Posts written by Ellie.

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    Certe volte, avanzare per il castello troppo frequentato, rimanendo in disparte per osservare gli altri, le faceva credere che essere un’outsider non era poi così male. Erano le giornate buone quelle dove Danielle riusciva ad apprezzare i contorni di quella nuova vita, di quella nuova sé stessa che, con le unghie e con i denti, era riuscita a tirarsi fuori da quella voragine di sofferenza nella quale gli eventi l’avevano portata a precipitare. C’erano appunto giornate buone – come quella – e giornate peggiori dove invece lo sconforto la faceva da padroni. Nelle giornate buone la Richards amava guardarsi attorno, silenzio – anonima – mentre studiava chiunque la circondasse e i propri movimenti, espressioni. Erano tutti così pieni di vita, caotici. Si limitava a fare la spettatrice osservando le interazioni attorno a lei con pacifico distacco. Questo erano le giornate positive: pacato distacco, studio ma erano poche le giornate in cui riusciva a mantenere quel piacevole quanto confortevole mood mentale.
    Le giornate negative, invece ed il più delle volte, erano sentenziate in partenza dal meteo che la Scozia avrebbe regalato quel giorno e considerato che l’intera isola non vantava chissà quale clima magnanimo; quella caligine di negatività andava posandosi e sedimentandosi anche nell’animo della giovane Corvonero. Quelle giornate non erano affatto semplici da gestire e la giovane, particolarmente sensibile agli stimoli nella quale era immersa, subiva qualsiasi evento negativo incassando il colpo più duramente di quanto lo fosse in realtà l’evento stesso. Era sufficiente, ad esempio, che le compagne di stanza uscissero prima di lei per la colazione dimenticandosi di portarsela dietro per far precipitare la Richards nella voragine dell’esclusione. La mora si sentiva immediatamente messa da parte per quanto lei fosse la prima a non ricercare con particolare enfasi la compagnia altrui. Sapeva fosse colpa sua e del suo modo di essere ma una parte di sé desiderava ardentemente che qualcuno abbattesse quei muri, che a qualcuno importasse davvero di lei e che quel qualcuno non andasse via come avevano fatto le sue sorelle. Si sentiva abbandonata.
    Sognava di essere una donna indipendente, forte e carismatica e in un passato nemmeno troppo remoto era stata quel tipo di persona ma gli avvenimenti l’avevano cambiata. I continui colpi al suo sensibile cuore avevano fatto in modo che uno spesso muro di ghiaccio si sollevasse portandola ad estraniarsi dal mondo, dalla vita stessa quasi ne fosse diventata una spettatrice di passaggio. Non era esistenza quella ed una parte di Danielle ne era cosciente ma non sapeva come fare, come cambiare così come non sapeva come attrarre a sé delle nuove amicizie. Si sentiva inadatta ed in quanto tale non riusciva a porsi. Perennemente a disagio e con il timore d’essere giudicata più di quanto non lo fosse stata nella sua precedente esperienza dalle malelingue del castello. Non denigrava ciò che stava pian piano ricostruendo con la Tassorosso ma era conscia che alla sua età non fosse normale possedere una sola persona al proprio fianco. Una sola persona alla quale affidare quel titolo e con esso parte del suo cuore, della sua essenza. Rose era un’amica certo e condivideva il suo tempo con lei ma era come se la loro amicizia viaggiasse con il freno a mano tirato. Le loro confidenze ed interazioni erano superficiali e la Richards non era mai riuscita a fare il vero passo aprendosi con lei, lo stesso non sembrava provenire dalla White. Danielle si era messa a disposizione ma ciò che Rose si portava dentro e lasciava trapelare in alcuni momenti, lì dove il suo sguardo s’assentava sprofondando nei meandri della sua mente, non raggiungeva mai la superficie finendo per celarsi dietro uno dei suoi pacati sorrisi. Danielle annuiva ma mai l’avrebbe forzata e lo stesso riceveva in cambio. Erano quindi pochi i progressi che aveva fatto da quando aveva lasciato Ilvermorny e per quanto la dottoressa Conroy non l’avesse pressata in merito, leggeva nel suo sguardo la preoccupazione nei suoi riguardi seguita da alcuni rapidi appunti che portavano la Corvonero a boccheggiare alla ricerca di qualcosa che frenasse il grattare della piuma. Quella piuma la turbava.
    «Danielle» l’aveva fermata una volta la donna sistemando i sottili occhialini dalla montatura dorata, la stilografica per un istante ferma dal prendere appunti. «Non si tratta di far felice me. Qui si tratta di te. Del tuo percorso. Se non sei sincera...» E lei, appunto, non era sincera.
    Si ridestò di colpo, per un attimo spaventata dalla pallina di carta piombata a pochi centimetri dal suo bicchiere ma che, fortunatamente, non aveva centrato lo stesso o il piatto colmo solo a metà di ciò che aveva selezionato per il pranzo. Sbatté le palpebre meravigliata ma la sensazione durò solo qualche istante prima di ricordarsi che il mittente di quel biglietto poteva essere unicamente una persona: William Knight che aveva scelto di tempestarla senza lo spiraglio di una tregua. Ed esattamente come si aspettava, trovò la sua grafia a vergare le poche parole di quell’ennesimo bigliettino:
    “Oh, andiamo!! Non vedi come soffro?”

    Aveva qualche dubbio in merito tuttavia il suo sguardo s’alzò meccanicamente rivolgendosi alla ricerca del volto tra le fila dei Grifondoro. Infatti, eccolo lì, seduto proprio nella sua direzione quasi fosse stata intenzionale quella scelta atta proprio a verificarne la reazione. Di lei. Come se davvero gliene fosse importato qualcosa. Danielle incrociò i suoi occhi di quella particolare mistura tra l’azzurro ed il verde, i lineamenti erano tesi e lasciavano intuire la palese frustrazione che il suo atteggiamento gli causava. Strinse lo sguardo mentre una cocente rabbia le montava dentro. Le dita tremarono e sotto il suo sguardo sollevò il biglietto riducendolo in mille pezzi che ricaddero nel piatto. Fanculo alla sua sofferenza! Ai sentimenti altrui non aveva nemmeno lontanamente pensato quando aveva usato quella sua concasata e come lei chissà quante altre! Magari Danielle avrebbe semplicemente fatto parte di una futura prova, una qualche futura tacca da spuntare per le sue risate e quelle dei suoi amici. Usata e gettata ancora una volta. Usata in quello stanzino, abusata... No.
    Le mani batterono sul tavolo e le stoviglie tintinnarono per quell’impeto di collera. La Corvonero s’alzo, la fame del tutto passata, ed uscì dalla Sala Grande a spedite falcate. Ironico. Non aveva dovuto nemmeno giustificarsi con nessuno del suo atteggiamento. Com’erano cambiate le cose rispetto al passato.
    Un’ennesima giornata negativa.

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    Ma era impazzito?!
    Sbarrò gli occhi quando il biglietto si ridusse in cenere tra le sue mani pizzicando con il calore la pelle dei palmi. Si rifugiò nella sua stanza, dove si chiuse nel tentativo di seminare il Grifondoro ed i suoi insistenti biglietti ma nemmeno lì trovò la quiete a lei necessaria. Minuto dopo minuto il susseguirsi di gufi alla sua finestra non smetteva di distrarla dalla relazione che stoicamente cercava di mettersi avanti. Cercò d’ignorarne uno ma presto al barbagianni dal candido piumaggio se ne aggiunse un secondo, poi un gufo, poi un altro che, tutti insieme, batterono insistentemente i loro becchi alla finestra in attesa che la mora permettesse loro di effettuare la consegna. Persino un topo riuscì ad entrare nella sua stanza e a depositare sulla scrivania un foglietto arrotolato sul suo dorso. Gli occhi della Richards si sbarrarono dal terrore ma era talmente allibita che non emise un singolo fiato. Afferrò la sua tracolla infilando alla rinfusa le cose al suo interno e scappò anche da lì scendendo rapidamente i gradini fino a giungere al terzo piano dove risiedeva il suo rifugio per eccellenza: la biblioteca.
    Vi entrò trafelata, a testa bassa, mentre si dirigeva nella solita nicchia che occupava dove gettò la borsa e affondò il viso nei palmi. Le veniva da piangere, da urlare e avrebbe tanto voluto qualcuno con cui parlare apertamente. Qualcuno che sapesse e comprendesse come si sentiva e perché si sentiva a quel modo. Qualcuno che potesse capire ma allo stesso tempo non provasse pena per ciò che le era accaduto. Avrebbe potuto parlare con Rose ma la Tassorosso non sapeva cosa le era successo, come si sentiva e perché reagisse proprio in quel modo e Danielle non riusciva a dirglielo. La perfetta dei tassi aveva provato ad aiutarla per questioni meno importanti consigliandole di essere semplicemente sé stessa con il Grifondoro ma lei non era più la ragazza che aveva conosciuto, la ragazza sicura di sé carismatica e sorridente che era stata. Quella Danielle non c’era più. Era stata spazzata via.
    Rovistò nella borsa notando solo allora che non aveva preso la pergamena sulla quale stava lavorando. Lacrime di frustrazione s’affacciarono sul suo viso. Era un disastro totale. Espirò distendendo le mani, osservandone il tremore ma intimandosi di contenerlo, sopprimerlo e quando si sentì più calma s’alzò di colpo ma quando fece per voltarsi e compiere il primo passo andò a sbattere contro una figura alla quale caddero i tomi impilati sulle braccia.
    «Au!» Mugugnò la Corvonero massaggiandosi il fianco che, nell’impatto, aveva urtato contro lo spigolo. Le sarebbe uscito un bel livido.
    «Santa Priscilla! Mi scusi!» Esordì sbarrando gli occhi quando mise a fuoco l’identità della persona che aveva travolto. «Mi scusi…! Io… Io non l’avevo vista.» Si chinò immediatamente gettandosi alla raccolta e al successivo passaggio di mano per riconsegnare i tomi. «Ero distratta», concluse in un soffio.
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    Non sapeva che cosa aspettarsi più da quella scuola che era tornata a frequentare ora che, addirittura, non potevano parlare di una pianta davanti ad altre persone. Era Hogwarts ad essere diversa, o era Rose?
    Danielle sbatté gli occhi per un attimo interdetta da quella richiesta dell’amica. Ricordava benissimo che in quella scuola tutti origliassero i fatti di tutti, persino chi non si sarebbe detto avvezzo alla chiacchiera aveva l’udito finissimo e sembrava ascoltare ciò che si dicesse in giro per poi riportarlo, magari edulcorando, alla propria cerchia. Così, come un telefono senza fili, finiva che una sciocchezza di poco conto si trasformasse in un’evento d’importanza capitale. Ellie ne era stata vittima e, non lo escludeva, talvolta persino il carnefice, riportando a sua volta ciò contro cui si scontrava alle sue amiche poiché sapessero cosa si diceva in giro. Così era stato per la gravidanza di Vanja o gli impeti di rabbia di Skylee o persino quando s’era trovata Kynthia ad essere la pietra dello scandalo del periodo. Aveva sempre odiato però quel fare, quel dover confabulare ergendosi dall’alto di un piedistallo che sembrava conferire la verità assoluta investendo l’individuo della carica di giudice e boia. La gente finiva per sentenziare, per puntare il dito e per ricoprire l’oggetto delle proprie chiacchiere della vergogna che loro s’erano sentiti in dovere di sobbarcare. Odiava tutto questo e l’odiava poiché troppe volte era lei stessa stata l’oggetto dello scandalo. Troppe volte aveva sentito dire cattiverie e falsità sul suo conto, persino opere di pura fantasia quando era venuta fuori la sua appena abbozzata relazione con il professore di volo del tempo. Le avevano dato dell’opportunista, della venale e chiunque s’era sentito forte del proprio giudizio pensando di poter parlare per lei di poter sentenziare per lei come se qualcuno lì dentro di loro l’avesse mai davvero conosciuta. Danielle aveva amato di un amore sincero il docente, quel mago dall’età nettamente superiore alla sua ma mai lo aveva fatto per un proprio tornaconto. Era semplicemente successo che dalle semplici ripetizioni a causa delle sue vertigini finissero poi a parlare d’altro, di loro, delle loro ambizioni e storie e che da lì l’interesse evolvesse. Era stato bello ma non era stato destino ed il mago era stato immediatamente allontanato dalla scuola, bandito dall’insegnamento. Era vero che tra loro le cose s’erano evolute naturalmente e che Danielle non fosse mai stata forzata a far nulla di ciò che non volesse ma era anche vero che all’epoca la Corvonero fosse minorenne mentre estremamente vicino al soglia dei quarant’anni. Non era sano e non era nemmeno giusto per quanto guardandosi indietro, con l’immaturità della sua ancora giovane età, la Richards non vi vedesse nulla di male poiché portato avanti con la mera sincerità delle intenzioni. Cos’era l’età se non un limite in una popolazione in cui l’aspettativa di vita era così prospera? Poteva essere considerata così male tutta la vicenda nonostante le intenzioni più pure? Per Danielle era ingiusto ma era sempre il giudizio di una ragazzina di appena diciott’anni per quanto ne avesse viste e vissute fin troppe sulle sue esili spalle.
    Poteva capire, insomma, quella tipologia di chiacchiere. Poteva capirne l’avversione e poteva anche condividerla ma faticava a mettere sullo stesso piano d’importanza l’argomento. Come poteva essere la scoperta di una pianta, seppur particolare e con tutte le caratteristiche del caso, degna delle attenzioni di quel branco di comari? Inclinò il capo osservando con la coda dell’occhio, nel tentativo d’essere il più discreta possibile, i loro immediati vicini immersi in una fittissima conversazione. Osservò ancora questa volta girando quasi del tutto il volto mentre esplorava i volti attorno a loro: tutti sembravano impegnati e nessuno sembrava essersi accorto di loro, nessuno le considerava. Arricciò il naso emanando un sospiro e strinse le ginocchia in una posa maggiormente composta prima di tornare al volto sereno della Tassorosso.
    «Ma certo, come preferisci!» Alla fin fine non le costava alcun sacrificio avvallare quella piccola richiesta inoltre, dal canto suo, adesso si sentiva molto più a suo agio in ambienti più raccolti e con molte meno persone al proprio interno. Non a caso uno dei suoi rifugi preferiti lì al castello era diventato la biblioteca con le sue nicchie e gli alti scaffali in grado di separare gli ambienti donando anche solo la parvenza di una contenuta e voluta intimità.
    Abbozzò un sorriso ed entrambe accantonarono quell’argomento per tornare sulle vicissitudini del momento. Danielle, per l’ennesima volta, si scusò del suo ritardo raccontandole del breve incontro avuto con William, il Grifondoro del loro anno super confusionario, e con il suo gruppo d’amici. Era strano averlo attorno – non che lei lo cercasse, capitava! – così spesso. Riusciva a strapparle un sorriso, a volte, ma anche a farla arrabbiare oltremisura quando il suo giudizio o i suoi modi finivano per metterla in imbarazzo. Non sapeva nemmeno lei come trattare la cosa per il momento ignara che, lo stesso destino, avrebbe deciso di lì a qualche giorno portandola a scoprire un lato di lui che l’avrebbe allontanata di netto. Rose le consigliava d’essere sincera con lui, d’essere sé stessa ma nemmeno Danielle sapeva più chi lei fosse e temeva che quella nuova versione di sé non fosse più in grado di interfacciarsi con il prossimo. Non in maniera naturale quantomeno. Nè pensava/voleva farlo. Stava bene nel bozzolo della sua solitudine, per quanto, in determinati momenti sentisse la necessità del calore umano. Quella vicinanza, quel calore... forse avrebbe potuto darglielo un legame d’amicizia, Rose, se fosse stata in grado di non mandare anche quello a monte.
    Ma tutti i suoi piani e soprattutto i suoi buoni propositi saltarono in aria quando un ragazzino munito di una macchina fotografica magica più enorme di lui si piantò di fronte a loro di punto in bianco abbagliandole con il flash. Ellie strillò agitando le mani di fronte a sé mentre la vista le andò a mancare per poi, molto lentamente, tornare fintanto che Rose – un’inaspettata imperturbabile Rose – gestiva la situazione addirittura schernendo il ragazzino che doveva essere finito a terra da ciò che la Tassorosso diceva.
    «Rose non vedo niente! Che succede?» La voce le uscì stridula per quanto il torno fosse appena soffiato, tremolante. Non era a suo agio. Affatto. L’idea che le persone presenti in Sala Grande fossero girate verso di loro per capire cosa stesse succedendo, verso di lei, così inerme per colpa del flash. Un nodo pesante si formò all’imboccatura dello stomaco mentre il cuore accelerò la sua corsa saltandole in gola.
    Si chinò su sé stessa moderando i respiri, cercando di concentrarsi su di essi e non sulla pressante sensazione di tutti quegli sguardi puntati addosso.
    Rose rideva di quella situazione ma lei no. Lei no.
    «Sai cosa? Dobbiamo svagarci! Dobbiamo prendere in mano la nostra età e non pensarci su! Siamo troppo riflessive. Si! Un po’ di aria fresca e nuove esperienze in allegria ci faranno bene!» Aveva ragione obiettivamente ma la Corvonero non era nella posizione di riuscire ad ascoltare davvero quelle parole, riuscire a capire quel discorso. Il panico, sordido infame, stava prendendo possesso di ogni suo pensiero e reazione mentre la vista finalmente tornava riducendosi ad un’unica macchiolina scura nel suo campo visivo. Il suo sguardo vagò notando con orrore i volti diretti girati nella loro direzione ed in quella del ragazzino che si stava schernendo scattando altre foto di chissà quale incomprensibile scoop. Mandò giù il groppone.
    «N-ne riparliamo.» Balbettò afferrando la sua tracolla. «Scusami Rose, non mi sento tanto bene.» Con movimenti scattosi infilò in spalla la borsa ed alzandosi di scatto fuggì via dalla sala in cerca del suo confortevole silenzio.


    CITAZIONE
    CONCLUSA.
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    Non c’era modo migliore, per scoprire sé stessi, che uscire dalla propria zona di comfort ripeteva sempre la dottoressa Conroy a quella sua paziente tanto chiusa quanto testarda. Danielle Richards non era una paziente come un’altra e per due motivi: era la figlia di due suoi carissimi amici e colleghi, proprio i signori Richards e poi perché la dottoressa aveva letto dentro quella giovane tanto buona e educata tanta di quella sfortuna e sofferenza che a giudizio dell’anziana donna, una ragazza così giovane non avrebbe mai dovuto sperimentare. Le faceva pena e allo stesso tempo peccato poiché non la considerava meritevole di tanto dolore, eppure, ciò che si teneva dentro non era nemmeno immaginabile e la terapeuta era conscia che quanto fosse riuscito a farle confessare durante quelle sessioni non fosse la totale verità ma solo la punta di un iceberg volutamente celato al mondo esterno. Era quello il problema di Ellie: portava dentro troppo segreti, suoi e soprattutto non. Coloro che reputava le sue sorelle erano andate via ed i contatti, per la maggiore, andati persi ma ciò non le impediva di mantenere lealmente in custodia quanto aveva vissuto e sentito. Seppur fosse sempre stata contraria alla decisione di Vanja in merito alla sua gravidanza, Ellie, non aveva più mostrato rimostranze con l’amica rispettando la decisione da lei presa ed anzi decidendo di affiancarla prendendo attivamente parte, dove l’amica glielo consentiva, nelle scelte. Daniella l’aveva supportata durante l’intero percorso. Vanja aveva poi perso tragicamente la bambina e, con essa, aveva scoperto un lato di sé da sempre sopito nei suoi geni: la licantropia. Essa, come un flagello, aveva preso le loro speranze accartocciandole per poi gettarle in un baratro. A nulla era servito darle tempo, a nulla starle accanto. Vanja, ancora una volta, aveva scelto per sé fregandosene delle conseguenze sul prossimo e, soprattutto, fregandosene del dolore – seppur inespresso – altrui.
    Anche Danielle aveva avuto bisogno della loro presenza ma, a dispetto di quanto si erano promesse arrivando persino a sfiorare l’atto di un giuramento magico, nessuna c’era stata e da lì la presa di coscienza e la successiva fuga negli Stati Uniti. Un modo per ricominciare, un modo come un altro per lasciarsi tutto alle spalle. Ma cosa aveva lasciato nel concreto? Sè stessa e nulla più mettendo da parte quella che era stata la sua personalità per ergere quella corazza fatta di insicurezze e timori. Nascondersi dietro le ansie, dietro le remore era nettamente più semplice che vivere di petto la vita, le esperienze ed era anche per questo motivo che la ragazza aveva preso ad “ingurgitare” una quantità di libri di narrativa – forse – eccessiva. Vivere attraverso quelle pagine era più semplice, più sicuro rispetto alla vita vera. La vita era cruda, brutale e sopra ogni cosa non guarda in faccia a nessuno. Non c’è giustizia nel mondo reale e Danielle lo aveva provato sulla sua fragile pelle.
    Rivestita da quella corazza, quindi, le uniche cose che conosceva erano le certezze nei riguardi di ciò che non voleva più provare anche se questo altro non faceva che chiuderla in un bozzolo di solitudine il cui unico sollievo era donato da quel mondo fantastico. E proprio in quella fantasia, la Corvonero, vi andò ripiegando per ammazzare il tempo. In netto anticipo rispetto a quanto concordato, Danielle, s’era portata sul luogo dell’appuntamento con quel gruppo di ragazzi scegliendo di fidarsi, non con poche remore, del sorriso del Grifondoro. Era stata una buona scelta? Di lì a poco lo avrebbe scoperto. Con un sospiro si tirò su facendo leva sui palmi appoggiati al davanzale tirandosi sul pianale formato dal davanzale in pietra. Sistemò la tracolla in cuoio consunto al suo fianco e vi rovistò con mano sicura all’interno estraendo l’ultimo libro preso in prestito dalla biblioteca scolastica. Ripescò il segno immergendosi immediatamente nella lettura: era diventata brava ad estraniarsi.
    Questo fino a che una voce squillante, seppur incerta, non la chiamò a gran voce utilizzando il nomignolo che accorciava il suo nome altrimenti infinito.
    «Ellie! Sei venuta!» Era in anticipo anche lui alla fine ma, e le sopracciglia della giovane si unirono in una delicata linea corrucciata, perché usciva dallo sgabuzzino?
    «Sì, sono un po’ in anticipo mi sa» abbassò lo sguardo sul libro inserendovi l’indice per mantenere il segno che avrebbe successivamente mantenuto con un segnalibro apposito ma il Grifondoro non sembrò curarsi particolarmente delle sue giustificazioni assumendo invece un tono frettoloso mentre faceva per sistemarsi di un poco l’abbigliamento guardandosi alle spalle. Aveva già portato a termine la prova per cui, Danielle, aveva mancato “lo spettacolo”.
    «Ah» replicò un poco avvilita inserendo quindi il segnalibro all’interno delle pagine e, con calma, inserendolo all’interno della tracolla.
    «Ma tra mezz'ora sarà il turno di Nate! Vieni dai [...] Inutile ormai stare qua!» Incalzò l’altro prendendola in contro piede per la strana fretta.
    «Sì ok, va bene.» Tirò di poco indietro la spalla quando lui fece per sfiorarla sottolineando quell’incomprensibile fretta e fu allora che la porta dello sgabuzzino s’aprì rivelando niente poco di meno che una sua compagna di casa, Jenna Evans, intenta a darsi un’ultima sistemata al caschetto di capelli biondi.
    Danielle si gelò sul posto, le labbra schiuse nell’ulteriore replica perplessa da riservare al Grifondoro.
    «Liam! Sei ancora qui!» Squittì la biondina avvicinandosi immediatamente per avvinghiarsi intorno al braccio del moro.
    Fu allora che lo sguardo della Corvonero andò a percepire i dettagli – fuori posto – del suo abbigliamento. La divisa stropicciata aggiustata alla bell’e meglio nei calzoni e, con sgomento, il mantello troppo corto che doveva appartenere alla ragazza. Lo sguardo saettò ai profili e, successivamente, al stemma bronzo-blu della sua casata.
    «Devi aver preso il mio mantello nella fretta!» Ridacchiò l’altra mentre sul volto di Danielle andava formandosi un sorriso ferito. «E lei? Chi è?!»
    La Richards sollevò le sopracciglia. Wow! Sapeva d’essere anonima ma addirittura non accorgersi di una sua stessa compagna di casa... Incassò il colpo ribattendo immediatamente prima che potesse farlo il Grifondoro:
    «Nessuno!» S’affrettò a dire lanciando poi un’occhiata lampeggiante al ragazzo. Era questo il tipo di divertimento delle loro sfide? Illudere ignare quanto magari speranzose ragazze? La rabbia la portò a stringere i pugni e, con movimenti scattosi, portò meglio sulla spalla la tracolla. Scese dal davanzale rizzando bene le spalle.
    «Non farti illusioni, ti ha solamente usata» fece rivolgendosi alla compagna che strabuzzò gli occhi stringendosi maggiormente al braccio del ragazzo confusa ma allo stesso tempo incapace d’accettare quella che doveva essere la realtà. Danielle lanciò un ultimo sguardo al Grifondoro, alle sue possibili giustificazioni e, scuotendo il capo, si allontanò evitando qualsiasi ulteriore commento. C’era cascata. Di nuovo.
    Che delusione.


    CITAZIONE
    CONCLUSA.
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    Di nuovo a chiacchierare con Rose, come ai vecchi tempi, come se tutto fosse stato come sempre, eppure tutto era cambiato, nulla era rimasto come allora ma né la Corvonero né la Tassorosso erano a conoscenza di ciò che agitava e tormentava l’altra. Quanto era cambiato in quei quasi due anni di assenza. Rose era in grado di riconoscerla ancora? Di rivedere quel barlume d’essenza che l’aveva sempre caratterizzata? Se così fosse stato sarebbe stata decisamente una novità del tutto inaspettata per la Corvonero che a stento, il più delle volte, riconosceva quell’immagine riflessa dallo specchio che sempre meno aveva voglia di guardare. Evitava gli specchi per non vedere più quell’aspetto che aveva finito per essere la sua condanna. «Sei bella da star male» le aveva detto l’uomo per la quale aveva perso la testa per la quale, in quel frangente, si era innamorata. «Ti strapperei quel vestito di dosso» aveva continuato, una premessa che si era presto trasformata in realtà. Danielle aveva voluto quel contatto, aveva bramato quel desiderio che finalmente aveva visto specchiarsi di riflesso nello sguardo del nerboruto guardiacaccia di Hogwarts ma ciò che mai si sarebbe aspettata da lui era stata quella freddezza, quel dolore in quell’atto che la Corvonero aveva sperato sancisse tutt’altro epilogo. Stupida, era stata unicamente una stupida. Una sgualdrina in quell’incoscienza spavalda accresciuta dai fiumi dell’alcool alterato dalla pozione che le avevano obnubilato i sensi accrescendo quella vena seduttrice che, in quella forma, non le era mai appartenuta. Quella notte aveva perso tutto. E più di ogni cosa aveva perso sé stessa. Quella gioia e quel brio di gratitudine verso la vita che ora, a guardare la latina, sembrava essersi perso o, forse, era solo sotterrato in attesa che qualcosa o qualcun* fosse in grado di riaccendere quel fuoco altrimenti sopito.
    Accennò ad un sorriso mentre in un gesto divenuto oramai routine si stringeva il braccio attorno al busto quasi a coprirsi, quasi a tenersi salda nascondendo quel disagio che l’abbigliamento imposto dalla scuola le suscitava. Quella divisa così attillata per i suoi gusti anche se nella realtà non lo era così troppo. Scendeva giusta sposandosi con le sue curve non evidenziandole troppo ma nemmeno nascondendole ed era proprio questo a metterla a disagio: il fatto che si percepissero, il fatto che quel corpo adesso odiato continuasse a prevaricare sulla sua volontà ed era proprio per questo che la Richards si trascurava. Aveva smesso con il trucco che prima aveva sempre adottato per evidenziare i suoi grandi occhi marroni lasciando invece a quelle anti estetiche occhiaie il compito di circondarli. Solo una cosa non aveva smesso di curare: i lunghi capelli scuri che fungevano un po’ da coperta di Linus, avvolgendola e nascondendola seppur anch’essi avevano risentito del trauma perdendo qualcosa in termini di lucidità e morbidezza. La cosa la intristiva, ulteriormente, e benché ne conoscesse i motivi era come se li ignorasse fingendo che non fossero loro la reale causa di quel calo.
    «Non so che tipo di pianta è.» Ammise la Tassorosso passando a raccontarle di quell’arboscello che aveva scoperto. Danielle inclinò il capo focalizzando l’attenzione sull’immagine al rovescio presente sul quaderno dell’amica mentre la mente analitica passava al vaglio tutte le informazioni di Erbologia in suo possesso. Nulla, non le ricordava nulla anche se... no, le foglie non erano fatte a quel modo. Ma cos’era?
    «Strane come?» La incalzò sempre più curiosa in merito all’argomento. Avrebbe voluto vederla, persino voluto che Rose s’alzasse per andare nel suo dormitorio a prenderla. «Sì ti prego!» Replicò immediatamente quando l’altra le propose proprio ciò che stava desiderando con una tale intensità da indurla a pensare che le avesse letto il pensiero o che forse la sua espressione parlasse per lei. «Sì e questa volta prometto che sarò puntuale», si sporse allargando maggiormente i grandi occhi scuri intrisi di mortificazione per l’appuntamento saltato di qualche giorno prima. Non era stata sua intenzione e men che meno nei suoi piani ma il Grifondoro sembrava sempre trovarsi sul suo cammino per uno strano scherzo del destino e lei non aveva proprio saputo dire di no a quel sorriso smagliante e a quegli occhi azzurro-verdi intrisi d’aspettativa. Liam aveva fatto letteralmente irruzione nella sua vita quel pomeriggio parandosi lungo il suo cammino per imporle la scelta di quella carta finendo per scombinare con la sua euforia contagiosa qualsiasi cosa avesse programmato. Non sentiva di fargliene una colpa, anzi, trovava fosse giusto il suo atteggiamento mentre considerava lei quella sbagliata nel modo di recepire e reagire nei confronti del mondo. Sapeva di essersi chiusa irrimediabilmente a riccio ma a cosa l’aveva portata aprirsi? Dolore, solo dolore ed un immenso trauma alla quale far fronte. Abbassò lo sguardo sospirando contrita contro le sue stesse mani intrecciate sul ventre. Come poteva fare?
    «Ti direi di provare a dirgli come ti fa sentire» gli occhi della Corvonero si spalancarono. Dirgli come la faceva sentire? Oddio... no! Avrebbe implicato domande e lei non voleva rispondere a domande né avrebbe voluto aprisi con lui a quel modo. Chi era lui per lei? Nessuno! No, no lo avrebbe solo che spaventato o peggio, magari il Grifondoro avrebbe frainteso costruendosi chissà quali film.
    «Sii te stessa! Non temere di essere te stessa, credimi! » L’espressione si corrucciò. Era sé stessa. Terribilmente. Difendeva con le unghie e con i denti quella nuova versione che aveva creato a difesa della sua persona perché, a prescindere da tutto, non avrebbe saputo come tornare indietro se anche avesse voluto farlo. Ma, al netto dei fatti, non voleva. Farlo avrebbe richiesto di far fronte a tutto il dolore che si portava dentro, a quelle ferite che pensava d’aver sanato con la terapia ma sulla vi aveva messo solo un cerotto. Andava avanti ignorando Danielle, ecco cosa faceva, in quella vita vissuta con il freno a mano tirato troppo timorosa d’affrontare i demoni che aveva dentro ma non doveva essere l’unica ad affrontare qualcosa di più grande di sé stessa poiché anche Rose doveva stare vivendo qualcosa di simile. Danielle osservò le sue mani stringersi sul coperchio di latta mentre Rose, colta da uno stato di trance, lo deformava.
    La chiamò cercando di portarla alla realtà preoccupata che l’amica potesse farsi del male e con estrema dolcezza provò a confortarla ma allo stesso tempo ad aprirsi all’altra mostrandosi ricettiva al suo dolore come lo era stata anni addietro. Il sentimento non è cambiato per me, Rose. Sembrava volerle dire e l’altra annuì chinando il capo a sua volta. Due anime fragili, spezzate, sedute allo stesso tavolo. Forse Rose avrebbe potuto capirla, lei ed il suo passato di abusi fisici di cui però la Tassorosso non aveva mai parlato nel dettaglio ma le parole, per un occhio attento, erano superflue ed i segni intravisti sul corpo della mora erano stati inequivocabili allora.
    «Sai...» Cominciò, la voce flebile, un mormorio stentato costretto nel difficile modo dei sentimenti che rendeva il tutto tremendamente arduo da proferire. In quell’istante Rose era come uno specchio che rifletteva lo stesso dolore di Danielle. «In questi mesi [...] ho sempre trovato me ingiusta e sbagliata e mi sono punita tante volte in modi dannosi» sentenziò la Tassorosso sollevando i suoi grandi occhi cangianti in quelli scuri e caldi della Corvonero per poi spostarsi ancora quasi a volerla mettere a nudo mentre silenziosa constatava lo stato dell’amica. Danielle distolse lo sguardo e involontariamente si strinse ancora di più nel disagio del suo abbraccio. Rose se ne stava accorgendo? Aveva capito quanto non stesse bene? Quanto le sue parole rispecchiassero il suo stato? Parlava di sé stessa o parlava di lei? Parlava per entrambe?
    Danielle avrebbe voluto tanto riuscire ad aprirsi in quel momento ma un nodo alla bocca dello stomaco le impediva di farlo. Un nodo che si estendeva fino a raggiungere le corde vocali, ghiacciandole in quella morsa dolorosa che ne impediva il movimento. Annuí per lei, per loro. Sapeva cosa intendeva, confidava, un giorno sarebbe stata in grado di farlo.
    «Che ne dici se andiamo a fare shopping un giorno di questi?» Sollevò il capo incontrando nuovamente il viso gentile dell’amica. Si strinse nel maglione; ecco una nuova cosa che non le piaceva fare: shopping. Andare in giro a negozi avrebbe implicato la sua immagine riflessa, un’immagine di un corpo che lei non voleva vedere.
    «Vorrei acquistare un maglioncino» verità? Pretesto? Annuì. La dottoressa Conroy l’avrebbe spronata ad accettare per cominciare un po’ ad uscire da quel suo guscio quasi del tutto chiuso.
    «Sì potremmo farlo... Magari quest... HEI!» Strillò presa in contropiede da un ragazzino con una grossa macchina fotografica analogica di quelle magiche in grado di scattare le foto in movimento.
    «È per il giornaleee!»


    Edited by Dragonov - 14/2/2024, 18:38
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    Cauta e riflessiva avrebbe descritto la persona che era diventata ma, se avesse potuto spazzare via con un colpo di bacchetta tutto quello che le era successo, il tipo di persona che avrebbe voluto essere sarebbe stata nettamente diversa, nettamente un’altra. Perché Danielle di certo non s’immaginava così, schiva ed intimidita dal prossimo, ma un po’ come le eroine dei libri che leggeva. Avrebbe voluto essere forte, coraggiosa e priva del timore che le saliva in qualsivoglia situazione. Un po’ più istintiva persino spavalda in determinate occasioni e non frenata costantemente da quella mente che si ritrovava che altro non faceva che analizzare le situazioni, i pro ed i contro, valutando il da farsi che il più delle volte consisteva in una placida ritirata. Eppure non era sempre stata così. C’era stato un tempo nel suo passato in cui il fuoco in lei era arso vivo, un tempo in cui avrebbe detto di sé stessa che non lasciava passare una mosca al di sotto del suo naso ed ora cos’era diventata? Una macchietta, l’anonimato in persona e ciò che era peggio era che Danielle ricercava proprio questo come obiettivo: scomparire. Dopo quanto le era accaduto aveva deciso ed agiva a modo da essere considerata come invisibile perché ad essere invisibili si soffriva molto meno. Non essere visti implicava non essere considerati e la mancanza di considerazione evitava per forza di cose situazioni di disagio portate dall’attenzione.
    A riprova della sua teoria era quel momento, quell’esatto momento in cui, trovandosi all’involontario cento dell’attenzione di quel piccolo gruppo di ragazzi, si trovò vittima dei loro sfottò. I ragazzi presero a schernirla, un po’ giocosamente e un po’ – molto più di un po’ – sul serio, a causa della risposta che la stessa Corvonero aveva fornito. L’aveva gettata senza rifletterci prima, anzi, preferendo farlo ad alta voce per mettere l’altro – gli altri – al corrente di quelli che erano i suoi piani: presentarsi ma, ed eccola lì la pietra dello scandalo che aveva scatenato la rappresaglia, si sarebbe presentata solo dopo il suo appuntamento con gli amati libri della biblioteca. Non che avesse compiti da fare o studio da portarsi avanti, no, decisamente no, in quanto per quello dedicava sufficiente – che eufemismo! – parte del suo tempo da consentirle di vivere nella spensieratezza generata dalla consapevolezza d’essere “sul pezzo” con nulla lasciato indietro, tutto okay che già di per sé poteva fungere come campanello d’allarme se si fossero andati ad analizzare i comportamenti della ragazza. Quale adolescente poteva essere in pari con lo studio? Persino avanti? Solo qualcuno con evidenti lacune sociali e Danielle le presentava tutte stando isolata con il naso perennemente immerso nei suoi libri nel comodo comfort suscitato dall’ambiente accogliente e silenzioso della biblioteca. Era sempre lì, in quello che oramai era diventato il suo posto fisso di fiducia posizionato accanto ad uno degli altissimi scaffali, ricolmi fino al soffitto di pesanti tomi, che faceva angolo con uno dei finestroni che davano sull’immensa tenuta di Hogwarts. Lì la Corvonero vi aveva ricavato una nicchia nella quale si sedeva, nascosta dal grosso tavolo posto di fronte dove lasciava i propri averi, perdendosi nelle pagine dei libri di narrativa fino a che un gentile colpo di tosse da parte del bibliotecario la metteva a parte dell’orario di chiusura. Quello era sempre il momento peggiore, il momento dove realizzava che avrebbe dovuto tornare ad immergersi in quella massa di caotici volti sconosciuti. La mettevano a disagio i membri del castello. Seppur fosse sicura e convinta che a nessuno importasse minimamente di lei era più forte di sé, di ogni logica, sentiva i loro sguardi giudicanti addosso come in quel momento, zittita dai compagni del Grifondoro che la schernivano ignorando l’ombra che aveva scurito il suo volto portando il viso ad incassare nelle spalle, rimpicciolita nella sua già minima statura. Quanto era umiliante eppure Ellie non riuscì in alcun modo a ribattere bloccata nella sua stessa vergogna.
    «Hey! Smettetela di fare i cazzoni!» Abbaiò il Grifondoro. «Se noi siamo delle capre non vuol dire che debbano esserlo tutti gli altri!» La stava difendendo? Davvero? Danielle, incredula, sollevò lo sguardo focalizzando la figura dell’altro che, in quel momento, non la stava degnando d’attenzione unicamente perché serio ammoniva e zittiva con le mera imposizione della propria personalità il silenzio sugli altri. Il gruppo non emise fiato sotto il suo sguardo perentorio.
    «Dove l’avete lasciata la cavalleria, nel pannolino?» Un timido sorriso si aprì sulle labbra della Corvonero che, con altrettanta timidezza, sollevò lo sguardo per incontrare quello del Grifondoro diverse spanne più in alto rivestito quasi di un baglio mistico da eroe, un po’ come nei suoi libri.
    «Grazie» mimarono le sue labbra senza tuttavia emettere verso. Non poteva nemmeno immaginare quanto in quel momento gli fosse grata per aver preso le sue parti e posto fine a quell’orribile sfottò che aveva minacciato di gettarla nel panico più assoluto.
    «A me farebbe piacere avere una spalla in più. [...] Tu potresti portarmi un pizzico di fortuna, che non guasta mai. Neanche se uno è già fantastico di base!» Istintivamente gli occhi rotarono al cielo a quella che ormai aveva consolidato essere prassi per il rosso-oro. Ma poteva più negarsi a quel punto?


    – – –

    L’indomani.

    Era paura ciò che sentiva? Con la testa tra le nuvole ed il battito accelerato la Corvonero si fermò spostandosi a lato del corridoio per non intralciare il flusso. Poggiò una mano sul petto, all’altezza del cuore che percepiva trotterellarle in petto insieme a quello strano formicolio che le pizzicava l’imboccatura dello stomaco. Era disagio il suo? Una forma. Era da moltissimo tempo che non si sentiva così, inquieta, di fronte alla possibilità di qualcosa d’ignoto. Era strano e completamente al di fuori di quelle spese mura entro la quale vi aveva costruito il suo nido, la sua comfort zone. Eppure, tutta quella sensazione non era intrisa unicamente di negatività ma di una strana aspettativa che l’accendeva di curiosità come non succedeva da fin troppo tempo. Si schiarì la gola sbattendo poi le lunghe ciglia nere e ciondolò sui talloni finendo per portare più in alto il polso sulla quale il piccolo orologino dorato scandiva l’ora. Due e cinquantacinque.
    «Mh.»
    Picchiettò la punta delle scarpe sul duro pavimento di pietra prima di decidersi e portarsi comunque nel luogo stabilito dove ovviamente nessuno era giunto considerato il così largo anticipo. Ancora indecisa si posizionò accanto alla finestra e dalla tracolla estrasse il suo libro che immediatamente aprì alla pagina evidenziata dal segnalibro. Un modo come un altro per ingannare – ed esorcizzare – l’attesa.
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    Si era domandata spesso – soprattutto nell’ultimo periodo – se tornare ne fosse valsa la pena, e la risposta era che non le piaceva come stava andando e aveva la parvenza, invece, che tutto sembrasse spingere al considerare quella decisione come un fallimento totale. Danielle aveva davvero sbagliato? Aveva davvero fatto male i conti con sé stessa e soprattutto con quelle che si erano rivelate essere le sue aspettative? Tutto sembrava urlarle di sì ma la Corvonero, stoica, si rifiutava di darsi per vinta nonostante, nel concreto, non sapesse effettivamente come ribaltare la sua personalissima situazione. Era tornata per Vanja e Skylee, per tornare a star loro vicina ma ciò che l’aveva aspettata al castello era stato il nulla, la delusione. Quell’abbandono, quel tradimento era ancora cocente dentro di lei e forse era anche per quel motivo che non riusciva a legare con nessuno, le sue nuove compagne di stanza in primis. Era nuovo, diverso e per questo in un certo senso persino inaccettabile. Non doveva andare a quel modo e prima lo avrebbe metabolizzato e meglio sarebbe stata e per farlo doveva sforzarsi di curare quei rapporti umani che tanto le stavano stretti portandola a preferire il rifugio delle confortanti pagine dei suoi amati libri. I libri non potevano ferirla. Le storie, scelte appositamente a lieto fine, la portavano a provare un corollario d’emozioni che terminava accomunandosi per tutte con l’armonia del perfetto incastro. Nella finzione dei suoi libri tutto andava bene. Nella finzione dei suoi libri niente avrebbe potuto farle del male o deluderla o scalfirla in qualsiasi possibile modo. Era un mondo confortante ma non era una reale vita vivere attraverso quelle pagine.
    «Sì preferisco anch’io» replicò all’unica persona che le era rimasta come amica in quel castello. Si strinse nella divisa massaggiando la soffice manica del maglioncino della divisa. In realtà avrebbe preferito indossare uno dei suoi di maglioni. Di quelli larghi, oversize, che nascondevano meglio la formosa figura della giovane ispanica che avrebbe altrimenti attirato sicuro qualche sguardo ma Danielle non voleva più gli sguardi addosso. Voleva rimanere nell’ombra, in disparte; lì dove nessuno avrebbe potuto farle del male.
    Inclinò il capo allungando di un poco il collo nel tentativo di carpire ancora qualche informazione da quello che Rose stava scrivendo. Aveva capito si trattasse di Erbologia ma nulla nei testi (e figure) capovolti riusciva a darle quella risposta. «Che tipo di pianta è? Cosa fa?» La naturale curiosità facente parte della sua casa venne a galla spingendola ad allungare maggiormente il collo sul disegno. Non capiva se fosse un arbusto o una pianta subacquea dalla sua posizione. «Non credo di averla mai vista», ammise, «è presente qui ad Hogwarts?» Possibile non ci avesse mai fatto caso? Ascoltò le eventuali spiegazioni della compagna annotando mentalmente quanto detto e, in base a quanto le avrebbe spiegato, avrebbe azzardato ulteriori domande poiché sinceramente interessata alla novità e ovviamente al bagaglio culturale che avrebbe portato con sé. Poi calò il silenzio. Un silenzio pregno di una certa tensione da parte della Corvonero stessa. Per quanto Rose non sembrasse infastidita o non lo desse a vedere esplicitamente la Richards si sentiva comunque in colpa per averle dato buca qualche giorno prima. Non era da lei “paccare” un’amica. Non era da lei “tirar pacco” in generale e la cosa la faceva sentire a disagio, fuori posto, il tutto comprensibilmente accentuato da quanto già di per sé stesse faticando ad inserirsi e reintegrarsi nel contesto scolastico di Hogwarts. Tutti sembravano essere andati avanti, Rose inclusa, mentre lei era rimasta come freezata a due anni prima, a letteralmente il prima di quella notte che aveva rovesciato tutto il suo mondo.
    Abbozzò delle scuse per quanto alle sue orecchie apparissero stentate e deboli ma, inaspettatamente – almeno per lei – Rose sembrò davvero non esserne rimasta offesa per quell’episodio ed anzi scoppiò persino in una gentile risata atta a stemperare la tensione che Danielle sembrava star vivendo. «Davvero?» Il suo fu un sussurro. Sbatté le ciglia mentre un sorriso prendeva piede sulle labbra distendendole i lineamenti dolci. «P-puoi contarci! Assolutamente!» Il sorriso s’allargò ulteriormente e, come presa da un senso del dovere, aggiunse ulteriori spiegazioni a quanto già prima addotto. Espirò. «N-no! William non mi da problemi. Non è cattivo! È solo...» Come descriverlo? «Troppo esuberante... Eccessivo. È... oltre Ecco, oltre era la parola adeguata per descriverlo. «Io non sono così», o almeno se un tempo lo fosse stata ora di certo non lo era più. «Non so come comportarmi» e soprattutto non sapeva, quando era con lui, come sfuggire a quel faro che le finiva puntato addosso di riflesso. Espirò ancora. «Qualche consiglio?» Ridacchiò. «Che poi non capisco nemmeno perché ce l’abbia così tanto con me», insomma perché si perdesse così tanto dietro ad una persona tanto standard quanto anonima? Non aveva senso per lei, eppure in qualche maniera del tutto contorta doveva averne per il Grifondoro. Scosse il capo sollevando gli occhi al cielo con aria solenne mentre dall’altra parte del tavolo la Tassorosso rovistava nella sua tracolla in cerca di qualcosa. Quando la estrasse Rose mise al centro tra loro una scatolina di latta che andò successivamente ad aprire con i suoi classici modi gentili e Danielle, immediatamente, si espresse in un mugolio di sorpresa. Avrebbe dovuto lei offrirle dei biscotti in segno di scuse, non la compagna!
    «Ma che meraviglia!» Esclamò allungando immediatamente la mano per afferrarne uno ricordando perfettamente le spiccate doti culinarie della ragazza. In quel tempo trascorso separate poi doveva persino essere migliorata in quanto i decori al di sopra dei biscotti stessi erano precisi al millimetro, quasi fossero confezionati. Se lo rigirò tra le dita osservandolo con l’acquolina in bocca quando, con la coda dell’occhio, colse il movimento anomalo dell’amica che la portò a spostare nuovamente l’attenzione su di lei. Rose era immobile, lo sguardo tristo perso chissà dove e le sue mani, furono proprio quelle ad attirare l’attenzione della Corvonero. La Tassorosso stava stringendo con forza il coperchio di latta portandolo ad incrinarsi a tal punto da potersi fare del male.
    «Rose?» Danielle posò il biscotto facendosi immediatamente seria. «Rose?!» Esclamò a voce più alta portando la giovane a sobbalzare per riprendersi da qualunque cosa fosse successa.
    «Puoi stare tranquilla... Sono acquistati!» La Corvonero corrucciò le sopracciglia mentre nel suo sguardo faceva capolino la preoccupazione per l’amica. Ignorò il successivo commento sui biscotti stringendo le proprie mani tra loro al di sopra del tavolo per sporgersi poi verso di lei. «Va tutto bene, Rose? Co-cosa è successo?» Azzardò mentre le iridi scure si muovevano da lei al coperchio piegato. «S-so che è passato del tempo ma, se tu lo vorrai, io sono ancora qui» mormorò spalancando i grandi occhi di un marrone così caldo ed accogliente. Forse il tempo per la Tassorosso era passato, forse per lei era tardi ma questo non avrebbe cambiato l’affetto che provava lei e se Rose gliene avesse dato l’opportunità sarebbe stata quell’amica che avrebbe accolto le sue confidenze e dubbi com’era avvenuto già in un passato remoto che sperava in realtà non essere così lontano.


    Edited by Dragonov - 10/2/2024, 17:25
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    Rompere gli schemi, non sarebbe stato così sbagliato per una persona qualunque. Un persona non abitudinaria e magari propensa a nuove variabili che avrebbero potuto scombinare il perfetto equilibrio di un’equazione. Ciò non era Danielle o almeno, non lo era più. Da quel febbraio oramai lontano e dalla quale erano passati così tanti giorni, la giovane Corvonero aveva sviluppato delle fissazioni e degli schermi nella quale aveva costruito silenziosamente la sua zona di comfort. Se ripeteva le stesse azioni, se non usciva da quelle modalità aveva visto che nulla di male si sarebbe verificato. Un po’ semplice, persino per certi versi sciocco se si andava ad analizzare quella che era diventata la routine della spagnola. Ellie non fumava – non che avesse mai iniziato –, non beveva, nemmeno per concedersi una serata alternativa in compagnia delle amiche e, soprattutto, non usciva più. Ciò in cui si era calata era una vita monotona, di clausura, priva di qualsivoglia scintilla che avrebbe potuto portarle entusiasmo ma sì, pericolo. Perché di questo si trattava, questo era diventato il fulcro di tutto il suo timore. Il pericolo, la paura. Quella sera al Wonderland aveva esagerato con i drink e, abbassata la guardia, era stata vittima dell’alterazione di uno di quei cocktail che l’aveva portata a compiere atteggiamenti totalmente fuori dalla sua sfera caratteriale. Aveva finito col provocare la persona sbagliata portando il mannaro sull’orlo dell’esasperazione. L’uomo non era riuscito a resistere ai suoi impulsi e solo quando l’effetto della droga o della pozione o di qualsiasi cosa avessero messo al suo interno era terminato, entrambi s’erano ritrovato faccia a faccia con il risultato delle proprie azioni: l’uomo sparendo, letteralmente, dai radar e Danielle sola ad affrontare quei demoni della quale non sarebbe mai stata in grado d’incolparlo. Non poteva sapere che quelle bevande fossero alterate. Non poteva sapere che il guardiacaccia fosse anche ed in realtà un lupo mannaro e che andare a provocare una creatura simile le sarebbe costato così tanto. Non tanto per le tracce fisiche, quelle in fin dei conti ci avevano messo “poco” a guarire ma la sua psiche? Avrebbe potuto dire lo stesso? Quanto si era compromessa, quanto rotta?
    Dopo quei quasi due anni di assidua terapia, Danielle, aveva pensato – ingenuamente – d’essere guarita o almeno di esserci vicina ma la prova di quanto non fosse davvero così la ricevette al tocco disinteressato e privo di qualsivoglia intenzione del Grifondoro. La Corvonero scattò come una molla, come se avesse ricevuto una scossa elettrica. Saltò, mettendo immediatamente della distanza del tutto immotivata da quel contatto e complice il compito che William le aveva affidato catturò una carta che di lì a poco avrebbe rivelato ma non prima che il gruppetto si dilettasse in qualche piccolo quanto amichevole sfottò.
    «I?» Intuì che quella nominata dal ragazzo fosse una squadra di Quidditch proprio per il modo in cui l’altro l’aveva inserita all’interno della struttura della frase ma dire che la Corvonero li conoscesse sarebbe stato un vero errore. Non aveva idea di chi fossero – come provenienza – e tanto meno se quel paragone fungesse da metafora per indicare se la squadra fosse o meno forte.
    «Amen fratello!» Fece uno portandosi la mano al cuore.
    «Oh se gliel’hai tirata m’incazzo eh!» Replicò un altro sollevando minaccioso un pugno nei riguardi del Grifondoro. Ellie dal canto suo rimase ad osservarli, un lieve sorriso ad incresparle le labbra divertita da quella dinamica così naturale. Non si sentiva a disagio, non più di quel tanto e questo sicuramente perché nessuno di loro fino a quel momento l’aveva giudicata o presa in giro per qualcosa. Cominciò a pensare che forse c’era stato un malinteso con il Grifondoro per il modo in cui si era posto al falò e che forse aveva solo sbagliato a porsi. Più aveva a che fare con lui e più capiva meglio quella sua personalità naturalmente sopra le righe. Era come se dovesse stare per forza al di sotto di un riflettore ma ciò che ancora non aveva stabilito era quanto fosse reale quella facciata mostrata. Era una maschera o Liam era così al cento per cento?
    «Io ce la farò al primo colpo, perché sono chiaramente fantastico!» Danielle incassò il capo nelle spalle soffocando una risata.
    «HA! Non ci crede manco lei Knight!» Fece Thomas indicandola, portandola a strabuzzare gli occhi arrossendo di un poco. Così balbettando alcune domande per quietare gli animi focalizzò nuovamente l’attenzione sulla carta: un sei di cuori. L’espressione sul volto del Grifondoro si spense. Ellie girò la carta, fissandola anche lei.
    «Non va bene? Devo prenderne un’altra?» Domandò cercando conferme nel sguardi di tutti. «Non sembri contento. È una carta brutta?» Aggrottò le sopracciglia cercando di capire. Come potevano essere brutti i cuori? A prescindere da quello che poteva essere il gioco, nella sua testa, qualcosa che aveva a che fare con il cuore, figurato o metaforico che fosse, non doveva essere tanto brutto. O funzionavano al contrario? Ma Liam non sembrò ascoltarla, non d’un primo momento, partendo già invece a minacciare il gruppo con tanto d’indice puntato mentre parlava di una “rossa”.
    «Se no Knight? Che fai, mh?» Lo provocò uno cominciando involontariamente a sobillare gli altri indirizzando la scelta della candidata – ? – proprio verso la misteriosa “rossa” che Liam aveva vietato. “Forse gli sta antipatica?” Si domandò ignara che il sentimento provato dal ragazzo fosse quanto di più lontano dall’antipatia.
    Il rosso-oro tornò quindi a guardarla e a mano a mano che lo fece il sorriso prese vita sul suo viso scavando due fossette nelle guance.
    «Perché spiegartelo quando posso fartelo vedere?»Oh! – Questo era inaspettato. «Le sfide inizieranno domani, vieni anche tu! Ci divertiamo da pazzi. Chi più chi meno, insomma... chi si fa male non si diverte poi tanto.»
    «Male?» Stava scherzando, no? «Domani dovrei andare in Biblio...»
    «NOIOSAAA!»
    «Oh Merlino i compitiii!»
    Imbarazzata abbassò lo sguardo, a disagio, rimpicciolendosi ulteriormente al di sotto del suo già di per sé stentato metro e sessanta. In realtà non l’avevano fatta finire in quanto la sua intenzione era partecipare – cioè assistere – dopo la biblioteca ma, alla fine, il loro giudizio l’aveva frenata. Magari con un incoraggiamento...


    Edited by yourgrace. - 29/11/2023, 05:44
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    A volte il destino sapeva tirare degli scherzi davvero discutibili, ad esempio, più è nella tua intenzione evitare una persona e più questi lavorerà per fare in modo di metterla sul tuo cammino minando ad ogni possibile proposito ideato nei confronti di quella determinata situazione. Era un po’ come si sentiva Danielle: piccata dall’incontro iniziale con il caotico Grifondoro che si era promessa di evitare nonostante a seguito del pessimo impatto iniziale che i due avevano avuto ma che, in quella lezione, stava lentamente rivalutando. Non sembrava il tipo in grado di collegare la testa con la bocca e a riprova di quel pensiero lo ebbe guardandolo interagire oltre che con il prossimo proprio con l’insegnante lasciandosi andare a commenti del tutto al di fuori del contesto e soprattutto delle domande poste proprio dal docente. Danielle espirò mentre le sopracciglia si corrucciarono per la pazienza richiesta di fronte a quelle risposte campate anche con una certa faccia tosta. Come faceva? Lei avrebbe preferito sprofondare sotto metri di terra per la vergogna se un professore – persino un’anima gentile come appariva il professor Fletcher – l’avesse colta priva della risposta corretta e per quella volta ignorante nel vero senso della parola. I grandi occhioni scuri si sarebbero spalancati per il disagio mentre un rossore diffuso le avrebbe tinto il viso. No, inaccettabile. Per questo studiava così tanto, per questo motivo e perché le piaceva proprio farlo.
    «Non credo sia l’outfit il problema» cominciò, le sopracciglia ancora corrucciate mentre le parole andavano via via scemando dalla sua bocca ma non da quella del professore che con gentilezza ma allo stesso tempo fermezza calcò su quello che era il giudizio per l’esercizio: stava facendo un disastro e questo era visibile persino ad un occhio non esperto. Recuperò il suo golem pronta per tornare verso la sua postazione ma non prima di assistere al fantoccio di Roy che lanciava la boccetta di ferro sulla testa di “Carlos” finendo per ammaccarlo. «Ouch» commentò stringendo visivamente i denti per quella che doveva essere la botta. «Dai Roy non ridere!» Lo riprese tuttavia senza l’ombra di rigidità nel tono accennando a sua volta un sorrisetto di divertimento per la scena piuttosto buffa.
    «Mi sa che lo devi rifare» suggerì al Grifondoro prima di tornare verso la sua postazione e fare qualche ulteriore tentativo d’approccio commentando con Rose quanto stavano facendo. Il compito era andato bene tutto sommato. «Che dici più tardi andiamo in biblio a fare la relazione?» Domandò alla Tassorosso che quasi sicuramente si sarebbe accodata a lei per trovarsi in quel luogo di cultura a portare a termine il compito. Prima lo facevano e prima avrebbero avuto tempo libero per coltivare i propri hobby che nel caso della Corvonero si trattava di passare da un libro di Alchimia sul tema a qualcosa di più leggero, di narrativa e magari dopo di esso avrebbe scritto le consuete lettere d’aggiornamento: una per i suoi genitori, solitamente indirizzata a suo padre che poi ne faceva le veci riportando il tutto anche a Soledad solitamente più impegnata – manualmente parlando – rispetto al marito che si prendeva l’incarico di rispondere alle missive della figlia avendo un lavoro che gli consentiva maggiore tempo dietro alla scrivania. Le gioie di un primario. Ed una seconda copia priva di censure alla sua psicologa che, nonostante la distanza aveva rassicurato la Corvonero circa la sua continua presenza. Il loro rapporto sarebbe continuato tramite lettera e, durante le festività attraverso degli incontri dal vivo. La donna non aveva visto di buon occhio quel repentino trasferimento ma per amore della ragazza alla quale s’era affezionata e dei genitori di lei, che conosceva e stimava, non aveva potuto né se l’era sentita di abbandonare a sé stessa la giovane.

    «Hey, pss. Ellie, psst Cosa? Si voltò cercando di identificare la provenienza di quel richiamo trovando William voltato nella sua direzione in procinto di distruggere il fantoccio. Alla fine l’aveva ascoltata.
    «Qual è il simbolo? Così o così La Corvonero spostò lo sguardo cercando la posizione del docente e, notandolo impegnato con un altro studente cercò di suggerire all’altro quale fosse il simbolo corretto ma sembrava esserci dell’incomprensione poiché nonostante ella mimasse il simbolo l’altro non sembrava capire e, viceversa. «Aspetta!» Comandò il suo golem di tornare all’interno del quadrato e si alzò prendendo il necessario per spostarsi direttamente dal Grifondoro ed aiutarlo con la ricostruzione del fantoccio. «Così facciamo prima» asserì prima di particolari inflessioni mettendosi subito al lavoro controllando quanta acqua ancora avesse nel secchio e quanta terra argillosa a disposizione, soprattutto di quest’ultima considerato quanto aveva dato sfogo alla sua vena artistica. «Si ma concentrati. Stai facendo un disastro! Hai fango ovunque!» Rise allontanandosi di un poco per evitare gli schizzetti di fango che il ragazzo alzava nel tentativo di impastare. «Piano. Piano, sì. Ecco, così, lo allentiamo ancora con un po’ d’acqua» lo lasciò continuare a sporcarsi le mani sovrintendendo il lavoro prima di prendere la boccetta. «Roy aveva ragione, questa andava messa» e detto fatto aprì la boccetta spandendo la polvere al di sopra dell’impasto mentre il Grifondoro lo rimescolava. «Io?» Sollevò lo sguardo irrigidendosi. Tornare, si era forse informato sul suo conto? Si mordicchiò internamente le labbra mentre il disagiò irrigidiva i suoi movimenti. «H-ho frequentato Ilvermorny per un certo periodo. Aggiungi più terra, è ora di dargli la forma» stirò un sorriso virando la conversazione dalla sua persona, dalla sua complessa sfera privata alla lezione. Se un po’ aveva capito com’era fatto il dargli qualcosa da fare lo avrebbe immediatamente distratto da possibili domande spinose. Lo aiutò a modellare i pezzi, uno ad uno lasciando che fosse poi il ragazzo ad assemblarli al corpo principale. Era piuttosto bruttino e sproporzionato rispetto a quello che aveva creato precedentemente ma Danielle era sicura che questo avrebbe funzionato in quanto era stata attenta anche per lui che rispettasse ogni passaggio.
    «Ecco, sì, il simbolo è questo» gli mostrò il suo blocco appunti indicando il corretto disegno che avrebbe dovuto replicare sul golem e successivamente si voltò a sistemare i pochi averi che aveva portato per quella missione di pace inchiodandosi quando, facendo per alzarsi, si ritrovò con il viso ad alcuni centimetri dal volto del Grifondoro. Lo fissò notando solo in quel momento che nell’azzurro-verde di quegli occhi così allegri erano presenti delle pagliuzze dorate e le sue guance presentavano delle fossette che, in base all’intensità del suo sorriso, si facevano più evidenti, più profonde.
    «Hai un... po’ di fango. Avevi.» L’indice le sfiorò la guancia forse soffermandosi più del dovuto ma non per Danielle, immobile, quasi incantata o gelata da quella vicinanza che la lasciò priva di possibili reazioni, inerme come un cerbiatto davanti i fanali di un’auto. Poi le fossette si evidenziarono:
    «Forza Carlos, alzati e domina!»
    «Concentrati! Devi creare un legame con il golem o non si muoverà» replicò più brusca del dovuto svicolando da quella vicinanza per tornare, stordita al suo posto dove una volta giunta si lasciò cadere corrucciando tutti i lineamenti per la pessima figura generata dall’improvviso panico. «Sono un disastro» bofonchiò tra sé stringendo i pugni sperando che quella lezione terminasse alla svelta.


    Danielle Richards, V anno, Corvonero

    Interagito principalmente con William, poi anche con Roy e Rose. Citato il prof

    - Riprende un po' bonariamente Roy per il modo con cui il suo golem si approccia a Carlos e come sfotte di conseguenza Lecly
    - Torna al posto e ingaggia subito Rose per una sessione di studio e per fare la relazione di Fletchy (wiii che figata studiare. EW)
    - Un po' di background che non fa mai male
    - Si mette all'opera con Lecly ricostruendo il golem da capo ed interagendo col ragazzo (Attenzione momento topiiiicccooooooooo aaaaaaa)
    - Addio.


    Edited by Dragonov - 20/11/2023, 16:07
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    «Grazie ancora» sentenziò abbozzando un sorriso appena accentuato mentre osservava indugiando brevemente sul Grifondoro partito di buona lena col secchio verso il proprio quadrato. La Corvonero distese il mantello prendendovi posto e cominciando, istruzioni poco prima mostrate “alla mano”, la costruzione del suo fantoccio apponendo particolare attenzione alla combinazione degli elementi tra loro. Decise di seguire un approccio stile pseudo culinario trattando il terriccio, ricco di una presente componente d’argilla, al pari di una sorta di farina versando all’interno del vulcano che era andata a creare con la polvere la fiala di ferro quasi essa fosse un uovo da incorporare. Proprio come fosse un uovo cercò di incorporare ferro e terreno lavorando gli elementi e poi, poco alla volta, andò a versarvi l’acqua del lago lavorando ancora ed ancora l’impasto fino a che esso non si fece simile ad una pasta che in un secondo momento prese a modellare molto basilarmente: una struttura maggiore per il corpo, una rotondeggiante per il capo e a seguire gli arti sulla quale perse maggiore tempo per strutturare delle estremità giudicabili funzionanti. Modellò delle forme coniche per le gambe mentre per le mani si ispirò ai pupazzetti con la quale giocavano i babbani, i Lego.
    Rispetto a quello dei suoi compagni, il fantoccio non era di dimensioni eccessive decidendo per un’altezza piuttosto contenuta ma in fin dei conti ben proporzionata se rapportata a quella della proprietaria. Danielle, infatti, non spiccava per un’altezza eccessiva anzi, al contrario, rispetto a molti suoi colleghi di corso era addirittura bassa, portatile, e questo fortunatamente più di quel tanto la crucciava unicamente in un luogo: la biblioteca. Lì, per prelevare i libri aveva sempre bisogno di un qualche supporto oppure, al di sotto dello sguardo vigile del bibliotecario, doveva ricorrere a piccoli incantesimi di locomozione. Insomma, non proprio una comodità soprattutto se questo implicava una possibile interazione col prossimo che l’avrebbe irrimediabilmente messa a disagio.
    Soddisfatta del lavoro ammirò il suo golem passando alla scelta del punto in cui apporre il simbolo che avrebbe donato lui la “vita”. Ci rifletté qualche istante salvo poi decidersi per optare davvero per un richiamo alle storie di mitologia disegnando il simbolo all’altezza di quello che avrebbe dovuto essere il famigerato tallone d’Achille del fantoccio. “Tanto non dovrà mica difendermi davvero” pensò soddisfatta del proprio operato e poiché aveva terminato la parte di compito si lasciò andare anche alcune occhiate curiose verso il lavoro dei suoi compagni imbarazzandosi quando l’occhio le cadde sul lavoro di William. Ma poteva davvero avergli ricreato l’attributo? Era senza speranza alcuna quel ragazzo. Sì volto quindi verso Rose, curiosa del suo lavoro ringraziandola per l’apprezzamento al suo fantoccio.
    «Uh la nuca quindi! In caso di bisogno sarà meglio fargli i capelli» ridacchiò per poi allungarsi verso l’erba che li circondava stappando qualche ciuffo da offrire all’amica e perché no anche al suo di fantoccio. «Ecco ora potrei fargli anche la coda» abbozzò un sorriso studiando quella che sarebbe stata l’eventuale replica dell’amica. L’aveva osservata durante quella lezione, non di proposito ma a causa di alcuni comportamenti che per come la conosceva Danielle risultavano anomali: Rose che non alzava la mano, Rose che non partecipava ad una lezione, Rose intristita apparentemente – per quanto ne sapeva – senza motivo ed infine Rose che fissava un tipo, i lineamenti piegati dall’astio. Cos’era successo in quei quasi due anni? Incapace di comprendere aggrottò le sopracciglia per poi prestare nuovamente la massima attenzione al docente che passò a spiegare loro cosa avrebbero dovuto fare dell’omino: muoverlo. Ora iniziava la parte elettrizzante!
    Si guardò attorno trovando nell’erba un bastoncino che le avrebbe impedito di sporcare la sua bacchetta ed anche ulteriormente le mani che aveva finito poi per sciacquare alla meglio nel secchio e tracciò, come da istruzioni, il cerchio attorno al golem inanimato poggiando poi le mani sul terreno al suo interno. Chiuse gli occhi indirizzando tutta la sua concentrazione alla visualizzazione della statua di terra, ferro ed acqua addentrandosi mano a mano che lo visualizzava allo studio di ogni singola parte di esso: gambe, torso, braccia e poi azzardò un movimento “spingendo” con i pensieri affinché il piccolo braccio bitorzoluto si sollevasse. Ciò che accadde però fu inaspettato. Il golem sollevò sì l’arto ma al contempo partì alla carica cominciando a camminare a destra e sinistra invertendo di continuo direzione, sbandando e... finendo contro quello di Rose.
    «Oddio sono ubriachi!» Sentenziò stupita portandosi le mani alla bocca. «O-ora sistemo!» Ma sarebbe riuscita a farlo? Appose immediatamente le mani sul terreno cercando di nuovo di collegarsi mentalmente al golem che arrestò la sua avanzata confusa e si spronò, con una scrollata di spalle, a tentare di nuovo. Ancora ad occhi chiusi lo spinse nuovamente ad effettuare dei passi e questa volta il fantoccio prese a muoversi quasi immediatamente cominciando a mettere in fila un passo dietro l’altro, sbandando per evitare il golem di un’altra sua compagna di corso, Halley, e così facendo la sua traiettoria virò sbandando e portandolo a sbattere contro il Grifondoro, William. Dannazione! Si morse il labbro imprecando tra sé prima d’alzarsi per andare a recuperare il fantoccio.
    «Scusa! È un po’ stordito ma... che stai cercando di fare?» Aggrottò le sopracciglia studiando il lavoro del ragazzo, interdetta. «T-ti serve una mano?» Non poté fare a meno di chiedere, in fin dei conti lui l’aveva aiutata col secchio. Un po’ in debito ci si sentiva.
    «Professore... Allora il mio golem direi che è ben consistente ma ha qualche difficoltà a recepire bene i comandi e a tal proposito mi chiedevo se la purezza degli elementi di cui è composto può in qualche modo influire sul risultato?» A rigor di logica non troppo ma avrebbe forse spiegato il perché di quelle sbandate: magari l’acqua del lago o la composizione del terriccio erano troppo varie. «Per il resto quando si muove lo fa e bene e... ah no, si è rovinato. Forse scontrandosi contro il golem di Rose. Quindi no, ha qualche problemino di solidità per il resto vorrei provare ad esercitarmi a muoverlo ancora un po’» concluse e una volta ottenuto l’eventuale benestare mettersi all’opera per dei movimenti più contenuti nella sua area di lavoro.


    Danielle Richards, V anno, Corvonero

    Interagito principalmente con Rose e William, citata Halley.

    Mi sta calando il sonno, sarò sintetica:
    - costruzione del golem, chiacchiere e commenti con Rose sulla posizione del simbolo
    - tentativi di movimento del golem:
    1. sbatte come un mona contro quello di Rose
    2. evita per un soffio quello di Halley partito a sbattere contro Davide e nello sbandare finisce addosso a Lecly
    - scuse a Lecly salvo poi notare il disastro che sta a fa
    - impressioni al proffe + domanda

    Notte.


    Edited by Dragonov - 13/11/2023, 15:35
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    Aveva combinato un guaio e non era da lei anche se definire un guaio ciò che era successo era decisamente un’iperbole bella e buona ma non per la Corvonero. Non per una persona sensibile al prossimo come lo era Danielle. La giovane, appena rientrata da un periodo di studi in America, aveva ritrovato una sola persona che poteva considerarsi amica-amica in quel contesto e quella persona era proprio Rose. C’erano frangenti in cui, quella solitudine, le pesava come un macigno sul petto portandola a domandarsi – e tormentarsi – mettendo in discussione le scelte prese e portate avanti in un’ottica più consapevole con il famoso “senno di poi”. La sua era stata una buona scelta? I dati alla mano il più delle volte parevano spingere verso il contrario ed erano quei momenti ad abbattere e sconsolare la ragazza ma nel momento in cui aveva spinto e concentrato le sue energie nel tentativo di ricucire il tempo perso con la Tassorosso, poteva dire d’aver acquistato più serenità. Ma ora cosa aveva fatto? L’aveva lasciata ad attendere senza uno straccio di motivo. Quanto si sarebbe arrabbiata? Le avrebbe tenuto il broncio? Si sarebbe sentita umiliata? Oggettivamente la White – da che ricordava anche – non era un tipo rancoroso né tantomeno una persona capace di rinfacciare una mancanza quanto invece una persona estremamente comprensiva e di buon cuore ma il terrore di perdere l’ennesima persona mandava quasi nel panico la Corvonero che, istintivamente, tentò d’alzare il passo per raggiungere l’amica. Intenzioni, pure nobili intenzioni mandate alle ortiche da un sorriso bianchissimo incorniciato da due profonde fossette, il tutto da sfondo a due luminosissimi occhi verdi che si stagliarono di punto in bianco sul cammino della Corvonero arrestando bruscamente la sua camminata veloce. Ecco, Danielle aveva tentato di declinare quella richiesta da parte del Grifondoro e dei suoi amici ma il ragazzo in primis e la comitiva al seguito le avevano praticamente impedito di fare diversamente.
    «E questo qualcuno è più simpatico e fantastico di me?» Replicò immediatamente l’altro impedendole la fuga a braccia spalancate. Danielle boccheggiò totalmente presa alla sprovvista. Cos’era quella sensazione? Fastidio? Sorpresa? O solo l’incredulità di fronte a tanto ego? Un quantitativo tale da essere giudicato inverosimile dalla ragazza. Chi era poi lui per dover mettere becco sui suoi impegni? Già una volta l’aveva tacciata d’essere strana poiché diversa rispetto a degli standard posti in essere dalla sua personalissima visione del mondo. Chi decideva chi fosse cosa? Lui non di certo! Piccata scoccò la lingua sul palato ma prima che potesse anche solo cominciare una replica a tono – o forse sarebbe meglio dire ben più innervosita delle reali intenzioni del ragazzo – questi ritrattò immediatamente calando decisamente il livello di tensione che aveva elettrizzato l’aria tra loro.
    «Ok ok, la smetto. Ma mi serve davvero che tu peschi una carta» cominciò cambiando nettamente di tono ed intenzione, supplicandola con quegli occhi tanto espressivi quanto... irresistibili. Fu quindi con un sospiro che si allungò verso il vortice ricercando a più riprese lo sguardo o la presenza dell’altro mentre s’allungava per prelevare la carta. Fu allora che Liam le sfiorò la spalla e lei, ancora più inaspettatamente, svicolò istintivamente da quel tocco che aveva percepito al pari di una scossa elettrica. Sì, una scossa era quella che aveva percepito seguita da un brivido alla base della schiena. Il tocco di qualcuno... che cosa inaspettata. Al di fuori della sua famiglia, al di fuori delle sue sorelle prima di beh, perderle, nessuno l’aveva più toccata dopo... dopo lo stupro. Una sensazione strana le si avviluppò alle viscere ma, decisa a non mostrare nulla, nascose il tutto nella mossa che fece per scegliere la carta scartando ed optando per una di un passo più lontana rispetto al ragazzo. Fuori dalla sua portata. La schiacciò contro il petto, poi la osservò pronta per enunciarne il contenuto ma il gruppo prese a farle cenno di non farlo, non rivelare quale carta avesse pescato. Aggrottò le sopracciglia scure. Ma perché? A che pro? Se la sarebbe dovuta tenere? Si voltò quindi verso il Grifondoro ponendo quell’interrogativo e ridacchiò quando l’altro ne approfittò per prendere in giro il compagno colpevole d’essere più lento nella pesca della carta.
    «È la carta che stavi aspettando il dieci di fiori?» Non conosceva le regole di quel gioco come non conosceva cosa implicasse un numero piuttosto che un altro o quale differenza intercorresse tra i semi. Fece per sbirciare accentuando l’espressione che il ragazzo avrebbe visto, così, giusto per giocare un po’ con lui tenendolo sulle spine. Scosse quindi il capo lasciando che una risata appena accennata le risalisse dalla gola.
    «Vuoi... indovinare?» Nonostante non volesse propriamente trovarsi lì, nonostante non fosse perfettamente a suo agio, quello strano gioco e la curiosità da esso suscitato cominciarono a solleticare il suo interesse. Cosa sarebbe successo da quel momento in poi? «Quindi? Una volta che avrai la tua carta cosa farai? Cosa... Cosa fate dopo Aggrottò le sopracciglia stringendo di un poco lo sguardo verso il Grifondoro, la carta ancora celata al suo sguardo, un solo istante prima di inclinare il capo e voltarla verso il ragazzo. «Sei di cuori... Qualsiasi... Cosa voglia dire» concluse con il tono che andò abbassandosi nel commento. Cuori, che coincidenza assurda.


    Edited by yourgrace. - 28/11/2023, 06:06
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    «Non lo so, oggi mi bruciano» replicò alla Tassorosso sfilando per qualche attimo gli occhiali per massaggiare le palpebre chiuse. Quel giorno li sentiva più secchi del solito e con una certa probabilità erano anche lievemente arrossati. Sospettava anche quale fosse il motivo di quel fastidio poiché, giusto la notte precedente, non aveva dormito molto perché, nascosta dalle spesse tende del suo baldacchino, era rimasta a leggere fino a tarda notte ingorda e curiosa della piega raggiunta dalla storia che stava leggendo tanto da sacrificare preziose ore di sonno che la sveglia al mattino le avrebbe ricordato... e appunto occhi brucianti! Ma fu quando inforcò gli occhiali e mise a fuoco una figura precisa in avvicinamento che scattò sull’attenti escogitando immediatamente un modo per tornare nel suo prezioso anonimato, un anonimato a cui uno come William Knight sembrava essere allergico. Infatti... incurante del luogo e del contesto il Grifondoro cominciò immediatamente ad attirare l’attenzione parlando con quel naturale megafono che sembrava avere in gola. «Oh no!» Borbottò tra sé mentre le gambe decidevano istintivamente di muoversi nel tentativo di mimetizzarsi tra la folla facendosi scudo dietro un altro Grifondoro. Un tentativo, il suo, che durò davvero molto poco poiché, quando il professore andò ad interrogarli circa i simboli disegnati, Danielle non poté fare a meno di sollevare la mano dando sfoggio di tutta la sua conoscenza che venne notata e premiata anche dalle parole del docente a cui non mancò di ricambiare con un sorriso. Spostò quindi lo sguardo su Rose attendendo che fosse lei a terminare ciò che rimaneva della spiegazione dei simboli ma fu con un certo stupore che notò l’espressione sul viso della Tassorosso cambiare, come intristirsi, prima di voltarle per qualche istante le spalle. Cosa le stava succedendo? Aggrottò le sopracciglia, interdetta, prima di ringraziare con un ampio sorriso il Grifondoro che le stava inconsapevolmente facendo da scudo, Roy, per l’entusiasmo con la quale aveva accolto la sua spiegazione. Cercò ancora Rose corrucciando interrogativa l’espressione in cerca di una risposta ma la Tassorosso non sembrò in vena di fornirgliene una lasciando che fosse Halley Wheeler a completare la sua spiegazione. “Strano, molto strano da parte di Rose.” Di solito l’una completava le spiegazioni dell’altra e Danielle era assolutamente certa che l’altra conoscesse la risposta, quindi, perché mai rimanere in silenzio?
    Si passò una mano tra i capelli, riportando lontano dal viso le ciocche che s’erano liberate dall’intreccio della classica treccia nella quale li raccoglieva e proseguì ascoltando e prendendo appunti sulle ulteriori nozioni e osservazioni fatte dai compagni che trovavano conferma poi conferma da parte del docente. Annuì tra sé facendo mente locale delle informazioni seguendo l’incedere del professore che si faceva largo nel gruppo di studenti fino a che, con una certa soddisfazione, non se lo trovò accanto e con occhi quasi sognanti ascoltò da vicino quelle che erano le ultime indicazioni circa il compito che avrebbero affrontato non perdendosi nemmeno la più piccola virgola come invece sembrava accadere dal brusio nelle retrovie. Poveri sciocchi che avrebbero sicuramente fatto un disastro nel compito! Prese immediatamente posto nel primo quadrato libero lasciato dall’insegnante e si chinò a studiare la consistenza del suo mucchietto di terra. Non ne era entusiasta, doveva ammetterlo in quanto un po’ la infastidiva l’idea di sporcarsi le mani e fu anche e non solo per quel motivo che successivamente opto per reperire l’acqua nel Lago Nero. Affondò le dita nella terra socchiudendo gli occhi mentre di sforzava di mandare via il pensiero della terra sotto le unghie e cercò di stabilirne la consistenza. La raccolse con ambo i palmi saggiandone il peso e osservò la terra ricadere nel mucchio quando li allargò. Soddisfatta dello studio sistemò meglio i suoi averi, la tracolla ed il mantello, entro il perimetro da lavoro per segnalarne l’occupazione e si alzò non mancando di dare un’occhiata all’amica per farle successivamente cenno di quelle che erano le sue intenzioni: io vado al Lago, tu? Le chiese e a seguito della sua risposta s’incamminò a prescindere non mancando di prendere il secchio e prima ancora la fiala di ferro.
    «Sai Richards, il tuo comportamento mi ha dato da pensare.» S’irrigidì spaesata salvo poi vedersi comparire al fianco proprio quel ragazzo che aveva tentato d’evitare con tutte le sue forze. «Sono stato per caso senza cuore? Ho ferito i tuoi sentimenti?» L’improvvisato cappello di latta calò sul viso del Grifondoro che andò a tirare su proprio nel momento in cui affiancò la Corvonero che dal canto suo aveva arrestato la sua camminata verso il Lago. La latta lasciò il posto a due incredibili occhi verdi che brillavano su quel viso serio tanto che le guance della Corvonero avvamparono. Se ne era accorto? Dannazione. «O ti sei nascosta perché hai troppa paura di restare folgorata dalla mia super brillante influenza? Come darti torto... anch’io sarei distratto da me stesso.» Ma quanto se la sentiva.
    «Ma te le sogni la notte?» Replicò retorica esterrefatta da cotanto ego. Per un attimo s’era persino sentita in colpa per il modo in cui serio l’aveva apostrofata salvo poi riprendersi in quello che era un suo comportamento più tipico: fare il narcisista. «Però sì tecnicamente mi hai offesa ancora alla festa... ti ricordo» quando in pratica le aveva dato del fenomeno da baraccone perché preferiva leggere che fare qualsiasi cosa facessero i suoi coetanei. «Non è stato molto carino... William.» Concluse squadrandolo curiosa di scoprire quale uscita avrebbe utilizzato per venirne fuori. Sicuramente una che l’avrebbe portata a rotare gli occhi al cielo. Alla fine la divertiva quella faccia da schiaffi. «Il professore ha parlato di una connessione con l’elemento della terra, perciò ho pensato che un ulteriore elemento naturale fosse preferibile rispetto all’uso della magia che le due cose entrassero meglio in sintonia» si stava spiegando? E soprattutto la stava ascoltando o lo aveva perso prima? Il ragazzo era chiaro non fosse affatto uno dedito allo studio. «Un po’ da irresponsabili, potevi farti molto male» lo rimbeccò salvo poi lasciarsi contagiare da quel sorriso così luminoso incorniciato da due fossette, «poi le tue fan che avrebbero fatto, mh?» Ridacchiò scuotendo la testa, non poteva essere serio con quelle sciocchezze.
    «Liam! Aspetta così ti...» bagnerai! Troppo tardi. Il Grifondoro era già entrato in acqua incurante di creare un piccolo acquario nelle sue calzature. Scoccando la lingua sul palato la Corvonero seguì solo per un attimo le azioni del mago per poi allontanarsi cercando un masso abbastanza sporgente verso la riva, da lì s’inginocchiò prelevando l’acqua ma con non poca fatica fece per tirare su il secchio. Diamine se era fuori forma. Con un piccolo gemito tirò a sé il secchio poggiandolo sulla superficie del masso e poi, spronandosi cominciò a tirarlo a sé indisponendosi per l’urtare fastidioso della latta contro le gambe e degli schizzi d’acqua che le rovinavano addosso. Era in procinto di “farla brutta” decidendosi ad usare la bacchetta quando ancora una volta il Grifondoro l’affiancò levandole l’incombenza del secchio colmo. Sollevò un sopracciglio mentre un nuovo sorriso lottava per incresparle le labbra. «Allora ne approfitto» almeno così avrebbe ripagato l’offesa di quello che oramai poteva archiviarsi come un insulto non voluto. «Sicuro di farcela, ti vedo un po’ in difficoltà col mantello» ma nemmeno a dirlo con la spavalderia che lo contraddistingueva depositò il secchio nel suo perimetro, palesemente soddisfatto e la Corvonero non poté fare a meno di sorridere scuotendo la testa. «Grazie» ricambiò il sorriso del ragazzo osservandolo prendere rumorosamente posto nel suo quadrato e, scuotendo la testa, si mise al lavoro mettendo da parte un certo quantitativo di terra che avrebbe trattato come fosse farina: creò una sorta di vulcano nella quale versò la fiala di ferro e, successivamente, andò ad aggiungere la terra lavorando sulla consistenza aggiungendo passo passo terra ed acqua a modo da aggiustarne la consistenza. Modellò una statuita piuttosto basilare di una quarantina di centimetri stentati e divertita dal parallelismo mitologico decide d’incidere il simbolo magico proprio sul tallone.
    «Toh, guardate che talento!» Senza nemmeno voltarsi scoppiò in una risatina sommessa cercando d’ignorare i commenti dell’altro. «Ho deciso, ti chiamerò Carlos.» Aggrottò le sopracciglia. Aveva un cugino di nome Carlos e non credeva ne sarebbe stato lusingato. Azzardò un’occhiata ma immediatamente voltò il viso quando notò l’intenzionale somiglianza della statuina con il proprietario. L’aveva persino munito del membro. Ma poteva essere così sciocco? Scosse ancora una volta il capo. Era impossibile!
    «Hei Rose! Pssst! Tu dove hai messo il simbolo?»

    Danielle Richards, V anno, Corvonero

    Interagito principalmente con Rose e William e per ringraziarlo, Roy.

    Ripresa un po’ le interazioni iniziali con Rose e si stupisce del fatto che l’amica non completi la spiegazione come avrebbe invece fatto di consueto o almeno, questo è ciò che ricorda dai primi anni che aveva frequentato assieme. Si appropria di un quadrato occupandolo con le sue cose e successivamente si porta verso il Lago dove viene approcciata da un Lecly selvatico. Ricambia la sua sincerità con altrettanta sincerità e gli permette d’aiutarla con la storia del secchio dandogli nel contempo un po’ di corda con le sue manie di grandezza che sperano alla fine fine siano frutto di una grande ironia del personaggio. Povera illusa. Alla fine lo ringrazia sincera ricambiando persino il sorriso (avrai fatto breccia? Chissà) e si diverte nel sentirlo parlare da solo mentre continua la sua opera.
    Costruisce un omino basilare di appena quaranta centimetri scarsi.
    Simbolo inciso sul tallone proprio come Achille, scelta fatta di proposito. Piccola ingenua, volume due.
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    Incredibilmente le giornate s’erano fatte frenetiche. Nonostante la scuola fosse iniziata unicamente da quasi due mesi si poteva dire che il corpo docenti ce l’avesse messa tutta nel mantenere quel proposito che, puntualmente, verso la fine dell’anno veniva infranto dall’inesorabile scorrere del tempo, eppure, sembravano aver trovato il giusto ritmo per procedere. Questo per loro mentre, per la maggior parte degli studenti quella corsa frenetica per portare a termine il programma scolastico risultava unicamente un percorso costellato d’ostacoli che impediva loro di godersi quelli che dalla maggiore venivano giudicati come gli anni migliori, gli anni della spensieratezza. Una spensieratezza che era stata in passato presa e portata via alla Corvonero che, invece, sguazzava in quell’affaccendarsi di cose da fare e studiare che le toglievano le energie e soprattutto lo spazio per la sua mente di elaborare, tornare ai ricordi e riflettere. Riflettere senza sosta, riflettere all’infinito su quei ricordi traumatici indelebili nella sua mente. Invece no, montagne di compiti e di nozioni erano lì pronte per essere immagazzinate nonostante alcune materie richiedessero capacità mnemoniche in grado di mettere in difficoltà persino una studiosa come lei, Danielle. Nonostante l’ottima media che vantava, la Corvonero, era una vera frana con quelle informazioni che richiedevano uno studio unicamente di memorizzazione poiché, come un pesce rosso, non riusciva ad immagazzinare nulla. Viveva di logica, collegamenti e infiniti blocchetti colorati che disseminava dei suoi appunti appiccicandoli a destra e a manca tra le pagine che necessitava studiare. La sua era una memoria prettamente fotografica e, con il progredire del suo percorso scolastico, aveva messo a punto un sistema che le permettesse di riuscire lì dove la sua mente la portava in fallo. Colori, forme, immagini e associazioni erano i suoi amici e... Rose, la sua amica Rose. La ritrovata amicizia con la Tassorosso s’era rivelata del tutto vitale in quel rientro dannatamente disastroso rispetto alle previsioni e seppure non avessero ancora parlato del tempo passato separate si poteva dire che ora che si erano ritrovate le due fossero pressoché inseparabili. Non c’era giorno in cui non si trovassero e le lezioni in comune erano sicuramente un gran vantaggio per le due che non perdevano occasione per cimentarsi in lavori di gruppo o aiutarsi a vicenda esattamente come avevano in progetto di fare qualche sera prima non fosse stato per il Grifondoro – sempre lui – che l’aveva “rapita” in quello strano gioco di carte con i suoi amici. Aveva provato a liberarsene, aveva addotto le sue motivazioni risultate poi del tutto superflue agli occhi di quei ragazzi e aveva persino provato a sgattaiolare in un momento di disattenzione ma il gruppo e soprattutto William – William ed il suo dannato sorriso scintillante incorniciato da due fossette – l’avevano tirata in mezzo impedendole di riuscire a presenziare al suo appuntamento; era riuscita giusto ad inviarle un rapido bigliettino di scuse per non lasciarla lì, in biblioteca, in piedi ad aspettarla inutilmente che la routine scolastica l’aveva inghiottita impedendole di raggiungerla. Il tempo di “finire” col Grifondoro ed era presto stata ora di cena e da lì al coprifuoco un attimo, senza considerare che la Tassorosso in questione fosse proprio un membro delle cariche atte proprio a far rispettare quel regolamento. Insomma, alti e bassi costellati da piccoli disastri di percorso dalla quale la Corvonero stava facendo il possibile per rimanere a galla in un delicato equilibrio o almeno così era come si sentiva da quel rientro: come se stesse facendo surf e lei non sapeva surfare, ci aveva provato una volta in passato ma anche quella era un’altra storia, un altro ricordo seppellito sotto la montagna dei suoi trascorsi.
    Affrettò il passo mentre la tracolla sbatteva fastidiosamente contro il fianco e cercando d’ignorare il dolore generato dallo spigolo del libro che le batteva contro si gettò quasi di corsa nella discesa degli infiniti gradini che dalla torre di Corvonero portavano alla Sala Grande dove aveva appuntamento proprio con la ragazza. Ed eccola lì, colei che cercava seduta in disparte in quella che era la tavolata dei Grifondoro. Argh! Perché aveva scelto proprio quel tavolo? Non era meglio quello dei Tassorosso o quello più tranquillo occupato da altri Corvonero intenti nello studio? No, proprio Grifondoro. Il passo della Richards rallentò mentre i grandi occhi scuri passarono al setaccio della Sala alla ricerca di un preciso volto noto che sfortunatamente non era lì. “Beh” pensò, “fosse qui di certo non passerebbe inosservato” le sopracciglia s’alzarono naturalmente in quella che era un’espressione solenne, quel ragazzo non sapeva proprio dove fosse di casa la discrezione. Quindi appurato che poteva stare tranquilla in quanto sembrava il destino volesse farli scontrare più volte del dovuto, alzò il passo piegando i lineamenti in un sorriso mentre prendeva posto proprio di fronte la White. Non sembrò notarla immediatamente e Danielle, con calma, estrasse il materiale permettendo all’altra di finire qualunque cosa stesse facendo. Era la prima a non sopportare quando la interrompevano in un momento di concentrazione. Quando ebbe finito Rose sollevò il capo e, lentamente, la mise a fuoco. «Heiii buondì o forse buonasera... le giornate si stanno effettivamente accorciando» fece volgendo attorno lo sguardo notando come la luce delle fiaccole divenisse mano a mano il punto luce principale. «Che-che stavi scrivendo? Roba interessante?» Inclinò nuovamente la testa verso la Tassorosso indicando con lo sguardo il foglio scritto per buona parte e di fianco il libro aperto su alcune illustrazioni di piante. Sorrise, erbologia doveva immaginarlo. Rose aveva un talento naturale per quella materia. «Ascolta... Mi dispiace per l’altro giorno. Non essere venuta... la lezione è finita tardissimo, stavo arrivando ma quel» dannato? «Grifondoro mi ha trattenuta e quando mi sono liberata era ormai ora di cena. Scusami, davvero!» Strinse le labbra carnose in una linea sottile. Era davvero mortificata.


    Edited by Dragonov - 14/2/2024, 18:33
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    Correva a perdifiato. La treccia in cui erano raccolti i lunghi capelli scuri era semi-sfatta, gli occhiali quasi di traverso sul ponte del naso. Era in ritardo e non era minimamente colpa sua poiché non l’aveva fatto di proposito. Un maledetto imprevisto che aveva sfalsato tutta la sua scaletta di perfetti incastri. La lezione, l’ultima per quel pomeriggio, si era protratta decisamente oltre l’orario che lei aveva calcolato per spostarsi dai recinti alla biblioteca e questo l’aveva messa nella condizione di mordersi la lingua evitando di porre le ultime domande come invece avrebbe voluto promettendosi che, alla successiva lezione, sarebbe arrivata in anticipo quel tanto da monopolizzare per qualche attimo l’attenzione dell’insegnante. Ma ora non aveva tempo, Rose la stava aspettando! Si erano date appuntamento in biblioteca per portare insieme a termine un compito di Erbologia, una delle materie preferite dalla Tassorosso e per la quale, secondo Danielle, aveva un’inclinazione del tutto naturale. Anche lei era brava in quella materia ma un po’ come in tutti gli aspetti teorici. Era curiosa e perennemente affamata di sapere tanto che, spesso e volentieri, era proprio il compito bibliotecario con un pacato schiarimento delle corde vocali a farla staccare dalla sua lettura del momento riportandola alla realtà e più precisamente all’orario di chiusura del luogo. Ed era il dispiacere quello che tutte le volte andava dipingendosi sul volto della Corvonero. Il tempo in quel tempio del sapere volava lasciandole sempre quella malinconia, quella tristezza da separazione verso il suo luogo del cuore che le infondeva tanta quiete e positività. Si era finalmente costruita la sua routine in quel di Hogwarts, il suo ritmo e, in piccolo, molto in piccolo, anche il suo giro di conoscenze che beh... si fermava unicamente a Rose. Aveva provato ad inviare delle lettere a coloro che aveva chiamato a lungo “sorelle” ma se la risposta fatta di una non risposta di una aveva del prevedibile, il ritorno indietro del gufo con la lettera sigillata da parte della bionda invece era stato del tutto inaspettato. Cancellata? Che dire quindi? Lo avrebbe accettato poiché, un minimo di orgoglio personale, lo possedeva anche lei e se tornare dopo ciò che aveva passato e cercare di mantenere i rapporti non era stato meritevole di comprensione da parte loro ad un certo punto non avrebbe saputo che farci e a malincuore avrebbe smesso d’insistere. Istinto di conservazione. Era triste quel pensiero, soprattutto dopo tutto ciò che avevano affrontato insieme ma se era bastata una sua difficoltà – e non da poco – a porre fino al tutto poteva farci ben poco se non razionalizzare che quello non fosse destino. Triste per l’appunto ma era la maledettissima realtà e Danielle si sarebbe presto o tardi rialzata ancora una volta rimettendo insieme i pezzi della sua vita. Lo stava facendo seppur a rilento e con non poche difficoltà, con molta calma lasciandosi cullare il più possibile da ciò che riteneva confortevole senza assolutamente strafare e men che meno attirando l’attenzione, anzi, quello era diventato il suo obiettivo: rimanere nell’ombra. Era anonima, assolutamente ordinaria nell’aspetto e di certo, rispetto ad altre personalità che popolavano il castello, talmente pacata da non attirare la benché minima attenzione. E andava bene così! Negli anni precedenti era stata a sufficienza sulla bocca di ogni anima vivente e non lì nel castello ma, per sua fortuna, durante il suo periodo ad Ilvermorny molte cose erano cambiate ad Hogwarts quel tanto da renderla finalmente una fra tante una di cui potersi persino dimenticare. Detto ciò...
    Correva a perdifiato cercando di recuperare i minuti pregando che l’amica non avesse perso le speranze magari offendendosi – e ne avrebbe avuto le ragioni – per essere stata “paccata” senza il benché minimo avviso. Alzò il passo lanciandosi alla scalata della piccola collinetta che riportava al castello e da lì di corsa su per la scalinata ciò che non aveva contato era la sua scarsa forma fisica. Presto le venne il fiato grosso che la costrinse a rallentare arrendendosi ad un’andatura più tranquilla. Oramai che differenza avrebbe fatto un minuti più o meno sul suo ritardo? La giustificazione non cambiava. Svoltò nel corridoio dove notò alcuni ragazzi che sembravano aver monopolizzato la zona circondati da un turbinio di piccoli rettangoli che solo avvicinandosi identificò come carte. Si strinse la tracolla in spalla, rimpicciolendosi quasi su sé stessa mentre si appiattiva lungo la parete.
    «Hei!» Le disse una voce ma la Corvonero, ignara, tirò dritto non pensando d’essere proprio lei il soggetto di quelle attenzioni almeno non fino a che la stessa figura le si parò davanti costringendola ad un’inchiodata sul posto che le evitasse di schiantarsi contro il ragazzo. Sollevò lo sguardo sbarrando i grandi occhi marroni davanti la figura scarmigliata di William Knight. Il Grifondoro.
    «Che...?»
    «Scegline una! Senza dirmi che cos’è»
    «Veramente io...» Tentò di dire facendo per andarsene ma il ragazzo non sembrava essere dello stesso avviso tanto che le sbarrò la strada allargando le braccia per ostacolarle il cammino. Possibile che ovunque andasse si ritrovasse quel ragazzo intorno? «Mi... Mi stanno aspettando» il che era vero non fosse stato per i componenti della combriccola che iniziarono a loro volta ad incoraggiarla a seguire le istruzioni. A disagio ingollò la saliva mordicchiandosi il labbro inferiore mentre lo sguardo cadeva in quello del Grifondoro animato da uno splendido sorriso dai denti bianchissimi. Espirò. «Va bene» si schiarì la gola e passando lo sguardo su ognuno dei ragazzi si avvicino al vortice allungandosi sulle punte per catturare una carta dal mazzo. Ne afferrò una. La osservò e di riflesso il sopracciglio ebbe un rapido fremito. Fu sul punto di rivelare la carta ma un altro dei ragazzi, un Corvonero come lei, le intimò di tacerne il contenuto. Aggrottò le sopracciglia.
    «Q-quindi? Che devo fare?»


    Edited by Dragonov - 28/10/2023, 19:13
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    Era già qualche tempo che Danielle aveva fatto ritorno alla scuola di magia scozzese e se il suo inizio poteva essersi considerato piuttosto disastroso lo stesso non poteva dirsi dell’evoluzione. Il falò non era andato benissimo. S’era sentita sin da subito un pesce fuor d’acqua avendo quella fastidiosa impressione – unicamente personale – d’essere osservata da tutti proprio per la sua stranezza, per essere l’ultima arrivata quando in realtà più di tanto la sua presenza non era stata notata o almeno così era stato fino a che quel maledetto Grifondoro non l’aveva investita con la sua personalità – e quella sorta d’insulti – mettendola al centro dell’attenzione facendola passare per lo zimbello della situazione. Non l’aveva presa benissimo ma almeno, in tutta quella circostanza, aveva trovato una vecchia amica ed alleata: Rose. La Tassorosso le si era avvicinata e con il suo caratteristico fare gentile poteva dirsi l’avesse presa sotto la sua ala riuscendo a calmarla e permettendole di sfogarsi per tutto il tempo necessario in merito a quella vicenda. Un inizio burrascoso quindi ma che era servito alle due ragazze per unirsi. Differenti case le loro ma, al di fuori delle loro Sale Comuni praticamente inseparabili ed era proprio per questo motivo che, la Richards, stanziava poco fuori le cucine attendendo che la White la raggiungesse con il materiale necessario alla successiva, ed ultima, lezione di quel pomeriggio: pozioni. Con un sospiro Ellie si poggiò alla parete passandosi le dita a strofinare gli occhi scuri brucianti di stanchezza. Non stava dormendo benissimo nell’ultimo periodo ma testarda come al solito aveva declinato il suggerimento dell’amica di ricorrere a minuscole dosi di pozione della pace anche se, in quel momento, cominciava a mettere in discussione la sua stessa fermezza.
    «Pronta?» Domandò alla White quando quest’ultima spuntò dalle botti che fungevano da ingresso alla sua Sala Comune. «Secondo te perché l’appuntamento fuori dal laboratorio?» Era uno strano luogo d’incontro, o almeno, vi aveva perso l’abitudine in quei quasi due anni che aveva frequentato Ilvermorny. Lì la professoressa in carica faceva tutto nel laboratorio seguendo per filo e per segno l’ordine cronologico posto dal testo scolastico premurandosi di non fuoriuscire dai binari di esso. Abbastanza snervante abituata com’era stata al genio funzionale e creativo della Stojnov con la quale aveva instaurato un immediato feeling che prescindeva dal legame parentale scopertosi con uno delle sue sorelle e con quello sentimentale che la voleva unita all’uomo che definiva zio. «Non so se preoccuparmi o meno» le confidò sistemando al meglio sulla spalla la tracolla ricolma del suo materiale ma presto ogni dubbio e perplessità avrebbe trovato risposta giungendo al luogo d’incontro.
    «Buona sera professor Fletcher» un sorriso gentile ed immediatamente le due ragazze presero posto, in piedi, in quelle che avrebbero potuto essere identificate come le prime file. Danielle si guardò silenziosamente attorno osservando con curiosità gli elementi con la quale avrebbero fatto pratica. Al fianco del professore era presente un carrellino il quale, stracolmo, straripava di materiale che sarebbe potuto tornare utile per molteplici preparazioni. Abbassò lo sguardo quindi, passandolo ad ispezionare le aree delimitate dallo spago tutte uguali per conformazione tra loro che racchiudevano al proprio interno della terra ed un secchio. Cosa avrebbero dovuto fare? Difficile a dirsi e con un sospiro s’arrese all’idea che avrebbe dovuto attendere l’inizio della lezione per scoprirlo.
    «Mi danno proprio fastidio oggi» mormorò strofinandosi ancora gli occhi e, arrendendosi ulteriormente si chinò a recuperare gli occhiali da riposo posti nella tracolla. Fu quando li inforcò che, scorgendo una figura, s’irrigidì. «Anche qui» in realtà era abbastanza scontato che lo fosse ma in pratica aveva sperato che per astrusi motivi il ragazzo non seguisse la materia ma come avrebbe potuto essere così se pozioni era materia fondamentale? Dannazione. Si strinse nelle spalle cercando di sparire e mosse qualche passo indietro nascondendosi dietro ad altre persone per sfuggire, del tutto irrazionalmente, alla sua portata. «Ops, scusa» mormorò quando erroneamente urtò la figura slanciata di una bellissima ragazza dietro la quale andò a nascondersi. Forse lì non avrebbe attirato la sua attenzione, o almeno così pensò quando il professore diede il via alla lezione. Credendosi salva spostò lo sguardo verso il docente focalizzando immediatamente la concentrazione su di lui. Avrebbero trattato di alchimia! Gli occhi della Corvonero brillarono nella penombra del tardo pomeriggio ed istintivamente si spostò ancora per avere una visione migliore e non perdere la benché minima informazione che l’insegnante non aveva perso tempo a snocciolare. Estrasse quindi il suo taccuino impegnandosi immediatamente a schematizzare le nozioni, copiando i simboli e apponendovi al di sotto il nome dell’elemento. La lezione poteva dirsi partita con il piede giusto poiché per quanto la Corvonero fosse una fan del metodo scientifico non poteva non trovare interessante quell’argomento che sembrava voler fondere elementi come la chimica e le scienze, concreti, con elementi ai suoi occhi assolutamente astratti e naïf come poteva essere la religione, la filosofia. Un punto d’incontro tra quei mondi che sembravano altresì muoversi su rette parallele.
    «Vi ricordate a ciascun elemento quale simbolo viene associato, giusto?» La sua mano scattò immediatamente in aria e non appena si guadagnò il benestare del docente passò ad esplicare.
    «Il primo elemento, il triangolo rappresenta il fuoco. Lo stesso ma con una barra orizzontale superiore l’aria. Poi l’acqua e per finire la terra. È però importante sottolineare come in alchimia gli stessi elementi si facciano metafora di un significato più ampio, un’associazione dove ad esempio l’elemento del fuoco va a considerare il corpo energetico, la purificazione, il sud dei punti cardinali e persino l’estate come stagione. L’aria invece simboleggia la mente, la visione, l’est e si associa alla primavera e così via con gli altri...» Si fermò lasciando che anche altri potessero avere la possibilità di rispondere, tipo Rose che sapeva essere sempre sul pezzo con lo studio come lei e, sorridendole, le avrebbe ceduto la parola o, se il professore lo avesse voluto, avrebbe terminato l’illustrazione degli altri elementi ma fu quando l’uomo passò all’esplicazione successiva che cominciò ad intuire cosa forse avrebbero dovuto fare. Aveva letto delle leggende ed annuì alla spiegazione completa della Serpeverde. Quindi, avrebbero dovuto fabbricare il loro piccolo robottino personale! Figata! Sollevò ancora la mano.
    «Si dice posseggano anche una forza sovrumana. È vero professore?»


    Danielle Richards, V anno, Corvonero

    Interagito principalmente con Rose, citati Freya e William.
    Arriva con Rose a lezione con la quale scambia qualche chiacchiera finche giungono. Quando sono lì si nasconde convinta che William esista per tormentarla (?) e cerca di nascondersi dietro Freya che urta erroneamente per nascondersi. Ispirata dalla lezione non può a meno di fare la secchiona intervenendo più volte.
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    Finalmente qualcosa di conosciuto. Finalmente un volto amico in quella landa di persone che sembravano conoscersi tutte tra loro, essere amiche tra loro ma apparentemente senza la possibilità di includere una nuova aggiunta alla loro cerchia. Ne aveva avuto un assaggio poco prima quando il ragazzo l’aveva piantata in asso magari nemmeno immaginando che la Corvonero non avesse nessuno da cui andare. “Invece no!” Danielle si era ritrovata in quel castello tristemente sola e ben lontana dall’immaginario che si era creata quando in America s’era detta pronta a tornare. La sua psicologa glielo aveva sconsigliato poiché a suo giudizio i tempi non erano ancora del tutto maturi ma la giovane aveva sentito giorno dopo giorno il richiamo della scuola di magia e stregoneria scozzese farsi sempre più forte così come aveva sentito che, se non avesse preso in mano le redini delle sue amicizie, le avrebbe perse e lei non avrebbe mai voluto perdere le sue sorelle peccato che, lo stesso trasporto, non aveva caratterizzato i pensieri delle altre che a quanto pareva non s’erano poste scrupolo alcuno nei suoi riguardi né d’informarla né di renderla partecipe in quelli che erano stati i cambiamenti nelle loro vite così da mantenere quel legame come invece aveva provato a fare lei tramite le lettere. Era stato un grosso colpo quello ricevuto, uno schiaffo in pieno viso, ma ormai la frittata di trasferirsi era stata fatta e Danielle, per come era fatta, avrebbe affrontato anche quella situazione con le sue forze poiché non era mai scappata da nulla se non da quanto le era successo quella sera di febbraio al Wonderland.
    “Va bene non farcela, Danielle. Non siamo macchine, non siamo perfetti. A tutto c’è un limite e ciò che ha passato è stato qualcosa di tanto pesante quanto profondo. Si dia il tempo di superarlo.” Aveva detto miss Conroy, la sua terapeuta. Già, il tempo. Eppure la Corvonero aveva fretta. Non aveva tempo di stare male così come non aveva tempo di ricucire le sue ferite del tutto. Il grosso era stato fatto per il resto poi ci avrebbe pensato perché veniva prima chi reputava essere la sua famiglia. Cosa fare quindi quando quella famiglia non c’era più o aveva ben deciso di metterti da parte e/o lasciarti indietro? Danielle non lo sapeva ma come in tutte le cose avrebbe trovato un modo.
    «Non puoi nemmeno immaginare quanto sia felice di vederti!» Non poteva parlare per lei ma non immaginava né credeva che quella gioia fosse paragonabile alla sua in quel momento, alla gioia di una persona che aveva finalmente trovato un volto amico dopo la rassegnazione all’aver compiuto un errore, alla prospettiva della solitudine e all’idea che avrebbe dovuto rimettersi in gioco reinventandosi una nuova ennesima volta. Ne sarebbe stata capace? Chissà ma forse con la Tassorosso al suo fianco scoprirlo non sarebbe stato così male. Indugiò in quella stretta, in quel sincero calore e vicinanza fino a che, rendendosi conto di poter apparire strana o appiccicosa, con un lieve rossore a colorarle le guance, lasciò andare la Tassorosso coprendo quel leggero imbarazzo che percepiva con un’ondata di domande di cui in fin dei conti era sinceramente curiosa.
    «Dici?» Si schernì chiudendosi un pochino con il busto su sé stessa quasi a voler nascondere quel corpo sicuramente dimagrito rispetto a come lo poteva ricordare l’amica nascosto a sua volta sotto quegli strati di tessuto oversize. «Mi sembra passata un’infinità dall’ultima volta che sono stata qui... Ma raccontami!» La esortò dopo aver chiuso il libro mantenendovi tuttavia l’indice al suo interno a tenere il segno. Se lo portò in grembo stringendosi nelle braccia in quella che per lei era diventata una posa naturale quanto automatica. Una posa che avrebbe trattenuto unito il suo insieme altrimenti pericolante. Si prodigò negli “aaah” e negli “oooh” del caso. «Sì trovo sia una bella idea per favorire l’unione. Mi ricordo che al nostro» tossì schiarendosi la gola, «terzo anno?» In realtà lo ricordava fin troppo bene ma le uscì naturale quella bugia bianca che la voleva fingere di non ricordare quale fosse l’anno in cui la sua vita era cambiata irrimediabilmente. «Avevano fatto quella cosa del banchetto a ferro di cavallo. Ma secondo te è possibile che non riconosco nessuno di allora? Sembra ci sia solo gente nuova. È pazzesco!» Si lasciò andare in una risatina che coinvolse gli occhi scuri. «Sì è... è bello. È tutto bello» s’incantò di un poco ripetendosi e spegnendosi mentre lo sguardo si perdeva in lontananza senza mettere una particolare attenzione a cosa stesse fissando.
    «Allora... cosa ti va di fare. Non puoi restare qui a leggere...» Ah no? Un brivido le raffreddò la base della schiena mentre una stretta allo stomaco le palesò più vivamente il disagio che percepiva. In quel breve istante realizzò che piuttosto che stare lì in mezzo a tutte quelle persone avrebbe davvero preferito nascondersi nei meandri dei corridoi della biblioteca o, tra le morbide coperte del suo baldacchino. La cosa certa era che non avrebbe voluto per nessun motivo separarsi dal suo libro e da quella realtà fittizia ma confortevole che le donava la lettura. Tra i libri nulla avrebbe potuto farle del male, nei libri nulla avrebbe potuto intaccare i suoi sentimenti. Era un mondo sicuro. Stava per risponderle, in procinto di declinare quell’invito quando una figura spumeggiante, chinandosi, entrò nel suo campo visivo costringendola ad un salto indietro sul sedile. Era il Grifondoro! Il pazzo che si era gettato dalla scopa attirando l’attenzione generale ora le stava parlando. A lei.
    «Ho scommesso cinque galeoni che lì dentro c’è scritto il finale di One Piece.» Esordì, con un ampio sorriso luminoso che la investì in pieno. «O l’almanacco di tutta la stagione sportiva 2023-24...» continuò come se nulla fosse lasciandola basita, le labbra schiuse che interrogative cercavano di stare dietro alla carrellata di supposizioni che il Grifondoro le stava gettando addosso nel tentativo d’indovinare il titolo stretto tra le sue braccia con ancora un dito stoicamente infilato tra le pagine per mantenerne il segno.
    «Insomma. Dev’essere qualcosa di proprio forte se te lo sei portato ad una festa. E lo stai leggendo», le sopracciglia scattarono alte stupita che lo strambo ragazzo dalla fede religiosa così accesa fosse anche un accanito lettore. Ecco, questo avrebbe potuto smorzare quell’alone di fastidio che le aveva provocato il gesto compiuto poco prima che avrebbe potuto costargli caro facendogli magari guadagnare qualche punto se l’altro non avesse scelto deliberatamente di prenderla per i fondelli.
    «La tua cosa?!» Sbottò sbattendo al contempo le ciglia. «No! Non so neanche chi tu sia e perché meriteresti una cosa del genere.» I lineamenti del viso s’accigliarono mentre lo sguardo andava indicativo a Rose. «E non vedo perché tu debba scommettere su di me. Non sono un fenomeno da baraccone!» Si stizzì scaldandosi sicuramente più del dovuto mentre le parole del ragazzo sedimentavano in lei prendendo connotazioni con ogni probabilità differenti rispetto a come il Grifondoro le aveva pensate. L’occhio si discostò da quelli grandi e azzurro-verdi del ragazzo finendo per notare il piccolo capannello di curiosi che cominciava a stanziare attorno a loro. Uno spettacolino avevano montato su. Quelle attenzioni, quella curiosità aumentarono il suo disagio scaldandole ulteriormente l’animo.
    «A-andiamo Rose!» Per favore! Si voltò a fissare l’amica e, sistemando rapidamente le sue cose nella borsa di tela, incluso il libro privo del segno per la quale si sarebbe maledetta, s’alzò in piedi filando via e sfuggendo a quelle attenzioni assolutamente non richieste. Solo quando sarebbe stata sufficientemente distante, magari con l’amica al seguito avrebbe tirato un sospiro di sollievo prendendola sottobraccio.
    «Sì, molte cose sono cambiate.»


    Interagito direttamente con Rose e William.

    Chiacchiera un pochino con Rose prima che le due vengano interrotte dall'entrata in scena del Lecly che lascia interdetta e senza parole la bambina salvo poi farla scaldare quando rimugina in breve sulla questione scommessa notando il piccolo gruppo di curiosi. Non le piacciono le attenzioni insò e in pratica fugge via. Uscita!
22 replies since 12/5/2021
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