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Rain

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    Grifondoro
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    Nathan Knox | III | Grifondoro


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    “Ho bisogno di vederti”. Quelle poche parole, seguite solo dal posto e l'orario, che aveva letto nero su bianco dallo schermo del telefono lo avevano messo subito in agitazione. Per giorni aveva pensato se fosse o meno il caso di scriverle, temendo di andare a toccare un tasto che rischiava di essere fin troppo doloroso e di cui, magari, non avrebbe voluto parlare. D'altra parte, non scriverle era un gesto proprio da stronzo, non trovava altri termini. Sapendo tutto quello che stava passando, farsi sentire sarebbe stato proprio il minimo sindacale. Invece, come un cretino qualunque, aveva tergiversato, rimandato di giorno in giorno, aspettando che l'ispirazione arrivasse per riuscire a scrivere qualcosa di sensato, qualcosa che lo facesse apparire come un amico accorto ma simpatico, magari che gli desse una parvenza di mistero ma che al tempo stesso le facesse pensare a lui come un moderno eroe urbano, pronto ad accorrere per le donzelle in difficoltà. Si, però non smielato, né volgare, preoccupato ma positivo, serio al punto giusto e che riuscisse comunque a strapparle un sorriso. Insomma un'utopia. E, infatti, continuando a rimandare l'estate era quasi finita, e ancora non aveva inviato assolutamente niente. Quando lesse il nome della ragazza sullo schermo illuminato si sarebbe aspettato insulti, non certo una richiesta come quella. Doveva essere successo davvero qualcosa e, spontanei, i pensieri erano corsi a ricordare quello che lui aveva provato alla morte dei genitori, ma ricacciò quei pensieri indietro, seppellendoli nel profondo, ben intenzionato a non lasciarli fluire. Non quel giorno, e magari mai più. Era tempo che si lasciasse quella storia alle spalle, che smettesse di trovare ogni scusa per rivangare l'argomento ed aggrapparsi a quel dolore quasi spaventato all'idea di lasciarlo andare. Perché si, era arrivato a credere di non voler smettere di soffrire, quasi come se il dolore fosse l'unico modo di sentirsi ancora legato a quelli che ora non c'erano più, ma non era giusto, era sbagliato. Quel giorno, in particolare, non poteva permettersi di pensare a se stesso, quel giorno era per Rain, glielo doveva per la codardia che aveva dimostrato. Indossò una maglietta nera sopra un paio di jeans e subito si catapultò fuori casa, diretto al punto dell'incontro che, per sua fortuna, non distava troppo da li anzi, era proprio li a fianco. Camminava a passo svelto scivolando tra la folla londinese, con una sigaretta stretta tra le labbra nel vano tentativo di scaricare la tensione. Merlino. Sarebbe stato un incontro così strano, avrebbe avuto tanto di cui scusarsi, oltre all'essere sparito nel nulla come un perfetto idiota, non aveva la minima idea di come si sarebbe dovuto comportare dopo che bhe, si era approfittato di lei. Dopo il loro ultimo incontro aveva urlato contro il cuscino, una volta tornato in camera, sentendosi in colpa per quello che aveva fatto e, soprattutto, per non essersene pentito affatto. Non importava che lei avesse provato a rassicurarlo, non avrebbe mai dovuto baciarla. Non era giusto, e lo sapeva bene che la ragazza non era affatto lucida, aveva trovato un diversivo per scaricare la tensione che albergava dentro di lei e lui, pur essendone a conoscenza, non solo l'aveva lasciata fare, ma aveva anche rincarato la dose. Era sbagliato, era vile, era scorretto e lo avrebbe assolutamente rifatto. Oddio. Si piantò in mezzo alla strada rischiando di essere preso in pieno da una scatola con le ruote. Sono un molestatore! Come poteva pensare altrimenti? Dio che persona orrenda. Approfittarsi di una ragazza in difficoltà, doveva vergognarsi di se stesso e così era, era in imbarazzo mostruoso, tanto che varcò la soglia del Paiolo, dopo aver gettato a terra il mozzicone, già con le gote tinte di rosso, pronto a prostrarsi ai suoi piedi per fare un mea culpa ed implorare perdono. Chissà che anche quello non fosse un argomento della conversazione che avrebbero avuto, una ramanzina con i fiocchi, ci stava.
    Lasciò che lo sguardo vagasse per la sala, avanzando lentamente dopo aver ricontrollato l'orario ed essersi accertato di non essere in anticipo e, dopo poco, ecco che i suoi occhi chiari si scontrarono con la chioma rosso acceso della Serpeverde che gli dava le spalle, seduta ad un tavolo in fondo, quasi nascosto, a cui si avvicinò con il passo più lento che riuscisse a fare, cercando di farsi venire in mente qualcosa da dire ma, proprio come con il messaggio, tutto sembrava banale e superfluo. Doveva apparire disinvolto, sicuro, una roccia su cui fare affidamento, si maledì mentalmente per questo paragone, però ci teneva ad essere una persona su cui lei avrebbe potuto fare affidamento. Si avvicinò, e il suo profumo riuscì subito a riportarlo a quando la stringeva tra le braccia, difficile pensare in modo lucido. Però ce la poteva fare, ci credeva! Che ci voleva? Naturale e spigliato, un ninja della conversazione, si schiarì la gola e.. -Cialve- chiuse gli occhi, sospirando, prima di spostarsi al lato del tavolo così da poter entrare nel suo campo visivo -Si insomma, volevo dire “salve”, ma era troppo formale, “ciao” è così banale e, ecco..- sospirò di nuovo, trovando il coraggio di incontrare gli occhi scuri di Rain, cercando il modo di scusarsi per quella figura con lo sguardo perché, era evidente, con le parole proprio non ci sapeva fare. Con ancora le guance in fiamme, si sedette al lato opposto del piccolo tavolo in legno scuro, soppesandola con lo sguardo alla ricerca di qualche segno in lei che gli facesse capire com'era la situazione -Come stai?-

     
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    Serpeverde
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    Si aggirava furtiva, brancolando letteralmente nel buio. Il silenzio le opprimeva il petto. Il nodo in gola non le permetteva un ritmo respiratorio regolare. I battiti del cuore saltavano e l’agitazione rischiava di gettare al vento ogni suo tentativo di prendere in mano le redini della situazione. Quella casa era immersa nella più profonda segretezza. Nessun rumore. Riusciva a udire solo il suono del suo affanno. Le orecchie fischiavano e la testa iniziava a dolere. Doveva uscire da quel posto disabitato da chissà quanti mesi. La polvere ne era un chiaro segnale e l’occorrente per la preparazione del pasto, gettato alla rinfusa sul bancone, non era altro che la conferma di ciò che era, chiaramente, avvenuto tra quelle quattro mura. Svoltò l’angolo e si trovò all’interno della camera di Veronica, anch’essa avvolta dalle tenebre e, con coraggio, andò a spalancare l’armadio nel quale, sua sorella, custodiva gelosamente i suoi vestiti. Ti prego! Ti prego! Tutto era al proprio posto. Deve essere stato veloce. Con la mano andò ad accarezzare uno dei peluche, posato sulla mensola più bassa delle tre che componevano l’arredamento della parente, e lo trascinò via con sé, come fosse una reliquia, un ricordo di quella che era stata la sua vita, prima che tutta quella merda la investisse in pieno, senza lasciarle scampo. I dubbi l’assalirono. Non riusciva a credere che fossero arrivati a tanto. Era a conoscenza del male che aleggiasse sulla sua famiglia ma, fino a quel momento, non era riuscita ad osservare la realtà con un grado sufficienti di obiettività. Quel era la verità? Si erano visti costretti ad abbandonare la loro vita a seguito di minacce? In quel caso, forse, la situazione non si sarebbe rivelata, poi, così tragica. E se, invece, i suoi genitori biologici si erano occupati di loro, ripulendo alla perfezione la scena del crimine? Si sedette sul letto e prese la testa tra le mani, cercando di non cadere vittima di quel panico che, lentamente, lavorava per vederla soccombere sotto le sue mani esperte. Una lacrima le rigò il viso, veloce, andando a morire sulle sue labbra rosso fuoco. Strinse i pugni, soffocando un urlo che se sprigionato, avrebbe rivelato la sua posizione, esponendola ad un eventuale pericolo. No. Non poteva permetterselo. La terra iniziò a tremare sotto i suoi piedi. Una scossa secca, ben assestata. La lampada del comodino vacillò e, alla fine, si infranse sul pavimento e la tranquillità inquietante di quella dimora, andò in frantumi. Si alzò di scatto, guardandosi intorno circospetta. Che aveva combinato? Si sporse sul corridoio. Il nulla. Era giunto il momento di levare le tende e tornare in quella che definiva la zona sicura, quella nella quale non si sarebbero permessi di sconfinare, per il timore di essere riconosciuti. Raggiunse la porta di ingresso e, prima di riuscire a girare il pomello per darsela a gambe, una voce alle sue spalle la fece trasalire. ”Signorina Diamond?” Roca, grottesca. Un tono che le provocò, un conato di vomito, convincendosi di essere vicina alla sua stessa fine. ”La stavo aspettando! I padroni sapevano che sarebbe tornata qui.” Si voltò di scatto, verso quella fonte sonora disturbante, rimanendo in silenzio ma, con prontezza, andando a parare sulla sua bacchetta, pronta per essere sfoderata. ”I suoi genitori la invitano, caldamente, a seguirmi.” Finalmente riuscì a scorgere il profilo di quella figura. “Ma davvero?” Si trattava di un elfo domestico e, nonostante non l’avesse mai visto prima, capì subito le intenzioni di suo padre nel mandare un messaggero. “Puoi riferire che non ho nessuna intenzione di obbedire agli ordini di un uomo che non è più mio padre da tanto tempo!” Non era sua intenzione sfidarlo, non così apertamente per lo meno, ma era stato lui a non darle scelta. “Si fotta.” A quell’affermazione la stupida creatura si avventò su di lei, cercando di agguantare la gamba sinistra della rossa la quale, con un movimenti repentino, uscì dal suo raggio d’azione, lasciandolo a bocca asciutta. Bacchetta alla mano, la puntò alla gola di quel tirapiedi da due soldi. “Non ti azzardare mai più a sfiorarmi.” Avrebbe voluto porre fine alla sua vita, lì, in quel dannato ingresso ma, forse, gli sarebbe servito più da vivo. “Qualcuno ha fatto del male alla mia famiglia?” Lo incalzò mentre la punta della bacchetta premeva sul suo collo. “Dimmelo o ti uccido.” L’elfo ghignò, impavido, come se non gli interessasse di lasciare il mondo in quel modo disumano. Non parlò e, forse, neanche era a conoscenza di quelle informazioni ma tanto valeva provarci. Un suono sordo attirò la sua attenzione. “Ma che cazzo…” Voltò lo sguardo quel poco che bastava per abbassare la guardia e, con uno schiocco di dita, il suo prigioniero svanì nel nulla, liberandosi dalla sua minaccia. “FANCULO, BRUTTO STRONZO!” Rovesciò il tavolino, svuota tasche in legno. “MI HAI SENTITA? TI UCCIDO.” Riprese fiato. Lentamente tornò alla normalità, andando a ricercare quale fosse il motivo di quel fracasso che sembrava giungere dal piano superiore. No. Psicologicamente distrutta, Rain, non perse alcun tempo, fiondandosi fuori dall’abitazione. Una volta sul vialetto si voltò ancora una volta. Nel suo sguardo solo paura. Quell’esperienza le aveva presentato la realtà, nuda e cruda, davanti: dietro a quel silenzio non vi era altro che l’ombra di suo padre.

    Sbatté violentemente la porta, raggiungendo in due falcate il letto della camera presa in affitto al Paiolo Magico. Non riusciva a crederci. Ciò che aveva appena avuto luogo, sanciva l’inizio di una personale battaglia nei confronti di coloro che l’avevano messa al mondo. Ogni suo dubbio fu spazzato via e, ora, non restava altro che la certezza del pericolo che pendeva sulla sua testa. “Cazzo!” Strinse i pugni, afferrando il lembo del candido lenzuolo e sprofondò sul cuscino. Qualche istante, non di più. Alzò la schiena e si protese in avanti, afferrando il telefono ed andando a digitare poche parole sulla tastiera. Ho bisogno di vederti. Paiolo Magico. Ore 18. Il destinatario? Nathan Knox. Il Grifondoro che, non sapeva bene per quale motivo, era riuscito ad infonderle un certo grado di sicurezza, portandola ad esporsi forse fin troppo. Posò il telefono al contrario sul comodino e, con non poca fatica, chiuse gli occhi, scivolando in un sonno profondo dato dall’estrema stanchezza che l’imprevisto avvenuto in mattinata le aveva inferto.
    “Merda!” Si svegliò di soprassalto. I tenui raggi solari, man mano, andavano a disperdersi in quello che era diventato un affascinante tramonto. Osservò l’ora e, con suo grande sollievo, si rese conto di essere in perfetto orario. Si vestì velocemente e, dopo essersi pettinata i capelli, lasciò la sua stanza, assicurandosi di chiuderla a chiave per evitare spiacevoli inconvenienti. Scese le scale e si trovò all’interno del locale affollato. Un ottimo modo per passare inosservati. Sfilò tra i tavoli e, quando ebbe trovato il posto più adatto alle sue esigenze, si andò ad accomodare per poi attirare l’attenzione di uno dei camerieri: “Mi porti un… acquaviola?” Non ne fu certa. “Ah! Al diavolo. Portami un Whisky Incendiario!” Piego la testa di lato, lasciando che la sua chioma scarlatta si adagiasse sulla spalla. “… Ogden. Stravecchio. Insomma, hai capito.” Sbuffò, impaziente. L’ultima volta che si era trovata al tavolo con qualcuno era stata la volta con la Pierce e non poteva dire che fosse stato un piacere. ”Cialve.” Sorrise di getto, riconoscendo al volo quel modo di parlare. ”Si insomma, volevo dire “salve”, ma era troppo formale, “ciao” è così banale e, ecco…” Si soffermò ad osservarlo, grata che avesse accettato, con così poco preavviso, il suo invito a raggiungerla. “Questo tuo modo di fare, Nate, attrae le ragazze come il miele attrae le api. Me inclusa!” Esordì, studiando quel pallido rossore che gli colorava le guance. Non si scompose. In fondo già aveva ampiamente dimostrato l’interesse nei suoi confronti. “Vuoi qualche cosa da bere?” Domandò, temporeggiando. “Vuoi che ti dica la verità? O fingiamo per un secondo che sia tutto a posto?” Domandò, deliziandosi con un sorso di quella bevanda appena giunta. Allungò la mano. “Prendila!” Aveva bisogno di contatto. Di sapere che qualcuno fosse lì con lei. Un gesto semplice ma di vitale importanza.
     
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    Grifondoro
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    Nathan Knox | III | Grifondoro


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    Si sedette a quel tavolo con le guance in fiamme e lo stomaco chiuso. Le prima a causa della solita figura da imbranato, il secondo per la preoccupazione per tutto il resto e, mentre l'imbarazzo sarebbe presto svanito se Rain glielo avesse concesso, l'inquietudine per quello che stava passando la Serpeverde sarebbe rimasta ancora per un bel po'. Anche se gli avesse detto che era andato tutto bene, anche se fosse stato tutto un grande equivoco, rimaneva il fatto che suo padre biologico fosse una persona mostruosa che avrebbe potuto fare qualunque cosa per mettere le mani sulla figlia o contro di lei. Come, nonostante questo, la Scamander riuscisse comunque a dormire di notte era, per Nathan, un mistero. Non ci poteva fare nulla, finiva sempre per stare in pensiero per gli altri, la sua era una condanna che lo costringeva ad empatizzare con loro e, spesso, a sentirsi impotente non potendo davvero fare nulla per aiutarli
    -Si, certo- rise della risposta di lei al suo fallimentare tentativo di saluto, più che convinto che lo stesse prendendo in giro -Infatti le mie guardie del corpo sono sempre molto impegnate ad allontanare questa valanga di ragazze che mi ronzano attorno- Nate non era un genio nel leggere i segnali, questo non si poteva negare, ma di certo era consapevole che con il suo carattere e con il suo modo di fare, ben poche ragazze lo avrebbero degnato di una seconda occhiata. Anche da tutte le riviste babbane che aveva letto quell'estate quando, di sera, si ritrovava annoiato a polleggiare sul divano della sua casa da scapolo, aveva appreso che la chiave era la sicurezza in se stessi. Ecco, non ci siamo. Lui non era affatto una persona sicura di sé, forse un giorno sarebbe potuto diventarlo, o almeno così sperava ma, per il momento, le cose non stavano così. Era più forte di lui, non credeva di avere qualità per cui potesse sentirsi sicuro o che fosse in grado anche solo di apprezzare. Era soltanto un bonaccione che ascoltava più di quanto parlava, che raccontava di sé con difficoltà e che, spesso, faticava a farsi comprendere. Nulla di più. Gli sarebbe piaciuto essere, o dare, di più, ma voleva anche rimanere obiettivo e onesto con sé stesso.
    “Me inclusa!” la risatina si fermò in automatico, intanto che gli occhi si fissarono in quelli di Rain che sorrideva tranquilla. Scherzava? Era seria? Come faceva a dire una cosa del genere e rimanersene tutta tranquilla? Fosse stato vero l'avrebbe solo che invidiata, nonostante fosse lui lo spavaldo Grifondoro, almeno sulla carta, quello era un tipo di coraggio che gli mancava. Come poteva comportarsi da persona sicura di sé se non aveva nemmeno il coraggio basilare per ammettere un suo pensiero? Certo che era affascinato alla giovane donna che gli sedeva di fronte, sarebbe stato interessato a conoscerla e scoprire che tipo di persona ci fosse dietro a tutto quel sarcasmo pungente e a tutte le problematiche che stava vivendo in quel periodo. Eppure una parte di lui era restio, perché il rischio che lei cominciasse a piacergli sul serio, una volta conosciuta bene, era sempre dietro l'angolo, e questo avrebbe portato ad una relazione, o almeno a fargliela desiderare, e non sapeva se fosse o meno una buona idea ritrovarsi in una situazione del genere. Si era ripromesso di andarci piano, di venire a patti con quella che era la sua vita ora, di sistemarsi in tutti gli altri scenari prima di farsi invischiare in problemi di cuore che era convinto non sarebbe riuscito a gestire in quel momento. Non sapeva cosa rispondere, e forse Rain dovette percepire il disagio perché fu abbastanza lungimirante da cambiare argomento. Un cameriere comparve al loro fianco prima che Nathan potesse risponderle
    -I due Whisky che mi aveva chiesto- non sapeva se si fosse sbagliato o se la ragazza aveva ordinato per entrambi, ma doveva esserci stato un errore
    -No aspetti, io non..- il ragazzo se ne andò ignorando quello che Knox avesse da dire -..bevo- fissò il bicchiere contenente il liquido ambrato, mai bevuto niente del genere, era più tipo da succo di bolle, al massimo un calice di champagne nelle occasioni che lo richiedevano, ma nulla di più. Strinse le labbra, indeciso sul da farsi, ma al diavolo. Era ora di provare cose nuove se voleva diventare una persona nuova. Le domandò come stesse, non potendo stabilirlo da quello che poteva osservare di lei e, fingendo scioltezza, afferrò il bicchiere e ne bevve una prima sorsata. Cos'era quel retrogusto dolciastro? Vaniglia? No, forse miele. Aveva importanza? No, perché le sue papille gustative erano andate a farsi fottere. Sbarrò gli occhi prima ancora di riuscire a deglutire il liquido infiammabile che parve dargli la sensazione di stare già andando a fuoco. Posò il bicchiere con un tonfo secco, fissando un nodo del tavolo mentre il liquido prendeva a scendere giù, verso la gola, intanto che Rain parlava e lui, per tutta risposta, riuscì solo a farsi venire gli occhi lucidi quando sentì finalmente il liquore raggiungere lo stomaco e, ne era quasi convinto, perforarlo. Come faceva lei a berlo impassibile come nulla fosse? Tossì fuori uno sbuffo quasi fosse un nonnetto pensionato
    -Po-possiamo anche fare finta, se ti va- continuò senza essere realmente cosciente di quello che stava dicendo, troppo preso a boccheggiare per cercare di far passare quella sensazione di bruciore gli aveva invaso la bocca -Ma che ci mettono qua dentro?- domandò tornando a dedicare la sua attenzione al bicchiere da cui si rese conto di aver bevuto un sorso più grande del previsto. La mano di Rain entrò nel suo campo visivo e, dopo aver riportato gli occhi inumiditi in quelli della rossa, gliela strinse come chiese. Era piccola e delicata, con il pollice le accarezzò il dorso muovendolo in piccoli cerchi concentrici mentre tentava di capire se davvero volesse fingere che fosse tutto normale. Già dalla richiesta si intuiva che, tanto bene, non dovesse poi stare. Senza lasciarla andare, si alzò trascinò la sedia nel lato del tavolo che l'affiancava, non gli era mai piaciuto sedersi uno di fronte all'altro, rendeva difficile la conversazione. Non aveva chiaro cosa fare, se insistere e farla sfogare, o cambiare argomento e alleggerirle la tensione fino a quando non fosse stata pronta. Il fatto che fosse tutto sempre così complicato era, per lui, difficile da gestire, aveva sempre paura di dire o fare la cosa sbagliata e, forse, darsi agli alcolici per la prima volta in vita sua non era poi un'idea così sbagliata. Afferrò di nuovo il bicchiere e ne scolò il contenuto tutto in un fiato, quindi lo posò e, tempo un paio di secondi, si voltò verso la ragazza con un'espressione esterrefatta e sofferente
    -Come ti è venuto in mente di lasciarmelo fare?- una risatina isterica si impadronì di lui, mentre una lacrima rimase incastrata tra le ciglia degli occhi chiari del Grifondoro -Cristo, ma come fai a bere 'sta cosa?- si passò la mano libera sul volto, sentendo un leggero formicolio sulla punta delle dita. Bello il Whisky, sapeva di vecchi libri impolverati rimasti troppo tempo in una biblioteca frequentata da fumatori, leggero poi, non sarebbe stato alcun problema per i suoi sensi e per la sua indole riservata e pacata
    -Ehi scusi, ce ne porta altri due?- il cameriere di poco prima fece un cenno di assenso con il capo, sinonimo che avesse capito la richiesta. Tornò a concentrarsi sulla sua accompagnatrice, ignorando gli abiti che la fasciavano e che, da quando era arrivato, cercavano di attirare la sua attenzione per farlo cadere in tentazione
    -Sul serio, come stai?- si fissò sui suoi occhi, dandosi l'obiettivo di riuscire a distinguere la pupilla dal resto delle iridi scure. Tutto pur di non far la figura del salame a cui cadeva l'occhio nella scollatura che, anche quella sera, non si era risparmiata -Non fare finta con me- almeno non fintanto che era lucido.

     
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    Serpeverde
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    Arrossire? Capitava spesso, da quel che aveva potuto osservare nei brevi momenti –ma intensi- che aveva avuto la fortuna di vivere in sua compagnia. Quell’aspetto caratteriale, proprio di Nathan, la incuriosiva a tal punto da indurla a riflettere sul cosa potesse esserci alla base di quell’atteggiamento, spesso, imbarazzato. Che sia colpa mia? Certamente, l’azzardo posto in essere in quel corridoio, poco prima della fine dell’anno scolastico, non poteva contribuire ad un’atmosfera distesa ma, fino a prova contraria, Rain si era comportata esattamente come le aveva suggerito l’istinto. Senza volerlo, quindi, l’aveva colpito e affondato, senza neanche esporsi per porgli le sua scuse. Osservò le sue movenze, attentamente, come per voler studiare le reazioni, essendo la prima volta che si rivedevano dopo l’eccitante misfatto. L’aveva baciato. Un bacio sentito. Voluto. Per niente indotto dalla situazione di fragilità nella quale versava a causa delle problematiche familiari. No. Non avrebbe mai voluto che pensasse ciò. Si trovava attratta da lui e, nonostante il livello di conoscenza superficiale, la Scamander, per qualche motivo ancora da chiarire, credeva che il Grifondoro, fosse meritevole della sua fiducia. Così, seguendo l’onda delle sue emozioni, si era aperta con lui, ponendo nelle sue mani scomodi segreti che, per quel che poteva sapere, avrebbero potuto anche allontanarlo definitivamente da lei. Come dargli torto, in fondo? Lei, portatrice –per niente sana- di casini e lui? Beh, lui era lui. Sorrise alla sua battuta, gettando benzina sul fuoco: “Potrei diventare gelosa, in quel caso!” La sua aria da finta innocente non avrebbe convinto neanche il più distratto della terra. Un tipo geloso? Rain? Andiamo. La questione si doveva analizzare da molteplici punti di vista. Se da un lato, la verde-argento, teneva un comportamento disinteressato con la maggior parte delle persone, dall’altro fuoriusciva la territorialità nei confronti di coloro che occupavano una posizione importante nella sua quotidianità. Un senso di protezione, insomma. Ma poteva affermare con certezza che si trattasse solo di quello, quando il soggetto in questione era colui che se ne stava lì, al suo cospetto? Ovviamente no, altrimenti non si sarebbe permessa di andare oltre. Un bel problema, niente da dire. “A me piaci!” E anche parecchio. Alzò le spalle, come per minimizzare ciò che si era appena presa la briga di fargli sapere. Oramai non si trattava neanche di chissà quale segreto. Era lì, chiaro, davanti ai suoi occhi straniti, probabilmente, da quell’atteggiamento pacato per niente tipico della focosa serpe. “Tendi spesso a sminuirti?” Domandò, quasi con aria di rimprovero. La sua insicurezza la convinceva, sì, fino a un certo punto, poi in gioco, però, entravano dati oggettivi che smentivano quel modo di fare. “Ti ho visto spesso girovagare con…” Ragazze delle quali a stento si ricordava il nome. “… tipe.” Gatte morte, forse. “La Johnson, ad esempio!” Il tentativo di rimprovero nei suoi confronti, avvenuto durante la lezione di Cura, non era ancora stato digerito in maniera adeguata e, vederlo scorrazzare per i corridoio in compagnia di quella biondina, beh, la infastidiva. “C’è qualche cosa tra voi?” In tal caso, lieta di aver fatto la mia mossa, prima che ti avvolga tra le sue spire da finta santarellina. Dalle ultime indiscrezioni, la cacciatrice di Grifondoro, sembrava avere un flirt con il più giovane dei fratelli Harris, quello più tollerabile ma, si sa, le vie di Merlino erano pur sempre infinite ed escludere a priori la possibilità che si divertisse su più fronti, sarebbe stata un’ingenuità. “Mi sto solo informando.” Per un’amica, certo! E neanche troppo velatamente. Non era sua intenzione ficcare il naso nella vita amorosa altrui, trovava quei sentimenti adolescenziali così di bassa lega, eppure la sua situazione le interessava da vicino.
    A smorzare quegli animi in difficoltà, ci pensò l’arrivo del cameriere con quanto richiesto nell’ordinazione. Parola d’ordine: Whiskey. Migliore amico di sempre, nei momenti bui. Bere in compagnia, però dava certamente un gusto differente e se questa compagnia era in possesso di argomentazioni interessanti, meglio ancora. D’altra parte, però, Nathan, non sembrava essere il classico tipo, abituato a trattare con gli alcolici. Sempre in tempo a recuperare. Lo ascoltò mentre, maldestramente, cercava di rimandare al mittente i due bicchieri ricolmi di squisito liquido color ambra. Strano era strano. Beh, alla fine accettò il suo triste destino e, con ostentata disinvoltura, si lasciò tentare da quella meraviglia, gustandone il sapore. Ottimo, tra l’altro. Gli occhi chiari del suo amico si inumidirono e, con un tonfo secco sul tavolo di legno, il Grifondoro, poggiò il bicchiere vuoto. “Principiante?” Domandò divertita, anche se la risposta si trovava lì, limpida come una notte di mezza estate. Per Rain, invece, non si trattava della sua prima volta. Non che ricorresse a quel vizio spesso ma, quando lo reputava necessario, non disdegnava affatto quel tipo di botta di vita. ”Possiamo anche fare finta, se ti va.” Recitare, dopo tutto quel tempo, le riusciva davvero egregiamente e, allora, perché si sentiva in colpa? No. No. No! Trangugiò il resto della sua bevanda e, subito, sentì un calore incontrollabile, sprigionarsi a livello dello stomaco mentre, l’alcol, iniziava a circolare liberamente in lei ma non abbastanza per offuscarne la ragione. “Felicità liquida.” Più o meno, si poteva riassumere il tutto in quel modo. Le strinse la mano, così come richiesto. Un senso di protezione la pervase, sovrastando la profonda convinzione di essere rimasta sola al mondo. Forse non si trattava dell’assoluta verità. Forse una speranza era rimasta anche per lei. “Grazie, Nate!” Un soffio appena percettibile e la fragilità della rossa, venne a galla.
    “Forse io sono il male!” Lo rimbeccò. Da quando le loro strade si erano incrociate, Diamond Rain Scamander, non si era fatta scrupoli nel coinvolgerlo nella sua vita arrecandogli, probabilmente, anche disagio. Eppure era ancora lì, davanti a lei. “Il male, si sa, ha il suo fascino!” Intrecciò la mano con quella del ragazzo, senza staccare lo sguardo dalla sua figura messa in difficoltà dal tasso alcolico elevato del Whiskey. Ops. “Mi piacciono i sapori decisi.” Fin troppo. “Decisi quanto me.” Effettivamente di Rain si poteva affermare di tutto, tranne che fosse una persona eternamente indecisa. Affrontava le avversità a muso duro, così come era stato per la mattina appena trascorsa e, se qualche cosa si fosse intromesso nel suo perseguire un obiettivo, l’avrebbe eliminato. Estirpato alla radice.
    Si morse il labbro inferiore quando, contro ogni previsione, ordinò altri due drink. “Vuoi proprio che mi arrenda a te!” Non avrebbe fatto fatica, ne aveva già dato la prova ma giocare con l’argomento, la divertiva a tal punto da sentire il bisogno di rincarare la dose. “Aspettami qui. Vado io a prenderli.” Si alzò, fasciata nei suoi pantaloni di pelle a vita alta e da quel toppino coperto da un corto giubbottino nero, anch’esso di pelle. Gli sfilò sotto al naso, dirigendosi verso il bancone ed, in pochissimi istanti, fu di ritorno, lasciando slittare il vetro sul legno, affinché raggiungesse il legittimo padrone. “Alla salute!” Bevve tutto d’un fiato, prima di accomodarsi. ”Sul serio, come stai?” Come poteva spiegare l’accaduto, senza incorrere nella problematica che la vedeva vittima di un terrore incontrollabile? Impossibile, forse, soprattutto per la sua incapacità di raccontare stronzate a colui che gli aveva teso una mano quando il resto del mondo pareva essere contro di lei. Ma, per la verità, vi era tutto il tempo immaginabile. Si alzò di scatto, afferrandogli la mano e trascinandolo, letteralmente, verso la porta che conduceva sulla strada principale. I lampioni illuminavano a giorno quella via, stranamente, deserta. Con circospezione, la serpe, si portò verso uno dei vicoli ancora semi oscuri e, una volta, sganciata la presa su Nathan, si accese una sigaretta, inspirandone avidamente un buon quantitativo di nicotina. “Come sto?” Il suo ricorso all’alcol, doveva dirla lunga già di per sé. Lenta, sinuosa e sfacciata, la ragazza, si portò faccia a faccia con il biondo. Lasciò scivolare la sigaretta dalle dita e con sicurezza si avventò sulle sue labbra, avida, schiudendole con estrema naturalezza, come se quello fosse un gesto assiduo. “Chiedimelo ora.” La risposta sarebbe stata, sicuramente, differente da quella d’origine.
     
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    Nathan Knox | III | Grifondoro


    S43Ii
    L'ultima volta che si erano visti lei aveva baciato lui, e lui aveva baciato lei. Come uno stupido ragazzino in preda ad uno scompenso ormonale, non aveva saputo dare un freno a quell'attrazione che sentiva per la rossa che ora gli sedeva di fronte in tutto il suo splendore, inconsapevole delle lotte interiori che stava vivendo il Grifondoro tra il senso di colpa per essersi approfittato di un suo momento di debolezza e il desiderio di farlo ancora, tra la preoccupazione che provava per la ragazza, e il desiderio di farlo ancora. Le priorità erano ben definite, nella sua testa si era delineata una scaletta precisa che vedeva quelli che erano i suoi desideri per ultimi, compreso quello di definire o spiegare quello slancio avvenuto tra loro, eppure lottavano per cercare di prevalere sugli altri in modo viscerale e spontaneo. Doveva trattenersi e basta. Certo lei non gli rendeva le cose facili, con quel modo di parlargli che lo lasciava sempre disarmato. Si sentiva bipolare. Da un lato si era ritrovato spesso a stare al gioco, provocandola a sua volta quando aveva l'impressione che fosse tutto un gioco, per poi arrossire di colpo quando lei se ne usciva con quelle frasi che apparivano così sincere. E lui detestava arrossire, mostrarsi senza possibilità di fare altrimenti, ma immaginò avrebbe dovuto farci l'abitudine se voleva che la ragazza continuasse a far parte della sua quotidianità. E lo voleva.
    “A me piaci!” di nuovo, la verde-argento si espose con una naturalezza da lasciarlo spiazzato e rincretinito, oltre a far aumentare il rossore fino alla punta delle orecchie. Perché? Non riusciva nemmeno a capacitarsene. Gli sembrava tutto così assurdo che non poteva non credere che fosse uno scherzo. Chiuse gli occhi passandosi una mano sul volto cercando di dissimulare il colorito, mentre una risatina gli sfuggì dalle labbra
    -Come fai anche solo a pensarlo?- Ritornò ad osservarla con le sopracciglia aggrottate ed un sorriso esterrefatto -Non sai nulla di me, com'è..- possibile. Continuò a ridacchiare senza riuscire a prenderla sul serio. Non le aveva raccontato nulla di lui o della sua vita, come poteva, Rain, sapere che tipo di persona fosse? -Potresti rimanere delusa- nonostante i modi di fare e di porsi, la Serpeverde rimaneva una forza della natura, in tutti i sensi se si considerava anche il suo potere. Nathan, d'altro canto, era solo un pensionato nel corpo di un neo maggiorenne. Poco tempo ancora e si sarebbe accorta di quanto fosse un tipo noioso, ci avrebbe scommesso. Invece lei lo bacchettò, quasi gli leggesse il pensiero
    -Credi che mi sminuisca?- poco alla volta il sorriso si spense mentre gli occhi tornarono a vagare per la sala senza guardare davvero qualcosa, quanto per raccogliere i pensieri -Non lo so. Forse- non aveva mai brillato di fiducia in se stesso, ma era conscio che la cosa era andata peggiorando nell'ultimo periodo -Immagino di non aver avuto troppe belle esperienze- si strinse le spalle tornando ad osservarla. Non voleva parlare, non voleva fare la figura del patetico, ma se tutti gli altri gli avevano voltato le spalle non doveva avere poi così tante qualità per cui valesse la pena restare. Si sminuiva o era solo realista? -Ma non ne parleremo oggi!- sorrise di nuovo, del tutto intenzionato a passare oltre per non ammorbare la povera ragazza che aveva ben altro a cui pensare invece di dedicarsi alle sue turbe mentali.
    -Grace!- il suo volto si illuminò al nome dell'amica che lo aveva trascinato nel mondo dei viventi, per quanto “girovagare con tipe” non sarebbe stato il termine da lui utilizzato -É un'amica, mi da una mano più di quanto vorrei ammettere, è molto carina- e lo era sul serio, la Johnson era una bomba vitale che riusciva a tirarsi dietro un sacco di patate come lui e, in qualche modo, a coinvolgerlo senza nemmeno far fatica. Dall'aspetto angelico e delicato, nascondeva poi un carattere più forte di quanto lei stessa credesse probabilmente. In effetti, lei e Rain avevano diverse cose in comune, non per ultimo quella propensione a dire quello che si pensava senza peli sulla lingua, e forse erano proprio quelle piccole similitudini che le facevano scontrare -Sai che forse potrebbe anche piacerti, se le dessi una possibilità?- inclinò il capo valutando l'opzione -Bhe, più o meno- c'era pure la chance che si strappassero i capelli e si cavassero gli occhi. Non sapeva se il rischio valesse la prova
    -Quindi mi osservi?- domandò a bruciapelo con un sorrisetto furbo ed uno sguardo curioso, rincuorato che non fosse l'unico dei due a cercare l'altra nella folla. Quella era certo qualcosa che non si sarebbe aspettato. Lei, così inserita nella sua cerchia, così popolare o quantomeno conosciuta un po' da tutti pur se, per alcuni, solo dalle idiozie che scrivevano nel giornalino scolastico, che osservava lui. Inconcepibile nella mente del rosso-oro.
    Alcolici, questi sconosciuti. Non aveva mai sentito il bisogno di annebbiare i sensi e perdere la lucidità che lo accompagnava in ogni momento, anzi, lo aveva sempre trovato un comportamento eccessivo. Tuttavia ora fissava quel bicchiere di fuoco liquido chiedendosi se si fosse perso qualcosa. Era comunque un'esperienza da fare, per quanto dubitava che un solo bicchiere avrebbe potuto portarlo ai livelli di certi ragazzi che aveva visto trascinarsi in giro come rottami.
    -Si vede?- domandò con gli occhi lucidi e la gola in fiamme, mentre ondate di calore si levavano dallo stomaco fino alla punta dei capelli. Come faceva ad essere legale? E, soprattutto, come facevano a berlo volontariamente? La osservò bere il suo senza battere ciglio, fu naturale per lui domandarsi quanti ce ne volessero prima di riuscire a buttare giù una cosa del genere come fosse succo di zucca -Sul serio ti piace?- felicità liquida diceva. Abbassò lo sguardo sulla mano che ora stringeva, se aveva bisogno di quella roba per essere felice, non doveva essere andata bene.
    -Quando vuoi, Rain- strinse ancora quella mano delicata, finendo il contenuto del bicchiere con una botta di coraggio che il suo fegato avrebbe rimpianto. La osservò mentre parlava scherzosa, o quasi di se stessa, ricordando poi le paure che gli aveva rivelato quel giorno, in quel corridoio. Che scherzasse o fosse seria, percepiva il peso di quell'ombra che gravava su di lei, che lei stessa credeva di portare dentro quasi fosse una condanna
    -Non sei il male, Rain- sorrise di nuovo mentre cercava di attirare l'attenzione di un cameriere -Un po' stronza, questo si- spostò lo sguardo di lato divertito, ricordando com'era iniziata la lezione di cura -Ma anche decisa e affascinante- ed eccolo il leggero colorito che spuntava di nuovo sugli zigomi del cacciatore di Grifondoro. Forse era stato quel bicchierino a sciogliergli la lingua, chissà due che potevano fare
    -Onestamente, non sembri il tipo di persona che si arrende davanti a niente- sollevò le sopracciglia, osservandola come se la cosa fosse stata ovvia e, di fatti, lo dimostrò anche decidendo di alzarsi e di non arrendersi ai tempi di attesa interminabili di un locale brulicante di gente. Dimostrazione che cadeva a pennello, quasi come quei pantaloni su di lei. Cosa diavolo vai a pensare? Distolse l'attenzione dalle gambe della ragazza prendendosi il viso tra le mani, usandole quasi come paraocchi e obbligandosi a guardare dritto davanti a sé. Che fosse attratto da lei era evidente, ma che fosse così palese era disturbante. Non era sicuro che volesse che lei lo sapesse ma, non essendo una sciocca, era ovvio che se ne fosse già accorta. Anche il fatto che l'avesse incastrata a forza tra lui e una parete, baciandola e sfiorandola, poteva essere un campanello che avrebbe potuto far nascere in lei il sospetto. Giusto appena accennato. Non sapeva neppure perché avrebbe voluto che fosse un mistero, o meglio lo sapeva bene, voleva andarci piano, pianissimo, con i piedi di piombo e una fune di sicurezza che gli evitasse lo schianto quindi, dopo averla vista scolare il suo secondo bicchiere, con la stessa calma e i piedi di piombo che avrebbe voluto impiegare in quella conoscenza, scolò anche lui il suo, alla goccia. Sgranò gli occhi rimanendo immobile per qualche secondo, controllando sotto il tavolo se avesse ancora le gambe perché, per un minuto buono, non le sentì più. Sentì la testa più leggera, i suoni distanti, e tutti quei fili che lo trattenevano spezzarsi in una volta sola, come se non trovasse più motivi per cui dovesse farlo. Già ebbro da quei pochi bicchieri, si pentì amaramente di non essersi mai fatto le ossa prima, cosciente che avrebbe potuto dire o fare cose con troppa leggerezza e di cui poi avrebbe potuto pentirsi. Tuttavia era bello, pesante nel corpo ma leggero nella mente, cominciava a capirne l'attrattiva, tutti i pensieri che lo opprimevano sembravano un po' più lontani, come se lo riguardassero meno. Con un terzo bicchiere sarebbe andato anche meglio ma, prima e soprattutto, voleva capire il perché di quella richiesta e cosa non andasse in lei che, invece di rispondergli, si alzò cercando di trascinarselo dietro
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    -Cos.. Ehi! Aspetta!- leggermente ebbro, ma con i suoi principi ancora saldi, o almeno in parte, si frugò nelle tasche per recuperare qualche galeone che lasciò sul tavolo prima di di seguirla ovunque lo stesse portando. Camminò dietro di lei scambiando qualche spallata con le persone nel locale fino a quando non si trovarono all'esterno, l'aria fresca sembrò un toccasana per il suo corpo accaldato da quella bevanda da cui si sarebbe tenuto ben distante in futuro. Continuò a seguirla confuso, non capendo cosa volesse fare e, quando lei gli lasciò la mano, rimase in silenzio a studiarne i movimenti. La vide avvicinarsi e le sfilò la sigaretta dalle dita in un gesto automatico ma, prima che potesse fare qualunque altra cosa, sentì di nuovo le labbra di Rain sulle sue, rendendosi conto che avrebbe voluto farlo fin dall'inizio, da quando l'aveva vista seduta da sola in disparte. Portò la mano libera alla nuca della rossa, approfondendo quel contatto inaspettato che terminò prima di quanto avrebbe voluto. Ghignò alla risposta di lei, che una risposta non era, e fu il suo turno di portarsi la sigaretta stretta tra pollice e indice alle labbra. Ne ispirò una generosa boccata, per poi espirare quel fumo leggero prima di gettarla via con una schicchera. Si chinò su di lei prendendole il volto tra le mani e recuperando quell'incastro li dove lo avevano lasciato, chiedendo accesso alla sua bocca per poi far scivolare le mani verso il basso, carezzandole il collo esile, passando sulle spalle strette e poi giù fino ai fianchi che strinse portandosela ancora più vicino. La sollevò con facilità, lasciando che le gambe della Scamander si stringessero sui suoi fianchi e, senza smettere di torturare quelle labbra su cui cadeva, involontario, il suo sguardo ad ogni parola da lei proferita, si spostò fino a farla sedere su un muretto li a fianco. Posò le mani su quelle gambe che lo circondavano, carezzandole fino al ginocchio e poi a ritroso fino alla vita, trattenendo l'impulso di volerglieli togliere perché d'intralcio. Si staccò da lei solo quando l'esigenza di respirare divenne insostenibile, ma non per questo avrebbe smesso di dedicarle attenzioni, scendendo a tormentarle il collo baciandole ogni centimetro di pelle libera, tornando poi ad impossessarsi delle sue labbra li, dove aveva iniziato
    -Come stai, Rain?- chiese ancora, con un sorriso appena accennato prima di baciarla di nuovo insinuando una mano sotto il top e sfiorandole la schiena.



    Edited by -Nox- - 23/9/2023, 07:34
     
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    Paura. Tensione. Bisogno assoluto di fuggire da quella realtà che, ora come ora, la voleva esposta ad un pericolo reale. Rain avvertiva il senso di oppressione sul suo petto. Un peso soffocante, insopportabile. Folle. Da un lato avrebbe voluto assecondare le richieste di quel padre-tiranno, ponendo fine a quella storia una volta per tutte ma, l’altra faccia della medaglia le consentiva di vedersi ancora libera, padrona di sé stessa e della sua personalità troppo esplosiva per essere contenuta. Che fare? Sarebbe stata in grado di rinunciare a tutto, ripartire da zero, comandata a bacchetta da un potere superiore che non si sarebbe mai curato della sua felicità? Probabilmente no. Abbassò lo sguardo, esponendo il suo tacito malessere al mondo mentre si interrogava su quale sarebbe stato il prezzo da pagare per quell’emancipazione ottenuta per il volere altrui. Pensieri inutili. In cuor suoi immaginava già le sue mosse. Il percorso che avrebbe intrapreso si sarebbe rivelato arduo, minaccioso e non privo di ostacoli potenzialmente mortali. Portò le mani alla testa, mentre sulle sue labbra si delineò un sorriso mirato non solo a dissimulare quel palese malessere ma, allo stesso tempo, anche ad allontanare Nathan da possibili coinvolgimenti in una situazione che avrebbe dovuto neanche lontanamente sfiorarlo. Per il suo bene, ovviamente e quando si trattava di ciò, la rossa, non si sarebbe mai permessa di giocare con il fuoco. La sua iperprotettività nei confronti di coloro che, per un motivo o per l’altro, si erano guadagnati la sua fiducia, vantava sfumature al limite con il patologico. Il Grifondoro, quindi, le interessava a tal punto da sentire la necessità di proteggerlo da sé stessa. Allontanarlo sarebbe stata la decisione ideale ma, da quell’appuntamento, si denotava la sua incapacità di azione, sfociando nel più oscuro egoismo. Sbuffò, scuotendo il capo e assumendo un’aria quasi delusa. “Perché non dovrei pensarlo?” Ribatté spazientita da quel modo di sminuire la sua anima, andando contro alla massima che rispondere a una domanda con un’altra domanda fosse una bastardata. Nelle sue mani aveva riposto quello che, per molti versi, si avvicinava ad un segreto irrivelabile e, nonostante fossero passati mesi, ancora non era riuscita a pentirsi della sua scelta. Qualche cosa voleva pur dire. Il dubbio, però, poteva essere lecito. Che sapeva di lui? Meno di niente ma, d’altra parte, il tempo per rimediare ancora non le era stato sottratto del tutto. Raccolse le mani, incrociando le dita e poggiando i gomiti sul tavolo e, con disinvoltura, si rivolse a lui, rilassando il viso. “Sono qui!” Pronta ad accogliere qualsiasi informazione che ritenesse opportuna per innalzare il loro livello di conoscenza. “Parlami di te. Raccontati.” A ruota libera. Non sarebbe stata di certo lei ad interromperlo. “Non ti giudicherei mai!” Proprio no. Sarebbe stata in silenzio, attenta, appuntandosi mentalmente ciò che avrebbe contribuito ad una conoscenza completa e sana. “Sensazione.” Fece spallucce, lasciando scivolare via quel timore di una possibile delusione. “Mi fai stare bene.” Infondeva una certa tranquillità in lei. Il suo ascendente le aveva evitato, già una volta, un’esplosione durante la lezione di Cura delle Creature Magiche e, per giorni, si era ritrovata ad interrogarsi sulle motivazione che avevano fatto sì che ciò avvenisse. La sua presenza, dunque, aveva assunto un’importanza particolare e, in quel corridoio, si era lasciata andare al desiderio di oltrepassare quel limite che le impediva di approcciarsi a una persona in maniera profonda. Perché, per Merlino, non le era mai interessato andare oltre il piacere fisico. Non ci aveva mai pensato. Credeva di non essere tagliata per certe cose ma, forse, iniziare a prendere in considerazione di non essere, dopotutto, una persona totalmente orribile sarebbe stata la scelta migliore. Più umana. Più Rain e meno quella puttana che, di tanto in tanto, si impossessava di lei, finendo a scaldare letti dei quali non le importava un cazzo di niente. “Lo fai in continuazione.” E senza motivo. Certo era che non poteva sapere cosa ci fosse dietro a quell’insicurezza e, proprio per questo motivo, si guardò bene a non calcare la mano per non rischiare di metterlo a disagio. No. Non avrebbe costretto nessuno a parlare anzi, in realtà, non si era mai prodigata a sedersi a tavolino con qualcuno, fornendo quel supporto di cui non ne sapeva un fico secco. Le carte in tavola, però, erano state rimescolate e Nathan aveva un po’ distrutto quell’equilibrio che era servito a proteggerla almeno dal dolore altrui. “Non oggi.” Sottolineò lieta. “Così sarai costretto ad uscire con me. Ancora.” Quella che voleva essere una battuta, in realtà, uscì come un invito bello e buono ma, si sa, la rossa guardava lontano e sognava ancora più in là. Che male poteva mai esservi in quella visione futura? Le speranze, in quel momento, sembravano essere le uniche a tenerla a galla in quel mondo di merda in cui era costretta a vivere.
    ”Grace!” Lo osservò illuminarsi al pronunciare quel nome. Arricciò il naso infastidita. Attese che terminasse la serie di elogi verso la Grifondoro e alla fine commentò con un semplice: “Ahh ahhh!” Un misto di frustrazione e indifferenza per quella ragazza che, fino a quel momento, le era arrivata solo per quel finto buonismo che ostentava ogni qualvolta ve ne fosse occasione. “Carina, certo…” Sistemò la sua folta chioma su una spalla, comportandosi come se la loro vicinanza non la tangesse minimamente. Le ultime voci di corridoio, volevano la Johnson fare coppia fissa con il cacciatore musone Michael Harris ma, forse, avrebbe dovuto chiedere conferma alla Riis, essendo amica di quel burbero ragazzo così inavvicinabile. Forse dovrei. I suoi occhi scuri si sgranarono. Cosa avevano appena udito le sue orecchie? Dare una possibilità a Grace? Come no. “No!” Una negazione categorica. Prendere in considerazione quella possibilità sarebbe andato contro ad ogni principio preimpostato nella sua testa. “Il suo atteggiarsi da difensore dei deboli mi disgusta!” Le avrebbe aperto volentieri una voragine sotto i piedi per inghiottirla ma, ahimè, l’omicidio sembrava essere ancora illegale da quelle parti. Escluso. ”Quindi mi osservi?” Beccata con le mani nel sacco. Ottima mossa, idiota! Non che fosse chissà quale segreto di stato ma, per il suo orgoglio un duro colpo. Tanto valeva essere sincere al cento per cento. “Ti cerco. Ti osservo e ti vorrei baciare ancora.” Scontato. Da quando era successo quel che era successo, non riusciva a togliersi dalla mente quanto fosse stata sé stessa in quel gesto così istintivo e sentito. Disarmata ma felice. Così ne era uscita. Afferrò il bicchiere e bevve fino all’ultimo sorso il contenuto, come per voler dimenticare ciò che aveva appena rivelato, senza alcun tipo di filtro, deliziandosi della reazione da principiante del suo partner di bevute. “Il tuo segreto è al sicuro.” Lo schernì, continuando a stringere la sua mano. “Trovi che io abbia gusti strani?” Lo incalzò bonariamente, assumendo un’aria angelica ma, sotto sotto, pungente. Uno scambio divertito di battute il loro. Stronza. Non poteva immaginare quanta verità in una sola frase ci potesse essere. “Quindi ti affascino?” Buono a sapersi. Al mondo vi erano uomini poco intenzionati ad avere a che fare con tipi decisi come lei. Le sue relazioni erano state, più o meno, tutte uguali. La controparte maschile, quando si rendeva conto di non essere al comando –ma in una situazione di assoluta parità- tendeva a fuggire. Se Nate, però, trovava del fascino in un atteggiamento dispotico come il suo, beh, forse si trovava davanti a colui che sarebbe stato in grado anche di smussare quel suo lato caratteriale così indisponente.
    “Non posso permetterlo.” Arrendersi avrebbe segnato la sua fine. Consegnarsi di sua spontanea volontà all’uomo che aveva contribuito a metterla al mondo, avrebbe cancellato tutti il buono che aveva assimilato da coloro che l’avevano letteralmente raccolta dalla strada per farne una donna dai sani principi. Si alzò impaziente e andò a recuperare i drink ordinati da troppo, oramai. Il peso del tasso alcolico iniziava a farsi sentire ma non diede molta importanza a ciò, non finché possedeva la capacità di comprendere ciò che la circondava. Si deliziò ancora una volta di quel liquido e, senza pensarci due volte, trascinò al di fuori del locale il povero Knox che la seguì, probabilmente perplesso dal suo scatto verso l’esterno.
    Amava la notte. In quelle ore tutti i pensieri potevano trovare espressione sotto forma di lacrime. Quante volte si era ritrovata sola, nella sua stanza del Paiolo, a versare quelle lacrime di cui nessuno era a conoscenza. Si lasciò sfilare la sigaretta e, subito dopo, trascinata dagli eventi, si avventò sulle sue labbra. Decisa e sicura che non l’avrebbe respinta. Così fu. Il contatto si approfondì ma così rapidamente da esserne rammaricata. Le sue intenzioni esulavano dal raccontare quanto fosse merdosa la sua vita. Rispondere alla domanda non sarebbe servito. Lo lasciò fare. Il suo tocco distese i suoi nervi e, in pochi attimi, si ritrovò a cingergli la vita con le gambe, senza interrompere il contatto con le sue labbra che si muovevano ad un ritmo elevato che decise di assecondare. Passò le braccia intorno al suo collo, stringendosi ancora di più come se non le bastasse mai. Ne voleva di più. Non sciolse la presa neanche quando si trovò appoggiata a un muretto, posto in una porzione semi buia della via. La bocca del Grifondoro esplorava ogni centimetro di candida pelle disponibile di quella ragazza completamente immersa in quella che credeva essere passione pura. Affondò le mani tra i suoi capelli e si dedicò alla sua mascella, scendendo verso il collo. “Bene.” Un flebile sussurro uscì dalla sua gola mentre fece un fatica immane a trattenersi dal far sparire tutti i vestiti. “Sono esattamente dove vorrei stare.” Ed era viva. Che poteva chiedere di più? “Da quando ti ho voltato le spalle in quel corridoio…” Un pensiero fisso. “… ho pensato a questo!” Anzi, a un po' di più ad essere onesta. Forse l’ingenuità della sua età o, forse, non si era sbagliata sull’attrazione che credeva di aver scorto tra loro.
     
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    Nathan Knox | III | Grifondoro


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    Non era sempre stato così, timido ed insicuro quasi a livelli patologici. Forse si era ritrovato ad essere un po' rigido ed impacciato il suo primo anno ad Ilvermorny non essendo poi così abituato ad avere una vita sociale ma, poco alla volta, si era sciolto riuscendo a godersi quella spensieratezza tipica dell'età che avevano, farsi degli amici e divertirsi. Poi quella porta sbattuta in faccia, l'inadeguatezza, il disagio nel mostrare la propria faccia in pubblico. Non era stato un momento facile e si convinse che si sarebbe portato dietro quelle sensazioni per parecchio tempo ancora ma, poi, arrivato ad Hogwarts era rimasto spiazzato dalle situazioni che si erano create. Nessuno che lo guardasse con sospetto, le persone erano carine e disponibili, non si era mai sentito tagliato fuori e, nella sua mente, tutto appariva così incredibilmente sbagliato. Ogni volta che qualcuno era gentile con lui, ogni volta che rideva o anche solo sorrideva, riusciva solo a sentirsi in colpa, come se non se lo meritasse, come se stesse imbrogliando tutti, e sapeva che non era così che si sarebbe dovuto sentire, che era un riflesso stupido ed immotivato, ma non poteva farci niente. Sentiva di avere sempre meno da offrire ad ogni persona nuova che incontrava, credeva, per motivi che solo un bravo analista avrebbe saputo spiegare, che non fosse giusto. Ma ora eccolo li, davanti a quella ragazza bizzarra che, senza tanti giri di parole, gli diceva di piacerle per ragioni a lui sconosciute, e che gli chiedeva di parlarle di lui.
    “Parlami di te. Raccontati” sbatté le palpebre un paio di volte, prendendo tempo per pensare a cosa dire e rendendosi conto di non avere nulla da raccontare. Dei genitori morti? Certo, tema perfetto per alleggerire l'atmosfera. Del fratello omicida? Cavolo, anche meglio! Dei giorni da recluso mentre veniva accusato di omicidio? Sarebbe crollata ai suoi piedi di certo. E che altro? Non si poteva dire che avesse passato una vita avventurosa e pregna di esperienze da raccontare, anzi, quando aveva deciso di trasferirsi a Londra lo aveva fatto proprio sperando di costruirsela una vita, che cominciasse da quel momento, quindi sorrise sconsolato alla rossa che lo osservava seria e paziente, sicuro che si sarebbe accorta molto presto quanto in realtà non ne valesse la pena
    -Non ho paura del tuo giudizio- e invece si (cit.) -É che non ho nulla di interessante da dire- sorrise di nuovo sollevando le spalle e facendole ricadere subito. Si passò rapido una mano sul volto prima di posare entrambe le braccia sul tavolo e sporgersi verso di lei -Ok vediamo: niente genitori, ho un fratello più piccolo in America, casa mia è a pochi metri da qui e non ho la minima idea di cosa fare del resto della mia vita. Fine- tornò a poggiarsi allo schienale della sedia, quasi soddisfatto di aver dimostrato di non avere nulla di interessante dalla sua, forse per giustificare il modo in cui, come diceva Rain, sminuiva sempre se stesso. Quasi ci teneva a voler rimarcare quel punto, come a volerle dare subito un quadro di quello che era, una persona noiosa di cui presto si sarebbe stancata. -Ammettilo, ci stai già ripensando- un sorrisetto divertito gli incurvò le labbra. Magari, come la Serpeverde utilizzava il sarcasmo, lui utilizzava il fattore noia per allontanare le persone e non dare loro motivo di restare. Ma non avrebbe aggiunto altro, non quella sera in cui era li per parlare di lei. Era li per ascoltare, non per parlare di sé.
    “Così sarai costretto ad uscire con me. Ancora” eccola li, ancora così diretta da non lasciare alcuna via di fuga -Se lo vorrai- rispose lui serio. Si stava mettendo in un bel casino. Avrebbe dovuto starsene buono buono in disparte, fare un passo alla volta, invece si stava tuffando a pesce in acque pericolose senza prima aver imparato bene a nuotare. Masochista, forse, ma non sarebbe riuscito a dirle di no. Dubitava sarebbe mai riuscito a dirle di no. La Scamander era fin troppo interessante ai suoi occhi per farsela scivolare via dalle dita. Per quanto la ragione lo spingesse a starle lontano, sentiva di non volerlo fare. Rain era una delle poche persone ad essersi guadagnata la sua ammirazione e le sue attenzioni e, per qualche motivo, doveva aver notato il suo legame con un'altra di questi pochi fortunati, Grace, seppur fossero attenzioni ben diverse.
    -“Difensore dei deboli”?- ridacchiò a quel paragone, in effetti la biondina aveva un po' l'aria da paladina ma non lo aveva mai trovato un difetto -Pare sia un tratto tipico dei Grifondoro- sollevò le sopracciglia divertito dal fatto che, da sempre, sarebbe voluto rientrare in quella categoria di persone, quelle per cui era naturale fare un passo avanti per difendere gli altri, senza preoccuparsi troppo delle conseguenze a cui sarebbero andati in contro. L'incoscienza di fare la cosa che reputavano giusta, quella gliela invidiava davvero. Però non tutti i mali venivano per nuocere, fu un piacere sapere che la ragazza l'osservasse da lontano, l'idea che Rain, tra tutti, cercasse proprio lui gli smuoveva qualcosa a livello dello stomaco ma, certo, non si sarebbe aspettato ciò che rispose poi lei. Sciocco in realtà, aspettarsi l'imprevedibile pareva essere la regola base per poter avere a che fare con lei, ma tutte quelle ammissioni erano, per Nathan, così assurde. Avrebbe potuto avere qualsiasi ragazzo avesse voluto, con i suoi modi e il suo aspetto sarebbe stato difficile per chiunque dirle di no, eppure era li, con lui.
    -Baciare- si lasciò andare ad una risata più roca del solito, dovuto al bruciore alla gola dato dal liquore appena ingerito -Vorrei poter dire di riuscire a fermarmi a quello- sgranò gli occhi per aver detto ad alta voce quello che sarebbe dovuto essere solo un pensiero, fissando il bicchiere vuoto e realizzando solo in quel momento quanto fosse stata una pessima idea -Scusa, io.. è uscita male!- no, era uscita esattamente come l'aveva pensata, ed il problema era proprio quello. Fu subito evidente come gli alcolici non fossero affatto il suo campo e, probabilmente, non lo sarebbe mai stato. Se riusciva a capire come le conseguenze non fossero tanto male, la leggerezza a cui portavano e quel coraggio momentaneo che iniettavano nelle vene, di sicuro non avrebbe mai capito come qualcuno potesse apprezzarli anche solo per il loro sapore. Un po' come quelli che mangiavano piccante, ingerire qualcosa che causava solo dolore e bruciore coprendo qualsivoglia sapore, che senso aveva? Poteva pure essere lui ad essere troppo delicato, non era da escludere, ma quelle persone erano strane e niente e nessuno gli avrebbe fatto cambiare idea sulla questione
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    -Parecchio strani!- confermò accompagnando le parole annuendo con forza -É una cosa da fachiri! Tu sei tutta un po' strana, ma non vuol dire che sia un male in ogni caso- continuò scherzando. La rossa era una ragazza insolita. Strana, un po' stronza, sfrontata ma divertente proprio per quel connubio di atteggiamenti che aveva. Faceva la dura e la spavalda ma, sotto sotto, era forse la più fragile di tutti. E poteva essere che fosse proprio questo ad affascinarlo più di tutto il resto
    -Più di quanto mi piacerebbe ammettere- le concesse, ancora una volta, più sincero di quanto avrebbe voluto. Ordinare un secondo drink non era consigliato, ma ormai era in ballo e non voleva tirarsi indietro. Bevve rapidamente un altro bicchiere di liquore ambrato che non gli sarebbe mai piaciuto e, prima che avesse il tempo materiale per metabolizzarlo, venne trascinato fuori dalla verde-argento che sembrava impaziente. L'aria fresca sul viso fu un toccasana, ma non fu sufficiente a ridargli quella lucidità che gli sarebbe servita per affrontare ma Rain, quella lucidità, gliela strappò di dosso col solo tocco delle sue labbra, trasportandolo in quella danza che gli annebbiò il cervello più di quanto avesse fatto il whisky. La strinse tra le braccia, sollevandola e facendola sedere su un muretto, rimanendo incastrato tra le gambe che gli cingevano la vita. Si avventò sulle sua labbra come se respirare non fosse stato poi così importante, come fosse stata lei l'ossigeno di cui aveva bisogno. Le lambì la pelle sensibile del collo, lasciandole una scia di baci fino arrivare alla clavicola prima ti tornare ad impossessarsi delle sue labbra. Le sue parole, quello che gli diceva, non facevano altro che fomentare quella fiamma che si era accesa in lui da quando, poco prima, lei stessa aveva fatto la prima mossa. Continuò a baciarla con una passione nuova, intrecciando le dita della mancina ai suoi capelli fluenti mentre, con la dominante, risaliva la sua schiena da sotto il top che avrebbe voluto strapparle di dosso senza tante cerimonie. Ci volle davvero poco perché la mano si scontrasse con il reggiseno che, ora, intralciava il suo cammino e, senza pensarci due volte, si mosse per liberarla da quella costrizione ma, prima che potesse sganciarlo, una voce alle sue spalle lo immobilizzò sul posto
    -I miei avvoshati lo verano a sapeve!- un uomo ubriaco era appena stato buttato fuori dal locale che li aveva accolti, interrompendo quel momento e riportando Nathan alla realtà
    -Oddio- si allontanò da lei di un passo, due, poi un terzo.
    -M-mi dispiace!- si prese il volto tra le mani, le stesse che l'avevano sfiorata e che stavano per andare oltre il consentito -Tu mi hai chiamato per parlare e io mi sono approfittato di te! Di nuovo- prese a camminare da destra a sinistra e viceversa davanti a lei, ragionando più con se stesso che con la ragazza -E in pubblico- si fermò, infine, tornando a fronteggiarla ma rimanendo ancora a distanza, il viso dello stesso colore della sua divisa da Quidditch ed un tono di voce che mal celava un principio di panico -Scusami- se gli avesse dato del maniaco avrebbe anche potuto capirla.

     
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    Era abituata al giudizio altrui. Giorno dopo giorno. Anno dopo anno. La rossa si era scontrata spesso con le malelingue, pronte a sputare veleno sul suo modo di essere, di vestire, di acconciare i capelli, di pensare. Qualsiasi cosa. Chi la reputava troppo sgarbata con il prossimo, chi troppo frivola e chi non degna di attenzioni. Opinioni che avrebbero potuto cambiare il corso della sua storia se solo l’avesse permesso. Ciò, però, non era avvenuto. Rain se ne era infischiata di queste stronzate e, a distanza di così tanto tempo, riusciva ad assimilare quelle maldicenze, trasformandole in semplicissimi ed insignificanti pareri da quattro soldi, non richiesti. Niente più e niente meno. Mai e poi mai si sarebbe permessa di avanzare giudizi gratuiti nei confronti di terzi, soprattutto se questi individui occupavano un posto importante nel suo indice di gradimento e, diciamocelo, Nathan si era accaparrato un primato clamoroso. Alzò lo sguardo su di lui, giocherellando distrattamente con una ciocca fiammante di capelli. Poco credibile. La sua mimica smentiva ciò che le parole avevano appena illustrato. Ma perché? Aveva mai dato segno di essere una ficcanaso pronta a sparare a zero sul prossimo? Beh, sì. Insomma, soggetti del calibro di Grace un minimo di giudizio lo meritavano, soprattutto grazie al loro atteggiarsi da salvatrici, quando non erano altro che gallinelle alla ricerca di quell’attenzione mai ricevuta. Ahhh, chissà quanti traumi infantili, per renderle quelle che erano. “Mh!” Un’occhiataccia flui con rapidità verso le sue iridi chiare. Non poteva credere alle sue orecchie. Tutti, chi più e chi meno, doveva pur avere qualche cosa da raccontare. Lei stessa, seppur non prediligendo quel tipo di argomenti, non si sarebbe tirata indietro davanti alla richiesta del ragazzo di ampliare la loro conoscenza. Restare sul vago. Niente di specifico che potesse sconfinare nell’imbarazzo ma, anche il più insignificante aneddoto, avrebbe contribuito ad accrescere quel legame. Finalmente fu colto da uno slancio di predisposizione alle confidenze e prese ad elencare quelli che, secondo il suo punto di vita, erano i punti salienti della sua esistenza. ”… niente genitori.” Si focalizzò sul primo dettaglio, domandandosi cosa potesse essere accaduto per far si che entrambi i genitori non fossero presenti nella vita del Grifondoro. Un incidente? Possibile. Un abbandono? Cosa sarebbe stato meglio? In entrambi i casi, sia lui che suo fratello, dovevano aver passato le pene dell’inferno. Lo capiva. Lei comprendeva a pieno cosa volesse dire essere rifiutati da coloro che, per mero volere, avevano dato la vita a quei figli ai quali si erano assicurati, in un secondo momento, di negare loro amore. Maledetti bastardi! Si fece trasportare dalla rabbia. Strinse i pugni mentre la sua mente elaborava la richiesta del padre, operata attraverso il suo stupido leccapiedi. Glissò elegantemente, evitando l’invasione di campo che sarebbe servita solo a farlo allontanare da lei e, no, non poteva permetterlo. “Mi stai dicendo che siamo vicini di casa?” In un certo senso, certo. Il Paiolo era divenuto il suo appoggio. La sua casa. Tornare dalla sua famiglia adottiva, come aveva potuto constatare, non le avrebbe assicurato un riparo e, quindi, quale soluzione migliore di quella per la quale aveva optato? Ora aveva anche un motivo in più per apprezzare quel luogo così insospettabile. Incrociò le dita e poggiò i gomiti sul tavolo, offrendo tutta la sua attenzione al ragazzo che, con un filo di sfiducia in sé stesso, andò a sottolineare quanto fosse confuso sul suo futuro. Alzò le spalle, così, per solidarietà. Quell’ombra di mistero, invece che renderlo noioso, lo elevava ad essere interessante ai suoi occhi. Scosse il capo, lasciando che i suoi capelli ondeggiassero indisturbati. Oh, no! Non si sarebbe liberato di lei tanto facilmente, facendo leva su quei mezzucci. In tutta risposta stoccò diretta, convinta di riuscire a metterlo in difficoltà. La sua sincerità aveva raggiunto livelli mai visti prima eppure non ci stava mettendo neanche una punta di impegno. Ogni frase, ogni parola, ogni sillaba erano proferite con senso di causa e lì, davanti a lui, stava solo esprimendo il suo desiderio che quell’incontro non fosse l’ultimo. “Voglio!” Presente e futuro. Conoscerlo rientrava proprio nelle sue priorità e non ci avrebbe messo una pietra sopra fino a quando non si fosse scontrata con il vero essere di Nate. Il viso serio del cacciatore la impensierì. Che gli passava per la testa? Forse lo stava infastidendo con la sua intraprendenza? Avrebbe dovuto darci un taglio e passare oltre? Forse. In ogni caso, uscire con lui le avrebbe fatto piacere senza alcun dubbio. Sempre che non fosse invischiato in altre relazioni sentimentale, ad esempio con Grace Johnson la compagna di casata con la quale sembrava avere un legame invidiabile. Pffff. Tutto fumo e niente arrosto. Lasciò scivolare via la rabbia che l’immagine di lui al fianco di un’altra aveva inferto al suo ego. Fanculo! Tra loro vi era stato solo un bacio, come poteva provare quell’inizio di gelosia? Che strana la mente femminile. “Finta buona.” Commentò senza enfasi, come se il discorso non la toccasse minimamente. “Brutta razza.” Quell’argomento sarebbe dovuto cadere nel vuoto, prima di subito ma soprattutto prima di toccare quel picco che avrebbe fatto tremare la terra sotto i loro piedi. Fortunatamente si passò a qualche cosa di più interessante e decisamente di forte impatto, almeno su di lei. L’alcol? Un silenzioso miglior amico, suggeritore di verità che, altrimenti, sarebbero rimaste latenti. Senza voce. Imperdonabile. ”Vorrei poter dire di riuscire a fermarmi a quello.” Sgranò gli occhi con aria di chi non avrebbe dovuto affatto parlare. Si morse il labbro inferiore, coperto da un sottile strato di rossetto rosso, il suo solito. “Non ti devi scusare.” Assolutamente. “Credi davvero che voglia fermarmi a quello?” Il trasporto fisico era evidente, non sarebbe stata lei a limitare il suo raggio di azione, anzi lo avrebbe agevolato se solo ne avesse avuto il potere. Gli sorrise, inclinando leggermente il labbro, quasi impercettibilmente. Maliziosa, niente di nuovo. Eppure l’attrazione fisica non giustificava a pieno il suo bisogno di averlo lì, accanto a lei. Bevve un sorso, avidamente, assaporando il retrogusto amarognolo di quel liquido ambrato e tanto invitante. Gusti strani ma neanche troppo in fondo. Rain in risposta abbassò lo sguardo, puntandolo sul pavimento, mascherando la preoccupazione che le rendeva impossibile vivere a pieno quel momento. Sospirò e accolse quella battuta come una boccata d’aria fresca che spazzò via l’oscurità e proprio quel male che Nathan aveva appena finito di nominare. Si finse stranita per il paragone e poi annui. “E anche fosse un male? Non tutti i mali vengono per nuocere, no? Tienilo a mente quando inizierai a non sopportare più la mia presenza.” Ironizzò. Sì, perché non era di certo il tipo che avrebbe lasciato che la curiosità della controparte colasse a picco. Mantenere l’interesse era la sfida che più la portava ad ardere all’interno e, ora più che mai, non si sarebbe tirata indietro in quella che era una sfida personale, un rimettersi in gioco dopo la palese delusione inferta da parte di quell’idiota di Singh o come si chiamava. “La verità fa male?” Sbilanciarsi ancora di più. Non per lei che non si teneva un cazzo per lei, sentendo il bisogno spasmodico di esporre quello che era il suo pensiero. “Lasciarti in quel corridoio è stato così difficile. Avrei voluto…” Stop. Morditi la lingua, rossa! Immediatamente. Quanto era costato girare i tacchi ed evitare quello che in realtà avrebbe voluto accadesse, nonostante la presenza della Signora Grassa alle prese con le sue scarse –anzi scarsissime- doti canore. “Sento caldo.” Troppo. Le sue guance si colorarono di un rosso intenso e sentì il bisogno di uscire così da poter essere avvolta dalla brezza pre autunnale tanto invitante quanto fresca al punto giusto.
    Lo trascinò via, incurante del conto da pagare tanto, mal che fosse andata, lo avrebbero aggiunto a quello della stanza e si trovarono all’esterno. Alzò gli occhi castani a quel cielo notturno che tanto amava. Il resto venne da sé, lasciando che l’istinto prendesse il sopravvento sulla ragione. In un batter d’occhio le loro labbra si toccarono e la verde argento si trovò seduta su un muretto con le gambe strette intorno alla vita di lui, senza alcuna vergogna. Lasciò che esplorasse il suo corpo, senza porre fine alla passione sprigionata da quel bacio nato quasi per caso. Passò le dita tra i capelli del rosso oro, assicurandosi che non potesse fuggire dalla sua presa e quando avvertì le mani di lui scorrere accanto al reggiseno, prego Merlino che facesse saltare via quegli insulsi ganci, così che non vi fosse più nulla come intralcio. Si strinse a lui. Fremeva. Il suo corpo chiedeva di più ma il destino avverso si trovò in disaccordo. Una voce sconosciuta alle loro spalle catturò l’attenzione, riportandoli bruscamente a quella realtà che li vedeva protagonisti di atti osceni in luogo pubblico. Complice la semi oscurità, però, nessuno fare caso a loro, neanche l’ubriaco fonte del disturbo. Nathan scattò, ponendo una distanza di sicurezza che era certa non volesse. Prese a delirare, lasciandola senza parole. No. Che andava a dire? Se vi era qualcuno che si era spinto al di là del limite consentito era di certo lei, rendendolo vittima degli eventi. Lasciò che si sfogasse e, alla fine, prese lei la parola. “Nathan.” Un tono basso, calmo ma allo stesso tempo sentenzioso. Saltò giù, azzerando i pochi centimetri che li dividevano. Alzò le mani e gli circondò il viso, senza perdere il contatto visivo, se non per focalizzarsi per un nano secondo sulle sue labbra. “Va tutto bene.” Un tentativo bizzarro di infondergli la tranquillità che era appena andata a farsi fottere. “Guardami.” Impose. Di solito erano gli altri a cimentarsi in quei gesti per calmarla e non il contrario ma, si sa, le circostanze mutano e le persone cambiano. “Nessuno si approfitta di nessuno.” Lo rassicurò. “Nate. Sono esattamente dove vorrei essere!” E no, non era l’alcol che ragionava e parlava per lei. Lo abbracciò, alzandosi in punta di piedi per poi posargli un casto bacio la lato della bocca. Lasciò la presa e cercò le sue mani, così da poterle intrecciare con lei sue. “Stanotte…” Esitò intimorita. “Rimani.” Un sussurro che solo lui avrebbe potuto udire, essendo pericolosamente vicino al suo viso. “Stai con me!” Preciso, come se ci fosse bisogno.
     
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    Non era facile parlare di sé, in genere preferiva ascoltare e dispensare consigli laddove richiesto e, a volte, anche quando non erano necessari, un difetto che avrebbe dovuto aggiustare con il tempo. Era sempre stato un tipo piuttosto introverso, che faticava ad aprirsi in generale ma, nell'ultimo periodo, non era più solo questo suo lato caratteriale a metterlo in difficoltà, quanto più il dubbio su cosa dire e, soprattutto, a chi dirlo. Si era reso conto che, più che parlare apertamente di sé, snocciolava quelle piccole informazioni che credeva gli altri si sarebbero voluti sentir dire, niente di troppo personale, niente che andasse troppo oltre la superficie, sicuro che l'interesse fosse sempre blando. Proprio come quando le persone chiedevano “Come stai?”, quella domanda a cui quasi nessuno voleva sentirsi dare una risposta sincera, portando quasi tutti a rispondere con un semplice “Bene, e tu?”. Difficile trovare qualcuno a cui poter dire che gli era crollato il mondo addosso e che stava solo cercando di tenere insieme i pezzi e, certo, non era qualcosa da raccontare a persone che si conoscevano poco, mettendoli a disagio e trascinandoli in una conversazione che magari poi si sarebbero sentiti in dovere di affrontare, senza però reale coinvolgimento. Rain, tuttavia, era diversa. Fin da subito si era aperta con facilità, mettendolo a conoscenza di situazioni personali che di facile non avevano proprio niente, gettandolo in un turbine di informazioni che gli facevano ben sperare che il suo interesse nel farlo parlare di sé non fosse della solita natura frivola. Rimaneva il fatto che, in ogni caso, non volesse appesantirle la serata che già non sembrava felice, quindi rispose restando sul vago ma senza mentire
    -Sei stata qui dalla fine della scuola?- corrucciò le sopracciglia collegando i puntini -E non ci siamo mai incontrati?- un sorrisetto divertito spuntò sul suo viso, contento che non avesse fatto ulteriori domande che lo avrebbero messo in difficoltà in quel momento. Male, molto male. Aveva passato gran parte del suo tempo ad annoiarsi sul divano o, al più, a mettersi alla prova nei supermercati babbani solo per il gusto di usare quelle casse automatiche che facevano strani rumori. Ora si rendeva conto che avrebbe potuto spendere molto meglio il suo tempo se solo avesse allungato lo sguardo oltre il suo naso -A saperlo sarei venuto a darti fastidio molto più spesso- scherzò, ma non sul fatto che avrebbe frequentato quel locale più che volentieri, ed ecco perché lo stomaco si strinse appena quando la ragazza confermò di volerlo rivedere. Si sentì quasi un quindicenne alla sua prima cotta.
    -Credo tu ti stia sbagliando su di lei- ridacchiò passandosi una mano sulla nuca un po' a disagio quando il discorso virò su Grace. Gli piacevano entrambe le ragazze, anche se in modo diverso, e non gli faceva piacere sentire una parlare male dell'altra. Che situazione del cavolo!
    -Però ho capito, non ti piace- meglio sorvolare su quell'argomento per il momento, e chissà che prima o poi non sarebbe riuscito a fare da tramite tra le due. Probabilmente no.
    “Credi davvero voglia fermarmi a quello?” Nathan arrossì, come suo solito, mentre gli scenari più disparati si spiegarono davanti ai suoi occhi grazie alla mente che aveva cominciato a lasciarsi andare in fantasie più peccaminose di quanto avrebbe potuto esprimere ad alta voce -Ah, no?- inclinò il busto leggermente in avanti, sporgendosi così verso la ragazza intanto che il sorriso prendeva una piega più furba. Nonostante le gote arrossate, ritrovò lo stesso gioco iniziato quel giorno al campo da Quidditch -E cosa avevi in mente?- domandò fingendosi più ingenuo di quanto non fosse. Che le avessero messo qualche cosa nel bicchiere? Una nuova droga o ritrovato strano che le annebbiassero la mente? Come poteva anche solo pensare che avrebbe finito per non sopportare la sua presenza? Ghignò, occhi socchiusi a scrutarla in volto, mentre si rigirava il bicchiere tra le dita
    -Si sta forse sminuendo, signorina Scamander?- non era la prima volta che la ragazza si dipingeva come qualcuno da cui stare alla larga, lei stessa gli aveva raccontato di preferire tenere tutti a distanza. A volte lo riconduceva al suo essere figlia di gente poco raccomandabile, altre al suo modo di vedere se stessa come altrettanto mostruosa -Non vorrai dirmi che abbiamo qualcosa in comune?- scherzò ancora cercando di distrarla da quel velo di amarezza che le leggeva in volto notando i suoi occhi fissi a terra. Di nuovo, la ragazza riuscì a spiazzarlo con la sua dose di schiettezza e spontaneità che avrebbe sempre invidiato. Le guance della Serpeverde si tinsero di rosso, e Nathan stentò a credere fosse per imbarazzo, gli aveva detto ben di peggio con molta più nonchalance. Questa volta, però, sembrò diverso. Si lasciò trascinare fuori, non prima di aver fatto cadere una manciata di Galeoni sul tavolo per non passare per un mascalzone qualsiasi e, una volta fuori, la situazione non accennò a scendere di temperatura. Tutt'altro. Dal momento in cui Rain aveva premuto le labbra contro le sue, la temperatura non aveva fatto che aumentare. Aveva spento il cervello, smettendo di essere la solita persona controllata, lasciandosi andare a quelli che erano i suoi più naturali istinti e desideri.
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    Aveva ricambiato i suoi baci, smettendo di pensare alle conseguenze, aveva lasciato che le sue mani vagassero sul corpo della ragazza, l'aveva stretta a sé, l'aveva sollevata e portata li dove sarebbe stato più facile per lui avere accesso alla sua pelle serafica che aveva preso a baciare. Si era avventato su di lei spinto da una frenesia bruciante che già dall'ultimo incontro aveva tentato di sopprimere con pessimi risultati visto come, ora, la stringeva tra le braccia, infischiandosene se la sua eccitazione era ormai evidente. Continuò a torturarle il lungo collo da cigno, risalendo fino a tornare a rubarle quelle labbra rosse e piene che riempivano le sue fantasie, lasciando che ad ogni istante quei contatti si approfondissero sempre di più, arrivando ad insinuarsi fin sotto gli indumenti, accarezzandole la schiena. Sembrava che il tempo si fosse fermato, che tutta la conversazione precedente fosse stata solo un preludio per arrivare a quello, come se entrambi non aspettassero altro ma, come ogni cosa bella, anche quel momento fu destinato a finire. Una voce alle sue spalle lo riportò alla realtà, facendolo allontanare da lei e fissandola con occhi leggermente sgranati. Non si pentiva di nulla di quello che aveva fatto, nemmeno per un secondo il dubbio aveva attraversato il suo pensiero ma, la sensazione di essersi approfittato di lei, era forte. Temeva si stesse solo appoggiando a lui per ricevere conforto per il momento che stava vivendo e lui, come una subdola faina, si era insinuato tra quei sentimenti disperati, cercando un'apertura per avvicinarsi a lei. Era persino peggio di un molestatore! Fermò la sua crisi esistenziale per ascoltare la rossa che si era avvicinata, di nuovo, a lui dicendogli che andava tutto bene
    -Ma hai bevuto- anche se, in seconda analisi, forse era più lucida di lui. “Nessuno si approfitta di nessuno” Nate si calmò, poggiandole le mani sui fianchi e fissandosi sui suoi occhi scuri.
    -Sicura?- si lasciò convincere dalle parole di lei. Le passò un braccio attorno alla vita stringendola, baciandola ancora una volta “Rimani. Stai con me!” Knox sorrise ancora una volta senza allentare la presa su di lei. Ora che quei pensieri intrusivi erano stati messi a tacere, non c'era nulla che gli impedisse di riprendere da dove aveva interrotto
    -Non avevo intenzione di lasciarti andare- la strinse ancora portandola con sé quando, un istante dopo, la sensazione vorticante allo stomaco fu la prova inconfutabile della smaterializzazione riuscita. Non le diede il tempo di realizzare che l'avesse portata a casa con lui, in un lampo si impossessò di nuovo della sua bocca, premendola contro la parete alle sue spalle. Le braccia lasciarono la vita della rossissima ragazza, permettendo alle mani di riprendere la loro esplorazione da dove avevano interrotto -Se vuoi che mi fermi, dillo ora- o col cavolo che lo avrebbe fatto.



    Edited by -Nox- - 31/10/2023, 07:26
     
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    Rinchiusa nella sua stanza. Minuto dopo minuto. Così aveva trascorso l’intero periodo estivo, brancolando nel buio. Indecisa sul da farsi. Dubbi che proprio quella mattina, dopo tanto tempo, aveva deciso di spazzare via, tornando alle origini, in quella casa sovrastata da un silenzio tombale, inquietante e ricoperta del più fitto mistero: quello della scomparsa della sua intera famiglia. Le risposte non erano tardate. Nelle sue orecchie vi era ancora il suono della vocina cantilenante, appartenuta al leccapiedi di suo padre, che la esortava a compiere la scelta giusta e di seguirlo sino al cospetto di coloro che, diciotto anni prima, le avevano concesso di venire al mondo. Un regalo che avrebbe dovuto apprezzare ma che, con il senno di poi, non riusciva ad accettarlo completamente. Forse avrebbe dovuto seguire quella creatura, giungere a loro e porre fine a quei giochi mortali, nei quali si era trovata immischiata contro la sua volontà. Già. Accogliere quell’invito, però, l’avrebbe portata a sottostare al volere di un mostro assetato di potere che, dopo quella richiesta, ne avrebbe avanzate altre, fino a toglierle qualsiasi autonomia di movimento e, probabilmente, facendo di lei una pedina per afferrare ciò a cui mirava. Cosa? Non era dato a sapere. Rain non aveva la benché minima idea di quali fossero i piani dei suoi genitori. Aveva speso tempo ed energie nel cercare di raccapezzarsi su quegli argomenti ma, fino a quel momento, non aveva ottenuto nulla se non grandi buchi nell’acqua e nuove domande alle quali non avrebbe potuto rispondere con facilità. Allora, perché continuare su quella linea se, comunque, non nutriva alcun interesse a schierarsi dalla parte di quei distruttori di vite? Per questo si era decisa a lasciare andare le motivazioni che spiegassero le loro mosse, concentrandosi sul salvataggio di chi, al contrario, si era preso cura di lei, aiutandola a riemergere da quel baratro che mai aveva meritato, nonostante non fosse il classico tipo amorevole di turno. Alti e bassi. Come in tutte le famiglie. Le differenze erano molte e i modi di affrontare le situazioni non potevano essere messi a paragone. Insomma, era stato alquanto difficile adeguarsi alla novità ma, certamente, quel che avevano fatto per lei, non si avvicinava neanche lontanamente a quanto offerto dal suo albero genealogico, quello vero, ufficiale. Annuì alla domanda diretta del Grifondoro, svelando la quale fosse stata la sua posizione per tutto quel tempo. Si era ritirata a vita privata per un motivo più che valido e si era guardata bene dal rivelare ad anima viva ciò che l’aveva spinta a comportarsi in quella maniera. “Peccato, vero?” Sarebbe stata felice di incontrarlo ma ciò avrebbe implicato alcune preoccupazioni che non era in grado di sostenere in quel particolare frangente caratterizzato dalla più profonda fragilità. “Ci saremmo potuti divertire.” Perché no? L’estate, dopotutto, era la stagione adatta per attività extra curriculari, volte alla manifestazione della propria indipendenza. Insomma, sì. Probabilmente se avesse saputo che lì, a pochi passi da lei, alloggiava il ragazzo per il quale si era presa una cotta secca, avrebbe mandato a fanculo quella clausura prima di quella sera. Invece no. Si era fatta da parte, lasciando spazio a possibili altre pretendenti, da brava idiota. La punta di gelosia si espanse quando nel discorso trapelò uno dei nomi al quale, la rossa, si trovava suscettibile alla rabbia. Grace Johnson. La cacciatrice, salvatrice della patria e difensore dei deboli. Andiamo. Quante stronzate. Le apparenze ingannavano tutti, tranne che lei. La sua lingua biforcuta l’aveva subita ma ciò non era servito a lasciar che si mostrasse per quel che era realmente. No. Il ruolo di antagonista? Sempre di Rain. In ogni occasione. La strega cattiva. Colei da trattare come il male del mondo. Sbuffò. Chiudendo le mani a pugno, maledicendo quel luogo, colpevole di inibire le sue reazioni poco consone, altrimenti, al contesto. “Sto bene così.” Tagliò corto, mostrandosi poco propensa a continuare l’argomento. Che gli importava? In fondo non tutti potevano essere amici di tutti. Chi sosteneva il contrario mentiva spudoratamente. Senza pietà. L’atmosfera si fece piccante. Senza neanche rendersi conto, i due si ritrovarono ad ammettere quanto fosse stato difficile non saltargli addosso una volta per tutte, così da poter sottolineare l’attrazione che avvertiva crescere sin dalla sua entrata in quel locale. “No.” Fermarsi le era costato più di quanto fosse i grado di ammettere. Certo, la sfortuna non mancava mai di mettere lo zampino, considerando le circostanze. “Niente che abbia a che fare con l’innocenza.” Rispose di getto, senza pensare alle conseguenze che il suo atteggiamento avrebbe trascinato dietro a sé. Eppure, da quel che poteva osservare, le movenze di Nathan si erano fatte più sicure, lasciando che il tutto avesse una svolta naturale ed interessante. Allungò la mano e gli accarezzò il viso, approfittando del momento di vicinanza che il suo gesto aveva permesso. Un tocco rapido, puro e schietto. Ricolmo di malizia e propensione a lasciar intendere molto di più di ciò che le semplici parole avrebbero trasmesso. “Sminuirmi? Mai nella vita.” Ciò che era andata a proferire, però, non era altro che la realtà La sua personalità complessa, spesso, portava all’esasperazione chiunque entrasse in relazione con lei. Ordinaria amministrazione, divertente per alcuni versi. Fece spallucce. Avere qualche cosa in comune, solitamente, aiutava le persone nei rapporti interpersonali ma, secondo il suo vissuto, lei, sembrava attirare i poli opposti al suo. Contro ogni pronostico dal minuto zero. Bene ma non benissimo. In palese difficoltà, la Scamander, si alzò di scatto trascinandosi appresso un poco sobrio Nathan, fino a raggiungere una specie di spiazzo all’aria aperta, nascosto da occhi indiscreti. Tutto fu superfluo. La mente cessò di elaborare pensieri inutili e l’istinto prese il sopravvento. Indugiò sulle sue labbra, liberando il desiderio segregato per troppo tempo. Poche parole, più fatti. A nulla sarebbe servito spiegare quanto forte fosse l’esigenza di quel contatto. Lo lasciò fare, facilitandogli il lavoro e spianandogli la strada, trattenendosi però dal liberarsi dall’impedimento principale: i vestiti. Piegò la testa di lato, lasciando in bella vista la porzione di collo, presa d’assedio dalla sua bocca. Voleva di più, certo ma il destino aveva in serbo un brusco arresto degli avvenimenti a causa di qualcuno che aveva deciso, come loro, di alzare il gomito più del dovuto. Principiante. La fonte di disturbo provocò nel Grifondoro una reazione forte, ponendo una distanza fastidiosa per quel che la riguardava. Tentò invano di rassicurarlo. Come poteva pensare di averle fatto qualche cosa che non rientrasse nel suo volere. Credeva di avergli dimostrato quanto fosse ampio il suo interesse nei suoi confronti e, allora, quei dubbi da dove derivavano? Forse non erano altro che frutto della sua immaginazione eccessivamente galoppante per colpa dell’alcol fluito troppo velocemente nelle sue vene. “Ho bevuto.” Innegabile. “Non abbastanza per dimenticare i miei principi.” Metterlo in una situazione scomoda, facendolo passare per un approfittatore era l’ultima cosa che desiderava e si sarebbe prodigata a difenderlo da quelle riflessioni errate. Era sicura. Sicura su ogni fronte. Sicura di volerlo al suo fianco per quella notte e non solo, se solo avesse voluto. I loro corpi tornarono ad aderire e le sue braccia passarono a stringerlo con tutta la forza che possedevano, come se fosse la sua unica ragione di vita. Un attimo. Il vuoto a livello dello stomaco. Una sensazione ben conosciuta a chiunque avesse già sperimentato la smaterializzazione in coppia, più difficile ma ben riuscita. La perfezione. Non ebbe il tempo per mettere a fuoco l’arredamento presente in quella che doveva essere la dimora del giovane Knox e, d’altra parte, non le interessava minimamente vestire il ruolo di critico d’arte. La sua schiena si poggiò alla parete, richiamando a lei quelle labbra che non smettevano di provocare in lei quei brividi necessari a farla sentire viva. Il suo corpo si accese improvvisamente. ”Se vuoi che mi fermi, dillo ora.” I palmi delle sua mani si adagiarono sul suo petto, premendo su di esso e allontanandolo da sé, svogliatamente. Lasciò scivolare sul pavimento il giubbino di pelle e, con le dita, fece saltare i due bottoni del top scelto per quella serata sfilandolo abilmente. Rimase in reggiseno, davanti a suoi occhi, inizialmente senza dire una parola. Lo osservò, silenziosa, prima di sfoggiare un sorriso che aveva un retrogusto di profano. Portò le mani dietro la schiena, slacciando i ganci che tenevano al proprio posto l’unico indumento superiore, ancora al proprio posto. Se ne disfò volentieri, consegnandolo a lui mentre i suoi lineamenti si tesero in un ampio sorriso. “Tu che ne dici?” Le sue intenzioni erano lì, chiare e limpide, davanti ai suoi occhi azzurri, attenti e così belli da togliere il fiato.
     
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    S8Wrk
    Era un mistero come fosse successo, un maledetto intrigo, ma era evidente come la situazione fosse ormai sfuggita di mano allo sfortunato Grifondoro che, aveva realizzato, si era preso una cotta incredibile per la ragazza che gli stava seduta di fronte. Con lei era stato tutto e subito, nessuna chiacchierata in punta di piedi, nessun silenzio imbarazzante, nessuna conversazione normale e leggera di quelle che di solito si hanno appena si conosce qualcuno di nuovo. No, con Rain era stato un salto nel tempo, accelerando ogni cosa fin dal primo momento, ritrovandosi in un vortice di informazioni e confidenze da cui, ormai, non poteva né voleva uscire. In realtà era combattuto, la parte razionale di lui aveva pianificato ogni cosa dal momento in cui aveva messo piede sul suolo inglese e, senza alcun dubbio, una relazione era proprio l'ultima cosa di cui aveva bisogno ma, se avesse spento il cervello, ogni fibra di lui lo spingeva a voler conoscere sempre di più quella ragazza che già lo aveva iniziato all'alcolismo. Non aveva alcuna fretta di definire la situazione tra loro due, non ve ne era motivo. L'unica preoccupazione, se così si poteva chiamare, era che tutto finisse con la stessa velocità con cui era iniziato. Forse fu una fortuna aver iniziato a bere proprio quella sera, il whisky stava facendo il suo corso abbassando le inibizioni e lasciandogli mettere da parte quei pensieri e quelle preoccupazione che, di normale, lo tenevano imbrigliato. In quel preciso momento, l'unico suo dispiacere era non aver scoperto prima quanto erano stati vicini senza mai vedersi, nemmeno per sbaglio, a tutto il resto avrebbe potuto pensare un altro giorno o, ancora meglio, smettere di pensarci del tutto e semplicemente godersi quella che sembrava apparire come una cosa bella, la prima dopo molto, moltissimo tempo. La verità era che dal momento in cui aveva incontrato la rossa, ogni aspetto della sua vita sembrava che non facesse che migliorare. Una ragazza che gli piaceva e che, pareva, lo ricambiasse, degli amici, un posto in cui non si sentisse fuori luogo. Magari era solo un caso, poteva essere che il semplice fatto di essersi trasferito gli avesse concesso una boccata d'aria nuova, eppure tutto era iniziato con lei e, ora, sentiva di essere esattamente dove doveva stare.
    -Meglio, sono un po' stanco dell'innocenza- ghignò lasciando che lei gli sfiorasse il volto. Sempre oculato, riflessivo, quella timidezza che spesso lo paralizzava era una condanna ma, davanti a lei e alle sue ammissioni, sembrava aver trovato quella sicurezza che nella maggior parte delle situazioni veniva meno, era probabile che anche in questo caso la bevanda alcolica ci avesse messo il suo zampino. Sarebbe dovuto diventare un alcolizzato quel fare uscire quel lato sopito di lui? Sperava di no. Avrebbe voluto che, anche se poco alla volta, quella titubanza continua che lo contraddistingueva sparisse, sperava di assimilare quell'intraprendenza che invece era parte di Rain e che potesse diventare così più spontaneo, meno rigido, proprio come stava dimostrando in quel momento la stessa ragazza alzandosi e trascinandoselo dietro quasi di forza. Non che gli dispiacesse. In quei momenti di lucidità soffusa, lasciò che fosse l'istinto a prevalere. Si avventarono l'uno sull'altra, facendo in modo che fosse il desiderio a guidarli, dando sfogo a quella voglia bruciante che, almeno per il biondo, già da quel pomeriggio in mezzo al corridoio si era impossessata di lui, mettendo da parte quell'innocenza che nessuno dei due possedeva più e che non gli avrebbe permesso di sfiorarla come stava facendo, di baciarla con lo quel trasporto che aveva chiuso fuori il resto del mondo, come se non fossero alla mercé di possibili occhi indiscreti ma, come ogni cosa bella, anche quel momento terminò. Urla che non avevano niente a che vedere con loro misero fine a quegli istanti idilliaci, riportando Nathan alla realtà e facendo si che tutti i dubbi che erano soliti tormentarlo tornassero prepotenti a galla, pur essendo consapevole dell'interesse della Serpeverde, pur non avendola forzata o obbligata, la pesantezza di quella parte di lui che lo costringeva a sentirsi responsabile di ogni cosa si ripresentò e, ancora una volta, fu lei a tranquillizzarlo
    -Ok- tornò a sorridere stringendola di nuovo a sé -Mi fido- e voleva davvero fidarsi di lei. Le loro bocche tornarono a cercarsi e, senza pensarci due volte, il Grifondoro si smaterializzò in casa sua portandosi Rain con lui e, senza nemmeno darle modo di capire esattamente dove si trovassero, la intrappolò contro la parete facendo di nuovo sue quelle labbra ormai turgide e arrossate. Quello sarebbe stato l'esatto momento in cui la ragazza avrebbe dovuto mettere una fine nel caso in cui non avesse voluto fare quel passo in più ma, a giudicare dai vestiti che cominciarono a sparire, la Scamander non sembrava di quell'avviso. Non si perse alcun movimento mentre le mani della ragazza eliminavano, pezzo dopo pezzo, ogni indumento dalla parte superiore del suo corpo, inspirando profondamente e arrivando a trattenere il fiato quando anche l'ultimo strato di stoffa che ne impediva la vista raggiunse gli altri
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    “Tu che ne dici?” bella domanda. Che avrebbe mai potuto dire? -Eh- le posò le mani sui fianchi avvicinandola a sè con gli occhi velati di desiderio -Che sono fottuto-
    La baciò di nuovo, risalendo con le mani lungo la linea dei suoi fianchi fino a sfiorarle il seno nudo e, poi, giù di nuovo a circondarle la vita, sollevandola tra le sue braccia per portarla fin nella camera dove l'adagiò sul letto. Come la rossa, si staccò da lei per sfilarsi con un unico movimento la maglietta indossata per poi calare su di lei a rubarle un altro bacio ancora. Si spostò di nuovo sul collo, quindi scese ancora, intenzionato ad assaporare ogni centimetro della sua candida pelle, concentrandosi su ogni punto più sensibile che le facesse sfuggire un gemito o un sospiro e, quando arrivò a scontrarsi con il tessuto dei pantaloni, sollevò gli occhi cerulei per incontrare quelli scuri e profondi di Rain, un ultimo momento per valutare un ripensamento che, per sua fortuna, non ci fu. Li sfilò direttamente insieme all'intimo e, ancora, tornò a dedicarle ogni attenzione senza perdersi alcun lamento di piacere. Fu con urgenza che si liberò dalla costrizione dei suoi stessi jeans e, quando i loro corpi si unirono, entrò in lei con un sospiro. Si muovevano all'unisono come se entrambi non stessero aspettando altro, affogando l'una negli occhi dell'altro, intervallando nuovi baci a gemiti strozzati, beandosi di quelle carezze volte a scoprire il corpo dell'altro e a quali stimoli fossero più suscettibili fino a quando, insieme, raggiunsero il piacere. Nathan si accasciò sul letto al fianco della ragazza -Resta- le sussurrò all'orecchio prima di crollare tra le braccia di Morfeo.



    Conclusa :volevi:
     
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