One Way or AnotherRose

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    Seth Lennox

    Le ronde? Una bella grana. Fin da bambino era stato incline a trasgredire quelle regole che, secondo il suo punto di vista, limitavano la libertà personale. Una testa calda, sistemata con l’aiuto del tempo e con i dovuti accorgimenti dati dalla disciplina impartitagli non solo a livello scolastico. Per questo non amava scorrazzare per i corridoi con il solo scopo di apostrofare qualche ingenuo studentello colpevole solo di vivere la propria adolescenza. Follia. Eppure rientrava nei suoi ardui compiti da Professore, al di là della barricata. Quella sera, però, l’atmosfera sembrava essere differente. Con qualche ora di preavviso, Seth, si era adoperato a far recapitare alla Caposcuola di Tassorosso, un gufo, contenente un messaggio con un’insolita richiesta da parte sua. Non era solito ficcare il naso negli affari altrui eppure, la giovane White, destava qualche preoccupazione in lui a causa dei suoi reiterati rifiuti nell’approcciarsi alla materia da lui insegnata. Uscì dal suo ufficio alle ventidue e quindici, diretto verso i sotterranei, luogo decretato per dare inizio al consueto giro. Camminava frettolosamente, con il cuore in gola a causa della possibilità che quegli spazi davano di incontrare la sua sorellastra a tu per tu. Il suo rapporto con Lorelei non poteva considerarsi dei migliori e, nonostante albergassero entrambi sotto il tetto di Hogwarts, cercavano i tutti i modi di evitarsi per non andare incontro a scambio di opinioni accesi e capaci di accendere gli animi. Da quando aveva lasciato la dimora della madre, Seth, era stato abituato a cavarsela da solo anche economicamente parlando, fino a quando non gli fu concesso l’ingaggio nei Falcons, sua grande fortuna. Poteva considerarsi soddisfatto, tutto sommato ma i problemi familiari ancora rimanevano lì, irrisolti e pronti a tornare in piazza quando meno se lo aspettava. Non ricordava minimamente cosa volesse dire tornare a casa e sentire il calore della famiglia. Ricordi troppo lontani che, oramai, risultavano svaniti nella sua memoria e spesso confinati per non soffrire più del dovuto. Si era costruito un muro difensivo e, per questo motivo, tendeva a voler lasciare al di fuori qualsiasi cosa lo potesse ricondurre al passato. A pagarne le conseguenze era la Corvonero, nata dal secondo matrimonio tra la madre e il Rosier, uno squattrinato che era riuscito a entrare nelle grazie di quella povera donna, sedotta e abbandonata dallo stronzo Lennox Senior. Quel gran bastardo. A Seth erano state raccontate parecchie storie sul suo vecchio, una differente dall’altra, ma tutte con lo stesso succo. Aveva abbandonato il tetto coniugale infischiandosene di moglie e figlio, senza alcuna pietà e senza pensare al futuro che lo avrebbe investito e colto impreparato. L’assenza di una figura genitoriale maschile, l’aveva segnato nel profondo vista e considerata anche la scelta di sua mamma di voltare pagina in modo brusco. Un’esistenza dura quella del giovane professore di volo che, ora, all’età di trentatré poteva godere della sua posizione senza recriminarsi niente di niente quando si guardava alle spalle e vedeva solo menefreghismo nei suoi confronti. Piangersi addosso non rientrava nei suoi hobby preferiti e, così, sarebbe andato avanti nel bene o nel male, accettando qualsiasi cosa il futuro scegliesse per lui.

    Raggiunse i Sotterranei ed a fatica cercò di abituare i suoi occhi scuri a quella penombra, da sempre, tanto odiata. Quel luogo umido e per molti versi macabro non era mai stato al primo posto nella sua classifica di gradimento, dove primeggiava il campo da quidditch ma, in quella circostanza non poté sottrarsi al suo dovere e, per forza di cose, aveva accettato quel compromesso così da poter scambiare quattro chiacchiere in pace con la figlia del vicepreside. Giunse proprio allo scoccare delle ventidue e trentacinque e osservò centimetro per centimetro quella porzione di corridoi dove era certo di scovare la figura longilinea della mora in perfetto orario. Ed eccola. Si avvicinò stampandosi in volto un sorriso smagliante, cercando così di apparir fin da subito amichevole, piuttosto che bacchettone. La sua intenzione era solo cercare di comprendere cosa non andasse tra lei e la sua materia, con lo scopo di riuscire a fissare dei punti che le sarebbero stati utili ad uscire un po’ dalla sua solita confort zone. “Buonasera, Signorina White!” La salutò educatamente, posizionandosi al suo fianco, pronto ad intraprendere quella bizzarra passeggiata che li avrebbe rese a tutti gli effetti dei guardoni. “La ringrazio di aver accettato il mio invito.” E con così proprio preavviso, era stata davvero gentile. Non che ne avesse mai avuto dubbi ma ancora non poteva dare giudizi su quella personalità a prima vista incomprensibile. Prese a camminare, distrattamente ma focalizzato sulla ricerca accurata delle parola che riuscissero a descrivere la sua preoccupazione. “L’ho cercata per porle alcune domande in via confidenziale!” Senza nessuna pressione. “È libera di mandarmi al diavolo se lo ritiene opportuno.” Sorrise, sperando di non sembrare un totale coglione. Non era abituato a far valere la sua carica anzi, al contrario, se solo fosse stato pertinente avrebbe volentieri rinunciato al “lei” da parte degli studenti ma, a quanto aveva potuto osservare, qualcuno se ne sarebbe approfittato, prendendo sotto gamba il ruolo di quello che poi avrebbe influito sul rendimento scolastico di ognuno. “Qualche cosa non va?” La domanda uscì senza troppi giri di parole. “Voglio dire, la vedo alquanto reticente ad approcciarsi alla mia materia.” Era lì, pronto a dare una mano a chiunque avesse richiesto il suo intervento. “Badi bene, non è un rimprovero. Al contrario…” Specificò, regalando un secondo sorriso per tentare di metterla a suo agio. “… vorrei solo darle una mano. Laddove sia possibile.” Non poteva essere a conoscenza di vita morte e miracoli dei suoi studenti e cosa impedisse loro di aprirsi nelle varie discipline ma, da buon insegnante, sentiva il dovere di correre ai ripari ogni qualvolta si accorgesse che qualche cosa non andava nel verso giusto. “Non è mia intenzione metterla a disagio, assolutamente.” Per questo motivo non l’aveva invitata a presenziare nel suo ufficio ma in un luogo neutro, mentre svolgeva la normale attività si routine. “Diavolo, mi raccomando. Stia attenta lei ad eventuali trasgressori. Non sono credibile con questa faccia ad impartire ramanzine.” Scherzò ulteriormente per smorzare l’atmosfera.


    Edited by bel culo. - 30/4/2023, 00:19
     
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    Tassorosso
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    Rose Mia White

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    Un’altra settimana di studio volgeva al termine e mi sentivo leggermente stanca ma allo stesso tempo mi sentivo pronta per il sabato e il lavoro, adesso che non mi nascondevo più dovevo affrontare la mia timidezza ma non mi stava dispiacendo. Ero arrivata nel dormitorio e mi ero lanciata sul letto a baldacchino per riposarmi un pochino prima della ronda. Liam era saltato sul letto e iniziò a farmi le fusa, così mi alzai presi il cucciolo nero e iniziai a coccolarmelo mentre il cucciolo di riccio africano, Etto, dormicchiava tranquillo nella sua cuccetta. «Liam! Siamo super affettuosi oggi?» chiesi mentre iniziai a grattargli la testolina. Ad un certo punto si mise al mio fianco e iniziò a dormicchiare. Mi rilassai anche io alzando gli occhi verso la stoffa del baldacchino e per la prima volta dopo mesi e mesi non stavo pensando a nulla. Un rumore della mia compagna Ruby mi fece ritornare alla realtà mi alzai lentamente e la osservai mettere a posto un quaderno. Mi alzai e mi avvicinai alla mia compagna chiedendole se poteva dare un occhiata ai miei cuccioli fino a che non si addormentava. Una volta fatto qualche piccolo scambio di parole con lei, andai verso il bagno e mi diedi una sistemata. Mi lavai la faccia e i denti e mi diedi una bella pettinata ai capelli. Ritornai nella stanza presi la bacchetta, salutai Ruby ed Astrid e uscii dal dormitorio incamminandomi verso l’uscita dalla sala comune. Prima di attraversare la porta salutai uno dei miei compagni non prima di ricordargli che doveva consegnare il compito completo al professore di difesa o sarebbero stati guai. Aggiunsi che se aveva voglia potevo anche aiutarlo lunedì pomeriggio. Finalmente attraversai la porta a forma di botte della sala comune dei tassi e mi ritrovai nel corridoio dei sotterranei.
    Buio come sempre ed umido, avrei messo almeno qualche torcia in più ma ci dovevamo accontentare. Comunque bacchetta alla mano che nei corridoi dei sotterranei i furbetti si nascondevano bene. Quella ronda poi sarebbe stata particolare perchè avevo un appuntamento con il Professore di Volo. Aveva richiesto la mia presenza insieme a lui perché doveva parlarmi. Non avevo una precisa idea su cosa ma l’avrei scoperto quella notte.Voltai l’angolo per prendere l’ennesimo corridoio cupo e in lontananza notai la figura del professore. Aveva un sorriso grande e non sembrava arrabbiato, questo mi fece sentire leggermente meglio ma ero comunque in pensiero per cosa voleva dirmi.
    «Buonasera Professore! Spero di non averla fatta attendere molto!» Dissi sorridendo anche io. «Con vero piacere! Voleva parlarmi di qualcosa?» Era quello che mi aveva scritto nella lettera che il gufo aveva recapitato prontamente nelle mie mani. Iniziammo a camminare e iniziai anche a guardarmi intorno, conoscevo bene alcuni soggetti che tendevano a nascondersi lì in giro. Il Professore non perse tempo e mi incuriosì anche molto. “In via confidenziale?” in che senso. Un piccolo sorriso mi venne spontaneo alla sua affermazione di mandarlo al diavolo «Lo terrò a mente professore, ma non credo che succederà!» Io mandare al diavolo un professore? Non era di certo il mio modo di fare, vero che stavo cercando di cambiare un pochino ma non essere maleducata. Mi misi comunque in ascolto del Professore camminando a passo tranquillo. La questione arrivò senza troppi giri di parole e non potei non mordermi il labbro come mio solito. Lo lascia parlare prima di prendere parola «Beh, non sono un tipo molto sportivo questo credo sia ben visibile e faccio un pochino di fatica, ma…» e il mio corpo da dicembre in poi era davvero in condizioni non proprio perfette, mi fermai un secondino prima di continuare «Non è certo lei il problema e che… ho davvero tanta paura di cadere!» Lo dissi così senza troppi giri. La Rose di mesi fa avrebbe tergiversato, cercato un qualcosa di diverso o un modo più aggrovigliato di dirlo ma era inutile girarci in torno ormai era chiaro che qualcosa tra me e la scopa non andava.
    «Le sembreà stupido, lo so. Anzi sicuramente lo è ma sono proprio terrorizzata dal cadere dalla scopa e non amo la velocità. Le prove di velocità mi terrorizzano sempre per una questione di non restare attaccata a quel manico.» Mi fermai ancora, guardando alla mia destra dove vi era un aula dismessa. Aprì la porta «Lumos!» Mi affacciai all'interno guardando dietro la porta e accovacciandomi per guardare sotto i tavoli rotti «Mi scusi, e che qui di solito faccio incontri non piacevoli.» Aggiunsi chiudendo la porta dopo il controllo. Ripresi a rispondere velocemente alla sua affermazione «Oh, non mi mette a disagio, davvero! Non volevo farla preoccupare e quest’anno sembra che tutto il mio impegno nello studio non serva a granchè!» aggiunsi con aria veramente affranta. Quell'attimo di tristezza durò poco, perchè il Professore Lennox fece un affermazione che mi fece portare la mano verso le labbra e cercare di nascondere una risata. «Certo che è credibile. Lei è un professore! Può usare il suo “potere”! » Non avevo mai riso così con un professore e per la prima volta uno di loro era riuscito a farmi ridere durante una ronda. «Andiamo di qua, le va bene?» chiesi indicando un corridoio. «Lei dice che…» Mi bloccai un secondo fermando i miei passi rimanendo un attimo in dietro «Lei dice che sono salvabile?» chiesi riferendomi alla sua materia. Forse ero un caso perso o forse no, questo l’avrebbe potuto spaere solo il professore, se nel caso ci fosse qualche possibilità o qualche metodo particolare.
    «Parlato»

     
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    Seth Lennox

    Con quella faccia da schiaffi non avrebbe fatto paura a una mosca. Poco ma sicuro. Eppure, in lui, vi era una sfumatura che si aggirava sul colore nero. Là, in fondo alla sua anima, quasi impercettibile ma presente. La sua infanzia aveva dato vita a un meccanismo infelice, uno di quelli capaci a distruggerti dall’interno, senza dare nell’occhio. Quell’odio covato nei confronti della famiglia se ne stava lì, latente ma pronto a fare il suo ingresso trionfale in quell’esistenza che, fino a quel momento, considerava a dir poco impeccabile. Si era inventato da solo, con forza e coraggio, andando contro il mondo solo per uscirne vincitore e, con il passare dagli anni, se anche si fosse fermato per guardarsi indietro, non avrebbe mai trovato una motivazione per rimpiangere neanche un istante del suo contorto vissuto. Sapeva che prima o poi ci sarebbe stata l’occasione che avrebbe messo in discussione tutto ciò che dava per scontato ma, fino a prova contraria, non riusciva a fasciarsi la testa prima di essersela rotta, forse anche ingenuamente. Il suo fare fanciullesco, nonostante non fosse più un ragazzino, lo proteggeva dal rischio di cadere avvolto da quell’oscurità che non si poteva permettere. No. Il bene e il male si trovavano agli opposti nella sua mente e non vi era spazio per possibili contaminazioni. Quei pensieri inutili, però, prima o poi gli avrebbero inferto delle ferite difficilmente rimarginabili se non trattate con estrema tempestività. Ecco perché, fin dal primo momento, si era assicurato di tenere alla larga qualsiasi persona lo potesse indurre in tentazione. La sua sorellastra non aveva alcuna colpa ma riallacciare il legame con lei, non sembrava prudente dal suo punto di vista.
    L’arrivo della Caposcuola di Tassorosso, fortunatamente, lo strappò a quei pensieri deleteri che gli avrebbero, senza alcun dubbio, rovinato la serata. Sapeva poco sul conto della Signorina White, forse per via del fatto che la ragazza non amasse essere al centro dell’attenzione come molte sue coetanee, ma per sentito dire rispecchiava le classiche caratteristiche caratterizzanti un tipo affidabile. “In perfetto orario.” Commentò allegramente, lodando il suo operato ancora prima che esso venisse svolto. Quanti ragazzi potevano vantare una reputazione tale? Spesso si era trova ad ascoltare ragazzini immersi nei loro frivoli discorsetti da quattro soldi, trattenendosi dal portare le mani tra i capelli. I tempi, quanto erano cambiati? Lui per primo, affetto da una grave forma di sindrome di Peter Pan, riusciva ad imbarazzarsi al cospetto di quelle sciocchezze che rasentavano il ridicolo se non addirittura il trash. Divertenti sì, ma fino a un certo punto poi non vi era altro che vergogna pura. “In realtà sì.” Per offrirsi volontario a pattugliare quei corridoi chilometrici, voleva dire che sotto vi era un qualche cosa di estremamente importante, almeno dal suo punto di vista. La affiancò e pose il suo quesito la cui risposta non tardò ad arrivare. Il problema stava solo in un grande limite che tutti prima di mettere il sedere su un manico di scopa, avevano dovuto affrontare, chi prima chi dopo. Gli scappò un sorriso sincero. “Anche io ho avuto paura.” Forse per i primi dieci minuti, poi il suo fare scapestrato aveva preso il sopravvento, impedendogli di lasciare quello sport che, ora, era diventato la sua vita sotto molteplici punti di vista. “E non posso nascondere il fatto di essere caduto quanto? Un centinaio di volte?” O forse più, aveva perso il conto dopo le prime dieci cadute memorabili che, inizialmente, si appuntava sul quaderno delle stronzate. “Fratturandomi arti. Ma si sa, le ossa si aggiustano. L’adrenalina che scorre in corpo lassù, è un’esperienza unica.” Non era certo che le sue parole andassero a curare quel fare restio della mora ma, ancora, non aveva dato il meglio di sé. Quando parlava di quidditch si illuminava d’immenso, come se non esistesse altro in grado di dargli soddisfazioni, sulla faccia della terra. “Mia cara, nessuno la obbligherà mai a raggiungere velocità da lei non tollerate.” Il suo compito era quello di avvicinare i ragazzi a quella disciplina, non di certo quello di terrorizzarli ed allontanarli. Le nuove leve, da quel che aveva potuto osservare, avevano un gran potenziale se coltivato nel migliore dei modi e, casualmente, era stato scelto per dispensare sapere proprio a quei ragazzi che sarebbero stati il futuro del quidditch e di molti altri ambiti dove, sicuramente, la ragazza avrebbe trovato il suo posto. Giunsero nei pressi di quella conosciuta come l’aula in disuso un ottimo rifugio per coloro che non amavano seguire le regole, convinti di sfuggire all’occhio vigile dei Prefetti e Caposcuola. E invece no. No, no e no. Si sporse in avanti per controllare, o meglio, per curiosare ma niente. “Meno male, nessuna contravvenzione all’orizzonte! Mi dica, qual è la scena più assurda a cui abbia mai assistito durante una ronda?” Mica avevano ancora terminato, cantare vittoria pareva esagerato. La Tassa riprese il filo del discorso. “Perché dice questo? Ha difficoltà in altre materie?” Domandò, realmente preoccupato in seguito alla sua affermazione. Anche lui, durante la sua carriera scolastica si era ritrovato davanti a un blocco mentale che non gli aveva permesso di superare con il massimo dei volti alcune materie che, poi, gli sarebbero servite una volta uscito da quella galera. “Non si preoccupi. I periodo no capitano a tutti!” Tentò per la via della riassicurazione anche se non aveva ben idea di come l’avrebbe presa. “C’è qualche cosa che la preoccupa? Qualche cosa che la distrae dalla scuola?” E sarebbe stato pure normale per una ragazza della sua età, non aveva alcunché di cui vergognarsi, in caso.

    ”Certo che è credibile. Lei è un Professore.” Grande e grosso per lo più ma per niente pericoloso, fino a quando non vi fosse motivo. Ruppe il silenzio del corridoio con una fragorosa risata. “Sa, neanche volevo essere un Professore.” Ammise. Il suo tempo si era ridotto ai minimi termini, tanto da non aver molto tempo per sé. “Tra le partite in trasferta e il ruolo, per me rimane davvero poco tempo!” Purtroppo, però, aveva bisogno di quel posto, così da poter pagare le spese che si vedeva costretto ad affrontare. “Patetico? Vero?” Un pochino ma era certo che non l’avrebbe mai ammesso.
    ”Lei dice che sono salvabile?” La osservò con i suoi occhi chiari, indagatori e speranzosi. “Mi dica, perché è convinta di non farcela?” Chiese con, forse, troppa ingenuità. “Non crede che si stia sottovalutando?” Che qualcuno le avesse messo in testa quegli assurdi pensieri? Perché mai farlo? Rimaneva convinto che vi fosse un’opportunità per tutti. “Posso aiutarla, anche lontana da occhi indiscreti, se la fa stare più tranquilla!” Le brutte figure stavano di casa in quella disciplina e non si poteva scappare da tale ovvietà ma, come aveva ben detto, valeva la pena.
     
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    Tassorosso
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    Rose Mia White

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    Avevo visto il Professore Lennox sempre sotto l’aspetto della materia che insegnava: volo, ma non mi ero mai soffermata molto sui suoi modi perchè presa dalla paura di quello che dovevamo fare nelle lezioni. Invece stavo scoprendo in pochi minuti di conversazione che era una persona con dubbi e paure e che non era affatto duro e tutto d'un pezzo come lo avevo visto io fino a quel momento.
    Ero felice di essere arrivata in orario, anche se io ero molto raramente in ritardo, ma sentirmi dire che ero perfettamente nelle tempistiche giuste mi faceva sentire sollevata. Fu diretto nel chiedermi quello che doveva e forse la Rose di qualche tempo prima si sarebbe sentita a disagio ma in quel momento mi sembrò che era la cosa giusta da fare e il modo giusto di affrontare quella situazione. Spiegai quello che mi succedeva nella sua materia, anche se era difficile far comprendere quello che davvero provavo ma ancora una volta mi ritrovai un professore aperto all’ascolto. Certo la sua affermazione non mi fece sentire al sicuro anzi era proprio la mia paura inespressa. «Pensare che lei abbia paura di qualcosa mi fa un pochino strano, sa?» dissi mentre i brividi mi percorrevano la schiena al solo pensiero di rivivere il dolore che avevo vissuto a casa White per mano della persona che doveva accudirmi e non rompermi in mille pezzi.«Mi-mi dispiace… ma è proprio quello che vorrei evitare, professore! Non ho intenzione di rompermi niente e nemmeno di farmele poi aggiustare con quella robaccia dell’ossofast. Senza contare il dolore che si prova durante la guarigione e il voltastomaco per quel sapore che ti resta anche dopo ore e ore e dopo aver lavato i denti per tante volte.» Era ben chiaro che avevo già provato l’esperienza e che non era stata minimamente un qualcosa di passabile ma un dolore atroce e in quel momento quello che bruciava di più oltre alle mie ossa era la mia anima e i miei sentimenti frantumati in cenere dalla persona a cui richiedevo da anni amore. Quindi con quell’affermazione non era proprio andato a segno come aveva pensato. Qualche attimo dopo la sua nuova affermazione mi fece sorridere ed mi rese leggermente sollevata, «Grazie professore quello della velocità è davvero un qualcosa che mi preoccupa, ma forse, ammetto che la velocità tollerata da me è leggermente lenta per gli standard generali.» Ero sincera e sapevo di non essere super nel volare sulla scopa. Mi spostai per controllare l’aula in disuso ma la cosa che mi sorprese ulteriormente fu la semplicità del Professore infatti sorrisi con grande spontaneità. «Mh, fatemi riflettere…» dissi mentre continuavo a camminare al suo fianco «Ho visto diverse scene ma una che ricordo adesso era, un ragazzo di secondo anno di grifondoro che si era infiltrato nell’aula di pozioni e… voleva prendere non so cosa di preciso ma la boccetta della pozione preparata nel pomeriggio proprio dalla mia classe le era caduta sopra e… » una risata soffocata mi uscì e poi continuai cercando di tornare seria «Ecco le dico che i suoi piedi erano diventati di roccia, ben ancorati al pavimento.» Nulla la scena di quel ragazzo nella testa mi fece scoppiare a ridere, gli occhi si illuminarono e dopo mesi e mesi le gote divennero di un leggero rosa. «Mi scusi… ma dovevate vederlo, far finta di nulla e arrancare scuse senza senso. Ammetto di essere bravina in pozioni e avevamo preparato anche l’antidoto quindi ho risolto il problema … ma è stato comico. Potrei raccontarne un bel po’ come i ragazzi mezzi brilli di serpeverde nel corridoio al terzo piano…O una delle scuse che va di moda è: il gatto o topolino o qualsiasi animale , mi è scappato dal dormitorio per poi scoprire che il soggetto non ha nessun animale di compagnia…» Presi un bel respiro ed aggiunsi «Vede? le ronde sono stancanti ma non sempre noiose. Ammetto che preferirei non trovare alcuni soggetti a volte ma fa parte del ruolo e mi ha anche aiutato a essere un pochino più diretta ecco….» feci spallucce e poi ascoltai l’altra domanda del professore. “Perché dice questo? Ha difficoltà in altre materie?” Il mio sorriso si smorzò leggermente «Ecco, sto trovando alcune difficoltà in delle lezioni. Il mio problema del volo si ripercuote anche su altro. A Cura delle creature ho dovuto cavalcare un Thestral, che non riuscivo nemmeno a vedere. Ho portato a termine il compito ma ho urlato per la paura e una volta ritornata a terra non riuscivo a rimettermi in piedi.» Abbassai leggermente lo sguardo, non andavo fiera di quella lezione ma non vedere un animale da cavalcare non era stata un esperienza entusiasmante per me. Ancora un’altra sorpresa, il professore mi consolò e io nella mia testa mi aspettavo una ramanzina. «Si certo che c’è qualcosa che mi preoccupa, come tutti del resto. Forse è la vita. Sono certa che troverò di nuovo una via.» La parte finale della frase la dissi con un tono leggermente più basso ma ben udibile e ripresi a sorridere anche se gli occhi esprimevano altro rispetto al sorriso.
    In un secondo il discorso variò e con esso anche la direzione della ronda venne variata. La risata del professore mi lasciò sorpresa ma non mi scomposi anzi continuai a camminare accanto a lui e mi misi in ascolto. La sua affermazione, l’ennesima mi fece voltare lo sguardo su di lui con curiosità, come “non voleva essere un professore”.«Patetico? Assolutamente no! Lei sta mettendo il nostro futuro davanti a se stesso. Professore, io l’ammiro per questo. In pochi lo farebbero!» Ammisi seria come se stessi combattendo una battaglia di diritti e poi addolcì il mio viso con un altro sorriso ed aggiunsi «Grazie per quello che fa… e mi dispiace di non darle quello che uno studente di norma dovrebbe, ma le garantisco che le sue lezioni sono davvero interessanti… » non aggiunsi che il Quidditch lo trovavo così violento, sorvolai quel discorso ma dovevo ammettere che i giocatori non erano niente male, soprattutto alcuni di essi. Mi sentivo in colpa per non essere una studentessa brava nella sua materia mentre lui dava il suo tempo per noi quasi annullandosi, grande forza di volontà e duro lavoro, lo ammiravo ancora di più. Non mi sarei mai aspettata di trovare un Uomo così dietro il ruolo del professore Lennox, mi stava sorprendendo e stavo scoprendo qualcosa di nuovo e inaspettato. Bravo professore, mi stava colpendo in senso assolutamente positivo.
    Il discorso ricadde ancora su di me. «Sembra che per la maggior parte sia naturale volare, mentre io con questa paura sembro un troll attaccato a un manico di salvezza… Quindi ho solo paura di non essere all’altezza…» come vorrebbe mio Padre in ogni materia «degli altri…» chiusi la frase con delicatezza e un leggero velo di amarezza. Un attimo dopo la mia camminata si arrestò in mezzo al coridoio illuminato dalla torcia che ondeggiava, facendo muovere le ombre sulle pietre «Lei, lei lo farebbe? Cioè pensa che potrei almeno riuscire a volare con più tranquillità con un po’ di esercizio?» Ero sbalordita. Davvero credeva in me? «Io non vorrei toglierle altro tempo, però se fosse possibile glie ne sarei grata! » Stavo accettando la sua proposta, era chiaro. Mi rimisi al suo fianco continuando a passeggiare tra i diversi spazi di Hogwarts. «Stia attento ai rumori, in questo punto, a volte Pix mette qualche trappola che ti fa finire per risultare un pollo appiccicoso o cose simili. Lui mi odia!» Io e quell’essere eravamo il diavolo e l’acqua santa. Mi schiarì la voce, mi morsi il labbro inferiore sul lato sinistro e con la mano destra afferrai il braccio del professore per fermare la sua avanzata e poi parlai a bassa voce «Vorrei chiederle un favore…» Mi guardai un attimo in giro come a controllare che fossimo soli e poi aggiunsi «Potrebbe tenere questa cosa per se?» Parlavo degli allenamenti che mi aveva proposto «Non voflio metterla in difficolta… ma professore…» per un secondo deglutii e poi continuai « Potrebbe non informare il Vicepreside?» I miei occhi scurirono leggermente e morsi nuovamente il labbro inferiore. Si esatto, professore, le stavo chiedendo di non avvisare mio padre.. In velocità aggiunsi «Solo se non è un grosso problema. Non vorrei metterla nei guai!» nessuno sapeva la situazione tra me e il vicepreside e per tutti rimaneva ancora Mio Padre.
    Nel mentre attendevo una sua risposta qualcosa si mosse in lontananza o forse me l'ero solo immaginato. Di fatto impugnai la bacchetta e il mio viso si fece serio, tanto da assomigliare in alcuni lineamenti a mio padre: il Professore White.

     
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    Seth Lennox

    ”Pensare che lei abbia paura di qualche cosa mi fa un pochino strano, sa?” Come avrebbe voluto non nutrire alcun tipo di paure. Invece, disgraziatamente, Seth, aveva provato diverse sensazioni poco piacevoli sulla sua pelle a partire dalla paura dell’abbandono a esso stesso, gettandolo nel più profondo sconforto quando il padre prese la decisione di abbandonare il tetto coniugale alla ricerca di sé stesso. Quante stronzate. Da quel momento non era più riuscito a ricevere sue notizie. Il nulla cosmico, peggiorato da una madre insistente e decisamente troppo libertina per i suoi gusti. La paura di rimanere solo al mondo, quindi, si era fatta largo, lasciandolo in balia a quella consapevolezza che avrebbe dovuto affrontare qualche cosa di più grande di sé stesso. Impegnandosi a fondo era riuscito a ritagliarsi quel posto in quella società complicata, anche solo come un semplice giocatore di quidditch che, a dirla tutta, era l’unica cosa che gli riusciva bene. Stare su quella scopa, dopo un primo attimo di sgomento, quindi, poteva dirsi la sua vita. “Signorina White, le apparenze ingannano a volte.” Grande e grosso? Poco importava. Chiunque possedeva dei punti deboli e, qualche anno prima, anche lui era stato uno studentello senza né arte né parte –non che al momento vantasse chissà quale livello di arte, certo che no-, ingenuo e spaesato. Le sorrise amichevolmente, come se cercasse di svestire quei panni che richiamavano un’eccessiva differenza di ruolo. Quelle diversità, in fondo, non le notava poi così tanto. Molti degli studenti si aggirava sulla ventina, avvicinandosi alla sua generazione e, insomma, proprio vecchio ancora non lo era. Per Merlino, suvvia, sono nel fiore della giovinezza. Beh, più o meno. Dettagli, lasciamoglielo credere.
    Ossa rotte e ricresciute. Quante volte aveva affrontato quel trauma? Talmente tante che, oramai, la considerava un’insana routine. “Da come ne parla sembra aver già provato le brezza di questa esperienza! Sbaglio?” Abbastanza normale in tenere età spaccarsi qualche cosa dopo un colpo di testa fanciullesco. Chi aveva avuto la fortuna di un’infanzia tanto lineare quanto noiosa. Insomma. Almeno una volta nella vita, aggiustare le ossa, doveva essere provato, così da lasciare un ricordo amaro, uno dei tanti che la vita infliggeva a tradimento. “Sentire male è un buon segno.” In che senso? Davvero dispensava massime dall’alto del suo ubriacarsi e correre con le chiappe al vento per l’intero paese? “Indica la certezza di essere vivi.” Magari mutilati ma pur sempre vivi. Che magra consolazione, accidenti.
    Il Quidditch era rischio, pericolo, prontezza di riflessi e velocità. Inutile prendersi in giro ma salire su una scopa poteva dirsi tutt’altro discorso. Fece spallucce, convinto di aver compreso il punto del discorso della Tassa, palesemente spaventata dalla questione che bloccava decine e decine di studenti ogni anno. “Gli standard? Cambiano in base all’obiettivo che si vuole raggiungere!” E il suo non prevedeva qualche cosa che la conducesse lassù con la chiara intenzione di voler rompere l’aria e sfrecciare a destra e a manca. “Potremmo iniziare da qualche cosa di semplice.” Così, andando per gradi, avrebbe potuto maturare una consapevolezza diversa che le sarebbe stata utile per immergersi in quella disciplina che aveva molto da offrire, se affrontata con i dovuti modi. “Provi a vederla così. Le piacciono i tramonti?” Ovviamente sì. A chi non piacevano? Pure a lui. “Potrebbe osservarli da una prospettiva diversa, lassù.” Si era ritrovato spesso a soffermarsi su particolari che, da terra, non si potevano minimamente notare. Che romanticone di un Lennox. Il suo modo di condurre una lezione, poteva essere anche considerato atipico ma, in fin dei conti, come avrebbe potuto convincere qualcuno, affetto da una serie di timori, più che legittimi a provare per lo meno ad avvicinarsi alla disciplina da lui insegnata? Si trovò, quindi, ad utilizzare l’ingegno e quel tanto che bastava della sua immensa fantasia che spesso lo ficcava nei guai.
    La giovane si sporse a controllare l’aula in disuso la quale, a quanto aveva sentito, attirava personalità ribelli al suo interno. Che strano. Ai suoi tempo non aveva dato importanza a quel luogo ma, alla fine, non si era neanche mai preoccupato di nascondersi per mettere in atto le sue cazzate. No. Lui prediligeva la luce del giorno, così, spudoratamente da bravo Grifondoro alla ricerca di quel brivido necessario per affrontare le giornate, caratterizzate dalla stessa, medesima routine. “I Grifondoro. Ricci nelle mutande. Sempre a farsi riconoscere.” Si grattò la nuca, alzando lo sguardo sulla ragazza, come una sorta di dichiarazione di colpevolezza. “Già. Militavo anche io tra le loro fila.” Ammise tra i denti. “Gli anni più belli della mia vita.” Si era formato con le migliori intenzioni, convinto di poter ambire ad un ruolo di spicco, una volta terminata l’età accademica e, in un certo senso, i suoi sforzi erano stati ripagati al cento per cento, spingendolo ad entrare nei Falcons e a raggiungere quell’indipendenza che aveva sempre sognato, così da togliersi dai piedi quella famiglia alla quale non si sentiva membro. “Non lo metto in dubbio. Ero il numero uno a trovare scuse insensate.” E quasi mai credibili. Improvvisare, l’essenza della vita. La sua faccia di bronzo, però, spesso lo aveva salvato da una fine scritta. Certo, non si era mai azzardato a mettere in atto atteggiamenti contrari alla morale, solo ragazzate. Non aveva alcuna motivazione per voler essere espulso, in fin dei conti cosa ci avrebbe guadagnato? Un ritorno anticipato in quella casa di matti? Stupido sì, ma tutto doveva pur avere un limite. “Le piace pozioni?” Materia ostica eppure così amata.
    “Ha cavalcato un Thestral? Senza poterlo vedere?” Un’esperienza singolare. “E ha paura di una scopa?” Domandò, scoppiando a ridere. Pure lui avrebbe avuto qualche problema se messo davanti a un cavallone di grandi dimensioni e obbligato a salirci sopra, senza poter avere un quadro preciso di quali fossero le reali dimensioni. Quelle bestie, poi. Quel brutto muso che si ritrovavano. Beh, sì. Aveva la sfortuna di poterle vedere, per ovvi motivi. ”… ma ho urlato dalla paura.” Beh, si trattava pur sempre di un animale fornito di una volontà propria e, sotto alcuni aspetti, anche abbastanza selvatico seppur docile. “Le credo. Non succede tutti i giorni di poter compiere un’esperienza simile. Non la invidio a dirla tutta.” La mancanza di visuale, rendeva il tutto estremamente più complicato, come se non si potesse avere il controllo di quella situazione. Pessimo modo per approcciarsi al volo, comunque.
    “Ne sono certo anche io. È una ragazza sveglia.” Cercò di consolarla nel miglior modo. Chi, specialmente a quell’età, si trovava libero da dubbi? Solo gli stolti e/o i raccomandati, quelli che dormivano tra due guanciali, sicuri che comunque fosse andata, il loro culetto rosa sarebbe stato sempre parato da papino o mammina.

    “Spero di esserne all’altezza.” Allenare le nuove leve non poteva essere preso sottogamba, dare il meglio sembrava dovuto per assicurare un futuro decente ed era grato che i suoi colleghi fossero preparati a dovere. “Credo che debba lasciarsi andare a nuove esperienze, Signorina White.” Farebbe bene allo spirito. “Se poi non dovesse fare per lei, le prometto che non insisterò ulteriormente.” Croce sul cuore. Giurin giurello ma ora stava a lei metterci la buona volontà. Seth, dal canto suo, non si sarebbe mai permesso di inculcare concetti che non sembravano appartenere alla personalità che aveva davanti. Così avrebbe fatto con Rose. Ci avrebbe provato ma se non avesse risposto nel modo giusto, si sarebbe arreso al fatto che quella non fosse la strada adatta a lei. “Per questo faremo lezioni private. Nessun metro di paragone, nessuna paura di essere giudicata.” Ottima idea, no? Utilizzando quel metodo, nessuno avrebbe potuto esprimere pareri sull’andazzo della ragazza e, quindi, con molta probabilità si sarebbe trovata nella sua confort zone. Forse.
    “Può contare su di me. Senza alcun dubbio.” Annuì con decisione, cercando di metterla a suo agio.
    Pix. Piccolo sciocco burlone. “Perché la odia?” Domandò stupito. Beh, sicuro a quel poltergeist rompiscatole non andavano a genio Caposcuola e Prefetti ma da lì a odiarla? Effettivamente in pochi vantavano la simpatia di quello sciocco, anzi, non aveva mai sentito nessuno parlare bene di lui.

    ”Vorrei chiederle un favore…” Le orecchie di Seth si tesero. Che poteva chiedere la mora a lui? Al di là di ciò che era già stato detto? Chiese di mantenere il riserbo. Un piccolo segreto che non avrebbe fatto del male a nessuno. Forse. ”Potrebbe non informare il Vicepreside?” Suo padre. “Certamente. Farò in modo che non lo sappia.” Anche se nutriva la profonda convinzione che il Signor White, avesse occhi e orecchie ovunque. “Pensa che potrebbe opporsi a questo suo desiderio?” Tante erano le dinamiche familiari che non sarebbe mai riuscito a comprendere a pieno ma, in quel preciso istante, non stava a lui cercare di comprendere quel rapporto come fosse strutturato.
     
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    Rose Mia White

    “Signorina White, le apparenze ingannano a volte.” Rimasi un attimo a fissarlo senza rendermi conto che un piccolo sorriso, di quelli malinconici, si era disegnato sulle mie labbra. Quella frase racchiudeva una verità che valeva per tutti anche se eravamo dei giovani a scuola e per questo a volte gli adulti credevano che la nostra vita era idilliaca e con pochi pensieri. Rose Mia White: calma, silenziosa, ligia alle regole, debole, permissiva e tanto altro ma quello era solo un lato della medaglia il resto era stato ben chiuso con un lucchetto protetto da rigide punizioni come incantesimi e imposizioni altrettanto rigide che avevano tenuto tutto stretto, almeno fino a quell'anno. «Le devo dare ragione professore.» Risposi distogliendo lo sguardo da lui e continuando a stare al suo fianco, camminando con il suo stesso andamento, più o meno. Al Professore non sfuggiva nulla, di fatti notò che la mia risposta sul “rompersi qualcosa” era stata troppo precisa ed anche sentita. Era una situazione facile da cui uscire, in fondo succede di rompersi qualcosa anche con una semplice caduta. «Non sbaglia. Ho provato “l’esperienza” e la definirei orribile.» dissi per poi continuare «Certo il dolore ci fa sentire vivi ma se non le dispiace, preferirei sentire l’odore dell’erba o il vento che accarezza il viso o che ne so l’odore inebriante delle pagine di un libro e dei fiori…» Mi fermai capendo che stavo sognando ad occhi aperti e dopo qualche attimo di silenzio scoppiai in una fragorosa risata senza pensare di essere in una ronda e senza pensare di essere vicino ad un professore. «Mi scusi! Troppo smielato!» Ero consapevole di essere stucchevole a volte e poi era chiaro ormai, gli altri erano bravi a far notare quello che a loro non piaceva. «Comunque, si preferisco sensazioni migliori. E lei?» chiesi con naturalezza pensando a qualcosa che la dolce e tenera Rose di qualche mese prima non avrebbe pensato, chissà forse il professore era uno di coloro che amava il dolore. Di persone e di gusti nel mondo ve ne erano tanti. . Suvvia è sempre un professore ma non un manichino e poi non c’è nessuno, possiamo anche parlare con meno rigidità e chiederci qualcosa in più, forse. La domanda rimase comunque sospesa e nella mia espressione nulla fece trasparire il mio pensiero. Il professore comunque non fu così distante e non mi stava mettendo a disagio di fatti propose la soluzione più semplice e fattibile. Certo lui non poteva nemmeno immaginare che quegli “Standard” per me erano differenti anche nel modo in cui respiravo, ma non sarei stata io a dire nulla. Annuì quando propose di iniziare con qualcosa di semplice e rimasi ad ascoltare il suo discorso sui tramonti. Guardate un pochino, abbiamo un professore romantico? I miei occhi fissavano il movimento del suo viso e chissà per quale motivo mi venne da fare un piccolo sussulto con un mezzo sorriso. “Vedi un po’, esistono anche uomini non… bastardi… del tutto!” Pensai continuando a tenere d’occhio il corridoio che era davanti a noi dopo aver guardato nell’aula in disuso. Il professore rise delle disavventure dei piccoli Grifi che avevo incontrato e non potei fare a meno anche io «Certo, la vedo tra i grifi! Li trovo simpatici anche quando sono nei guai. Certo questo non vale per tutti ma anche tra noi tassi ci sono quelli meno divertenti. Prenda me ad esempio…» dissi come se stessi parlando con un compagno di classe. Non ero certa di come la gente o gli studenti mi vedessero ma non ero certo conosciuta per la mia simpatia e nemmeno per le trasgressioni.
    La domanda dopo mi lasciò un pochino sorpresa ma nemmeno tanto «Si mi piace Pozioni. La trovo una materia interessante anche se preferirei non usare certi ingredienti. Lo trova strano o noioso?» Chiesi riguardo al gusto della materia «Non si preoccupi non mi offendo!» aggiunsi velocemente. «Si, ho cavalcato un thestral… ma all’atterraggio sono quasi svenuta eh…» Il ricordo di David che mi sorreggeva e mi prendeva fra le sue braccia mi apparve all’improvviso nella mente e i miei passi rallentarono mentre il mio viso perse ogni espressione e gli occhi fissarono un punto davanti a me. “Bugiardo!” Il labbro inferiore tremò leggermente, ma deglutì il brutto rospo che si era fermato in gola e continuai. «Per il professore non è bastato…Ho preso Desolante.» Il tono si abbassò «Beh, nella vita solo l’impegno non basta no?» Aggiunsi sorridendo e facendo qualche passetto per andare leggermente più avanti del professore e nascondere le mie espressioni facciali che si erano modificate.
    Ecco l’ennesimo complimento che mi fece voltare di scatto verso il professore «L’ennesimo complimento, Professore! Grazie mille! Vuole che mi monti la testa?» Dissi in tono scherzoso, anche perchè in questo tempo passato insieme nelle lezioni aveva sicuramente ben compreso che non ero il tipo, ma un pochino di autostima non mi avrebbe fatto male.Il discorso virò su di lui e mi rimisi al suo fianco «Certo che ne sarà all’altezza! Non mi dica che ha consumato i complimenti per me e che li ha finiti per lei!» Stavo giocando. Esatto Rose Mia WHite che scherzava con un professore, chi lo avrebbe mai detto.
    Continuai ad ascoltarlo mentre salimmo alcuni gradini, continuando la ronda e cambiando direzione «Si! Mi piace l’idea e ci sto! Proviamoci! Affrontare una scopa sarà più semplice che affrontare un thestral, spero!» Sorrisi ancora mentre l’argomento Pix si svincolò tra di noi «Ci odiamo a vicenda! Vediamo: mi ha ricoperta di una sostanza gelatinosa e appiccicosa, mi ha ca rinchiusa in uno sgabuzziono facendo crollare cose davanti alla porta, aaahhh ha inventato una filastrocca su di me, Può immaginare che non mi ha dedicato una poesia romantica. No, io e quell’essere dobbiamo stare lontani. Quindi comprende che mi odia…» Mi guardai intorno sperando di non vederlo apparire da dietro qualcosa. «Non gridiamo, la prego, che lui è sempre dappertutto.» Conclusi sospirando mentre la bacchetta seguiva i movimenti che le facevo fare con la mano.
    Ed ecco, che il professore fu nuovamente gentile e comprensibile quando chiesi di mantenere quel segreto delle lezioni di volo con TUTTI, compreso il Vicepreside. “Pensa che potrebbe opporsi a questo suo desiderio? ” Pensare? Io non sapevo cosa pensare e tantomeno a cosa pensasse lui. In realtà forse non gli sarebbe importato proprio, e visto quello che mi faceva nelle sue lezioni forse si sarebbe messo in un angolo ad osservare i miei fallimenti nella materia del professore Lennox per poi rinfacciarmeli o elogiare qualcun altro di mia conoscenza. «Non credo, anche se a dirla tutta non lo so, ma vorrei che rimanesse all’oscuro se possibile per sentirmi libera anche da lui così da dare tutta me stessa.» Speravo che come risposta andasse bene perchè in caso contrario avrei dovuto pensare ad altro come scusa e non ne avevo molte nella manica.
    Un attimo dopo un rumore mi fece voltare e una delle torce del corridoio decise di spegnersi. Va bene, non per forza doveva esserci qualcuno ma mai dire mai. Alzai gli occhi al cielo e puntai la bacchetta in quella direzione. «Lei ha sentito o visto nulla?» Chiesi a bassissima voce mentre i miei occhi cercavano di vedere qualcosa o qualcuno. «Forse, me lo sono sognata. Questa parte del corridoio mi mette sempre i brividi con queste poche torce ad illuminare.» Aggiunsi in confidenza, senza accorgermi che nel movimento mi ero letteralmente appoggiata al braccio del professore. Rose cuor di grifone!




    Edited by Rose Mia White - 23/5/2023, 00:40
     
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    Seth Lennox

    La sua vita non era mai stata il massimo. Un padre svanito nel nulla, una madre succube del suo secondo, caro, marito e la sua sorellastra, tutto fumo e nient’arrosto la quale, però, vantava tutte le attenzioni materne che, oramai, non contavano neanche più. Si era ritrovato, da un giorno ad un altro, a doversela cavare con le sue stesse forze, come fosse un bambino sperduto nelle mani di un futuro incerto ma, in fondo, quale poteva essere l’alternativa? Vivere in un nucleo familiare che, palesemente, non riusciva ad accettarlo, etichettandolo come la pecora nera di casa, solo per il fatto che non riusciva ad integrarsi in quella atipica mentalità spacciata dal Signor Rosier, padre della più fortunata Lorelei. Non appena raggiunse l’età, il giovane Lennox, aveva spiccato il volo, abbandonando la sua vecchia routine, alla ricerca di qualche cosa che potesse spronarlo e catturare definitivamente la sua attenzione, trovando così un’opportunità nel quidditch. Tutte queste incertezze, quindi, avevano comunque fatto in modo di provocare in lui timore, soprattutto nei riguardi di ciò che lo aspettava in un domani. Apparenze, quindi. Non bastava la sua stazza da cacciatore provetto e quell’aria da chi credeva al cento per cento nelle proprie qualità. No, per niente.
    ”… la definirei orribile.” Come darle torto. Rompersi le ossa, di certo, non rientrava nelle esperienze che si vorrebbero rivivere assolutamente. Eppure, volere o volare, si era ritrovato innumerevoli volte, disteso su quel fottuto lettino in infermeria a sperare che i suoi arti non subissero danni permanenti. Ahhh, che bei ricordi. La ascoltò attentamente mentre cercava di elencargli tutto ciò che avrebbe preferito al dolore. Sul volto dell’uomo comparve un sorriso sincero. Tutto ciò a cui aveva accennato Rose, da che ne avesse memoria, non era mai stato preso in considerazione da lui. Troppo oggettivo, troppo concentrato sui suoi problemi per fermarsi a godere anche del più piccolo istante di felicità. ”Mi scusi! Troppo smielato!” Si passò una mano tra i capelli, giungendo a grattarsi la nuca. Chi era lui per giudicare se i suoi pensieri fossero davvero troppo smielati? Da quel che poteva osservare, la Tassorosso, appariva come una ragazza sensibile, attenta ai sentimenti altrui ma, in fin dei conti, non possedeva abbastanza informazioni su di lei per sbilanciarsi e quindi? Rimanere sul vago sembrava essere sempre la soluzione migliore. “Non direi.” Esordì con un tono che voleva essere rassicurante ma, allo stesso tempo, anche desideroso di comprendere di più su ciò che aveva appena proferito. “Le piace leggere?” Domandò, semi convinto che la risposta sarebbe comunque stata affermativa. “Mi sta dicendo di essere fan della bene amata primavera?” Che per lui voleva dire solo allergia, Merlino era così ingiusto, per la miseria. ”E lei?” Sensazioni migliori. Cercò rapidamente di scavare nella sua testa, lì, proprio dove aveva archiviato i suoi ricordi più profondi, oramai abbandonati da troppo per essere freschi. Da quando aveva accettato la cattedra di Volo, ad Hogwarts, Seth non aveva troppo tempo da riservare alle attività che, normalmente, trattava prima della sua vita al castello. La sua vita si era ridotta ai minimi termini: lezioni, partire di quiedditch e casa, come un vero uomo pronto a mettere su famiglia. Ma non scherziamo, non sai badare a te stesso! Che triste verità. Si ritrovava solo al suo rincasare ma, nonostante ciò, non riusciva a sentirsi incompleto, avendo costruito mattoncino per mattoncino tutto ciò che era diventato. “Credo di essere una mente semplice, mia cara!” Amara realtà o fortuna? Dipendeva dai punti di vista. “Amo vincere!” Già, forse in maniera del tutto patologica. “Quando la mia squadra vince, beh, sto bene!” Aveva l’idea di essere parte di un tutto, all’interno del quale, ogni membro si trovava al pari dell’altro. Ed ecco il segreto della loro coesione. Il poter contare l’uno nell’altro, senza riserve. Una seconda famiglia che, per quel che gli riguardava, aveva preso il posto di quella ufficiale, spodestandola drasticamente. Da quanto non vedeva sua madre? Mesi? Forse un anno? Visto dall’esterno poteva sembrare un qualche cosa di vergognoso ma conoscere gli avvenimenti, sembrava dovuto prima di esprimere qualsiasi parere. Per questo motivo, il professore, aveva preferito far vivere il prossimo nel mistero, senza raccontare quali fossero le sue origini.
    Lo vedeva nei Grifondoro. E come poteva essere il contrario? Aveva vissuto per quel dannato emblema. Nel bene o nel male, finché morte non li avrebbe separati. Perché, no, anche dopo la chiusura della sua avventura accademica, Seth, non aveva mai smesso di far parte di quella allegra combriccolo e, ancora oggi, dopo tanto tempo, riusciva ad immedesimarsi con i loro modi di affrontare gli ostacoli e/o disavventure sul loro cammino. “Perché dice questo?” Domandò serio. Quella sua bassa autostima urgeva di essere elaborata a tal punto da spingerla al di là di quelle assurde credenze che si era cucita addosso, come se fossero realtà. “Non crede di essere estremamente critica verso è stessa?” Davvero eccessivo. Certo, entrare nelle grazie di tutti non era matematica possibile ma da lì ad affossarsi da soli, beh, ne passava d’acqua sotto al ponte.
    Pozioni? Una bella gatta da pelare. Non aveva mai brillato in quella materia ma, dopo i primi anni, si era abituato a sezionare cadaverini insignificanti e, doveva ammetterlo, mescolare qua e là ingredienti dalla dubbia provenienza, da un certo grado di assuefazione, anche se l’odore che caratterizzava quella dannata aula era, da sempre, nauseabondo. “Affatto. Questa disciplina ha quel non so che di affascinante!” E non sapeva davvero cosa, effettivamente. I suoi risultati erano stati davvero una sorpresa. Nessuna materia aveva lasciato a desiderare e grazie a questo, si era convinto di essere in grado di cavarsela da solo. ”… ma all’atterraggio sono quasi svenuta, eh!” Ahia. Brutta storia. Doveva avere un grandissimo problema con il volo anche se, diciamoci la verità, cavalcare un Thestral non era propriamente la stessa storia. “Sfortunatamente no.” L’impegno era sempre ben apprezzato ma, al contempo, ognuno si trovava a fare i conti con i propri limiti in sospeso. “Però si è messa in gioco. Questo non l’ha resa almeno un po’ fiera?” Avrebbe dovuto esserlo ma un votaccio, spesso, oscurava ciò che di buono era stato estrapolato da una data esperienza.
    ”Vuole che mi monti la testa?” Un po’ di sicurezza in più non sarebbe gustata. “Sa? Non mi sembra proprio il tipo da lasciarsi incantare da qualche lusinga. Sbaglio?” E comunque non avrebbe smesso di dire la sua, anche se questo si fosse rivelato essere una verità scomoda. Ma, fortunatamente, sembrava essere tutto in una linea positiva. “Si goda uno dei mie pochi momenti modesti! Non saranno molti.” Scoppiò in una fragorosa risata.
    “In ogni caso, non sarà sola.” L’avrebbe aiutata a superare le sue paure, con metodi adatti, senza trascinarla con la forza su quel manico di scopa.
    Pix. Solito piccolo stronzetto dall’inquietante senso dell’umorismo. “Sempre stato uno stronzo!” Da quando era ragazzino. Certo, non aveva mai avito modo di divenire una sua vittima ma, per sentito dire, non vi era nulla di simpatico in lui. “Non si preoccupi. Se si metterà sulla nostra strada, assaggerà la mia ira funesta!” Ovviamente stava scherzando, pareva più un cucciolo di labrador per come si presentava ma, con un po’ di impegno, avrebbe tirato fuori il lato più oscuro di sé che già una volta l’aveva tentato.
    Il discorso si spostò sulla sua richiesta di mantenere il riserbo sulle sue lezioni private e, Seth, non poté fare a meno di rimanere dubbioso. “Certamente. Vedrà che sarà fiero dei suoi progressi, alla fine!” Un giorno o l’altro, chissà, anche i cuori di ghiaccio prima o poi si sarebbero sciolti. No? Beh, si trattava pur sempre di White. Nutriva ben poche speranze. Ops.

    La Signorina White si strinse al suo braccio, mossa da quello che era stato un rumore appena percettibile, lascinadolo di stucco. Sì, l’aveva udito indistintamente. Si voltò in quella direzione, preoccupato quel tanto che bastava ma mantenendo la sua solita aria imperturbabile. “Ho sentito.” Forse era stata colpa di qualche animaletto scappato al proprietario. “Che facciamo? Andiamo a vedere?” Domandò retorico, nonostante sapesse che si trattava del suo sporco lavoro. “Spero solo non siano dei ragazzini intenti ad amoreggiare.” Eppure, spesso, accadeva anche quello. “Non vorrei che mi bloccassero la digestione!” Sempre terra a terra.
     
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    Rose Mia White

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    «Assolutamente si. Amo leggere. Adoro immergermi in storie nuove, nuovi posti e nuove emozioni, capire le sensazioni che provano i personaggi e poi imparare cose nuove.»I miei occhi, ne ero certa, si erano illuminati. Era raro per me trovare qualcuno che mi chiedesse qualcosa del genere, cosa potevo amare e cosa no. Mi sentivo strana a parlare di me ma allo stesso tempo mi sentivo entusiasta, avevo mille emozioni. «In realtà, no! Io non amo la primavera. Mi piacciono i suoi colori ma sono un amante dell’inverno! I maglioni che mi avvolgono, il camino, le tisane e la neve. Amo la neve!» E ancora una volta mi sentivo immersa in una sensazione piacevole. Era da tanto tempo che non percepivo nulla di così bello. Mi stava sorprendendo quella nottata, non avrei mai pensato di finire a parlare di me e del professore. Era come se per qualche strano motivo sentivo di poter essere “libera” ma questo non mi traeva in inganno, era un professore e poteva benissimo tradirmi come tutti. I dolori sono lame a doppio taglio possono renderti forte ma allo stesso tempo possono allontanarti dalle persone e renderti attento a quello che dici con chi lo dici. Ero da sempre stata attenta e di brutte esperienze, con dei professori, le avevo avute, eppure il Professore Lennox mi dava una sensazione diversa. Meglio comunque mantenere alta la guardia.
    Non era una cosa brutta avere una mente semplice, se così si poteva definire, anzi meno problemi, meno pensieri contorti e più relax. Mi chiedevo, però, se era davvero come diceva. Avevo imparato che le persone nascondevano bene le parti più profonde e in fondo lo facevo anche io. «Che bella cosa. La vittoria fa felice chiunque no?» Sorrisi anche se io non amavo le sfide e soprattutto odiavo quelle prese in giro tra persone. Ognuno ha i suoi gusti e forse ammiravo anche quella audacia a mettersi in gioco. Si parlava di tutto e sembrava che il tempo avesse deciso di accelerare. Quando il professore notò il mio essere super critica verso me stessa, un piccolo sorriso, di tristezza e certezza, affiorò al lato sinistro della bocca per poi sparire velocemente «Forse…» Aveva ragione ma era quello che da sempre mi era stato insegnato, che non ero mai abbastanza e dovevo andare sempre oltre e questo mi aveva quasi distrutto e mi stava distruggendo. Il discorso si spostò sulla lezione con i thestral e quello che mi disse mi fece riflettere. In quel momento non avevo pensato a quello che potevo provare io anche perchè ero spaventata e poi, ricordavo molto bene le braccia e lo sguardo di David e quello che fece subito dopo. Per un secondo il mio sguardo si rabbuiò e i capelli si scurirono leggermente. Pensare a quel momento mi aveva fatto salire la rabbia e la delusione ma riuscì a controllarmi e a rimanere concentrata sul fulcro del discorso, me. Si perchè quella volta il centro di quel discorso ero io. «Beh… si! Non ci avevo pensato prima di oggi. Non mi sono tirata indietro e… si, forse un pochino orgogliosa di me lo sono.» Non l’avevo mai vista in questo modo, ogni cosa che non riuscivo o che sembrava andar male era un qualcosa che mi criticavo e che non era abbastanza. Guardai per un attimo il professore come se mi fossi bloccata nei miei pensieri ed era così. Distolsi lo sguardo e continuai a camminare parlando con lui. «No. Ha ragione, non sono il tipo.»Certo che non lo ero, fino a quel momento avevo sempre pensato il peggio di me stessa come potevo mai cedere a delle lusinghe? E in quel momento non credevo nemmeno di poter avere a che fare con qualcuno, un amico o chiunque esso sia. “In ogni caso, non sarà sola.” Mi fermai e non feci un altro passo «Non lo dire…» la voce divenne seria e diedi del tu al professore «Tutti coloro che mi hanno detto questa frase mi hanno abbandonata. Ho imparato che bisogna contare su se stessi e se poi qualcuno vuole aiutarci lo fa senza promesse.» Non abbassai la testa e lo sguardo guardava dritto verso il professore. Presi fiato ed aggiunsi «Mi scusi per il tono che le ho rivolto. La ringrazio e mi metterò in gioco insieme a lei.» Non ero sola? davvero? Eppure lo ero, lo ero da quasi un anno ormai. Il sorriso ritornò alla battuta del professore su pix, e il mio viso si addolcì ancora una volta. Non risposi sulla questione di mio Padre, non potevo rispondere e non sapevo nemmeno se ancora lui volesse chiamarsi tale nei miei confronti.
    Quel rumore mi fece sussultare e fare un gesto improvviso. Appena il Professore rispose mi spostai con velocità senza aggiungere nulla su quel movimento. «Si, certo! Andiamo a vedere.» L’affermazione dopo del professore mi fece ridere ma bloccai la risata per non sembrare troppo sfacciata. Io, invece, speravo che fosse così e non qualcosa di più ”grave”. Con la bacchetta in mano mi mossi in avanti senza troppo timore ma in allerta. Camminando nel corridoio, con la luce che fuoriusciva dalla punta della bacchetta mi diressi verso la torcia spenta e in quel momento che la luce vece chiarore su due figure. Prima che parlasse il professore dissi «Chi c’è? Vi vedo che siete li. Suvvia…» era inutile nascondersi ormai vedevo bene le due figure. In quel momento divenivo sempre molto seria e il mio viso, a detta di qualcuno, assomigliava a quello di mio Padre in alcuni lineamenti. Qui si notava che non ero, come molti mi definivano, debole e paurosa ma sapevo qual era il mio posto. Un ragazzo e… una ragazza. Chissà forse aveva ragione il professore. «Ragazzi venite avanti…Sono Il Caposcuola White…» Certo, come al solito ero io a dovermi avvicinare. Non annunciai il professore ma ormai la mia bacchetta illuminava molto bene i volti dei due studenti, un ragazzo e una ragazza. Un Serpeverde e una Corvonero.
    «Bene! Sentiamo le vostre scuse.» Rimasi tranquilla ma la bacchetta era alzata e solo per un secondo mi voltai verso il Professore illuminando il suo viso completamente. Gli occhi dei ragazzi si spalancarono «White, non rompe…» la frase si bloccò e chiuse la bocca «Professore! Noi… ecco…» disse in maniera stupita e veloce la corvonero. Mi feci leggermente di lato e lasciai spazio al Professore Lennox. Abbassai leggermente la bacchetta per inquadrare i loro abiti, ed erano con delle borse di stoffa e sembravano essere piene di qualcosa, anche le tasche dei due erano leggermente gonfie. Alzai un sopracciglio e poi fissai i due per qualche attimo e lasciai spazio al professore. «Si Doyle, non sono sola a “rompere”.» Precisai con tono serio ma tranquillo verso il serpeverde.


     
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    Seth Lennox

    La osservava in silenzio mentre, con estrema semplicità, andava ad illustrare quali fossero i suoi interessi principali. Gli occhi già di per sé chiari della Tassorosso si illuminarono, come se non fosse abituata a dare voce a quelle sue personali verità. Seth, quindi, decise di non interrompere quel flusso di pensieri, lasciandola sfogare ed analizzando punto per punto le informazioni che l’avrebbero aiutato a conoscere meglio la giovane donna accanto lui. Leggere. Un hobby molto interessante al quale si sarebbe volentieri dato se avesse avuto più tempo anche solo per tirare un sospiro di sollievo. E invece no. Lavoro, quidditch e dormire, potevano dirsi le attività principali dell’ex Grifondoro. Vita caotica e, per quanto fosse appagato, mancava qualche cosa per dirsi completo. “Quali autori predilige?” Domandò, così da eludere quel tempo dedicato al loro dovere. Certo, sarebbe stato meglio fare conversazione davanti a una tazza di buon caffè. Una dose di caffeina non si rifiutava mai, in fondo. Peccato per le circostanze ma, doveva ammetterlo, poteva andargli molto peggio e finire a fare compagnia a quel simpaticone di Pix, durante la sua ronda in solitaria. Sì, gli era già capitato di essere tampinato da quel fastidioso poltergeist e non ne era uscito sano di mente. Continuava a camminare, annuendo di tanto in tanto, seguendo il filo del discorso che, ancora, fortunatamente, non era andato ad esaudirsi, creando quei vuoti che tanto lo preoccupavano. Sì, non era un amante del silenzio. Mai stato. Viveva nel caos, lo stesso che riusciva a conciliare il disordine che aveva dentro sé da che ne avesse memoria. “Sono più tipo da estate.” Ma comprendeva a pieno la preferenza avanzata dalla Caposcuola. In molti prediligevano le temperature artiche e umide. Brutta storia, visto e considerato che giocando in qualsiasi condizione metereologica, aveva imparato a tollerare pro e contro di ogni stagione. Ma l’estate, era pur sempre l’unico periodo dell’anno che lo sollevava da quegli incarichi gravosi e, per certo versi, così pressanti da togliergli il fiato. “La neve ha un certo fascino.” Doveva ammetterlo, l’atmosfera natalizia gli riportava alla mente alcune scene di vita di quando era ancora un bambino, inesperto e ignaro del destino che, di lì a poco, lo avrebbe investito malamente, senza lasciargli scampo. “Il Natale. La famiglia.” Amareggiato, lasciò scivolare quei ricordi, confinandoli da qualche parte nel suo profondo. Trasalì quando si accorse di essere stato risucchiato dalle sue problematiche, assentandosi dalla realtà per qualche istante più del consentito. “Mi scusi. Penso poco ma quando lo faccio è un vero disastro” Cercò di sdrammatizzare con il suo solito modo di fare fanciullesco e ingenuo. Una maschera vera e proprio che, giorno dopo giorno, lo proteggeva da scomodi avvenimenti. Le regalò un sorriso, volto a rassicurarla. Come già detto: Seth Wyatt Andrew Lennox, altro non era che una mente semplice, terra a terra, senza filtri.
    “Direi di sì.” Affermò con certezza. La soddisfazione di portarsi a casa una vittoria, ora come sempre, restava la sensazione più intensa mai provata in vita sua. “A me un po’ di più!” Scherzò apertamente. Mettersi in gioco, senza dubbio, faceva parte della sua tormentata natura e ciò avrebbe voluto lasciarlo in eredità alle giovani menti, abituate ad avere tutto senza il minimo sforzo. “Dietro ad ogni vittoria, vi si nasconde un lavoro infinito.” Nel quidditch come nella vita in generale e, per questo motivo, aveva deciso di insegnare in quella scuola. Non che avesse le possibilità di cambiare quel mondo, per molti versi, marcio ma ci avrebbe provato ad apporre dei miglioramenti. Tassello dopo tassello, forse, avrebbe potuto comunque affermare di aver dato un contributo utile alla causa. “E vedrà che anche per lei sarà così.” L’avrebbe aiutata nel suo tentativo di approccio verso la materia da lui insegnata ed iniziare con il piede giusto, pareva assolutamente necessario per assicurarsi un clima disteso, fondato sulla fiducia.
    Si distrasse per un istante, colto in fallo da un rumore sordo lontano che, probabilmente, altro non era che una porta sbattuta dal vento. Niente di grave e comunque non sarebbe tornato sui suoi passi, ancora una volta, per tornare indietro verso cosa? No. No. Troppa fatica, non scherziamo. Comunque, la serietà prima di tutto, la stessa utile per apparire saggio e buon dispensatore di consigli a quella che contava sul suo aiuto. “Vede? Basta osservare le cose dalla giusta prospettiva.” Bastava quello? No, sicuramente no ma era pur sempre un buon inizio, no? Andiamo. Un po’ di ottimismo.
    ”Non lo dire…” Arrestò il movimento e con esso anche il resto della farse che stava per portare a compimento. La mora gli aveva appena dato del tu spiazzandolo e non per il fatto in sé che, al contrario, gli fece piacere ma per il tono lapidario utilizzato per bloccarlo sul nascere. Abbassò lo sguardo e sospirò, consapevole di possedere un’esperienza molto simile a quella della ragazza. “Posso capirla.” Piatto. Calmo, senza enfasi. “Conosco bene la sensazione, sa?” Di merda. “E non si deve scusare per essere stata sé stessa.” In pochi erano in grado di esserlo, soprattutto davanti a coloro che, all’interno del castello, rappresentavano l’autorità assoluta.

    Ed ecco il disastro annunciato. Il rumore, non il gesto della Tassorosso che non passò inosservato al docente, portandolo a sorridere. “E ti pareva.” Commentò quasi infastidito dal fatto che non fosse andato tutto liscio. Anche quella sera, qualcuno, sarebbe finito nei guai e tutto con la solo forza delle loro manine pallide e stupide. Assurdo. Si posizionò davanti alla White, facendo da scudo con il suo corpo, preparato al peggio. Era pur sempre un fottuto cavaliere. Ed eccole, due ombre sul muro, indistinte. Due sciocchi alla ricerca di guai seri, insomma, mai una gioia. Ma che avevano di così importante da fare? Ah, ok. Forse aveva compreso la natura del loro incontro clandestino. ”White, non rompere…” Da quell’atteggiamento poté constatare di non essere ancora entrato nel suo spazio vitale e, così, neanche nel suo campo visivo. “Diceva, Signor Doyle?” Domandò, incupendosi e dando a Cesare quel che è di Cesare. Il suo ascendente sugli studenti non poteva essere messo in discussione da un povero idiota e, d’altra parte, lo stesso non poteva neanche prendersi la libertà di blaterarle in quel modo nei riguardi della Tassorosso. “Chieda, immediatamente, scusa alla Signorina White che sta conducendo egregiamente il suo dovere. Lei ha tenuto una condotta stupida. Lei e nessun altro. La colpa è solo sua e dell'irresponsabilità che pervade la sua testa.” Bacata per lo più. Gli conveniva non opporsi al suo gentile invito, altrimenti lo avrebbe punito personalmente, costringendolo a un allenamento speciale in compagnia della Wheeler –quella era matta quando si trattava di quidditch-. “Una lingua tagliente.” La sua razza preferita. “Mi dica, Rose…” Questa volta si prese quella confidenza che, fino a quel momento, aveva evitato per non metterla a disagio. “Secondo la sua esperienza, questi due, per quale motivo si trovano fuori dai loro letti.” Mille e più motivazioni potevano spiegare quella condotta deplorevole ma, forse, i due avevano solo intenzione di pomiciare fino al vomito. Bleh. Braccia conserte, gambe leggermente divaricate. Con la sua prestanza fisica bloccava la loro strada. “Allora? Cosa diavolo ci fate qui? Il coprifuoco è scattato da un bel pezzo!” Scuse su scuse. “Mi raccomnado, Signorina. Annoti le loro fandonie sulla lista delle cose che non mi interessano!” Sempre comunque simpatico doveva risultare, con quella sfumatura altamente ironica che nonostante la ramanzina, ancora, non si avvicinava all’essere odioso.
     
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    Rose Mia White

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    La ronda continuava e inaspettatamente aveva preso una piega interessante. Mi sentivo a mio agio e non giudicata, parlare con il professore Lennox non era così male. Eppure a lezione mi sembrava così distante dal mio mondo di studentessa oppure ero io ad essere troppo spaventata da volo da non notare la vera essenza di qualcuno.
    «Oh... leggo tantissimi autori diversi. Non so se ha mai sentito parlare di Cornerio. E' un'autore stregone che scrive delle poesie particolari. Quando si legge una sua opera si inizia a percepire un odore ben preciso che dovrebbe portarti "all'interno" della poesia con l'olfatto. Oppure Charles Collinge: ha scritto diverse opere dei suoi viaggi magici, raccontando posti meravigliosi sia del nostro mondo che dei mondo dei babbani. Le sue descrizioni sono magnifiche e racconta tutto come uno romanzo avventuroso.» Ecco, mi stavo perdendo nell'immenso mondo dei libri, per fortuna mi ricordai di essere a scuola e tornai alla realtà interrompendomi e lasciando spazio anche al professore. «Lei ne conosce qualcuno in particolare?»
    In un battito di ciglia il discorso si spostò sulle stagioni. Era bello perchè non avevano un filo da seguire ma si parlava del più e del meno e questo non succedeva spesso nella mia vita. "Sono più tipo da estate" disse il Professore. I miei occhi si fermarono per qualche istante su di lui e la mia mente lo immaginò abbronzato. Mi schiarì la voce e scossi leggermente il capo "Ma cosa diavolo vado a pensare! " Mi ripresi e annuì alle sue affermazioni anche se, almeno per me, il natale non significava famiglia dalla morte di mia madre, anzi era solitudine e malinconia, eppure trovavo sempre un modo per essere felice di quel meraviglioso periodo. Lo vidi cercare di recuperare una situazione particolare e mi chiedevo cosa mai potesse passare nella sua testa «No, Professore... Non le permetto di prendere il mio primato in pensieri disastrosi!» Mi voltai verso di lui con il mento alto, lo sguardo socchiuso e l'indice destro alzato verso il soffitto. Poi aprì un occhi e feci un mezzo sorriso continuando a guardarlo mentre il mio nasino si arricciava leggermente rendendo il mio viso dolce e buffo allo stesso tempo.
    Si passava da un argomento all'altro senza problemi e parlando di "vittorie" mi sembrò quasi che i suoi occhi si illuminarono, ma forse fu solo un impressione. «lo credo bene! Ogni vittoria ha bisogno di tanto impegno!» Aggiunsi prima della sua frase rivolta a me. Feci un sorriso tranquillo e risposi «Mi impegnerò...» ma non assicuravo una vittoria nel mio caso.
    Un attimo dopo il momento di relax si stoppò per una frase detta da me in sua risposta. Rimasi ancora più sorpresa della sua reazione. Avevo usato il "tu" con un professore e non solo lo avevo interrotto "bruscamente". Era uscita così naturale quell'affermazione e per la prima volta dopo tantissimo tempo mi sentivo davvero me stessa, senza che qualcuno mi giudicasse per ogni minima cosa, ed era ancora più strano perchè era con un Professore che stava succedendo ciò. La sua risposta a tutto questo fu calma e comprensiva e per un istante mi sembrò quasi in sintonia con la stessa mia linea emotiva. Alzai la testa e il mio sguardo si posò su di lui, la mia intenzione era chiedere scusa, come facevo di solito, ma non mi uscì nessuna sillaba se non un leggero e sottile «Grazie!»

    Continuammo nella ronda fino ad imbatterci nei due "trasgressori della notte". Quando mi feci avanti e vidi i due in volto con la luce che fuoriusciva dalla punta della mia bacchetta non ne rimasi sorpresa. Ed ecco il fare da "stupidino" di Doyle ma questa volta cascò male, perchè si fece avanti il Professore e per la prima volta vidi i loro sguardi pietrificati. Dovetti quasi trattenere una mezza risata per quelle facce. Il Professore stava davvero chiedendo a un serpeverde di chiedere scusa a me, una tassorosso per di più caposcuola? Rimasi seria ma con la coda dell'occhio guardai il volto del professore, "accidenti che cambio di espressione repentino" pensai restando al mio posto. Sussultai leggermente quando venni interpellata e mi misi in ascolto. Osservando la borsa che avevano e conoscendo i soggetti avevo una mezza idea. Stavo per provare a rispondere quando la domanda gli fu posta a loro e i due iniziarono ad arrancare scuse come: "volevano fare quattro passi, oppure che la luna quella sera era troppo bella..." e tante altre. Quasi mi facevano tenerezza ma feci un passo avanti e aggiunsi io «Sono quasi sicura, che la signorina Ling volesse aiutare il signor Doyle nel ripassare pozioni...» e lo sguardo si posò sulle loro borse di tela. Erano conosciuti per la fama di stare sempre più tempo insieme e rubacchiare ingrediente dall'aula di pozioni per creare intrugli che solo loro potevano sapere a cosa servissero. Avevo già interrotto, altre volte, il loro "giochetto". Feci segno con lo sguardo ai due e mentre la corvonero si limitò a dire di si con la testa, il serpeverde fece lo spiritoso dicendo che l'unica che doveva ripetere qualcosa ero io. Rimasi un secondo a bocca aperta e poi mi voltai al Professore «Io c'ho provato! Le suggerisco Professore di controllare le loro borse, sono certa troverà ingredienti presi al professore di pozioni... e non sarebbe nemmeno la prima volta!» Ero stufa dei loro atteggiamenti da galletti del pollaio. Avrei dovuto sentirmi in colpa ma non provavo nulla se non rabbia. Non era il momento che la rabbia prendesse il sopravvento e così mi fermai un secondo e cercai di liberare la mente e allontanare quel sentimento, in fondo era solo il solito sbruffoncello che alzava la cresta. Adesso restava tutto nelle mani del Professore e speravo che parlasse il prima possibile a quanto sembrava in questi momenti se qualcuno mi distraeva dai miei pensieri funzionava a calmarmi. Mi girai leggermente con il busto verso il Professore Lennox attendendo una sua risposta.



    Grazie per avermi aspettato <3
     
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    Seth Lennox

    Le ronde in compagnia non erano poi così male. Il tempo fluiva più rapidamente e pattugliare quei corridoi bui sembrava meno inquietante di quel che era realmente. Dovere. Sottrarsi avrebbe voluto dire mancare ai suoi obblighi di professore e di adulto, con gravi conseguenze sul suo curriculum personale. Mai. Non solo quel lavoro gli serviva ma, allo stesso tempo, gli piaceva a tal punto da aver pensato di abbandonare il suo posto in squadra per dedicarsi esclusivamente all’insegnamento. Un cambiamento radicale, certo, ma se fosse giunto a quella conclusione sarebbe stato solo dopo aver ponderato attentamente. Continuò ad ascoltare le parole della studentessa, osservandola di tanto in tanto per studiare le sue reazioni scaturite dall’argomento trattato. Libri. Non era mai stato un grande lettore. La mancanza di tempo non aveva contribuito alla sua concentrazione. Il lavoro, il quidditch, la casa e le relazioni interpersonali, quindi, ricoprivano i primi posti nella lista delle priorità del trentatreenne. “Mi trova impreparato sulla materia.” Ammise a malincuore, scuotendo il capo con aria teatrale. Fingere non sarebbe servito a nulla, soprattutto quando si parlava di poesia. Andiamo, guardatelo in faccia. Gli appassionati di poesia si prodigavano per amore o cazzate di quel genere. Ma lui? Con quella faccia da schiaffi, non sarebbe stato neanche lontanamente credibile. Al contrario di Rose, probabilmente. Dalla sua espressione denotò un profondo attaccamento verso quel genere di mondo e, per un istante, si ritrovò a sorridere davanti a cotanta genuinità. Un’innocenza rara. Pochissime anime si potevano considerare ancora candide, salve dall’oscurità. O forse no. Tutta apparenza. Chi poteva poi dirlo? Spesso quei visini dolci e innocui, si rivelavano i peggiori. “Il quidditch attraverso i secoli.” Affermò con la solita enfasi che metteva quando si parlava del suo sporto preferito. Da quel libro aveva imparato molto, anche i particolari più insignificanti che, comunque, proprio inutili non erano mai stati. Dalle confidenze trapelate, Seth, notò quanto fosse opposta rispetto a lui o, forse, si trattava solo della sua giovane età. Tempo al tempo. “Non c’è tempo per pensieri disastrosi.” Notò il suo tentativo di dissimulare un disagio che, però, non si azzardò ad approfondire. Forse aveva a che fare con la sua famiglia? Il suo passato? Che l’ex grifondoro fosse un gran chiacchierone era risaputo ma da lì ad entrare in dinamiche che non gli competevano, con il rischio di gettare benzina sul fuoco, beh, ne passava. Aveva imparato a sue spese a farsi i cazzi suoi. Tenere per sé quesiti che non avrebbero contribuito alla causa avrebbe evitato silenzi imbarazzanti e il desiderio di scomparire sottoterra. Insomma, un occhio di riguardo ci voleva sempre nello scegliere l’approccio verso il prossimo, a maggior ragione se si trattava di una ragazza della quale non poteva conoscere i tratti principali del suo carattere. Fortunatamente l’atmosfera si smorzò, lasciando scivolare via il velo di difficoltà che si era interposto a causa dell’argomento precedente. “Può dirlo, signorina White!” Faceva strano rivolgersi a lei con quel nome che tanto ricordava suo padre. I lineamenti della ragazza, infatti, ricordavano vagamente quelli del vice preside e non ne fu affatto sorpreso. Smise di fissarla, così da non sembrare un fottuto pazzo e tornò a rivolgersi ad un punto non ben definito davanti a sé, fino quando piombarono di nuovo nel disagio. La confidenza che si prese non lo infastidì, piuttosto sollevò delle perplessità che non avrebbe potuto comunque risolvere al momento. Si irrigidì, sperando che quella crisi giungesse al termine il prima possibile e così fu. Si mostrò comprensivo, senza fare leva su una potere che poteva essere tranquillamente accantonato. “Non si preoccupi. Va tutto bene!” La rassicurò a bassa voce, come fosse un suo qualsiasi amico, intento a supportare quella caduta. Il tutto durò poco. Un rumore sordo ruppe quello pseudo silenzio, facendoli trasalire. Inaspettato. Qualcuno aveva appena preso la bizzarra decisione di sfidare l’autorità. Si trattava senza dubbio di qualche principiante, neanche in grado di prestare attenzione a dove ficcasse i piedi. “Principianti.” Ahhh beh tempi i suoi quando, circondato dai suoi più cari amici, si addentrava in luoghi proibiti. Bei ricordi. Indelebili anche se lontani. I loro pallidi volti spaventati lo divertirono anche se, da un lato, avevano appena creato una crepa nel suo tanto amato equilibrio. Il viso del professore divenne serio, inchiodando sul posto i due trasgressori ora un po’ meno sgalletatti. Presero a propinare scuse su scuse, come se a loro fregasse qualche cosa della motivazione per la quale avevano appena disatteso le loro aspettative. “Me la mettete sul romantico? Peccato che non attacchi con me.” Poco ma sicuro. Si trattava palesemente di cazzate buttate lì per colpirli al cuore e passare per quelli dalle buone intenzione. Rose si fece avanti, prendendo le redini di quella situazione che, fosse stato per lui, sarebbe degenerata in meno di un secondo. Li stava scusando? Che aveva in mente? Forse di provare con le buone maniere di far confessare il loro reato? Il suo sguardo si posò sulle borse salde tra le mani dei ragazzi. Fu chiaro che il tentativo della Caposcuola non andò a buon fine. “Apri! Senza fare storie.” Il teatrino si continuò per qualche minuto e poi, finalmente, si decisero a mostrare il contenuto delle loro borse. Seth si appropriò di una fiala di non sapeva cosa e la fece girare tra le dita. “Domani mattina faremo visita al professor Fletcher. Tutti insieme. Vi mostrerete profondamente rammaricati per la vostra condotta da imbecilli e, forse, la storia sarà chiusa qui!” Nessuna risposta. Proprio quello che voleva. “E ora vi scorteremo nei vostri dormitori.” Lapidario. L’allegra compagnia prese a camminare e una volta aver fatto tornare ogni uccellino nella propria gabbia, fu il momento del congedo anche da parte sua. “Buonanotte, signorina White.” Sospirò educatamente. “La ringrazio per la compagnia. Le manderò un gufo per informarla quando il campo sarà disponibile per le nostre lezioni private!” Le posò una mano sulla spalla in segno di incoraggiamento e, con un sorriso, la lasciò nei pressi delle cucine, sulla via di “casa”, scomparendo nella penombra del sotterraneo.

    Conclusa.
     
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