#1 Missing Moment - One more rainy day.

Norvegia; Callie.

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    Il lago quel giorno sembrava uno specchio. L'estate era volta al termine e non mancavano che pochi giorni al rientro a scuola. Durmstrang non le piaceva per nulla: tutto quel rigore, quella disciplina non erano altro che degli specchietti per le allodole, la realtà era ben diversa dalle aspettative. Non che Erika avesse immaginato di essere spedita nel regno dei balocchi, dopo quello che era successo, però aveva creduto che - per una volta - Thorbjørn si sarebbe comportato da padre e avrebbe visto Erika per quella che era, ossia una persona con delle emozioni.
    Assorta nei propri pensieri, la norvegese osservava la superficie dell'acqua e la natura circostante. Era un po' il suo rifugio, quello. Non c'era niente che la calmasse come passare del tempo lì, seduta in mezzo al verde. Ed era in mezzo a quel verde che, voltandosi in direzione del Castello, notò una figura farsi sempre più vicina. Osservando Calliope, Erika si disse che - in fondo - forse qualcun'altro riusciva a tranquillizzarla più di tutta la natura del mondo.
    «Ehi» salutò l'altra con un sorriso piuttosto debole. Il litigio con Thorbjørn era stato tutt'altro che pacato e probabilmente non era stata l'unica a subire le urla del padre. «Non dovresti essere qui, se lui ci vedesse...» la mise in guardia, sicura che, in ogni caso, lei non si sarebbe fatta intimidire. Il bello di Callie era proprio quello: era impavida, non si faceva spaventare da niente. «Corvonero, eh? Credo che quel cappello non ti conosca bene quanto me, o ti avrebbe lanciata tra i Grifondoro senza esitazione.» disse, notando il maglioncino che indossava la Rider, cercando di distogliere i propri pensieri e quelli dell'altra dall'argomento della discussione cui anche Callie aveva assistito. In fondo, chi - a 16 anni - vuole parlare di matrimoni? Erika odiava il suo status e detestava ancor più tutta la pressione che le faceva il padre per qualcosa che no, non sarebbe mai avvenuta. Si sarebbe ammazzata, piuttosto che sposare...un uomo. «Quando hai cominciato a truccarti?» le chiese, osservando meravigliata il viso dell'altra. No, i piani di Erika per il suo futuro andavano decisamente in altra direzione.
     
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    L'estate era ormai giunta al termine ed io mi stavo preparando per il rientro a scuola. Hogwarts non mi era mancata poi cosí tanto anche se non vedevo l'ora di rivedere il mio migliore amico Ashton e di raccontargli quello che avevo fatto durante le mie vacanze estive. Probabilmente non sarebbe stato un racconto cosí entusiasmante visto che non avevo fatto altro che girovagare in lungo ed in largo per il castello. Il mio patrigno mi aveva tenuta occupata con una sessione di tiro con l'arco e infiniti giri a cavallo lungo il bosco che circondava il castello. Io odiavo fare quelle cose, per me erano obsolete, vecchie e inutili come lo era stato tentare di mostrargli il mio dissenso. La fortuna di abitare in un castello, peró, era che avevi molti spazi in cui nasconderti quando volevi essere lasciata in pace e il mio preferito in assoluto era l'albero che torreggiava sull'orto. Nessuno era mai riuscito a trovarmi lí sopra, mai. Forse perché nessuno pensava che fossi cosí forte da riuscire ad arrampicarmi su di un albero di quelle dimensioni. Mi piaceva anche per un duplice motivo: di lí riuscivo ad avere una visione completa di tutto il castello e di tutto il circondario.
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    E fu proprio da lí che vidi una figura avanzare verso il lago. Sapevo benissimo di chi si trattava. Durante quelle vacanze estive non ero riuscita a vederla nemmeno una volta per via di nostro padre che pianificava ogni nostro spostamento. Mi sentivo in prigione, forse era anche per quello che non vedevo l'ora di tornare ad Hogwarts. Prima di scendere dall'albero e di raggiungere Erika, mi guardai intorno per vedere se ci fosse qualcuno che mi stava cercando. Via libera, proprio quello che mi serviva per raggiungere Erika. Mi avvicinai cautamente nella speranza di avere abbastanza tempo per pensare a cosa dirle. Lei, d'altro canto, mi precedette. Che si fotta. E mi voltai in direzione del castello mostrando il mio bellissimo dito medio. Odiavo lui, le sue restrizioni e la sua stupida esagerazione ogni qualvolta si parlava di Erika e me. Anche io ero convinta che sarei finita tra i grifondoro e invece eccomi qui. Ah...aspetta. Mi affrettai a cercare la spilletta da prefetto che mi era arrivata qualche giorno fa. Guarda un pó. Mi sedetti di fianco a lei con la spilletta in mano pronta a mostrargliela tutta fiera. Non avevo mai ambito a quel ruolo e sinceramente me ne strafregavo delle responsabilitá che avrei avuto peró, al tempo stesso, ero orgogliosa del fatto che avessero pensato a me. Potró fare il cazzo che voglio senza nessuno che mi controlla perchè saró io a dettare le regole. Era quello che in realtá mi interessava veramente, avere il potere in mano di poter fare tutto ció che mi passava per la mente. Ero io quella a cui gli altri avrebbero dovuto prestare ascolto e non il contrario. Questo? Mi indicai gli occhi. Sto cercando il mio stile e sto sperimentando con gli ombretti? Credo si chiamino cosí. Sorrisi leggermente in imbarazzo. Avevo in mente di creare uno stile tutto mio, che appartenesse solo a me e che permettesse agli altri di non confondermi con nessun altro. Ti piace? O forse é troppo esagerato? Mi girai verso di lei mostrandole il mio capolavoro fatto con gli ombretto. A me piaceva e anche tanto. E tu a Durmstrang come te la passi? Le domandai curiosa. Quella era la prima e vera occasione che avevamo di parlare dopo tanto tempo. Mi era mancata, mi era mancata la sua presenza e le sensazioni che mi provocava la sua vicinanza. Raccontami tutto. Volevo sapere come occupava le sue giornate, se avesse conosciuto qualcuno, quali materie amasse e quali no ma soprattutto se aveva avuto modo di pensare un pochino a me durante quei mesi di lontananza. In cuor mio ci speravo sempre che un pó le mancassi.


    Edited by blue velvet. - 2/11/2022, 14:27
     
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    Erika non riuscì a non ridere al dito medio che Callie alzò contro Thorbjørn. A volte, avrebbe voluto avere la sua stessa grinta per mandarlo a quel paese una volta per tutte. Sarebbe stato tutto più semplice senza di lui, senza le sue pressioni e i suoi divieti.
    «Prefetta? Tu? Ti hanno guardata in faccia?» le domandò Erika, prendendola un po' in giro. Calliope era sicuramente intelligente, era molto curiosa e quell'aspetto del suo carattere l'avrebbe salvata dai brutti voti, ma per incoronarla Prefetto doveva aver dimostrato molto più di quello. «Dimmi la verità, l'hai rubata a qualche tua compagna.» aggiunse, punzecchiandola con il solo intento di vederla ridere. L'estate era trascorsa troppo velocemente, come ogni anno, e il tempo che avevano passato insieme era sempre troppo poco per recuperare quello che le aveva separate. «Cerca di non fare troppi danni.» si rassicurò la norvegese, scuotendo il capo arrendevolmente. Sapeva che la sua raccomandazione non sarebbe servita a niente, era sicura che Callie avrebbe approfittato di quel vantaggio in ogni modo possibile, e sarebbe stata curiosa di essere con lei ad Hogwarts per poterla osservare con i suoi occhi mentre ne combinava una più del diavolo. Ma la realtà era che si sarebbero separate presto ed Erika non era affatto pronta a lasciarla andare di nuovo.
    «Sei bellissima, in realtà.» ammise, pensando a quanto fosse cambiata in così poco tempo. Era cresciuta, lo erano entrambe e sembrava che il tempo si divertisse a ricordarle quante cose si era persa dell'altra e quante altre non avrebbe assistito. Erika serrò la mascella e osservò la superfice del lago ancora per un po'. Durmstrang non era propriamente il suo argomento preferito. Cosa avrebbe potuto raccontarle? Della sveglia all'alba che precedeva gli allenamenti fisici? Del freddo pungente al quale non c'era rimedio se non quello di stringersi forte agli abiti (che, per la cronaca, non bastavano ad allontanarlo)? Oppure degli altri studenti, altezzosi e arroganti figli di papà che non perdevano occasione di mettere in mostra la propria assenza di empatia? O magari di Romanov, quell'idiota che aveva deciso di torturarla per chissà quale oscura ragione? Erika fece una smorfia infastidita al ricordo di quel particolare episodio e scosse il capo per cacciarlo via. Non avrebbe permesso a nessuno di rovinare quel momento.
    «Bene, tutto sommato. E' un posto triste, in realtà, tutto spoglio e privo di personalità, ma ci impegnano in così tante attività che non ci facciamo nemmeno più caso.» le disse, cercando di essere quanto più realista possibile. Non voleva mentirle, ma nemmeno raccontarle tutta la verità o era sicura che sarebbe insorta contro il padre, cosa che avrebbe solo peggiorato le cose. «Sono costretta ad indossare la gonna, ti sembra mai possibile?» borbottò, alzando gli occhi al cielo. Stupide regole. «Hogwarts invece com'è?» le chiese, cercando di cambiare argomento. «Hai qualche amica? Hai conosciuto qualcuno?» continuò, incerta, distogliendo lo sguardo da quello dell'altra. Una delle paure più grandi di Erika era proprio quella: la possibilità che Calliope conoscesse qualcuno che l'avrebbe sicuramente allontanata da lei, se solo avesse saputo del loro rapporto.
     
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    Risi di gusto alla provocazione della norvegese. Stronza. Mi sporsi leggermente verso di lei per regalarle una gomitata amichevole. Effettivamente non aveva poi tutti i torti. Cos'ha che non va la mia faccia? Non ti ispira fiducia? Incalzai il tiro. Fossi stata nei panni di un insegnante non mi avrei mai dato un compito del genere, non perché non fossi capace di portarlo a termine ma perché sarebbe sfociato nel caos piú totale. Mi conoscevo fin troppo bene e sapevo che avrei utilizzato quella opportunitá per avvantaggiarmi o per combinare qualche guaio dei miei. Sapevo che prima o poi l'avrei combinata grossa, era solo questione di tempo. Giuro che me la sono guadagnata onestamente. Piú o meno. Diciamo che in quegli anni non mi ero comportata proprio nel migliore dei modi, Hogwarts era per me la via d'uscita dalla prigionia che rappresentava la mia famiglia per me.
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    Da quando avevo messo il piede fuori dal castello, avevo fatto tutto quello che mi era sempre stato vietato. Sai che non faccio promesse ma ci proveró. In realtá, da quando avevo ricevuto quella spilla, avevo pensato a tutti i luoghi che avrei potuto visitare al di fuori del coprifuoco, mi sarei potuta avventurare con la scusa di aver visto qualcuno. Non stavo piú nella pelle. Inevitabilmente avevo pensato anche ad Erika e a come sarebbe stato averla lí con me proprio in quell'anno. L'avrei fatta uscire di nascosto e ci saremmo andate ad imbucare in qualche stanza abbandonata per stare insieme e combinare una delle nostre idee folli. Anche se con lei nulla si poteva programmare e a me andava bene cosí. Ogni cosa con lei era sempre stata lasciata al caso, per vivere il momento ed era il lato del suo carattere che piú apprezzavo. A volte avevo il timore che Durmstrang la cambiasse e che si dimenticasse di me, di noi. Scacciai quei pensieri sorridendo al suo complimento. Ero contenta che le piacesse ció che stavo cercando di creare su di me. Inutile dire che tuo padre e mia madre non hanno approvato, continuano ad impartirmi lezioni su gli usi e costumi che una principessa deve avere. Che palle, pensai. Io di "principesco" non avevo proprio un bel niente. Lo capiranno mai che non me ne frega un cazzo? Pensai alla festa di inizio estate che avevano dato mesi fa e a quante lezioni di buone maniere ero stata costretta a partecipare. Dio solo sa quanto erano lunghe e noiose le mattinate passate ad imparare come dovevo stare seduta a tavola, come dovevo parlare, la posata che dovevo utilizzare per la prima portata e altre stronzate del genere. Scossi la testa e presi un sassolino, lanciandolo nel lago e osservando come creava dei cerchi perfetto mentre sfiorava la superficie dell’acqua. Capisco. Diventai seria tutta d'un tratto. La scelta di mandare Erika a Durmstrang non mi era mai andata giú e ogni tanto provavo a parlarne con Thorbjørn per capire se poteva cambiare idea e lasciare che studiassimo entrambe ad Hogwarts. Ma nulla. Ogni volta che tiravo in ballo l'argomento scuola, lui faceva finta di non sentire ed usciva dalla stanza. Ovviamente non menzionavo mai il nome di Durmstrang perché Thorbjørn non sapeva che ero riuscita a scoprire in quale scuola avesse spedito la figlia e non doveva nemmeno sapere che ogni tanto ci spedivamo delle lettere. Non voglio nemmeno immaginare cosa accadrebbe se lo venisse a sapere. La gonna? Davvero? Non potetti fare a meno di scoppiare a ridere. Erika non aveva mai indossato una gonna in vita sua e sapere che era costretta a farlo proprio ora, era davvero esilarante. Pagherei per vederti con la gonna. Specialmente per vedere la tua faccia ogni mattina mentre la indossi. Feci un'espressione contrariata cercando di imitare l'espressione che poteva assumere mentre indossava quell'indumento dell'orrore. La presi in giro volutamente sia perché adoravo stuzzicarla ma anche perché volevo vederla ridere, mi era sembrata un pó preoccupata quando ero arrivata qui. Hogwarts é fantastica, mi piace davvero tanto. Le lezioni sono tutte interessanti e i professori sono davvero in gamba, tranne qualcuno. E poi quel castello é pieno di passaggi segreti, dovresti vederli. Nessuno é mai riuscito a trovarmi, nemmeno i caposcuola durante la ronda notturna. Accennai al fatto che la notte mi divertivo a sgattaiolare fuori dal dormitorio solo per il gusto di farlo e di vedere quanto tempo ci mettevano a trovarmi. Lo so, era da stupidi ma si potevano fare un bel pó di soldi con quelle scommesse idiote. Questa parte del discorso, era meglio non dirla. Per quanto riguarda le amicizie, meh. Le ragazze in quella scuola sono tutte noiose, non ce n'é una che se ne salva. O sono troppo prese da loro stesse oppure sono una spina nel fianco gigantesca. Portai le mani dietro la nuca e mi lasciai andare con la schiena contro il prato. Sarai felice di sapere che ho quasi iniziato una rissa con una dei serpeverde perché continuava a prendere in giro una tassorosso perchè sosteneva che quest’ultima si era seduta su quello che era il suo posto. È da non credere, vero? Schioccai la lingua sul palato in segno di totale disapprovazione. Ancora non capivo perchè questo genere di ragazzine continuava a comportarsi da primadonna senza sapere nemmeno sapere come si faceva. Con i ragazzi, invece, é tutt'altra storia. Per il momento ho fatto amicizia solo con tre ragazzi, siamo un bel quartetto devo dire e con loro mi diverto da matti. Dovresti conoscerli, secondo me ti troveresti benissimo. Sorrisi. Ero contenta di quei pochi amici che avevo, loro erano sinceri e molto piú fedeli rispetto alle ragazze. E poi litigare con loro era davvero divertente, anche perché la lite durava si e no una decina di minuti. Pensai a Luke, Ashton e Mike e mi domandai cosa potessero mai star facendo in quel momento. Luke probabilmente era in viaggio con la madre a classificare i vari animali magici, Mike si starà esercitando nel quidditch e con gli incantesimi mentre Ashton si starà sicuramente dando da fare con i suoi strumenti.Quello a cui mi sono affezionata di piú é Ashton. Sa suonare quattro strumenti e dice che vuole diventare un musicita, dovresti sentirlo. É pazzesco! Esclamai tirandomi su a sedere e voltandomi verso di lei. Diventai nuovamente seriosa. Con te, Hogwarts, sarebbe ancora piú bella. Le presi la mano. Non c'é niente che si puó fare, per farti venire lí? Non volevo separarmi di nuovo da lei e vivere di nuovo con il timore di non rivederla forse mai piú. Ogni volta che le vacanze estive terminavano, l'angoscia mi opprimeva e mi faceva immaginare scenari terribili in cui Erika smetteva di far parte della mia vita. Per sempre.


    Edited by blue velvet. - 5/11/2022, 09:15
     
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    «Assolutamente no, Callie.» rispose Erika sincera, cercando inutilmente di non ridere. Sapeva benissimo anche Calliope che la sua faccia nascondeva a malapena il suo carattere frizzante. Un contrasto curioso quello tra le personalità delle due: fuoco, la Rider e acqua, la Haarde. I caratteri di entrambe rappresentavano alla perfezione questa strana opposizione: come degna figlia di marte, Calliope era sempre stata coraggiosa, impulsiva, irrazionale, a tratti facilmente irritabile; tutto il contrario di Erika che, governata dalla luna, appariva molto legata alla famiglia, protettiva nei confronti dei suoi cari, estremamente gentile e sensibile, ma non per questo debole, anzi. Differenze, quelle caratteriali, che - in qualche modo - le avevano avvicinate più di quanto avrebbero potuto dividerle.
    «Credi davvero di avere una possibilità con mio padre?» le domandò sarcastica, alzando un sopracciglio in un'espressione piuttosto comunicativa. Era chiaro a tutti, in quel Castello, che Erika non avrebbe mai ereditato nessun titolo, e ancor meno aspirava al trono. Se non fosse stato abbastanza chiaro il suo rifiuto verbale, bastava guardarla in faccia per capire che era lontana dall'incarnare la sacra figura della principessa di Norvegia: pelle diafana, capelli platino e occhi azzurri a parte, non c'era niente di nobile in lei. O, se c'era, Erika si rifiutava di accettarlo, ma questo non aveva scoraggiato il padre dal venderla al miglior offerente. Era quello che una donna della sua stirpe avrebbe dovuto fare: la cornice, ruolo che non le si addiceva affatto.
    «Ehi! Non ridere. Pensavo che ci tenessi a me.» si lamentò la norvegese quando l'altra apprese di cosa si componeva la sua divisa scolastica. Tra l'altro, la bionda aveva provato a muovere qualche lamentela al Preside, ma in quell'Istituto l'oppressione era la cura per tutto.
    Erika osservò Calliope sdraiarsi sul prato e la imitò. Fu più semplice immaginare Hogwarts, da quella prospettiva. Ascoltò avidamente tutto ciò che l'altra decise di raccontarle e si domandò come sarebbe stato se anche lei avesse avuto la possibilità di far parte di quel mondo, del suo mondo. Passaggi segreti, amici e Ashton. Ci fu qualcosa, nella pronuncia di quel nome, un'inflessione, un cambiamento nel tono di voce dell'altra che spinse Erika a osservarla. Il timore che Callie potesse incontrare una persona che l'avrebbe allontanata da lei era la sua più grande paura, costituiva una preoccupazione, ma anche il pensiero del quale si serviva per sopravvivere a quella prigione dove il padre l'aveva spedita, il pensiero dal quale attingere quando non aveva la forza necessaria per affrontare i suoi nemici. C'erano giorni in cui il fastidio che le provocava l'idea di Callie insieme ad un ragazzo era tale da farle pensare che avrebbe potuto agire non solo in sua difesa, ma avrebbe potuto ferire, anche uccidere se solo fosse servito per proteggere il loro rapporto. Pensieri, quelli, che l'avevano spesso spinta a chiedersi se Durmstrang non la stesse cambiando più di quanto non volesse ammettere.
    «Sai che non è possibile, Callie.» rispose Erika secca, dopo aver osservato la mano dell'altra sulla sua. Tornò in piedi, pensierosa e cercò di concentrare tutti i suoi pensieri su quel dannato lago e sul presente. Odiava la gelosia che provava nei confronti della sorellastra. Sapeva che il loro rapporto era sbagliato, era illegale per certi versi. Non c'era alcun futuro in cui sarebbero vissute felici e contente. Non era nemmeno sicura che Calliope comprendesse fino in fondo quali fossero realmente i sentimenti che Erika provava per lei. Eppure...niente sembrava in grado di cambiare i fatti: ossia che Erika era profondamente, irrimediabilmente, infinitamente innamorata di Calliope. «Scusa, io...»
     
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    Ti sbagli di grosso, so essere molto affidabile. Se voglio. Il problema era proprio quello: il volere. Avevo una certa inclinazione per i guai e di certo non sarebbe stata una stupida spilletta a farmi mettere la testa a posto. Anzi. Tutt'al più avrebbe contribuito a rendermi ancora piú irresponsabile solo che, quella volta, avevo anche un modo per raggirare i superiori. Ero sempre stata cosí, giá dalla piú tenera etá. Non era un comportamento che avevo aquisito negli ultimi tempi ma esso faceva parte del mio dna giá da diverso tempo, l'unica differenza era che negli ultimi anni si era andato sempre di piú a rafforzare rendendomi la ribelle che tutti conoscevano. Vedo che ti diverte questa cosa. Ridi, ridi, poi vedremo chi riderá. Alzai il sopracciglio cercando di mostrarmi seria, quasi come se fossi ferita dalle sue insinuazioni. Chiaramente non potevo esserlo. Ero conscia del fatto che Erika mi conoscesse meglio di chiunque altro e che quindi, per lei, ero come un libro aperto. Mi voltai verso di lei e le sorrisi. La osservai e mi resi conto di quanto fossimo diverse, non che non lo avessi mai notato prima d'ora. Io ero impetuosa e come tale, la maggior parte delle volte, agivo senza pensare e finivo sempre per cacciarmi in situazioni scomode.
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    Lei invece, con il suo temperamento calmo, riusciva a farmi ritornare sui miei passi e solo cosí riuscivo a ragionare prima di prendere una decisione. La prima volta che la incontrai non ci avrei scommesso un soldo su noi due, la credevo troppo distante da me e dal mio mondo. Invece, é stata proprio la differenza tra noi due a creare quel legame solido che ancora oggi persiste. Ci tengo a te ed é proprio per questo che sento il dovere morale di prenderti in giro. Continuai a ridere, immaginandomi la norvegese che camminava per il castello di Durmstrang con indosso la gonna. Dai, chiunque conoscendola non avrebbe potuto fare a meno di sorridere. La smetto. Mi costrinsi a ridurre le labbra in una linea dritta per soffocare le mie risate. Per fortuna l'argomento Thorbjørn, riscuoteva un grande successo e riusciva sempre a farmi passare la voglia di fare qualsiasi cosa. Nella maniera piú assoluta, no. Ma... E alzai l'indice come avevo visto fare molte volte agli amici del mio patrigno quando avevano da fare una considerazione degna di nota. ...io sono testarda e non mi arrendo. Quindi, mi dispiace per lui ma non l'avrá vinta. Mai. Questo era poco ma sicuro. Ero maledettamente testarda e quando mi impuntavo su qualcosa, era difficile -se non impossibile- fai arrendere. Non mi sarei mai arresa, tanto meno perché con il mio patrigno percepivo quella nota di sfida ogni volta che dovevamo confrontarci su qualcosa e Dio solo sa quanto amavo le sfide. Se c'era qualcosa che mi appagava cosí tanto, erano proprio le sfide. Esse riuscivano a tirar fuori la parte piú astuta e piú competitiva di me e quando questo tipo di Calliope scendeva in campo, non ce ne era per nessuno. Ero sempre io a spuntarla e cosí sarebbe andata anche con il padre di Erika. Erika? Con un sopracciglio alzato ed uno sguardo interrogatorio, osservai la norvegese ritrarre la mano e assumere un atteggiamento che non le avevo mai visto prendere in mia presenza. Percepii un certo distacco tra di noi e la cosa non mi piacque affatto. Continuai a guardare la sua figura darmi le spalle e avrei pagato oro per sapere a cosa stesse pensando. Io, a dirla tutta, stavo pensando ad un modo per allentare tutta la tensione che si era instaurata tra di noi. Ma come posso fare? Poi, mi venne il lampo di genio. Mi rimisi in piedi e di soppiatto mi avvicinai alle sue spalle pronta a sferrarle il piú crudele degli attacchi e prima che potesse voltarsi nuovamente verso di me, la spinsi verso il lago. La vidi scomparire sotto la superficie dell'acqua e un ampio sorriso si allargo sulle mie labbra. Principessa, io rivedrei le sue doti da nuotatrice. Puntualizzai con ironia. L'acqua com'é? E a quel punto, mi lasciai andare ad una risata liberatoria.
     
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    Senza che Erika potesse prevederlo e prima che riuscisse ad evitarlo, si ritrovò immersa nelle acque del lago, zuppa dalla testa ai piedi. Calliope, quando agiva, lo faceva sempre in grande, non c'era che dire. La norvegese riemerse dalle acque in un baleno e si portò indietro i capelli, ancora sconvolta dal gesto estremo dell'altra. Altra che invece era rimasta al sicuro ferma sulla sponda del lago. Al contrario di quanto si possa immaginare, tra l'altro, fiumi e laghi tendono ad essere profondi sin da subito, motivo per il quale Calliope era riuscita a fargliela bella grossa. Con la bocca spalancata, quasi scioccata, ma divertita, mosse qualche passo in direzione dell'altra. «Tu vuoi davvero fare questo gioco, Rider la apostrofò, puntando lo sguardo in quello della sorellastra. «Vediamo...» disse, muovendo le acque prima di rispondere alla domanda che le era stata posta. «Questo...» e scattò in avanti, come un vero e proprio alligatore, per afferrarla dalle gambe e portarsela in spalla nel lago con lei. «...dovresti dirmelo tu. Com'è l'acqua?» le domandò, scoppiando a ridere non appena l'altra riemerse. «Ohh, adesso non te la ridi più sulla mia pelle eh???» la punzecchiò, muovendo l'acqua con le mani e indirizzandola tutta verso Calliope. «Cosa? Non ti sento.» domandò alzando la voce, senza mai smettere di schizzarla. Quando poi fu abbastanza vicina, non soddisfatta, Erika cercò - malgrado tutte le proteste dell'altra - di spingerla sott'acqua. «Chiedimi scusa. Chiedimi scusa e potrei decidere di essere magnanima.» dichiarò, ma come aveva previsto, la Rider non aveva intenzione di arrendersi facilmente. «Cosa cerchi di fare, pensi di poter vincere contro di me??» rise, cercando di evitare le mani dell'altra che si muovevano frenetiche nella speranza di liberarsi dalla sua presa.
    Se qualcuno fosse stato presente davanti a quella scena, non avrebbe visto altro che due adolescenti intente a godersi gli ultimi giorni del tepore estivo, niente di più. Era necessario essere acuti osservatori per notare quello che davvero stava succedendo. Allora, sarebbe stato più facile riconoscere i segnali inequivocabili di quello che sarebbe avvenuto di lì a poco: la risata della Haarde che si trasformò presto in un sorriso teso, le sue mani che afferrarono saldamente i polsi della Rider, il battito del cuore della norvegese che si fece sempre più veloce, quasi volesse uscirle dal petto. Furono quelli i segnali che persino Calliope ignorò e che portarono Erika ad avvicinarsi più del previso al viso dell'altra, come l'ultima volta. La norvegese si fece improvvisamente seria e puntò le iridi in quelle glaciali della Corvonero, poi lasciò che la mano scivolasse sulla guancia dell'altra e, senza aspettare oltre, prima che potesse cambiare idea, schiuse le labbra tra quelle dell'altra. Per un momento, nella sua testa, furono solo Erika Haarde e Calliope Rider, due ragazze figlie di genitori diversi, libere di essere sé stesse e di amare. Un momento che entrambe avrebbero pagato caro, se solo Thornbjorn ne fosse entrato a conoscenza.
     
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    Continuai a godermi la scena con un sorriso divertito ma anche particolarmente soddisfatto. Il mio intento di farla sorridere e di allontanare quelle spiacevoli sensazioni, era andato a buon fine. Erika se la rideva di gusto e io non potevo fare a meno di seguirla. Sì, Erika. Voglio giocare a questo gioco. Risposi con fare sicuro. Se la norvegese mi conosceva così bene come diceva, sapeva che non mi sarei di certo tirata indietro davanti alla sua provocazione. Io ero pur sempre una Rider e nelle mie vene scorreva il sangue di una famiglia formata da gente coraggiosa che nei secoli era sempre andata alla ricerca di nuove sfide per testare il proprio temperamento e per mostrare alle altre famiglie ciò di cui era capace. Avanti Erika, cosa aspetti? Oppure hai paura? L’apostrofai, quasi a volerla provocare. Sapevo che il sentimento di paura non faceva parte del DNA della Haarde, così come sapevo che presto me l’avrebbe fatta pagare per averla spinta dentro il lago. La vidi uscire dall’acqua a passo lento ma deciso, potevo immaginare a cosa stava puntando: me. Indietreggiai ma senza mai far sparire quel sorriso spavaldo che tanto mi contraddistingueva.
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    Erik-AAAH! Gridai quando sentii le sue mani fare presa sulle mie gambe per sollevarmi fino a portarmi sulle sue spalle. C’era da aspettarselo ma credevo che mi avrebbe dato almeno il tempo di pianificare la mia via di fuga. Purtroppo glielo dovevo riconoscere, quando Erika agiva era veloce e imprevedibile. Mettimi giù. Subito. Le intimai. E fece esattamente così come le avevo ordinato di fare. Mi buttó in acqua. Riemersi subito dopo, battendo leggermente i denti per la temperatura fredda dell’acqua. Scostai poi i miei lunghi capelli corvini all’indietro e puntai verso Erika i miei occhi glaciali. Molto maturo da parte tua. Una principessa non dovrebbe comportarsi in questo modo. E nel pronunciare l’ultima frase cercai di imitare sia la voce profonda del re Haarde che i suoi gesti autorevoli che assumeva quando doveva rimproverarmi. Poi scoppiai a ridere e partì all’attacco. Fredda ma a giudicare da come ci sguazzi dentro, direi che a te non dispiace. E con le mie mani cercai di alzare l’acqua per indirizzarla verso il suo volto, così poi da poter fuggire mentre lei era impegnata a stropicciarsi gli occhi per poter tornare a vedere. Invece continuo a ridere perché non riesco a fare a meno di pensare alla tua faccia quando sei riemersa dall'acqua, avresti dovuto vederti. E risi cercando di evitare i suoi schizzi. Cosa stai cercando di fare? Le domandai mentre la vidi avvicinarsi pericolosamente a me. Indietreggiai. Non ci provare nemmeno, Haarde. Dissi quando capii quali erano le sue intenzioni. Iniziai a dimenarmi con tutta la forza che avevo in corpo per non permettere alla norvegese di mettermi la testa sott’acqua. Giammai. Non sentirai mai quella parola uscire dalle mie labbra. Calliope Rider non si arrendeva così facilmente e mai lo avrei fatto. Ero testarda e piena di assi nella manica per vincere qualsiasi battaglia. Esatto. E a giudicare da come stanno le cose, sono quasi vicina alla vittoria. Più o meno. Io avevo anche un certo talento nel sparare cazzate e nel parlare a vanvera fino a portare chi avevo davanti allo sfinimento. Era così che vincevo la maggior parte delle volte. Avevo imparato dal padre di Erika ad utilizzare nel modo più corretto l’uso della parola, per portare ogni situazione a mio vantaggio. Su questo, suo padre, era il numero uno ma io imparavo in fretta e presto avrei saputo utilizzare il suo stesso potere contro di lui. Era solo questione di tempo. La pagherai cara per le tue azioni ignobili. Oppure no. Continuammo a scherzare e a ridere spensierate come se in quel momento e in quel luogo nessuno poteva raggiungerci e interrompere quello che eravamo: due ragazze che si stavano godendo gli ultimi istanti di quell’estate che era stata troppo fugace. Ma ben presto le risate si trasformarono in uno scambio di sguardi che trasportavano al loro interno emozioni troppo difficili da decifrare, i respiri diventarono più affannosi e la distanza -che era già minima- diventó ancora più impercettibile. Guardai Erika farsi più vicina, così vicina che riuscivo a sentire il suo respiro caldo sul mio volto. Mi morsi leggermente le labbra e attesi la sua prossima mossa, forse sapendo già quello a cui stavo andando incontro. Le sue mani calde si posarono sul mio viso mentre il mio cuore batteva all’impazzata. All’improvviso, mi baciò e riuscì a percepire una certa intensità emotiva in quel bacio come se volesse dirmi qualcosa. I miei occhi si chiusero, dopo che erano rimasti aperti e increduli per quel gesto così improvviso e la mia mano si posò timidamente sul suo fianco quasi timorosa di sfiorare la sua pelle. Non ero certa di quello che stavo facendo ma allontanarmi da lei, mi era davvero difficile. Persino i miei sentimenti nei suoi confronti erano incerti, confusi e ogni volta che arrivavo ad una conclusione mi dicevo che non era vero e così cercavo di depennare qualsiasi sensazione, emozione che mi suscitava anche il solo pensare al suo nome. Tutto lentamente svanì quando in lontananza, senti una voce. Una voce forte, chiara, decisa e anche arrabbiata, forse un po’ spaventata. “Erika, Calliope uscite immediatamente dall’acqua.” Era Thørnbjorn. Mi allontanai immediatamente da Erika, spaventata. Il nostro destino era davvero in pericolo.
     
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    Non era stato amore a prima vista, quello che provava Erika per la Rider, quando si erano conosciute erano troppo piccole perché l'attrazione fosse tale far nascere un sentimento così grande. Erano state complici sin da subito, questo sì. C'era sempre stata una sorta di simpatia reciproca, sin dal principio dei tempi. In un certo senso, quando si erano conosciute, Erika sentiva che tra loro si sarebbe creato un legame. Di fatto, dal giorno in cui i genitori le avevano fatte incontrare, le due non si erano più separate. Dopo anni di solitudine, durante i quali Erika aveva dovuto superare la perdita della madre in silezio, finalmente qualcuno era lì per lei come nessun altro aveva fatto in vita sua. Allora, nemmeno la norvegese sembrava capire cosa si nascondesse dietro ai gesti più comuni di gentilezza, come i disegni che faceva per Calliope, o i piccoli fiorellini che raccoglieva negli immensi cortili della tenuta del padre e che faceva puntualmente recapitare in camera dell'altra. No, Erika non poteva immaginare che tutte le volte che cercava il contatto fisico con Calliope (un abbraccio, o il gesto più semplice di addormentarsi poggiata alla sua spalla) non lo faceva per dimostrarle del semplice affetto. Non c'era malizia nei suoi gesti, ma aveva capito di volere di più quando quei semplici contatti avevano cominciato a starle stretti. E allora, era successo sempre più spesso che Erika si ritrovasse a giocherellare con le dita affusolate della Rider, o si infilasse nel suo letto per dormire stretta a lei. Gesti ancora immaturi, ma che avevano un forte effetto sulla norvegese.
    «Erika, Calliope uscite immediatamente dall’acqua» la voce di Thørnbjorn tuonò da lontano. Le gambe di Erika si fecero improvvisamente molli, come a voler preannunciare il peggio. Riuscì a malapena a scambiare uno sguardo con l'altra, che si trovò scaraventata con la schiena contro il tronco di un albero poco lontano e il tutto senza che l'uomo si scomodasse. «Portatela subito dentro.» ordinò Thørnbjorn ai due domestici che lo accompagnavano. «Calliope! Lasciala stare!!!» urlò la norvegese, paonazza in volto, come se - qualcunque incanto avesse usato l'altro - la tenesse legata alla corteccia ruvida dell'albero. L'Haarde senior attese che la figliastra fosse abbastanza lontana da non poter riferire quello che avrebbe sicuramente visto, prima di avvicinarsi minacciosamente alla figlia. Le afferrò i capelli e le tirò indietro la testa. «Tu. Dannata mocciosa. Sei la vergogna di questa famiglia.» la aggredì, ignorando i lamenti soffocati di Erika, la quale non gli avrebbe dato nessuna soddisfazione, nemmeno quella di vederla soffrire. «Da questo momento in poi scordati quella ragazza, o qualsiasi altra ragazza. Se solo ti vedrò parlare con lei, guardarla, o avvicinarla in qualche modo, giuro su tua madre che farò in modo che lei si scordi ogni cosa. Sai che posso farlo. Non giocare con me, Erika.» la minacciò, allentando la presa di colpo e costringendo così la norvegese a cascare in avanti, sulle ginocchia. «Sei un dannato scherzo della natura.» sputò l'uomo, camminandole intorno pensieroso. «Tua madre aveva ragione. Avremmo dovuto rifiutarti quando nessuno se ne sarebbe accorto. Ora non sarei costretto a guardare mentre distruggi questa famiglia e infanghi il mio nome.» continuò, rabbiosamente. Erika, che era rimasta inginocchiata sul prato difronte a lui, non disse una parola, ma indurì la mascella e lasciò che un'unica lacrima solitaria le solcasse il viso. Il padre non avrebbe potuto vederlo. «Non me ne frega niente di ciò che fai fuori da queste mura. Che ti piaccia o no, tu ti sposerai e metterai al mondo un erede. E lo farai quando te lo chiederò, o la pagherai. Chiaro?» la ammonì. Quando poi vide che la figlia non accennava a dare risposta, agitò la bacchetta e la costrinse a guardarlo. Si inginocchiò per parlarle vicino all'orecchio. «Non te lo ripeterò un'altra volta. Stà lontana da Calliope.» le intimò, ignorando il viso umido della Haarde. Un ultimo breve sguardo tagliente e Thørnbjorn la superò. «E datti una ripulita. La cena sarà servita in tavola alle 19 in punto. Pretendo che tu ci sia.» le ordinò sprezzante, mentre si allontanava.
    Erika non ebbe la forza di alzarsi, ma appoggiò la schiena al tronco dell'albero che si ergeva proprio dietro di lei e, tremante, scosse il capo e agitò i piedi nella terra. Avrebbe dovuto prevederlo. Aveva ignorato i rischi, e per la seconda volta, si era lasciata guidare dall'istinto, un istinto che - prima o poi - le avrebbe fatte ammazzare entrambe. Osservò il prato in mezzo al quale era seduta senza vederlo davvero e ripensò a Calliope e a quel bacio. L'aveva sentita l'incertezza dell'altra. Non l'aveva rifiutata, ma qualcosa la fece dubitare di aver preso la decisione giusta. Forse aveva frainteso tutto sin dal principio. Forse, Thørnbjorn aveva ragione. Le lacrime si susseguirono una dopo l'altra ed Erika, questa volta, non le fermò. Singiozzò e, raggomitolata su sé stessa, appoggiò la fronte alle ginocchia. Non l'avrebbe più cercata. Quel giorno, si convinse che tutto sommato sarebbe stato meglio così. Non l'avrebbe più messa in pericolo, né lei, né i loro ricordi insieme. Preferiva che la Rider crescesse con quei ricordi, piuttosto che con quel vuoto che provava lei. Sì, sarebbe stato meglio così.
     
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    Mi paralizzai all’istante. Gli occhi rimasero spalancati come se avessero visto un fantasma, le mani divennero rigide e si fermarono lungo i fianchi e i piedi man mano affondavano sempre di più nel terreno mentre il mio petto si alzava e si abbassava velocemente. Non riuscivo a proferire parola, dalla mia bocca non usciva nessun suono e tutto ciò che accadde dopo apparve ai miei occhi come un film a rallentatore. Un susseguirsi di immagini in stop motion, figure che si muovevano piano e grida che arrivavano ovattate alle mie orecchie. Sentì il signor Haarde ordinare alle sue guardie di portarmi via e in men che non si dica, venni sollevata da terra contro la mia volontà e trascinata via da Erika senza che avessi la possibilità di spiegare, di dire qualsiasi cosa per cercare di difenderla. E nella mia testa una voce continuava a ripetere: Callie cosa hai fatto? Già, cosa avevo fatto. Se non avessi raggiunto Erika e non l’avessi spinta nel lago, a quest’ora non saremmo in pericolo e probabilmente il signor Haarde non sarebbe riuscito a scoprirci così velocemente. Avevo gettato Erika in pasto al padre che era l’uomo più avido di sentimenti che conoscessi, un uomo così crudele che i mangiamorte a confronto erano dei cuccioli ammaestrati, un uomo che non aveva a cuore sua figlia ma che la vedeva soltanto come un peso di cui disfarsene. Quell’estate era finita nel peggiore dei modi e il bello era che quello non era che l’inizio di quello che ci sarebbe capitato nei giorni successivi. Forse, quella volta, avevamo davvero esagerato e lo avevamo fatto alla luce del sole consapevoli che prima o poi saremmo state scoperte.
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    La porta della mia stanza si aprì e venni scaraventata sul pavimento come si fa con un qualsiasi sacco di patate. Per essere delle guardie reali, non sapete come si tratta una principessa. Dovete r-. La mia lingua era tornata al mio posto ma a qualcuno in quella stanza, non piacque affatto. “Calliope, sta’ zitta. Potete andare.” Era mia madre. A quanto sembrava la faccenda era più grave del previsto. Che ci fai tu qui? Le domandai rimettendomi in piedi e cercando in quella stanza una coperta con cui asciugarmi. “Che avevate in mente di fare tu ed Erika giù al lago?” L’abilità di mia madre di rigirare le domande a suo piacimento, era incredibile. Ci stavamo godendo l’estate, cosa che tu e mr. uomo delle nevi non ci avete permesso di fare. Mi misi subito sulla difensiva. Mia madre era cambiata parecchio da quando si era innamorato di Thørnbjorn e io non riuscivo più a riconoscerla. Non mi piaceva. “Non parlare in questo modo di tuo padre.” Scossi la testa. Lui non è mio padre, ma’. E mai lo sarà! Le urlai contro, muovendo un passo in avanti. Non volevo essere figlia di quell’uomo lì, non mi piaceva e non mi piaceva il modo in cui trattava Erika. La trattava non come se fosse una della famiglia ma come se fosse una ragazza qualsiasi, non gli importava realmente di lei e a me questa cosa faceva incazzare. Dovevo andare da lei. “Dove stai andando?” Mi domandò. Da Erika. Dovevo salvarla. “Tu non vai da nessuna parte Calliope, devi capire quando è il momento di finirla con queste stupidaggini.” Stupidaggini? “Quello che c’è tra di voi, non può esistere. Erika è destinata ad altro, un destino a cui Thørnbjorn tiene molto e voi lo state ostacolando.” Quanto odiavo quando parlava del re Haarde in quel modo. Da quando siamo qui, ti importa solo di quello che interessa a Thørnbjorn. Mi hai mai chiesto cosa ne pensassi io del tuo matrimonio con quell’uomo spregevole? O se volessi andarmene con papà piuttosto che venire rinchiusa in questo castello del cazzo? O se mi andasse bene l’idea di diventare una principessa o queste puttanate qua? Te lo sei mai chiesta? Tutto ciò che avevo custodito gelosamente dentro di me, stava uscendo fuori proprio in quel momento. Guardati, ti importa soltanto di te stessa e di quel tuo stupido titolo nobiliare. Sibilai velenosa. La odiavo e non la riconoscevo più come mia madre. ”Adesso basta Callie, non ti permetto di mancarmi di rispetto in questo modo. Questa è la nostra vita, che ti piaccia o meno e ci sono delle regole che devi rispettare e sarà meglio per te che impari a farlo. Forse non ti rendi conto che è per colpa tua che la figlia di Thørnbjorn si trova in quelle condizioni. Se ci tieni a lei, devi fare come diciamo noi o ci saranno conseguenze molto gravi per entrambe.” La vidi avvicinarsi pericolosamente a me. Quali conseguenze? Andare a letto senza cena? Sai che tragedia, sono una strega e posso farmi apparire qualsiasi cosa io voglia. La mia testardaggine e la mia bocca non sapevano mai quando smetterla. “Dì pure addio ad Erika perchè questa è l’ultima volta che la vedrai. Devi lasciarla andare, Callie e lasciare che viva la sua vita da reale come è giusto che sia.“ No, no, no. Io non volevo lasciarla andare, io non volevo che lei vivesse la sua stupida vita da reale, io sapevo che nemmeno lei voleva questo, io non glielo avrei permesso e non avrei nemmeno permesso ai nostri genitori di trattarci in questo modo. Non ve lo permetterò mai, stanne certa. Vi siete appena fatti un nuovo nemico mamma e questo nemico non cederà fino a quando non la smetterete di comportarvi in questo modo. Quella era più che una promessa. “Non puoi combattere cose che sono più grandi di te, Calliope. Non ce la faresti mai ed è arrivato il momento che tu ti assuma le tue responsabilità, questa è la mia parola contro la tua. Ora cambiati, la cena ti verrà servita in camera.” Cosa? Tu non puoi farmi questo. Avevo perso. Sono tua madre fino a prova contraria, posso farlo eccome e lo sto facendo per il tuo bene tesoro.” La porta si chiuse ed io crollai nuovamente per terra consapevole del disastro che avevo combinato. Avevo rovinato la vita ad entrambe, per me ed Erika non c’era più nulla da fare. Dovevo lasciarla andare e non intromettermi più nei suoi affari o nella sua vita. Era giusto così. Ma mentre pensavo a queste cose, una lacrima rigò il mio viso.
     
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