the bitter endprivata, Halley

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    La vita di Kai in quel periodo, stava prendendo una strana piega: era come se tutto ciò che era riuscito a tenere sotto controllo, ad evitare che finisse sotto gli occhi di tutti stava per ribellarsi contro di lui. Il signor Parker gli aveva scritto per comunicargli che quell'estate sarebbe stata cruciale per lui, che aveva in mente un piano e che lui doveva obbedirgli o lo avrebbe spedito ad Azkaban rivelando a tutti ciò che aveva fatto ai suoi genitori. Kai sapeva benissimo di aver bisogno della protezione dell'uomo perché ciò che aveva causato ai suoi genitori, non poteva passare inosservata a lungo agli occhi del ministero ed era convinto che solo il signor Parker poteva proteggerlo da tutto. Sapeva che prima o poi la verità sarebbe venuta a galla, sancendo la fine per lui. Aveva un bellissimo biglietto di sola andata per Azkaban che aspettava solo il momento di essere usato e non doveva fare passi falsi o il signor Parker avrebbe smesso di offrirgli il suo rifugio. Ma questa non era la sola preoccupazione del giovane Parker, infatti, l'altra cosa che gli stava sfuggendo di mano era sua sorella, Joecelyn. Da dopo le feste di Natale, aveva ripreso a scrivergli in maniera incessante e a dirgli che dovevano parlare. Kai erano anni che aveva chiuso i rapporti con la sua famiglia, troppo preso dai sensi di colpa per poter accettare di parlare con loro. Una sola volta aveva avuto il coraggio di andargli a trovare al San Mungo ma vedere i loro occhi vuoti e i loro corpi inermi, lo avevano turbato molto al tal punto da portarlo ad autoinfliggersi dolore. Ciò che lo turbava e lo rendeva inqueito, era l'impossibilità di riuscire a trovare una risposta al perché si fosse spinto a compiere un gesto così estremo, quando tutti i ricordi che aveva con la sua famiglia erano più che positivi. Cosa mai era potuto accadere per spingerlo a torturare i suoi genitori in quel modo così barbaro? Proprio non riusciva a trovare una risposta che seguisse una via logica e razionale. Quella mattina, durante la colazione, il suo gufo gli aveva portato l'ennesima lettera da parte di sua sorella che chiedeva di rivederlo e di avere un confronto. Perché era così ostinata a volerlo rivedere? Non aveva paura che quello che aveva fatto nei confronti dei suoi genitori poteva farlo anche a lei? Lui ormai non aveva più nulla da spartirsi con gli Evans, era un Parker ormai e sua sorella avrebbe fatto meglio a farsene una ragione. Fatti i cazzi tuoi. Aveva detto in maniera minacciosa a Barnes, riprendendosi quel pezzo di carta straccia che conteneva questo messaggio: "Kai non puoi fuggire da me in eterno, sai benissimo anche tu che dobbiamo parlare di quello che è successo ai nostri genitori. Perché mi eviti? Perché non vuoi vedermi? Ho scoperto che hai tentato di buttarti giù dal ponte, l'ho letto sul giornale. Perché Malachai? Perché? Sono pur sempre tua sorella, non credi che merito una risposta? Ti prego. Ho bisogno di sapere che stai bene. Firmato: J.E." Continuava a inviargli queste lettere in cui sembrava struggersi per un fratello che non aveva la benché minima intenzione di affrontarla, di avere un confronto, un faccia a faccia con chi sapeva di aver deluso. Alla fine di tutto, era questa la cosa che più lo faceva stare male: sapere di aver deluso sua sorella che aveva sempre avuto un occhio di ammirazione per Kai e il ragazzino che era. Non poteva essere altrimenti ma mattinata iniziò nel peggiore dei modi e gli sembrava che la luce del giorno non fosse ancora giunta ad illuminare i meandri del castello. Quella lettera gli aveva mandato completamente in tilt il cervello, a tal punto da non riuscire a pensare a nient'altro se non a Joecelyn, si sentiva incredibilmente teso e paranoico. Non sapeva cosa lo avesse ridotto per primo in quello stato, se l'avere il fiato del signor Parker sul collo o se le parole utilizzate dalla sorella nei suoi confronti. Era tornato a provare quella sensazione familiare, quella maledetta voce nella parte posteriore della sua testa era ritornata a riecheggiare, a farsi sentire e sembrava essere diventata più forte di prima. Questa volta sembrava avere anche una faccia propria, un viso che si svegliava ogni volta che chiudeva gli occhi, un volto che osservava tutte le volte che lui mentiva a se stesso e agli altri. Quel volto rideva ogni volta che Kai precipitava nel suo baratro, nel limbo nel quale si era rinchiuso per non dover sopportare tutto quel dolore che si portava dietro da quando era uno stupido ragazzino. Si era ritrovato a non saper distinguere di nuovo quando era il momento di affondare e quando quello di continuare a nuotare perché quella stupida vocina che aveva dentro non gli permetteva di distinguere il nero dal bianco, la luce dalle tenebre. Per tutto il giorno, aveva continuato a controllarsi le spalle per paura di vedere le sue ombre correre verso di lui pronte ad afferrarlo per le caviglie e a trascinarlo con loro nell'abisso più oscuro. Era come paralizzato, come se non potesse fermare ciò che sentiva dentro di lui. O forse semplicemente non voleva fermare quello che stava provando perché sperava che lo portassero ad una conclusione, ad una rottura definitiva con il suo passato, in modo tale da permettergli di vivere una vita serena. Dopo le lezioni mattutine, Kai decise di rifugiarsi sul ponte sospeso. Non aveva né la testa, né la mentalità giusta per affrontare un'intera giornata di studio. Aveva bisogno di tempo per riflettere e per mettere ordine ai suoi pensieri. Arrivato al ponte sospeso, con lo sguardo perso nel vuoto, Kai cercava di dare un senso a tutto ciò che gli stava capitando in quel preciso istante della sua vita ma non trovando nessuna via d'uscita a quelle che erano le sue domande più insidiose e difficili da guardare per ciò che erano realmente; si accasciò contro la parete. Si lasciò cadere sul pavimento e con entrambe le mani messe ai lati delle tempie, crollò in un pianto disperato. A guardarlo da fuori, sembrava di rivedere lo stesso bambino che nei giorni successivi all'incidente dei suoi genitori, si nascondeva sotto le coperte e piangeva fino a quando non si addormentava esausto. Si sentiva in colpa per aver rovinato una famiglia, per dipendere dal volere di un uomo oscuro che l'obbligava a compiere azioni spregevoli contro la sua stessa volontà, si sentiva in colpa per aver deluso sua sorella che riponeva tutta la sua ammirazione e rispetto in lui; vedendolo e dipingendolo come il fratello perfetto. Aveva distrutto tutto ciò che c'era di bello intorno a lui ma senza capirne il reale motivo. Pensava che se soltanto avesse potuto avere la possibilità di tornare indietro, lo farebbe per cambiare le sorti di quell'interminabile partita a scacchi che lo dipingeva già in partenza come un perdente. Quando Kai alzò la testa, notò il sole tramontare. Quanto tempo ho passato seduto per terra? Aveva perso completamente la cognizione del tempo e non si era reso conto di essere stato lontano per troppo tempo, così decise di rimettersi in piedi pronto ad incamminarsi verso l'interno del castello, mettendo fine a quel giorno di agonia che aveva passato. Quando voltò la sua testa, si rese conto di una nuova presenza. Era immobile, fissa al suo posto e non sembrava avere nessuna intenzione di schiodarsi di lì. Che ci fa lei qui? Kai a stento non riusciva a credere che fosse lei, dal momento in cui le loro strade si erano divise per sempre eppure Halley era lì e lo fissava con un'espressione che il serpeverde non riuscì a decifrare. Non so cosa ti porta qui ma, in ogni caso, sto andando via. Disse in modo secco morendo dalla voglia di sparire dalla sua vista, sapendo che lo aveva visto accasciato per terra in quello stato pietoso. Poi, a quel punto, la grifondoro alzò un biglietto e il volto di Kai diventò immediatamente pallido. Non era un semplice biglietto, era quel biglietto. Halley teneva stretta tra le sue mani la lettera che sua sorella gli aveva scritto e che gli era stata recapitata proprio quella mattina. L'aveva persa? Come aveva fatto a perderla? E lei come era riuscita a trovarla? Ridammela. E cercò di mostrarsi duro, forte, impassibile ma la luce del sole lo stava tradendo e la mora poteva vederlo per quello che realmente era: un ragazzo solo, triste, con il volto spento e rigato dalle lacrime, un ragazzo che ormai non riusciva più a trovare la luce dentro di lui.


    Edited by dickhead - 8/5/2023, 19:12
     
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    Halley Wheeler

    Mantieni la concentrazione! Socchiuse gli occhi castani, proiettando la figura del bolide il quale, inesorabile, sfrecciava verso di lei con cattive intenzioni. Solita routine. Riaprì lentamente le palpebre e fu lieta di constatare che i suoi calcoli erano andati a buon fine. Strinse con forza la mazza, con la mano destra, e prese lo slancio, andando a colpire il bersaglio di prepotenza. Era, oramai, passata più di un’ora dall’inizio dell’allenamento e le sue compagne si apprestavano a raccogliere i propri effetti personali per tornare alla base. Tutte ma non lei. Sentiva l’impellente bisogno di isolarsi da quel mondo che, per i suoi gusti, cominciava a starle stretto. Planò sul campo, prendendo tempo e quando giunse con i piedi sul terreno, la desolazione regnava sovrana. Sospirò e si adoperò a rinchiudere l’occorrente all’interno del famoso scrigno, tanto prezioso. Negli ultimi tempi, le preoccupazioni, avevano assalito il suo io gettandola in una cosciente disperazioni, tenuta a bada da un improvvisato buon senso che non avrebbe avuto vita lunga. I mille impegni, le visioni e l’idea di dover far ritorno –presto- in quel di Londra, scuotevano dall’interno la Grifondoro la quale, in tutta risposta, ricercava quell’equilibrio anche nelle più piccole cose. Lasciò il campo, dopo essersi assicurata che fosse tutto al proprio posto e chiuse lo sgabuzzino delle scope, tirandosi appresso la porta. Aveva terminato la sua buona uscita. Quella sera, come da programma, avrebbe dovuto incontrare la Professoressa Lovecraft, per continuare la sua opera di approfondimento riguardante il suo dono ma, prima di all’ora, si sarebbe approfittata del tempo libero per riordinare le idee e le informazioni che, giorno dopo giorno, le erano state inculcate in testa, nel tentativo di condurla a quella consapevolezza che sarebbe stata l’unica speranza per mantenere intatta la sua mente. Gli sforzi, fino a quel momento, erano serviti ad elaborare quella specie di lutto, portandolo su un piano diverso. La natura non poteva essere contraddetta e capendo ciò, ci si trovava a metà strada di quel compito arduo chiamato: accettazione. Piccoli passi avanti erano stati compiuti ma non abbastanza per avere un risultato ottimale che la soddisfacesse a trecentosessanta gradi. Anticipare i tempi, però, non sarebbe servito. La calma e il sangue freddo, al momento, restavano le uniche strade percorribili per prendere in mano la situazione e giocarla a suo favore. Mica facile. Si sentiva persa, spaesata e senza un saldo appiglio che la rassicurasse nei suoi tentativi bizzarri di mantenersi in equilibrio su quell’esistenza che immaginava sul filo del rasoio.
    Si levò la divisa da quidditch e scivolò all’interno della vasca da bagno, godendo di quegli attimi come se fossero gli ultimi disponibili per un sano relax. Strofinò la pelle e quando riemerse dall’acqua, si asciugò meticolosamente, lasciando che i capelli ad inumidirle la schiena nuda. Abbassò lo sguardo e raccolse i consueti abiti studenteschi, per poi lasciare quello spazio dotato di quella tranquillità della quale si era nutrita per tutto il tempo. Un bene temporaneo che aveva avuto la funzione di ristabilire l’ordine cosmico così da poter giungere a fine giornata senza intoppi.
    Uscì nuovamente all’aria aperta, respirando a pieni polmoni quell’aria primaverile così piacevole. La natura si era risvegliata e le temperature artiche avevano lasciato quella porzione di mondo, lasciando riscoprire la gioia nel percorrere quei sentieri, senza doversi per forza stringere nei pesanti mantelli. Quella sensazione risvegliò i suoi sensi, spingendola a camminare senza una meta ben precisa. Programmare si trovava fuori questione, almeno in relazione a quel suo piccolo progetto di compiere un giro di ricognizione, prima dell’ora X. Camminava distrattamente, volgendo lo sguardo a destra e a manca, alla ricerca di qualche cosa di interessante che riuscisse a suscitare in lei abbastanza curiosità da strapparla ai suoi soliti pensieri negativi. Un’impresa davvero ardua ma non impossibile. In lontananza scorse il viso nipponico del Prefetto di Corvonero, intento ad intrattenere una conversazione con alcuni studenti, probabilmente in visita per l’orientamento. Nuovi acquisti. Carne da macello. Nuove possibili vittime sacrificali per la squadra! Pensò ingiustamente mentre, con la mano, andò a salutare il ragazzo dai tratti orientali che ricambio con il suo solito fare allegro e spensierato. Ahhhhh, come avrebbe voluto essere come lui. Pacato, equilibrato e capace di rapportarsi al prossimo senza il benché minimo sforzo. Una mera utopia per lei, incapace di mantenere i nervi saldi anche nelle più banali circostanze. Sbuffò. Era a conoscenza dei suoi limiti ma, per il momento, sentiva troppa pressione per dar adito a quella sfera che non sembrava avere la precedenza. Continuò la sua corsa, indisturbata, distratta solo dal cinguettio insistente di alcune specie di volatili, di cui non sapeva niente di niente. Tutto nella norma, sì. Fino a quando un foglio di pergamena, sul sentiero che conduceva al ponte sospeso catturò la sua attenzione, mettendo in discussione tutto, ancora una volta. Si chinò per raccoglierlo e lo spiegò, così da avere modo di comprendere la sua natura.

    "Kai non puoi fuggire da me in eterno, sai benissimo anche tu che dobbiamo parlare di quello che è successo ai nostri genitori. Perché mi eviti? Perché non vuoi vedermi? Ho scoperto che hai tentato di buttarti giù dal ponte, l'ho letto sul giornale. Perché Malachai? Perché? Sono pur sempre tua sorella, non credi che merito una risposta? Ti prego. Ho bisogno di sapere che stai bene. Firmato: J.E."

    Sgranò gli occhi, incredula. Quel messaggio apparteneva a Kai, senza ombra di dubbio. Alzò il naso dal foglio e prese a scrutare il circondario con aria seria e severa. Da quella parte vi era solo un luogo papabile e lì si sarebbe recata. Affrettò il passo mentre, mille sensazioni, si annidarono in lei, portandola a credere che ciò che stava per affrontare sarebbe stato qualche cosa di enorme. Non aveva più avuto sue notizie dalla sera di Natale ma, fino a quel giorno, il pensiero spesso correva verso di lui, lasciandola con il dubbio sul come stesse. Beh, la risposta al suo quesito era giunta nel peggiore dei modi, come un fulmine a ciel sereno. Un brivido le percorse la schiena, sintomo dei sensi di colpi che erano appena riaffiorati, senza alcuna pietà.
    Giunse sul quella fatiscente costruzione e lo intercettò con lo sguardo. Non le rimaneva che raggiungerlo e spezzare quel silenzio che per troppo tempo li aveva separati. Si posizionò accanto a lui, senza proferire parola mentre la sua mano sinistra stringeva ancora la lettera appartenente al Serpeverde. ”Non so cosa ti porta qui ma, in ogni caso, sto andando via.” La sua indifferenza fu disarmante, fino a quando non si rese conto che si trovava in possesso del suo personalissimo scritto. Lo vide sbiancare. ”Ridammela." Allungò la pergamena, così da poterla riconsegnare al suo legittimo proprietario. “Kai…” Il suo volto era rigato dalle lacrime. Nel suo sguardo non vi era traccia di vita. Sembrava l’ombra di sé stesso. Cosa gli era successo di così grava da spingerlo verso quel tentativo estremo, fortunatamente non andato a buon fine. Nonostante fosse arrabbiata, la Wheeler, non riuscì a partire in attacco. Non ne aveva bisogno. Con una delicatezza mai esplorata prima, la ragazza, gli sfiorò la guancia per poi cingergli i fianchi, abbracciandolo. Rimase lì per qualche interminabile secondo. “Dimmi cosa ti succede. Ti prego.” Si sentiva piccola in suo confronto. Lo era, in realtà. Alzò lo sguardo ingenuo e lo scrutò, senza lasciarlo andare. Perché?” Sapeva di non poter avanzare nessuna richiesta ma non riusciva ad essere insensibile al suo dolore, neanche volendo.


    Edited by Halley. - 7/6/2023, 00:55
     
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    La tranquillità provata sul ponte sospeso, era disarmante: si era recato lì che era completamente a pezzi, era ridotto uno straccio e ora si ritrovare a contemplare una nuova pace interiore. Era ancora tutto un caos, un fottuto casino intorno a lui però quel luogo con il suo silenzio e con la sua brezza leggera, era riuscito a mettere a tacere l'animo inquieto del giovane Parker. In quell'ultimo periodo aveva sdegnato la solitudine, evitandola per non cadere di nuovo nel turbine dei suoi pensieri negativi che quasi sempre lo avevano portato a compiere passi falsi. Lo aveva fatto per non dover sopportare il peso del senso di colpa per tutto ciò che aveva compiuto anni fa, lo aveva fatto per non dare adito alla sua mente che quasi sempre lo portava a credere a quelle vocine che si infilavano nelle pareti più sottili dei suoi pensieri nascosti e davano vita alle sue paure che Kai badava bene a tenere chiuse in un cassetto di cui lui soltanto possedeva la chiave. Non credeva che sarebbe mai ritornato agli albori, ai periodi in cui preferiva il silenzio assordante della sua camera per sfuggire agli sguardi dei passanti che sembravano incolparlo di tutte le sue azioni. Eppure quel giorno era successo: si era sentito talmente sopraffatto dalle sue ombre, dalle sue paure che si era rifugiato in un posto che sapeva essere poco frequentato. Si era rinchiuso nuovamente in se stesso e non sapeva se quella volta sarebbe riuscito a ritornare in superficie. Un'altra persona era giunta su quel luogo e aveva atteso in rigoroso silenzio che Kai uscisse dalle pareti della sua mente, si rimettesse in piedi e si voltasse verso di lei capendo che era probabilmente giunto il momento di ritornare all'ovile. Ancora ignaro del motivo che aveva spinto la grifondoro a presentarsi in un luogo fatiscente come quello, le aveva annunciato la sua ritirata credendo di essere di troppo e per giunta di non essere gradito. Fin troppi mesi erano passati dall'ultima volta in cui si erano rivolti la parola e il silenzio che si era creato tra di loro, aveva irrimediabilmente cambiato il loro modo di rapportarsi. Kai, dopo il modo in cui si era conclusa la festa di natale, aveva deciso di tagliare i ponti con lei e di non ricontattarla più; troppo preso dalla delusione che Halley li aveva causato. Impassibile e senza avere l'intenzione di prolungare quell'incontro, il serpeverde era pronto a tagliare la corda e a ritornare nel suo dormitorio. Poi, però, accadde l'impensabile: vide il braccio della grifondoro sollevarsi e seguendone il profilo, vide che all'estremità delle sue dita c'era un bigliettino. Non ci volle molto a capire di quale foglietto si trattava, quella non poteva che essere la lettera che sua sorella gli aveva scritto. Gli si formò un groppone in gola che cercò di rimandare giù, prima di tornare a scoppiare a piangere davanti colei che mai si sarebbe aspettato di rivedere. Quando gli porse la lettera, l'afferrò con una mano per riappropriarsene velocemente come se così potesse evitare il misfatto. Ma a Kai bastò puntare le sue iridi fredde e spente, negli occhi lucidi di lei per capire che Halley aveva letto la lettera e perciò sapeva tutto quanto. Sentì il suo nome, uscire flebile e delicato dalle labbra di lei, un suono che nei mesi precedenti aveva imparato ad apprezzare. Avrebbe voluto superarla, oltrepassarla e scappare dove non avrebbe potuto più raggiungerlo. Chiuse gli occhi e cercò di non crollare di nuovo davanti a lei poiché sentiva che non meritava di vederlo in quello stato, dopo il modo in cui si erano messe le cose tra di loro. Poi, sentì uno strano tepore pervadergli la guancia sinistra, sobbalzò leggermente e quando riaprì gli occhi vide la mano della mora sfiorargli la guancia con una delicatezza disarmante che mai aveva utilizzato nei suoi confronti. Infine si sentì cingere i fianchi e i due caddero in un abbraccio alquanto inaspettato. Kai, però, dal canto suo non ricambiò fin da subito l'abbraccio ma si ritrovò ad affrontare una nuova emozione che lo portò ad esternare nuovamente le lacrime che fino ad allora, aveva cercato di mantenere dietro ai suoi occhi. Chiuse il suo sguardo e sentì immediatamente le palpebre pizzicare, così si lasciò andare ad un nuovo pianto liberatorio sicuro che Halley non poteva vederlo. Il suo dolore, la sua sofferenza, la sua preoccupazione per l'avvenire erano così forti e prepotenti che persino il suo potere iniziò a vacillare. Dopo l'incontro con Victoria e il disastro che entrambi avevano combinato nella sala comune, avevano portato Kai ad una nuova consapevolezza: dentro di lui c'era una strana energia che non riusciva a controllare e che usciva fuori nei momenti meno opportuni. Come quello. In lontananza si udì appena un temporale, poi una pioggerellina leggera si abbatté sul ponte e a quel punto il giovane Parker, sciolse l'abbraccio ritornando alla triste realtà. Senza allontanarsi l'uno dall'altra, ascoltò la domanda che Halley gli porse asserendo e cercando un briciolo di lucidità che gli potesse permettere di analizzare la situazione. Aveva passato l'intera giornata sul ponte sospeso proprio per evitare sguardi e domande scomode, alle quali non aveva nessuna intenzione di rispondere e ora la grifondoro stava mandando all'aria tutti i suoi piani. Halley... Abbassò lo sguardo su di lei, lasciando che leggesse cosa c'era oltre quegli occhi apatici. Non ci parliamo da mesi, irrompi qui come un fulmine a ciel sereno e mi chiedi di parlarti di quello che mi succede? Stupida ironia della sorte quella. Doveva ammettere che la grifondoro aveva coraggio da vendere e una bella faccia tosta se pensava che dopo tutto quello che era successo tra di loro, Kai le raccontasse per filo e per segno ciò che gli passava per la mente. Perché hai deciso di tornare a rivolgermi la parola? A quel punto si allontanò, cosa l'aveva spinta a farlo? Vedere che la sua stupida esistenza stava giungendo ad una fine? Oppure quel messaggio aveva fatto riaffiorare in lei i sensi di colpa per averlo tratto in quel modo? Sei tornata da me perché ti faccio pena? Era serio ma non c'era alcun tipo di emozione nella sua voce, né rabbia, nè rancore, nè tristezza, né risentimento. Nulla. Poi il perché di lei, lo scosse. Perché? Un mezzo sorriso comparve sul suo volto. Perché secondo te? La mia esistenza è un fottuto fallimento, io non valgo nulla, sono capace di distruggere tutto quello che tocco e ogni persona che incontro e nella quale decido di riporre le mie speranze, è destinata ad allontanarsi da me. Proprio come hai fatto tu. Sono solo Halley. Non ho nessuno al mio fianco, vivo all'ombra del vecchio me, ho deluso mia sorella e quello che mi accade giorno dopo giorno, mi porta a credere che non ho alcuna speranza. Il mio passato, ha segnato le sorti del mio avvenire e sinceramente non ho alcuna voglia di ripercorrere all'infinito i miei stessi errori. Tanto vale, farla finita. Non c'era nulla di buono in lui ed era ora che anche lei se ne accorgesse.
     
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    Halley Wheeler

    Una carezza. Un piccolo gesto, delicato, capace di racchiudere quell’intimità di cui si erano nutriti, entrambi, per lungo tempo. Un’intimità, oramai, lontana ma impossibile da estirpare dalla mente senza che, quest’ultima, subisse un grave danno. Perché? Perché di quel tuffo al cuore inspiegabile? Gli occhi della Wheeler si inumidirono, minacciando di lasciarsi andare a un pianto irrefrenabile, normale conseguenza di quel senso di oppressione che sentiva a livello del petto, indotto dalla lettura di quella lettera. Tra le sue righe aveva scorto quella fragilità che Kai non aveva mai mostrato, fingendo indifferenza verso quel mondo che, lentamente, lo stava portando verso la fine. No, non poteva accettare il fatto che buttasse la sua vita, così, come se non avesse nessun valore, dando per scontato di essere solo. Un brivido le percorse per intero la colonna vertebrale, portandola a stringersi ancora di più a lui, in quell’abbraccio che aveva tutta l’aria di essere l’inizio della fine. Nessuna parola, nessun commento fuori luogo. Niente di niente, solo un assordante silenzio. Il silenzio era calma, tranquillità e assenza di suono capace di turbare internamente gli animi più inquieti. In parole povere: la perfezione nella quale, Halley, riusciva a scorgere più risposte di quelle che avrebbe dato una volta messo alle strette. Anche il cielo versò le sue lacrime mentre, in lontananza, si udì un tuono soffocato da quell’atmosfera nembosa. La Grifondoro alzò lo sguardo cercando quello del ragazzo, così da potersi trovare apertamente faccia a faccia, così da poter fare i conti con le loro emozioni, una volta per tutte e, nel farlo, nessuno dei due si prese la briga di porre una distanza tra quei corpi che sembravano richiamare l’estremo bisogno di contatto umano. Interminabili istanti che la riportarono per un instante a quel giorno ad Hogsmeade quando, Kai, aveva poggiato per la prima volta le labbra sulle sue, strappando le sue certezze una ad una. Due passi indietro, infransero quell’immersione nel passato, riportandola al triste presente e non nel migliore dei modi. ”Halley…” Quella voce rotta dalla sofferenza, le fece uno strano effetto. Era la prima volta che l’anima di Parker se ne stava lì, completamente a nudo, davanti a lei che non aveva fatto altro che procurargli ferite, sin dal primo giorno che le loro strade di erano incrociate più di un anno prima. ”Non ci parliamo da mesi…” Halley abbassò gli occhi colpevoli verso il pavimento oramai zuppo dall’insistente pioggerella che giungeva per traverso, rendendo inutile la tettoia che sovrastava il ponte sospeso. Erano stati mesi infiniti, durante i quali i sensi di colpa l’avevano attanagliata a tal punto da sentirsi sopraffatta e inerme davanti a quella sensazione più grande di lei. Sostenere il suo sguardo, quindi, divenne difficile, se non impossibile. ”… irrompi qui, come un fulmine a ciel sereno…” Come poteva anche solo lontanamente pensare che, dopo il ritrovamento di quella lettera, lei, potesse proseguire per la sua strada, fingendo un’indifferenza che non vi era nei suoi riguardi. ”… e mi chiedi di parlarti di quello che mi succede?” Un rimprovero meritato pienamente, in tutto il suo disappunto ma, di certo, non l’avrebbe forzato a dire qualche cosa contro la sua volontà. Triste. Il legame che intercorreva tra i due ragazzi, oramai, si era dissolto ma, la mora, non era tipo da darsi per vinta. Riacquistò terreno e si posizionò lì, proprio davanti a lui, spogliata di ogni traccia di supponenza, guardandosi bene dall’avanzare diritti che non vantava più da tempo, oramai. “Hai ragione.” Commentò semplicemente. L’aveva deluso e nessuna parola o scusa poteva ribaltare la situazione a suo favore, come avrebbe voluto. “So che non risulterò mai più credibile ai tuoi occhi ma…” Si interruppe bruscamente, cercando le parole adatte che riuscissero ad esprimere alla perfezione il concetto. “Voglio che tu sappia che mi sei mancato.” La sua presenza, il suo essere enigmatico, i suoi modi di fare che tanto differivano da quelli primitivi di David, i loro battibecchi. Fattori importanti che, però, aveva ingenuamente lasciato da parte per poi scontrarsi con la certezza di avere perso tutto quanto. Per cosa? Questa domanda, ancora, rimaneva senza risposta. ”Sei tornata da me perché ti faccio pena?” Le mancò il respiro mentre scrutava quegli occhi scuri, vuoti e imploranti. “Sono tornata perché, nonostante tutto, ti voglio bene, Malachai.” Nessuna frase di circostanza. Dalle sue labbra uscì solamente quello stralcio di verità che niente e nessuno avrebbe mai potuto cambiare. Sospirò, ignara della reazione che quelle sue rivelazioni avrebbero suscitato il lui. Si sentì, improvvisamente, svuotata come se ciò che era rimasto lì, latente, fosse svanito in seguito alle sue parole donandole un senso di leggerezza che, probabilmente, non sarebbe durato così a lungo, contrastato da un risentimento fondato su basi solide e non di certo su supposizioni campate in aria. ”… io non valgo nulla. Che fosse giunta l’ora di zittirlo? Quella marea di stronzate gli stavano, letteralmente, annebbiando quella mente brillante che un tempo gli avrebbe suggerito di andare oltre a quella parvenza di depressione che, in quello specifico momento, provava sulla sua pelle. Lo ascoltò, senza dare sfogo al suo rammarico nel sentirgli dire quelle cose ma poi, un particolare catturò la sua attenzione. Una frase che, se analizzata a dovere, si riscontrava essere rivolta anche a lei. “No.” Intervenne in quel monologo, senza dargli il tempo di aggiungere altro a quel mucchio di fandonie. “Io ho distrutto il nostro rapporto.” Non poteva sapere del resto della storia, quali altre persone lo avevano lasciato solo, voltandogli le spalle ma se lì, in quel luogo, vi era un colpevole di certo non si trattava di lui. “La colpa è solo mia. Non ho pensato alle conseguenze che le mie azioni avrebbero avuto su di te.” Da quando era diventata egoista? “Non ho capito fino a che punto ci tenessi a me.” Non l’aveva capito per il semplice motivo che non aveva prestato attenzione alle piccole cose, lì, proprio davanti al suo naso. “Sono una persona orribile.” Una persona che nulla aveva a che fare con la vecchia Halley, quella che lui aveva imparato a conoscere in seguito a svariati episodi. “Non posso tornare indietro e non ti chiederò neanche di perdonarmi.” Sentiva il desiderio di piangere, soprattutto a causa degli ultimi avvenimenti che l’avevano terrorizzata a morte, mettendo in discussione ogni cosa e cambiando le carte in tavola. “Ma ti prego. Perdona te stesso.” Fai pace con la tua anima. Lì, dentro di lui, da qualche parte, doveva esserci quel briciolo di salvabile, sul quale fare leva per darsi una spinta. “Non sei solo.” Replicò, azzardando l’ennesimo gesto per evidenziare la sua presenza, al suo fianco. Gli prese la mano, prima di voltare lo sguardo verso quel cielo che, ancora, non aveva smesso di piangere davanti a quelle confessioni intime e delicate. “Il futuro è nelle nostre mani, questa è l’unica certezza che possiamo avere.” E gli errori arricchivano l’esperienza, così da non doverli ripetere. “Tua sorella ha bisogno di te…” Dalle sue poche righe si evinceva che, quella povera ragazza, doveva essere disperata dopo essere venuta a conoscenza di quella sventata tragedia. “… io ho bisogno di te.” Terminò, come se l’ultimo concetto fosse una sorta di ancora di salvezza. Distolse lo sguardo che, fino a quel momento era stato puntato in modo indefinito al di là di quegli ammassi di nuvole temporalesche, e lo portò dritto in quello di Kai. “Non farlo.” L’ultimo sussurro.


    Edited by Halley. - 7/6/2023, 01:01
     
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    Mille e più volti durante quel periodo si erano susseguiti nella sua mente ogni volta che lui chiudeva gli occhi e tra quelli, c'era anche il viso di Halley. Da quando le loro strade si erano divise dopo la sera di Natale, Kai non aveva fatto altro che pensarla. Nonostante si sforzasse di negarlo, non poteva continuare a mentire e soprattutto non a sé stesso: aveva passato i mesi successivi a pensare a lei e a tutte le volte in cui avevano avuto l'occasione di passare del tempo insieme, rinnegando l'opportunità di dirsi ciò che pensavano realmente l'uno dell'altro. Aveva ripensato al loro primo incontro, al modo in cui i suoi occhi scuri lo avevano fissato inorriditi e come, senza scrupoli, era andata a denunciare le sue malefatte alla polizia locale. L'aveva odiata con tutto sé stesso eppure già da quel momento, la sua figura gli era rimasta impressa nella sua mente: il suo viso angelico e pulito, accentuato da uno sguardo dolce e penetrante, lo avevano indotto a cascare in una serie di sentimenti tutti contrastanti tra di loro. I suoi occhi, poi, grandi e castani, gli avevano fatto credere che la Wheeler fosse una ragazza sincera e trasparente. Agli occhi di Kai, Halley era stata dipinta come la classica ragazza della porta accanto: gentile, premurosa verso il prossimo, capace di farsi breccia nell'anima del prossimo con la sua sola presenza. Ma dopo quel primo incontro non si erano più rivisti e Kai non aveva mai smesso di pensarci, sperando in cuor suo di rivederla anche solo per una volta. E quando, nelle serre, l'aveva incontrata nuovamente; qualcosa in lui cambiò. Sapere di averla lì, ad Hogwarts, aveva acceso in lui un barlume di speranza inducendolo a pensare che forse lei avrebbe potuto salvarlo. Tutto sembrava stesse andando per il verso giusto, almeno fino a quando non erano entrati in gioco i sentimenti. Ogni volta che si incontravano, Kai percepiva nell'aria una strana tensione come se entrambi stessero lì ad aspettare che uno compiesse il primo passo. Con il tempo, però, le cose si erano rivelate per quelle che erano, ovvero, un mucchio di stronzate che la mente di Kai si era creata per rifugiarsi dalla realtà ed evitare di affondare. Giunse il momento in cui anche gli occhi della grifondoro mutarono e da limpidi e sinceri quali erano, diventarono un muro impenetrabile. Il serpeverde non la riconobbe più e tutto ciò che c'era tra di loro andò lentamente a sgretolarsi, fino a quando i due decisero di non rivolgersi più la parola. I primi mesi, per Kai, furono i più difficili ma abituarsi all'assenza e all'abbandono di una persona, non era qualcosa di nuovo per lui. E così il dolore per quella separazione, si trasformò in completa indifferenza e il giovane rampollo di casa Parker smise di cercarla tra i corridoi. Ed ecco perchè la sua presenza lì lo rendeva inquieto e calmo allo stesso tempo. Lei era stata a lungo il suo porto sicuro e il loro rapporto, seppur tedioso alle volte, era riuscito a stanarlo dai suoi pensieri più oscuri. “Voglio che tu sappia che mi sei mancato.” I fatti dimostrano il contrario. Freddo, teso e senza alcun briciolo di emozione nella sua voce pronunciò quelle parole e nell'esatto momento in cui esse uscirono dalle sue labbra; un tuono segnò l'inizio di una tempesta. Kai non riusciva a credere a nessuna parola che usciva dalla bocca della grifondoro e più lei cercava di servirgli parole di conforto, più il disagio aumentava in lui. A quella nuova emozione, il cielo iniziò a versare le sue lacrime e un tuono risuonò per la seconda volta. “Sono tornata perché, nonostante tutto, ti voglio bene, Malachai.” Come posso crederti? Era all'inizio di una crisi di nervi che presto lo avrebbero portato alla deriva ed Halley continuava a propinargli parole che non servivano a nient'altro se non ad aumentare la sua già persistente confusione. Perché non mi hai cercato dopo la festa di Natale? Anche lui avrebbe potuto farlo, certo, ma dopo il modo brutale in cui era stato trattato e dopo aver visto che l'interesse di Halley era sfociato verso il suo compagno di stanza, aveva preferito levare le tende e concentrarsi su altro. Kai era uno di quelli che riusciva a capire quando la sua presenza non era più gradita ma invece di rincorrere le persone, spariva dalla loro vita così come ci era entrato. Nel frattempo il semplice perché di lei, diede il via libera al serpeverde di librare il suo flusso di coscienza interiore. Tutto ciò che aveva passato in quegli anni, tutto quello a cui era stato costretto, tutte le sue convinzioni erano racchiuse tra le righe di quelle parole che probabilmente un orecchio estraneo avrebbe ricondotto ad un puro esempio di vittimismo. Il mostro che viveva dentro di lui, si era impossessato piano piano di ogni singolo granello di luce che gli dava la speranza di poter contare ancora qualcosa in quella vita di merda a cui era stato destinato. Quella marea di pensieri gli avevano annebbiato la mente ed Halley stava lì ad ascoltarlo senza dire nulla, senza neanche emettere un suono. Solo quando pronunciò una frase che era rivolta anche e soprattutto a lei, decise di interrompere il suo monologo. L'ascoltò e ogni sua parola, giungeva al suo petto come una lama affilata. Perché quelle parole lo facevano sentire così? Basta. Disse piano mentre chinava la testa per nascondere le lacrime che ripresero a scendere dal suo volto. Non voleva più ascoltarla, quelle parole su di lui non avevano nessun effetto e di certo non sarebbero bastate per cancellare tutto ciò che la sua mente aveva creato in quegli anni. Basta! Gridò a quel punto e la sua voce risuonò, andando a perdersi poi in quel luogo così desolato. Come puoi chiedermi di perdonarmi se non sai quello che ho fatto? E a quel punto rialzò il volto, puntando i suoi occhi in quelli di Halley. Halley i-io... A quel punto doveva dirglielo, sebbene le sue parole facevano fatica ad uscire dalle sue labbra. ...io sono un assassino, Halley. Nella sua voce si avvertiva tutto il peso dei sensi di colpa che si portava dietro da anni. Per qualche assurdo motivo a me ignoto, ho torturato i miei genitori. A loro mi legano dei ricordi bellissimi eppure sono stato capace di distruggere una famiglia. Sono scappato e ho abbandonato mia sorella. Abbassò la testa, incapace di guardarla negli occhi. A quel punto ritrasse le mano e la portò lungo i suoi fianchi, puntando i pugni verso il basso e il temporale si fece più vicino. Va' via, ti prego... Disse in un sussurro mentre sentiva la paura crescere in lui. Va' via, Halley! Gridò nuovamente. Era agitato e spaventato dalla reazione che avrebbe avuto davanti a quella verità che gli aveva sputato addosso. Ciò che successe dopo, accadde in lasso di tempo decisamente breve e impercepibile: il battito cardiaco iniziò ad aumentare mentre le sue mani furono percosse da lievi tremori e Kai iniziò a percepire una sensazione di irrealtà. Era come se lui fosse staccato da se stesso, come se non avesse più la percezione del suo corpo. Chiuse gli occhi e prese a respirare affannosamente, un attacco di panico non era ciò di cui aveva bisogno in quel momento. Alzò le mani e le portò tra i suoi capelli, comprimendosi le tempie come per cercare di mettere a posto quella situazione. A quel punto uno strano vento improvviso, iniziò a soffiare intorno a loro e Halley avrebbe capito che la causa scatenante era Kai. Il serpeverde cercò di gridare, incapace di sopportare ancora quel dolore lancinante che lo stava colpendo in quel momento però la sua voce apparì strozzata come se fosse morta nella sua gola prima ancora di raggiungere le labbra. Scappa, non voglio farti del male. In quello stato angosciante di confusione, cercò comunque di mettere al riparo la grifondoro e sperò che le sue parole, seppur flebili, giungessero alle sue orecchie. Si accasciò per terra e con le ginocchia al petto, pregava affinché quel momento finisse.
     
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    Halley Wheeler

    I fatti dimostravano il contrario. Che poteva dire? Niente di più vero, ribattere sarebbe stato quantomeno ridicolo da parte sua. Infatti, Halley, in seguito all’incontro/scontro avvenuto nella notte di Natale con il maggiore dei fratelli Harris, aveva deciso di uscire dalla vita di Kai, principalmente per evitargli un la re che gli sarebbe giunto dritto al cuore, frantumandolo in mille e più pezzi. E invece? Tutto era sfuggito dannatamente di mano. Lui soffriva, glielo si leggeva chiaramente nei suoi occhi scuri, arrossati da quelle lacrime che sgorgavano copiose, inarrestabili. E lei? Lei aveva rischiato la sua vita per una passione che, lentamente, la stava consumando senza un vero perché. A distanza, oramai, di cinque mesi, David, rimaneva una costante nelle sue giornate o, almeno, lo era stato fino a qualche settimana prima quando, durante la lezione tenutasi in Africa, aveva tentato di ucciderla a mani nude in seguito ad un vero e proprio attacco d’ira provocato da una sua semplice constatazione sul suo conto. Aveva provato una paura folle, devastante, la stessa che era riuscita a spingerla lontano da lui, nonostante lo desiderasse ancora ardentemente, istante dopo istante, ogni volta che i loro sguardi si incrociavano in quei bui corridoi. Come un richiamo totalmente irrazionale dei loro corpi, al quale era difficile ribellarsi. Tutto ciò, però, non le permetteva di andare oltre a quella sofferenza alla quale l’aveva sottoposta per dar sfogo alla sua frustrazione. Abbassò lo sguardo, colpevole mentre l’atmosfera si fece sempre più testa, così come il loro rapporto. ”Come posso crederti?” La ragazza dissentì, consapevole che non vi fosse risposta alcuna per quel quesito, all’apparenza, semplice. Neanche ci avrebbe provato a propinare scuse su scuse. Zero. Non vi era alcuna scusa che giustificasse il suo colpo di testa che l’aveva portata tra le braccia del suo compagno di stanza. No, ma quella chimica l’aveva trascinata a fondo, schiacciata, senza neanche darle tempo di rendersi conto di quanto profondamente sbagliata potesse essere la sua decisione di lasciarsi andare a quella cupidigia malata che ancora non le dava tregua, tenendola alzata la notte. ”Perché non mi hai cercato dopo la festa di Natale?” Lo fissò, in attesa di qualche emozione in quegli occhi scuri ed, al momento, inespressivi. Ancora una volta, la domanda, si trovava sprovvista di una risposta attendibile che spiegasse, per filo e per segno, il suo punto di vista che riguardava quella circostanza che, in realtà, non poteva dirsi così complicata se ridotta ai minimi termini. “Non volevo importi la mia presenza sapendo che…” Sapendo che cosa? Non aveva più pronunciato il suo nome ma, a quel punto, affrontare la cosa le pareva dovuto. “… beh, di David.” Cazzo, Halley. È solo un nome, non ti potrà fare del male! Il nome no ma, d’altra parte, il ricordo delle sue mani strette intorno al suo collo, sì, la fecero trasalire quel tanto che bastava per scuoterle l’anima. “Non era previsto.” Proprio per un cazzo. Mai e poi mai avrebbe potuto immaginare di ritrovarsi invischiata in qualche cosa di decisamente più grosso di lei, una sensazione capace di esploderle nel suo petto sino a toglierle il fiato. Le era piaciuto. Sempre di più, tanto da diventare una fottuta abitudine che, con la sua sconvolgente energia le aveva inebriato la mente, la stessa mente che in quel preciso istante avrebbe solo voluto resettare, cancellando il suo volto e ciò che si portava appresso la sua figura. “Non era mia intenzione farti del male.” Non aveva riflettuto abbastanza. “Sono stata egoista.” E neanche aveva fatto il suo bene, a dirla tutta, viste le conseguenze alle quali era andata incontro. Ma poteva dirsi pentita? “Non ti chiederò di perdonarmi.” Ma non mandarmi via. Non ora. Riusciva a captare le sfaccettature del suo stato d’animo, una per una, come lame affilate pronte a conficcarsi nel vivo della carne. E la colpa poteva essere ricondotta solo a lei. Era sparita, l’aveva abbandonato per il timore di venire assalita da quei sensi di colpa da cui si era premurata di fuggire all’istante, come se una nebbia fitta avesse, improvvisamente, oscurato il suo buon senso. In fondo commettere errori faceva parte della natura umana ma, perseverare? Diabolico, senza ombra di dubbio.
    ”Basta!” Una richiesta di tregua. Ne aveva tutta l’aria. Halley si zittì all’istante, senza farselo ripetere, sgranando gli occhi scuri, dubbiosi e ricolmi di dubbi. ”… io sono un assassino, Halley!” Non si mosse di un millimetro. Quelle parole, però, la impietrirono, come se ogni sua certezza fosse svanita, con un solo schiocco di dita. Non poteva essere vero. Lui, Malachai Parker, il ragazzo che aveva cercato di sollevare dalla sua reputazione da cattivo ragazzo, si trovava lì, in piedi davanti a lei, sganciando una bomba di quella portata. “No.” Impossibile. “No, no!” Incredibile. “No. Stai zitto. Non è vero!” Lo intimò per riprendere fiato. Dov’era la forza che la contraddistingueva? Svanita nel nulla. Parker, però, parve non darle retta, offrendole una spiegazione insensata, per spiegare la sua affermazione di pochi istanti prima. ”… ho torturato i miei.” Come poteva essere certo di aver compiuto una simile azione, senza essere mosso da un movente più che valido? Tutto ciò non poteva avere senso, non ai suoi occhi. “Malachai.” Un soffio. “Basta!” Strinse i pugni, affondando le unghie nei palmi, satura di quelle idiozie appena franate sul suo essere già ferito così profondamente da non permetterle di tollerare altre sofferenze. Il temporale che, fino a poco prima, si trovava a chilometri di distanza, piombò sulle loro teste. Una coincidenza? No, non poteva essere. “Kai.” Pronunciò il suo nome, cercando di mantenere i nervi saldi. “Sei stato tu?” Anche lui, come lei, nascondeva un segreto scomodo.
    ”Va’ via, Halley!” Urlò, pregandola di lasciarlo solo, probabilmente convinto di poterle fare del male a causa di quell’impeto di disperazione, portato all’estremo. “Mi stai chiedendo di ripetere lo stesso errore di qualche mese fa?” Quando gli aveva voltato le spalle, senza alcuno scrupolo, curandosi esclusivamente della sua condizione mentale? “Sono certa di non correre nessun tipo di rischio!” Ed, in caso contrario, sarebbe stata in grado di difendersi. Il ragazzo si accasciò a terra. Ginocchia al petto e tutta la volontà di attendere quel momento giungesse alla fine, senza muovere un dito. “Non mi muovo da qui!” Stava a lui decidere se metterla in pericolo o cacciare quella personalità di cui era dotato, mettere fine a quell’intemperia e tentare di spiegare le accuse che si era auto inflitto. “A te la scelta, Malachai.” La paura faceva parte dell’essere umano ed, la piccola Wheeler, lo poteva affermare con certezza e, nonostante quella situazione avesse tutte le carte in regola per essere catalogata come insidiosa, non riusciva a spaventarla tanto quanto l’episodio che l’aveva vista protagonista in quella tenda, a migliaia di chilometri e che, ancora, le provocava dei turbamenti.


    Edited by Halley. - 7/6/2023, 01:02
     
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    Kai fino a quell'istante aveva creduto che la lettera di sua sorella, fosse il dramma più duro da dover superare. Ciò che non aveva messo in conto, era il fatto di dover affrontare un faccia a faccia con Halley. Se pensare a sua sorella e ad ogni ricordo legato a lei, lo facevano fremere di paura, la vista di Halley riduceva il suo stomaco ad una carta straccia e accartocciata. Sentiva le budella contorcersi e i suoi sensi, andare a puttane: provava un senso di rifiuto verso quella ragazza e ce l'aveva a morte con lei per averlo lasciato solo quando ne aveva più bisogno. Con lei al suo fianco, aveva ripreso a boccheggiare e a vedere uno spiraglio di luce nel suo futuro ma dopo essere stato abbandonato, era ritornato sul fondo dell'abisso. E quella sarebbe stata solo l'inizio della fine. Kai aveva lottato per la sua redenzione, per provare a sistemare le cose ma da qualche tempo a questa parte aveva smesso di farlo e stava aspettando solo il momento giusto per lasciare questo mondo. David, certo. David. Sempre quel fottuto figlio di puttana in mezzo alle palle. Era davvero stanco della sua presenza e aveva preso la decisione che a settembre avrebbe cambiato dormitorio, trasferendosi in quello di Harry. In fin dei conti, era quello che in poco tempo era riuscito a guadagnarsi la sua fiducia. Avrei comunque preferito che me ne parlassi, invece di sparire così su due piedi. Lui aveva sempre dovuto dare una spiegazione ad Halley sul perché che era legato alle sue azioni e lei? A lei tutto era dovuto e lo aveva trattato come un giocattolino. Era così che si era sentito nelle mani della grifondoro: un giocattolo con cui giocare fino al momento in cui non aveva trovato un giocattolo più nuovo e divertente con cui sostituire il modello vecchio. Poi era sempre stato lui lo stronzo della situazione, certo. Cosa ci trovi in lui? E soprattutto cosa ti spinge a stargli accanto? Non lo vedi che è un mentecatto, uno squilibrato. Non che gliene importasse per davvero, era l'odio e il risentimento che provava nei suoi confronti a farlo parlare. Vi ho visti, sai. Sembra che stiate forzando le cose, non avete nulla in comune. I due cozzavano l'uno con l'altro e per come la vedeva lui erano due linee parallele destinate a non incontrarsi mai. D'altronde come si erano conosciuti? Prima della festa di Natale, non gli era sembrato che tra i due ci fosse qualcosa. Tu non sei come lui o forse sì? Non ti ho mai capita, Wheeler. Era così: aveva sempre creduto di conoscere Halley meglio delle sue tasche e invece, in quel momento, si rese conto che le grifondoro era un volto senza un nome. Era come se fino al momento della rottura del loro rapporto, lui avesse interagito con una sconosciuta. Non la riconosceva più e anche in quel momento non sapeva se stesse parlando con Halley o con l'ombra di lei stessa. Non era tua intenzione, eppure lo hai fatto ma poco importa. Sono abituato ad essere abbandonato per qualcosa di più interessante, di più soddisfacente. Non preoccuparti, continua a vivere la tua vita come se non ci fossi. Kai era fermamente convinto che le azioni derivavano per forza di cose da un forte desiderio di compierle, perciò Halley voleva abbandonarlo e lo aveva fatto nel peggiore dei modi, scomparendo senza lasciare traccia. La rottura aveva ridotto il cuore di Kai ad un mucchio di macerie, portandolo a soffrire e a desiderare di non essere mai nato o peggio ancora, lo avevano portato a voler far finire al più presto la sua esistenza. Non era solo per Halley che voleva togliersi la vita ma anche per merito di tutto il contesto che girava intorno alla vita del giovane Parker: una famiglia distrutta, la vista dei suoi genitori inermi nel letto di un ospedale, il suo patrigno che lo costringeva a compiere azioni deplorevoli, tutto faceva sì che Kai pensasse al momento in cui avrebbe trovato il coraggio di togliersi la vita. Io con te ho fatto così e stavo bene fino a quando non sei piombata qui all'improvviso. Già, dopo che si era reso conto che Halley non sarebbe più tronata da lui, aveva fatto finta che non l'avesse mai conosciuta. Halley per lui era morta, ideologicamente parlando. Non ho alcuna intenzione di perdonarti. No, non lo avrebbe mai fatto perché non c'era perdono per chi decideva di uscire dalla sua vita dopo avergli fatto credere a cose che non erano altro che un mucchio di puttanate. Halley, è così. Come si erano ritrovati a parlare dei peccati del serpeverde, ancora non riusciva a spiegarselo. Eppure aveva sentito il bisogno di consegnare il suo fardello nelle mani di Halley, come se così facendo sarebbe riuscito ad alleggerire il carico emotivo. Cosa che non portò a nulla di tutto ciò, anzi, la testa del serpeverde iniziò a girare vorticosamente e il respiro si fece più corto. Cazzo, un attacco di panico non ci voleva. Pensò e nel mentre iniziò a credere di star perdendo il controllo, di star impazzendo invece di preoccuparsi di se stesso pensò ad Halley e alla minima possibilità che c'era di farle del male. La odiava ma non sarebbe mai riuscito a ferirla, perciò le intimò di andarsene da lì prima che accadesse qualcosa di irreparabile. Si accasciò per terra e iniziò a pregare che quello strazio finisse al più presto, poi, una voce: Malachai. Come un soffio giunse alle sue orecchie ma ciò non sembrò destarlo dal suo stato. Poi ancora: Basta! Alzò la testa e vide la grifondoro stringere i pugni come se ne avesse abbastanza di lui e di tutte le cose che stava dicendo. A quel punto, però, in lui scattò qualcosa che lo fece alzare rabbiosamente e con altrettanta rabbia si diresse verso la ragazza. Erano nuovamente vicini, a tal punto da percepire il respiro l'uno dell'altro. Sono stufo di te e di tutti quanti. Disse allargando le braccia per poi farle cadere stanche lungo i suoi fianchi. Sono stufo di quelli come te che cercano di controllare la mia vita, che mi dicono cosa fare e cosa no. Specialmente ne ho le palle piene di quelli come te che pensano di avere il diritto di ritornare da me, dopo che mi hanno abbandonato a me stesso senza degnarmi di una miserabile e fottuta spiegazione. Era giunto il momento di tirare fuori tutto ciò che aveva covato nel profondo e che era diretto solamente e soltanto verso colei che lo aveva ferito più di tutti quanti. Se ci fosse stato qualcun altro al mio posto, lo avresti rincorso e supplicato pur di non farlo uscire dalla tua vita. E invece, siccome da questa parte c'era il sottoscritto, hai pensato bene di lavartene le mani e di sparire in silenzio. Era quello che pensava: lui non era nulla, lui era un soprammobile che si poteva prendere e utilizzare fino a quando faceva comodo, poi lo si poteva lasciare al proprio posto fino al prossimo utilizzo. Ma lui non ne poteva più di essere trattato in questo modo, nemmeno il mostro peggiore del mondo meritava un simile trattamento. Sì, sono stato io Halley. Ed ecco che un nuovo segreto, veniva consegnato nelle mani della grifondoro. Sono stato io perché la tua presenza mi destabilizza. Glielo si poteva leggere negli occhi che era così. Ti odio! Ti odio per avermi dato la falsa speranza che con te al mio fianco potevo salvarmi. Ti odio perché mi hai abbandonato, ti odio per avermi fatto provare delle cose per te delle quali tu te ne sei sbattuta il cazzo. Ti odio perché dopo avermi fatto abituare alla tua assenza, torni qui e mi fotti la testa con le tue stronzate. Stava delirando e forse era il caso di levarsi di torno prima di poterla ferire intenzionalmente. La tempesta, in quel momento si trovava proprio sulle loro teste e Kai era sicuro che avrebbe recato qualche danno irreparabile. Se non avessi trovato quella lettera, non credo che saresti venuta a cercarmi. Aveva avuto pietà di lui, ecco perché era tornata. Ma se lei non fosse venuta a conoscenza di quelle cose, avrebbe continuato ad ignorarlo perché aveva David a cui rivolgere le sue attenzioni. Sei così brava negli addii, non vedo perché tu non possa farlo anche adesso. Con un'ironia sprezzante nel tono della voce,le sussurrò quelle parole. Se non te ne vai tu, lo farò io. Le servì un ultimatum: prendere o lasciare. E non venirmi a cercare, voglio essere lasciato in pace.


    Edited by dickhead - 11/6/2023, 09:15
     
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    L’inizio della fine. Lo percepiva. Quello sarebbe stato l’ultimo atto della loro personale dramma. Un faccia a faccia duro. Uno scontro all’ultimo sangue dove, entrambi, avrebbero riversato sull’altro tutte le frustrazioni che, fino a quel momento, erano rimaste imprigionate in attesa che fosse giunto il momento della resa dei conti. Osservò in silenzio quello che era il suo linguaggio del corpo e ne denotò un alto livello di disagio, come se in lui ardesse il desiderio di trovarsi da tutt’altra parte, tranne che davanti a lei. Come dargli torto. La loro pseudo relazione era malamente naufragata a seguito della decisione della Grifondoro di lasciarsi andare all’ignoto. Scelta che, dopo mesi, iniziava ad indurla a credere che vi fossero in ballo sentimenti di una notevole entità che, puntualmente, avrebbe cercato di reprimere per legittima difesa. ”David, certo.” Di scattò portò le sue iridi smeraldine in quelle del Serpeverde. Il suono del suo nome, proferito con disprezzo, la fece trasalire e, allo stesso tempo, preparare al peggio. Serrò la mascella, lasciando trapelare la sua poca inclinazione a sopportare qualsiasi giudizio proveniente dalle sue labbra. “Cosa avrei dovuto dirti?” Domandò stizzita. Vi era davvero un modo che spiegasse la situazione senza che essa potesse risultare difficile da digerire? No. Ed ecco il motivo che l’aveva spinta a lasciarlo andare, così che potesse odiarla a tal punto da cancellarla definitivamente dalla sua vita. Aveva commesso un errore? Forse. Recriminarlo in quel momento? Troppo tardi. “Volevi la verità?” Per avere la possibilità di gettarle merda addosso? Per colpevolizzarla fino al vomito? Per cosa? Non si trattava di scegliere tra lui e David. Halley non aveva avuto il lusso di potersi sedere a tavolino e ponderare attentamente su quale, dei due ragazzi, sarebbe riuscito a farla felice. No. Per niente. Il maggiore dei fratelli Harris si era ritagliato, con prepotenza, quello spazio che aveva dato vita al resto. Tutto naturalmente, come se fosse stato il destino a prendere la decisione al suo posto. Niente di più e niente di meno. ”Cosa ci trovi in lui? Un tuffo al cuore. Perché? Perché quelle domande in quel frangente delicato che la vedeva alle prese con l’assenza del battitore nella sua vita? Perché? ”… cosa ti spinge a stargli accanto?” Voltò lo sguardo verso l’orizzonte, proprio nel punto in cui si stava per scatenare un violento temporale. Ripensò per un attimo agli ultimi istanti vissuti in quella tenda quando, dopo lo scontro, era riuscita a distinguere nei suoi occhi l’umanità che spesso nascondeva al mondo. “Mi fa sentire viva!” La verità scivolò via, pura e limpida. Con lui poteva essere sé stessa, senza riserve e senza temere il suo giudizio. Con lui aveva imparato a seguire il suo istinto e a liberare il suo vero essere da quelle costrizioni imposte da una rigida educazione impartitale da una madre estremamente apprensiva. Il suo sguardo si indurì, consapevole che i suoi pensieri convergevano in una sola direzione. Sentì il battito cardiaco accelerare mentre, con stizza, infilò le unghie nei palmi delle mani, reprimendo l’urgenza di esplodere a quelle affermazioni basate sul nulla cosmico di Malachai ai danni del suo compagno di stanza. Fastidio che diede vita ad un’unica, martellante, consapevolezza. No. Non è così! Io non posso… Trasalì quando il dolore si fece sentire. “Lascialo fuori dai nostri problemi!” Si interpose con fermezza tra Kai e la rabbia profonda che provava nei confronti di David, così da diventare lei stessa il bersaglio di quell’odio. Non le importava, avrebbe sopportato qualsiasi tipo di angheria proveniente da quell’animo inquieto, bisognoso di sfogarsi per liberarsi di quelle frustrazioni che l’avevano portato a tentare un gesto estremo. “Ti posso assicurare che, mai come oggi, mi sono sentita così completa.” E felice? Beh, no. Non poteva affermare di esserlo ma, di certo, qualche cosa in lei stava subendo delle mutazioni innegabili e pericolose. Sbuffò, sottolineando il suo disagio nel dispensare gratuitamente spiegazioni che, a dirla tutta, non pensava di dover dare. “Sono come lui?” Chi poteva dirlo? “Forse sono la sua parte peggiore.” Partì all’attacco, satura di quell’atteggiamento nei suoi riguardi. “Forse sono io la squilibrata. La mentecatta.” Ripiegò sugli epiteti poco carini affibbiati al battitore verde-argento, pochi attimi prima. Il tono della voce si alzò, incurante di poter essere sentita dai possibili passanti. “No. Non sai chi sono. Quindi fammi la cortesia di smetterla di sputare sentenze su qualche cosa che, effettivamente, non conosci.” Se il veleno sembrava essere la specialità del giovane Parker, Halley era pur sempre una fottuta leonessa, priva di timore e difficile da domare. Instancabile. Pronta a subire il successivo colpo basso, messo in atto dal suo interlocutore. Assurdo. ”Sono abituato ad essere abbandonato…” Il sopracciglio della Wheeler si inarcò, lasciando trapelare un’espressione sconcertata. La stava dipingendo come l’antagonista della sua storia. Come sempre. Siamo tutti i cattivi nelle storie altrui. Non replicò, limitandosi ad andare oltre, cercando di mantenere quella calma che stava, letteralmente, per esaurire ma che tentava di elargire per non gettare benzina sul fuoco, capace di peggiorare la situazione in cui versava il ragazzo. “Non voglio il tuo perdono!” Il perdono. Concetto che implicava la presenza di colpe della controparte. Ma Halley ne aveva? Dal suo punto di vista, sicuramente ma, in fondo, non aveva fatto altro che seguire il suo istinto. “Ho commesso un errore.” Innegabile. Quella di non affrontarlo era stata un’idea del cazzo, vero. “Vuoi mettermi in croce? Perfetto. Accomodati. Non mi importa!” Non più. Il risentimento di Kai surclassava le sue buone intenzioni e, allora, perché combattere a contro i mulini a vento? Sarebbe stato inutile tendergli la mano.

    La Grifondoro non si azzardò a proferire parola. Rimase in silenzio a fissarlo, come se fosse un estraneo. No. Non era il solito ragazzo con il quale era abituata ad interagire. Le aveva consegnato un fardello che andava ad aggiungersi alla lunga lista di quelli già esistenti sulle sue spalle. Attonita ma per niente impaurita perché sicura di sé. Forse troppo.
    Ancora. Kai le sputò addosso tutto ciò che, probabilmente, aveva riservato per quell’incontro –se mai avesse avuto luogo-. “Basta!” Doveva darci un taglio. Immediatamente. Prima che si pentisse amaramente di quell’attacco sconsiderato nei suoi riguardi. Fece leva su tutta la sua buona volontà per non giungere ad afferrare la sua bacchetta e chiudergli quella bocca, una volta per tutte. “Mi sto stancando.” Non poteva permettersi di usarla come pungiball, se la sua vita era una merda. Non era il solo, eppure non si era mai sognata di giungere a lui, scatenando l’ira di Merlino, solo per riuscire a respirare di nuovo. “Non ho mai dovuto supplicare nessuno in vita mia!” Mai e, di certo, non avrebbe iniziato proprio in quel dannato momento folle. “Per chi cazzo mi hai presa?” Nel suo sguardo nient’altro che il nulla. Le pupille si dilatarono in modo di lasciare poco spazio al verde che, solitamente, colorava quell’espressione dolce. “Hai ragione. Sono un mostro.” Un mostro che aveva avuto lo scrupolo di preoccuparsi di una persona che, nonostante tutto, occupava un posto importante nella sua vita. Illusa.
    Un temporale in lontananza: Era stato lui. Un elementalista. La notizia non la smosse di un millimetro. ”Ti odio…” Ascoltò quel fiume in piena che, in pochi istanti, la travolse. Ancora. Ancora e ancora. Trascinandola a fondo, ferendola senza alcuna pietà. “Solo tu puoi salvarti.” Tagliò corto. “Odiami. Sarà tutto più semplice, alla fine!” L’apatia in persona. La rabbia cresceva. Secondo dopo secondo, la solita Halley, lasciava spazio alla sua parte più oscura quella priva di scrupoli. Quella che provava risentimento. Quella toccata dall’impossibilità di perdonare quelle accuse infamanti.
    ”Se non avessi trovato quella lettera, non credo che saresti venuta a cercarmi” Un ghigno. “Non mi conosci per un cazzo. Questa è la dimostrazione della mia tesi. Ed ecco perché sto al fianco di David. Lui non si aspetta nulla da me.” Nessun copione da seguire. Non doveva essere perfetta ma solo sé stessa.
    ”Se non te ne vai tu, lo farò io.” Annuì, silenziosa. Girando i tacchi. “Abbi cura di te! La vita è una sola. Trattala bene.” Ultima raccomandazione. La merda che le aveva versato addosso, devastò ogni speranza di salvare il salvabile. Prese a camminare nella direzione opposta al ragazzo, senza voltarsi.
     
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