avessi chiesto, io invece non ero piú tanto sicura di quello che ero e di ció che desideravo.
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    La notte prima della sua partenza, mi ha promesso che al suo arrivo avremmo pensato soltanto a noi. Mi ha spaventata. Io non lo amavo piú ma facevo fatica a lasciarlo andare perché non volevo ammettere a me stessa che avessi un problema con le relazioni. E quante volte era giá successo che mi stancassi di qualcuno: l'avevo fatto con la mia prima migliore amica e anche con il mio primo ragazzo, scaricato dopo averci fatto l'amore nel lago nero. Non posso dire di non essermi divertita ma a che serviva, se lo avevo fatto giocando con i sentimenti degli altri? Ero confusa, un sentimento che non avrei mai pensato di provare o almeno non in quel periodo. Un sentimento che é stato poi alimentato dall'arrivo di Erika, la figlia di Haarde nonché mia sorellastra. Eravamo cresciute insieme mosse entrambe dal desiderio di trovare la nostra libertá, lontane dalle mura del castello in cui abitavamo insieme ai nostri genitori. Se Erika aveva mostrato piú volte di provare sentimenti ben piú profondi, io non mi ero scomodata piú di tanto forse per paura o forse per vigliaccheria. Credevo che i miei sentimenti per lei fossero ormai andati ma rivederla a Settembre, mi ha scombussolata. Avevo pensato che siccome non amavo piú Ashton, i miei sentimenti per lei erano solo una sottospecie di rimpiazzo ed é stato per questo che ho fatto ció che ho fatto. La mia mente ripensa ancora alla sera in cui stavo per lasciarmi andare tra le braccia di uno sconosciuto, fortunatamente sono rinsavita prima e sono riuscita a non commettere una cazzata che mi sarebbe costata cara. Da quel momento in poi, peró, le cose per me non sono andate bene. Una sera, per gioco e per provare qualsiasi sentimento, ho acquistato della neve da un ragazzo che sosta in un parchetto non molto distante da dove vivo io. Mi ero promessa che lo avrei fatto solo una volta e che non ci sarei cascata come quei tossico dipendenti perché io non ero una persona debole. Potete immaginare che cosí non é stato: l'ho rifatto la settimana dopo e quella dopo ancora. Mi sentivo in colpa per ció che mi stavo auto infliggendo ma mi aiutava a stare bene, ad essere felice. Nel giro della dipendenza non ero ancora entrata ma il limite da superare era davvero poco ed io pian piano lo stavo superando. Cosa mi stava capitando? Nell'ultimo mese avevo saltato il lavoro per due settimane intere, troppo occupata a gestire i miei post sbornia. Non ricordavo un giorno in cui non mi ero svegliata senza il mal di testa incessante che mi portava a vomitare tanto era il fastidio. La mattina dell'ultimo dell'anno, peró, sembrava diversa: ero apatica come ogni giorno ma non sentivo né il bisogno di farmi né volevo bere fino allo sfinimento. Un briciolo di speranza mi stava convincendo che forse potevo cambiare le carte in tavola. Qualche possibilitá ce l'avevo anche io. O almeno cosí credevo.
    31 dicembre, ore 21:30 Quella mattina era passata velocemente, avevo fatto la spesa e comprato l'essenziale per prepararmi una cena degna di qualsiasi festa di capodanno ignara del fatto che sarei stata invitata ad una festa. Ero un po' restia ad andarci, visto che era il luogo in cui lavorava Erika, ma dopo un po' di pressioni e suppliche avevo accettato. Perché mai avrei dovuto dire di no ad una festa? Cosí verso le nove uscí di casa, dirigendomi verso il locale in cui avrei trovato i miei colleghi. Fortunatamente non era una di quelle feste super chic, alla moda, in cui spopolavano i figli di papá cosí non mi sarei sentita in colpa per il mio stile trasandato. Avevo legato i capelli in uno chignon confuso e lasciato libero qualche ciuffo ribelle, poi avevo preso una camicia di pizzo nera, trasparente sul davanti e avevo indossato i miei skinny preferiti, con i miei inseparabili anfibi. Il trucco, invece, era sempre quello: ombretto marcato che faceva da schermo ai miei occhi. Chiusa nel mio giubbotto, mi affrettai a raggiungere l'interno del locale giá gremito di gente che ad occhio e croce aveva iniziato a bere piú di un'ora fa. Cercai i miei colleghi e trovandoli seduti ad un tavolo, li raggiunsi. Visto? Te l'ho detto che non vi avrei dato buca. E non era scontato. In quell'ultimo mese avevo troncato tutte le relazioni che avevo intrapreso, ignorando le loro chiamate, inventando scuse per non uscire. Ma quella sera, ero felice di essere in loro compagnia. Quello che mi aveva spinto ad uscire, in realtá, era la possibilitá di incontrare Erika che non avevo ancora visto. Non mi ero comportata proprio bene: l'avevo chiamata per salvarmi, avevo abusato della sua gentilezza, avevo dormito sul suo divano e la mattina dopo me l'ero svignata senza scriverle neanche un bigliettino di ringraziamento. Ero stata davvero terribile ma quell'esperienza non era stata invana poiché mi era servita per mettere in chiaro delle cose che dovevo capire. I minuti passavano e l'atmosfera si faceva sempre piú allegra, leggera e spensierate: le risate dei vari clienti riempivano il locale e la musica suonava ininterrottamente. Torno subito. Dissi non appena intravidi la norvegese. Hei! La salutai sedendomi sullo sgabello, proprio davanti al bancone dove sostava intenta a pulire i bicchieri. Brutta storia lavorare proprio la sera di capodanno, eh? Cercai il suo sguardo, impavida come lo ero sempre stata. Quella sera mi sentivo diversa, forse merito dei due bicchieri di birra che avevo bevuto poco fa.
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    Smisi di piangermi addosso e di infierire nell'istante in cui mi fu supplicato di farlo. Lo feci solo per rispetto di Erika, non per altro. Io ero fatta così: combinavo puttanate e poi avevo la faccia tosta di piangermi addosso e di lamentarmi come se questo bastasse per cambiare la natura delle cose ma purtroppo non era così che la vita funzionava. Avevo già fatto soffrire abbastanza la norvegese nel corso degli anni e non si meritava un ulteriore carico come il peso di ciò che stavo affrontando in quel periodo. Avrei voluto parlargliene ma forse era il caso che imparassi ad affrontare le cose da sola senza mettere in mezzo gli altri. Lo avevo già fatto con Ashton in passato, trascinandolo nei miei drammi familiari e usandolo come antidoto alla tristezza che la mia situazione familiare mi causava. Avevo fatto innamorare Ashton di me, lo avevo in qualche modo legato a me solo perché non ero capace di far fronte a tutto ciò che i miei mi stavano causando da sola.
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    Lo avevo fatto con lui e lo avevo fatto con Erika quella sera. Avrei dovuto affrontare da sola quel ragazzo e sbrogliare da per conto mio quel groviglio che avevo creato da sola con le mie stesse mani ma invece avevo preferito lasciare il lavoro sporco alla Haarde. Che bella persona di merda che ero. Forse era meglio chiudere tutti i rapporti che avevo e ritirarmi a vita privata, avrei di sicuro fatto la scelta migliore. Per me. Per gli altri. Nessuno avrebbe più sofferto a causa mia, mai più. Ok, ho afferrato. Le risposi secca, non perché fossi arrabbiata con lei ma semplicemente perché era meglio per entrambe chiudere quel capitolo. No, non sono d'accordo. Erika ed io non sognavamo cose diverse, altrimenti la base della nostra relazione era destinata a crollare in qualche modo. Ci siamo avvicinate perché entrambe sognavamo di essere libere, sognavamo una vita senza vincoli. Ricordi? Desideravamo essere padrone delle nostre scelte, della nostra vita, di amare come volevamo e soprattutto chi volevamo senza dover sottostare alle regole dei nostri genitori. Era così, no? Oppure era un'altra delle convinzioni che mi ero creata per vivere in pace con me stessa e senza rimorsi? Sospirai decidendo di mettere da parte anche quell'argomento, l'aria era già abbastanza tesa così. Aggiungere altra legna al fuoco, significava soltanto dare il via ad una lite che non avrebbe avuto nessun vincitore ma solo feriti. Sorseggiai ampiamente dalla mia tazza ancora fumante, puntando il mio sguardo in un posto indefinito della stanza. Continuavo a pensare che non meritavo l'amore della norvegese e nemmeno quello di Ashton, che non ero altro che una bugiarda, un'approfittatrice, una stupida illusione della mia mente. Quando riuscivo a guardarmi da un'altra prospettiva non mi riconoscevo, non ero quella che dicevo di essere, io ero soltanto il frutto delle menzogne che avevo raccontato agli altri. Come ero riuscita a diventare tutto ciò che avevo sempre detestato negli altri? Tirai un profondo respiro prima di dedicarmi alla decorazione dell'albero di Natale. Mi alzai in piedi e con passo incerto mi avvicinai alla norvegese che era intenta a sistemare l'albero nel punto che le avevo indicato. Qui è perfetto. Osservai l'albero che era poco più alto di me. Continuo ad essere più bassa degli alberi di Natale, a quanto pare sono destinata. Mi lamentai scherzosamente, ricordando di quando i primi anni di convivenza dei miei decoravamo insieme l'albero e né io né la norvegese riuscivamo ad arrivare ai rami più alti. Tu, invece, sei cresciuta. La presi in giro sperando di rallegrare l'atmosfera ancora cupa che albeggiava proprio sulle nostre teste. Mi piegai per recuperare le varie decorazioni dalla scatola, Erika non aveva badato a spese: c'erano palline di tutti i tipi e colori, festoni, statuine e altre varie cianfrusaglie come bastoncini di zucchero o fiocchi di neve. Lo preferisci bianco e oro l'albero? Oppure rosso e argento? Le domandai per poi prendere le palline dei colori scelti dalla giovane Haarde. Nel mettere una pallina, le sfiorai una mano proprio mentre la ragazza si stava occupando di mettere le lucine. Le sorrisi timidamente fermandomi ad osservarla per qualche breve istante prima di abbassare lo sguardo quando mi chiese degli specchi gemelli. Certo, l'ho sempre avuto con me fin da quando me lo hai regalato. Nel trasloco credevo di averlo perso e invece era ancora nella mia borsa. Non mi ero mai separata da quel regalo che Erika mi aveva fatto un bel po' di natali fa e quando credevo di averlo perso, mi ero sentita come se mi avessero tolto la mia unica possibilità di trovare la ragione per cui ho sempre cercato di migliorare. Non potevo separarmene, era l'unica cosa che mi restava di te. Di noi. Pronunciai quelle parole, alzando di poco la testa per cercare un contatto visivo con la norvegese. In quegli ultimi anni mi era anche balzata in mente l'idea di utilizzare nuovamente lo specchio per ritrovare Erika ma avevo paura di ciò che avrei potuto vedere, perciò avevo accantonato subito l'idea. Ashton è fuori città al momento. Ammisi. Ma questo non è il motivo per il quale non l'ho chiamato e nemmeno per qualsiasi altra ragione tu stia pensando io non l'abbia chiamato. Immaginavo a cosa stesse pensando la norvegese in quel preciso istante, ovvero che non lo avevo chiamato perché sarebbe stato come ammettere il mio presunto tradimento. Sei stata tu la prima alla quale io ho pensato, Erika. Sospirai, tornando ad occuparmi delle decorazioni. L'unica dalla quale volevo essere salvata. Ero sincera. Non avrei pensato a nessun altro se non a lei, non avrei voluto nessun altro accanto a me in quel momento. Lei era la sola alla quale volessi aggrapparmi e sempre sarebbe stato così.
  8. .
    La tensione era palpabile e avevo il presentimento che Erika stesse per scoppiare e non so se avrei retto un nuovo confronto con lei. Una reazione da parte sua era ciò che mi meritavo ma ciò che non ebbi. Non mi posi domande al riguardo perché in quel momento la mia testa aveva bisogno di riposare e ulteriori dubbi, mi avrebbero appesantita solamente. In quel momento la mia testa era concentrata sugli eventi di quella sera che scena dopo scena, si ripetevano nella mia mente come se fossero intrappolate in un loop temporale. Come un film muto riuscivo a vedere la mia figura che entrava nel locale e che andava spedita verso il bancone, ancora sentivo dentro di me quello che avevo provato in quel momento: solitudine. Mi sentivo così sola che mi ero vestita in fretta e furia solo per raggiungere il primo pub nelle vicinanze e circondarmi di sconosciuti. Non so perché avevo pensato che quello avrebbe potuto farmi sentire meglio, eppure mi ci ero rifugiata come se quella fosse la mia sola ancora di salvezza.
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    Non avevo pensato ad altro nemmeno quando Mark mi si era avvicinato, ero bloccata nell'idea che avevo bisogno di qualcuno al mio fianco per sentirmi completa. Non nego quando dico che avevo pensato ad Erika e che avevo bocciato subito l'idea non appena mi ero ricordata nel modo in cui ci eravamo lasciate. Forse la risposta a tutto il casino che avevo creato risiedeva proprio lì, nel mio bisogno di trovare qualcuno che non conoscesse chi ero e con cui avrei potuto uccidere la mia solitudine per una sera soltanto. Alzai di poco la testa, il tanto che bastava per osservare la tazza fumante che Erika mi stava porgendo. Grazie. Riuscì a dire. Era come se avessi perso il dono della parola, come se avessi paura di aprire bocca perché difronte avevo una persona che avrebbe potuto distruggere tutte le mie sicurezze in un attimo. E non ne avevo bisogno anche perché, dopo gli ultimi avvenimenti, di certezze me ne erano rimaste poche. Te lo ricordi ancora? Tirai su con il naso prima di prendere un sorso della cioccolata calda che mi aveva preparato. La cioccolata calda era una delle mie bevande preferite, l'unica capace di curare tutte le mie ferite e l'unica che mi faceva tornare bambina per qualche breve istante. Quella bambina che sognava di essere libera, quella bambina che trovava il coraggio per ribellarsi a tutte le cose che le andavano strette, quella bambina che mai si sarebbe arresa, quella bambina che non c'era più. Avevo smesso di essere libera nel momento in cui mi ero rinchiusa nelle bugie che continuavo a dirmi per evitare di mollare tutto, avevo smesso di ribellarmi nel momento in cui mi ero ritrovata persa in un destino che non avevo scelto io, mi ero arresa ancor prima di iniziare la mia vera battaglia ma soprattutto ero diventata l'adulto che non volevo diventare. Come avrei fatto a riprendermi da tutto ciò? Avevo deluso me stessa e non c'erano rimedi per questo tipo di sofferenza. Non mi restava altro da fare che vagare senza fine, separata dalla me bambina da cui mi ero allontanata per cercare di affrontare il dolore che mi portavo dietro da fin troppo tempo. Con me era rimasta solo la paura di non riuscire a trovare nulla che guarisse la mia anima, sapevo che non potevo continuare a vivere così ma al momento non avevo nessun tipo di soluzione. Senza tenere in conto che non potevo nemmeno tornare indietro sui miei passi perché non c'era rimedio a quello che avevo fatto. Non so come fai Erika, dopo tutto ciò che ti ho fatto a rimediare ancora alle mie puttanate. L'ammiravo ma ero anche dispiaciuta di ciò che le continuavo a causare. Sono stata una stupida, credevo di avere tutto sotto controllo ma la verità è che non avevo idea di ciò che stavo facendo. Ammisi continuando ad autocommiserarmi. Il mio cervello si è acceso solo nel momento in cui ho capito che stavo commettendo una grossa cazzata. Non ci sarei mai andata a letto con quel coglione né in uno stato di confusione totale né con un cervello lucido e funzionante. L'avresti mai detto che sarei finita così? Singhiozzai mentre ridussi le mie labbra ad una riga dritta che spezzava il mio volto a metà. Non c'è particella del mio corpo che riesca ad odiarti. Alzai la testa per guardarla mentre le lacrime tornarono a rigare le mie guance, come potevo meritarmi una persona come lei. Dovresti, continuo a ferirti. Mi sembra di aver fatto soltanto questo da quando ci conosciamo. Singhiozzai, voltando subito la testa perché non volevo che mi vedesse ridotta così. Non voglio crearti altri problemi, dormirò sul divano. Era il minimo che potessi fare ma forse la miglior cosa che potevo fare, era andarmene. Era l'opzione migliore fino a quando la norvegese mi fece una proposta davvero strana ma che non potetti rifiutare. Ci sto. Dissi cercando di mostrarmi un po' più entusiasta e meno miserabile. Avevi idea di dove posizionare l'albero? Secondo me starebbe bene vicino al caminetto magari non troppo vicino, non vorrei che ti partisse un incendio mentre sei via. Sorrisi debolmente mentre continuai a sorseggiare dalla mia tazza ancora fumante.
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    Quella doveva essere per forza la mia fine, il giorno in cui Calliope Rider avrebbe messo fine a tutte le sue disgrazie. Il ragazzo presto avrebbe sfondato la porta e avrebbe fatto di me qualsiasi cosa, visto che ero in uno stato tale da essere impossibilitata a difendermi. Ancora una volta avevo fatto l'errore di addentrarmi in cose più grandi di me che non avrei mai potuto affrontare da sola, specialmente non nelle condizioni in cui ero. Avevo agito come una stupida lasciandomi trasportare da tutte le emozioni che mi avevano sopraffatto in quel periodo, pensando anche di poter risolvere tutti i miei problemi dando il mio corpo ad un totale e completo sconosciuto. Come potevo vivere i miei giorni tranquilli dopo tutto questo? E poi, se vogliamo aggiungere altra carne al fuoco, stavo per tradire Ashton. Dio, quello non era esattamente il modo in cui avrei voluto lasciarlo. Cosa avrebbe pensato di me? Che ero un'ingrata approfittatrice della bontà delle persone, ecco cosa avrebbe potuto pensare. Oppure che ero un'egoista e che non mi importava nient'altro se non di me stessa. Oppure che ero semplicemente una stronza, una codarda, una nullità che piuttosto che affrontare la situazione preferiva farsi annientare da tutto il resto.
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    Avevo sempre fatto così quando le situazioni diventavano più grandi di me, sceglievo di farmi del male con tutto quello che avevo a disposizione e quella sera avevo trovato un valido aiutante ma che si era rivelato un gran bastardo. Ma forse era quello ciò che mi meritavo, di stare con i miei simili ed essere trattata allo stesso modo in cui trattavo gli altri. In fondo non era così diverso da ciò che sapevo fare meglio, ossia, entrare ed uscire dalla vita delle persone a mio piacimento sbattendomene dei loro sentimenti. Il silenzio assordante di quell'appartamento, interrotto dai miei singhiozzi e dalle pacche che il ragazzo stava tirando contro la porta, mi stavano mandando fuori di testa. Non ce la facevo più, volevo solo sparire e dimenticare tutto ciò che avevo combinato quella sera. Erika tardava ad arrivare e le mie speranze stavano vacillando quando sentì provenire un rumore al di là della porta. Doveva essere lei. Cercai di rimettermi in piedi e di avvicinarmi alla porta. Erika...sono qui. Biascicai con voce flebile prima di aprire la porta e vedere la figura della norvegese che mi fissava. Trascinai il mio corpo fino a quello di Erika e mi aggrappai a lei, lasciando andare la mia testa contro il suo collo in un disperato tentativo di nascondere quello che era il volto della vergogna. Lei, peró, sembrava essere intenzionata a prendersela con Mark. Erika andiamo, ti prego. Con la voce ancora rotta dal pianto, la intimai di portarmi via da lì. Fu un attimo prima di ritrovarmi in quello che doveva essere il suo appartamento, il che non sapevo se fosse un bene o meno. Mi accompagnò sul suo divano e lasciai cadere a peso morto il mio corpo sui comodi cuscini, per poi intrecciare le mie braccia intorno al mio petto quasi a volermi proteggere dal prossimo attacco che qualcuno poteva infliggermi in qualsiasi momento. Quello che non riuscivo ancora a realizzare era che era da me stessa che dovevo proteggermi, gli altri erano solo una conseguenza di ciò che facevo io. La mia testa rimase china verso il basso, non volevo guardarla o meglio non mi azzardavo a guardarla perché avevo il terrore di ciò che avrebbe potuto dire o fare. Grazie. Mi limitai a dirle anche se non sarebbe bastato per ringraziarla davvero per ciò che avevo fatto. Erika era stata coraggiosa e anche matura, per aver messo da parte quello che era successo tra di noi per venirmi a salvare. So che non era esattamente il finale di serata che ti aspettavi ma tranquilla, non ti ruberò altro tempo. Anzi m-me ne vado subito. Mi alzai in piedi per poi cadere di nuovo sul divano su cui ero seduta poco fa, ero troppo debole per poter camminare e anche per potermi smaterializzare. 'Fanculo. Imprecai mentre le lacrime tornarono a sgorgare dai miei occhi, rigandomi le guance e cadendo sui miei pantaloni. L'avresti mai detto che sarei finita così? Singhiozzai mentre ridussi le mie labbra ad una riga dritta che spezzava il mio volto a metà. Eh Erika? L'avresti mai detto? Alzai leggermente il tono della voce portando le mani a stringere il tessuto dei pantaloni. Stavo implodendo, volevo uscire dal mio corpo e trasformarmi in qualcuno di più normale. Mi odiavo e mi odiavo così tanto che, a quel punto, non mi interessava nemmeno più quello che Erika avrebbe detto di me. Mi merito tutto quello che in questo momento pensi di me, mi merito il tuo odio, il tuo essere così arrabbiata con me, la delusione che provi nei miei confronti. Quindi avanti, fa pure, finiscimi perché mi merito soltanto questo. Nascosi il mio viso tra i cuscini che erano stati disposti su quel divano e attesi che la giovane Haarde mi parlasse e mi dicesse per filo e per segno tutto ciò che di sbagliato c'era in me, volevo che mi ferisse perché avevo bisogno di provare qualcosa in quel momento. Erano mesi che non provavo alcun tipo di emozione e continuavo a vivere la mia vita senza alcun tipo di emozione particolare, ero diventata apatica verso gli altri, verso me stessa, verso qualsiasi cosa mi si parava davanti. Non meritavo nemmeno il tuo aiuto, avresti dovuto lasciarmi lì con quel...tizio. Sarebbe stata la fine giusta per una come me. Singhiozzi strozzati si espansero in quell'appartamento che fino ad allora avevano ascoltato soltanto la mia voce rotta dal pianto.


    Edited by blue velvet. - 6/12/2022, 08:53
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    Dopo l'incontro con Erika ero tornata alla mia solita vita fatta di pacchetti di sigarette vuoti e tanti rimorsi. Rimorsi che pensavo di aver seppellito anni fa ma che si erano ripresentati con l'arrivo della Haarde e che stavano impedendo ai miei giorni di proseguire tranquilli. La nostra discussione, poi, non aveva fatto altro che rendermi più confusa di quanto già non lo fossi in quel periodo. Non c'erano giorni o notti in cui le ultime parole di Erika mi lasciassero in pace, continuavano a ripetersi e ad accavallarsi nella mia mente come se volessero in qualche modo punirmi. E quando decidevano di colpirmi, lo facevano nel modo più brutale possibile. Si insinuavano nella mia mente e si scagliavano contro di me scegliendo proprio le parole che più mi avevano ferito, rimbombavano come un eco: Ma tu dove cazzo hai vissuto in questi anni, eh, Calliope? Probabilmente non lo sapevo nemmeno io dove avessi vissuto fino a quel momento lì, probabilmente ero andata avanti aggrappandomi a teorie e convinzioni che mi ero creata io stessa per autoimpormi che stesse andando tutto per il verso giusto. «Mi aspettavo che non ti arrendessi così in fretta.» E se lo pensava colei che mi conosceva meglio di chiunque altro -persino di mia madre-, doveva essere così. Mi ero arresa parecchi anni fa ma come al mio solito, avevo continuato a far finta di niente fino a quando la realtà non mi era stata sbattuta in faccia con così tanta brutalità che era impossibile non mi risvegliassi. Avevo sempre recitato la parte della ragazza forte, indipendente, il filo d'erba che non si sarebbe mai piegato nemmeno se si fosse ritrovato in una tempesta e invece avevo finito per assecondare i miei genitori e avevo abbandonato l'idea che avrei fatto di tutto per Erika, avrei lottato fino a quando non ci saremmo ritrovate nuovamente insieme.
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    «Forse mi sono sognata che ricambiassi almeno la metà di quello che provo io per te.» Il nostro rapporto era diverso da tutti gli altri e i sentimenti che provavo per lei andavano oltre il semplice voler bene ad un'amica. C'era dell'altro ma il timore di scoprire una nuova parte di me, mi aveva portato ad ovattare, a coprire ciò che realmente sentivo per Erika. Avrei dovuto lottare e invece mi sono andata a rifugiare in una strada più sicura e meno complicata, passando per la codarda di turno e ferendo l'unica persona che non avrei mai voluto far soffrire. Mai. La storia si era ripetuta anche per Erika e come in ogni relazione di cui sono stata la protagonista, ero finita per ferire l'altra persona. Dovevo avere qualcosa di sbagliato, qualcosa di rotto, non c'era altra spiegazione. Posso offrirti da bere? Una voce maschile alle mie spalle, catturò la mia attenzione allontanandomi dal grosso macigno che mi portavo dietro da anni ormai. Perché no. Risposi sicura ma senza mostrarmi troppo affabile e quello che era iniziato come un tentativo di approccio, si trasformò in una piacevole conversazione. Il ragazzo, Mark, aveva una personalità davvero intrigante e più passava il tempo più volevo continuare a saperne di più sul suo conto. Aveva il classico volto del bravo ragazzo e senza che me ne rendessi conto, era riuscito a farmi abbassare la guardia e a diventare una preda sempre più facile. Devi sapere che non sono la classica ragazza che accetta drink dagli sconosciuti o che lascia che la trascinino sulla pista da ballo. Certo come no. E perché lo hai fatto con me? Mi domandò con un mezzo ghigno che lasciava intendere ben altro. Perché sei carino. Non sapevo esattamente cosa stessi facendo in quell'istante ma l'alcol che avevo ingerito fino a quel momento, aveva messo a tacere il mio buon senso e la mia lucidità. E cosa farai dopo ragazza misteriosa? Quello sarebbe stato il momento in cui il mio cervello avrebbe dovuto mettermi in allerta ma lo stato di ebbrezza in cui lo avevo ridotto, mi fece agire come una perfetta idiota. Qualcosa di divertente. Lo vidi sorridere compiaciuto perché era riuscito nel suo intento. Hai trovato la persona giusta. Ecco, ero caduta nella trappola di quello che alla fine dei conti era un perfetto sconosciuto. Lo seguii nel suo appartamento senza pensare che da lì non sarei più uscita fino a quando il ragazzo non avrebbe ottenuto da me ciò che desiderava da tutta la serata. Mi fece entrare nel suo salotto dicendomi di aspettarlo lì e quando mi raggiunse aveva con sé tutto l'occorrente per preparare un drum, una cosa che non fumavo da tempo. Ci accomodammo, scegliendo il pavimento come posto a sedere e poggiando le spalle al divano. Lo osservai mentre preparava in maniera minuziosa la sigaretta che, qualche istante più tardi, iniziammo a passarci e a fumare. Avevo agito alla leggera, senza pensare a quello a cui stavo andando incontro e me ne sarei pentita di lì a pochi secondi. L'atmosfera era leggera, tranquilla, quasi familiare e mentre scherzavamo su qualcosa che avevamo visto nel locale lui si fece sempre più vicino. All'improvviso sentì le sue labbra sfiorarmi delicatamente il collo salendo poi verso la mandibola, a contatto con la mia pelle erano calde e soffici. Ero inebriata da quel tocco tanto da volergli dare più spazio affinché continuasse con quella piacevole tortura, allora chiusi gli occhi e lasciai ciondolare la testa di lato. Poi come una sveglia, quando sentì la sua mano scivolare sulla mia coscia, mi allontanai da lui. Mark fermati. Dissi con voce tremolante ma lui lo prese come un invito a continuare, si allungò su di me e cercò un contatto con le mie labbra. Fermati, ho detto. Dissi alzando leggermente la voce ma sempre con quel tremolio che faceva trasparire il mio timore e lui in tutta risposta mi prese una mano e mi avvicinò a lui, cercando nuovamente di baciarmi. Fermati cazzo! A quel punto scattai in piedi come una molla, pronta a scappare da quel buco. Afferrai la mia giacca e cercai di avviarmi verso l'uscita ma dopo pochi passi, Mark mi prese con forza e mi bloccò di spalle al muro. Va tutto bene. Cosa c'é? Mi domandò con la voce viscida di chi ha solo una cosa in mente. Era a pochi centimetri dal mio volto e riuscivo a sentire l'odore dell'alcol e dell'erba. Ti sei atteggiata da donna per tutta la serata e ora che passiamo a qualcosa di più divertente, ti tiri indietro? Lo guardai negli occhi mentre sentivo il mio cuore che implodeva di uscire dal mio petto per quanto stava battendo forte. Non ne ho voglia. In che guaio mi ero cacciata? Che cazzo avevo nella testa? Non ne hai voglia? Vieni qui, ti fai la mia erba e adesso non hai più voglia? Sbraitò mantenendo il contatto con i miei occhi che serrai come a volermi proteggere da un suo possibile attacco. A quel punto mi feci coraggio, serrai la mandibola e gli tirai un colpo alla mascella. Ah ecco. Sogghignò stupito e rimase immobile per qualche istante, giusto il tempo che mi serviva per guardarmi intorno e cercare riparo. Trovai la mia unica fonte di salvezza nel bagno che aveva la porta spalancata, con uno scatto mi catapultai al suo interno. Girai la chiave e presi a camminare avanti e indietro in quella stanza che mi sembrava sempre più piccola man mano che i secondi avanzavano. All’improvviso il mio respiro si fece più corto, portai le mani tra i miei capelli, reggendosi la testa per impedire al mio cervello di farmi perdere il controllo. Calliope? Bussò alla porta e il modo in cui pronunciò il mio nome mi fece accapponare la pelle. Va tutto bene, esci dai. I battiti del mio cuore continuavano ad accelerare, non riuscivo bene a respirare e avevo paura di avere un attacco di panico proprio in quel momento. Tolsi le mani dai capelli, portandole lungo ii fianchi e conficcando le unghia nella carne sottostante. Non poteva andare a finire così, non doveva finire così, dovevo farmi venire in mente una soluzione prima di perdere completamente il controllo. A quel punto mi fiondai sulla mia borsa, alla ricerca di qualcosa e tra le tante cianfrusaglie trovai un oggetto che credevo di aver perso da tempo. Era uno specchio gemello, uno dei tanti regali di Erika. Me lo regalò a Natale con l’intento di trovare una via di comunicazione alternativa alle lettere, lei ne possedeva uno uguale. Mi bloccai, dovevo chiederle aiuto? No, lei ce l'aveva a morte con me e poi non credevo che avesse ancora con sé l'altro specchio. Un tonfo alle mie spalle, mi fece trasalire. Era una pessima idea ma era la mia unica possibilità, dovevo tentare e sperare che Erika venisse a salvarmi, anche se probabilmente l'avrei delusa e allontanata ancora di più da me. Erika. Pronunciai forte il suo nome e attesi che il suo riflesso comparisse nel quadrato. I secondi sembravano infiniti e quando le mie speranze svanirono completamente, ecco che la figura della norvegese apparve all'interno del vetro. Gli occhi divennero lucidi alla sua vista, ero visibilmente agitata e spaventata e mi ci vollero degli istanti prima di riuscire a calmare il mio respiro per tentare di spiegarle dove doveva venire. Quando la sua figura scomparve, mi accasciai contro la vasca da bagno e iniziai a singhiozzare nascondendo il viso tra le mie ginocchia. Era la mia unica speranza, ti prego fai presto.


    Edited by blue velvet. - 1/12/2022, 13:53
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    Mi paralizzai all’istante. Gli occhi rimasero spalancati come se avessero visto un fantasma, le mani divennero rigide e si fermarono lungo i fianchi e i piedi man mano affondavano sempre di più nel terreno mentre il mio petto si alzava e si abbassava velocemente. Non riuscivo a proferire parola, dalla mia bocca non usciva nessun suono e tutto ciò che accadde dopo apparve ai miei occhi come un film a rallentatore. Un susseguirsi di immagini in stop motion, figure che si muovevano piano e grida che arrivavano ovattate alle mie orecchie. Sentì il signor Haarde ordinare alle sue guardie di portarmi via e in men che non si dica, venni sollevata da terra contro la mia volontà e trascinata via da Erika senza che avessi la possibilità di spiegare, di dire qualsiasi cosa per cercare di difenderla. E nella mia testa una voce continuava a ripetere: Callie cosa hai fatto? Già, cosa avevo fatto. Se non avessi raggiunto Erika e non l’avessi spinta nel lago, a quest’ora non saremmo in pericolo e probabilmente il signor Haarde non sarebbe riuscito a scoprirci così velocemente. Avevo gettato Erika in pasto al padre che era l’uomo più avido di sentimenti che conoscessi, un uomo così crudele che i mangiamorte a confronto erano dei cuccioli ammaestrati, un uomo che non aveva a cuore sua figlia ma che la vedeva soltanto come un peso di cui disfarsene. Quell’estate era finita nel peggiore dei modi e il bello era che quello non era che l’inizio di quello che ci sarebbe capitato nei giorni successivi. Forse, quella volta, avevamo davvero esagerato e lo avevamo fatto alla luce del sole consapevoli che prima o poi saremmo state scoperte.
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    La porta della mia stanza si aprì e venni scaraventata sul pavimento come si fa con un qualsiasi sacco di patate. Per essere delle guardie reali, non sapete come si tratta una principessa. Dovete r-. La mia lingua era tornata al mio posto ma a qualcuno in quella stanza, non piacque affatto. “Calliope, sta’ zitta. Potete andare.” Era mia madre. A quanto sembrava la faccenda era più grave del previsto. Che ci fai tu qui? Le domandai rimettendomi in piedi e cercando in quella stanza una coperta con cui asciugarmi. “Che avevate in mente di fare tu ed Erika giù al lago?” L’abilità di mia madre di rigirare le domande a suo piacimento, era incredibile. Ci stavamo godendo l’estate, cosa che tu e mr. uomo delle nevi non ci avete permesso di fare. Mi misi subito sulla difensiva. Mia madre era cambiata parecchio da quando si era innamorato di Thørnbjorn e io non riuscivo più a riconoscerla. Non mi piaceva. “Non parlare in questo modo di tuo padre.” Scossi la testa. Lui non è mio padre, ma’. E mai lo sarà! Le urlai contro, muovendo un passo in avanti. Non volevo essere figlia di quell’uomo lì, non mi piaceva e non mi piaceva il modo in cui trattava Erika. La trattava non come se fosse una della famiglia ma come se fosse una ragazza qualsiasi, non gli importava realmente di lei e a me questa cosa faceva incazzare. Dovevo andare da lei. “Dove stai andando?” Mi domandò. Da Erika. Dovevo salvarla. “Tu non vai da nessuna parte Calliope, devi capire quando è il momento di finirla con queste stupidaggini.” Stupidaggini? “Quello che c’è tra di voi, non può esistere. Erika è destinata ad altro, un destino a cui Thørnbjorn tiene molto e voi lo state ostacolando.” Quanto odiavo quando parlava del re Haarde in quel modo. Da quando siamo qui, ti importa solo di quello che interessa a Thørnbjorn. Mi hai mai chiesto cosa ne pensassi io del tuo matrimonio con quell’uomo spregevole? O se volessi andarmene con papà piuttosto che venire rinchiusa in questo castello del cazzo? O se mi andasse bene l’idea di diventare una principessa o queste puttanate qua? Te lo sei mai chiesta? Tutto ciò che avevo custodito gelosamente dentro di me, stava uscendo fuori proprio in quel momento. Guardati, ti importa soltanto di te stessa e di quel tuo stupido titolo nobiliare. Sibilai velenosa. La odiavo e non la riconoscevo più come mia madre. ”Adesso basta Callie, non ti permetto di mancarmi di rispetto in questo modo. Questa è la nostra vita, che ti piaccia o meno e ci sono delle regole che devi rispettare e sarà meglio per te che impari a farlo. Forse non ti rendi conto che è per colpa tua che la figlia di Thørnbjorn si trova in quelle condizioni. Se ci tieni a lei, devi fare come diciamo noi o ci saranno conseguenze molto gravi per entrambe.” La vidi avvicinarsi pericolosamente a me. Quali conseguenze? Andare a letto senza cena? Sai che tragedia, sono una strega e posso farmi apparire qualsiasi cosa io voglia. La mia testardaggine e la mia bocca non sapevano mai quando smetterla. “Dì pure addio ad Erika perchè questa è l’ultima volta che la vedrai. Devi lasciarla andare, Callie e lasciare che viva la sua vita da reale come è giusto che sia.“ No, no, no. Io non volevo lasciarla andare, io non volevo che lei vivesse la sua stupida vita da reale, io sapevo che nemmeno lei voleva questo, io non glielo avrei permesso e non avrei nemmeno permesso ai nostri genitori di trattarci in questo modo. Non ve lo permetterò mai, stanne certa. Vi siete appena fatti un nuovo nemico mamma e questo nemico non cederà fino a quando non la smetterete di comportarvi in questo modo. Quella era più che una promessa. “Non puoi combattere cose che sono più grandi di te, Calliope. Non ce la faresti mai ed è arrivato il momento che tu ti assuma le tue responsabilità, questa è la mia parola contro la tua. Ora cambiati, la cena ti verrà servita in camera.” Cosa? Tu non puoi farmi questo. Avevo perso. Sono tua madre fino a prova contraria, posso farlo eccome e lo sto facendo per il tuo bene tesoro.” La porta si chiuse ed io crollai nuovamente per terra consapevole del disastro che avevo combinato. Avevo rovinato la vita ad entrambe, per me ed Erika non c’era più nulla da fare. Dovevo lasciarla andare e non intromettermi più nei suoi affari o nella sua vita. Era giusto così. Ma mentre pensavo a queste cose, una lacrima rigò il mio viso.
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    Continuai a godermi la scena con un sorriso divertito ma anche particolarmente soddisfatto. Il mio intento di farla sorridere e di allontanare quelle spiacevoli sensazioni, era andato a buon fine. Erika se la rideva di gusto e io non potevo fare a meno di seguirla. Sì, Erika. Voglio giocare a questo gioco. Risposi con fare sicuro. Se la norvegese mi conosceva così bene come diceva, sapeva che non mi sarei di certo tirata indietro davanti alla sua provocazione. Io ero pur sempre una Rider e nelle mie vene scorreva il sangue di una famiglia formata da gente coraggiosa che nei secoli era sempre andata alla ricerca di nuove sfide per testare il proprio temperamento e per mostrare alle altre famiglie ciò di cui era capace. Avanti Erika, cosa aspetti? Oppure hai paura? L’apostrofai, quasi a volerla provocare. Sapevo che il sentimento di paura non faceva parte del DNA della Haarde, così come sapevo che presto me l’avrebbe fatta pagare per averla spinta dentro il lago. La vidi uscire dall’acqua a passo lento ma deciso, potevo immaginare a cosa stava puntando: me. Indietreggiai ma senza mai far sparire quel sorriso spavaldo che tanto mi contraddistingueva.
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    Erik-AAAH! Gridai quando sentii le sue mani fare presa sulle mie gambe per sollevarmi fino a portarmi sulle sue spalle. C’era da aspettarselo ma credevo che mi avrebbe dato almeno il tempo di pianificare la mia via di fuga. Purtroppo glielo dovevo riconoscere, quando Erika agiva era veloce e imprevedibile. Mettimi giù. Subito. Le intimai. E fece esattamente così come le avevo ordinato di fare. Mi buttó in acqua. Riemersi subito dopo, battendo leggermente i denti per la temperatura fredda dell’acqua. Scostai poi i miei lunghi capelli corvini all’indietro e puntai verso Erika i miei occhi glaciali. Molto maturo da parte tua. Una principessa non dovrebbe comportarsi in questo modo. E nel pronunciare l’ultima frase cercai di imitare sia la voce profonda del re Haarde che i suoi gesti autorevoli che assumeva quando doveva rimproverarmi. Poi scoppiai a ridere e partì all’attacco. Fredda ma a giudicare da come ci sguazzi dentro, direi che a te non dispiace. E con le mie mani cercai di alzare l’acqua per indirizzarla verso il suo volto, così poi da poter fuggire mentre lei era impegnata a stropicciarsi gli occhi per poter tornare a vedere. Invece continuo a ridere perché non riesco a fare a meno di pensare alla tua faccia quando sei riemersa dall'acqua, avresti dovuto vederti. E risi cercando di evitare i suoi schizzi. Cosa stai cercando di fare? Le domandai mentre la vidi avvicinarsi pericolosamente a me. Indietreggiai. Non ci provare nemmeno, Haarde. Dissi quando capii quali erano le sue intenzioni. Iniziai a dimenarmi con tutta la forza che avevo in corpo per non permettere alla norvegese di mettermi la testa sott’acqua. Giammai. Non sentirai mai quella parola uscire dalle mie labbra. Calliope Rider non si arrendeva così facilmente e mai lo avrei fatto. Ero testarda e piena di assi nella manica per vincere qualsiasi battaglia. Esatto. E a giudicare da come stanno le cose, sono quasi vicina alla vittoria. Più o meno. Io avevo anche un certo talento nel sparare cazzate e nel parlare a vanvera fino a portare chi avevo davanti allo sfinimento. Era così che vincevo la maggior parte delle volte. Avevo imparato dal padre di Erika ad utilizzare nel modo più corretto l’uso della parola, per portare ogni situazione a mio vantaggio. Su questo, suo padre, era il numero uno ma io imparavo in fretta e presto avrei saputo utilizzare il suo stesso potere contro di lui. Era solo questione di tempo. La pagherai cara per le tue azioni ignobili. Oppure no. Continuammo a scherzare e a ridere spensierate come se in quel momento e in quel luogo nessuno poteva raggiungerci e interrompere quello che eravamo: due ragazze che si stavano godendo gli ultimi istanti di quell’estate che era stata troppo fugace. Ma ben presto le risate si trasformarono in uno scambio di sguardi che trasportavano al loro interno emozioni troppo difficili da decifrare, i respiri diventarono più affannosi e la distanza -che era già minima- diventó ancora più impercettibile. Guardai Erika farsi più vicina, così vicina che riuscivo a sentire il suo respiro caldo sul mio volto. Mi morsi leggermente le labbra e attesi la sua prossima mossa, forse sapendo già quello a cui stavo andando incontro. Le sue mani calde si posarono sul mio viso mentre il mio cuore batteva all’impazzata. All’improvviso, mi baciò e riuscì a percepire una certa intensità emotiva in quel bacio come se volesse dirmi qualcosa. I miei occhi si chiusero, dopo che erano rimasti aperti e increduli per quel gesto così improvviso e la mia mano si posò timidamente sul suo fianco quasi timorosa di sfiorare la sua pelle. Non ero certa di quello che stavo facendo ma allontanarmi da lei, mi era davvero difficile. Persino i miei sentimenti nei suoi confronti erano incerti, confusi e ogni volta che arrivavo ad una conclusione mi dicevo che non era vero e così cercavo di depennare qualsiasi sensazione, emozione che mi suscitava anche il solo pensare al suo nome. Tutto lentamente svanì quando in lontananza, senti una voce. Una voce forte, chiara, decisa e anche arrabbiata, forse un po’ spaventata. “Erika, Calliope uscite immediatamente dall’acqua.” Era Thørnbjorn. Mi allontanai immediatamente da Erika, spaventata. Il nostro destino era davvero in pericolo.
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    Ti sbagli di grosso, so essere molto affidabile. Se voglio. Il problema era proprio quello: il volere. Avevo una certa inclinazione per i guai e di certo non sarebbe stata una stupida spilletta a farmi mettere la testa a posto. Anzi. Tutt'al più avrebbe contribuito a rendermi ancora piú irresponsabile solo che, quella volta, avevo anche un modo per raggirare i superiori. Ero sempre stata cosí, giá dalla piú tenera etá. Non era un comportamento che avevo aquisito negli ultimi tempi ma esso faceva parte del mio dna giá da diverso tempo, l'unica differenza era che negli ultimi anni si era andato sempre di piú a rafforzare rendendomi la ribelle che tutti conoscevano. Vedo che ti diverte questa cosa. Ridi, ridi, poi vedremo chi riderá. Alzai il sopracciglio cercando di mostrarmi seria, quasi come se fossi ferita dalle sue insinuazioni. Chiaramente non potevo esserlo. Ero conscia del fatto che Erika mi conoscesse meglio di chiunque altro e che quindi, per lei, ero come un libro aperto. Mi voltai verso di lei e le sorrisi. La osservai e mi resi conto di quanto fossimo diverse, non che non lo avessi mai notato prima d'ora. Io ero impetuosa e come tale, la maggior parte delle volte, agivo senza pensare e finivo sempre per cacciarmi in situazioni scomode.
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    Lei invece, con il suo temperamento calmo, riusciva a farmi ritornare sui miei passi e solo cosí riuscivo a ragionare prima di prendere una decisione. La prima volta che la incontrai non ci avrei scommesso un soldo su noi due, la credevo troppo distante da me e dal mio mondo. Invece, é stata proprio la differenza tra noi due a creare quel legame solido che ancora oggi persiste. Ci tengo a te ed é proprio per questo che sento il dovere morale di prenderti in giro. Continuai a ridere, immaginandomi la norvegese che camminava per il castello di Durmstrang con indosso la gonna. Dai, chiunque conoscendola non avrebbe potuto fare a meno di sorridere. La smetto. Mi costrinsi a ridurre le labbra in una linea dritta per soffocare le mie risate. Per fortuna l'argomento Thorbjørn, riscuoteva un grande successo e riusciva sempre a farmi passare la voglia di fare qualsiasi cosa. Nella maniera piú assoluta, no. Ma... E alzai l'indice come avevo visto fare molte volte agli amici del mio patrigno quando avevano da fare una considerazione degna di nota. ...io sono testarda e non mi arrendo. Quindi, mi dispiace per lui ma non l'avrá vinta. Mai. Questo era poco ma sicuro. Ero maledettamente testarda e quando mi impuntavo su qualcosa, era difficile -se non impossibile- fai arrendere. Non mi sarei mai arresa, tanto meno perché con il mio patrigno percepivo quella nota di sfida ogni volta che dovevamo confrontarci su qualcosa e Dio solo sa quanto amavo le sfide. Se c'era qualcosa che mi appagava cosí tanto, erano proprio le sfide. Esse riuscivano a tirar fuori la parte piú astuta e piú competitiva di me e quando questo tipo di Calliope scendeva in campo, non ce ne era per nessuno. Ero sempre io a spuntarla e cosí sarebbe andata anche con il padre di Erika. Erika? Con un sopracciglio alzato ed uno sguardo interrogatorio, osservai la norvegese ritrarre la mano e assumere un atteggiamento che non le avevo mai visto prendere in mia presenza. Percepii un certo distacco tra di noi e la cosa non mi piacque affatto. Continuai a guardare la sua figura darmi le spalle e avrei pagato oro per sapere a cosa stesse pensando. Io, a dirla tutta, stavo pensando ad un modo per allentare tutta la tensione che si era instaurata tra di noi. Ma come posso fare? Poi, mi venne il lampo di genio. Mi rimisi in piedi e di soppiatto mi avvicinai alle sue spalle pronta a sferrarle il piú crudele degli attacchi e prima che potesse voltarsi nuovamente verso di me, la spinsi verso il lago. La vidi scomparire sotto la superficie dell'acqua e un ampio sorriso si allargo sulle mie labbra. Principessa, io rivedrei le sue doti da nuotatrice. Puntualizzai con ironia. L'acqua com'é? E a quel punto, mi lasciai andare ad una risata liberatoria.
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    Risi di gusto alla provocazione della norvegese. Stronza. Mi sporsi leggermente verso di lei per regalarle una gomitata amichevole. Effettivamente non aveva poi tutti i torti. Cos'ha che non va la mia faccia? Non ti ispira fiducia? Incalzai il tiro. Fossi stata nei panni di un insegnante non mi avrei mai dato un compito del genere, non perché non fossi capace di portarlo a termine ma perché sarebbe sfociato nel caos piú totale. Mi conoscevo fin troppo bene e sapevo che avrei utilizzato quella opportunitá per avvantaggiarmi o per combinare qualche guaio dei miei. Sapevo che prima o poi l'avrei combinata grossa, era solo questione di tempo. Giuro che me la sono guadagnata onestamente. Piú o meno. Diciamo che in quegli anni non mi ero comportata proprio nel migliore dei modi, Hogwarts era per me la via d'uscita dalla prigionia che rappresentava la mia famiglia per me.
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    Da quando avevo messo il piede fuori dal castello, avevo fatto tutto quello che mi era sempre stato vietato. Sai che non faccio promesse ma ci proveró. In realtá, da quando avevo ricevuto quella spilla, avevo pensato a tutti i luoghi che avrei potuto visitare al di fuori del coprifuoco, mi sarei potuta avventurare con la scusa di aver visto qualcuno. Non stavo piú nella pelle. Inevitabilmente avevo pensato anche ad Erika e a come sarebbe stato averla lí con me proprio in quell'anno. L'avrei fatta uscire di nascosto e ci saremmo andate ad imbucare in qualche stanza abbandonata per stare insieme e combinare una delle nostre idee folli. Anche se con lei nulla si poteva programmare e a me andava bene cosí. Ogni cosa con lei era sempre stata lasciata al caso, per vivere il momento ed era il lato del suo carattere che piú apprezzavo. A volte avevo il timore che Durmstrang la cambiasse e che si dimenticasse di me, di noi. Scacciai quei pensieri sorridendo al suo complimento. Ero contenta che le piacesse ció che stavo cercando di creare su di me. Inutile dire che tuo padre e mia madre non hanno approvato, continuano ad impartirmi lezioni su gli usi e costumi che una principessa deve avere. Che palle, pensai. Io di "principesco" non avevo proprio un bel niente. Lo capiranno mai che non me ne frega un cazzo? Pensai alla festa di inizio estate che avevano dato mesi fa e a quante lezioni di buone maniere ero stata costretta a partecipare. Dio solo sa quanto erano lunghe e noiose le mattinate passate ad imparare come dovevo stare seduta a tavola, come dovevo parlare, la posata che dovevo utilizzare per la prima portata e altre stronzate del genere. Scossi la testa e presi un sassolino, lanciandolo nel lago e osservando come creava dei cerchi perfetto mentre sfiorava la superficie dell’acqua. Capisco. Diventai seria tutta d'un tratto. La scelta di mandare Erika a Durmstrang non mi era mai andata giú e ogni tanto provavo a parlarne con Thorbjørn per capire se poteva cambiare idea e lasciare che studiassimo entrambe ad Hogwarts. Ma nulla. Ogni volta che tiravo in ballo l'argomento scuola, lui faceva finta di non sentire ed usciva dalla stanza. Ovviamente non menzionavo mai il nome di Durmstrang perché Thorbjørn non sapeva che ero riuscita a scoprire in quale scuola avesse spedito la figlia e non doveva nemmeno sapere che ogni tanto ci spedivamo delle lettere. Non voglio nemmeno immaginare cosa accadrebbe se lo venisse a sapere. La gonna? Davvero? Non potetti fare a meno di scoppiare a ridere. Erika non aveva mai indossato una gonna in vita sua e sapere che era costretta a farlo proprio ora, era davvero esilarante. Pagherei per vederti con la gonna. Specialmente per vedere la tua faccia ogni mattina mentre la indossi. Feci un'espressione contrariata cercando di imitare l'espressione che poteva assumere mentre indossava quell'indumento dell'orrore. La presi in giro volutamente sia perché adoravo stuzzicarla ma anche perché volevo vederla ridere, mi era sembrata un pó preoccupata quando ero arrivata qui. Hogwarts é fantastica, mi piace davvero tanto. Le lezioni sono tutte interessanti e i professori sono davvero in gamba, tranne qualcuno. E poi quel castello é pieno di passaggi segreti, dovresti vederli. Nessuno é mai riuscito a trovarmi, nemmeno i caposcuola durante la ronda notturna. Accennai al fatto che la notte mi divertivo a sgattaiolare fuori dal dormitorio solo per il gusto di farlo e di vedere quanto tempo ci mettevano a trovarmi. Lo so, era da stupidi ma si potevano fare un bel pó di soldi con quelle scommesse idiote. Questa parte del discorso, era meglio non dirla. Per quanto riguarda le amicizie, meh. Le ragazze in quella scuola sono tutte noiose, non ce n'é una che se ne salva. O sono troppo prese da loro stesse oppure sono una spina nel fianco gigantesca. Portai le mani dietro la nuca e mi lasciai andare con la schiena contro il prato. Sarai felice di sapere che ho quasi iniziato una rissa con una dei serpeverde perché continuava a prendere in giro una tassorosso perchè sosteneva che quest’ultima si era seduta su quello che era il suo posto. È da non credere, vero? Schioccai la lingua sul palato in segno di totale disapprovazione. Ancora non capivo perchè questo genere di ragazzine continuava a comportarsi da primadonna senza sapere nemmeno sapere come si faceva. Con i ragazzi, invece, é tutt'altra storia. Per il momento ho fatto amicizia solo con tre ragazzi, siamo un bel quartetto devo dire e con loro mi diverto da matti. Dovresti conoscerli, secondo me ti troveresti benissimo. Sorrisi. Ero contenta di quei pochi amici che avevo, loro erano sinceri e molto piú fedeli rispetto alle ragazze. E poi litigare con loro era davvero divertente, anche perché la lite durava si e no una decina di minuti. Pensai a Luke, Ashton e Mike e mi domandai cosa potessero mai star facendo in quel momento. Luke probabilmente era in viaggio con la madre a classificare i vari animali magici, Mike si starà esercitando nel quidditch e con gli incantesimi mentre Ashton si starà sicuramente dando da fare con i suoi strumenti.Quello a cui mi sono affezionata di piú é Ashton. Sa suonare quattro strumenti e dice che vuole diventare un musicita, dovresti sentirlo. É pazzesco! Esclamai tirandomi su a sedere e voltandomi verso di lei. Diventai nuovamente seriosa. Con te, Hogwarts, sarebbe ancora piú bella. Le presi la mano. Non c'é niente che si puó fare, per farti venire lí? Non volevo separarmi di nuovo da lei e vivere di nuovo con il timore di non rivederla forse mai piú. Ogni volta che le vacanze estive terminavano, l'angoscia mi opprimeva e mi faceva immaginare scenari terribili in cui Erika smetteva di far parte della mia vita. Per sempre.


    Edited by blue velvet. - 5/11/2022, 09:15
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    L'estate era ormai giunta al termine ed io mi stavo preparando per il rientro a scuola. Hogwarts non mi era mancata poi cosí tanto anche se non vedevo l'ora di rivedere il mio migliore amico Ashton e di raccontargli quello che avevo fatto durante le mie vacanze estive. Probabilmente non sarebbe stato un racconto cosí entusiasmante visto che non avevo fatto altro che girovagare in lungo ed in largo per il castello. Il mio patrigno mi aveva tenuta occupata con una sessione di tiro con l'arco e infiniti giri a cavallo lungo il bosco che circondava il castello. Io odiavo fare quelle cose, per me erano obsolete, vecchie e inutili come lo era stato tentare di mostrargli il mio dissenso. La fortuna di abitare in un castello, peró, era che avevi molti spazi in cui nasconderti quando volevi essere lasciata in pace e il mio preferito in assoluto era l'albero che torreggiava sull'orto. Nessuno era mai riuscito a trovarmi lí sopra, mai. Forse perché nessuno pensava che fossi cosí forte da riuscire ad arrampicarmi su di un albero di quelle dimensioni. Mi piaceva anche per un duplice motivo: di lí riuscivo ad avere una visione completa di tutto il castello e di tutto il circondario.
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    E fu proprio da lí che vidi una figura avanzare verso il lago. Sapevo benissimo di chi si trattava. Durante quelle vacanze estive non ero riuscita a vederla nemmeno una volta per via di nostro padre che pianificava ogni nostro spostamento. Mi sentivo in prigione, forse era anche per quello che non vedevo l'ora di tornare ad Hogwarts. Prima di scendere dall'albero e di raggiungere Erika, mi guardai intorno per vedere se ci fosse qualcuno che mi stava cercando. Via libera, proprio quello che mi serviva per raggiungere Erika. Mi avvicinai cautamente nella speranza di avere abbastanza tempo per pensare a cosa dirle. Lei, d'altro canto, mi precedette. Che si fotta. E mi voltai in direzione del castello mostrando il mio bellissimo dito medio. Odiavo lui, le sue restrizioni e la sua stupida esagerazione ogni qualvolta si parlava di Erika e me. Anche io ero convinta che sarei finita tra i grifondoro e invece eccomi qui. Ah...aspetta. Mi affrettai a cercare la spilletta da prefetto che mi era arrivata qualche giorno fa. Guarda un pó. Mi sedetti di fianco a lei con la spilletta in mano pronta a mostrargliela tutta fiera. Non avevo mai ambito a quel ruolo e sinceramente me ne strafregavo delle responsabilitá che avrei avuto peró, al tempo stesso, ero orgogliosa del fatto che avessero pensato a me. Potró fare il cazzo che voglio senza nessuno che mi controlla perchè saró io a dettare le regole. Era quello che in realtá mi interessava veramente, avere il potere in mano di poter fare tutto ció che mi passava per la mente. Ero io quella a cui gli altri avrebbero dovuto prestare ascolto e non il contrario. Questo? Mi indicai gli occhi. Sto cercando il mio stile e sto sperimentando con gli ombretti? Credo si chiamino cosí. Sorrisi leggermente in imbarazzo. Avevo in mente di creare uno stile tutto mio, che appartenesse solo a me e che permettesse agli altri di non confondermi con nessun altro. Ti piace? O forse é troppo esagerato? Mi girai verso di lei mostrandole il mio capolavoro fatto con gli ombretto. A me piaceva e anche tanto. E tu a Durmstrang come te la passi? Le domandai curiosa. Quella era la prima e vera occasione che avevamo di parlare dopo tanto tempo. Mi era mancata, mi era mancata la sua presenza e le sensazioni che mi provocava la sua vicinanza. Raccontami tutto. Volevo sapere come occupava le sue giornate, se avesse conosciuto qualcuno, quali materie amasse e quali no ma soprattutto se aveva avuto modo di pensare un pochino a me durante quei mesi di lontananza. In cuor mio ci speravo sempre che un pó le mancassi.


    Edited by blue velvet. - 2/11/2022, 14:27
22 replies since 14/10/2022
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