When will my reflection show Who I am inside?

With Bibliotecario.

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    Certe volte, avanzare per il castello troppo frequentato, rimanendo in disparte per osservare gli altri, le faceva credere che essere un’outsider non era poi così male. Erano le giornate buone quelle dove Danielle riusciva ad apprezzare i contorni di quella nuova vita, di quella nuova sé stessa che, con le unghie e con i denti, era riuscita a tirarsi fuori da quella voragine di sofferenza nella quale gli eventi l’avevano portata a precipitare. C’erano appunto giornate buone – come quella – e giornate peggiori dove invece lo sconforto la faceva da padroni. Nelle giornate buone la Richards amava guardarsi attorno, silenzio – anonima – mentre studiava chiunque la circondasse e i propri movimenti, espressioni. Erano tutti così pieni di vita, caotici. Si limitava a fare la spettatrice osservando le interazioni attorno a lei con pacifico distacco. Questo erano le giornate positive: pacato distacco, studio ma erano poche le giornate in cui riusciva a mantenere quel piacevole quanto confortevole mood mentale.
    Le giornate negative, invece ed il più delle volte, erano sentenziate in partenza dal meteo che la Scozia avrebbe regalato quel giorno e considerato che l’intera isola non vantava chissà quale clima magnanimo; quella caligine di negatività andava posandosi e sedimentandosi anche nell’animo della giovane Corvonero. Quelle giornate non erano affatto semplici da gestire e la giovane, particolarmente sensibile agli stimoli nella quale era immersa, subiva qualsiasi evento negativo incassando il colpo più duramente di quanto lo fosse in realtà l’evento stesso. Era sufficiente, ad esempio, che le compagne di stanza uscissero prima di lei per la colazione dimenticandosi di portarsela dietro per far precipitare la Richards nella voragine dell’esclusione. La mora si sentiva immediatamente messa da parte per quanto lei fosse la prima a non ricercare con particolare enfasi la compagnia altrui. Sapeva fosse colpa sua e del suo modo di essere ma una parte di sé desiderava ardentemente che qualcuno abbattesse quei muri, che a qualcuno importasse davvero di lei e che quel qualcuno non andasse via come avevano fatto le sue sorelle. Si sentiva abbandonata.
    Sognava di essere una donna indipendente, forte e carismatica e in un passato nemmeno troppo remoto era stata quel tipo di persona ma gli avvenimenti l’avevano cambiata. I continui colpi al suo sensibile cuore avevano fatto in modo che uno spesso muro di ghiaccio si sollevasse portandola ad estraniarsi dal mondo, dalla vita stessa quasi ne fosse diventata una spettatrice di passaggio. Non era esistenza quella ed una parte di Danielle ne era cosciente ma non sapeva come fare, come cambiare così come non sapeva come attrarre a sé delle nuove amicizie. Si sentiva inadatta ed in quanto tale non riusciva a porsi. Perennemente a disagio e con il timore d’essere giudicata più di quanto non lo fosse stata nella sua precedente esperienza dalle malelingue del castello. Non denigrava ciò che stava pian piano ricostruendo con la Tassorosso ma era conscia che alla sua età non fosse normale possedere una sola persona al proprio fianco. Una sola persona alla quale affidare quel titolo e con esso parte del suo cuore, della sua essenza. Rose era un’amica certo e condivideva il suo tempo con lei ma era come se la loro amicizia viaggiasse con il freno a mano tirato. Le loro confidenze ed interazioni erano superficiali e la Richards non era mai riuscita a fare il vero passo aprendosi con lei, lo stesso non sembrava provenire dalla White. Danielle si era messa a disposizione ma ciò che Rose si portava dentro e lasciava trapelare in alcuni momenti, lì dove il suo sguardo s’assentava sprofondando nei meandri della sua mente, non raggiungeva mai la superficie finendo per celarsi dietro uno dei suoi pacati sorrisi. Danielle annuiva ma mai l’avrebbe forzata e lo stesso riceveva in cambio. Erano quindi pochi i progressi che aveva fatto da quando aveva lasciato Ilvermorny e per quanto la dottoressa Conroy non l’avesse pressata in merito, leggeva nel suo sguardo la preoccupazione nei suoi riguardi seguita da alcuni rapidi appunti che portavano la Corvonero a boccheggiare alla ricerca di qualcosa che frenasse il grattare della piuma. Quella piuma la turbava.
    «Danielle» l’aveva fermata una volta la donna sistemando i sottili occhialini dalla montatura dorata, la stilografica per un istante ferma dal prendere appunti. «Non si tratta di far felice me. Qui si tratta di te. Del tuo percorso. Se non sei sincera...» E lei, appunto, non era sincera.
    Si ridestò di colpo, per un attimo spaventata dalla pallina di carta piombata a pochi centimetri dal suo bicchiere ma che, fortunatamente, non aveva centrato lo stesso o il piatto colmo solo a metà di ciò che aveva selezionato per il pranzo. Sbatté le palpebre meravigliata ma la sensazione durò solo qualche istante prima di ricordarsi che il mittente di quel biglietto poteva essere unicamente una persona: William Knight che aveva scelto di tempestarla senza lo spiraglio di una tregua. Ed esattamente come si aspettava, trovò la sua grafia a vergare le poche parole di quell’ennesimo bigliettino:
    “Oh, andiamo!! Non vedi come soffro?”

    Aveva qualche dubbio in merito tuttavia il suo sguardo s’alzò meccanicamente rivolgendosi alla ricerca del volto tra le fila dei Grifondoro. Infatti, eccolo lì, seduto proprio nella sua direzione quasi fosse stata intenzionale quella scelta atta proprio a verificarne la reazione. Di lei. Come se davvero gliene fosse importato qualcosa. Danielle incrociò i suoi occhi di quella particolare mistura tra l’azzurro ed il verde, i lineamenti erano tesi e lasciavano intuire la palese frustrazione che il suo atteggiamento gli causava. Strinse lo sguardo mentre una cocente rabbia le montava dentro. Le dita tremarono e sotto il suo sguardo sollevò il biglietto riducendolo in mille pezzi che ricaddero nel piatto. Fanculo alla sua sofferenza! Ai sentimenti altrui non aveva nemmeno lontanamente pensato quando aveva usato quella sua concasata e come lei chissà quante altre! Magari Danielle avrebbe semplicemente fatto parte di una futura prova, una qualche futura tacca da spuntare per le sue risate e quelle dei suoi amici. Usata e gettata ancora una volta. Usata in quello stanzino, abusata... No.
    Le mani batterono sul tavolo e le stoviglie tintinnarono per quell’impeto di collera. La Corvonero s’alzo, la fame del tutto passata, ed uscì dalla Sala Grande a spedite falcate. Ironico. Non aveva dovuto nemmeno giustificarsi con nessuno del suo atteggiamento. Com’erano cambiate le cose rispetto al passato.
    Un’ennesima giornata negativa.

    el
    Ma era impazzito?!
    Sbarrò gli occhi quando il biglietto si ridusse in cenere tra le sue mani pizzicando con il calore la pelle dei palmi. Si rifugiò nella sua stanza, dove si chiuse nel tentativo di seminare il Grifondoro ed i suoi insistenti biglietti ma nemmeno lì trovò la quiete a lei necessaria. Minuto dopo minuto il susseguirsi di gufi alla sua finestra non smetteva di distrarla dalla relazione che stoicamente cercava di mettersi avanti. Cercò d’ignorarne uno ma presto al barbagianni dal candido piumaggio se ne aggiunse un secondo, poi un gufo, poi un altro che, tutti insieme, batterono insistentemente i loro becchi alla finestra in attesa che la mora permettesse loro di effettuare la consegna. Persino un topo riuscì ad entrare nella sua stanza e a depositare sulla scrivania un foglietto arrotolato sul suo dorso. Gli occhi della Richards si sbarrarono dal terrore ma era talmente allibita che non emise un singolo fiato. Afferrò la sua tracolla infilando alla rinfusa le cose al suo interno e scappò anche da lì scendendo rapidamente i gradini fino a giungere al terzo piano dove risiedeva il suo rifugio per eccellenza: la biblioteca.
    Vi entrò trafelata, a testa bassa, mentre si dirigeva nella solita nicchia che occupava dove gettò la borsa e affondò il viso nei palmi. Le veniva da piangere, da urlare e avrebbe tanto voluto qualcuno con cui parlare apertamente. Qualcuno che sapesse e comprendesse come si sentiva e perché si sentiva a quel modo. Qualcuno che potesse capire ma allo stesso tempo non provasse pena per ciò che le era accaduto. Avrebbe potuto parlare con Rose ma la Tassorosso non sapeva cosa le era successo, come si sentiva e perché reagisse proprio in quel modo e Danielle non riusciva a dirglielo. La perfetta dei tassi aveva provato ad aiutarla per questioni meno importanti consigliandole di essere semplicemente sé stessa con il Grifondoro ma lei non era più la ragazza che aveva conosciuto, la ragazza sicura di sé carismatica e sorridente che era stata. Quella Danielle non c’era più. Era stata spazzata via.
    Rovistò nella borsa notando solo allora che non aveva preso la pergamena sulla quale stava lavorando. Lacrime di frustrazione s’affacciarono sul suo viso. Era un disastro totale. Espirò distendendo le mani, osservandone il tremore ma intimandosi di contenerlo, sopprimerlo e quando si sentì più calma s’alzò di colpo ma quando fece per voltarsi e compiere il primo passo andò a sbattere contro una figura alla quale caddero i tomi impilati sulle braccia.
    «Au!» Mugugnò la Corvonero massaggiandosi il fianco che, nell’impatto, aveva urtato contro lo spigolo. Le sarebbe uscito un bel livido.
    «Santa Priscilla! Mi scusi!» Esordì sbarrando gli occhi quando mise a fuoco l’identità della persona che aveva travolto. «Mi scusi…! Io… Io non l’avevo vista.» Si chinò immediatamente gettandosi alla raccolta e al successivo passaggio di mano per riconsegnare i tomi. «Ero distratta», concluse in un soffio.
     
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