Posts written by Viole N.

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    Viole amava le piante: erano vive e prevedibili, qualcosa che le persone erano raramente ma che Viole trovava qualità irresistibili in qualsiasi essere vivente. Se trattate seguendo le regole le piante avrebbero reagito seguendo le regole – o quantomeno la stragrande maggioranza di loro – e la giovane francese amava quella prevedibilità. Non era forse ironico? Viole amava le piante per gli stessi motivi per cui odiava i suoi fratelli che pure portavano anch’essi nomi di fiori e piante. Ma se tra le piante si era sempre sentita magnificamente a suo agio, lo stesso non aveva mai potuto dire per la sua famiglia, loro che erano così imprevedibili e crudeli.
    Nelle sue camere parigine, a casa di suo padre, aveva coltivato una piccola varietà di piante magiche, principalmente piante musicali e fiori adatti alla cosmesi e alla produzione di pigmenti incantati, un suo piccolo sciocco hobby che la sua matrigna aveva sempre ferocemente criticato. I fiori erano cose da signora indubbiamente, ma la parte pratica della produzione era roba da manovalanza, da elfi persino.
    Viole non aveva mai ribattuto direttamente, suo padre riteneva che una certa distanza gerarchica dovesse esistere tra genitori e figli e Viole non si sarebbe ribellata scioccamente, ma più volte si era divertita a usare le piante o i loro prodotti per creare problemi alla sua matrigna e alle sue sorellastre, come la volta in cui aveva mescolato estratto di fiore di cespuglio farfallino ed Helleborus foetidus per rovinare il loro bucato e far puzzare i loro vestiti per tutti tranne che per le dirette interessate, che invece avrebbero sentito un profumo meraviglioso. L’effetto non era durato a lungo, era servita solo qualche ora prima perché realizzassero quanto stava succedendo, ma era stato tremendamente divertente vedere le persone reagire al loro “profumo incantevole di bucato”.
    L’ora di Erbologia, quindi, non dispiaceva particolarmente a Viole, soprattutto ora che avendo saltato un anno si trovava finalmente davanti un programma più complesso e interessante. O quantomeno non le dispiaceva quasi mai.
    Il volto della giovane era divenuto cinereo di fronte alla richiesta, imprescindibile, del docente di un costume da bagno.
    Viole non indossava uno da anni e anni. Non perché non le piacesse il sole o il mare, beninteso, quanto perché un costume da bagno, anche il più modesto, non arrivava a coprirle l’avambraccio.
    Per anni, quasi cinque ormai, Viole aveva indossato maniche lunghe e coprenti ogni giorno della sua vita, estate e inverno indifferentemente, cercando di ignorare le occhiate curiose o addirittura sospette attorno a lei.
    Il suo primo istinto era stato quello di fingersi malata. Avrebbe potuto fingere un mal di testa fulminante e improvviso, un vero peccato davvero non poter partecipare alla lezione, ma alla fine si era fatta coraggio e si era costretta a partecipare alla lezione: soprattutto ora che era passata di anno non poteva permettersi di perdere lezioni. Avrebbe dovuto trovare una soluzione alternativa.
    Quel giorno si era quindi presentata assieme ai suoi compagni ai confini del castello in abiti civili. L’aria in Scozia era ancora troppo fredda per i gusti di Viole, cosa che l’aveva costretta comunque a infilarsi sopra il maglioncino di cashmere una giacchetta a quadri Schiaparelli, prêt-à-porter ovviamente, non le andava di fare la figura della ricca snob. Il resto del materiale richiesto riposto nella borsa di pelle italiana.
    Raggiunto il punto di incontro saluto gli insegnanti e si uni ai compagni per utilizzare la passa porta, un bizzarro cerchio di plastica babbana, una cosa che doveva ammettere – nonostante le piacesse spendere tempo nel mondo babbano – di non aver mai visto prima.

    Una volta che i loro piedi ebbero toccato di nuovo il suolo Viole ebbe la conferma a tutti i suoi timori: erano su una spiaggia, sotto il sole caldo e dovevano indossare un costume.
    Il professore, dopo aver dato loro il benvenuto in Nord Africa, li invitò ad andare a cambiarsi e indossare i loro costumi. Viole, come aveva fatto anche quando ancora giocava a Quidditch, attese che tutte o quasi le sue compagne si fossero cambiate e fossero uscite prima di procedere a farlo rapidamente anche lei.
    Il suo costume non era ideale, ma era la cosa più vicina ad un costume normale che si fosse sentita a suo agio a indossare: il top era aveva le maniche lunghe e strette come desiderava, ma sfortunatamente compensava quella modestia con uno scollo piuttosto profondo sul petto, simile a quello di un bikini a triangolo, era una fortuna quindi che il seno di Viole fosse piuttosto modesto. Per il resto era un costume assolutamente normale, con un pezzo inferiore con i laccetti e di un azzurro pastello dai minuscoli motivi floreali bianchi, simili a piccoli fiori di campo stilizzati.
    Viole non era vanesia, sapeva di non essere particolarmente bella, ma guardandosi allo specchio non si vide così male. Persino le ciabatte intonate, che pure le erano parse orride, non le sembravano ora così male.
    Può andare, non si vede niente – si convinse da sola – sembri una normale strega normale, ora vai.
    Con un piccolo sospiro uscì dalla cabina, con la consapevolezza di essere una delle ultime ad uscire, se non l’ultima addirittura.
    Andrò quindi a prendere posto sui teli assieme ai suoi compagni, essendo tra le ultime la scelta era limitata ma Viole si sarebbe sentita a disagio più o meno con tutti quindi faceva poca differenza chi aveva di fianco, a meno che non fosse un totale piantagrane.
    Una volta che il professore ebbe spiegato loro il motivo della loro visita di quel giorno, alzò la mano per prendere la parola.
    L’algabranchia ha la particolarità di essere endemica del solo Mediterraneo, il che significa che è possibile trovarla solo qui, tentativi di trapiantarla altrove sono stati infruttuosi. I motivi di questa unicità non sono chiari, personalmente credo sia probabile però che sia legato al suo stato di mare chiuso, ovvero di mare che comunica maggiormente con affluenti fluviali che con masse oceaniche visto la nota affinità di questa alga con le acque dolci, e alla sua moderata e costante salinità rispetto ad altri mari chiusi; una teoria che si allineerebbe l’algabranchia con i pattern di altre piante acquatiche endemiche come la Posidonia oceanica.” Detto questo si quietò, sarebbe stata più che disponibile a spiegare ancora la sua teoria, ma dubitava che a chiunque, professore compreso, fregasse qualcosa di quanto aveva da dire ancora.

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    Viole Saint-Clement, IV anno, Tassorosso
    Arriva, si cambia e si siede di fianco a qualcuno, potrebbe essere chiunque e risponde alla domanda
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    Convenevoli, convenevoli e ancora convenevoli. Viole era abituata ai convenevoli, una vita passata ad essere istruita per ricoprire un ruolo preciso, al punto che per lei era ormai una seconda natura.
    Sorridere, annuire, il giusto cenno col capo e la giusta parola al momento giusto. Una danza su tempi precisi, quattro quarti che correvano rapidi tra armature di seta e taffetà.
    E se quell’insegnamento le era servito a qualcosa, allora le era servito ad evitare che la sua faccia assumesse un’espressione corrucciata di fronte alle parole, piene di buone intenzioni, di Grace.
    Grazie.” Rispose con un’espressione inintelligibile, un lieve sorriso che nascondeva il suo fastidio.
    Non era servito a nulla prendere il boccino, quindi perché la grifondoro tirava fuori qualcosa di così inutile in quel momento? In realtà era colpa sua, in realtà, avrebbe dovuto fingere di non riconoscerla, sarebbe stato più semplice. Solo il timore di apparire scortese l’aveva fermata dal mettere su quella farsa.
    Non perse neppure tempo a spiegare che no, non era più la cercatrice di tassorosso, aveva lasciato il ruolo – sebbene non ancora ufficialmente – ormai da settimane.
    Una singola partita le era certamente bastata e avanzata per capire di non essere interessata a praticare quel particolare sport.
    Ti ringrazio, anche tu sei molto bella.” Avrebbe poi aggiunto, portando il discorso su argomenti più piacevoli e meno controversi, non c’era cosa più maleducata che essere gradevoli e controversi durante un’occasione mondana. O così la pensava la sua matrigna.
    Sembrava però che nella famiglia Barnes non fossero dello stesso avviso. Viole e le sue sorellastre, per quanto profondo fosse il disprezzo tra loro, non avrebbero mai osato esporre i loro problemi familiari a quel modo.
    La loro famiglia doveva essere molto più rilassata in quel senso.
    Sfortunatamente la questione del quidditch, nonostante il suo tentativo di cambiare discorso, sembrò destinata a tornare quando Harry ritirò fuori la sua presunta bravura sulla scopa. Presunta, appunto, perché fosse stata capace davvero il boccino sarebbe stato suo più in fretta e così la vittoria.
    Viole non era davvero tipo da prendere bene la sconfitta, neanche a distanza di mesi. In realtà, fosse dipeso da lei, avrebbe evitato di anche solo nominare il quidditch per il resto dell’anno scolastico. Avrebbe anche volentieri evitato le ragazze di grifondoro, ma sapeva di non poterlo fare e in fondo in fondo non era così rancorosa da non poter neanche tollerare la loro vista.
    Due cose successero però a quel punto: la prima fu che Harry allungò la mano per scostarle i capelli, un gesto sorprendentemente intimo che non mancò di sorprendere Viole, al punto da farla leggermente arrossire e rivolgere al ragazzo una rapidissima occhiata sorpresa, rapidissima sì, perché subito la sua attenzione fu rapita da un fascio di luce che si accese sulla grifondoro di fronte a loro.
    Una serenata in stile babbano, qualcosa che Viole aveva visto solo nei film babbani di Yvonne e mai dal vivo.
    Il colpevole – se così lo si poteva definire – era una faccia nota, Mars, anche lui un tassorosso, ma con cui Viole non si era mai associata in alcuna maniera, il ragazzo era troppo eccentrico per la timida concasata, inoltre qualcosa in lui gli ricordava la sua ex – sono i tatuaggi, pensò – e lo spingeva ad evitare anche solo di guardarlo per caso.
    La scena, per quanto romantica, era anche imbarazzante. Lei era lì con un altro, perché mettere su quello spettacolino? Se anche Grace e Mike fossero stati lì come amici sarebbe comunque stato… poco carino? Forse era una qualche battuta tra loro?
    Viole non ne aveva idea, ma a giudicare dalla reazione del serpeverde la cosa non era stata recepita troppo bene. Lanciò quindi un’occhiata a Harry, come a chiedergli di allontanarsi, possibilmente in fretta.
    Fortunatamente anche il suo accompagnatore sembrava essere dello stesso avviso perché insieme si diressero verso il tavolo delle bevande, non prima però di aver brevemente salutato chiaramente.
    “Oh, no, non preoccupati. Ero solo un poco sorpresa dalla situazione.” Lo rassicurò con un mezzo sorriso, accettando al contempo però il bicchiere che lui le offriva.
    Un primo sorso però quasi le fece perdere la compostezza, il sapore di alcol a buon mercato – quantomeno per gli standard della francese – che le inondava il palato.
    Qualcuno aveva corretto le bevande e il gusto, be, ne aveva estremamente risentito.
    Ti ringrazio.” Disse comunque con un piccolo sorriso, decisa a berlo comunque, Harry infatti aveva agito con le migliori intenzioni e sarebbe stato scortese da parte sua gettare via la bevanda.
    Inoltre – quando ancora si trovava a frequentare i locali con la sua ex – le era capitato di bere molto di peggio.
    Sì, ho notato che tra voi il rapporto è movimentato.” Non le era chiaro perché tra i due paresse esserci una simile inimicizia, Harry poteva essere un po’ distratto e sicuro di sé, ma non sembrava un cattivo ragazzo. Che Mike fosse davvero così problematico? Aveva sentito di un ragazzo problematico di nome Harris, che fosse Mike? O si trattava, come nel caso di suo padre Aster e sua zia Lis, di una questione di eredità? Sembravano tutte spiegazioni logiche.
    La mia famiglia possiede una emh, non sono certa di come si chiami in inglese.” Esitò per un momento, cercando le parole “Abbiamo una società che possiede la banca di famiglia e quote di maggioranza di altre società, uh, una holding finanziaria. Il termine inglese è holding finanziaria. Mio padre però preferisce occuparsi di politica. La tua invece? Avete delle attività, giusto? Il cognome non mi è nuovo.
    I Saint-Clement potevano essere purosangue e antichi ma non erano una famiglia nobile o illustre, non ne avresti trovati cercando tra le cronache dei maghi più famosi e potenti, ma una cosa li faceva primeggiare su molte altre famiglie più nobili: il potere brutale di una ricchezza favolosa.
    Partendo dal bisnonno di Viole, Aster Saint-Clement anche lui, la famiglia aveva iniziato ad accumulare sempre più ingenti capitali, non di rado a spese di altre famiglie di maghi di ben più nobili natali, portando avanti politiche commerciali senza scrupoli.
    Ad oggi la SCBI, Saint-Clement Banque Industries, vantava un valore multimiliardario e persino un reparto, totalmente in mano a sua zia Lis, impegnato in affari persino coi babbani.
    Tutto ciò che possedevano, dal loro posto in società alle antiche ville magiche, era stato acquistato col vile denaro. Persino lo stemma di famiglia – lo stesso che Viole portava impresso sulla collana che portava sempre – era stato creato ad hoc meno di vent’anni prima quando suo padre aveva sposato la figlia di un duca, in un flebile tentativo di camuffare la natura borghese della famiglia.
    Nel frattempo la festa procedeva senza apparenti problemi – o quantomeno senza problemi che loro da quella distanza potessero notare – con tanto di balletti improvvisati.
    Io lo trovo senza dubbio originale.” Commentò invece la giovane, abbandonando su di un tavolo il bicchiere finalmente vuoto. Era strano per lei pensare di essere lì, la sua prima vigilia di Natale sola, bevendo squallidi alcolici e non champagne insieme a suo padre e al resto della famiglia.
    Erano vigilie felici? No, ma erano tutto ciò conosceva. E le mancavano.
    Addirittura igienizzare?” chiese leggermente sorpresa, ma a quanto pareva tra grifondoro e serpeverde non correva buon sangue, quindi Harry doveva riferirsi a quello. Era certamente un tipo drammatico.
    Nonostante ciò non esitò a seguirlo in pista, posandogli delicatamente le mani sulle spalle per ballare con lui, stando però ben attenta a lasciare sempre tra i loro corpi un po’ di spazio, era pur sempre un ballo scolastico, inoltre non erano così intimi.
    Però era bello ballare con qualcuno liberamente. Viole aveva preso lezioni di ballo da sala e studiato danza classica per molti anni ma raramente le era capitato di ballare con qualcuno, solo con la sua ex in pratica, ma allora la musica era stata molto diversa.
    Sorrise spontaneamente al ragazzo, incontrando il suo sguardo, forse, se avessero avuto più confidenza, avrebbe poggiato la fronte sulla spalla, appoggiandosi a lui.
    Una volta terminata la canzone si separarono e Harry si allontanò per prendere da bere. Viole considerò l’idea di fermarlo, non aveva voglia di bere ancora quella spazzatura, ma scelse di lasciar perdere, ribattendo semplicemente che l’avrebbe aspettato lì.
    Rimasta da sola, inevitabilmente la giovane si ritrovò a pensare. Quale sfortuna esistere a livello dello spirito quando la mente è inquieta e inevitabilmente ti trascina altrove.
    Immersa nei suoi pensieri non notò subito la piccola bolla di caos, anzi, si accorse di cosa stava succedendo solo nel momento in cui la musica cessò e poté chiaramente udire il mormorio acuto dei folletti della Cornovaglia.
    Una ventina, forse persino di più, di piccoli corpi blu volava nell’aria. Qualcuno doveva averli liberati per fare uno scherzo e causare un po’ di panico.
    La serata era ormai ufficialmente rovinata e Viole – assieme a svariati altri studenti – si affrettò a lasciare la sala per lasciare i professori ad occuparsi di quel piccolo ma fastidioso problema.
    Le sarebbe piaciuto quantomeno salutare Harry, ma nella folla non ebbe modo di trovarlo e alla fine decise di lasciar perdere, ci sarebbero certamente state altre occasioni.




    Interagisce principalmente con Harry ma deve andarsene quando i folletti inviati da Harry invadono la sala
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    I babbani hanno una cosa chiamata dio. È una sorta di creatura superiore a cui si rivolgono quando hanno bisogno di aiuto o vogliono qualcosa. Costruiscono grandi palazzi chiamati chiese, cattedrali se sono molto grandi, per parlarci.
    Nel Regno Unito e in Francia – come in diverse altre parti del mondo – molti credono che ad un certo punto questa creatura sia morta per assolvere i peccati degli esseri umani.
    Viole non sapeva molto di dio o di tutta quella storia, sapeva di Notre Dame e del Sacré-Cœur a Montmartre, delle loro alte guglie bianche e delle vetrate colorate, dei turisti che vi sciamavano attorno come locuste e di poco altro; ma sapeva di quella leggenda di un dio morto per eliminare i peccati.
    Ma se un dio babbano era morto per purificare i peccati allora se ne era lasciato uno alle spalle: quel suo corpo magro ed inutile, pallido come nebbia e altrettanto inconsistente.
    Ed era un desiderio quasi incomprensibile, temibile certamente, che mandava dal profondo un canto di morte e distruzione, che puntava a liberarsi dall’involucro della pelle e della carne, a farsi strada tramite costole spaccate e nervi recisi.
    Una pulsione all’annichilimento, a un buio omega in cui riposare, finalmente, tra le macerie di una futile esistenza.
    Quello era Viole.
    Uno spirito già morto che trascinava una carcassa di carne nella speranza risibile di una resurrezione impossibile.
    A volte – nel buio delle infinite notti solitarie al castello, nascosta sottoterra nella casa di tassorosso – si chiedeva se fosse possibile essere già morti e averlo scordato, se quella del movimento e del battito non fosse in realtà che una crudele illusione, un mancato collegamento tra mente e corpo che aveva fallito nel comunicarle la sua avvenuta dipartita.
    La verità era che non c’era granché da sentire, solo da subire in quella vita. E lei era così stanca di subire.
    Ma non c’era un modo semplice per uscirne. E neanche uno difficile. Era bloccata, incastrata in uno stato che era sospeso tra l’esistenza e l’inesistenza.
    Poche certezze e un costante e lancinante senso di mancanza, di inadeguatezza, un vuoto siderale che si espandeva dalla testa ai piedi.
    Ma di quelle poche certezze una era assoluta: la debolezza è un peccato mortale.
    Che sarebbe inutile.” Ribatté con una freddezza assente, come se per un momento la tassorosso fosse stata davvero altrove, nella valle dello Stige o in Francia poco cambiava, semplicemente altrove.
    Perché una cosa Viole la sapeva con certezza: a suo padre delle scuse non interessava nulla, avrebbe persino potuto trovarle patetiche conoscendolo. La debolezza, soprattutto di fronte agli altri, non era qualcosa che Aster tollerasse nei suoi figli.
    Ed era imparziale in questo: non avrebbe tollerato piagnistei da nessuno dei suoi figli, legittimi o meno; no, il crimine di Viole era stato ben diverso dal ferire suo fratello.
    Quando Laurier colpiva lei colpiva solo sua sorella, una noia domestica non interessava ad Aster, ma se Viole colpiva Laurier allora non colpiva suo fratello, colpiva l’erede dei Saint-Clement. Un tradimento.
    Nati sotto lo stesso nome, lei e Laurier non sarebbero però mai stati eguali, erano il rango e la società a metterli su un piano diverso e non c’era nulla che Viole potesse fare.
    Ho molto da perdere, moltissimo.” La sua casa, suo padre, il suo tenore di vita. Tutto.
    Non solo l’affetto dell’unica persona che l’avesse mai amata, suo padre, ma anche la sussistenza.
    Tutto ciò che possedeva o aveva mai posseduto apparteneva ai Saint-Clement e se quel supporto finanziario fosse cessato prima della sua indipendenza allora sarebbe finità in mezzo a una strada.
    Ovviamente nessuno lo diceva apertamente, nessuno avrebbe mai parlato di Aster in termini di mortalità, ma era una spada di Damocle non scritta che pendeva su di lei.
    Possiamo… lasciar perdere? Per favore.” Chiese poi, allungandosi verso la tazza precedentemente abbandonata, come a voler disperatamente ricucire l’atmosfera gioiosa che aveva regnato tra loro fino a poco prima.
    Si muoveva ora nervosamente, come un gatto che temeva un attacco nemico, muovendosi un po’ goffamente tra le ciotole, nel tentativo un po’ maldestro di portare a termine il compito assegnatole, come se anche solo quel piccolo compito manuale potesse aiutarla a non pensare.
    Avrebbe messo insieme per Erika, se fosse riuscita a preparargliela senza interruzioni, una semplice cioccolata con panna, ornata da nocciole tritate, amaretti sbriciolati e un velo di cacao.
    Classica e onesta, appena croccante e con un tocco inaspettato, come sembrava essere la ragazza di fronte a lei.


    «parlato»Pensato«Citazione parlato altro PG»
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    Viole aveva atteso la venuta del natale come si attende una condanna a morte, con la medesima gioia e il medesimo senso di soffocamento.
    Ogni mattina aveva atteso inutilmente per una lettera che non era mai venuta. Ovviamente non era venuta.
    Aveva iniziato quindi a programmare il suo ritorno a casa, o meglio, a casa di sua nonna per il Natale.
    Se non poteva passarlo con suo padre, si era detta, quantomeno lo avrebbe passato fuori da quelle mura.
    E di questo era stata convinta finché, con sua sorpresa, una mattina non le era stata recapitata una missiva da un serpeverde che non poteva dire di non conoscere: Harry, il ragazzo che aveva conosciuto al campo da quidditch qualche tempo prima.
    Viole era rimasta sorpresa e lusingata dal suo invito inaspettato e in preda ad un momento di follia aveva accettato di essere la sua dama al ballo della vigilia.
    Se n’era pentita quasi subito: per un momento la visione di Harry in una pozza di sangue, macellato come era successo a Marcus, si era fatta strada nella sua mente, ma aveva certato di mandarla via immediatamente.
    È tutto diverso questa volta – si era detta – Laurier non è qui, non può fare niente, siamo solo amici, anzi, neanche quello.
    Nei giorni successivi era stata un paio di volte sul punto di mandare tutto all’aria, preoccupata delle conseguenze delle sue azioni, ma aveva resistito e infine la vigilia di Natale era arrivata.
    Tra i pochi studenti rimasti al castello si era diffusa una sorta di energia elettrica sotterranea, fatta di risolini e anticipazione, da cui Viole aveva cercato di farsi coinvolgere in modo da essere distratta dai suoi pensieri più cupo.
    In parte aveva avuto successo: i preparativi per il ballo avevano in parte distratto la giovane tassorosso, consentendole di concentrare le sue attenzioni su questioni irrilevanti come quali orecchini o scarpe abbinare al vestito e alla maschera che avrebbe indossato.
    Poteva sembrare una questione sciocca, ma quello era un bel problema per qualcuno che amava essere impeccabile ed era interessata alla moda come lo era Viole.
    Nel strabordante armadio non mancavano certo gli abiti da sera, una signora aveva sempre una piccola selezione con sé, ma con sua grande sorpresa Harry gliene aveva fatto recapitare uno appositamente per il ballo.
    Non aveva saputo inizialmente se esserne offesa o lusingata, ma alla fine il secondo sentimento aveva prevalso, complice anche il fatto che l’abito era semplicemente stupendo e perfettamente nel suo stile.
    Aveva persino delle maniche che, per quanto sottili, erano abbastanza decorate da coprire la cicatrice sull’avambraccio. Era perfetto e Viole se ne era immediatamente innamorata perdutamente.
    Alla fine, dopo una dozzina o poco più di prove, aveva scelto di abbinare l’abito a dei delicati orecchini di perle, diamanti e oro giallo, a una maschera placcata dello stesso materiale e a un accessorio per capelli che riprendesse il tema dei fiori e l’oro degli altri accessori.
    Persino le scarpe di raso rosa cipria avevano delle decorazioni floreali smaltate e placcate. Non che fosse possibile vederle sotto il lungo abito, ma a Viole piaceva sapere di quel dettaglio.
    Era un po’ troppo sopra le righe? Forse, ma perché limitarsi ad abiti noiose e linee semplici quando invece l’occasione consentiva di osare?
    Viole poteva essere timida ma aveva sempre amato lo shopping e i begli abiti e, complice un conto in banca astronomico, aveva sempre ceduto a quella sua passione.
    Da sola era consapevole di possedere probabilmente più capi d’abbigliamento di tutte le sue coinquiline messe assieme, questo senza considerare il valore astronomico dei pezzi che componevano il suo guardaroba, il cui totale probabilmente non era troppo lontano dai sei zero.
    Ma a suo padre stava bene, persino ora che l’aveva esiliata il suo conto nella banca di famiglia continuava ad essere virtualmente illimitato, cosa di cui Viole era assolutamente grata.
    Anche perché era per lei la riprova del fatto che suo padre tenesse ancora a lei e non l’avesse dimenticata.

    Il giorno del ballo aveva iniziato a prepararsi ridicolmente presto, riscoprendosi molto più nervosa del previsto. Harry l’aveva invitata in amicizia, certo, ma era comunque la cosa più vicino ad un appuntamento che avesse da mesi, e il cielo sapeva che l’ultima volta non era andata bene.
    Dopo una lunghissima doccia, che l’aveva aiutata a rilassarsi solo in minuscola parte, era passata ad acconciarsi i capelli in un grazioso raccolto cui aveva poi aggiunto un fermaglio floreale e a truccarsi, preferendo come di consueto un trucco semplice ma luminoso, andando a riprendere gli stessi toni cipria del suo abito.
    Pochi spruzzi di profumo dolce e floreale dopo Viole era stata pronta per indossare l’abito donatole, riscoprendosi molto consapevole di quanto sexy fosse quel capo, i fiori che sembravano aggrapparsi alla sua pelle nuda più che alla stoffa di un abito.
    Terminati gli ultimi dettagli aveva preso la maschera ed era uscita, ricevendo le prime occhiate stupite già in sala comune. Le aveva ignorate, ovviamente, uscendo a testa alta e con qualche difficoltà dalla sala comune, sicura sui tacchi vertiginosi grazie ad anni di esperienza e al loro essere su misura per lei.
    Si diresse quindi con sicurezza, quantomeno apparente, verso la sala grande, appositamente allestita per l’evento in corso.
    Era piuttosto impressionante, doveva ammetterlo, pensò mentre si calava la maschera dorata sul viso e iniziava a cercare con lo sguardo il suo cavaliere. Fortunatamente individuarlo non fu particolarmente difficile, la cosa sgradevole fu invece notare le persone con cui stava parlando.
    Le occorse meno di un secondo per riconoscere nella ragazza della coppia una delle due cacciatrici di grifondoro, Grace le pareva si chiamasse.
    Una piccola smorfia apparve sul volto della tassorosso, ma rapida la scacciò, anche se da quella distanza e con quella folla non c’era modo che la vedessero e capissero.
    Si stampò in volto il solito sorriso di cortesia, fendendo la folla con grazia per avvicinarsi al serpeverde e ai due ragazzi con lui.
    Harry.” Salutò con un sorriso una volta che fu abbastanza vicina al gruppetto “Stai molto bene stasera.” Certamente stava molto meglio rispetto all’ultima volta che l’aveva visto, anche solo perché non era più coperto di sudore né le stava tirando addosso nulla.
    E’ un piacere conoscerti, Micheal.” Disse con un sorriso al ragazzo prima di voltarsi anche verso Grace “Grace, giusto? Sei nella squadra di Quidditch di grifondoro. È un piacere conoscerti al di fuori del campo.
    Se lo stringerla a sé la infastidì non lo diede a vedere, troppo concentrata nel difficile compito di mantenere un’espressione stoica e rilassata in volto: qualcuno con fin troppa colonia addosso doveva essere passato loro vicino perché la traccia di un odore sgradevole ora persisteva nell’aria.
    La gente avrebbe davvero dovuto imparare a scegliere e dosare meglio i propri profumi.
    Chiamatemi pure Viole.” Aggiunse con un sorriso appena disturbato dal fetore di colonia maschile.
    Voltò quindi appena il capo verso Harry, sollevandolo appena per incontrare il suo sguardo “Qualcosa da bere?” propose, sperando di allontanarsi un po’ da lì e che qualcosa da tenere in mano la aiutasse un po’ con il nervosismo che quel tipo di occasioni sociali solitamente tendevano a scatenare in lei.
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    Arriva e raggiunge Harry, Mike e Grace con cui interagisce brevemente prima di avvertire una puzza bizzarra e proporre di andare a prendere qualcosa da bere
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    Frequentavo.” Disse con una punta di tristezza, la sua vecchia scuola le mancava ancora terribilmente, forse non era stata felice tra quelle mura – certamente non lo era stata – ma era stato un luogo familiare e conosciuto per lei, privo di incognite.
    Sapeva dove andare per stare da sola, quali luoghi evitare per evitare le sue sorelle o i brutti ricordi, Hogwarts invece era un posto nuovo e misterioso, sconosciuto, pieno di persone che non sapevano niente di lei e della sua vita, del suo passato, di suo fratello.
    Era un’opportunità di cambiamento e in quanto tale fondamentalmente spaventosa.
    Piacere di conoscerti, Erika” sorrise, Erika, le piaceva, era breve e diretto ma non privo di fascino e gentilezza, le sembrava molto adatto alla ragazza dinnanzi a lei “Ti sta bene. E' un bel nome.” Si ritrovò ad aggiungere, quasi senza volerlo. Non aveva mancato di notare il suo impegno nel pronunciare il suo nome nel miglior modo possibile, era davvero gentile da parte sua.

    Non era neanche priva di malizia però, pensò Viole mentre faceva quello che era solo definibile come sgattaiolare alle spalle di quello che doveva essere un collega di Erika.
    Una punta d’ansia all’idea di aver fatto una cosa simile, di essersi infilata dove non doveva, la colse ma la scacciò rapidamente. Era divertente e non così grave.
    Yvonne l’aveva convinta a fare cose molto più gravi e pericolose di quella.
    Col senno di poi, per quanto le mancassero, non avrebbe dovuto cedere alle sue idee, forse, se non l’avesse fatto, sarebbe uscita meno sconfitta dalla loro relazione.
    Ma non era il momento dei brutti ricordi, non avrebbe permesso ai ricordi di rovinarle anche quel momento, si sarebbe lasciata andare a quel piccolo momento di spensieratezza.
    Addirittura? Non faccio nulla di simile da anni.” Ammise con un sorriso, avvicinandosi per osservare ciò che l’altra ragazza stava facendo, non cucinava nulla né si avvicinava ad una pentola da quando viveva ancora con sua nonna, al cottage.
    A casa sua, a Parigi, cucinare non era ritenuto un compito da maghi e streghe, era roba da elfi, e anche fosse stato qualcosa di ammissibile per un mago o una strega normale non era qualcosa di adatto a una Saint-Clement, neanche a una bastarda come lei.
    Viole, che pure non era una cuoca provetta, doveva ammettere di trovarlo comunque piuttosto divertente, soprattutto i dolci, il pane e le zuppe, c’era qualcosa di confortante nel profumo di lievito e nel basso sobbollire di una pentola. Erano familiari, caldi, piacevoli.
    I suoi occhi azzurri quindi seguirono con attenzione la preparazione di Erika, il fianco posato contro il piano della cucina, vicina abbastanza da osservare ma non abbastanza da esserle di intralcio.
    Subito!” obbedì, abbandonando la sua posizione per andare alla ricerca di due tazze nel mobile indicatole, ne scelse due azzurre pastello, una con una fantasia di piccole oche e l’altra con una simile fantasia ma con delle api come decorazione. Probabilmente erano state pensate per dei bambini ma Viole le trovava carine, quindi le portò alla bionda.
    Forse erano un po’ infantili, ma Erika non sembrava il tipo di persona pronta a ridere di lei, sembrava gentile, Viole sperava non la trovasse ridicola. Ma del resto aveva assistito a qualcosa di molto peggiore solo pochi istanti prima, quindi…
    Non aveva davvero alcuna dignità da difendere ai suoi occhi, l’aveva vista piangere, vergognarsi di una tazza sarebbe stato ridicolo a quel punto, no?
    Viole rimase genuinamente sorpresa, gli occhi che letteralmente si spalancavano per la sorpresa, vedendo quello che la norvegese aveva messo su.
    Nessuno si era mai dato tanto pensiero per lei, si era preso tanto disturbo, era assurdo che lo avesse fatto un’estranea. Era davvero dolce.
    Viole sorrise, un leggero rossore che faceva capolino sulle sue gote, gli occhi che saettavano da “quel tavolo di lavoro” alla biondissima norvegese.
    Non dovevi darti tanto disturbo…” mormorò con un sorriso imbarazzato ma sincero, uno di quelli che Viole elargiva con la parsimonia degna di un vecchio avaro
    Certo!” accettò con entusiasmo, annuendo anche con il capo, sperava solo di non fare un disastro e rovinare tutto l’impegno di Erika.
    Le porse una tazza, quella con le piccole oche, tenendo per sé l’altra. Stava per prendere il mestolo e riempire la tazza quando la sua nuova compagna di cioccolato decise di fare la domanda del secolo.
    Viole rimase immobile, silenziosa come una statua, per un istante, prima di posare la tazza sul ripiano e voltarsi verso l’altra ragazza, sul volto un’espressione indecifrabile.
    Io…” il volto pallido della ragazza tremò, l’espressione stoica che si accartocciava e lasciava il posto al dolore.
    Io ho un fratello.” Iniziò, lo sguardo basso per evitare quello dell’altra ragazza “E’ il mio fratellastro tecnicamente, lui è figlio della moglie di mio padre, ma non importa, lui… non credo che lui mi consideri sua sorella comunque.
    Noi non… io non… le cose tra noi… lui mi odia. Lo ha sempre fatto, onestamente.
    ” Lo fanno tutti loro, pensò seccamente, prima di continuare, la voce incolore “Io avevo un’amica. Eravamo molto amiche, tenevo a lei moltissimo” non sapeva se l’altra ragazza avrebbe intuito quanto, non voleva fare supposizioni su di lei solo per il suo aspetto androgino “ma a mio fratello Laurier – abbiamo tutti nomi di fiori e piante, è ridicolo – non piaceva, non gli è mai… piaciuta l’idea che io potessi avere delle cose. Delle persone.
    Ed era avvilente da ammettere, non sapeva neanche perché lo stava facendo, era umiliante. Neanche il suo sangue poteva amarla, anzi, il suo stesso fratello maggiore, quello che avrebbe dovuto prendersi cura di lei e volerle bene, era disgustato da lei. Doveva pure dir qualcosa, no?
    Quando tuo fratello ti odia, deve esserci qualcosa di sbagliato in te, per forza.
    Mi hanno tradito. Nel mio letto. E io l’ho colpito, con la magia, niente di grave, solo una bella botta contro il muro.” Rise amaramente, senza divertimento, deglutendo a vuoto, prima di tornare a parlare “Ma mio padre mi ha spedito qui, sono in esilio per aver risposto alle sue provocazioni. E mia madre, l’hai vista prima, mia solo mia, non è la madre di Laurier” e lo sapeva che sua madre non era sua, non lo era mai stata, non era mai stata dalla sua parte, mai “voleva che mi scusassi con Laurier. Crede lui abbia ragione. Tutti lo credono.” Sputò quelle ultime parole come fossero veleno, fiele che le si era annidato dai polmoni, disgustoso sulla lingua.
    Era la prima volta che raccontava quella storia a chiunque. L’aveva ripercorsa mille volte nella sua mente, ne aveva riesaminato ogni momento con precisione chirurgica.
    E ora, di fronte a quest’estranea, giungeva alla conclusione che nulla era cambiato, che non aveva realizzato nulla, che non aveva perdonato o fatto progressi.
    Che non c’era ordine o pace nel suo cuore, solo un vuoto privo di anima o parole, privo di speranza.
    Lei era il vuoto.


    «parlato»Pensato«Citazione parlato altro PG»


    Edited by Viole N. - 17/12/2022, 03:08
  6. .
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    A Viole non piaceva essere guardata. E al contempo le piaceva. Era strano e controintuitivo.
    Da una parte era debole di fronte all’attenzione, la faceva sentire lusingata, riempiva quel vuoto d’attenzione che si portava dietro da una vita; ma dall’altro la metteva a disagio, temeva troppo il giudizio altrui per rilassarsi quando gli altri la osservavano, temeva potessero vedere oltre il suo scudo e oltre le apparenze e scoprire quello che era davvero.
    Abbassò lo sguardo imbarazzata di fronte ai suoi occhi, fingendo noncuranza, cercando di mostrarsi impegnata con altro e intoccata dal suo fissarla.
    Nessuno gli aveva insegnato che fissare era da maleducati? Non glielo avevano insegnato i suoi genitori? Non era consuetudine farlo nel Regno Unito?
    Ci sono delle cheerleader?” chiese sorpresa da quella possibilità, in tutta franchezza non ne aveva idea, credeva fosse una cosa babbana, ma era lì da poco tempo quindi non poteva escludere che gli usi del mondo magico inglese si fossero aperti a una simile usanza.
    Davvero? Sembri più tipo da battitore in effetti. Forse da cacciatore anche.” Rispose con voce vagamente sorpresa, non gli sembra persona da coprire il ruolo di Giano, ma si sa che l’aspetto e le prime impressioni possono facilmente ingannare.
    Grazie.” Rispose con una lievissima, quasi impercettibile, esitazione. Da una parte non lo aveva del tutto perdonato, dall’altro la menta non le piaceva molto, soprattutto non quella forte, però le avevano insegnato che rifiutare un’offerta fatta con gentilezza era maleducazione e Viole odiava sembrare maleducata.
    Sapeva di dare spesso quell’impressione, e anche di essere snob, lo aveva anche sentito sussurrare da alcune delle ragazze di tassorosso in sala comune quando credevano non potesse sentirle. Inutile dire che da quel giorno evitava di passare il tempo in sala comune al massimo delle sue possibilità.
    Non voleva. Davvero. Ma… a volte era semplicemente così difficile, le persone erano difficili, piacergli era così difficile per lei. Se fosse stata come le gemelle o come Laurier, forse persino come il ragazzo davanti a lei, forse non sarebbe stato così difficile, ma per lei? Per Viole? Per lei era difficile.
    Anch’io ho studiato per qualche anno da privatista.” E nel dirlo, nel rivelare quel piccolo dettaglio di sé stessa, una luce parve illuminare il volto della tassorosso, come l’ombra di una felicità, una gioia segreta che le piegava le labbra in un piccolo sorriso sincero.
    Studiare con sua nonna, qualcosa che all’inizio aveva detestato con violenza, che aveva vissuto come uno strapparla dall’amato padre, era poi diventato uno dei momenti più confortanti della vita di Viole. Un momento di libertà dalla violenza e la crudeltà di una casa in cui non era la benvenuta.
    A volte, quando il sonno premeva ancora ai lati della sua mente, al mattino presto o a tarda notte, il ricordo del sole che spariva dietro i colli della Provenza o della pioggia sul fiume Durance rapido e cristallino tornavano a ricordarle di un Eden perduto.
    Sua nonna non aveva avuto elfi o una villa ma in quella semplicità, in quel rude calore umano, Viole aveva conosciuto per la prima volta l’affetto sincero e interessato di un’altra persona, la vicinanza di un altro essere umano.
    Grazie, sto cercando di migliorare il mio inglese.” Rispose con il solito velo di imbarazzo lusingato, Harry era davvero prodigo di complimenti, qualcun altro l’avrebbe trovato detestabile, e Viole ne era certamente un po’ imbarazzata ma al contempo non poteva che apprezzare i complimenti, non poteva davvero dire di riceverne molti.
    Com’era finita ad Hogwarts? Era una storia dannatamente lunga, una sgradevole, una che non avrebbe rivelato con facilità.
    Mio padre mi ha mandato qui, è una storia noiosa, niente di ché.” Mentì, sforzandosi di suonare calma e convincente, non era una bugiarda eccezionale, ma sperava che l’altro non avrebbe comunque insistito su quel punto.
    Si agitò leggermente, le spalle come mosse da un nervosismo sottile, sforzandosi di restare calma nonostante tutto.
    Non poteva dire a quel ragazzo che non era la stessa cosa, che la sua era una cicatrice diversa, che lui era un ragazzo, che era diverso, che per favore, non lo dicesse a nessuno.
    Possiamo lasciar perdere? Per favore?” non voleva parlarne, non voleva nominarla o vederla, voleva solo scomparire che scomparisse.
    E non sei brutto, sono piuttosto sicura che tu lo sappia.” Si sforzò di cambiare discorso, cercando di allontanare quello doloroso e sgradevole del suo braccio. Forse era stata troppo impertinente ma sperava che in quel modo lui cambiasse discorso e si concentrasse su altro, era una buona idea, anche se non poteva negare di essersi lievemente imbarazzata nel dirlo, le gote che si coloravano di una lieve sfumatura di rosa.
    Era la prima volta che faceva un complimento simili ad un ragazzo, soprattutto uno sconosciuto come quello.
    L’altro per fortuna sembrava aver capito l’antifona, o così sperava Viole, perché le lanciò la pluffa con cui aveva giocherellato fino a quel momento, sulla pelle della palla rimaneva flebile una traccia del calore delle sue mani.
    Cercatrice, ma so anche giocare come cacciatrice, ho fatto-“ la frase fu tagliata a metà dal suo stringerle la mano di colpo. Qualcosa che Viole non aveva previsto. Arrossì ancora di più, le iridi azzurre che volevano alle loro mani unite.
    E dicono che noi francesi siamo fisici! Magari è solo molto gentile? Probabilmente lo fa con tutte le ragazze.
    Le sue mani avevano tremato, che l’altro avesse frainteso? E se da una parte era una fortuna, dall’altra il contatto improvviso era stata una sorpresa che le aveva tolto le parole.
    “Io- Grazie.” Mormorò con un mezzo sorriso imbarazzato, incontrando lo sguardo dell’altro ragazzo per un momento prima che questi si allontanasse nuovamente lasciandola lì.
    Ci sto!” si ritrovò a dire, sorprendendo quasi anche sé stessa, prima di raccogliere la propria scopa e mettersi in posizione di partenza, la pluffa ancora stretta nella mano che lui non aveva toccato.
    Con un colpo di reni e dei piedi si librò in volo, rivolgendo un’occhiata al suo compagno di allenamento, una timida sfida nello sguardo.
    Forse era l’aver a che fare con qualcuno così sicuro come Harry, ma anche lei si sentiva di poter osare un po’.
    Vediamo come te la cavi.” Propose con un mezzo sorriso, librandosi sulla scopa con grazia e sicurezza, come una ballerina sulle punte più che come la giocatrice violento come il quidditch.
    Detto questo prese il via, rapidissima sulla scopa, diretta verso gli anelli all’altro capo del campo.


    «parlato»Pensato«Citazione parlato altro PG»
  7. .
    Cercatore tassorosso
    Viole Saint-Clement - 16yo - III
    Il bolide impattò con violenza sul manico della sua scopa, Viole strepitò, le mani e il corpo che si stringevano con forza sul manico di scopa, cercando con tutte le sue forze di restare in sella alla stessa.
    Il manico colpito roteò con forza su sé stesso, mettendo a dura prova la resistenza della francese.
    Gli occhi di Viole si riempirono di lacrime di terrore, il cuore che le batteva in petto come un tamburo, l’adrenalina che le pompava nelle vene.
    Cercò disperatamente di fermarsi, riprendendo il controllo sulla propria scopa, dopo qualche istante il roteare diminuì, permettendole di recuperare il dominio sul proprio mezzo.
    Era ancora un po’ frastornata, ma nulla di irrecuperabile. Soprattutto non quando aveva tutta quell’adrenalina in corpo.
    I suoi occhi a quel punto corsero subito a cercare due cose: la prima era il boccino, la seconda era la cercatrice avversaria.
    Quest’ultima era stata colpita e doveva essere precipitata per qualche metro e ora sembrava diretta verso… la loro porta? Eppure il boccino non era in quella direzione di certo.
    Viole si ritrovò incredula di fronte alla scena, da quando in qua i cercatori facevano anche i cacciatori? Non ne capiva il senso, che fosse stata colpita in testa?
    Non aveva importanza in quel momento, un baluginio dorato era apparso poco distante da lei, Viole rivolse rapida lo sguardo e la scopa verso di esso.
    Era di nuovo vicino, vicinissimo, ma questa volta era sola in area.
    Si allungò nella sua direzione, concentrata solo sul boccino che le volava a poca distante, bello come un brutto maturo ai suoi occhi.
    Allungò la mano, il boccino così vicino che poteva scorgere le piccole ali in movimento, e con un sorriso strinse le dita attorno al boccino, le piccole ali che le solleticavano la mano.
    L’euforia la colmò e solo allora, a partita finita, si concesse di abbassare le sguardo verso il resto del campo e i suoi compagni.

    Viene colpita dal bolide ma riesce a riprendere il controllo sulla scopa e poi a prendere il boccino
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