Lift me up. Harry - Africa

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    Skylee Metis

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    Il caldo afoso del Nord Africa continuava a provocarmi non pochi fastidi, mi sentivo debole ed esausta nonostante a parte l'esplorazione del fondale marino il resto della giornata era passata all'insegna della tranquillità. La professoressa Holm ci aveva mostrato come montare tende da campeggio babbane e come accendere un fuoco ed entrambe le spiegazioni erano state realmente molto interessanti, anche se, quando era stato il momento di provare in solitaria a montare quelle dentro le quali avremmo dormito quella notte, avevo finito per imprecare solamente e rimandare il suo montaggio a più tardi, possibilmente oltre l'orario di lezione, in modo da potermi affidare comodamente alla mia fedele bacchetta di biancospino per risolvere il problema. Ammiravo i babbani per certe loro invenzioni ma erano così dannatamente complicate che al terzo piolo in ferro che invece che piantarsi nel terreno mi sfuggiva miseramente di mano finendo da tutt'altra parte avevo finito per decidere che il campeggio babbano non sarebbe mai stato il mio punto di forza. Con il fuoco era stato tutto molto più facile essendo per lo più una tecnica rudimentale priva di strani aggeggi che come unica funzionalità parevano avere il potere di confondermi. Da prima non ero riuscita nemmeno a far comparire una scintilla, ma poi, osservando attentamente la tecnica della professoressa con la quale faceva roteare il bastone fra le mani con veloci movimenti precisi, avevo finito per assimilarla e durante l'ultimo tentativo prima di concludere la lezione ero riuscita a far accendere un bel fuocherello zampillante. Me l'ero cavata con un accettabile e vista la mia scarsa media in materia non potevo affatto lamentarmene, ma non appena la lezione si era confusa mi ero gettata sotto una delle docce poste sulla spiaggia per crogiolarmi un po' sotto la loro acqua ghiacciata, che con mio enorme disappunto avevo scoperto non essere poi così ghiacciata per colpa del sole che per tutto il giorno aveva riscaldato le tubature a vista, obbligandomi ad accontentarmi di una normalissima acqua tiepida. Ci rimasi sotto per circa un minuto cercando di riportare la mia pelle ormai sicuramente ustionata dal sole a una temperatura normale, anche se, in cuor mio, sapevo benissimo che con ogni probabilità di lì a poche ore avrei cominciato a sentirmi male come succedeva ogni qual volta che rimanevo troppo a lungo sotto il sole per un motivo o per quell'altro. Decisi però di pormi il problema solo quando si sarebbe presentato e nel mentre la mia missione sarebbe stata soltanto una. Rompere le scatole ad Harry fino allo sfinimento per farlo tornare ad essere il solito Harry antipatico e presuntuoso, perché quello attuale, un po' depresso e musone, proprio non gli si addiceva. Lo cercai con lo sguardo sulla spiaggia ma non lo trovai da nessuna parte e ciò mi lasciò immaginare che doveva essersi già rintanato nella sua tenda solitaria e piuttosto distante dalle altre, più o meno quello che io avrei deciso di fare una volta montata la mia, ma se per me sarebbe stato assolutamente normale, essendo di base solitaria e schiva, per il Barnes non lo era affatto. Lui era quello che stava sempre al centro dell'attenzione, era il giullare di corte con la battuta affilata sempre pronta, quello molesto e sbruffone, non il solitario chiuso in sé stesso. Feci un piccolo pitstop per recuperare il mio zaino e mandar giù la fialetta di pozione della pace che ormai assumevo un paio di volte al giorno e poi mi diressi senza attirar troppo l'attenzione degli altri verso la tenda di Harry, dove dopo averla aperta ci gettai dentro il mio zainetto nella speranza di beccarlo sul muso lungo che si ritrovava quel giorno. Dopo pochi istanti seguii all'interno della tenda il mio bagaglio è senza troppi complimenti mi scrollai la testa a mo di cane bagnato schizzando acqua ovunque. Fastidioso, vero? Lo speravo proprio in effetti, anche solo un po' di rabbia mi avrebbe fatto credere che il buon vecchio Harry aveva qualche speranza di tornare dal mondo dei morti. «Fuori ci sono almeno una decina di ragazze mezze nude e tu ti chiudi qui solo soletto?» Chiesi con fare provocatorio sedendomi non troppo distante da lui a gambe incrociate. «Un po' deludente....» Scherzai poi infilzandogli ancora una volta il fianco con le dita per infastidirlo. La verità era che mi dispiaceva vederlo così. Era sì uno stronzo pieno di sé con svariati problemi riguardanti gli spazi personali, ma persino lui non meritava di venir trattato come in passato lo avevo visto trattare il prossimo e per quanto in una visione utopistica del futuro questo gli sarebbe potuto servire di lezione per imparare ad essere una persona leggermente meno di merda, doverlo vivere era comunque ingiusto, soprattutto perché ci si trovava dentro solo per colpa di uno dei drink del Wonderland, visto che da normale, per quanto Marcel potesse avere il suo sex appeal da stravagante ragazzo senza peli sulla lingua e un provocante stile di vestiario, dubitavo il serpeverde ci avrebbe mai provato con lui. «Come stai?» Domandai poi seriosa con un tono decisamente più premuroso e preoccupato ritraendo la mano fino a portarmela in grembo. «Non mi piace vederti stare così...» Continuai abbassando la voce nel caso qualcuno fosse passato nei pressi della tenda per curiosità o puro caso. Quello che gli stavo dicendo volevo restasse tra noi, cosicché una volta usciti da lì saremmo potuti tornare a prenderci a parolacce mentre ci scambiavamo gestacci di dubbio gusto.

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    Certo che le lezioni al castello erano pesanti, costretti com’eravamo a studiare dalla mattina fino al tardo pomeriggio cinque giorni su sette, senza contare gli allenamenti di quidditch; era dunque sorprendente che, proprio quella giornata tanto attesa – che sarebbe dovuta essere di grande svago per noi rispetto al quotidiano – mi lasciasse molto più spossato del solito. Ero del tutto certo che, appena poche settimane prima, mi sarei divertito un sacco in quelle circostanze (era pur sempre la mia prima gita fuori porta, e in mezzo a tante belle ragazze seminude per giunta, le quali forme avevo solamente potuto immaginare fino a quel momento), ma il mio status sociale attuale mi impediva del tutto di farlo; non avevo mai creduto all’esistenza mistica del karma prima d’ora, ma dovevo ammettere che, viste le ultime circostanze, doveva aver fatto il suo corso, e anche di brutto, nel restituirmi come continue badilate in faccia tutto il bullismo che avevo commesso in passato; o forse, molto semplicemente, chi si era sentito preso di mira da me in passato, adesso ne approfittava rincarando il carico di merda nei miei confronti ad ogni occasione disponibile. Non avevo mai avuto problemi per farmi detestare a morte, anzi, in tutta sincerità, suscitare quelle emozioni negli altri mi piaceva; un modo come un altro per sentirsi influente, per lasciare il segno, per avere un ruolo anche nella vita delle persone più distanti da me. Insomma: “amami od odiami, in ogni caso fammi sentire importante”. Ed era proprio per questo motivo che quel cambio di rotta risultava così rumoroso: il mio carattere espansivo e fastidioso si era forzatamente rabbuiato, rendendomi più taciturno e solitario, mentre il ruolo che avevo sempre avuto al castello aveva ceduto il posto a quello opposto, portandomi a essere preso di mira anche da quelli che avevo reputato precedentemente i più sfigati di tutti; doveva essere per loro davvero una bella sensazione, avere finalmente il coltello dalla parte del manico. Ma prima o poi sarebbe tornato tutto alla normalità, e gli avrei fatto pagare ogni singola mancanza di rispetto; perché doveva tornare tutto alla normalità, giusto? Non poteva durare per sempre. Il mio posto nel mondo non era quello di sfigato ciucciacazzi, ma di leader naturale. Dovevo solo scoprire chi fosse stato a girare quel filmino del cazzo che ora girava nei telefonini di tutti quegli sporchi mezzosangue o sciocchi babbanofili di sorta che fossero in possesso di una di quelle diavolerie. Se ne avessi avuto il potere, avrei fatto in modo di farle esplodere tutte nel giro di un battito di ciglia. Era sempre colpa dei babbani: se solo il mondo dei maghi non si fosse sporcato in quella maniera imbarazzante, non si sarebbe posto neppure il problema…

    Montare quella tenda senza magia era stata una reale rottura di cazzi, senza contare il fatto che non fosse incantata all’interno: e come diavolo ci sarebbe dovuto stare un letto matrimoniale, lì dentro? E il tavolo con le sedie? E uno straccio di frigo bar? C’era appena lo spazio vitale per due, senza potersi concedere “pazzi movimenti” tipo, che ne so, ballare da ubriachi o improvvisare un’orgia di gruppo. Certo che ad alcuni frocetti, ultimamente, si sarebbero fiondati senza neanche chiedere il permesso… invero, era stato uno dei tanti motivi che mi aveva spinto a montarla così lontana rispetto alle altre: avrei soffocato il malintenzionato facendo molto meno rumore. Incredibile aggiungere anche che di provare a ospitare qualcuno del gentil sesso non ne avessi la minima intenzione: in quei giorni avevo il cazzo più moscio di una banana andata a male, visto l’umore costantemente sotto le scarpe. Un bel peccato davvero, visto che una situazione del genere non mi si sarebbe ripresentata tanto presto (forse per giunta non prima dell’estate), ma davvero l’idea non mi passava neanche per l’anticamera del cervello. Finita la mia cena in solitaria, pensavo soltanto a voler chiudere gli occhi dopo un’ennesima giornata da dimenticare.
    Peccato che qualcuno non volesse lo stesso.
    – OUCH, Cristo, ma che cazzo è??! – esclamai dopo che un oggetto non meglio identificato mi venisse lanciato in piena faccia con violenza, rischiando seriamente di scompormi il setto nasale.
    Qualcuno doveva essere palesemente stanco di vivere.
    Stavo giusto per uscire dalla tenda col pugno stretto, quando mi sbucò davanti qualcuno che decisamente non avrei potuto picchiare. Che peccato. Dopodiché si mise a scrollare la bionda criniera come un cane bagnato, spingendomi a pararmi il viso con le braccia, che comunque non mi impedirono di infradiciarmi per quella che doveva essere la millesima volta durante quella giornata del cazzo, di cui ero sempre più stufo. Sicuro mi sarebbe venuta qualche malattia africana prima di andarmene
    Non contenta, poi, prese il suo ditino da pianista per infilarmelo a fondo nel fianco. Di nuovo. – Se non la smetti di allungare le tue pallide falangi nella mia carne sai dove te le ficco? – la minacciai afferrandole l’indice e stringendoglielo nella mia grossa mano. Forse un po’ troppo forte. – Oggi ti sei proprio decisa ad interpretare il ruolo della mosca tse-tse, non è vero? – Le dissi, allentando piano la presa sul suo dito prima di abbandonarla del tutto. – Beh, comunque almeno tre quarti di loro sono delle rotte in culo. Te compresa. – ci tenni a sottolineare, avvolgendo morbidamente le braccia attorno alle mie ginocchia: un gesto involontario di chiusura che quel giorno avevo utilizzato un bel po’ di volte. – Deludente come il tuo costume, comunque: chi sei, nonna Petunia? Neanche mia madre ne usa di così – la stuzzicai senza neanche metterci l’intenzione: per una volta, non ero interessato alla sua presenza come a quella di nessun altro. – Sto che ho un prurito cane in questa terra di merda – borbottai grattandomi infastidito la parte superiore del braccio sinistro. A saperlo prima, mi sarei munito di qualche crema insetticida o cose del genere.
    Poi una frase – pronunciata a bassa voce – che mi stupì: «Non mi piace vederti stare così…»
    Serrai le mascelle, distogliendo lo sguardo verso una fiammella blu all’interno di un barattolo trasparente, che avevo intrappolato e messo in un angolo per farmi un po’ di luce. – Da quando ti importa di come sto, eh? – risposi dopo un po’, senza riuscire a bilanciare la voce in modo che non risultasse troppo brusca; non che m’importasse, alla fine. Il pensiero svettò alla sera di San Valentino e al suo comportamento innaturale, unica nota positiva di quel ricordo che, per il resto, avrei solo voluto cancellare. E forse avrei cercato il modo…
    – Mi spieghi perché mi hai quasi spaccato il naso col tuo zaino? Non vuoi che rubino il prezioso bottino che hai all’interno o hai intenzione di tediarmi fino a domattina? –


     
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    «Che tu stia capendo finalmente l'importanza di tenere le mani al proprio posto?» Domandai sarcastica allargando un grande sorriso compiaciuto alla volta del Serpeverde per avergli dato scacco matto, essendo lui il primo che di solito non sapeva tenersi le mani in tasca e che anzi, a ogni occasione buona tentava di allungare su di me o su di altre incurante dello spazio privato altrui. Tali iniziative lo avevano sempre portato a finire molto male, almeno quando si riguardava di me, perché per le altre non mi sentivo di parlare, soprattutto perché a qualche stupida gallinella quel comportamento pareva addirittura piacere, altrimenti la sua popolarità sotto le coperte delle ragazze di Hogwarts non si sarebbe spiegata, dubitavo usasse ancora la carta del ragazzo interessante e piacevole che aveva usato al tempo con me, anche perché nel caso avrei potuto sfotterlo in maniera ancor più colorite per il sui scarso repertorio d'abbordaggio. «Mi fai male» Sibilai fredda riprendendomi dopo pochi secondi il dito, con l'esattezza solo dopo che il ragazzo ebbe deciso di allentare la presa della sua grande mano che non avrei mai detto essere così forzuta. Ahia. Quando era diventato uno schiacciatore di dita agonistico? «Non lo confermo e non lo nego» Feci spallucce con tono lacunoso rispondendo all'accusa di essere, quel giorno, particolarmente molesta nei suoi confronti. La verità? Nemmeno io sapevo bene perché mi indisponesse tanto il suo recente umore. Mi nascondevo dietro il fatto che si trattasse unicamente dei miei doveri di Caposcuola/babysitter di casi disperati, ma la verità era un'altra ed era difficile spiegarla persino a me stessa. Forse era in parte merito della mia fonte di serenità quotidiana che in un qualche modo mi spingeva a mettere davanti i sentimenti positivi a quelli brutti e negativi che ero solita provare, in fin dei conti quello era letteralmente uno degli effetti per la quale la pozione veniva usata più spesso ed io ora ne dovevo solo assaporare la leggerezza, ma non era solo quello, non poteva essere solo quello. La pozione era forte sì, ma senza un briciolo di sentimenti positivi suoi quali basarsi dubitavo sarebbe riuscita a sortire un simile effetto e ciò significava che una piccolissima parte di me provava realmente pietà nei confronti di quello stronzo che ora si vedeva restituire solamente la moneta che per tanti anni aveva utilizzato con chiunque, me per prima. «Il tuo genere di Donna preferita insomma...» Sorrisi sprezzante alludendo al fatto che più facili erano da portarsi a letto e più lui era solito frequentarle con quell'unica intenzione. «Non mi includere nel club però, grazie» Io non ero per nulla una di quelle ragazze facili, anzi, ero difficilissima. Da conquistare, da apprezzare, da sopportare e più importante fra tutto da far aprire sentimentalmente o beh, sessualmente. Non era un segreto e nonostante alcune voci di corridoio mi vedessero soggetta a nomignoli strani, la mia vera indole era ben lontana da essi, non mi sarei definita una rigida o una puritana, ma non ero mai stata nemmeno quella che si concedeva al primo che capitava, anche se, soli pochi mesi prima, ero venuta meno a questa mia abitudine per finire sotto le coperte assieme al lussurioso Bulgaro che ora frequentavo. Lì qualcosa mi era sfuggito di mano, dovevo ammetterlo, ma era solo l'eccezione che confermava la regola, non certo l'abitudine. «Eww... sei solito guardare con occhi languidi persino tua madre? Porco...» Lo provocai fingendo di ritrarmi di qualche centimetro nonostante le minuscole dimensioni della tenda mi impedissero di farlo realmente. Come facevano i babbani a vivere senza incantesimi di estensione? Come facevano ad avere tutti i confort dei quali potevano necessitare quando si ritrovavano a campeggiare in mezzo alla natura? Non vivevano veramente senza tutto ciò, vero? «Guarda che fra noi due il primo che ha inziato a fare lo stronzo mi pare sia stato tu...» Ammisi allargando gli angoli della bocca in una strana smorfia infastidita. Io non avevo mai iniziato a fare la stronza con lui, mi ero solo adeguata a quanto da lui deciso nell'esatto momento in cui aveva deciso di andare a letto con la mia compagna di dormitorio dopo che avevamo cominciato quella che al tempo consideravo come una sorta di frequentazione. Mi stupiva quanto rancore riuscissi ancora a provare di tanto in tanto nei suoi confronti nonostante i lunghi anni di separazione, anche se, probabilmente, erano stati proprio quei lunghi anni senza vederlo ad aver bloccato in un qualche modo il tempo, come se durante tutto quel periodo io non fossi riuscita ad assimilare mai quanto accaduto perché impossibilitata ad avere un confronto col ragazzo. «Non saprei, dipende quanto ci metti per deciderti a parlare, io di certo non demordo... sul serio... come stai?» Ripetei questa volta più seriosa cercando di entrare nel suo campo visivo nonostante sembrasse star facendo di tutto pur di non guardarmi, preferendo di gran lunga la fiammella balaustra all'interno del barattolo posto al suo fianco. «Lo sai vero che se ti ritenessi instabile o pericoloso per gli studenti del castello dovrei fare rapporto alla direzione? Mh?» Sussurrai con tono confidenziale come a metterlo in guardia su quanto sarebbe potuto accadere se si fosse lasciato andare ancora una volta a uno scatto di ira come quello che aveva avuto nel bagno del locale. «Non lasciare che questa stronzata rovini tutto ciò per il quale abbiamo faticato in questi mesi...» Entrambi ci eravamo dati da fare per garantirgli il passaggio di anno e innumerevoli erano stati i pomeriggi durante i quali eravamo stati chini sui libri in un equilibrio precario di sopportazione reciproca, che, quando si concentrava anzichè fare il coglione, non era mai stata nemmeno troppo difficile da raggiungere, non poteva quindi mandare tutto a puttane così come se nulla fosse. Non glielo avrei permesso dopo tutto l'impegno che pure io ci avevo messo.

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    Edited by Skylee. - 18/3/2023, 01:08
     
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    – E questo era il primo avvertimento; vediamo se arriverai al prossimo – sibilai scazzato; non volevo farle davvero del male, ma in quel periodo gli istinti del mio corpo mi precedevano. Più del normale, s’intende. Cercare di infastidirmi in quella fase della mia vita era senza dubbio l’atto più stupido che ci potesse essere (basandoci ovviamente sul fatto che fossi la persona più importante al mondo); la biondina in quanto a furbizia perdeva sempre più punti, non c’è che dire. Perché, , cazzo se la mia irascibilità crescente si notava. Tutti avevano visto come avevo spinto malamente quel tassorosso che si era apprestato a volermi aiutare nell’intento di piantare quella stupida tenda; senza magia sembrava un maledetto cubo di Rubik, per non parlare di quei paletti che non si volevano ficcare a dovere sul terreno; il danno era che più la cosa non mi riusciva, peggio mi scappavano le cose dalle mani, facendomi imprecare i quelle che sembravano sette lingue diverse. Avevo fatto scendere tutti i più grandi stregoni morti dal paradiso nell’arco di mezz’ora. Ma il mio orgoglio esagerato mi impediva di accettare qualsivoglia tipo di aiuto, specie quando l’intera scuola mi trattava come se non avesse mai avuto un’opinione talmente bassa di me; fu per questo che, dopo averlo spinto, la rabbia mi accecò talmente da puntargli il paletto al collo, con tanto di martello al seguito a minacciare di piantarglielo dritto al centro del collo. Dovettero dividerci e, solo dopo ciò, decisi che la cosa più giusta da fare fosse piantarla ai piedi di un albero, rigorosamente all’asciutto. Lì nessuno avrebbe potuto rompermi i coglioni, se non chiunque avesse avuto la minima voglia di morire male.
    E quindi chi altri se non la bionda più furba che l’Africa avesse temporaneamente adottato? Per giunta non negava il fatto di star facendo di tutto per scaturire in me una qualsivoglia reazione; ma di che genere la voleva? Era pronta a sorbirsi le conseguenze? Io non credo.
    – Forse ti sfugge il significato di rotte-in-culo, confraternita della quale saresti naturalmente a capo. Ma non sarò io a spiegartelo. – mi tolsi le scarpe una dopo l’altra, facendo per distendermi; con quel gesto le avrei dimostrato quanto poco fossi incline alle chiacchiere quella sera, preferendo mettermi a dormire piuttosto che starla a sentire. La guancia umida schiacciata contro l’avambraccio, chiusi perfino gli occhi; li sbarrai di colpo, però, quando sentii la parola più off limits di tutte le parole off limits. – NON. PARLARE. COSÌ. DI MIA MADRE! urlai a pieni polmoni, sbattendo il pugno talmente forte da far tremare il barattolo con fuocherello blu. Ci mancava solo che cadesse e incendiasse l’intera tenda.
    Strinsi forte le palpebre, ficcandoci contro anche i polpastrelli per massaggiarle verso l’esterno; dovevo assolutamente darmi una calmata, o sarebbe successo qualcosa di veramente spiacevole prima delle luci dell’alba successiva. – Non mi piace quando viene nominata mia madre. Non farlo più. – mormorai a voce più tiepida, cercando di recuperare un minimo di controllo. Quella donna era una mia chiara debolezza, ma quel giorno era solo un motivo come un altro per farmi implodere.
    “Uno stronzo come te…”, sì, lo hai già detto. Vuoi anche ribadirlo? Prego. – con un gesto incoraggiante della mano le feci segno di ripetere le testuali parole che aveva pronunciato all’inizio di quel pomeriggio. – Non mancherei a nessuno, eppure non sembri poter vivere senza di me ultimamente – se me l’ero attaccata al dito? Ovviamente sì. Avrei tenuto bene a mente quelle parole finché avesse campato. – Ma analizziamo bene la questione: quando avrei iniziato a fare lo stronzo con te, e per quale motivo? Ti concedo di argomentare – era ormai chiaro che non mi avrebbe lasciato in pace molto presto, quindi tanto vale incalzarla con l’obiettivo ultimo di farla volare autonomamente per altri lidi. – Ti manca il tuo bulgaro, eh? È stato lungimirante a non venire. Ma io non sono il suo sostituto, e non ti scalderò in questa magica notte africana, che di tutto necessita meno che di essere riscaldata. Vai a fare del pigiama party col tuo club di rotte-in-culo, cazzo ne so… – agitai la mano rivolto all’ingresso della tenda, invitandola per l’ultima volta a farmi aria. Gesto inutile come qualunque sforzo gli sarebbe succeduto.
    E così mi lasciai andare all’indietro, col cuscino di fortuna che avevo improvvisato ad attutire il colpo alla mia nuca, portandomi un braccio piegato contro la fronte specularmente alla piega della gamba opposta, il piede che batteva un ritmo nervoso.
    – Come credi che stia? Direi che è chiaro a tutti. – ammisi con arrendevolezza, senza però darle la soddisfazione che cercava: voleva che le dicessi che stavo male. E ne avrebbe goduto, ne ero certo.
    Lasciai andare un soffio di risa quando andò a toccare quello che, probabilmente, era il punto saliente della questione. – È per questo che sei qui, eh? Per minacciarmi. – mi tirai nuovamente a sedere per fronteggiarla in quel poco spazio che avevamo a disposizione. – Vuoi andare a raccontare al vicepreside che sono un ragazzo brutto e cattivo che tratta male i suoi compagnetti che a loro volta lo trattano come un cane??! – sibilai, fissando su di lei gli occhi scuri ridotti a due fessure. – Non sono innocenti come non lo sono io. Anche il pollo dei polli ora ha l’opportunità di girare il coltello nella mia carne senza difficoltà, e ti assicuro che l’hanno colta tutti alla grande. – la rabbia stava impennando nuovamente, facendomi arrossare lentamente in volto. – Per cosa abbiamo faticato, Skylee? Mh?? Per la bella spilla appuntata sul petto che ti piace tanto vantare?! Quando ti ficcherai in testa che non sono il tuo cagnolino e che non ho la benché minima intenzione di trasformare la mia presenza al castello in uno sporco tassello per la tua scalata sociale?! Per farti bella davanti ai professori e continuare a ricevere onori? Non sei nessuno senza quella spilla, e non lo sei neanche lucidandola e indossandola. Sei solo un paio di tette e un bel culo con la sfortuna di essere attaccati a un corpo dalla bocca troppo larga. – parole che mi ero evitato di pronunciare per tutto quel tempo, ma che ora sgusciavano fuori dalle mie labbra come un fiume in piena. Le mie pupille si muovevano a destra e sinistra nel cercare di cogliere nei suoi occhi un barlume di dolore o di vergogna, o persino di rabbia; ne avevo le palle piene di lei, e se in quel momento avesse voluto ricambiare il confronto non mi sarei tirato indietro. E a fanculo i buoni propositi.


     
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    Skylee Metis

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    Le urla di Harry giunsero così inaspettate che la prima cosa che mi venne in mente di fare fu quella di castare un silenzioso Muffliato sulla tenda per evitare che altri le udissero, ma poi mi fermai a riflettere sul perché fosse scattato così improvvisamente su una battuta che non era poi nemmeno tanto offensiva o stronza. Sua madre. Mi ero dimenticata di quando ormai svariati anni addietro, durante un pomeriggio di tenue sole primaverile passato all'ombra di un salice nel cortile di Hogwarts, Harry si era lasciato andare a una sincera confessione su quanto fosse legato a sua madre e di quanto poco lo fosse invece con suo padre, che considerava uno stronzo prepotente. Me lo ero dimenticata, era passato così tanto tempo che la mia memoria aveva archiviato tale informazione in un piccolo cassettino impolverato del cervello che per troppo tempo era rimasto chiuso e sigillato, ma ora lo ricordavo e mi dispiaceva che pensasse che la mia intenzione fosse quella di offenderla, perché la mia voleva essere solo una battuta scherzosa atta a tirarlo su di morale, ma era evidente quanto profondamente avevo fallito nel mio intento. «Perdonami... io... non ricordavo di te e tua madre, non volevo offenderla...» Ammisi con una vocina flebile e sincera, ma quello che disse poco dopo mi fece ribollire letteralmente il sangue nelle vene. Avrei dovuto tirargli un pugno in pieno volto, o magari sarebbe stato meglio picchiarlo in testa con un qualche oggetto più duro e solido come poteva ad esempio essere il vasetto luminoso magicamente incantato e tanto meglio se nel farlo si fosse rotto e gli avesse sfregiato quella gran faccia da stronzo che si ritrovava, ma invece nulla, ero serena, tranquilla e solo dispiaciuta che fosse così saturo di prese in giro e sfottò da dover rigettare il tutto su di me aggredendomi in un modo tanto banale quanto scontato che però non poteva rispecchiare il vero. Più volte gli avevo intimato di tenere le sue viscide mani al proprio posto e non sarebbe stata di certo quella la sera durante la quale avrei preferito avere le sue mani a sfiorare le mie forme di donna piuttosto che quelle di Axel. Poteva star soffrendo, sì, ma ciò non gli consentiva di aggredire me per star meglio lui e se solo la pozione della pace non mi avesse reso momentaneamente un docile agnellino comprensivo la mia risposta sarebbe arrivata forte e chiara addosso a lui, più precisamente con l'ausilio della mia testa premuta con forza contro il suo naso, così, giusto per ricordargli che la confidenza che potevamo aver avuto un tempo non era più tale da permettersi certe uscite, ma invece tacqui. Tacqui e lo scrutai silenziosa soppesando fra me e me fino a che punto poteva meritarsi simili angherie rivolte alla sua persona. In seguito alla festa erano girate molte voci e persino un video che ero però piuttosto certa non provenisse da Axel, visto che il suo avevo provveduto a eliminarlo personalmente, ma cosa più importante fra tutte, letteralmente chiunque ora si sentiva in diritto di importunarlo con ripetute battutine e frasi di scherno solo perché ora quello debole era lui. Si diceva che ciò che si semina si raccoglie, ma nessuno avrebbe mai dovuto raccogliere tanta cattiveria, né seminarla, era chiaro, ma amavo pensare che dai propri errori ci si potesse sempre migliorare e forse per quanto tutto questo sarebbe stato per lui orribile, alla fine gli avrebbe insegnato qualcosa di buono. Ero quindi giunta alla conclusione che non trovavo né giusto né carino come le persone lo avessero preso di mira e mi dispiaceva per lui, soffriva, era evidente e come sempre accadeva, quando qualcuno soffriva io non riuscivo a restare impassibile, non riuscivo a ignorare la sofferenza altrui e mi sentivo quasi in dovere di tentare di migliorare le loro condizioni. «Cosa? Io non ti stavo minacciando» Pigolai offesa con tono basso e dispiaciuto. Era davvero sembrato quello ciò che sottilmente gli avevo voluto lasciar intendere? Diamine, quel giorno non riuscivo nemmeno per sbaglio a farmi capire da qualcuno. «I-io io non..!» Protestai venendo ancora una volta zittita e interrotta per farmi abbaiare addosso così tanta merda che non potei fare altro che prendermela silenziosamente addosso. La cosa peggiore? Molto di quello che aveva detto era vero. «Io non intendevo minacciarti, e non parlavo della mia dannata spilla. Stupido. Parlavo del fatto che per mesi e mesi ti sei messo di impegno, anzi, ci siamo messi di impegno per garantirti il passaggio di anno cosicché non fossi relegato assieme a degli stupidissimi ragazzini del terzo anno, cazzo Harry, davvero hai pensato che la mia intenzione fosse quella di minacciarti piuttosto che metterti in guardia su quanto sarei costretta a fare controvoglia qualora succedesse qualcosa di brutto?» Sbottai perdendo qualche briciolo di calma gentilmente offerta dalla pozione della pace. «È vero, io sono solo la mia spilla, ok? Non ho altro e quindi? Se la mettiamo in questi termini pensi sul serio che sarei felice di dover ammettere che non sono stata in grado di tenere a bada l'animo di un Serpeverde incazzato con il mondo intero?» Forse così lo avrebbe capito, non mi aspettavo comprendesse che non era solo quanto inerente alla spilla a spingermi a farlo, tanto più una sincera preoccupazione per il suo stato pietoso, ma immaginavo potesse bastare per quella sera. «Rispondo io per te, certo che no! Preferirei di gran lunga vederti felice di quanto ottenuto e deciso a impegnatri alla faccia di quei coglioni che danno solo aria alla bocca. Non voglio che sprechi questo privilegio che ti sei tanto guadagnato, non ci vedo nulla di male in questo» Se l'incanto da me stessa lanciato non avesse fatto da barriera tra noi e il mondo esterno ora chiunque avrebbe potuto udire le mie esauste urla. Io sul serio ero nulla senza il mio distintivo di Caposcuola? Faceva dannatamente male anche solo pensarci, ma forse il ragazzo aveva ragione e per quanto il mio interesse per le sue sorti fosse reale, a spingermi a provarlo poteva davvero essere il fatto che tutto ciò che mi importava era legato alla mia carriera scolastica, perché di fatto non avevo nient'altro? La lista di persone che avevo perso o che mi avevano abbandonata era immensa, prima mia madre, poi mio padre e dopo di lui le mie migliori amiche, le mie sorelle che mai avrei creduto mi avrebbero lasciato da sola, poi Christian, Rose e persino Axel che per me era forse l'unica altra cosa importante nella mia vita in quel momento, di tanto in tanto, spaventato da un sentimento che non era pronto a provare o da solo Merlino sapeva cosa, continuava ad allontanarmi e a tenermi a debita distanza per evitare di -come diceva lui- farmi del male, procedendo così da solo in questioni dannatamente cruciali per la vita di entrambi. Potevo capirlo, lo comprendevo eppure per quanto cercasse di non farmi del male il risultato spesso era l'opposto, per quanto lo sentivo vicino, intrinseco alla mia persona, lo sentivo anche distante, lontano e faceva male, così male che mi sarei voluta strappare via la carne di dosso per far volar via, libera nel vento, la mia stessa essenza così da non provare più nulla, perché più mi aprivo con le persone e più continuavo a farmi del male e mi convincevo sempre più che forse, stare da sola per sempre non sarebbe stato poi tanto peggio.
    Mi stesi senza preavviso alcuno lungo l'irregolare superficie della tenda ad occhi chiusi e pancia all'in sù e cominciai a pensare a quanto vuota mi sentissi e da quanto tempo provassi questa orribile sensazione. Troppo. Senza ombra di dubbio troppo tempo. Mi ero chiusa così tanto in me stessa che ormai il mio mondo gravitava unicamente attorno ad axel che era la parte più piacevole e alla mi scalata verso il successo in quei di Hogwarts. Un piacere effimero e materiale che dentro mi lasciava pur sempre desertica e impaurita, impaurita da quanto avrei potuto fare e vivere se solo non fossi stata tanto timorosa di rimanerci male ancora una volta. Io non ero così, io ero solare, estroversa e allegra, lo ero stata, avevo provato l'ebrezza di vivere in quella pelle per un po' di tempo ma poi tutto mi era scivolato dalle mani ed era caduto a terra infrangendosi per sempre. «Quello che ho detto oggi a lezione non lo pensavo...» Sussurrai improvvisamente ad occhi ancora chiusi cercando di immaginare nella mia testa il limpido cielo stellato al di fuori della tenda per calmarmi. «Non penserei mai una simile cosa di nessuno, spero mi crederai... era solo una battuta la mia, volevo punzecchiarti come faccio di solito per farti distogliere l'attenzione da ciò che stavano dicendo gli altri, ma ecco, con senno di poi avrei potuto dire altro...» Non mi scusai direttamente, troppo orgogliosa per farlo, ma tentai a modo mio di spiegarmi e sperai tanto che ciò bastasse perché dentro di me si abbetteva già una tempesta e non sapevo se sarei stata in grado di sopportare altro. Strinsi ancora più forte gli occhi e lo stesso feci con le mani strette a pugni lungo il mio busto, immobili e serrate come a tentare di trattenere un qualcosa che sarebbe voluto strisciare fuori dal mio corpo, un'ulteriore brandello di me che cercava disperato di abbandonare quella nave che da tempo non faceva altro che imbarcare acqua, prossima ad affondare.
    Nel silenzio della sera un rumore d'acqua che picchiettava timida sull'impermeabile tela della tenda riempì il piccolo riparo e ancora silenziosa e turbata non potei fare a meno di domandarmi se fossi io l'artefice di tale improvvisa pioggia, o se invece era solo il cielo a sentirsi particolarmente triste, me lo chiesi ma non riuscii a darmi una vera risposta e me lo continuai a domandare ancora e ancora in un loop infinito. Era colpa mia?

    ★ ★ ★
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    Edited by Skylee. - 22/3/2023, 22:25
     
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    «Perdonami… io... non ricordavo di te e tua madre, non volevo offenderla…» mi voltai verso di lei per osservarla dritta in volto: volevo decifrare subito se, dalla sua espressione, stesse dicendo il vero. La ragazza aveva abbassato il tono di voce talmente tanto che riuscii a sentirla appena pronunciare quelle deboli parole di scuse. – Non fare la vocina mugolina con me, bionda: non attacca – perché era questo che intendeva fare con quegli occhioni da cucciolo di foca monaca, no? In realtà non mi fregava nemmeno quanto il suo tono di voce sembrasse modulato in modo realisticamente sincero: ero troppo arrabbiato in quel momento per accettare le sue inutili scuse. Sicuro che non lo ricordavi. Scommetto che, in verità, non ti ricordi un bel niente. – ovviamente mi riferivo a un paio d’anni prima, prima che venissi espulso. Prima che la tradissi e che smettesse quasi di guardarmi in faccia. – Ricordi solo un dettaglio, non è vero? L’unico che ti interessa davvero, poiché ti permette di avere la scusa sempre pronta per portare avanti quel solito atteggiamento da serpe nei miei confronti – io, almeno, ero sempre simpatico con lei. Tendenzialmente. Beh, prima di quel periodo di merda… certo, col nuovo obbligo che aveva di farmi da controllore fisso aveva ricominciato a parlarmi e, suo malgrado, di passare ore intere del suo tempo insieme a me, ma non perché lo volesse o le facesse piacere. Tutt’altro. E ci teneva a dimostrarmelo sempre, facendosi beffe di quel detto che dice che “il tempo cura le ferite”, perché sembrava aver solo aumentato il suo astio. Ma c’era una novità: la mia condizione attuale aveva ridotto la mia la labile pazienza ai minimi storici, e non avevo più la minima voglia di sopportarla, né di stare a sentire le sue stronzate acide. che lo stavi facendo, invece. Lo fai continuamente. A volte sembra che tu non voglia farmi neanche respirare, fottuto Merlino! – la molla era ormai saltata ed ero appena entrato in modalità berserker. Skylee cercava di interrompermi, ma non glielo permettevo: avevo un bisogno impellente di sputarle in faccia tutto quello che pensavo di lei e della sua patetica vita. In quel momento, infatti, guidato dalla rabbia, tutti i miei pensieri si erano impegnati per raccattare ogni dettaglio brutto di lei per dipingerne il ritratto peggiore in modo da picchiarlo con rabbia ripetuta senza la minima esitazione. Volevo che soffrisse, sì, per le parole che stavo pronunciando senza il benché minimo uso di filtri inibitori, che bene o male mi avevano guidato fino a quel momento, complici anche i ricordi che avevano visto una nostra vicinanza passata, e il fatto che non mi dispiacesse poi l’idea di riuscire ad arrivare fino infondo a un qualcosa che, tempo addietro, era troppo poco disinibita da concedermi. La bionda si era però impegnata a mostrarmi i suoi lati più antipatici recentemente, permettendo alla mia rabbia di attecchire attaccando le radici delle debolezze che più recentemente mi aveva mostrato; eppure, non osai parlare di sua madre, o della sua famiglia in generale. Quello era un colpo basso che lasciavo a lei soltanto. Controvoglia? Cazzo, ma chi credi di prendere in giro, Métis??! Tu mi vuoi fuori da quella scuola più di ogni altro: lo volevi in passato e lo hai ottenuto, ma l’unica cosa che ti impedisce di scatenare i tuoi pom pom alla volta della mia possibile espulsione è proprio la perdita della tua spilla. Mi odi. Lo sanno tutti. E non potrebbe essere più chiaro di così. E ora sei qui per prenderti gioco di me e farmi sentire debole – quello, alla fine, era il sunto di tutto. Era solo una dei tanti che sguazzava delle mie recenti difficoltà. Difficoltà che tutti sapevano bene non avessi mai affrontato, ma non per questo non avevo le spalle abbastanza grandi per sopportarlo. Non per questo dovevano pensare di potermi calpestare. Perché l’effetto sarebbe stato quello di una caccabomba o, peggio, di un bel bombarda a seconda del caso. «È vero, io sono solo la mia spilla, ok? Non ho altro e quindi? Se la mettiamo in questi termini pensi sul serio che sarei felice di dover ammettere che non sono stata in grado di tenere a bada l'animo di un Serpeverde incazzato con il mondo intero?» a queste parole mi zittii immediatamente, incredulo nel vederla davvero rimuovere elmo e scudo per lasciarsi trapassare volontariamente dalle mie ingiurie come nulla fosse. Quello era un comportamento a cui non ero abituato, tanto da lasciarmi abbastanza perplesso. I miei tratti, infatti, si rilassarono molto lentamente nello sciorinare del suo discorso. Si stava arrampicando sugli specchi? O parlava sul serio? Il cervello mi diceva di non abbassare la guardia, che fosse un nemico; che fosse una bugiarda. Le sue lodi riguardo al mio impegno didattico era però qualcosa che mi colpiva profondamente, essendomi state rivolte solamente da lei fino a quel momento. Per tutti ero un coglione figlio di papà, ma lei sembrava davvero credere nelle mie doti. “Ma no: sono solo il risultato di quello che lei percepisce come il suo, di impegno, e per questo se ne vanta. Sì, è per forza così… pensai fra me e me, prima di vederla pian piano rabbuiarsi.
    Qualche momento di silenzio, prima che mi venisse naturale corrucciare le sopracciglia e poggiarle una mano sul polso come a volerla scuotere. – Skylee? – tentai, ma parve ignorarmi. La sua testa sembrava essere finita da un’altra parte, forse in seguito alle mie parole tanto brusche.
    Dopo un po’, decisi che quel silenzio fosse terribilmente dolce e degno di essere assaporato, così tornai a stendermi osservando il soffitto della tenda, in attesa che l’automa si sbloccasse per poi andarsene. Sbarrai gli occhi di colpo, però, quando quella decise di distendersi a sua volta accanto a me, mettendomi profondamente a disagio. Sì, non pensavo che mi avrebbe fatto quest’effetto, ma dopo il modo in cui mi aveva infastidito quel giorno e quello che ci eravamo detti…
    Tossicchiai nello sforzo personale di dissimulare quel leggero imbarazzo che stavo provando, incerto se fosse il caso di spingerla con violenza fuori dalla tenda o di… consolarla? Cazzo, questa stava quasi per mettersi a piangere! Per così poco???!! Oh, non farmi sentire un mostro Métis….
    Mi morsi con forza il labbro inferiore, tentando di allungare un braccio consolatore verso di lei, ma finii per ritrarlo quasi subito. Cristo, non ero bravo in quelle cose. Se pensava che mi sarei scusato si sbagliava di grosso, orgoglioso com’ero. E poi le pensavo davvero, quindi perché ritrattare…?
    «Quello che ho detto oggi a lezione non lo pensavo…» deglutì in risposta a quella frase, che si ricollegava così inquietantemente al mio pensiero. ”Non mi sentirò in colpa!”, lottai con me stesso, intenzionato a non voler ricambiare quel passo che la bionda stava facendo verso di me. Dopotutto sì, era giusto: era lei che doveva scusarsi, mica io…
    «Non penserei mai una simile cosa di nessuno, spero mi crederai... […] con senno di poi avrei potuto dire altro…» “tipo cosa, ad esempio?” pensai sarcastico, ma preferii rimanere nel mio silenzio. Quella ragazza era peggio di un confundus dopo una dura giornata; come quella che era stata, d’altronde. Non era nella mia natura non sapere come comportarmi in una qualsiasi situazione: ero quello con la risposta sempre pronta. Ma non ero neanche abituato a fare discorsi così intensi con qualcuno, preferendo di gran lunga dedicare al mio tempo al divertimento di ogni sorta, e portare ogni situazione in caciara.
    Solo in quel momento notai un tamburellamento dal ritmo causale contro il tessuto della tenda, che lo attutiva dolcemente. Mi voltai così a guardare fuori: stava piovendo. Però, che cazzo di tempismo. E ora come si toglieva dalle scatole? Abbassai gli occhi su di lei, con lo sguardo ancora assente. La osservai per un momento, mentre ero certo che non ricambiasse il mio sguardo, e notai la tristezza nei suoi occhi. Le viscere, allora, mi si contorcerono: non ero uno che si faceva problemi a far star male le persone, anzi, era quasi una sorta di divertimento malsano per me; ma essere costretto a sorbirmi il suo stato lugubre mi infastidiva e non mi faceva star bene, soprattutto quando il mio umore – realizzai – non doveva apparire poi tanto diverso dal suo, visto dall’esterno.
    Senza preavviso allungai una mano verso il suo volto e le premetti leggermente la punta del naso con l’indice sinistro. Boopemisi quel verso stupido nel tentativo di spezzare quell’aria grigia e farla voltare verso di me. – Hai visto? Hai fatto persino piovere. – indicai fuori, per poi farmi ricadere il braccio lungo il fianco, mentre il mio corpo era rivolto direttamente a lei, il palmo a reggermi il capo reso particolarmente selvaggio dalla salsedine di mare. Mi concedetti un momento di pausa per recuperare tutte le buone intenzioni del mondo, per poi procedere il maniera apparentemente opposta: – Sei anche noiosa, sai. Invadente. E così fastidiosamente perfettina. Per non parlare del tuo senso del pericolo totalmente mancante… per cui a volte credo che tu sia profondamente idiota. Oh, credo che la lista sarebbe infinita… – sì, sì, so cosa state pensando: ma Harry, davvero non hai un briciolo di umanità? Ma dovete capirmi: per far uscire qualcosa di vagamente buono da me, dovevo bilanciarlo con qualcosa di cattivo. – … però sei anche piena di risorse e buone intenzioni. Ironica, a tratti brillante: sai sempre qualcosa che nessun’altro sa, facendo sentire tutti ignoranti… e sei una brava caposcuola. – quello, almeno, c’era da ammetterlo. – Sei anche paziente, perché non è facile tenere a bada uno come me. Invece ci riesci, a modo tuo. Sei l’unica che non tocco da quando mi ha detto di non farlo, lo sai? – incredibile ma vero: avevo smesso di trovarlo divertente quanto soddisfacente. Lo sarebbe stato solo se avesse voluto. – … ma, a mia discolpa, ti sei fatta ancora più bella di come ti ricordavo… – e sono pur sempre un uomo, per Dio – … fastidiosamente bella… – aggiunsi, – …però, insomma, non è vero che sei solo questo… – ooook, calma Barnes, fermiamoci prima di spingerci un po’ troppo in là. Non aggiungere altro: basta e avanza. Deve. Lei ti conosce.
    La posizione del braccio piegato era diventata piuttosto scomoda, quindi decisi di migliorarla stendendomi completamente, la testa sulla collinetta più grossa del bicipite, senza smettere di osservarla in quel semi buio intervallato da piacevoli scrosci di pioggia. Non si stava poi così male quando la smetteva di parlare a manetta e decideva di calmare gli spiriti guerrieri.
    – Vorresti davvero vedermi felice? – scoppiai a ridere a bassa voce, ripensando alla sua uscita di prima. – Esattamente in quale istante di questa sera hai deciso che non valesse più la pena vedermi fare una brutta fine? Morte per strangolamento diretto, soffocamento letale da parte del succo di zucca mattutino, carta igienica esplosiva, incenerimento da drago… – presi a contare sulle dita di una mano, – …chissà quante devi averne pensate in questi ultimi anni. Oh, oggi stavo quasi finendo vittima di un branco di sirene sexy… il tuo desiderio stava quasi per avverarsi. Acciderbolina… – diedi un ironico schiocco di lingua contro il palato, fingendo di mostrarmi dispiaciuto per la perdita di quell’incredibile occasione. – Tutto per non avermi dato un briciolo di amore… – misi su un tenero broncio da bambino che avrebbe solo voluto ottenere la sua caramella. – … mai pensato di esser tu la cattiva della storia, Métis? – forse era un tantino troppo presto per tornare a fotterle il cervello, ma non fingetevi sorpresi.




    Edited by Barnes is our king. - 23/3/2023, 01:56
     
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    Cosa ricordavo realmente di quel periodo della mia vita che ormai sembrava appartenere a qualche era geologica prima? Effettivamente non molto, era successo tutto così in fretta e pochi mesi dopo la mia vita era cambiata per sempre sconvolgendomi da dentro. Ricordavo di essere stata bene prima dell'avvenimento che aveva segnato la nostra rottura, ma poi mi ero convinta che quel "bene" fosse in realtà solo una grande presa in giro. Come poteva non esserlo d'altronde? Se davvero avevamo condiviso quei bei momenti assieme perché avrebbe poi dovuto scegliere di fare ciò che aveva fatto? Nella mia testa non ero in grado di comprendere cosa portasse una persona a tradire qualcuno al quale teneva. Non lo ritenevo semplicemente possibile, eppure ogni mia singola esperienza sentimentale si era conclusa bruscamente a causa di un tradimento. Forse ero io che avevo una considerazione troppo alta di quei rari rapporti di stretta vicinanza che difficilmente intraprendevo. Per me erano speciali, unici e soprattutto esclusivi, se mi spingevo abbastanza oltre da considerare una persona non più come un'amica ma come un qualcosa di più importante, molto più importante, poi non nutrivo più alcun tipo di interesse amoroso o sessuale che fosse nei confronti di nessun'altro, perché avrei dovuto? Avevo già qualcuno col quale passare i momenti più belli e intimi della mia vita, cosa mi sarebbe servito allora cercare altra compagnia altrove? Non lo capivo. Semplicemente non lo capivo. Quella persona al momento era per me diventata Axel e nonostante tutti i problemi, nonostante tutte le difficoltà, io volevo lui, solo lui. Potevo trovarmi in disaccordo con lui, potevo fare il contrario di ciò che mi intimava di fare per la mia personalissima sicurezza non ritenendolo necessario, potevo rimanerci male per parole o comportamenti dettati dalla rabbia del momento, ma il tradimento? Dubitavo sarei mai riuscita a tradirlo volontariamente per poi tornare da lui come se nulla fosse accaduto. Come si faceva? Come si poteva guardare ancora in faccia una persona dopo ciò senza vergognarsi costantemente? Era per questo che tutto il "bene" che poteva avermi dato Harry era stato accantonato e cancellato dalla mia mente etichettandolo come: bugia. Una delle tante e innumerevoli bugie che nel corso della mia ancora breve vita avevo dovuto vivere e sopportare. Certo, nel suo caso era forse stato meno grave che con Christian o Padme, con lui non avevo un vero e proprio rapporto esclusivo che invece con gli altri due avevo eccome, ma aveva pur sempre fatto male ed era stato un tradimento a tutti gli effetti. Un tradimento a me come persona, un tradimento alla fiducia che avevo riposto in lui e un tradimento a ciò che di bello avevamo passato assieme. «Io...» Tentai di prendere ancora una volta la parola ma il Serpeverde non me lo concesse, aveva troppa merda da gettarmi addosso, troppa verità con la quale scalfire la mia dura corazza che col tempo avevo iniziato a pensare fosse inscalfibile. «Io non ti odio!» Sbottai poi impossibilitata a resistere ulteriormente ad altri colpi da parte sua finendo per rivelare sinceramente quanto provavo e pensavo sia di me che di lui. Era quello ciò che da sempre mi aveva infastidito di più. Io non lo odiavo, non odiavo né lui né chi dopo di lui si era approfittato di me e del mio evidentemente troppo stupido cuore. Non li odiavo, mi sentivo solo dannatamente umiliata nell'essermi fatta trattare così da loro, mi sentivo sciocca per essermi fidata così tanto di qualcuno che come chiunque altro nella mia vita non sarebbe rimasto con me per sempre. Ero sola, ero fondamentalmente sempre stata sola, una stella solitaria condannata a brillare nel cielo raggiante e bellissima ma solo perché la porzione di cielo che abitava era disabitata da altre stelle che con la loro luce avrebbero potuto oscurare parzialmente la mia. Dio quanto avrei voluto condividere la mia luce con qualcuno. Non mi sarebbe interessato minimamente splendere un po' meno se significava avere altre persone con le quali condividere la luce, persone con le quali passare bei momenti, persone con le quali mi sarei potuta confidare senza alcun timore, persone delle quali mi sarei potuta fidare ciecamente e invece no, la mia porzione di cielo pareva essere destinata a rimanere quasi perennemente disabitata. Ero tanto brava a tenermi i fidanzati quanto a tenermi gli amici, ero un disastro totale e tutto ciò che impediva alla mia luce di decidere di spegnersi per sempre era ormai solo Axel. Axel che proprio quel giorno aveva deciso contro ogni briciolo di buon senso di andare ad affrontare Ethan senza permettermi di andare con lui. Pazzo, era un pazzo sconsiderato e senza la benché minima goccia di amor proprio, mi ricordava me in effetti... ed era forse stato per quello che alla fine avevo dovuto cedere al suo desiderio di mettere da solo la parola fine a quella storia, ma ciò non toglieva che ero preoccupata, dannatamente preoccupata. Per tutto il giorno avevo tentato di fingere che andasse tutto bene, mi riusciva ormai senza troppe difficoltà farlo, avevo finto lui fosse al castello, protetto e al sicuro da quel mostro che per anni lo aveva usato come una marionetta per i suoi più vomitevoli scopi, ma non era così. Lui era là fuori, solo contro il male in persona e io lì, stesa in una tenda a piangermi addosso e a contemplare la pioggia che si abbatteva sulla tela della tenda chiedendomi se stesse scendeno a causa mia mentre il costume ancora umido che indossavo rinfrescava la mia pelle procurandomi piccoli brividi su tutto il corpo. «Hai visto? Hai fatto persino piovere» La voce di Harry mi ridestò dal turbine di pensieri dentro i quali stavo sprofondando. «S-scusa... non volevo...» Dissi distrattamente assumendomi la totale responsabilità di quella pioggia che forse non dipendeva realmente da me. Le parole che disse dopo mi lasciarono alquanto interdetta, non avevo né le forze fisiche né quelle mentali per sopportare altra merda gettata addosso, ma prima che potessi implorarlo di tacere il discorso mutò e ora non erano più insulti quelli che ricevevo, bensì elogi che dubitavo di meritare davvero. Sorrisi incerta alle sue parole percependo le gote arrossarsi per quei complimenti improvvisi che non mi sarei mai aspettata uscissero dalla sua bocca. Non sapevo come rispondere a quell'improvvisa gentilezza da parte sua, quindi decisi semplicemente di continuare a tacere lasciando che fosse la pioggia sulle nostre teste a riempire il silenzio che si era andato a creare e solo quando mi rivolse una domanda diretta sembrai riottenere il dono della parola. «Certo che sì...» Ammisi sinceramente, nonostante tutto era difficile che io augurassi del male a qualcuno e contro ogni previsione ero una persona assai compassionevole che se vedeva altri soffrire sentiva immediatamente il bisogno di alleviare le loro pene. «Meno di quelle che pensi, fidati... non credo di aver mai sperato tu morissi... magari ho immaginato un paio di volte di vederti inciampare dentro una montagna di sterco di ippogrifo... ma la morte no, mai, non te l'augurerei mai» Non ero il tipo e dopo aver tolto io stessa la vita a qualcuno non volevo più rischiare di farlo ancora, né nella mia testa né altrove. «Sirene eh?» Sorrisi spenta cercando di allontanare i pensieri che subito cercarono di insinuarsi nella mia mente a tradimento. Non era il momento di pensare a ciò. «Amore dici?» Soffocai una risatina sbuffando divertita un po' d'aria dal naso. «Credo fosse ben'altro ciò che volevi da me...» Mi voltai sul fianco per osservarlo in volto con sguardo curioso e consapevole al tempo stesso. Forse per la prima volta sentivo di star provando meno rancore nei suoi confronti, in fin dei conti al tempo nemmeno io sapevo cosa fosse l'amore, come potevo aver sperato che lui lo provasse per me? «La cattiva mh? Pensi mi si addica come parte?» Scherzai cercando di assumere un espressione dura e minacciosa assottigliando lo sguardo e stringendo forte le labbra fra loro per assumere le sembianze di quello che nella mia testa doveva essere l'aspetto di una strega cattiva delle fiabe babbane.

    ★ ★ ★
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    «Io non ti odio!» ignorai bellamente quelle parole: non ci credevo neanche un po’. Neanche un briciolo. E poi avevo troppa rabbia da gettare fuori e, per continuare a farlo, bisognava mantenere una certa coerenza. Non importava quanto sembrasse di apparire sincera.
    Quando entrambi sembrammo esaurirci di ogni energia iraconda, l’aria all’interno della tenda si rilassò come una il fuoco di una candela che andava spegnendosi, fino a lasciarci alleggerire le membra da un silenzio piacevole, cullati dalle gocce di pioggia che sembravano voler bucherellare la tenda tutt’attorno a noi; dava una strana sensazione di sicurezza, sentirsi protetti dentro a quella sorta di guscio di fortuna (considerata la bassa qualità). Pareva quasi di trovarci in un mondo a parte, per qualche momento, prima che la mia attenzione venisse rapita da una versione di Skylee completamente inedita. Cioè, era capace di star zitta per più di un minuto? Era qualcosa di sconvolgente. «S-scusa… non volevo…» trattenni una risata, gonfiando le guance e poi rilassandole: – Cogliona, guarda che non puoi mica fare piovere. – quelli erano nuovi livelli di vittimismo.
    Sapevo che le parole che stavo pronunciando l’avrebbero indotta alle lacrime: per fortuna, però, quelle successive parvero ritirarle prima del tempo, e un sorriso timido le increspò le labbra. Ma stava… arrossendo? I suoi zigomi sembravano quasi due frutti maturi. Forse se glieli avessi morsi avrebbe smesso. La rendevano carina e mi dava fastidio.
    «Certo che sì…» ok, a questa uscita scoppiai davvero a ridere come a uno spettacolino penoso in un cabaret da quattro spicci. « magari ho immaginato un paio di volte di vederti inciampare dentro una montagna di sterco di ippogrifo…» spalancai gli occhi, fingendomi sconvolto – Ah, quindi sei stata tu! Dovevo immaginarlo… – percularla in quel momento era proprio il minimo. « ma la morte no, mai, non te l'augurerei mai » mi piegai verso di lei, col capo piegato di lato, avvicinandole l’indice al pollice davanti al suo viso, come a voler quantificare il suo livello di cattiveria: – Neanche un pochino?…Così? E invece così? – ridussi pian piano la distanza fra le due dita fino a quando non mi avrebbe dato l’ok, per poi scuotere la testa in disaccordo con la sua presunta innocenza. – Peccato, però. Valgo solo una cacca. – feci una smorfia delusa. Mi ero impegnato così tanto per traumatizzarla e quello era tutto ciò che ottenevo. Quello sì che era triste.
    – Sì, dovevi vederle: avevano delle bocce di questa portata… – imitai la circonferenza di due meloni attaccati al mio petto, – …capezzoli al vento e tutto. Insomma: non sarebbe stata una morte così pessima. – in compenso avevo trovato un nuovo giocattolino: Kaeris. Da tornare ad infastidire in tempi migliori.
    «Amore dici?» mi finsi profondamente indignato alle sue improvvisa risa di scherno. – Ti prendi gioco del mio povero cuore… – strinsi un pugno sul mio petto con aria afflitta. – E qual è la differenza? Stavamo insieme, all’incirca, e io volevo semplicemente… tutto di te. È reato? È anormale? O lasci in bianco anche il bulgaro? – domanda retorica: tutti sapevano che ci dessero sotto come conigli. Fortunato del cazzo. Ancora dovevo capire cos’avesse di tanto speciale da esser riuscito a conquistarla… a parte gli occhi chiari e l’accento di merda, si intende. – No, scommetto di no. Allora perché lo fai? Perché lo fai con lui, e non con qualcun altro? Te lo dico io: è un atto di DEDIZIONE. – almeno per le donne; mia madre si dedicava a quello stronzo di mio padre in tutti i modi possibili, e lo stesso facevano tutte le donne che si portava a letto per diletto. Non avrei saputo come definire il rapporto tra i miei genitori, ma tutti sapevano che erano legati indissolubilmente. – Non saprò cos’è l’amore, ma so che è necessario donare tutto di sé per dimostrarlo. Tu non eri dedita a me. Quindi perché avrei dovuto mostrarti dedizione a mia volta? – non faceva una piega, no? Quindi che la finisse nel cercare di continuare a farmi sentire in colpa per quella mia azione passata, perché non l’avrei mai fatto. – È stato facile, sai, andare con la tua amica. Terribilmente facile. Mi aveva messo gli occhi addosso da qualche tempo. Forse non era così leale neanche lei da principio. Volevo farti soffrire, come punizione per non avermi fatto sentire importante e dato ciò che mi spettava. Dopo tutti i miei regali, tutto tutto il mio tempo, dopo la pazienza che stavo dimostrando. Ma ci sono dei limiti… – e l’attesa di, quanti erano stati… sei mesi quasi, a partire da quando avevo iniziato a girarle intorno, mi sembravano decisamente troppi. – Ci sono riuscito, e mi è bastato per un po’. Dopotutto, mi ero tolto involontariamente dai coglioni. Non eri più a portata. Oggi come oggi, però, mi chiedo se non avrei ottenuto di più diversamente. Se davvero ne sia valsa la pena mandare tutto all’aria… – cazzo, no, aspetta, perché le stavo dicendo quelle cose? – … comunque fa niente, io sono un distruttore. È quello che faccio. Suppongo sarebbe andata così in ogni caso. – E, sotto sotto, invidiavo quel legame che sembrava andare oltre il semplice rapporto fisico o qualche risata. Sembrava essere soddisfacente. Ma una parte di me dava per scontato che non avrei mai saputo come crearlo. E probabilmente era così. Potevo solo guardarle dall’esterno, e far finta che non mi importasse. Ma forse era un bene che fosse così. La mia era una ragnatela pericolosa. Potevi finire mangiato, o potevi salvarti con qualche pezzo mancante. E ridurre in quello stato qualcuno di cui mi importava ero certo non sarebbe stato divertente. O almeno credo. Ma mi importava davvero di Skylee, per esempio? Non lo so. Amavo darle fastidio. Renderle la vita impossibile. Averla intorno, anche se a tratti riusciva a convincermi del contrario. Ma la sensazione che avevo, era che fosse una zanzara – una zanzara molto carina – di cui avrei sentito la mancanza se fosse andata a ronzare altrove. O forse era solo abitudine. Chi poteva dirlo? Ma una cosa era certa… – In effetti, se ci pensiamo bene, ti ho salvata da molto peggio. Il primo eroe antagonista della storia, che si mette i bastoni fra le ruote da solo. – un sorriso sarcastico mi si aprii in volto, destinato a spegnersi lentamente.
    «La cattiva mh? Pensi mi si addica come parte?» con un’espressione profondamente giudicante, come se fossi di fronte a una totale idiota, la osservai cambiare espressione, senza capire bene cosa stesse cercando di imitare. – Quella di vecchia cinese? Hai gli occhi troppo grandi perfino così – la sfottei, poggiandole una mano in faccia e spingendola quel poco che bastava per farla andare scivolare all’indietro. Nel fare ciò, vidi il suo seno ballonzolare. Merlino spastico. Io ero ancora a petto nudo, ma era indecente come lei si ostinasse a rimanere in costume da tutta la giornata. Voleva farsi notare, sicuramente. Bestia fastidiosa.
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    Mi avvicinai lentamente verso di lei, fino a solleticarle il seno col busto bollente; ero quasi disteso su di lei, osservandola dall’alto finché i nostri nasi non finirono alla stessa altezza, quasi pronti a sfiorarsi. I suoi occhi erano bloccati sui miei; sicuramente si stava chiedendo cosa diamine stessi facendo. Allungai il braccio sinistro oltre la sua testa…
    … la mia mano toccò il tessuto di cotone verde lime della mia maglietta; l’afferrai e, distendendola dalla parte superiore con entrambe le mani, gliela feci cadere addosso come una coperta. E copriti, Merlino santo. È tutto il giorno che stai con le pere al vento. Cazzo di esibizionista. – non stava bene. Dacci una tregua.
    Mi sporsi oltre il suo corpo sinuoso per guardare fuori: merda, stava ancora piovendo. – Se continua così toccherà davvero farti dormire qua… – Mi finsi pensoso, guardando verso il tetto triangolare della tenda, – … o magari ti farò rotolare sul terreno fangoso entro trenta secondi. Ti farei un favore: ho sentito che fa bene alla pelle. E poi un’esperienza così selvaggia va vissuta a trecentosessanta gradi… inoltre, ti mimetizzerai perfettamente con il popolo di qui, così verresti subito accettata. Sai, magari scopri che vuoi darla anche a loro. – proposi con un sorrisetto bastardo; Mr. Rancore al vostro servizio.
    – 10… 9… 8… – mi preparai con due palmi aperti a mezz’aria, pronta a spingerla fuori da un momento all’altro. E lo avrei fatto. Finalmente quella gita in Africa si faceva divertente.


     
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    «Cogliona, guarda che non puoi mica fare piovere» Arrossii di botto sentendomi dannatamente stupida per essermi lasciata sfuggire una simile ammissione di colpa che il ragazzo davanti a me non poteva immaginare fosse in realtà plausibile. «Ma certo... hai ragione...» Distolsi lo sguardo imbarazzata lasciando che la discussione procedesse naturalmente verso altri argomenti. «Scemo» Gli scoccai un cricco sulla fronte col dito indice per farlo smettere. Sava mimando una barra immaginaria con le dita e mi chiedeva di fermarlo quando la lunghezza sarebbe stata consona all'augurio di disgrazie che gli avevo mandato ormai svariati anni prima. Lo avevo fatto solo qualche volta e più che altro al fresco della scoperta di ciò che aveva fatto, poi mi ero limitata a chiudermi un po' in me stessa affinché riuscissi a convincermi che in realtà lui non era mai esistito e che non era mai stato in grado di farmi del male. Con la notizia della sua espulsione farlo fu solo più facile e così continuai fino ai primi mesi dell'anno scolastico in corso, quando contro ogni più funereaa previsione era ritornato a scuola rigettandomi prepotentemente a diversi anni indietro nel tempo a cercare di superare ancora una volta la questione, visto che al primo tentativo avevo fallito miseramente. «Ti prendi gioco del mio povero cuore…» Sorrisi scuotendo leggermente il capo. «Ma non mi dire... quindi ne hai uno pure tu?» Lo provocai cercando di tenere testa a quello scambio di battutine impertinenti. «E chi lo avrebbe mai detto» Poggiai due dita fredde sul suo collo come a controllargli il battito cardiaco, avevo visto da un film babbano che in caso di incidenti o emergenze facevano così per sentire se il cuore batteva ancora ed io mi ero limitata a copiarne i gesti. «Wow... effettivamente hai ragione, c'è battito» Mi finsi sorpresa per infastidirlo un po' come lui tentava di fare con me a parole. «Volevi tutto di me eh?» Sbuffai aria dal naso con fare divertito, decisa a non credergli nemmeno un po'. «Tutto tutto? Pure le coccoline cicici e le paroline dolci? Davvero?» Alzai un sopracciglio diffidente mettendolo davanti a cose che mai avrebbe potuto volere da me, non che fossi il tipo da paroline dolci, ma beh... avete capito ciò che intendevo. Al tempo era un ragazzino e io pure lo ero, totalmente inesperta sul mondo esterno e sulle relazioni sociali, decisamente non pronta ad essere -come lui stava insinuando- totalmente dedita a qualcuno. Glissai sulla questione Axel non volevo parlare di lui in quel momento, non volevo nemmeno pensarci a lui, ero preoccupata per la sua incolumità, dannatamente preoccupata e se solo avessi cominciato a parlare di lui e il velo magicamente poggiato sulla mia mente dalla pozione della pace fosse caduto sarebbe stato un disastro, mi sarei lasciata andare troppo a quella soffocante preoccupazione che da tutto il giorno cercavo di reprimere e non lo volevo. «Magari io per prima non ci avevo visto abbastanza dedizione da parte tua» Feci spallucce distogliendo lo sguardo. «Credo non fossimo mai realmente entrati abbastanza in confidenza, tutto qua, ero piccola, come potevi pretendere che fossi pronta a concedermi a qualcuno se non ero realmente sicura dei suoi sentimenti» Sussurrai imbronciata in un improvviso impeto di sincerità. La testa mi doleva, sentivo che gli effetti della prolungata esposizione al sole cominciavano a farsi sentire, ero più debole e calda del normale, ma riuscivo ancora a resistere e non gliela avrei data vinta. Quella sorta di rottura fra di noi non era di certo stata colpa mia, né ero convintissima. «Non era mia amica e non ti spettava proprio un bel niente, cretino...» Sbuffai divertita dal modo serioso col quale lo aveva detto. «Non sono un oggetto o un qualche trofeo di caccia da appendere al muro, non è che se una persona ti fa regali o ti da attenzione tu diventi automaticamente di sua proprietà... pff» Feci schioccare la lingua contro il palato portando lo sguardo verso l'alto in un chiaro segno di disapprovazione, ma quanto aggiunse sono mi lasciò interdetta e mi obbligò a riabbassare lo sguardo per scrutarlo per un breve istante in cerca di un qualcosa nella sua espressione che lo tradusse rivelandomi che in realtà stava solo dicendo cazzate, ma non vi ci trovai nulla di compromettente. «Beh immagino che potrei patteggiare per assumermi un trenta percento di colpevolezza per quato accaduto al tempo... ma nulla di più...» Non sapevo perché mi fossi sentita in obbligo di smorzare quella papabile aria tesa che era andata a crearsi fra di noi, ma sapevo che ora, imbarazzata per quanto udito, non mi sentivo in grado di sostenere ulteriormente il suo sguardo. Era più facile considerarlo un completo stronzo, molto più facile e ora non poteva saltarsene fuori dopo anni con certe parole, non poteva vanificare in quel modo il rancore che avevo testardamente provato nei suoi confronti per tanto tempo rendendolo improvvisamente inutile e facendomi sentire persino leggermente in colpa per aver al tempo distrutto il suo apparente sogno romantico. Fanculo. Idiota. Era solo un idiota al quale piaceva scherzare in modo scorretto. «Non ho gli occhi così grandi, smettila!» Precisai ridendo quando finalmente l'atmosfera tornò ad essere meno pesante e l'aria ricominciò improvvisamente ad essere respirabile. «Auch!» La sua mano premuta scherzosamente contro il mio volto mi fece cadere all'indietro findnedo nuovamente con la schiena appiattita contro il terreno coperto da un sottile strato di tela ruvida. Pochi secondi dopo percepii il suo corpo premersi contro il mio schiacciandomi quasi sotto al suo peso, ero già pronta ad arrabbiarmi e a tirargli come minimo una testata dritta in fronte per essere già venuto meno a quanto detto solo poco prima. «Sei l’unica che non tocco da quando mi ha detto di non farlo, lo sai?» Sì, certo, tutte cazzate. Ero lì lì per dargli contro prima che riuscisse a fare qualcosa di compromettente, ma ciò che fece in realtà mi tolse le parole di bocca. Una maglia? Mi stava soltanto passando una maglia per coprirmi visto che improvvisamente il mio vestiario sembrava essere divenuto troppo osceno per i suoi puri e casti occhi. «G-grazie..?» Balbettai un po' confusa e sorpresa al tempo stesso. Era stato, gentile? Anzi, a dire il vero era già da qualche scambio di battuta che sembrava essersi ammorbidito nei toni e nei miei confronti, come daltronde pure io avevo finito per fare nei suoi, ma nonostante ciò non riuscivo a non sentirmi diffidente per tale comportamento. Doveva esserci per forza la fregatura, mi dissi sospettosa e difatti sembrò arrivare poco dopo. «Non fare il razzista» Lo rimbeccai severa riservandogli un ulteriore cricco in fronte. «Davvero lasceresti sotto la pioggia una povera strega incapace di piantare da sè una tenda?» Domandai cercando di assumere un tono leggermente triste e dispiaciuto sbattendo ripetutamente con fare teatrale le lunga ciglia nere che mi incorniciavano lo sguardo. «Beh... in tal caso andrò a dormire là fuori... addio» Feci spallucce sollevandomi da quel giaciglio improvvisato per uscire fuori dalla tenda impettita e divertita al tempo stesso. La fitta pioggia cominciò immediatamente a bagnarmi testa e viso inzuppando ben presto la maglietta color lime che avevo indossato e assieme a lei pure i miei capelli ancora umidi. Saltellai lungo la spiaggia piroettando appena in quella danza imrovvisata sotto la pioggia. Non ero felice, non ero allegra eppure dove c'era acqua c'erano anche attimi di serenità. Dopo quei brevi secondi che parvero minuti interi passati a saltellare mi distesi a pancia in su sulla sabbia, esattamente al limitare fra terra e mare con i piedi a toccare la tiepida acqua che grazie al moto delle onde arrivava a sfiorare il bagnasciuga. Rimasi lì immobile e assorta a scrutare il cielo con nostalgia, sapeva di casa e di tristezza al tempo stesso, ma la miriade di puntini bianchi e gialli sopra di me erano così dannatamente ipnotici che sarei potuta rimanere li pure tutta la notte a fissarli, chissene importava se il corpo continuava a bagnarsi con la fredda pioggia discesa dal cielo.
    Harry si sarebbe unito a me o avrebbe goduto nel vedere finalmente la sua tenda sgombera? Non ne avevo idea, eppure tutto sommato non avrei rifiutato la sua compagnia se avesse deciso di seguirmi. Fingevo tanto di ripudiare ogni sorta di contatto umano, eppure ne ero così dannatamente bisognosa che sarebbe stato troppo umiliante doverlo ammettere, non amavo stare da sola, ero stata costretta a starci per fin troppo tempo e ora dentro di me desideravo solo di condividere le mie giornate con qualcuno in grado di sopportarmi e che non fuggisse alla prima difficoltà. Axel era bravissimo a farlo, ma purtroppo era uno solo e non potevo monopolizzare tutto il suo tempo affinchè stesse con me ventiquattrore su ventiquattro, avrei solo voluto avere degli amici, degli amici veri con cui scherzare in serenità, ma ero dannatamente incapace di mantenere tanto a lungo delle sincere amicizie e quella forse era l'unica cosa sulla quale non avrei potuto fingere o cercare di essere perfetta, semplicemente non lo ero.

    ★ ★ ★
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    Harry Barnes

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    18 anni - V anno
    *possibile violenza, linguaggio volgare o offensivo

    «… quindi ne hai uno pure tu? E chi lo avrebbe mai detto» le scoccai uno sguardo altezzoso; faceva troppo la sorpresa, per i miei gusti. Eppure, sapevo che – metaforicamente – avesse ragione a dubitarne. Ce l’avevo davvero? Il più del tempo, avrei detto di no. Non ero abituato a farne l’uso che sembravano farne tutti. Empatia, compassione, generosità, voglia sincera di creare e aver cura dei propri affetti. Tutte cose che sentivo distanti da me. L’unica persona per la quale avessi mai fatto qualcosa senza pretendere nulla in cambio era mia madre… ma lei aveva dedicato la sua vita a me, mostrandosi sempre dalla mia parte (anche nei momenti nei quali nessuno si sarebbe arrischiato a farlo), quindi valeva davvero? Probabilmente no. Dopo quasi diciannove anni di vita, era abbastanza plausibile credere che non ne fossi in grado. Non solo: le mie tendenze erano totalmente opposte. Schiacciavo il prossimo, provando piacere nella sofferenza altrui; non provavo pena per nessuno, forse neanche per me stesso, mi faceva solo arrabbiare; non facevo mai nulla senza trarne un tornaconto personale e, in quanto alla voglia sincera di creare e mantenere rapporti… venivo spinto soltanto dalla più banale convenienza, virando rotta come una bandiera mossa in preda al vento del momento. Né più né meno. Rompevo amicizie che probabilmente non erano neanche amicizie, ma conoscenze con cui divertirmi, non appena non le percepivo più come energie affini o mi facevano il benché minimo torto, fosse anche scherzare senza troppa convinzione sulla mia virilità durante una bevuta serale; mentre le ragazze… di loro mi interessava solo una cosa. Indovinate cosa? Già, proprio quella. E non appena la ottenevo, mi allontanavo da loro manco fossero fazzoletti usati e non più utilizzabili. Dopo un po’ mi annoiavano tutte a prescindere, e l’unico brivido stava nello scoprire le fattezze della loro femminilità, per poi descriverla ai miei concasati e farci quattro risate. Fine della storia. Ma allora perché avevo cambiato musica con Skylee, preferendo accarezzarla con parole positive anziché finire di affossarla? Provavo sempre piacere nel farlo. E lo avevo fatto anche questa volta, almeno fino a quando non l’avevo vista chiudersi a uno strambissimo mutismo, che mi aveva un po’ destabilizzato. E ora stavamo veramente parlando. Cioè, come due persone. Un maschio e una femmina. Assurdo, se stavo lì a pensarci. Non che ne avessi il tempo: una battutina tirava l’altra, e per un po’ avevo dimenticato anche che periodo di merda fosse.
    «Volevi tutto di me eh? Pure le coccoline cicici e le paroline dolci?» la mia faccia disgustata avrebbe potuto bastare come risposta, ma chiesi comunque: – Che diavolo è il “cicici”? Non suona come nulla che vorrei fare, no. Però… – coccole? Paroline dolci? Non ne avevo mai scambiate… a parte i nomignoli che amavo dare alle ragazze che mi piacevano. Ma non avevano nulla di tenero, quanto di perculatorio. Né mi ero mai trattenuto con qualcuna dopo aver fatto del sesso. Amavo stringere una ragazza a me finché non mi rompeva i coglioni, ma… niente cicici, qualsiasi cosa volesse dire. – Non so. Non ho mai provato. – ammisi, con una scrollata di spalle. – Però se comprende l’adorazione della mia persona, potrei farci un pensierino. Tipo “mio Re” o “luce dei miei occhi”. O ricevere dei massaggi. Anch’io potrei massaggiare qualcosa. – un sorrisetto perverso mi si dipinse in volto, prima che toccassimo dichiarazioni che decisamente avrei dovuto evitarmi. Ecco cosa succede a parlare… che finisci per ammettere cose. – Sei tu la donna. Spetta a te esserlo per prima. – da me poteva anche non arrivare mai; dopotutto, non avevo mai sperimentato neanche quello. Ma poteva dire di averci provato, no? Niente rimpianti.
    Misi una mano a becco di papera e presi ad agitarla. Blablabla– “Confidenza”… stronzate. Ti avevo parlato della mia famiglia. Non parlo a nessuno della mia famiglia. – fui profondamente infastidito da quell’affermazione. Ora volevo solo chiudere quell’argomento. – Senti piccolo trofeo, chiamami un’altra volta "scemo" o “cretino” e ti prendo per il costume e ti ficco la testa dentro la sabbia come uno stupido struzzo. – cazzo, stava davvero riuscendo a farmi incazzare di nuovo. Pazzesco. – Sì, sì. “Trenta centimetri" di sabbia nel culo… –
    E quando mi incazzo, sappiamo tutti cosa succede. O picchio, o brucio, o…
    meglio coprirla, sì. Evitiamo danni.
    Un po’ mi divertì, però, come credette palesemente che stessi per fare altro… Volevi, eh? Non siamo abbastanza in confidenza la scimmiottai. Un’altra cosa che mi sarei legato al dito. Chissà quando si sarebbe detta “abbastanza in confidenza” con qualcuno… ragazze. Bah. L’unica cosa che ammiravo dei gay, era che non si facessero problemi a scopare quando volevano con chiunque volessero. La mente comune dell’uomo, dopotutto, rimaneva quella.
    – Se ti dà fastidio posso continuare – sapeva benissimo che fossi razzista, e omofobo, e tante altre bruttissime cose. Inutile fare la finta sorpresa. Con quel perbenismo mi ci pulivo il culo.
    – Merlino, tu non sopravvivresti un giorno in natura… come lo struzzo che sei – scossi la testa, sorvolando bellamente sulle altrettanto palesi difficoltà che avessi avuto per primo nel montare la tenda. Ma almeno alla fine c’ero riuscito, no? Avevo sbloccato una nuova skill.
    «Beh… in tal caso andrò a dormire là fuori... addio» col braccio teso nella sua direzione, la mia faccia divenne un punto interrogativo. Che cazzo stava facendo? Mi sporsi quanto bastava per guardare fuori, solo per vederla mettersi a zampettare nel fango come una sporca zulù. Ma era tornata allo stato d’infante tutt’a un tratto a contatto con una pioggia radioattiva o era proprio una bimbaminchia e basta?
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    – Sky… torna qua! Cogliona di merda! – le urlai dietro, ma il rumore della pioggia doveva coprire totalmente la mia voce e, distante com’era, non potei far altro che vederla partire alla volta della spiaggia, lasciandomi solo come un cane. No, beh, cioè… tanto meglio. Stavo per farla fuori io, giusto? E poi stava una favola, quella, in modalità singing in the rain. Sì, ottimo. Ora potevo mangiare, finalmente. Chissà che cazzo di ore erano… sicuramente le dieci o giù di lì.
    Bah.
    Rimasi quasi frastornato da quell’improvviso silenzio. Ma avevo anche un certo languorino. Dunque mi abbassai sul mio zaino, per prendere la cena al sacco e… lo zaino di Skylee era ancora lì. Temporeggiai solo per qualche secondo, prima di decidere di aprirlo senza ulteriori esitazioni.
    Vestiti…vestiti… pranzo…uh, mutande! Le tirai fuori e me le girare tra le mani: meh, pensavo meglio… uh… boccette? Di cosa? Ne aprii una e la annusai: non avevo idea di cosa fosse. Dubitai fosse acqua, ma non sembrava neanche nulla di pericoloso; forse – pensai – aveva incantato l’alcool come facevo io, rendendolo inodore e incolore… uhm… ma sì, dai, ora sono curioso: mandiamo giù questa roba.
    Buttai indietro il collo e svuotai l’intera boccetta in un battito di ciglia, per poi passarmi la lingua sulle labbra, cercando di capire se sarei morto di lì a poco. Tanto, non me ne fotteva poi molto, ora come ora…
    Tornai a guardare fuori: pioveva ancora, e Skylee era sulla riva. Quella demente. Però… hey, ora che ci pensavo meglio… sembrava divertente. Uhm… ma sì, dai.
    Uscii dalla tenda, a piedi nudi, infradiciandomi in un istante. Decisi di alzare il mento e tirare in fuori la lingua, per bagnarla di pioggia. Non so perché. Mi sentivo strano. Vabbè, sticazzi.
    Ridiscesi sulla spiaggia e camminai fino alla riva, lentamente, osservando la bionda a mo’ di studio antropologico. Che persona strana.
    Le arrivai alle spalle con un breve sprint, prendendola di peso e piegandomi in avanti in modo da poggiarmela sulle spalle; dopodiché presi a correre dentro l’acqua, finché non mi fosse arrivata al petto e, solo dopo, l’avrei mollata gettandomela davanti.
    – Ho spulciato nel tuo zaino. – ammisi quando la vidi tornare su, – E mi sono drogato. – non sapevo come altro definire quella strana sensazione di leggerezza. Forse era davvero droga liquida. – Non pensavo che te ne saresti davvero andata… – una breve pausa, – … senza di quello, intendo. Ah, belle le mutande. – Ma prima che potesse dire qualcosa, le misi una mano in testa e la spinsi nuovamente dentro l’acqua.
    Sì: era decisamente droga, quella.


     
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    «Che diavolo è il “cicici”?» Scoppiai a ridere divertita senza ritegno alcuno alle sue parole confuse. Non avevo la più pallida idea di cosa potesse voler dire esattamente, ma lo immaginavo come un qualcosa di simile ai pizzicotti che gli anziani davano sulle guance dei bambini o dei giochini che i genitori facevano coi loro piedini nella culla, sì insomma, un affetto casto e per nulla sessuale, un qualcosa che all'interno di una coppia avrebbe stonato come un cantante che si era perso il do. Insomma, nulla che neppure io avrei voluto da una relazione, ma beh, farlo credere a Harry era stato piuttosto divertente, soprattutto per il fatto che tale stronzata lo avesse tanto confuso e messo in difficoltà. Gli strinsi quindi ambo le guance con il dorso delle mie dita affusolate e lo spupazzai appena incurante del suo crescente fastidio. «Eccoti servito un po' di "cicici"» Risi ancora con un suono cristallino simile al tintinnio di tanti pezzettini di metallo scossi dal vento di una serata primaverile. «Oh mio re, come hai fatto a vivere un intera esistenza priva di un po' di sano e amorevole "cicici"?» Ok, pronunciare quella parola/suono privo di un reale significato era davvero esilarante e vedere il continuo stato confusionario sul suo volto ormai maturo ma tutt'ora ancora segnato da un qualcosa di fanciullesco era un qualcosa che valeva davvero la pena di essere visto. Probabilmente presto avrebbe intuito pure lui che tutto ciò che stavo dicendo era soltanto una presa in giro e che nessuno avrebbe apprezzato simili attenzioni smielate, almeno non io, ma fino ad allora avrei continuato a sostenere la mia divertente pozione in merito. «Sei tu la donna. Spetta a te esserlo per prima» «Tsk» Feci sfregare la mia lingua contro il palato per redarguirlo silenziosamente in un chiaro segno di sprezzo per tale affermazione. «Pigro maschilista che non sei altro» Voltai il capo per spostare il mio sguardo dal suo a un punto imprecisato della tenta in penombra. Piccoli giochi di luce bluastri si riflettevano contro le pareti in tela del rifugio e in quello stretto e quasi angusto spazio sarebbe stato difficile evitare a lungo il suo sguardo, pure se ora come ora tutto ciò che sarei stata in grado di rivolgergli sarebbero state offese. Chi diceva esattamente che doveva essere la donna a mostrare per prima il suo affetto nei confronti dell'uomo da lei amato. Erano tutte stronzate, tutte sciocche convinzioni ormai così superate che quasi mi faceva ridere il fatto che Harry ne fosse ancora convinto, ma non sarebbe stata una risata divertita, bensì una risata sprezzante e velenosa. «Non sono stronzate e non è certo per un briciolo di verità che due persone possono dirsi realmente in confidenza» Sibilai voltando finalmente il capo per incrociare nuovamente i miei occhi bicolore nei suoi, scuri e profondi incorniciati da folte sopracciglia stranamente ben curate per l'aspetto un po' rude e scapestrato che dava sempre a vedere. «Essere in confidenza significa che non si ha il timore di dire nulla all'altra persona, significa essere un libro aperto per l'altro e che ciò non viene percepito come un fastidio, bensì come un privilegio» O almeno questo era ciò che pensavo significasse. Un qualcosa di dannatamente difficile da ottenere e che con pochissime persone in vita mia ero riuscita ad ottenere, almeno in parte, perché la totale e più pura forma di confidenza doveva essere reciproca e spesso quando uno era pronto a ricevere l'altro non era ancora in grado di dare totalmente. «Oh no mio re, per favore mi risparmi» Dissi divertita fingendo di tremare alle sue parole affilate. Aveva sbagliato a confidarmi che gli sarebbe piaciuto farsi chiamare in quel modo perché ora probabilmente gli avrei dato il tormento per lungo tempo, abbastanza per farlo pentire di aver insinuato che una simile nomina potesse in un qualche modo essere ritenuta "dolce".
    Il suo balzo verso di me fu veloce e calcolato quanto lento al tempo stesso, per brevi attimi l'aria attorno a noi parve imobilizzarsi, non avevo paura di lui ma un qualcosa di amaro sulla punta della mia lingua premeva per uscire, ma prima che ciò potesse accadere il Serpeverde si rialzò e mi fece cadere addosso la sua maglietta, nonché la sua battutina sprezzante, con una freddissima noncuranza di me e del mio corpo. Fottuto bastardo. Sibilai a denti stretti per non dargli la soddisfazione di sentirmelo dire veramente. Mi limitai a ringraziarlo impacciata e alle sue minacce di buttarmi fuori dalla tenda risposi come facevo sempre, in modo totalmente imprevedibile e sfacciato privo di buon senso. Sentii la sua voce in lontananza come un sussurro che non raggiunse realmente le mie orecchie, ma prima che potesse gridarmi dietro altro mi allontanai a grandi falcate aggraziate verso la riva e mi ci lasciai scivolare velocemente. La fresca brezza del mare e il lieve tocco dell'acqua sulla mia pelle era estremamente piacevole, un toccasana per il mio umore grigio e un attimo di tranquillità da troppe ore persa. Durò poco però, perché la calma e la quiete vennero presto interrotte da un tocco inaspettato, che più che tocco poteva dirsi un vero e proprio uragano che con tutta la
    200-17
    distruzione che era capace di creare attorno a sé mi afferrò con le sue forti braccia e mi issò sulle sue spalle per poi gettarmi divertito al di sotto della superficie del mare facendomi ingerire piccole quantità d'acqua per la sorpresa di tale incontro inaspettato. «Ma che cazz» Una volta risalita non riuscii a terminare la frase che il Serpeverde mi confidò di aver curiosato nel mio zaino per poi "drogarsi" di quella sostanza che poteva trattarsi unicamente di pozione della pace. Non mi ero portata altri liquidi con me se non la bottiglietta d'acqua contenuta all'interno del sacchetto consegnatomi dagli elfi, ma dubitavo Harry si riferisse a quella, no poteva aver bevuto solo ciò che per settimane e settimane avevo nascosto al mondo di star assumendo e ora lui lo sapeva, non poteva non saperlo, pure che ancora non ci fosse arrivato una volta tornato in sé lo avrebbe fatto eccome e ciò mi fece stringere lo stomaco rivoltandolo come un calzino. «Non dovevi curiosare nel mio zaino!» Lo rimbeccai con fare severo stropiccianodmi gli occhi per asciugarli dall'acqua salata che li faceva leggermente bruciare. «Quanta ne hai bevuta?» Esclamai poi preoccupata non appena uno spaventoso pensiero mi balzò alla mente. Avevo ancora due boccette di pozione nello zaino e se una gli sarebbe solo costata un potente stato di euforia e spensieratezza, due gli sarebbero potute costare un profondo sonno difficile da interrompere. Solo ora, realizzando ciò che tale pozione avrebbe potuto fare a una persona ignara se assunta in maniera scorretta, mi rendevo conto di ciò che l'uso sconsiderato, non che abuso che ne stavo facendo io, mi avrebbe potuto causare. Ero stata una sciocca a lasciarmi assopire fin troppo spesso la mente da tale pozione, ma non sapevo se ne sarei riuscita a uscire presto da sola da quella spirale fin troppo allettante e tranquilla nella quale amavo sprofondare. «Harr» Tentai di riportarlo all'ordine per farlo rispondere alla mia domanda, ma prima ancora che terminassi di pronunciare il suo nome le sue mani si mossero e mi obbligarono a sprofondare sott'acqua. Mi dimenai leggermente per liberarmi dalla sua presa e quando ci riuscii risalii velocemente in superficie inchiodandolo sul posto con sguardo arrabbiato. «Brutto stron» Ancora una volta non terminai la frase ma solo per prenderlo di sorpresa gettandomi addosso a lui con tutto il mio peso per restituirgli il favore e gettarlo sott'acqua a mia volta con fare impudente. Cercai di cingere la sua schiena con le mie gambe per tenerlo sotto quel tanto che bastava a farlo rinsavire appena, ma nemmeno io capivo bene quale arto o parte del mio corpo sfiorasse le sue in quel groviglio di gambe e braccia intente a cercare di affondare per primo l'altro con fare divertito e sconsiderato. Forse era stato uno sbaglio abusare ancora una volta della pozione della pace quel giorno, non amavo sentirmi privata del mio controllo mentale e ciò che tale pozione era in grado di fare era esattamente ciò, ma non mi ero aspettata che quella sera mi sarebbe servito abbastanza buon senso e lucidità per capire quale sarebbe stato il momento giusto di interrompere quello scriteriato gioco per tornare a concentrarmi sulle mie preoccupazioni che forse non era poi così un male avere.

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    Mi paralizzai.
    Aveva davvero avuto l’ardire di tirarmi le guance come se fossi un marmocchio demente? Il tutto era così assurdo e cringe, come diremmo noi giovani, che noi potei che fissarla come qualcuna a cui mancasse qualche rotella. Più passavo giorni con quella ragazza e più me ne convincevo. I detti nascondevano sempre un fondo di verità, e quello sulle bionde, con la Métis, risultava talmente cristallino da specchiarcisi. No, dai, in realtà c’era una tassorosso del terzo anno che messa a fianco a lei la faceva sembrare Morgana in persona… ma dobbiamo davvero basarci su quello standard, specie se parliamo di una presunta corvonero? Io non credo.
    – Sai, bionda, penso che continuerò la mia regale esistenza senza: questa roba fa cagare. Ma puoi sempre farmi un massaggio ai piedi. – ne alzai uno e feci per poggiarglielo sulla spalla con l’unico scopo di infastidirla. – Eppure non credevo fossi tipo da… queste cose. Che dire… perdi sempre più punti – scema, rompicoglioni e amante del “cicici”: non invidiavo il bulgaro. Vista così, se la poteva proprio tenere stretta con sei corde legate doppie. Eppure, boh, ancora non l’avevo buttata fuori da quella maledetta tenda. Giuro che volevo, ma in realtà no. Ha senso? Vedete, a stare con lei si diventa scemi a sua volta. Non c’è altra spiegazione. Però era così cogliona da inondarmi davvero di nomignoli come “mio re”, adesso. Mica male. Continua pure, principessa.
    – Un pigro maschilista che ti vizia, ti protegge e fa onore della sua imponente bacchetta magica: almeno fai qualcosa, no? – beh, se me lo avesse permesso. Quel discorso era abbastanza generico: un importante fondamento della realtà umana. Queste donne volevano diritti su diritti, ma al maschio chi ci pensa? Si ostinano a voler far cadere tutti i principi di una società sensata. E comunque il mio discorso aveva perfettamente senso; inutile che cercasse di farmi credere il contrario. Che essere fastidioso.
    «Non sono stronzate e non è certo per un briciolo di verità che due persone possono dirsi realmente in confidenza» feci una breve smorfia, distogliendo lo sguardo con fare annoiato: – Ciò che sento sono scuse su scuse. – niente di più e niente di meno. Tuttavia, uando incollò i suoi occhi nei miei, fui rapito da quel breve discorsetto di antropologia spiccia, e fui portato a soppesare per un momento le sue parole: essere un libro aperto. Suonava… sciocco. Pericoloso. Sicuramente per sé stessi. – Beh, un’altra cosa che dovresti meritarti, no? Comunque non sono d’accordo: essere un libro aperto è stupido; ognuno ha bisogno di mantenere i propri segreti, ed è… più sicuro così. – e mi riterresti una persona orribile, tu come tutti gli altri. Il fatto che alla gente bastasse così poco per detestarmi bastava per capire che non avrebbero retto la mia realtà senza filtri. E di certo non lei. Dietro il mio sorrisetto sghembo, tanto simpatico, e la bellezza sconsiderata, c’erano tanti dettagli che, solo a saperli, non l’avrebbero mai più fatta avvicinare a me.
    Non avrebbero fatto avvicinare nessuno.

    In ogni caso, quando le venne proposto di togliersi dai piedi, non ci pensò due volte. Ci rimasi male, un po’, forse. Vi lascerò con questo dubbio. Ciò che è certo, è che l’avrei di certo lasciata sola soletta ai suoi divertimenti bambineschi, se solo non avessi bevuto quella roba. Di che cazzo fosse non ne avevo idea, però mi aveva messo uno strano buon umore. E allora andiamo pure ad infradiciarci in questa serata dal clima così piacevole, perché tanto quando mi sarebbe ricapitato? Non prima dell’estate. E comunque, in Inghilterra, un ambience del genere ce lo sogniamo anche ad agosto.
    Le corsi incontro, così, senza preavviso, sollevandola di peso e gettandola in acqua quando fui certo fosse abbastanza profonda da renderlo divertente: cioè se l’avesse resa abbastanza confusa e le avesse fatto bere abbastanza acqua. Posso dire con orgoglio di aver avuto successo in entrambe le cose.
    – Davvero? Non me lo avevi detto. Ops? con un gesto pesante del braccio feci sferzare la superficie dell’acqua nella sua direzione, giusto per confonderla un po’ di più. Merlino, se era divertente. – Mh? Perché? È roba costosa? – era preoccupata che le avessi prosciugato le scorte? Tutta. È un problema? Dovevi offrirmela da quando sei entrata in tenda, egoista che non sei altro. Magari non ti avrei urlato in faccia. – no, in realtà ne avevo bevuta soltanto una, ma ovviamente le avrei fatto credere il contrario. Perché sembrava preoccuparla. E io sono un bastardo.
    La tenni in acqua a momenti alterni: mi piaceva attendere il momento in cui pareva quasi riprendere il controllo, solo per farglielo perdere nuovamente. Ho già detto “bastardo”? La bambina, però, non parve più starci e tentò di ribellarsi, cercando inutilmente di stringermi la vita con le gambe per farmi fare la stessa fine… se solo non fossi stato molto più forte e un metro e novanta, forse…
    Ah.
    Mi aveva sfiorato. Col piede. In un punto ben preciso. Non avrebbe dovuto.
    Porco cazzo.
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    – Okay: fine dei giochi – andai indietro con le spalle e tentai di farle mollare con fare brusco il mio collo, sperando che facesse il tonfo finale per poi filarmela a fanculo, ma era più dura di un mulo; così optai per prenderla per una gamba e portarmela bruscamente davanti, facendola ricadere sul mio braccio sinistro anziché in acqua, a mo di casquette, come dicono quei froci dei francesi: – Tu devi stare con tutti e quattro gli arti al tuo posto, bionda. Intesi? – la fissai con sguardo eloquente, un sopracciglio alzato, come mettendola di fronte a una velata minaccia. Forse non molto velata. Ma era bene che stesse attenta: preso da quel buon umore, non si era alzata solo la serotonina.
    Mi piegai quel poco che bastava per recuperare anche la seconda gamba e, tenuta a mo’ di vittima di un incendio doloso, la trascinai fuori dall’acqua, facendola cadere come un sacco di patate sulla riva. Stancamente, appoggiai i due palmi al di sopra della sua testa testa con fare ancora giocoso, godendo nel sovrastarla e nel sentirmi in controllo della situazione.
    Ma ce l’avevo davvero?
    Ansimavo ghignante, sopra di lei, ma non era un sorriso maligno. Tuttavia si spense lentamente, come un falò bagnato, mentre, un respiro intenso dopo l’altro, il gioco pareva finire, ed io tornare a una realtà un po’ meno infantile.
    Un paio di gocce d’acqua salata, che parevano inseguirsi anche loro per divertimento, scivolarono dai fusto dei miei capelli lungo la linea morbida del mio naso, fino a cadere, questa volta una dopo l’altra, sul busto di lei, accarezzando gentilmente le sue forme per poi scivolarne in mezzo.
    Fu in quel preciso istante che sentii qualcosa gonfiarsi contro la coscia della Métis che, realizzai, si trovasse proprio in mezzo alle mie gambe.
    Avrei bestemmiato mentalmente, se solo avessi creduto a un qualche Dio ma, beh… per rispetto personale, evitai di offendermi da solo.
    Degluitii, facendo ballare il mio pomo d’Adamo.
    – Forse dovresti andare a letto. – le intimai a bassa voce, senza però staccare gli occhi scuri dai suoi. Mi aveva sempre affascinato la loro diversità, così particolare; eppure non mi avevano mai ipnotizzato come in quel momento. Sperai che fosse lei ad interromperlo, quel contatto, perché augurarsi che sarei stato io a farlo sarebbe stato piuttosto sciocco; scacciami, Métis, o tutti i miei buoni propositi andranno a puttane.


     
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    Skylee Metis

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    «Mpfh» Sbuffai un biccolo soffio di aria dal naso scuotendo impercettibilmente il capo. «È questo il punto... l'amore non è mai sicuro, è un continuo gioco d'azzardo basato sulla fiducia reciproca...» Gli avevo detto alzando le spalle con aria innocente prima di lasciare la tenda e con essa pure lui da solo al suo interno. Forse era per quello che fra noi non era mai iniziato veramente nulla di serio, non c'era mai stata reale fiducia, solo una blanda imitazione che poteva al massimo ricordarne i contorni, ma che poi, sotto la scintillante superficie, non nascondeva alcuna profondità.
    Il tocco della tiepida acqua sulle punte dei miei piedi fu inebriante e dolce, ricaricò quasi il mio corpo, ma quando delle forti braccia mi strinsero a loro per poi buttarmi in mare tutta la tranquillità svanì repentinamente. Boccheggiai confusa in cerca d'aria quando risalii dallo scuro specchio d'acqua nel quale ero sprofondata e i miei occhi saettarono veloci verso la fonte di tale imboscata. Guardai torva Harry per qualche secondo poi capii cos'era successo e mi preoccupai subito delle sue condizioni e di quanta pozione effettiva avesse consumato. "Tutta" aveva confessato, ma qualcosa nel suo sguardo mi fece sospettare che mi stesse prendendo ancora una volta per i fondelli e con un movimento repentino della mano gli schizzai tutto il viso di acqua salata come in segno di protesta per le innumerevoli cazzate che quella sera pareva aver deciso di dirmi. Ora non poteva giocare, doveva essere serio e rivelarmi ciò che aveva realmente consumato, ma non lo fece e anzi continuò a rigettarmi a tempi alterni sott'acqua facendomi talvolta bere piccole quantità di acqua per l'innaspettata immersione dentro ad essa, almeno fino quando, satura di quell'infantile comportamento, non decisi di restituirgli pan per focaccia avventandomi contro di lui per gettarlo a mia volta sott'acqua come meglio sarei riuscita a fare. Cercai di arrampicarmi su di lui e di schiacciarlo con la mia esile figura, ma tutto ciò che ottenni furono sciapi risultati e senza nemmeno accorgermene mi ritrovai ancora una volta stretta fra le sue braccia senza nemmeno capire il perché di quel tocco o delle sibilanti minacce nei miei confronti. Che avevo fatto? Cercai di chiederglielo ma prima che potessi farlo il Serpeverde uscì dall'acqua e mi fece ricadere al suolo sovrastandomi col suo corpo come poco prima aveva fatte dentro la tenda. Perché doveva fare così? Perché doveva sempre rovinare ogni parvenza di tranquillità fra di noi? Io ci provavo, ci stavo provando davvero a sopportare la sua presenza e visto l'evidente momentaccio che stava passando mi sforzavo di accantonare il rancore che nutrivo tuttora nei suoi confronti, ma lui con quei modi di fare me lo rendeva così dannatamente difficile. Forse ciò che fra tutto mi aveva sempre dato più fastidio era proprio il fatto che non ero mai riuscita ad essergli indifferente. Era innegabilmente bello, molto bello e quando decideva di ammaliare qualcuno con i suoi fintamente allettanti modi di fare ci riusciva sempre e persino con me, ormai anni prima, tale tecnica aveva funzionato alla perfezione. Lo avevo sempre detestato per quello, perché come un ignara mosca ero andata a posarmi sulla sua perfettamente tessuta tela di ragno e da lì tutto era andato a rotoli. Mi aveva avvicinato con modi gentili, si era insinuato nella mia testa a suon di briciole di sincerità atte a farmi fidare di lui e poi, quando non era riuscito ad ottenere ciò per il quale tessuto la sua tela, mi aveva semplicemente gettato via per poi passare alla preda seguente come se fossi un gioco vecchio del quale ci si era annoiati. Lo odiavo. Lo odiavo. Eppure ero ancora lì, ero ancora costretta ad averci a che fare e per qualche stramaledettissima ragione non ero tutt'ora in grado di essergli totalmente indifferente. Non in modo romantico, quello no o almeno dubitavo fortemente fosse possibile, sapevo bene a chi apparteneva il mio cuore e non avevo intenzione di donarlo a un'altra persona, non avrei lasciato spazio per altri dentro ad esso finché sarei stata assieme ad Axel, ero una persona fedele, mi ero sempre detta di esserlo, sempre imposta a non tentennare mai nemmeno un attimo pure durante i momenti di difficoltà perché quello era il modo giusto di comportarsi, l'unico modo di portare rispetto al proprio partner che avevo sempre ritenuto ammissibile all'interno di una coppia, eppure il suo caldo respiro a poche spanne dal mio collo mi fece sussultare. Non sapevo cosa fosse o perché mi sentissi spesso in quel modo quando qualcuno si avvicinava troppo a me, forse era unicamente una reazione fisiologica e naturale di un corpo umano troppo vicino a un suo simile o forse era solo la pozione che agiva su di me in maniera più potente di quanto non avessi mai ritenuto possibile, ma ciò che mi scosse la spina dorsale quando percepii il duro corpo del Serpeverde premuto, volontariamente o meno, contro la mia gamba, mi fece bloccare. La pioggia scendeva ancora copiosa su di noi, il mio corpo era in parte riparato da quello del ragazzo sopra di me e le uniche gocce d'acqua che mi ricadevano su viso e corpo erano quelle che abbandonavano quello di Harry separandosi lentamente dalla sua pelle per infiammare la mia. Lo vidi deglutire silenziosamente e mi chiesi se fosse per l'imbarazzo di avermi appena rivelato ciò che il suo corpo urlava a squarcia gola o se invece stesse unicamente soppesando le sue seguenti azioni. Mi disse che forse avrei fatto meglio ad andarmene, ad allontanarmi da lui per andare a dormire, ma rimasi immobile, incapace di muovere un singolo muscolo e silenziosa e guardinga deglutii a mia volta osservando prima i suoi occhi e poi le sue labbra. Le vidi avvicinarsi prima alla mia gola per lasciarci sopra una scia di baci e morsi atti a farmi contorcere leggermente sotto la sua imponenza. Le vidi poi raggiungere le mie labbra schiudendole per reclamare un bacio morbido e dannatamente passionale al tempo stesso. Vidi una delle sue mani scivolare verso le mie cosce per spingermi ad alzare il bacino e premerlo verso la zona più calda e pulsante del suo corpo,
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    lo vidi muoversi lentamente in una danza provocatoria contro il mio corpo ormai privo di autocontrollo per convincerlo sempre più a concedersi a lui e spingere le mie mani a muoversi a loro volta verso il suo basso ventre per dargli piacere, tanto piacere. Un gioco pericoloso che non avrebbe portato a nulla di buono. Sarebbe stato così semplice farlo, lo vedevo chiaramente, percepivo che sarebbe potuto accadere in qualsiasi momento pure lì sotto la pioggia se solo non mi fossi mossa per allontanarmi da lui. Dovevo farlo, non potevo permettere che altre mani mi toccassero in un modo tanto lussurioso e desideroso di me, non volevo che altre labbra si fondessero con le mie e non avrei mai potuto fare una simile cosa ad Axel, nemmeno dopo che solo la sera prima avevamo avuto da discutere parecchio su quanto quel giorno sarebbe andato a fare.
    Sgusciai nervosamente via da quella gabbia fatta di carne e ossa che mi sovrastava e non mi preoccupai nemmeno si avergli fatto perdere o meno l'equilibrio spostandogli il braccio da sopra la mia testa per aprirmi una via di fuga. Corsi veloce verso la sua tenda per recuperare il mio zaino e poi, incapace di voltarmi indietro per guardarlo, mi diressi verso una zona con più tende nei dintorni per evitare di rimanere ancora soli qualora avesse tentato di raggiungermi per chissà quale diavolo di motivo e servendomi di quella magia che a lezione non avevo potuto utilizzare eressi la mia tenda e mi ci lanciai dentro richiudendomi la zip alle spalle. Nemmeno volevo pensare a quanto sarebbe potuto accadere se fossi rimasta lì un secondo di più, ciò che i miei occhi avevano vividamente immaginato di vedere sarebbe potuto accadere realmente e quello sarebbe stato il punto di non ritorno, un punto che mi sarei sforzata con tutta me stessa di non oltrepassare.

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    Trololololololololo
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    Harry Barnes

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    Che cazzo stavo facendo? Non ne avevo la più pallida idea.
    Un momento ero lì, tanto occupato a crogiolarmi nel mio ormai perenne stato di adolescente depresso senza averne neanche, in tutta franchezza, la minima voglia di uscirne; volevo soltanto essere lasciato in pace, era così difficile? Per il resto, ultimamente avevo sempre un umore talmente pesto da non lasciare aperto il minimo spiraglio di un passaggio a una qualsivoglia parvenza di allegria da parte del prossimo: nulla attecchiva, ma serviva soltanto a farmi incazzare maggiormente, facendo proliferare in me un insano pensiero omicida; lo stesso che mi coglieva durante le notti, ma che sembrava farsi ormai sempre più vivido, reale, palpabile, da quando la mia vita aveva preso una piega così bizzarra e insopportabile… da quando non era più la mia. E allora avrei solo voluto distruggere tutto: le cose, le persone, il mondo. Non ne potevo più di un cazzo di niente. Se quello era il mio nuovo ruolo in quel pianeta, non valeva neanche la pena che esistesse. Era una fortuna che non ci fosse l’esistenza di un qualche enorme bottone rosso con quel potere… altrimenti lo avrei premuto da un pezzo, senza il minimo rimorso, neppure nei confronti di me stesso. Perché, nonostante avessi fatto innumerevoli cose brutte nella mia ancora giovanissima vita, mai ero arrivato a un punto tale da odiarmi tanto. Da disprezzare la mia immagine allo specchio, che solitamente, per me, era sempre stata una sorta di atto venerativo; mai avevo desiderato così schifosamente di sparire, di implodere, di farmi del male proprio come avevo provato a fare in quel sudicio e mal illuminato bagno di un pub schifosamente kitsch di Hosgmeade: tutt’ora non avrei saputo dire, sinceramente, che cosa sarebbe successo se non fosse arrivata la Métis nel bel mezzo di quel faccia a faccia spietato con me stesso. Probabilmente avrei continuato finché non ne avessi avuto abbastanza e, in quel momento, vedendomi appunto dall’esterno e punendomi come se fossi la feccia dell’umanità intera, so che la rabbia avrebbe potuto portarmi fino infondo.
    La Métis, però, me lo aveva impedito.
    Quella bionda… doveva sempre rompere il cazzo. Mettersi in mezzo. Farsi sentire. E, cazzo, non ti lasciava in pace finché non otteneva ciò che voleva, a prescindere che quello fossero i miei buoni voti a scuola per fare la parte della “caposcuola perfetta”, tentare di mettermi a posto od ottenere semplicemente un briciolo di attenzione.
    E, cazzo, era tutta la giornata che tentava in tutti in modi di fare proprio quello.
    Fosse per me, non sarebbe riuscita a spillarmi assolutamente nulla dalle labbra: non ero in vena di interessarmi a me stesso, figuriamoci agli altri. In più, era già stata una giornata abbastanza faticosa senza che ci mettesse il carico da novanta nell’insistere nel propormi la sua presenza fastidiosa finché, probabilmente, non avrei ceduto lanciandole un bombarda in piena faccia, e, successivamente, mettendosi anche a rimbeccare: giuro, ero a tanto così da quel cazzo di bombarda.
    Ma poi si era rabbuiata. Si era rattristata. Aveva fatto la parte del cucciolo ferito. E, cazzo, mi ero reso conto che in quello stato le reggessi ancor di meno. Non credevo neppure che fosse possibile. Non l’avevo mai vista così e, detta sinceramente, incuriosì una piccola parte di me. La addolcì, forse, complice anche il mio soddisfacente sfogo di quegli ultimi minuti: una volta più leggero, era stato più semplice avere uno scambio quantomeno civile. Tuttavia, mi sorprese non poco, una volta che mi ritrovai solo, la realizzazione di quanto quella pulce bionda fosse riuscita a fare: aveva tirato fuori il mio lato gioco, almeno per un po’… ok, a tratti alterni, ma c’era riuscita… e non me ne capacitavo. Mi sentii dunque improvvisamente vuoto, e in un certo senso spaesato, quando la sua presenza scomparve così com’era arrivata, come una colombella che se ne vola via con la leggerezza in mezzo al becco. Leggerezza: qualcosa che mi era mancata parecchio, e me ne rendevo conto soltanto ora. Tuttavia, non l’avrei seguita: la serotonina se n’era appena andata con lei, lo sapevo, e non mi restava che mangiare in pace.
    Questo finché non bevvi quel misterioso liquido, trasparente quanto inodore, che sembrò ridarmi nuova vita per la prima volta dopo settimane.
    E così la rincorsi. Lo feci per davvero. E me la misi in groppa, e la scaraventai in acqua, e diedi inizio a un gioco di cui – ora lo realizzavo – potevo ritenermi la maledetta miccia.
    Cosa stavo provando? Difficile da dire. Se me lo chiedeste, non ve lo saprei spiegare. Però una cosa la sapevo: dopo quell’intruglio, mi sentivo bene. Davvero bene. E, poco prima, in tenda, ero stato bene anche lì. Giusto un po’. Non fatevi strane idee. Però, adesso, la mia mente e il mio corpo erano uniti in un solo pensiero, e un’unica intenzione: sfogarsi sulla Métis. Inondarla di tutta quella leggerezza che sentivo, e usarla spudoratamente per sentirmi vivo, almeno per un po’. Non sapevo quanto sarebbe potuto durare l’effetto di qualsiasi cosa fosse, e proprio per questo pensavo solo a godermi ogni secondo…ma, ecco… forse un po’ troppo.
    La pioggierella si dibatteva musicalmente contro la superficie scura del mare, illuminato solo dal gentile tocco della luna che, a piccoli tocchi, sembra sfiorare le acque come gentili pennellate bianche all’orizzonte. Sembrava una vera e propria danza spensierata, quella che ci stava circondando e che accarezzava i nostri corpi, nel mentre intenti a “lottare” nell’acqua fresca della sera: un toccasana a contatto con la nostra pelle nuda, messa a così dura prova durante quella giornata così anormalmente afosa; almeno per un inglese come me. Quasi non mi resi conto del tocco della sua gamba a contatto con zone decisamente off limits, ma percepii il mio corpo reagire di conseguenza, in maniera totalmente autonoma. Un piccolo brivido, percepito da un lieve calore che mi pervase, solo per qualche istante: il giusto tempo per afferrarla per bene e, portandomela faccia a faccia, chiarire che avrebbe dovuto darsi una calmata. No, entrambi dovevamo: tuttavia, la nostra posizione pareva molto simile a quella di due bambini che, rimproverati dai genitori (in questo caso la mia stessa presa di posizione), non avessero la minima voglia di porre fine al loro gioco. Fu, infatti, di malavoglia che mi costrinsi a distendermela fra le braccia per trascinarla fuori dall’acqua, “in salvo” sulla riva… o forse no.
    Il mio sorriso, si vedeva, era ancora smosso da un certo divertimento sporco d’infantilità, ora atto a sovrastarla col mio corpo, come a volerle mostrarle la mia supremazia e, a me stesso, che non avessi poi così tutta quell’intenzione di mollare l’osso. Non così presto, almeno.
    Ma c’era un pericolo: lei. Il suo sguardo. Il mio. Il suo sguardo nel mio. Il modo in cui mi stava fissando. Non doveva fissarmi così. Era… dannatamente sexy.
    Mi indurii. Non potetti evitarlo. Sono cose fisiologiche, e io, depresso com’ero stato, non avevo un’erezione da quella che mi pareva un’eternità. E sapete questo cosa significa, non è vero? Che ero gonfio come un uovo in procinto di schiudersi. Porca merda.
    Tentai di sollevare il bacino tanto quanto bastava affinché non sfiorasse più la sua coscia calda, e bagnata e… Merlino santo… da quando la pioggia era diventata un elemento così sexy? Ciò che impediva alla corvonero di venire inondata dall’acqua era il mio corpo fisso sopra di lei che, involontariamente, le faceva da scudo; ciò accentuava, però, il modo in cui singole gocce le cadessero addosso, scivolando lungo le sue forme morbide e pallide come un percorso pericoloso, solleticando lo spazio in mezzo al seno, fin dentro al suo costume.
    Ero certo che a quel punto mi sarebbe arrivato un pugno in faccia da un momento all’altro, o almeno uno schiaffetto, una serie di improperi o… beh, una qualsiasi delle sue reazioni precipitose e aggressive. Non era una novità che le subissi, proprio per questo avevo smesso di provarci, nel toccarla, in qualsiasi modo. Ormai non lo trovavo più divertente, dunque non aveva più senso farlo. Eppure… in quel momento… sentivo che avrei potuto ridurla in brandelli. Come un cane rabbioso. Probabilmente era a causa della mia astinenza semi-involontaria giunta ormai al suo limite; ma anche il fatto che desiderassi la Métis da così tanto tempo faceva sicuramente il suo.
    Ma il pugno non arrivò, e neanche lo schiaffo, né improperi di alcun tipo: si limitava a continuare a fissare i suoi enormi occhi nei miei, stranamente immobilizzata, mettendomi sempre più in difficoltà.
    Avrei dovuto alzarmi di lì e rimuovermi dalla situazione, lo sapevo: non avrei saputo reprimere i miei istinti ancora a lungo. Il suo sguardo così perso nel mio, però, stava suscitando in me un’effetto molto simile a ciò che avevo provato con le sirene, quel pomeriggio: mi chiamavano, lo vedevo, conoscevo bene quel tipo di sguardo. Una certezza, in quell’istante, colpì il cervello con la stessa forza elettrica di un fulmine: lei mi voleva, almeno quanto la volevo io.
    Le mie mani erano ancora affondate sulla sabbia umida sopra la sua testa, quando il mio corpo decise di muoversi in totale autonomia così da portare un pollice contro suo labbro inferiore, premendolo delicatamente e trascinandolo leggermente verso il basso, in modo da scoprirne l’interno: era così soffice, succoso, che glielo avrei strappato a morsi.
    Farla mia, in quel momento, sarebbe stato estremamente semplice, talmente tanto che sarebbe stato un peccato non farlo: sarebbe bastato spostarle leggermente la parte inferiore del body da spiaggia, facendo indugiare le dita a sud, e farmi scivolare così dentro di lei. Non mi importava un cazzo del fatto che avrebbero potuto vederci, in così bella vista, anzi, tanto meglio: avrei messo un volta per tutte in chiaro la mia unica e indiscriminante posizione sul sesso, e sicuramente si sarebbe iniziato a parlare di quello, voci nuove che avrebbero messo a tacere le vecchie nel giro di pochissimo.
    SygAtij
    E allora c’era da chiedersi: c’era una sola ragione per la quale non avrei dovuto farlo?
    Non me ne veniva in mente neanche una.
    Delicatamente, le feci scivolare una spallina fino a cingerle il braccio, in modo da poter assaporare liberamente un punto preciso della clavicola; ma feci giusto per premere le labbra contro la sua pelle candida, che la bionda si ritrasse come punta da un insetto e, proprio come se avesse letto il mio pensiero iniziale (“scacciami, Métis”), approfittò del fatto che, ormai, mi tenessi su soltanto con una mano, e mi fece cadere su un fianco. – Skylee… torna qua! – alzai un braccio nel cercare di fermarla, di riacchiapparla, ma fu tutto inutile: filò via come una fottuta antilope.
    Mi tirai a sedere e poi in piedi, intenzionato a seguirla: perché cazzo faceva così, adesso? So che lo voleva quanto me. Era chiaro come il sole…
    La vidi chiudersi dentro a una tenda, a distanza relativamente breve, ma quando arrivai a lei la tenda era già sigillata. – Skylee? – tentai inutilmente. – Skylee, apri questa tenda. – insistetti, ma ciò che seguì fu unicamente il silenzio.
    Mi sedetti stancamente con le schiena contro l’apertura della tenda, un ginocchio piegato, mentre con una mano mi afferravo i capelli fradici e li scuotevo come sfogo. Avevo agito in maniera così sconsiderata? Forse sì. Lei era fidanzata, dopotutto – nonostante tutto –, e faceva tutti quei discorsi sulla stupida lealtà… sì, quello, forse, era un dettaglio che non avevo considerato. Eppure, continuava a non importarmene un fico secco: l’essenziale, per me, era soltanto uno… – Non credevo di fare nulla che tu non volessi – soffiai stancamente, facendo attenzione a parlare a voce abbastanza alta affinché si sentisse oltre il suono, ancora ticchettante, della pioggia; mi pareva, però, di parlare con un fantasma, e capii presto che fosse tutto inutile. – Fanculo. – imprecai a bassa voce contro il nulla, dopo essermi morso l’interno della guancia sinistra.
    Così mi alzai, scossi il capo per l’ultima volta in direzione della tenda e me ne andai, certo che qualcosa, da quel momento, sarebbe cambiato.




    Conclusa


    Edited by Barnes is our king. - 20/4/2023, 02:55
     
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