Innegabile. Ciò che aveva provato con quel ragazzo, mai prima dell’estate appena trascorsa, aveva scalfito così profondamente l’anima della Serpeverde. Provava un dispiacere sincero ma, in cuor suo, aveva ben presente cosa potesse significare il disappunto che provava per colui che se ne stava davanti a lei, senza la benché minima idea del disagio che le aveva inflitto con il suo atteggiamento lascivo e, per certi versi, meschino. Dopo il suo silenzio, Rain, si era adoperata, addirittura, ad elaborare congetture che dessero una spiegazione logica a tutto quanto ma, nonostante lo sforzo, il
nulla cosmico, come già accennato. Brutto segno. Era stanca di piangere la sua infelicità e non avrebbe permesso a un ragazzo qualunque di infierire in quella personale tortura che l’accompagnava da anni. Iniziava a credere di non essere destinata a quel tipo di
felicità e l’idea di poter contare solo su sé stessa, per il resto dei suoi giorni, la agitava non poco.
”Impossibile essere nervosi nella serra zen.” Ah, ma davvero? Quell’affermazione, giunta improvvisamente, denotava quanto poco Will sapesse del conto della rossa. Roteò gli occhi e non si mosse di un centimetri, sfidandolo apertamente a muso duro. Non era il tipo da lasciare le situazioni aperte e/o a metà ma, quel giorno, avrebbe preferito incontrare il suo vero padre, piuttosto che il Tassorosso il che la diceva lunga sulla poca inclinazione al dialogo.
“Se lo dici tu…” Alzò le mani come per volersi arrendere alla massima uscita dalla sua saggia mente da uomo vissuto. Il suo nervosismo non aveva nulla a che fare con quel luogo o meno ma dalla compagnia che non si era potuta scegliere, senza contare che la modalità zen non rientrava nelle sue corde da… mai. Le sue reazioni ne erano la prova schiacciante, limpide come quelle fantastiche giornate primaverili, prive di nuvole, che presto avrebbero preso il sopravvento, spazzando via l’inverno. Tutte belle parole ma, ad osservarlo meglio, i segnali di una possibile concitazione anche dalla controparte. La battaglia aveva preso il via, tornare indietro l’avrebbe fatta passare per il coniglio, incapace di affrontare la realtà e addio emancipazione femminile. No. Mai. L’abitudine di avere l’ultima parola si trovava radicata in lei, nel suo modo di essere e di comportarsi ed, anche quel giorno, avrebbe sfoggiato quell’arma anche a costo di perderci la faccia. Se la colpa poteva essere assegnata al cinquanta per cento, Rain, avrebbe fatto di tutto per uscirne pulita, candida come la neve che cadeva incontrastata sulle loro esistenze disturbate.
… non sono cose carine da dire.” Il fiammante sopracciglio sinistro schizzò all’insù. Ci credeva davvero? Impossibile.
“Non credo di aver mai affermato di essere una brava ragazza.” Tagliò corto, ponendo fine a quella stupida recita improvvisata dal biondino
“Sbaglio?” Domandò.
“Perché dovrei essere carina nei tuoi confronti? Che hai fatto per meritarti questo privilegio?” Il sarcasmo si sprecava. Folle, al limite con il ridicolo. Cercò di calmare il suo animo, evitando di estremizzare il suo disappunto, capace di dare il via ad uno sciame sismico che non solo non sarebbe passato inosservato ma, allo stesso tempo, avrebbe svelato ciò che stava nascondendo a tutti quanti. Le situazioni da gestire si stavano moltiplicando a vista d’occhio, stringendola in una morsa dalla quale sarebbe stato difficile uscirne indenne.
Idiota.
“La troppa sicurezza è madre della negligenza.” Sibilò quasi in modo impercettibile, come se ripetendolo potesse servire ad eliminare quel suo istinto che, spesso, la portava a buttarsi in situazioni che non l’avrebbero portata da nessuna parte. Lo aveva imparato a sue spese, rimanendo con un pugno di mosche a livello umano e non solo. Eppure quell’errore continuava a ripeterlo.
”Migliore di chi?” Sicuro non di me! Lo tenne per sé, glissando e cominciando un gioco serrato in attacco, senza pietà, sputandogli in faccia il veleno che aveva trattenuto nei mesi precedenti al loro, fortuito, incontro. Toccava a lui la difesa di sé stesso. Un faccia a faccia che doveva aspettarsi, prima o poi. Meglio tardi che mai. Celere e abile nel linguaggio, non permise alcuna replica fino alla fine del suo monologo, finalizzato a scuotere il senso di colpa del giovane Singh e sfruttarlo a suo favore.
”… ti ho ignorata… ho cercato di farlo.” Dopo lo sfogo, con un po’ di fortuna, sfruttando una pausa prendi fiato della Scamander, Will riuscì a dire la sua.
“Spoiler non molto spoiler: ti è riuscito benissimo il tentativo!” Si mise a braccia conserte, con espressione indifferente.
“Un fenomeno. Ti farei un applauso se solo suscitasse in me un minimo di interesse.” Quel confronto stava prendendo una piega che rasentava l’assurdo. Quell’astio derivava dalla convinzione di essere stata perculata, letteralmente, dal primo che passava per strada. Che burlone il destino e lei che ci stava ancora appresso, dandogli retta di tanto in tanto.
“Porca troia, Wilder. È così difficile da credere? Non fare il patetico. Pensavo di essere stata chiara quest’estate ma forse, la mia reputazione, ti ha spaventato!” Sapeva delle voci di corridoio che vagavano per il castello ma, talvolta, si illudeva che le persone dotate di intelligenza, potessero andare oltre e interfacciarsi direttamente con lei, per vedere quanto di fondato ci fosse in quelle stronzate.
“Hai rovinato tutto.” Un tentativo diretto di lavarsene le mani completamente, come se non avesse preso parte alla farsa di Natale, gettando benzina sul fuoco.
”La mia lingua non era sudicia, comunque, quando si trovava nella tua di bocca…” Colpo basso che, però, non avrebbe segnato la fine di quelle accuse.
“Se solo avessi saputo, mi sarei fatta fare una cazzo di lavanda gastrica, puoi metterci la mano sul fuoco.” La sua espressione in volto si schifò.
Lo vide pensieroso ma non comprese cosa stesse frullando in quella testa così contorta da darle la nausea.
“Io l’avrei manipolata? Certo.” Sbuffò.
“Quindi non l’hai usata? No? L’hai baciata perché ti andava di farlo? Dimmi… perché se così fosse, mio caro, io e te non abbiamo proprio più nulla da darci.” In quel caso, auguri ai figli maschi.
“Sei proprio un cazzo di idiota.” Per lo meno Marcel si era prestato alla causa, mettendo in scena quella cosa volontariamente.
“Abbiamo finto. Tutto quanto. Dal principio. Una trappola nella quale sei caduto con tutte le scarpe.” Ma mack? La Corva non sembrava conoscere i trascorsi tra di loro e, lui, si era ben guardato di metterla al corrente di Rain e della mezza liaison estiva.
“Mi hai aiutata ad aprire gli occhi. Te ne sono grata, paradossalmente!” Gli regalò un sorriso, di scherno, ma pur sempre un sorriso e di più non poteva.
“Se mi usano nel modo che più mi diverte, perché no? Alla fine ho sempre il coltello dalla parte del manico!” Pareva una minaccia e neanche troppo velata. Non le importava nulla, giunta a quel punto. Will avrebbe potuto pensare di lei ciò che più lo aggradava a patto di girarle alla larga da lì all’eternità.
Ignorò le successive domande, muovendosi pericolosamente verso la sua figura. Ridusse gli occhi castani a una fessura appena percettibile.
“Lo sei, per quel che mi riguarda!” Un caso estremo, per lo più. Il suo volto, in pochi attimi, sovrastava quello della figli di Salazar che, però, non si sarebbe lasciata sfuggire l’occasione di prendersi una piccola rivincita. Quando fu abbastanza vicino, Rain, alzò il piede e, cercando di non farsi notare nell’immediato, lo fece cadere proprio su quello appartenuto a Will. Sì. Gli aveva pestato un fottuto piede con tutta la forza possibile.
“L’importante non è essere alti, ma essere all’altezza, tesoro!” Con il senno di poi, però, riusciva anche a captare quella nota divertente nel buio di un litigio.