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with Halley.

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    Mai, nella sua vita, era stato così sentimentalmente coinvolto come con Halley. Era grazie all'intensità di quei sentimenti che, malauguratamente, aveva ammesso di provare per lei se adesso, dopo la lezione di Fletcher, la stava inseguendo per tutto il castello. La grifondoro, palesemente scazzata, non ne voleva sapere di fermarsi a parlare con lui. «Halley, che cazzo, fermati!» La sua voce riecheggiò tra i corridoi del terzo piano mentre, a grandi falcate, cercava di raggiungere la sua ragazza. Una parte di lui avrebbe voluto mandarla al diavolo e non stare dietro a quelli che, un tempo, avrebbe definito capricci, ma le cose, tra loro, negli ultimi giorni non stavano andando bene. Il sesso era sempre grandioso, ma la Wheeler era distante. Non sapeva cosa cavolo avesse nella testa e, onestamente, neanche si era preso la briga di chiederlo, dando per scontato che quella fosse solo una fase transitoria. Si era sbagliato. In tal caso, non avrebbe fatto meglio a lasciarla andare? Rompere quella relazione malata sarebbe stata la cosa più giusta da fare. Era proprio per proteggerla dalla furia omicida di Dean che aveva preferito tenere per sé alcune cose per questo doveva lasciarla, ma il suo malato desiderio di averla, di possederla, glielo impediva. Era sua. E David era sempre stato un fottuto egoista, perché voleva che restasse con lui senza fare domande, senza conoscere la sua natura di mannaro. Gli era sempre stato detto di tacere, che parte del loro potere deriva proprio dal fatto che nessuno, oltre il branco, sapesse della maledizione che scorreva nelle loro vene. Chiunque venisse a conoscenza di quel segreto sarebbe morto. Fino a qualche tempo fa, non aveva preso seriamente la cosa, per lui era un vanto essere un licantropo, tuttavia, quel bastardo si era dimostrato un uomo di parola e aveva sgozzato davanti a lui una che si era portato a letto, la quale aveva avuto la sfortuna di vederlo quasi trasformarsi. Non aveva provato nessun senso di colpa, allora, perché per lui quella tipa era insignificante però, se non voleva fare la stessa fine, doveva stare zitto. Axel, per fortuna, sembrava aver dimenticato ciò che gli aveva detto mentre Rose non aveva aperto bocca. Il tasso doveva tacere, perché quel bastardo non se ne sarebbe stato con le mani n mano. Se lo sarebbero ritrovato fuori la porta, ed era l'ultima cosa di cui lui e Micheal avevano bisogno. Halley, quindi doveva solo fidarsi di lui. Di qualcuno che, di lei, non si era mai fidato realmente. La fiducia era un concetto a lui sconosciuto dato che, da quando era nato, aveva sempre dovuto guardarsi le spalle. Il branco era fedele a quel bastardo, sua madre pensava solo a se stessa e suo fratello, quel vigliacco, lo aveva pugnalato mentre dormiva. Tutti i membri della sua fottuta famiglia avevano provato a farlo fuori, cosa impediva ad un estraneo di farlo? Secondo i film, la musica e i libri, la risposta era l'amore, peccato che a quelle stronzate non ci avesse mai creduto. L'amore, nel suo mondo, non esisteva. Era una leggenda metropolitana. La vita era una merda e la sua, in particolare, un fottuto inferno. Da sempre. David si nutriva di odio, di vendetta, di dolore, di gloria, di potere, come suo padre, eppure, in mezzo a tutta quella negatività, Halley, in qualche modo, era riuscito a fargli provare qualcosa di altrettanto forte - qualcosa di positivo, di bello - che non sapeva come gestire. Non conosceva quei sentimenti. Erano strani, nuovi, sconosciuti e, in questo momento, lo stavano portando al limite. «HALLEY!» Per poco non gli spuntarono i canini per quanto era incazzato. Perché cavolo non si fermava a parlare? Non era quello, secondo lei, una delle basi di una relazione normale? Stufo, aumentò il passo e, la prese per il polso per farla voltare verso di lui non appena mise piede nella Sala Trofei. Il luogo in cui era iniziato tutto. «Mi vuoi spiegare che cazzo ti prende?» La guardò duro. Gli doveva delle spiegazioni. Non sapeva perché, ma era inquieto, c'era qualcosa che non andava in lui, in lei, in loro. Oppure, ciò che stava provando, era la paura di perderla? No, col cazzo. Io non ho paura di niente e di nessuno, figuriamoci di questo! Negava sempre, ogni fottuta volta, perché se lo avesse ammesso, sarebbe stato vulnerabile. Avrebbe mostrato una debolezza e, questo, David, non poteva permetterselo. Aveva troppi nemici e la Wheeler era il suo punto debole. Eppure, non la lasciava andare. «Hai perso la testa!?» Quasi le urlò. Era incazzato con se stesso per non riuscire a fare a meno di lei, con Halley che lo mandava al manicomio e con la bestia dentro di sé che desiderava affondare i canini nel suo collo dopo averla vista vicino ad un altro uomo. Qualcuno che non era lui. In tutta quella malata pazzia, però, c'era una cosa che David, forse, aveva finalmente capito: se non si fosse esposto, se non avesse detto almeno parte della verità, tra loro sarebbe finita. Ma Halley sarebbe stata in grado di sopportarne il peso? Sarebbe rimasta? O sarebbe fuggita via di fronte al mostro che era?

     
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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Una tortura psicologica in piena regola. Sarebbe mai giunta al capolinea? Il desiderio di urlargli in faccia si fece strada in lei, obbligandola a deglutire per cacciare indietro quell’istinto che l’avrebbe condotta dritta versa una figura di merda colossale davanti a coloro che, già in precedenza, avevano assistito alla sua disfatta sentimentale, in seguito all’atteggiamento tenuto da David nei confronti della sua compagna di squadra. Assurdo. Doveva essere un fottuto scherzo. Lo osservò in cagnesco a pochi minuti dal termine dell’ora riservata alla lezione di alchimia e, quando fu il momento, si sbrigò lasciando velocemente quello spazio opprimente in direzione del Castello dove avrebbe, in un secondo momento, cercato il modo per calmare quell’animo incapace di incassare ulteriori colpi. Un pensiero ambizioso, massacrato immediatamente da un’oscura presenza che, in pochi istanti, era riuscita non solo a raggiungerla ma, con chissà quale faccia tosta, le stava intimando di arrestare la sua corsa, scandendo il suo nome in una maniera tale da risultare quasi fastidiosa. Cercò di ignorare la sua voce, così come l’impeto di voltarsi e scagliarsi contro di lui. Un’impresa difficile. Quasi impossibile. ”… fermati!” Certo che no. Come se ogni suoi desiderio dovesse trovare accoglimento. No. Quei giorni erano giunti al termine. Ora ciò che contava per lei era, semplicemente, lei. Nessuno. Nessuno si sarebbe più interposto tra lei e la sua felicità. Neanche lui, anche se ciò sarebbe potuto costarle la fine della loro relazione. La parola fine era stata posta e dopo il consueto punto, avrebbe voltato pagina, scrivendo un nuovo capitolo della sua esistenza che, fino a quel momento, aveva lasciato a desiderare. Continuò a camminare, ignorando la richiesta avanzata dal battitore dei verde-argento, così come le sue imprecazioni da quattro soldi che non sarebbe riuscite a spaventarla. Non più. Il silenzio assordante ripiombò in quel maledetto corridoio, riportandole alla mente ogni momento vissuto in compagnia di quello che, nel suo immaginario, ora vestiva i panni di un insulso traditore. Fanculo! Si ammonì, concentrandosi sul ricordo dello sguardo del moro, intento a passare in rassegna l’interessante fisicità della Riis. Quanta umiliazione poteva mai subire con un solo gesto. Si sentì improvvisamente piccola. Quasi come se non fosse all’altezza delle ragazze alle quali era abituato. Come se non fosse abbastanza per lui, benché si fosse fatta in quattro per accettarlo per ciò che era: un sociopatico con problemi di gestione della rabbia. Lei l’aveva accettato per ciò che era, senza neanche mai tentare di cambiarlo, perdonandolo per i suoi gesti violenti e i ripetuti affronti posti in essere portandosi a letto chiunque capitasse sotto mano, solo per provocare in lei una reazione. Beh, cosa aveva ottenuto? Un cazzo. Uno schifosissimo pugno di mosche e una miriade di dubbi che riguardavano la sua fedeltà. Era stato lui a chiederle di impegnarsi. Lui si era prodigato a elargire promesse che, a quanto poteva vedere, neanche era in grado di mantenere. Quante ragazze spogliava con gli occhi giornalmente? A quante regalava quelle occhiate lussuriose. A quante aveva ceduto durante il periodo estivo, passato lontano da lei. Si era illusa e quello che stava vivendo non era altro che un brusco risveglio da un idillio al quale solo lei aveva potuto crederci. Mortificata, investita da un’acuta vergogna. Stati d’animo devastanti che, però, cercò di dissimulare dietro una maschera fatta di indifferenza. Cosa si aspettava da lei? Un’altra possibilità? Cazzate. Forse neanche si era reso conto dell’immagine di sé che era riuscito a propinare ai suoi compagni. A che stava pensando? Ordinaria amministrazione. ”HALLEY!” Il cuore della Wheeler perse un battito. Il tono della sua voce si elevò minaccioso, inducendola a pensare che forse sarebbe stato meglio uscire dal radar di possibili problemi. Senza pensarci due volte, la mora, si infilò in Sala Trofei, sperando che non vi fosse nessuno, proprio come la sera nella quale tutto aveva avuto inizio, sotto forma di avventura al di là di quegli schemi preimpostati. Si fermò dandogli le spalle. Velocemente riordinò i pensieri e quando fu lucida si voltò, pallida in volto. “Cosa vuoi, Harris?” Domandò lapidaria. Non gli era bastato mercificarla a lezione. No. Sentiva anche il bisogno di farle sapere che se qualcuno aveva sbagliato era proprio lei, reagendo in quel modo? Oh, no. Non ci sarebbe riuscito. Occhi negli occhi. Un testa a testa spettacolare perché, no, non si sarebbe mai tirata indietro quando nutriva la consapevolezza di avere la ragione dalla sua parte, così come le circostanze avevano dimostrato. ”Mi vuoi spiegare che cazzo ti prende?” Sempre così volgare ma, quel giorno, non sarebbe stata da meno perché con quel tipo di persone, mantenere la calma non sarebbe servito a nulla se non a lasciarsi schiacciare da quella che credevano essere una personalità forte. “Che cazzo mi prende?” Possibile non ci arrivasse da solo? Eppure era lì, limpida come un ruscello di montagna. La realtà dei fatti. “Hai una vaga idea di quanto dolore mi hai provocato in questo anno?” Domando retoricamente, negandogli ogni diritto di replica e quindi continuando quello che si sarebbe rivelato un monologo triste e disperato. “Mi hai stretto le mani al collo.” In primis. “Mi hai sostituita. Ti sei portato a letto chiunque, David, chiunque!” Nonostante non fosse un vero tradimento, si era sentita risentita abbastanza da perdere la sicurezza in sé. “Mi sono sentita una delle tante.” E poi? “Poi torni da me. Mi fai sentire importante. Mi stringi. Affermi di volermi in una maniera patologica. Ti perdono. Mi sforzo a darti fiducia e...” Cancelli tutto ciò che ho costruito! Posò le iridi smeraldine sul bracciale gemello ancora stretto al polso. “David. Oggi mi sembra di essere tornata indietro nel tempo. Con quell’incertezza lancinante sul fatto di non essere abbastanza per te!” Alzò lo sguardo, sostenendo quello del ragazzo, senza indugio. “Dimmi. Ti è piaciuto il panorama offerto dalla Riis?” La dolcezza scomparve dai suoi tratti, lasciando trasparire un lato inedito, riservato a pochi eletti. “Mi hai umiliata. Davanti a tutti. Come posso fidarmi di te? Non ti farò più soffrire! Te le ricordi queste parole?” Una promessa non mantenuta. “Prima mi hai ferita!” Il fiume in piena stava per essere arginato o, almeno, darsi una calmata era d’obbligo. “Cazzo, David. Mi ferisci senza neanche accorgertene. Eppure io non sono te. Io sono ciò che vedi, cazzo.” Sboccata. Parolacce che fluivano via a causa del suo alterato stato mentale. “Ma forse hai ragione. Sono pazza. Credere di poter stare con te quando neanche riusciamo a dialogare senza sputarci veleno addosso. Frustrazioni. Cattiverie. Invece di essere qui a litigare, dovremmo essere in quella fottuta Stanza delle Necessità. Nudi. Abbracciati. Raccontandoci a vicenda chi siamo realmente. Cosa ci siamo persi l’uno dell’altra. Come ogni coppia normale. Ma io non so nulla di te.” Prese fiato a fatica, convinta di perdere tempo con lui. “E ora, se vuoi scusarmi, ho una relazione da preparare.” Cercò di farsi strada, sapendo di non aver alcuna chance di avere la meglio su quel fisico scolpito che, ora, le sbarrava la strada, impedendole di tornare nel suo luogo sicuro, individuato proprio all’interno delle sua Sala Comune, dove poteva essere solo Halley. Sé stessa e nulla più.



     
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    Si era sempre divertito a provocare le persone fino a farle esplodere. La maggior parte delle volte, infatti, David lo faceva proprio per questo, e poi ce n'erano altre, di volte - rare - in cui lo faceva per capire fino a che punto potesse fidarsi di una persona che, contro ogni previsione, era riuscita a smuovere qualcosa in lui che non fosse rabbia o odio. Tendeva a portare l'oggetto del suo interesse - in questo caso Halley - al limite perché, per lui, non esistevano atti di fede e non riusciva a credere che, dopo tutto quello che le aveva fatto passare, lei fosse ancora lì, con lui, e che avesse persino deciso di essere la sua ragazza. Lui, al suo posto, non l'avrebbe mai fatto. Quella era stata la dimostrazione più forte ed evidente che la grifondoro potesse dargli, eppure non gli era bastata, aveva continuato a comportarsi da stronzo, mettendo duramente alla prova la sua già precaria pazienza. Era un'abitudine che aveva della quale difficilmente si sarebbe liberato ma adesso, mentre la vedeva camminare decisa davanti a lui, senza fermarsi, né voltarsi nemmeno una volta, nonostante le avesse urlato ripetutamente di mettere fine a quella corsa inutile -perché tanto, a breve, l'avrebbe raggiunta- lo portarono istintivamente a chiedersi se non avesse sbagliato con lei. Aveva tirato troppo la corda, doveva ammetterlo. Voleva colpire qualcosa. Cazzo. Stava mettendo in discussione le sue convinzioni per Halley, la sua ragazza, ma andava bene così perché, ogni tanto, anche David Harris aveva bisogno di un esame di coscienza e, soprattutto, di ammettere e riconoscere i suoi errori se non voleva perderla. Peccato che fosse esattamente ciò che stava succedendo in quel momento.
    Sarebbe stato facile ignorarla e lasciarla andare se solo non fosse stato così coinvolto, se solo non fosse arrivato a provare per lei un malato sentimento positivo, ma era proprio per questo che non poteva permetterle di allontanarsi. Doveva restare con lui adesso, che lo volesse no, perché la bestia era stata catturata. «Delle spiegazioni del cazzo!» Non aveva capito perché fosse fuggita via in quel modo dopo la lezione. Non aveva fatto niente, secondo lui, che avrebbe potuto farle avere una reazione così forte. Evidentemente si sbagliava, perché Halley, come un fiume in piena, aveva deciso di rompere i suoi argini per dare inizio ad una violenta inondazione. «Ti ho detto che non sarebbe più successo e ho mantenuto la mia parola, Wheeler! Te lo ripeto» E sperò che questa fosse l'ultima volta perché glielo aveva ripetuto fino allo sfinimento, l'aveva rassicurata come poteva e non si era più azzardato a compiere gesti violenti contro la sua persona. Non più. Adesso voleva solo proteggerla da quel bastardo. «non ti farò del male!» Gli urlò in faccia quelle parole esasperato, in parte stanco del fatto che non gli credesse. Poi gli rinfacciò di quelle che si era portato a letto, ma David, a quel tempo, non aveva ancora capito quanto fosse preso da Halley, stava ancora negando a se stesso i sentimenti che provava per lei. «Lo so. Ho sbagliato, va bene!? Ma è passato, indietro non si torna.» Serrò la mascella, incazzato. Quell'ammissione gli era costata, il suo orgoglio ne stava risentendo ma lo mise da parte, non era il momento di fare lo stronzo. Avrebbe dovuto mostrarle il suo lato umano, quello ancora vulnerabile, nascosto da spessi stradi di rabbia, odio e tendenze autodistruttive. «Non sei una delle tante, Halley, non dire cazzate.» Dov'era finita la grifondoro sicura di sé? L'aveva resa insicura? Non ne aveva idea, non aveva mai fatto caso a quei dettagli per lui inutili. Da come si erano messe le cose, però, avrebbe dovuto iniziare a farlo, almeno quando si trattava di lei. «Se hai bisogno di sentirtelo dire, te lo dirò.» Fece un passo avanti, deciso e con gli occhi fissi nei suoi. «L'unica per la quale abbia mai provato qualcosa sei tu.» Cosa gli stava succedendo? Perché si stava aprendo in quel modo? Era, forse, la paura di perderla per sempre che lo faceva agire così? Fanculo. Si sentiva, in parte, un emerito idiota a parlare così, questi sentimentalisimi non facevano per lui, tuttavia, si era reso conto che, per tenere Halley legata a sé, erano necessari. E poi ciò che stava dicendo era vero. “Dimmi. Ti è piaciuto il panorama offerto dalla Riis?” Aggrottò le sopracciglia e poi, non appena realizzò che era quello il motivo della sua reazione, scosse la testa, incredulo. La Riis si, se la sarebbe portato a letto, era oggettivamente figa, ma aveva deciso di avere un rapporto di esclusività con lei, che cazzo. Possibile che non si fidasse nemmeno un po' di lui? Che domanda stupida, certo che no, la sua fottuta reputazione lo precedeva. E poi neanche io mi sono realmente fidato di lei. «Ha un bel culo sì, ma in questo caso ho ammirato il panorama per provocare quel deficiente di Dragonov. » Spiegazioni, altre spiegazioni ancora. Si stava sforzando, stava andando contro la sua natura da menefreghista, superficiale bastardo. «E ti dirò anche questo» Strinse i pugni, conficcandosi le unghia nella carne. Gli costava esporsi così davanti a un'altra persona, mettere un minimo a nudo i suoi sentimenti perché - aveva imparato presto - farlo, nel Bronx, significava morte certa. In particolare nel branco. Doveva, però, imparare a scindere le due cose se voleva tenersi stretta Halley prima della fine definitiva. «voglio solo te. Desidero solo te. Ho toccato solo te da quando ci siamo messi insieme perché mi basti tu!» Alzò la voce lee farsu sentire, Halley sembrava non ascoltarlo, continuava a buttare fuori tutte le cose che si era tenuta dentro. L'aveva fatta soffrire. Vero. Ne era consapevole? In parte sì. «Degli altri a me però non frega un cazzo.»Ci tenne a sottolinearlo. Il giudizio della gente, per lui, non aveva importanza. Potevano pensare quello che volevano. Per un po' tacque, limitandosi ad ascoltarla ma c'erano cose che con lui non avrebbe mai potuto avere, questo lo sapeva. Lui non era normale, era un fottuta mina vagante con tendenze autodistruttive, una persona malata, deviata. Un assassino. "Ma io non so nulla di te." A distanza di un anno , la sua ragazza non sapeva molte cose di lui perché la verità l'avrebbe condotta alla morte. Ma come aveva detto a Micheal, prima o poi, Dean avrebbe scoperto tutto e allora tanto valeva mostrare parte della sua natura. Halley gli aveva dato sufficienti conferme. Era arrivato il momento di scoprire le carte. Quando provò ad andarsene, per qualche istante, non la fermò. Quando fu ad un passo dal voltare l'angolo e uscire dalla sala, le si parò davanti con una prontezza e una velocità nettamente superiori a quella umana. «Cosa vuoi sapere, Halley?» Il peso della verità, adesso, avrebbe gravato su di lei.



    Edited by David_ - 1/12/2023, 23:53
     
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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Non era abituata a scappare. La sua indole l’aveva sempre portata ad affrontare le situazioni di petto, scontrandosi anche all’ultimo sangue in caso di ragione. Oh, si! La ragione. In quel caso ne aveva da vendere. Come non mai. Raramente si era sentita sicura di essere totalmente in possesso della verità e, quella, era proprio una di quelle volte in cui non nutriva alcun dubbio a riguardo. Il coltello dalla parte del manico era a suo favore e difendersi sarebbe stata cosa buona e giusta. Respirò a pieni polmoni. Lentamente. Ritrovare la calma, però, sembrava un qualche cosa di dannatamente complicato in quel frangente. Le sue reazioni erano mosse esclusivamente dal rancore, venuto a galla dall’enorme umiliazione provata in seguito al deplorevole teatrino messo in atto da quello che era il suo ragazzo. Sì. La persona che più di tutte avrebbe dovuto comprenderla, proteggerla ed evitarle sofferenze di quel calibro, semplicemente comportandosi in maniera decente. Mai. Mai si era permessa di avanzare richieste. Mai gli aveva imposto un cambiamento. D’altra parte, scegliere di legarsi a qualcuno a qualcuno, però, implicava delle tacite convenzioni, utili al decollo di una relazione. Prima su tutte il rispetto. Forse chiedeva troppo. Forse David era affetto da qualche anomalia a livello psichico che lo induceva a non riconoscere ciò che era giusto e ciò che si addentrava nel più subdolo errore. Insomma, non aveva idea di come funzionasse la mente di quel ragazzo palesemente deviato da una realtà che, probabilmente non era in grado di soddisfarlo a tal punto da sentirsi appagato. Ed ecco riaffiorare la paura. Un terrore lancinante. Lo stesso che provava al cospetto di quella madre così esigente da farle sembrare in confronto una povera inetta senza futuro. La paura di non essere abbastanza. Abbassò lo sguardo. Per la prima volta dopo mesi avvertiva il peso della difficoltà. Strinse i pugni e lasciò che il verde-argento rispondesse alla sua domanda. Spiegazioni. Ecco a cosa ambiva. Spiegazioni per chiarire il suo allontanamento repentino da quello spazio che l’aveva vista protagonista di una disfatta su molteplici fronti. Le pupille si dilatarono e le iridi andarono a cercare quelle scure del maggiore dei fratelli Harris. Rimase lì. In silenzio. Mille e più pensieri si erano annidati nella sua mente, confondendola. Come poteva non aver compreso ciò che era accaduto. Come? Dopo un anno, un lunghissimo anno, passato a mostrarsi per ciò che era realmente. La sua genuinità non poteva essere passata inosservata a meno che, lui, non fosse così schifosamente distratto da altro per badare a colei che aveva voluto, di sua spontanea volontà, al suo fianco, dando per scontata la sua presenza nei secoli dei secoli. Sbagliato. Il limite di quella sopportazione stava per essere raggiunto e, di lì a poco, sarebbe stato sorpassato, gettando nella crisi più nera quel rapporto nato quasi per caso e cresciuto in maniera forse troppo esponenziale, trascinato dalla passione e dalla fisicità che di base li aveva uniti la prima volta, in quello stesso luogo. Esasperata. Svuotata di ogni forza. Non poteva più permetterglielo. “Cosa?” Domandò, sollevando il sopracciglio, sconvolta dalla naturalezza con la quale, David, aveva appena affermato il falso. Perché sì, quella appena proferita non era altro che un’enorme falsità e neanche si rendeva conto di quanto fosse lontana la realtà dei fatti. “David. Ascoltami.” Recitò il suo nome con una calma tale da non lasciare presagire nulla di buono nelle parole che sarebbero derivate in seguito. “Te lo sto dicendo.” Con fatica. Con il fottuto cuore in mano. Se dal suo punto di vista, quella stronzata non era valsa a nulla, da quello della Wheeler significava tutto. “Mi hai ferita.” Non poteva fare altro che presentargli il conto per le azioni svolte sul campo, per dare voce a cosa? Una frustrazione qualsiasi? Questo bastava per accoltellare alle spalle la persona a lui più vicina? Sì. Perché Halley, nonostante tutto, gli era rimasta accanto nel bene e nel male, anche dopo tutto quello che si era ritrova a subire. Perché? Perché a lui ci teneva. Più di quello che era pronta ad ammettere a sé stessa. Non aveva idea se fosse amore e neanche si interrogava su quel quesito che, sicuramente, le avrebbe tolto il sonno per parecchie notti. D’altra parte non riusciva ad immaginare le sue giornate senza la sua presenza spesso fastidiosa. Fanculo! La rabbia saliva. I suo pensieri erano volti meramente a ciò che sarebbe accaduto da lì i poi. “L’hai fatto.” Che non fosse consapevole della cosa, non cambiava assolutamente il risultato: si era sentita, ancora una volta, sostituibile. Piccola. “Puoi urlare quanto vuoi. Questo non ti conferirà la ragione che non hai.” Poteva mettersi il cuore in pace. Appariva seccato, come se fosse colpa sua. Come se fosse la folle che non aspettava altro che ingigantire una stronzata. Perché? Perché non riusciva a comprenderla? Eppure si era aperta tanto da porre nelle sue mani il segreto più grosso che potesse celarsi dietro a quegli occhi verdi spaesati. Lei un libro aperto. Lui? La presunzione allo stato puro. Improvvisamente si spense, forse esasperato da colei che stava, ancora una volta, scivolandogli via dalle braccia, le stesse che avrebbero solo dovuto stringerla in un momento di totale sconforto. Forte. Quasi da toglierle il fiato. Scuse che sarebbero bastate a farla sentire nuovamente qualcuno. Ma no. David non era portato per quel tipo di gesti e nonostante ne fosse a conoscenza, sperava che il tempo trascorso in sua compagnia fosse valso a qualche cosa, tanto da indurlo ad esternare quanto lei fosse importante. Si voltò di scatto. Le lacrime minacciavano di sgorgare copiose e, con grande tenacia, Halley le rimandò indietro, incanalando il suo senso di smarrimento in una direzione differente, tramutandolo in rabbia. Solo così avrebbe potuto mascherare il suo dolore. “Tu per me sei l’unico. Lo sei sempre stato. Ma questo lo sai.” Questa era la differenza. Lei non si sarebbe soffermata a complimentarsi con un altro ragazzo per il suo culo, specialmente non davanti alla persona che, forse un giorno, avrebbe potuto anche imparare ad amare. Quell’insicurezza la tramortiva. Non si riconosceva. Eppure non poteva fare a meno di riflettere su ciò che era avvenuto in sua presenza, senza pietà. “C’è qualche cosa di male?” Davvero era considerato sintomo di debolezza ammettere di provare qualche cosa? Al contrario lei riusciva a vederlo come una nota positiva in tutta quella merda che le stava franando addosso. “Non sono tipo da sentimentalismi, David. Dovresti conoscermi abbastanza.” Poteva metterci la mano sul fuoco ma, di tanto in tanto, dimostrare affetto contribuiva a tenere accesa quella fiamma che alimentava l’essenza fondamentale di una relazione. “Io… non mi riconosco più.” Ancora una volta si stava aprendo con lui, mostrando la sua anima candida e priva di cattive intenzioni ma stanca. Stanca di incassare colpi provenienti dagli atteggiamenti distruttivi del moro.

    L’atmosfera si riaccese, entrando nel merito di quella che era stata la causa scatenante della sua fuga verso l’ignoto. I suoi sguardi languidi alla Riis non erano passati inosservati. Un conato di vomito, di primo impatto, aveva preso il sopravvento, lasciando poi spazio all’ira funesta. Lo incalzò, credendo di ricevere delle scuse più che sentite. Altro errore madornale. ”Ha un bel culo sì…” Non poteva credere alle sue orecchie. Commentare il didietro della compagna di squadra, ancora, durante quello che aveva tutta l’aria di essere un potenziale chiarimento? Mossa davvero audace, sì. Ma stupida. Arretrò di un passo, cercando di mettere una distanza tale da non rischiare di essere portata ad infrangere una cinquina sulla sua guancia. Perché sì. Avrebbe voluto colpirlo con tutta la forza che aveva in corpo in quel preciso istante. ”… ma in questo caso ho ammirato il panorama per provocare quel deficiente di Dragonov.” Cosa cazzo avevano appena ascoltato le sue orecchie. Porca troia! La situazione era peggiore del previsto. Immaginava lo sforzo. Perse la calma. Le sue terminazioni nervose si accesero in quella che si stava per tramutare in una crisi vera e propria. “Fammi capire.” Il bisogno di urlare si fece sentire, forte e chiaro ma prese coscienza che sul petto portava fiera la spilla da Prefetto e si, lei era migliore di così. Migliore di lui. “Hai fatto i complimenti a Freya per far innervosire Axel?” Domanda retorica. Ovviamente. “Quindi hai reputato più importante la tua stupida faida con Axel? Scegliendo volutamente di fare del male a me?” Il disgusto si delineò sul suo volto. Allargò le braccia e prese a camminare in maniera disordinata, senza una motivazione. “Perché non gli chiedi di diventare il tuo nuovo ragazzo? Bacia bene. Te lo assicuro!” L’argine era andato in frantumi. Nessun colpo escluso. Fare leva sulla gelosia, sulle sue priorità. Qualsiasi cosa che potesse attaccarlo a tal punto da fargli perdere le staffe. Non le importava un cazzo. “Rivedi le tue priorità, Harris.” Portò la mano alla fronte, desiderando svanire dalla faccia della terra. Per sempre e un po’ di più. Il suo desiderio verso di lui la stava consumando. Un desiderio che si faceva ancora più forte a causa del fuoco che la infiammava dentro. Trattenersi dal gettarsi sul piano fisico, ora, sembrava impossibile ma facendo leva su tutto il suo buon senso, riuscì a reprimere la voglia di trascinarlo –come in principio- in quella stanza delle necessità. Sorrise sarcastica. “Sai. Quest’estate ho avuto un ritardo.” Era giunto il momento di spiegargli quanto, fino a quell'istante, fosse stato l’unico per lei. “Per un attimo ho pensato che, se fosse stato reale, ce la saremmo potuta cavare. Insieme.” Che povera idiota. “Mi rendo conto solo ora di essermi fatta delle idee sbagliate.” Se l’avesse sentita Grace, le avrebbe strappato tutti i capelli. Meglio tenerla all’oscuro di quei suoi pensieri assurdi. “Pensi che a me freghi degli altri?” Altra domanda alla quale non serviva una vera e propria risposta. “Non sarei qui se dessi peso a ciò che pensano gli altri. Su di te. Ma sono qui perché io…” Cosa? Lei cosa? Arrestò la sua confessione, scrollando la testa disperata. “Fanculo, David!” Una lacrima le rigò il volto, sfuggendo al suo controllo. Prontamente andò ad asciugarla e subito dopo cercò di congedarsi, con la scusa della relazione per migliorare il suo andamento nella materia insegnata dal Professor Fletcher. Niente da fare. Il corpo del battitore si interpose tra lei e l’uscita di quella che era, senza dubbio, uno dei suoi luoghi preferiti per ricordi e avvenimenti. ”Cosa vuoi sapere, Halley?” Posò gli occhi spenti e gonfi su di lui. La furia andò a scemare. La stanchezza prese a salire e il bisogno di ritrovare la quiete fu necessario. Smorzò i toni. Un appena percepibile sussurro. Flebile. “Tutto.” Ogni cosa. “Quanto dolore hai subito per essere così?” Ricordava di avergli già posto quell’interrogativo in quella tenda, in Africa. “Perché non ti lasci amare?” Avrebbe voluto tanto innamorarsi ma quel ragazzo non glielo stava permettendo affatto anzi, al contrario, sembrava volerla allontanare, utilizzando mezzi anche poco ordinari. “Di cosa cazzo hai paura?” Perché glielo leggeva negli occhi. Qualche cosa dietro a quell’indifferenza lo preoccupava e non doveva essere un qualche cosa di poco conto. Che fosse lui l’insicuro? No. Non poteva essere. Lei gli aveva dimostrato di potersi fidare e più di quello già messo in campo, non poteva fare. “La verità. Ecco cosa voglio sapere.” Che fosse troppo dura da accettare? Probabilmente ma, in fondo, quando mai si era arresa alle circostanze? Aveva lottato per entrambi perché se erano a quel punto non era di certo merito di David. Ora stava a lui fare un passo verso di lei, mostrando quanto fosse importante per lui e non a parole. In caso contrario? Beh, le loro promesse potevano trovare lo scioglimento necessario a farli continuare ognuno per la propria strada, senza rimpianti da parte della Grifondoro consapevole di aver dato tutto il possibile a colui che, in quel momento, si trovava davanti a lei disarmato e attonito. “Credo di meritarmelo. Se non puoi, David, ti prego, lasciami andare!” Furono le ultime parole prima che un lungo silenzio si sparse tra le mura di quella stanza a loro così familiare. Un anno dopo. Lui e lei. Anime in fiamme ed incerte. Lasciarsi andare e continuare ad appartenersi?



     
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    David non avrebbe mai pensato che, un giorno, avrebbe avuto paura di perdere una persona. Aveva sempre vissuto per se stesso, per la sua vendetta perché, per lui, ciò che più contava era vedere Dean strisciare ai suoi piedi e implorare pietà. Era quello il significato della sua esistenza. Eppure, mentre Halley gli mostrava il dolore che, consapevolmente, le aveva inflitto, aveva capito che lei era importante allo stesso modo. I sentimenti che provava per lei erano forti, ma non sapeva come esprimerli perché l'orgoglio e l'abitudine di nascondere ogni sua debolezza glielo impedivano. Parlava, cercando, a modo suo, di farle capire che ruolo avesse nella sua vita, fallendo miseramente ogni singola volta. Quello bravo con le parole era Micheal, non lui. Sospirò pesantemente e si passò una mano tra i capelli, stringendoli con forza, poi stese le braccia lungo i fianchi in segno di resa: l' unica cosa da fare per non perdere la sua ragazza era esporsi, mostrando una parte di sé che mai nessuno aveva più visto dopo che la sua tutrice era stata uccisa, davanti a lui, da suo padre per ricordagli che, chiunque lo avesse amato, avrebbe fatto la stessa fine. Halley, però, poteva essere la sua debolezza. Adesso era abbastanza forte da evitare che un episodio del genere si ripetesse. Doveva fidarsi di lei, perché lo aveva accettato nella sua totalità. Si avvicinò di qualche passo e, con una dolcezza che nemmeno sapeva di avere, le spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e la guardò, esitante, provando a parlare, a dire qualcosa, ma non ci riuscì. Era difficile pronunciare quelle parole, ammettere di essersi sbagliato, ma si sforzò. Altrimenti la sua ragazza sarebbe uscita da quella stanza per non tornare più. «Lo so, mi dis-»Si bloccò, per poi riprovare. «Mi dispiace.» Il suo orgoglio ne risentì ma non gli importò, in quel momento aveva altre priorità. Non aveva urlato, aveva ammesso i suoi errori, perché solo così Halley avrebbe capito che, di passi verso di lei, ne stava facendo. La mora, però, ne faceva sempre troppi; anche adesso, invece di fare la stronza e mandarlo a fanculo, gli aveva dato conferme. Era questa l'esclusività che voleva? Che pretendeva? Ciò che le aveva dimostrato fin ad ora non era bastato? Probabilmente no. Per questo erano ad un passo dalla fine. «So anche questo.» Le accarezzò la guancia con il pollice. «E tu lo sei per me. » Addolcì i lineamenti del viso quando pronunciò quelle parole, sperando di essere creduto. Perché ciò che le stava dicendo era la verità. «Non c'è niente di male per le persone normali, ma io non lo sono. Per me ammettere di provare qualcosa è difficile, se non impossibile, ma con te ci sono riuscito. Perché ciò che sento è reale.» La guardò per dei lunghi istanti prima di fare un passo indietro e mettere fine ad ogni contatto tra loro. Chiuse gli occhi con forza e si conficcò le unghia nella carne, l'abitudine lo spingeva a rimangiarsi tutto e ad urlare che era una stupida, che sarebbe stato meglio senza di lei, perché solo così sarebbe stato al sicuro. Solo così non avrebbe perso di vista il suo obiettivo. Avrebbe voluto avere Halley senza mostrare la sua parte più vulnerabile, ma il suo egoismo non l'avrebbe portato da nessuna parte. Posso fidarmi di lei.Perché gli stava parlando con il cuore in mano, dandogli, così, l'opportunità di farla a pezzi definitivamente. Un potere che lui, invece, non avrebbe mai voluto dare a nessuno. Questa era la differenza tra di loro. Tuttavia, David, quel cuore non voleva spezzarlo. «Nemmeno io mi riconosco più»Aprì gli occhi, fissandoli nei suoi. «ed è a causa tua.» Le poggiò una mano dietro la nuca, la spinse verso di sé e le diede un bacio sulla fronte. «Non ho mai fatto queste cose.»Perché nessuno era come lei.
    Aveva ammesso, senza problemi, che Freya aveva un bel culo perché dal suo punto di vista fare apprezzamenti su un'altra non era paragonabile ad un tradimento. Tra l'altro, il suo obiettivo era quello di far girare le palle ad Axel. Halley, però, la pensava diversamente, e non esitò a farglielo capire. «Non credevo ti avrebbe fatto così male, Wheeler.» E avrebbe anche detto altro se la sua ragazza non avesse commentato il modo in cui quel cane baciava. Gli salì il sangue al cervello, era ad un punto dal prenderla e baciarla con la forza per farle rimangiare ciò che aveva appena detto, ma si trattenne. A stento. D'ora in poi avrebbe dovuto girare a largo da quel tipo perché, la prossima volta - se mai ce ne sarebbe stata una- avrebbe lasciato fluire la sua rabbia. «Lo sto facendo e se non spacco qualcosa, dopo quello che mi hai detto, è solo perché sei una di quelle!» Alzò il tono della voce, maledicendo il giorno in cui quella dannata grifondoro gli era entrata nel cervello. Non era l'unico che la stava mandando al manicomio, lo stava facendo anche lei. Un ritardo? Aveva avuto un fottuto ritardo. Diede un pugno contro la parete, perché questo proprio non se lo aspettava. Avevano usato sempre le protezioni, solo quella volta nello spogliatoio non lo avevano fatto. Cazzo, cazzo, cazzo! Un altro pugno, uno e un altro ancora. «Halley» Si avvicinò di scatto, prendendole il viso tra le mani e scuotendola. Che voleva fare? Che voleva dirle? Come avrebbe dovuto reagire di fronte a quelle affermazioni? Se avesse aspettato un bambino lo avrebbe tenuto: il figlio di un assassino, di un mannaro e lo avrebbe portato in grembo senza neanche saperlo. E Dean li avrebbe ammazzati. «non deve più succedere. Promettimelo.» Doveva farlo. «Non saresti al sicuro. Non deve più succedere.» A denti stretti, disse quelle parole. Da oggi in poi avrebbe dovuto fare ancora più attenzione, avrebbe usato contraccettivi babbani, magici, pozioni e tutto quello che poteva servigli per non doversi più ritrovare in quella situazione. Un Harris generato all'infuori del matrimonio era inaccettabile per il branco, e quel bastardo avrebbe fatto fuori nel peggiore dei modi la madre. Poggiò la fronte contro la sua, respirando rumorosamente, perché cazzo, la sua ragazza aveva rischiato davvero di morire per mano di suo padre. E lui non l'avrebbe più rivista. Non l'avrebbe più baciata, toccata, sfiorata, fatta sua. Mai più. Avvolse la sua esile vita con le braccia e la strinse forte contro il suo corpo per sentire il suo petto fare su e giù. Per sentirla respirare. «Non voglio perderti.» Rafforzò la presa e poi la lasciò andare. Rischiava di soffocarla. Poi la vide, una lacrima scendere sul suo viso. Si voltò, pronta ad andarsene, forse per sempre, ma David le sbarrò la strada perché non poteva farlo. Non ora che aveva catturato la bestia.
    Le domande che gli porse erano difficili, complicate, eppure non si tirò indietro, parlò. Anche se ciò che le disse era solo una parte della verità. «Mio padre mi ha cresciuto diversamente dagli altri. Ha fatto tutto quello che era in suo potere per impedirmi di provare sentimenti positivi.» Nei suoi occhi, c'era il vuoto. Aveva lo stesso sguardo di quando, impassibile, uccideva, torturava e godeva nel sentire le urla delle su vittime. Sì, era proprio come suo padre. «Non lo so di cosa ho paura, e non so se ne avrai tu adesso. Di me.»Le mise una mano sulla guancia, asciugandole le lacrime e si chinò, poggiando delicatamente le labbra sulle sue. «Io non sono umano.» Le dita scivolarono nei suoi morbidi capelli, lente, sinuose, il suo profumo l'avvolgeva, aveva lo sguardo fisso su di lei per studiare ogni sua mossa, ogni cambio di espressione, ogni piccola sfaccettatura. Tutto. «Sono un licantropo come mio padre e mio nonno. Questa è la mia vera natura.»O almeno, parte di essa. Con le dita accarezzò il marchio che le aveva lasciato sul collo, ora poteva capire il significato di quel gesto. Ora poteva capire tante cose. «E di lasciarti andare non se ne parla.» Si sarebbe preso cura di lei finché qualcosa di terribile non li avesse divisi e, dopo aver staccato il cuore dal petto a quel bastardo, sarebbe tornato da lei. Non si sarebbe mai liberata di lui. L'avrebbe avuta, sempre e comunque perché era un malato patologico e provava, per lei, quel sentimento a cui, per ora, non avrebbe dato un nome.

     
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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Un famoso saggio recitava: ”La follia sta nel fare sempre la stessa cosa, aspettandosi risultati diversi.” Una massima facilmente adattabile alla psicologia della Grifondoro la quale, mossa da oscure motivazioni, perseverava su un sentiero che l’avrebbe condotta dritta all’inferno a far compagnia colui che se ne stava lì, davanti a lei, con aria interdetta, come se non avesse idea di cosa gli accadesse intorno. Certo che no. La sua disattenzione nei confronti dei dettagli, riusciva a mandare a puttane l’insieme dei concetti basilari che si presentavano, volta dopo volta, davanti. Come poteva non essersi accorto di tutto il male che le aveva procurato? Era davvero così idiota da non riuscire neanche a leggere anche i più banali segnali da lei inviati in più di un’occasione? O, forse più semplicemente, non gli importava un cazzo e il suo bene giungeva prima di qualsiasi cosa. Prima di lei. Una spiegazione come un’altra. Una spiegazione che se fosse stata confermata, le avrebbe provocato un dolore tale da sancire la conclusione di una relazione mai realmente sbocciata. Che si aspettava? Fiori e cioccolatini. Per l’amore di Morgana e Merlino, un trattamento simile gli avrebbe assicurato un biglietto sul treno del vaffanculo. Una mente semplice. Halley non desiderava altro che essere compresa. Rispettata. Esigeva un trattamento equo. Normale. Un comportamento umano, lo stesso che aveva mostrato lei, davanti ai mille ostacoli che, lui in persona, le aveva imposto per via del suo temperamento discutibile e pericoloso. Quante erano state le occasioni perse? Quanto tempo avevano sprecato attaccandosi l’una con l’altro, solo per la paura di lasciarsi andare e perdere le redini di un sentimento forte ma destinato, di quel passo, a scomparire per sempre? Terrore. Orgoglio. Motivazioni che, dopo un anno, assumevano un ruolo devastante, trascinando alla deriva tutto ciò che di buono avevano costruito insieme. Si sfregò il volto con entrambe le mano, finendo per intrecciare le dita ai capelli. Un gesto disperato. Un movimento che lasciava trasparire non solo tutta la sua frustrazione ma anche la drammaticità del momento. Che fare? Rimanere e dargli la possibilità di ribattere alle sue constatazioni che, sfortunatamente per lui, corrispondevano alla sua realtà oppure darsela al gambe, evitando di guardarsi indietro per non rischiare di avere ripensamenti su ciò a cui stava rinunciando? Un bivio. Una crudele biforcazione che avrebbe segnato il suo immediato futuro. Questa volta, però, non fece in tempo ad elaborare una soluzione esaustiva. Il ragazzo scelse per entrambi o, almeno, si decise a fare un primo passo verso di lei. Verso la persona che, nonostante tutto, aveva dimostrato quel che era certa che nessuno gli avesse mai dimostrato. Rimase di sasso. Immobile. Incapace di compiere anche il più piccolo movimento, lasciando che l’Harris maggiore la sfiorasse ancora una volta, delicato, andandole a sistemare il ciuffo ribelle dietro l’orecchio. Lì, dove non avrebbe intralciato. I suoi occhi smeraldini, dapprima riflessi in quelli scuri del moro, indugiarono sulle sue labbra così familiari da provocarle un tuffo al cuore proprio quando si rese conto che, se avessero posto la parola fine tra di loro, non sarebbero più state sue nella maniera più assoluta. Rimase in silenzio, rimuginando sul quanto potesse essere semplice, per lui, rimpiazzarla. L’aveva dimostrato e, sicuro, non avrebbe perso tempo, dimenticandosi di lei in un batter d’occhio. Contro ogni pronostico, però: ”… mi dispiace.” Per la prima volta, David Aron Harris, stava abbozzando delle scuse, accompagnate da un’espressione affaticata dall’inesperienza in quel campo. In quella Sala, ad un passo dalla fine, il bastardo senza cuore, attuò una prova di coraggio atipica per i suoi canoni. L’idea di perderla aveva scaturito in lui una sorta di panico, responsabile di una prese di coscienza inaspettata. Eppure non gli aveva mai nascosto la sua devozione. Per quale motivo, allora, non si era accontentato? Perché tirare la corda in quel modo, portando al limite la persona che, con il cuore in mano, aveva ammesso di concedere mente e corpo sempre e solo a lui? Quel suo modo di voler giocare ad armi impari, in perenne vantaggio, le stava stretto e il coltello dalla parte del manico era passato a lei. Lo avrebbe affondato nella sua carne? Tutto dipendeva da lui. Halley più di così, non si sarebbe esposta. Il pollice del verde-argento scivolò sulla sua guancia. Le palpebre delle Wheeler si serrarono, un po’ per la sensazione ma, principalmente, per reprimere quella vulnerabilità che si sarebbe presentata sotto forma di pianto. No. Non poteva. Se quel confronto si fosse trasformato in scontro, partire svantaggiata sarebbe stata l’ultima cosa da lei voluta. ”E tu lo sei per me.” Tornò vigile, studiando i lineamenti del suo viso e notando le marcate differenze che li distinguevano dalla normalità. Perché? Perché arrivare a tanto? Perché le persone assumevano un’importanza maggiore quando le si stava per perdere? Le parve che la stanza fosse invasa da una strana energia. Potente. Le circostanze stavano per cambiare. Una volta per tutte, soprattutto in seguito alla sua affermazione che lo vedeva etichettarsi come un essere non normale. “Credi che per me sia stato semplice?” Dopo un periodo interminabile caratterizzato dl suo silenzio imperturbabile, la rosso-oro riprese la parola. “Qui si parla sempre di te!” Il protagonista indiscusso. “Io mi sono presa cura di te.” In senso figurato, ovvio ma non gli aveva mia lasciato davvero la mano, neanche quando si era concessa una pausa per ritrovare sé stessa. “E tu?” Sì, lo stava colpevolizzando perché, in fi dei conti, era tutto ciò che desiderava: un rifugio sicuro. “Puoi dire lo stesso?” Secca. Lapidaria. Una fervore che raramente aveva provato sulla sua pelle. Lui accendeva in lei quella miccia che, una volta consumata, avrebbe indotto ad un’esplosione potenzialmente distruttiva, impossibile da gestire anche con tutta la buona volontà. “Dov’eri quando avevo bisogno di un posto sicuro dove tornare?” Quando era stata tradita dalla sua stessa famiglia. Quando le era mancato il terreno da sotto i piedi. Quando era arrivata a pensare di farla finita, così da evitare che quelle immagini le inquinassero l’anima. Dove? Colpevolizzarlo, oramai, non aveva più senso. “Dov’eri quando osservavo l’oceano, probabilmente a pochi passi da te?” Anche in America, seppur fosse a conoscenza della sua posizione così vicina, lo aveva percepito lontano. La spiegazione si trovava proprio lì, nella sua totale mancanza di conoscenza di chi fosse realmente il suo ragazzo. “Non sono indistruttibile!” In pochi avevano colto la sua essenza, gli stessi che le erano stati vicini nel suo post smarrimento. “Avevo bisogno di te.” Ho bisogno di te. Un pensiero latente, incapace di assumere un tono. “No ho mai avuto bisogno di nessuno! Te lo ripeto: vaffanculo, Harris! Forse per abitudine. Forse perché era la prima volta che la vita la metteva alla prova a tal punto da farla sentire una vera nullità. Proprio per questo motivo, infatti, non riusciva più a scorgere nel suo riflesso allo specchio, la vera essenza di quel che era stata un tempo neanche troppo lontano. ”Nemmeno io mi riconosco più.” Il cuore lminacciava di sradicarsi dal petto. L’attimo assunse un’importanza drastica. La colpevolizzò ma nella sua voce non vi era alcun segno del rancore alla quale l’aveva abituata. La attirò a sé, posando un bacio sulla sua fronte. Casto. Senza alcun fine secondario. Un evento che la spiazzò, impedendole di commentare ulteriormente l’argomento.
    La discussione si riaccese quando, con noncuranza, andò a sottolineare quanto reputasse di marginale importanza il complimento volto a provocare una reazione in Axel, del quale non aveva ben compreso il ruolo. “Come ti saresti sentito se fossi andata da Dragonov a complimentarmi per le sue chiappe?” Sotto al suo naso, per lo più. “Umiliato? Non all’altezza? Mi avresti lasciata in seduta stante, facendomi presente quanto fossi stata troia!.” Poco ma sicuro. “Esattamente come mi sono sentita io.” E forse non era ancora abbastanza. “Forse dovrei farlo! Lasciarti!” Solo in quel modo avrebbe compreso quanto la sua presenza fosse necessaria. I suoi attacchi mirati andarono a segno e quando il bacio –avvenuto più di un anno prima- tra lei e Axel fu di dominio pubblico, la sua espressione mutò, tornando dura. Si trattenne. Non diede di matto ma le sue parole confermarono l’inquietudine nata dalla confessione. “Tutti abbiamo un passato. Axel fa parte del mio.” In un certo senso. Evidenziò l’ovvio. “Neanche eravamo a conoscenza dell’esistenza l’una dell’altro.” O meglio, sì. Ma il suo interesse per quell’armadio a quattro ante, promiscuo e testa di cazzo, rasentava lo zero all’epoca. E poi seguendo quel ragionamento, lei in primis avrebbe dovuto spaccare la faccia a decine di ragazze, colpevoli di aver scaldato il suo letto. Follia. Il passato poteva essere riposto in un cassetto. Dimenticato. Ma il futuro? Il futuro era il vero problema.
    Quasi senza accorgersene, la capitana della squadra di quidditch, gli rivelò del suo ritardo avvenuto durante la stagione estiva, dopo il loro ultimo incontro negli spogliatoi del campo, divenuti poi teatro di una notte di passione. Una notte che stava per costare molto cara. Accusò il colpo, sfogando la sua ira contro la parete, prendendola a pugni. Halley fece un passo indietro, terrorizzata. “DAVID!” Un’ombra di disperazione. Una preghiera si elevò. “BASTA! TI PREGO!” Non vi era alcun bambino. Si era trattato pur sempre di un falso allarme ma, allora, perché reagire in maniera così spropositata? Si fiondò su di lei, colto dallo strazio più profondo mentre, con enfasi, pronunciava il suo nome, circondandole il volto tra le mani. ”Non deve più succedere. Promettimelo.” La scelta era stata di entrambi. Volutamente si erano esposti a quel rischio. Annuì in ogni caso. La ragione era dalla sua parte, stranamente. ”… non saresti al sicuro.” Beh, sua madre l’avrebbe ammazzata ma, in ogni caso, non sembrava essere quello il pericolo più grande. “Nostro figlio…” Un brivido. “… voglio dire, un nostro ipotetico figlio potrebbe mettermi in pericolo?” Di cosa andava blaterando? Cosa le stava nascondendo con tutte le sue forze. Iniziò a vacillare. La strinse e, senza aggiungere parola, sembrò godersi la sua vicinanza a pieno, come mai aveva fatto prima. ”Non voglio perderti.” Aumentò la pressione, obbligandola a farsi largo con le braccia per respirare a dovere. Che gli stava accadendo? Che fine indegna vi era stata per quella sua dannata spavalderia? Per quale motivo la sua sicurezza si era spenta così repentinamente. Alzò un braccio e posò il palmo della mano sulla sua guancia, sfiorandola in un gesto intimo e sentito. Un gesto che non bastò a ritrovare la serenità. Il contatto si allentò e con il volto rigato dalle lacrime, Halley, tentò di aprirsi un varco che l’avrebbe accompagnata nella sua tana. Al sicuro. Un buco nell’acqua. David le si parò davanti provocando in lei la rottura di quegli argini che la portarono a porre domande a raffica, confidando nel fatto che fosse la volta buona in cui l’avrebbe messa al corrente di quali fossero le cause di quella deviazione mentale.
    Lo ascoltò. Senza interrompere, così come reputava giusto. Nel suo sguardo il vuoto, come se il male in ciò andava a dire, non lo tangesse minimamente. “Però sei qui. E sì, sei uno stronzo. Ti ucciderei con le mie stesse mani! Ma...” Per quanto suo padre ci avesse provato, aveva deciso di essere lì, davanti a lei, vulnerabile come non mai. Non avrebbe azzardato commenti su quanto fosse stato sbagliata la condotta di quell’uomo ma, per un attimo, ebbe paura per lui e, allo stesso tempo per sé stessa, di non rivederlo più non appena le loro strade si fossero divise, anche solo per le banali festività invernali, oramai alle porte. Una sensazione. Come se di lì a poco, qualcosa avrebbe fatto a pezzi il suo cuore. Definitivamente. Irrimediabilmente. L’agitazione salì esponenzialmente, mentre le loro bocche si toccarono, come per cercare conforto reciproco, una forza che li avrebbe aiutati a condurli allo step successivo. ”Io non sono umano.” E non si stava riferendo al fatto di essere un coglione patentato dall’umanità opinabile. Vi era altro. ”… sono un licantropo.” Il respiro le si mozzò. Il cuore perse un battito e quando riprese la sua funzione, sembrò volerle uscire dal petto. Non fece niente. Non si allontanò. Non lo allontanò. Aveva ancora il suo sapore sulle labbra, lo stesso che le fece riacquistare la parvenza di lucidità necessaria per reagire a quella granata appena lanciata davanti ai suoi piedi. “Ok!” Si voltò di spalle e raggiunse la parete, scivolandoci contro fino a toccare il pavimento gelido con il sedere. Lo shock che ne derivò non fu indifferente. “D’accordo.” Trovare le parole adatte? Molto difficile. “La tua forza. Gli scatti d’ira.” Indizi più che validi. “Ha senso.” Sì, ma come avrebbe potuto pensare, anche lontanamente, ad una svolta di quel calibro? “Da quanto?” Ne sapeva abbastanza in materia. Metà della sua famiglia aveva passato anni a dare loro la caccia e gli aneddoti si sprecavano ogni fottuta volta. Abbassò lo sguardo. “Mi dispiace!” Che sia toccata a te! Sapeva cosa si provava. Conosceva la sensazione fin troppo bene. “E, David, per chiarire il tuo dubbio...” Quello lasciato in sospeso. “... non ho paura!” Le aveva mostrato la sua vera natura, quella che si era battuto per nascondere e ora? Cosa sarebbe accaduto?



     
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    L'accesa discussione che stava avendo con la sua ragazza lo stava mettendo a dura prova. Halley gli faceva domande dirette alle quali, difficilmente, avrebbe potuto dare una risposta affermativa. David era sempre stato un egoista e dei bisogni e dei sentimenti degli altri, non glie n'era mai importato niente, per questo usava parole dure per ferire il suo interlocutore. Anche la Wheeler non era stata esente da quel trattamento. L'aveva portata al limite molte volte per capire fino a che punto sarebbe stata in grado di sopportare un mostro come lui; il suo scopo lo aveva raggiunto mesi fa, a quel punto avrebbe dovuto fermarsi, lo sapeva, eppure non ci era riuscito perché era sua abitudine esasperare le persone e far loro del male. Non prendersene cura. In fondo, a lui non era mai stato riservato un trattamento del genere. Quando quel quesito gli venne posto, non poté fare altro che guardarla e dirle la verità. «No, perché non so come si fa.» Gli era venuto del tutto naturale starle vicino quando, in Infermeria, gli aveva raccontato della visione di suo padre e, altrettanto naturalmente, l'aveva difesa davanti a sua madre. In quei momenti, il suo istinto gli diceva di fare quelle cose e lui eseguiva, ma per il resto non aveva fatto altro che ferirla. Di questo, almeno, ne era consapevole. La grifondoro toccò un tasto dolente quando menzionò l'estate. La mascella si irrigidì di riflesso, i pugni si serrarono e la sua espressione divenne di marmo. In quei mesi non poteva stare con lei come avrebbe dovuto - e voluto - perché diventa un assassino a tempo pieno. Suo padre non lo perdeva di visita un attimo, il branco lo sottoponeva a duri allenamenti e il beta gli leggeva la mente. Ora sapeva anche questo. L'unico modo che aveva per mettersi in contatto con lei era tramite i messaggi babbani, ma più di quello non poteva fare. Non se voleva proteggerla. Halley, tuttavia, aveva interpretato quel suo comportamento come un totale disinteresse nei suoi confronti, cosa per niente vera. Il suo fottuto problema era che non riusciva a darle ciò che voleva perché non era un ragazzo normale, era un deviato fuori controllo con manie di autodistruzione. Malgrado ciò, non la lasciò andare. «Non ci sono stato, lo so. E non ti ho neanche scritto come dovrei dovuto perché non potevo. Ma mettiamo in chiaro una cosa» Ancora, la sua mano si poggiò su una guancia, accarezzandola dolcemente. «a me interessa come stai, cosa fai, con chi stai ma non so dimostrartelo.» Solo adesso, solo ora che era ad un passo dal perderla per la seconda volta lo stava facendo. Il tempismo non era mai stato il suo forte. "Avevo bisogno di te!" Quella frase seguita da quella dopo gli fecero capire non solo quanto avesse sbagliato, ma anche quanto intesi fossero i sentimenti che Halley provava per lui. Era tutto nero su bianco. Le prese il volto tra le mani e poggiò le labbra sulle sue, con forza, prima di staccarsi e guardarla con i suoi intensi occhi neri. «Siamo in due allora. Perché anche io ho un fottuto bisogno di te!» Era riuscito, finalmente, a dare voce quel bisogno che, da mesi, lo stava facendo andare fuori di testa. Avrebbe voluto baciarla fino a consumarle le labbra, ma si trattenne. Non sapeva come avrebbe reagito Halley che, tra le sue braccia, quasi tremava.
    «Ti ho mai dato della troia!?Non mettermi in bocca parole che non ho detto.» Le aveva urlato addosso, l'aveva marchiata, aveva quasi ucciso suo cugino per averla costretta a baciarlo ma quella parola del cazzo, contro di lei, non l'aveva mai usata. Non aveva motivo per farlo. Perché l'unico che l'aveva avuta era stato lui. «Lasciarmi!?» In un attimo le fu addosso, costringendola ad indietreggiare finché non si ritrovò con le spalle al muro. Emise un suono gutturale, basso e profondo, e le alzò il mento con forza. «Non se ne parla.» Categorico, emise la sua sentenza. «Ora che sono diventato tuo e tu mia, non puoi
    più tirarti indietro, è tardi ormai.»
    Le schiuse il labbro inferiore con il pollice e poi se lo portò alla bocca, succhiandolo. Se non poteva baciarla, avrebbe trovato altri modi per sentire il suo sapore e farle capire che era sua. «Il passato può tornare.» Le spostò una ciocca di capelli dal viso e avvicinò il suo, fermandosi ad un soffio dalle sue labbra. «Vuoi che mi fidi te, giusto? Lo farò. Ma non dargli modo di toccarti.» Per un mannaro possessivo e territoriale come lui era difficile non dare di matto quando un esemplare di sesso maschile si avvicinava alla sua ragazza con dubbie intenzioni, figuriamoci un altro licantropo con cui aveva un passato. Lo sforzo lo avrebbe fatto, le avrebbe dato fiducia, sperando di non doversene pentire in futuro.
    Una sola fottuta notte non aveva usato le precauzioni e cosa era successo? Halley aveva avuto un ritardo. Poteva morire. Lei e... La rabbia, per un istante, prese il sopravvento, e per sfogarla prese a pugni il muro. L'urlo della grifondoro gli permise di tornare in sé, ma era ancora agitato, perché cazzo, Dean avrebbe potuto ucciderla davanti a lui. E quell'incosciente nemmeno lo sapeva! Com'erano finiti a parlare di figli poi? Diventerò ancora più pazzo di quello che già non sono. «Halley questa è una conversazione da avere più avanti, non adesso. In futuro non sarà così.» O forse lo era già diventato dato che aveva appena valutato un futuro con dei figli. Mannari. Con la Wheeler. Gli venne quasi da ridere, per quanto ne sapeva tra qualche anno poteva pure essere morto, di che cazzo stava parlando? Mise da parte quell'assurdo pensiero e affondò il viso nel suo collo mentre, con forza, la stringeva a sé. Sentiva il suo calore, il suo respiro, era lì, tra le sue braccia e un attimo dopo non c'era più. Stava andando via, forse per sempre. Non glielo permise, le sbarrò la strada e, dopo tanto tempo, le rivelò la sua vera natura. Il battito del suo cuore aumentò, aveva paura adesso? Stava per correre via? Contro ogni previsione, non urlò né si fece prendere dal panico, semplicemente si sedette a terra, sorpresa da ciò che le aveva appena detto, e lo guardo. David la raggiunse, si inginocchiò davanti a lei e appoggiò le mani al lato del suo viso, rinchiudendola in una sorte di prigione umana. Non aveva via di scampo. «Da un anno o poco più, ma non sono stato morso. Nella mia famiglia la maledizione scorre da secoli.» Non esitò ad aggiungere quel dettaglio importante. Sorrise sinceramente quando dichiarò di non avere paura di lui. Si sporse in avanti e lasciò che le sue labbra si unissero alle sue. Le schiuse dolcemente con la lingua, baciandola intensamente e poi, quando ne ebbe abbastanza, si staccò. «Non devi averne. Desidero solo averti tutta per me. Ho la necessità che tu sia con me perché mi rendi più umano e meno bestia.» Per sempre. Ma quello non lo disse. Ora che sai chi sono davvero. Vuoi che ti dica altro?» Ci sarebbero state ancora tante altre cose da dire, ma le attività che svolgeva per suo padre e il fatto che fosse un assassino, le avrebbe tenute per sé.

     
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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    La stava perdendo. Halley, lentamente, scivolava via dalle sue mani. Ancora una volta. Inesorabile. Senza che lui ne fosse del tutto consapevole. Ce l’aveva messa tutta. Aveva lottato per entrambi e, dopo un anno, si era appena resa conto che tutti i suoi sforzi non erano serviti a nulla. David non faceva altro che portare avanti le sue credenze, le sue rivalse senza senso. Giochini pericolosi con effetti collaterali devastanti a carico dell’unica persona alla quale diceva di tenere. Abbassò lo sguardo, sgranando gli occhi spaventata. Le mani presero a sudare e la consapevolezza di sé, giunse come un proiettile in pieno petto, aprendole una prospettiva che si era rifiutata di vagliare, proprio per la complessità insita nel suo essere. Si sarebbe potuta cimentare in mille e più bugie ma, una volta calata la notte, rimanendo sola con sé stessa, mentire non sarebbe servito più a nulla. Rimase in silenzio. Impietrita e, quando lui presa la parola, quasi gli fu grata, nonostante stesse ammettendo di non essere in grado di prendersi cura di lei. La sincerità con la quale andò ad esprimere quel concetto la atterrì ancora di più, lasciandola cadere in quel turbinio di dolore che avrebbe espresso più tardi, quando lontana dal mondo, avrebbe affrontato la sua nuova problematica, portata all’attenzione proprio a causa della situazione. Sospirò. Arrabbiarsi aveva davvero senso? Si passò le mani sul viso, andando a sottolineare la frustrazione provata. Colpevolizzarlo sarebbe servito a poco ma, forse, metterlo davanti a ciò che, effettivamente, collimava con la verità della Grifondoro, avrebbe chiarito alcuni dettagli fondamentali. “Neanche io lo sapevo!” Ammise. In fondo si trattava anche per lei della prima volta. “Ma, a differenza tua, io ci ho provato. Per entrambi!” Riuscendo lì, dove lui aveva fallito. Ce l’aveva messa tutta. Era rimasta. L’aveva perdonato e si era fidata fino a quel giorno quando, mosso da un desiderio di vendetta da quattro soldi, non ci aveva pensato due volte a calpestare i suoi sentimenti. Perché? Credeva di poterselo permettere? Forse era certo che la mora fosse innamorata a tal punto da annullarsi? Come poteva esserlo? Lui per primo non le aveva mai dato modo di amarlo. Come poteva avanzare un diritto simile? Follia pura. Lo ascoltò attentamente. Le sue confessioni fecero tremare la sua anima, fino a quando un sorriso sghembo si aprì sulle sue labbra, pronte a richiedere ciò che non avrebbe mai pensato. “Voglio essere amata, David. Rispetatta. In tutto e per tutto.” Un concetto chiaro e semplice. Una richiesta più che equa. “Lo pretendo e credo che tu non sia pronto.” Aggiunse, scrollando le spalle come se avesse appena proferito un’ovvietà che neanche meritava di essere ripetuta. Che dire? Reputava l’amore una forma di rispetto. Quasi un’arte. Dentro o fuori. Non vi era un corso capace di insegnare ad amare e a rispettare la ragazza che, fino a prova contraria, si era scelto, sapendo a cosa stava andando incontro. La mano del giovane le sfiorò la guancia, delicatamente, quasi non fosse lui a mettere in atto quel gesto consolatore. Si morse il labbro inferiore. Forte. Cercando di concentrarsi sulla fitta, provocata dall’affondare dei denti, per non piangere e risultare patetica più del dovuto. Non era così. Non lo era mai stata e non avrebbe iniziato ad esserlo lì, in quella Sala che aveva visto sbocciare la relazione tra i due amanti e perfetti sconosciuti. “Vedi?” Domandò retoricamente, lasciandosi qualche istante per meditare sul da farsi. “Io non sono così.” Protestò più con sé stessa che con il suo ragazzo. “Non mendico attenzioni.” Si trattava di piccolezze. Messaggi, chiamate. Stronzate che non era stato in grado di compiere. Stronzate che sarebbero potute fruire da conferme minime, utili per mantenere la tranquillità necessaria per vivere. “Provaci, cazzo!” Mise fine a quella parvenza di intimità, ponendosi sulla difensiva ed esponendo il suo punto di vista in maniera chiara. “Stare insieme è complicato! Implica l’esserci con i fatti.” Le parole avrebbero perso di significato davanti alle pressoché nulle dimostrazioni che le aveva dato. Dissentì con il capo, lasciandosi travolgere dallo sconforto. “Ho avuto davvero bisogno di te in questi mesi.” Si sentiva stupida ribadire quella nozione elementare. “Anche solo di un tuo stupido ringhio per telefono.” Le scappò da ridere. Il telefono, però, per la maggior parte delle volte, era squillato a vuoto. Un vuoto che si era fatto sentire, giorno dopo giorno. Le sarebbe bastato sentirlo vicino ma, dopo aver assistito alla deplorevole scenetta a lezione, si era chiesta se le sue impossibilità avessero a che fare con la sfera femminile al di là dell’oceano. Perché, in fondo, perdere le abitudini era pur sempre difficile. Un brivido le percorse la schiena. L’idea di David con un’altra le fece ribollire il sangue nelle vene. La rabbia le tinse le guance di un rosso acceso, rimarcando il suo animo inquieto e pronto ad esplodere se solo vi fosse stata occasione. Lo lasciò fare. Le loro labbra si toccarono, quasi come fossero al culmine della pazienza e, non appena si staccarono, il maggiore dei fratelli Harris, si decise a riversare una verità che sembrava essere pesante come un macigno, sulle sue spalle. “Te l’ho già detto una volta…” Ricordava bene di averlo fatto, mesi prima quando era tornato da lei. “… sono sempre stata qui! Ma non posso lottare per entrambi. Non più! Mi sento prosciugata.” Anche quando fingevi che io non ci fossi! Ero qui! Quando si era portato a letto mezzo castello, per dimostrarle di essere forte. Di riuscire ad andare avanti anche senza di lei. Beh, anche lei l’aveva fatto. Era andata avanti. Con la differenza che a lei non era servito infilarsi nei caldi letti dei compagni, per dare un senso alla sua vita senza di lui. Si era focalizzata, semplicemente, su altro. Il quidditch. La scuola. Gli amici che non l’avevano abbandonata un secondo. Eppure un piccolo angolo della sua mente era dedicato ancora a lui. Lì, dove aveva rinchiuso il sentimento che, proprio in quell’istante, la logorava. Ferita. Sanguinante. Perché David si doveva spingere al limite? Arrivare a rischiare di perderla, per accorgersi di ciò che provava? Si lasciò andare all’ennesimo sospiro. Sarebbe stato sempre così? Avrebbe vissuto sempre sul filo del rasoio? E se non fosse stata in grado di reggere a quella dannata pressione? Di buono vi era il fatto che, da quel che poteva osservare, il vice capitano della squadra verde-argento, nutriva una marcata fiducia in lei, tanto da non prendere neanche lontanamente in considerazione un suo ipotetico tradimento. “Hai ragione!” Affermò, con tono piatto. “Tra i due la troia sei sempre stata tu!” Fece spallucce. In fondo neanche si era nascosto. Si spaventò quando, improvvisamente, le piombò addosso, dichiarando impossibile una loro eventuale separazione. Decise di fronteggiarlo. A muso duro, senza badare alla possibili conseguenze che uno scontro diretto avrebbe potuto dare. “Sei innamorato di me, Harris?” Lo sfidò. Metterlo alla prova sembrava essere cosa buona e giusta. Si assicurò di non perdere il contatto visivo, studiando una dopo l’altra le linee del suo volto stupito. Credeva vi fossero tutti gli estremi per un sentimento di quel calibro nei suoi confronti. Aveva dimostrato tutto. Andando oltre. Ricordava di avergli suggerito di non innamorarsi di lei e, dopo mesi, ironia della sorte, quella domanda gliela stava ponendo proprio per comprendere il futuro della loro relazione. Che stupida che era stata. Credeva davvero di poter gestire un legame basato sul solo sesso? Idiota. “Solo in questo caso avresti diritto di avanzare pretese.” E poi neanche credeva al per sempre. Tutti l’avevano delusa. Una buona parte delle persone alle quali, un tempo, aveva voluto bene, non si erano fatte scrupoli a tradirla. Chi era lui per definirsi diverso? A parole, poi.
    Ridusse gli occhi a fessura, senza riuscire a comprendere quale fosse la natura della rivalità tra lui e il compagno di casata. Che gli importava? La sua vita prima di lui non avrebbe dovuto toccarlo minimamente. Allora perché tutta quell’immotivata agitazione? “Axel non mi ha sfiorata neanche con un dito. Si è preso cura di me in una circostanza particolare e io l’ho trattato di merda.” Aveva anche cercato di chiarire la sua posizione ma, alla fine, tutto era andato a puttane per un equivoco del cazzo. C’era stato un bacio. Nulla più. Un bacio che, di certo, non avrebbe dovuto giustificare a David. “Forse è il tuo passato ad essere pericoloso. Per noi.” Magari una sua vecchia fiamma avrebbe avuto la faccia tosta di ripresentarsi sull’uscio della sua porta, facendolo scivolare nella tentazione. “Io metto in dubbio la fiducia riposta nei tuoi riguardi. Tu non puoi concederti questo lusso!” Neanche lontanamente avrebbe dovuto mettere in discussione la fiducia riposta in lei, perché si era sempre comportata da ragazza modello. In tutto e per tutto. Da quando, in infermeria, erano giunti alla conclusione che avere un rapporto esclusivo sarebbe stata l’unica soluzione ai loro problemi.
    Prese a imprecare. Halley lo osservò prendere a pugni la parete, fino a quando non trovò intollerabile la visione. Aveva avuto un ritardo. Aveva provato un timore nuovo, mai provato prima. Si era immaginata madre dei figli di David e quando il flussò tornò a presenziare nelle sue giornate, fu sollevata ma l’esperienza la face, comunque, riflettere. Il ragazzo parve nuovamente in preda a una crisi di nervi e, ancora una volta, non riuscì a comprendere il vero motivo alla base del comportamento. Più avanti? Aveva davvero considerato il fatto di diventare padre? Lui. Il bastardo senza cuore? Quello scontro stava prendendo una piega inaspettata. “Tu vuoi diventare padre!” Non era una domanda. Lo leggeva nei suoi occhi, tra la paura e la disperazione. Sorrise sinceramente. Un barlume di umanità si era appena insinuata in quei tratti duri e indecifrabili. Era stato un errore da non ripetere ma qualche cosa non andava nel suo tentativo di rimandare quella discussione in un futuro. Lasciò correre, credendo che non fosse poi così importante ma, ciò che arrivò dopo, diede in parte risposta ai suoi quesiti.
    David. Un mannaro. Poggiò la schiena contro il muro e vi scivolò contro, andando a sedersi a terra. La raggiunse, inginocchiandosi davanti a lei e racchiudendo con le mani il suo volto. La sua famiglia possedeva il gene. Un po’ come era accaduto a lei. Con la mano sfiorò il dorso di quella del moro. “Perché me lo dici solo ora?” Immaginava non fosse facile accettare una condizione di quel tipo. “Un ipotetico nostro figlio sarebbe destinato a…” Mannaro/veggente. Una doppia maledizione. “… è questo che ha scatenato la tua reazione?” O vi era d’altro sotto? Si. Un’onda di calore le invase lo stomaco. Alzò lo sguardo dopo aver messo fine ad uno dei baci più intensi che David le avesse mai dato, Halley, si ricordò della visione. “Tu sei umano. Un umano stronzo, sì. Ma umano.” Gli accarezzò il viso, lentamente. Senza calcolarlo. Era ancora arrabbiata con lui ma sarebbe andata a step. Passo a passo. “No! Cioè, sì! Ma non ora.” Avrebbe voluto chiedergli tante cose ma metterlo in difficoltà non era una sua priorità. “Quello che vorrei ora, non posso averlo!” Tornare a casa. Allontanarsi da quel castello anche solo per mezza giornata. “Dimmi solo una cosa.” Fondamentale. “Hai mai desiderato un’altra vita? Diversa da quella che il DNA ha scelto per te?” Lei si. Lo aveva desiderato a tal punto da arrivare a credere che, essendo impossibile, togliersi la vita sarebbe stata la scelta più saggia.



     
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    Quella era, probabilmente, la situazione più pericolosa nella quale si fosse mai trovato. Sapeva come comportarsi con Dean e i suoi nemici, con il branco, con suo fratello e con tutte le ragazze che si era portato a letto: semplicemente da stronzo. Tuttavia, con Halley, la sua ragazza, le cose non erano così semplici perché aveva qualcosa da perdere. Tutto quello di cui, probabilmente, avrebbero dovuto parlare mesi fa, stava venendo a galla e David non sapeva quale fosse la cosa giusta da fare, né da dire. Era un terreno inesplorato per lui, non aveva idea di come rassicurare la Wheeler che, con rabbia mista a dolore, gli spiegava come si era sentita. Poteva solo affidarsi al suo istinto e alla sue sensazioni, usando, per una buona volta, anche quel minimo di coscienza che gli era rimasta se non voleva perderla per sempre, perché era ad un passo dal farlo. Gli disse, senza mezzi termini, che voleva essere amata e rispettata, altri due concetti con i quali aveva poca famigliarità. Nella sua testa, da quando si erano messi insieme, l'aveva sempre rispettata, ma ai suoi occhi non era stato affatto così. «Forse no, ma non ciò non toglie che potrei provare ad esserlo.» Dei passi avanti ne aveva fatti; prima, ad esempio, non si sarebbe mai esposto in quel modo con un'altra persona, chiedendole scusa e ammettendo di provare qualcosa di forte nei suoi confronti. Halley, però, era riuscita dove molte avevano fallito: rimetterlo in contatto con quel minimo di umanità che gli restava. «Lo so.» Le sue attenzioni non le aveva mai elemosinate, era sempre rimasta fedele a se stessa, da tipica grifondoro, ed era anche per questo se non si era mai stancato di lei. Gli teneva testa, la chimica tra loro era inspiegabile e, contro ogni previsione, lentamente, se ne stava innamorando. Se innamorarsi significava avere il costante bisogno di sentirla vicina, fare sesso solo con lei, passare del tempo insieme, uscire, sentirne la mancanza, e altri cazzi vari, allora sì, lo era. «Non potevo chiamarti in quei momenti, Wheeler! Perché non mi hai detto che avevi bisogno di me!? Se non parli, non lo so. Faccio schifo in queste cose!» Espirò l'aria delle narici, e si passò nervosamente una mano tra i capelli. Aveva bisogno di bere. O di fumare. Di qualcosa che mettesse a tacere i suoi pensieri, perché non ci stava capendo più un cazzo. Decise, quindi, di baciarla, aveva bisogno di quel contatto. Quando si staccò, le cose tornarono come prima. Niente era stato ancora risolto. Era punto e a capo. Cazzo. «In questo momento sto lottando anche io. Per non perderti.» La guardò diritto negli occhi quando le disse quelle parole. Perché non capiva? Era così difficile, che diamine!
    «Come quasi tutti i ragazzi d'altra parte.» Non era l'unico ad andare a letto con chiunque in quella scuola. Lo faceva quasi tutta la popolazione maschile, tranne i gay, i secchioni, i cessi e quelli con l'anello al dito, Micheal compreso. Lui, in quella categoria, ci stava entrando. "Sei innamorato di me, Harris?” Lo provocò. Si avvicinò di qualche passo e le prese il mento tra le dita per tenerle fermo il viso. Quella domanda, a differenza delle altre volte, non gli face più paura, perché era sceso a patti con ciò che provava per lei. Non esitò, quindi, a darle la sua risposta. «Penso di esserlo, anzi lo sono, quindi posso avanzare pretese, Wheeler.» E se anche dopo questa, si ostinava a non capire, beh, non aveva idea di come avrebbe reagito. Forse in maniera simile a come aveva appena fatto quando nominò Dragonov. Lo chiamava anche per nome, a quel demente. Si irritò ancora di più. «Hai fatto bene a trattarlo di merda.» Serrò la mascella. «A cosa ti riferisci con il mio passato?» Parlava di quelle che si era portato a letto? Di suo padre? Della maledizione? Di cosa? Era un fottuto assassino, tutto, di lui era pericoloso. «E io ti ho detto che da quando siamo insieme ti sono stato fedele. Vuoi che te lo dica in altre lingue?» Stava iniziando a perdere la pazienza per tanti motivi. Poi, quando seppe della sua presunta gravidanza, esplose, prendendo a pugni il muro, abbracciandola e rimandando quella conversazione in futuro. «Forse, non lo so. Non ci sto capendo un cazzo di niente in questo momento.» E come poteva? Stava dicendo e ammettendo cose che, mai, avrebbe creduto possibili a una ragazza, compreso rivelarle di essere un mannaro. Suo padre lo avrebbe ucciso, non avrebbe visto la luce del sole e, insieme a lui, neanche lei. E nemmeno i loro figli. Ancora, basta, dannazione! Sto uscendo pazzo. Orami, quello, era un pensiero alquanto ricorrente nella sua mente nell'ultimo periodo. Tra l'altro, l' incontro con il beta - determinante per il futuro dei fratelli Harris - dipendeva da lui. Doveva assolutamente passare dalla loro parte, così uccidere Dean non sarebbe stato più un ideale, ma una realtà concreta. Poteva sperare, allora, di poter essere finalmente libero dall'uomo che aveva reso la sua vita un inferno? No, per ora non avrebbe dovuto. Appigliarsi a quella flebile speranza lo avrebbe indebolito e quel bastardo non avrebbe esitato ad usare la sua debolezza come arma. Era pericoloso. Soprattutto per Halley. Eppure ciò non gli impedì di sbarrarle ogni via di fuga. «Non mi è permesso dirlo.» In passato, aveva sottovalutato le minacce di suo padre, e il prezzo che aveva pagato era stato caro. Per fortuna l'avvoltoio non era stata infettata, altrimenti, a quest'ora, si sarebbe ritrovato con un arto in meno. «Non sono contrario ad avere figli mannari, tutt'altro.» Si avvicinò ancor di più alla grifondoro e la baciò con foga, senza trattenersi. «Che sia uno stronzo è risaputo.» Fece spallucce, e inclinò il viso quando la sua mano gli sfiorò la guancia. Accennò appena un sorriso, che tuttavia si spense non appena udì la sua domanda. Una vita diversa da quella di un licantropo non l'aveva mai considerata, anche perché aveva sempre desiderato contrarre il gene. Era stato cresciuto in un certo modo e le convinzioni del branco erano ormai troppo radicate in lui per poter essere estirpate. «Non me lo sono mai chiesto, è inutile pensarci. La vita che abbiamo è questa.» Ciò che interessava a David, però, era un'altra cosa. «Halley, che vuoi fare?» Voleva andare via? Voleva restare? Aveva bisogno di tempo? Per quell'unica, singola volta, avrebbe rispettato la sua scelta. Come avrebbe reagito poi, in futuro, se le cose fossero andate diversamente da come aveva immaginato, non era dato saperlo. Perché un Harris che si era aperto in quel modo, era ancora più imprevedibile.

     
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    Halley Wheeler | quinto anno | prefetto grifondoro


    Avvertì un dolore angosciante. Proprio lì, all’altezza del petto. Sede del suo cuore. Lo stesso che le suggeriva di non arrendersi con lui. La sua mente, però, non poteva fare a meno di provare un acuto scetticismo. Un sentimento più che giustificato. Ancora una volta, infatti, David non era riuscito a porla sul gradino più alto delle sue priorità. Forse inconsapevolmente. Questo non poteva saperlo ma il risultato non sarebbe mutato. Non dopo il loro passato. Lei, come lui, non aveva alcuna idea di quali fossero le dinamiche, pronte ad entrare in gioco, a seguito della loro decisione di cedere ad una relazione esclusiva. Eppure di una cosa era certa: lei avrebbe fatto di tutto per non farlo soffrire. Sarebbe stata al suo fianco, pronta a proteggerlo in caso di necessità. In quel momento, però, la sua buona volontà si scontrò con le intenzioni poco decorose del moro. Contro la sua superficialità. Si sentì improvvisamente prosciugata. Le forze iniziavano a venire meno e l’ambizione di continuare a credere in quella relazione, minacciò di spegnersi. Una sola richiesta, si fece largo in lei e, a seguito di un piccolo turbamento inziale, Halley, riuscì ad esporla in maniera semplice. Breve. Così che potesse essere recepita chiaramente anche da una mente impenetrabile come quella del verde-argento. Il suo volere andò a segno, smuovendo quel briciolo di coscienza rimasta in lui, ancora convinto di avercela messa tutta per coltivare il loro legame. Punti di vista. Certo, ma per la rosso-oro contavano solo i fatti. Non le parole. Ed i primi denotavano una grande carenza, sintomo del suo non essere pronto a calarsi in un ruolo che non aveva mai interpretato: quello del fidanzato amorevole. No. Le smancerie non avrebbero fatto parte del pacchetto, ne era consapevole, e ringraziava Merlino per questo. Ma i gesti rappresentavano il suo tutto e le sembrava di obbligarlo ad essere ciò che in realtà non sarebbe mai voluto diventare. Annuì. Facendo attenzione a non andare oltre quel limite che li avrebbe trascinati al di là di ogni logica, finendo ancora per alzare i toni e sputare sentenze delle quali si sarebbero pentiti. Sul filo del rasoio. Sempre e comunque. Così come lo era stata lei durante il periodo estivo quando i contatti tra loro si erano affievoliti. Chiamate sporadiche. I soliti convenevoli, seguiti da eterni silenzi sospetti. Quante notti aveva passato in bianco, con il cellulare sul cuscino, in attesa di un segno che non era mai arrivato? Tante. Troppe. Eppure non ne aveva parlato con nessuno, tenendo per sé quella sensazione di vuoto creatasi in lei, giorno dopo giorno. “Perché? Cosa te lo ha impedito?” Alzò gli occhi, colmando la differenza di altezza che li separava. Spenta, come una lucciola esanime. Cosa gli aveva impedito di essere presente? La sua famiglia? Un lavoro del quale non sapeva nulla? Un’altra donna? Cosa? Quei pensieri oscuravano la sua lucidità. “L’abitudine.” Ecco cosa l’aveva trattenuta dall’ammettere la verità. “Mi hanno insegnato a cavarmela da sola.” Una lezione impartitagli severamente da sua madre che, con una crudità estrema, le aveva inculcato il su credo, secondo il quale l’unica persona degna di fiducia, rispondeva al nome che le era stato donato alla nascita. La stessa massima che le aveva provocato un grande senso di solitudine, della quale si doveva liberare il prima possibile. “Il punto è che non voglio!” Non più. Non dopo aver messo nelle sue mani la sua essenza. “Ma forse, in questo campo, faccio più schifo di te!” Lo osservò agitarsi. Scompigliarsi i capelli ed, infine, scagliarsi sulle sue labbra, senza avere il tempo necessario per sottrarsi a quella morsa che, comunque, trovò confortante e famigliare. Terminato il momento, però, tutto tornò come prima. Il peso di quell’atmosfera li stava schiacciando e la paura di perdersi reciprocamente, oramai, era evidente. “Dovrai lottare per me ogni singolo istante. Per la mia felicità!” Non di tanto in tanto. Sempre. Perché questo dava senso a una relazione. Lottare per la felicità dell’altro. Un concetto così elementare che assumeva le sembianze di una frase fatta, scontata. Degna di qualche banalissimo cioccolatino. Lasciarsi andare, quindi, sarebbe stata la via più facile da seguire. Ognuno avrebbe inseguito i propri sogni o aspirazioni, lontano dall’altro. Due mondi separati. Socchiuse gli occhi, estraniandosi dal presente e tornando, così, ad un anno prima. Proprio in quella stanza tutto ebbe inizio. Il loro battibeccare riecheggiava ancora in quello spazio ricolmo di trofei. Ora come allora. Il tempo pareva essersi fermato. Ma poi, improvvisamente, la confessione di David la strappò ai ricordi, scaraventandola nel qui e ora. ”… lo sono.” Il sangue si gelò nelle vene. Immobile. Impreparata. Mai e poi mai avrebbe pensato di incassare quella confessione. Se l’era immaginato diversamente il momento in cui, finalmente, David, avrebbe ammesso a sé stesso la vera natura dei suoi sentimenti. Più e più volte. Ma nessuna delle quali prevedeva un litigio di quel calibro. Doveva aspettarselo. In fondo erano abituati a urlarsi contro parole su parole. Come poteva credere che non fosse in grado di riversare in quella maniera, anche il suo amore per lei? Un flebile sorriso le curvò le labbra. Lentamente prese a muoversi, annullando la distanza posta in precedenza. Con il dito indice percorse la linea della sua mascella, terminando la corsa proprio nell’angolo della sua bocca, senza mai perdere il contatto visivo. Si alzò in punta di piedi e con estrema delicatezza depositò un casto bacio sulle sue labbra. “Sei un idiota, Harris.” In quella frase vi era la prova che tutto quel dolore non era servito a nulla. Sarebbe bastato un po’ di coraggio in più per evitare una serie di problematiche sulle quali, era impossibile sorvolare.
    Senza perdere del tutto il ritmo, la discussione si riaccese non appena il nome di Axel saltò fuori. Decise di sorvolare, evitando di porre alla sua attenzione quanto fosse lei in difetto e non il bulgaro. Il passato sarebbe potuto tornare. Queste erano state le parole del giovane Harris che, per qualche motivo, si stava chiedendo come i suoi trascorsi potessero minare la loro futura felicità. Se mai ce ne fosse stata una. “Se il tuo passato dovesse riaffacciarsi, io ne soffrirei?” Non stava parlando di qualche cosa in particolare. Si limitò al generico, le domande scomode le avrebbe tenute per un’altra occasione, più consona. L’attenzione passò poi a qualche cosa di decisamente più importante. Un argomento che si era imposta di gettare nel dimenticatoio, insieme al test di gravidanza che si era presa la briga di nascondere adeguatamente per evitare che qualcuno lo intercettasse. Come erano arrivati a parlare di figli, poi? La sua reazione, comunque, la stordì. In quei gesti vi doveva essere una profonda consapevolezza a lei ignota. Le braccia del maggiore dei fratelli Harris la circondavano. Possenti. Quasi come implorassero loro di non lasciarsela sfuggire, altrimenti sarebbe stata la fine. Si trovò in confusione e, Halley, non mosse un muscolo nella speranza che quella stretta gli ricordasse che, in fondo, non era accaduto nulla di irrimediabile.
    ”Non mi è permesso dirlo.” Effettivamente, dopo essere venuta a conoscenza del suo piccolo problema, la Wheeler, era stata costretta a tenere per sé il segreto condiviso con l’intera linea genealogica di sesso femminile. “Mi stai dicendo che ora, per colpa mia, sei in pericolo?” Non aveva neanche idea del perché vergognarsi di qualche cosa che era stato imposto da qualcuno di superiore. Perché vergognarsi? Intrecciò le dita con quelle del ragazzo e rimase in silenzio. In quel frangente la quiete prese a cullarla, mentre la stanchezza iniziava a farsi sentire più del dovuto. La filosofia non faceva per lei. Così come non avrebbe accettato facilmente la sua condizione. “Ho pensato di togliermi la vita, dopo la mia prima visione.” Così da potersi evitare lo strazio di assistere a scene di vita, chissà quanto lontane, per tutta la durata della sua esistenza. Fece spallucce, quasi come non importasse poi così tanto. Ma la resa dei conti intervenne giusto in tempo per non lasciarla scivolare nell’angoscia. ”Halley, che vuoi fare?” Quel quesito giunse come un fulmine a ciel sereno. Aveva paura. Entrambi ne avevano. Chiaro segnale che in lui sopravviveva quella parte umana che lo rendeva vulnerabile, almeno quanto lei. “Vorrei ricominciare da qui. Se possibile!” Dalle sue confessioni. Dal suo tentativo di farsi conoscere. “Ma per farlo ho bisogno di tempo!” Ammise. Aveva solo vent’anni, sì. Certamente, però, pensare al futuro era pur sempre normale, a maggior ragione se questo prevedeva la presenza di un mannaro nella sua quotidianità. Gli strinse la mano e appoggiò la fronte su quella del ragazzo, seduto davanti a lei. “Credi di riuscire ad aspettarmi?” Se davvero ciò che provava era autentico, allora non avrebbe esitato nell’accettare quel compromesso.



     
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    Cosa gli aveva impedito di rispondere alla sue chiamate? Dean Harris. Quel bastardo aveva capito che qualcosa, in lui, era cambiato, perché per quanto gli facesse schifo ammetterlo, era pur sempre suo padre e, in un certo senso, lo conosceva. Tra l'altro, era costantemente controllato dagli altri membri del branco, i quali riportavano ogni sua mossa all'alfa. Non poteva fidarsi di nessuno, nemmeno di James, il beta, dato che non avevano ancora parlato. Quando era in America, non poteva pensare a Halley, né distrarsi, altrimenti troppe persone ne avrebbero pagato il prezzo. Non era ancora arrivato il momento di sfidare l'autorità del capofamiglia, prima lui e Micheal dovevano diventare più forti, quindi, per adesso, non poteva far altro che mentire alla sua ragazza. Non aveva scelta. «Problemi di famiglia.» Fu vago. David sapeva che la mora non sarebbe mai rimasta al suo fianco se avesse saputo di tutti gli omicidi di cui si era macchiato. Aveva visto, in questa stessa stanza, quando potesse essere crudele. Lei era stata una delle sue vittime, in passato, e quando si erano incontrati casualmente per poco non se la dava a gambe. Certo, si era mostrata spavalda e sicura di sé, ma la paura nei suoi occhi la ricordava. La stessa paura di quando le sue mani si erano strette intorno al suo collo. Dopo quell'evento, aveva capito che non voleva più farle del male ma, per quanto la ragazza che aveva davanti lo avesse messo in contatto con la sua parte umana, il potere e l'eccitazione che sentiva quando toglieva la vita a qualcuno erano ancora lì. Gli piaceva uccidere, era la sua natura. Un innocente come Halley, però, non avrebbe mai potuto accettare la sua oscurità. «Non sarai più sola.» Le sfiorò delicatamente il volto con le dita, cullandola in quella dolce bugia. Almeno fino alla fine dell'anno scolastico, sarebbe stata sua ma dopo, per il suo bene, avrebbe dovuto prendere una decisione definitiva perché, nemmeno lui, sarebbe stato più libero. Dopo averla baciata con foga, le disse, ancora una volta, che non voleva perderla. Aveva ancora bisogno di lei per godersi quegli ultimi anni di debolezza, dopo sarebbe tornato il David di sempre. «Lo sto già facendo!» Ed era vero, stava lottando per lei. Per loro. Perché era innamorato di Halley Wheeler e, senza timore, né paura, glielo disse in faccia. Per qualche attimo non parlò, era evidente che non si aspettava una confessione del genere da parte sua. Non era in programma, ma era inutile, orami, tergiversare ancora. Sorrise anche lui di riflesso e si lasciò baciare, tuttavia, le sue parole lo infastidirono leggermente. Dopo essersi esposto in quel modo, per la prima volta nella sua vita, non era di certo quello che voleva sentirsi dire. Tuttavia, si limitò a prenderle la testa e schiuderle le labbra con lingua, baciandola intensamente, per non rovinare quel momento. Doveva avere pazienza. E poi, se non fosse stata innamorata, non lo avrebbe mai perdonato quindi, per adesso, si sarebbe accontentato dei fatti.
    Il suo passato era oscuro, così come il suo presente e il suo futuro. I fratelli Harris erano nati con una maledizione che li avrebbe condannati per sempre e in una famiglia priva di etica. Pertanto la sofferenza a cui sarebbe andata incontro Halley non era dovuta al ritorno di una ex, o ad un tradimento, ma a qualcosa di molto peggio: suo padre. Era sempre lui il problema. «Il passato non è un problema, non c'è niente da temere.» La rassicurò, spostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Non stava mentendo, i nemici del passato erano morti insieme ai loro parenti, e le ragazze con cui era stato sapevano che non avrebbero mai potuto avanzare alcuna richiesta sulla sua persona. Tra l'altro, a differenza di quanto era successo con Halley, non c'era nessun rischio di gravidanze inattese. Aveva sempre usato le protezioni, solo con lei si era lasciato andare al punto tale da dimenticarsene. Era quello l'effetto che aveva su di lui non appena lo toccava. Fuoco puro.
    Aveva cercato in tutti i modi di trattenerla ma, alla fine, per farle capire che, da adesso in poi, avrebbe avuto - anche se nei limiti- la sua fiducia, le aveva confessato di essere un mannaro. Aveva volontariamente disubbidito a suo padre, andando contro le regole del branco e degli Harris. Era già stato punito una volta per la sua negligenza, alla seconda non ci sarebbe arrivato. «Non esattamente, ma devi promettermi che non verrai mai in America senza che io lo sappia, Halley.» La guardò diritto negli occhi con espressione seria, dando per scontato che, se si fosse presentata l'occasione, avrebbe fatto di testa sua andando direttamente nella tana del lupo. Quei dannati braccialetti che avevano al polso erano un pericolo per entrambi, forse non avrebbe dovuto indossarli. Si protese in avanti e la baciò con dolcezza, prima di staccarsi e serrare la mascella davanti alla sua confessione. «Non azzardarti neanche a pensarlo.» Duro, pronunciò quelle parole. Voleva stingere il suo corpo caldo, affondare in lei e farla sua ogni giorno, non ricordare il suo cadavere. Si sforzò di addolcire i lineamenti del viso, strinse di più la sua mano e le chiese cosa volesse fare. Inizialmente accennò un sorriso che si spense non appena la frase "ho bisogno di tempo" giunse alle sue orecchie. Che era, una specie di pausa di riflessione? Cazzo no, non esiste. Si passò nervosamente una mano tra i capelli e, facendo appello a tutto il suo autocontrollo, annuì col capo. Doveva dimostrarle che oltre alle parole, c'erano anche i fatti. «Ti aspetterò, ma non metterci troppo.» Prima di liberarla, si avventò su di lei e la baciò con passione, senza risparmiarsi, mentre le teneva fermo il viso con entrambe le mani. «Mi mancherai.» Per qualche istante, il suo sguardo indugiò su di lei, ma prima che potesse dire altro, David era già andato via. Se fosse rimasto un minuto di più, non le avrebbe dato il tempo che gli aveva chiesto.



    Conclusa e.e


    Edited by MODERATORE. - 11/1/2024, 00:56
     
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