Cespugli farfallini e dissaporiPrivata (Rain)

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    Wilder Singh

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    21 anni - III anno

    Sabato 25 Febbraio 2023,
    Serra numero tre


    Nevicava. La sciarpa giallo-nera mi avvolgeva il collo e metà del volto, proteggendo le vie aeree dall’esagerato freddo scozzese, che già da Dicembre mi aveva fatto dono di ben due influenze pesanti. Complice era anche il fatto – probabilmente – che avessi interrotto l’assunzione di integratori da qualche mese a quella parte, di cui necessitavo data la mia dieta vegana; si dà il caso, però, che siano tipicamente di manifattura babbana, dunque non erano facili da reperire nella zona sperduta della Scozia in cui mi trovavo. Il villaggio più vicino era Hosgmeade, e tutto aveva fuorché babbanerie. L’unica sarebbe stata farmi spedire una bella scorta da mia madre, pensai, o magari trovare qualche erba equivalente… ne esistevano? Chissà. Avrei chiesto all’insegnante di Erbologia.
    Per rimanere in tema, poi, stavo dirigendomi proprio alle serre, respirando attraverso la lana, con la pelle già arrossata dal trauma delle basse temperature; per fortuna non erano molto distanti, e mi ci volle poco per spingere l’entrata in vetro della serra numero tre e chiudermela alle spalle con un sospiro soddisfatto, respirando a pieni polmoni l’aria decisamente più vivibile che stanziava lì dentro. In quella serra in particolare, infatti, regnava un’atmosfera più calda e rilassante che nelle altre, essendo l’originalissimo luogo di ritrovo per gli amanti del relax, del tè, dello yoga e della meditazione, per quanto – fino a quel momento – non avessi ancora conosciuto nessuno al castello che praticasse certi hobby… a parte me, chiaramente. Questo mi aveva portato a frequentare quel luogo regolarmente, precisamente quasi ogni mattina prima delle lezioni, ma non era quello il motivo per cui mi trovavo lì quel sabato pomeriggio; cercando di tenermi impegnato in tutti modi come mio solito, infatti, avevo chiesto al guardiacaccia se potessi aiutarlo con eventuali lavoretti, e così mi ero messo a disposizione anche con alcuni insegnanti, come quello di Erbologia, che mi aveva gratificato nel permettermi la cura settimanale di alcune serre, che consisteva in una semplicissima innaffiata generale alle piante che ne necessitavano. Era un modo come un altro per tenermi occupato, e Merlino solo sa se in quel periodo ne avevo un bisogno disperato; ancora, infatti, nonostante le mie molte ricerche, non avevo trovato una cura alla mia nuova condizione “acquatica”, stressandomi nel cercare di non dare troppo nell’occhio con i miei bagni serali particolarmente lunghi (a base di sale) che rendevano il bagno del mio dormitorio inagibile per il resto dei miei coinquilini dalle undici e mezza in poi. Quel segreto che mi portavo dietro aveva iniziato lentamente a logorarmi, facendomi rivalutare tutta la mia vita, o meglio, tutte le mie possibilità di vita. Il mio rendimento scolastico ne stava soffrendo, e così rendermi disponibile al corpo scolastico era anche un modo per mettere una toppa alla mia recente “pigrizia” didattica.
    L’ambiente zen di quel luogo, insomma, era divenuto utile più che mai, come un rifugio anche nei momenti di maggiore stress emotivo, immerso nel delicato profumo delle molteplici piante curative presenti e nel rilassante suono della cascata che discendeva il piccolo torrente goccia a goccia.
    Diedi una schiaffata alla neve sulla spalla sinistra, prima di spogliarmi di mantello e maglione, per poi sbottonarmi leggermente la camicia candida del completo scolastico e alzarne le maniche a tre quarti, in modo che fossi più comodo nel muovermi lì dentro. Recuperai dunque la pompa manuale e mi misi subito al lavoro, iniziando dagli innumerevoli cespugli farfallini disseminati per tutta la serra.
    Non arrivai neppure a finirli, infatti, che dovetti avvicinarmi alla cascata per rinfrescarmi un po’ il volto: immersi entrambi i larghi palmi sotto il getto cadente dell’acqua, a coppa, riempiendoli e schiaffandomeli in viso; lo percorsi poi dalla fronte in giù per rimuovere l’acqua in eccesso, quando mi accorsi di un ingresso inaspettato nella serra (perfettamente silenzioso, visto che eravamo tenuti a rimuovere le calzature all’entrata)… decisamente inaspettato.
    Era Rain.
    Cazzo.
    La fissai per un istante, incerto, per poi distogliere lo sguardo non appena possibile, voltandole le spalle per recuperare il tubo da terra; quando mi rialzai, riuscivo a stento a guardarla di sottecchi, in pieno disagio. – Io… avrò da fare per un altro po’, qui. Probabilmente un’oretta. – pensai bene di informarla, in modo che potesse scegliere se tornare più tardi o sopportare comunque la mia presenza silenziosa.


     
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    Rain Scamander

    La neve. Candidi fiocchi capaci di riportarla indietro nel tempo. Lentamente, fino a giungere ai primi anni della sua infanzia quando, ancora, il suo cuore si trovava integro ed ignaro del fatto che, di lì a poco, sarebbe stato strappato via dal piccolo petto, per poi essere ridotto in brandelli. Rain, altro non era che una semplice vittima delle circostanze, franate su di lei troppo presto per essere comprese a pieno dalla sua esperienza. Si era ritrovata sola, abbandonata da coloro che, fino a prova contraria, si erano addossati il dovere di crescerla e condurla verso il sentiero che, alla fine, l’avrebbe resa una donna meritevole e pronta ad affrontare il futuro a muso duro. Il destino aveva voluto diversamente ma, non per questo, si era concessa di sbagliare, perdendosi d’animo e lasciandosi sprofondare in quell’abisso che, una volta inghiottita, non l’avrebbe più lasciata andare. Giunse, così, l’adozione aveva curato gran parte delle ferite ma, anche da quel lato, vi era un rovescio della medaglia. Nonostante l’amore dimostrato nel corso degli anni da chi si era preso la briga di occuparsi di lei e dei suoi, inevitabili, traumi che avevano lasciato un segno non richiesto.
    Riemerse dal sotterraneo, lasciandosi alle spalle quell’oscurità dalla quale, spesso e volentieri, si era lasciata cullare per trovare quell’equilibrio che aveva perso. Tentativo dopo tentativo, poteva dirsi abbastanza soddisfatta del risultato ottenuto. Non male. O almeno, così le faceva comodo pensare. Si incamminò verso l’esterno, svelta, convinta di passare inosservata, così da permettersi il lusso di godersi quel sabato in totale solitudine, senza potenziali agenti disturbanti capaci di minare le esistenze anche più insignificanti. Non aveva bisogno di compagnia, così come non aveva alcun bisogno di intrattenere forzatamente una conversazione con qualcuno dai dubbi interessi. Niente convenzioni per una vita serena, non le sembrava di chiedere troppo, in fondo. Tutto filò liscio come l’olio e la rossa, in pochi istanti, si trovò all’esterno in balia del pungente freddo invernale che non pareva intenzionato a dare tregua a quella porzione di mondo abitata dai giovani maghi e streghe. Poco male, si sarebbe goduta ancora per un po’ il tepore del fuoco ristoratore, una volta fatto ritorno in Sala Comune. Si era interrogata sul dove recarsi per allenare le sue capacità, senza destare sospetti e/o spaventare i possibili spettatori non abituati a sopportare eventuali terremoti random, provocati da un umore instabile come quello di Rain. Una bella grana. L’elementalismo stava sfuggendo di mano, prendendo il sopravvento anche sul suo stesso volere, rendendola ancora più inquieta e più pericolosa. Un circolo vizioso dal quale non sarebbe uscita se non quando avesse raggiunto un certo grado di consapevolezza che l’aiutasse, in primis, ad accettare quel che le era stato tramandato per via ereditaria. Si strinse nel mantello ed imboccò il sentiero che l’avrebbe portata dritta, dritta verso le serre dove il professor Blackwood teneva le sue preziose piante. Mossa dal desiderio di sapere di più di tutto ciò, la Scamander, aveva optato per tentare una connessione con quello che, a quanto pareva, si era rivelato essere il suo elemento: la terra. Un tentativo non avrebbe fatto male a nessuno, soprattutto partendo dal presupposto che avrebbe fatto di tutto per avere più informazioni a riguardo. La inquietava un po’ il pensiero che con uno schiocco delle dita, avrebbe potuto far sbocciare un fiore. Andiamo, un potere alquanto inutile, no? Un discorso diverso andava fatto sui terremoti o qualsiasi cosa fosse successa l’estate precedente quando, per poco, non ci aveva rimesso la vita proprio durante il primo incontro con Will, il traditore. Alzò lo sguardo al cielo, imprecando mentalmente. Quel dannato. Ci aveva messo una croce sopra, promettendo a sé stessa di non cadere mai più nella trappola di coloro che, a prima vista, riuscivano a vendersi così bene da ingannare anche tipe sveglie come si reputava. Beh, proprio sveglia non era stata, considerata la limonata tra il Tasso e Mack –alla quale era stata concessa una sorta di indulgenza, vista la sua estraneità ai fatti- alla festa di Natale. Fanculo. Forse si è rincoglionito dopo essere stato troppo tempo immerso in acqua. In fondo terra e acqua non sempre entravano in sintonia, forse era proprio per quello che le loro vite avevano preso strade differenti. Semplicemente non era destino. Ma sì. Fingiamo di credere a questa gran stronzata! Tutto pur di mettere un dannato punto a quella situazione che, oramai, credeva superata. Illusione.
    Mise piede nella serra numero tre –la sua preferita- senza pensarci più di tanto, seguendo le consuetudini predisposte come da regolamento. Non fece in tempo a fare due passi che, proprio nel suo campo visivo si insinuò una figura familiare e, forse, l’ultima che avrebbe voluto incontrare proprio quel giorno. L’aveva colta impreparata, priva di argomentazioni. Che fare? L’unica arma a sua disposizione rimaneva proprio quel sarcasmo che in molteplici occasioni l’aveva aiutata a fuggire da scomode situazioni di disagio allo stato puro. Osservò le sue movenze, deliziandosi –per lo meno- della sua prestanza fisica. ”… avrò da fare un altro po’…” La solita fortunella ma, fino a prova contraria, era stata lei ad invadere il suo spazio vitale e, forse, avrebbe fatto meglio a girare i tacchi e fare ritorno da dove era venuta, in religioso silenzio, privandosi dell’occasione di lasciarsi sfuggire qualche frase tagliente per provocare il Tassorosso e spingerlo, forse, a vuotare il sacco delle motivazioni che l’avevano spinto ad esplorare l’esofago della Corvonero, in sua presenza. Pura curiosità, mica rodimento di culo, andiamo. “Mmm mmmm!” Annuì mentre si spostava a destra e a manca, come se fosse alla ricerca di qualche cosa. Stronza. “Sei qui solo?” Domandò, una volta finita la sua finta ricerca. “Ero convinta che qui, da qualche parte, si fosse nascosta una delle tue tante prede! E non parlo di creature magiche ma di qualche, insulsa e promiscua ragazzina, facilmente abbindolabile.” Inclinò la testa di lato e il suo sopracciglio destro schizzò all’insù, donando al suo volto un’aria dubbiosa, quanto bastava. “Oh, no. Che sciocca. Prediligi le ignare Corve dal lunghi capelli color ebano.” Terminò con il suo classico tono piatto, indifferente, come se quella sciocchezza non la tangesse minimamente. “Hai ragione. Un’ora in tua compagnia? Piuttosto la morte!” Un po’ melodrammatica? Un po’ troppo Rain.
     
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    Wilder Singh

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    Quella serra non risultava particolarmente popolare, almeno negli orari in cui la frequentavo io; rimasi dunque di stucco quando, tra quelli che probabilmente erano più di trecento abitanti dell’intero castello, mi ritrovai davanti (o dietro) proprio Rain Scamander, praticamente l’unica persona che evitavo. In realtà non lo facevo a posta, almeno credo: quando la incrociavo nei corridoi, nel cortile o da qualche altra parte, le mie gambe si accavallavano da sole, in un groviglio che mi portava a fare dietrofront. Puro spirito di sopravvivenza? Probabile. Quella ragazza era un tipetto per nulla raccomandabile, sotto certi versi. Poi chissà perché aveva deciso di prendersela tanto con me al ballo di Natale, appena due mesi prima; non c’eravamo praticamente più parlati, d’altronde. Il nostro rapporto, così come era rapidamente nato, mi sembrava ormai del tutto morto. Certo, non avevo smesso di pensare a lei, e proprio per quel motivo mi ero spinto a volermi svagare con una ragazza diversa per quella serata – diversa in ogni senso: le due avevano sia aspetto che personalità opposti, in più mi era piaciuto davvero stare con Mac, parlare, ballare con lei… per quanto quel bacio finale non fosse uscito del tutto spontaneo. Fu solo in risposta al bacio intercorso tra la rossa e il nobile lussemburghese, infatti, che decisi di fare la mia mossa. La corvonero pareva averla presa anche bene, ricambiando con trasporto, almeno finché Rain non si è decisa a interromperci per buttarmi in faccia tanta di quella merda da lasciarmi totalmente basito. Insomma… da dove diamine usciva fuori tutto quell’astio??! Il discorso che fece, per me, aveva avuto ben poco senso. Me lo ricordavo ancora: “sedotta e abbandonata”. Sedurre? Io? Certe cose si fanno consapevolmente o mi sbaglio? In ogni caso non credevo affatto di averla “accalappiata” come un randagio per conquistarla e farla per sempre mia… ci eravamo trovati bene, sì, ma era stato tutto spontaneo. In più, ciò che era accaduto dopo non sarebbe stato prevedibile da qualunque piano avessi avuto la benché minima voglia di farmi nei suoi confronti. Non che fossi un tipo da piani, beninteso. Stavo giusto per inviarle una lettera, quando, lo stesso giorno, subii la mia prima trasformazione; volevo rivederla prima che cominciasse la scuola, ma va da sé che avessi cose di gran lunga più importanti a cui pensare in quel momento. Poi ci riflettei su, e pensai che non valesse la pena per lei invaghirsi di uno come me, allo stato attuale. È forse un pensiero sciocco? Può darsi, ma come faccio a far spazio nella mia vita a qualcuno quando ogni mia certezza è andata persa? Io, per lo meno, vorrei sapere a cosa andrei incontro, ma il fatto è che… non lo sapevo neppure io.
    Durante il periodo festivo avevo anche deciso di accorciarmi – per la prima volta in dieci anni, forse – i capelli, da sempre distintivi della mia persona, mettendo atto a un cambiamento piuttosto drastico nel mio aspetto; per questo non mi aspettavo che fosse poi così ovvio che mi riconoscesse, di spalle. E invece…
    “Mmm mmmm!” raddrizzai di colpo la schiena in risposta alla sua voce netta e brusca, sorpreso dal solo fatto che fosse rimasta ad aprir bocca nei confronti di uno verso il quale riserbasse tanto rancore. Si era già sfogata abbondantemente con quella gran scenata di due mesi prima, no? Okay, forse no
    “Sei qui solo?” incalzò; stavo per risponderle qualche ovvietà, quando quella partì come una mitraglietta a far sarcasmo, indisponendomi in un primo momento, ma finendo infine per incresparmi marcatamente gli angoli della bocca, senza che quella potesse però vederlo. Mi voltai solamente quando ebbe finito (apparentemente), e fu con la più grande non chalance – nonché una grande faccia da culo – che decisi di risponderle con la stessa moneta, avendo stuzzicato abilmente la mia parte più giocosa.
    – Oh, sì, ma per fortuna se n’è andata poco fa: sarebbe stato strano se le mie due amanti si fossero incrociate, non credi? – "per la seconda volta, poi, pensai, nascondendo un fugace ghigno con il palmo della mano, fingendo di grattarmi la guancia. Scrollai le mani verso i cespugli adiacenti per rimuovere l’acqua in eccesso dai palmi, prima di riprendere il mio "attacco", indicando un angolo preciso della serra: – Abbiamo fatto sesso sfrenato proprio su quei cuscini. Ah… un’ora e mezza giocata proprio bene. Tra una carezza e l’altra, chiaramente, per un rapimento emotivo e sensoriale a trecentosessanta gradi. Le cose si fanno per bene… – e fu lì che andai ad incrociare bruscamente il suo sguardo: – …proprio come ho fatto con te, no? – sarcasticamente, volevo puntualizzare il fatto che, nonostante ci fossimo baciati, e lei si fosse dimostrata così disponibile nei miei confronti, io non fossi andato oltre con lei. Davvero non riuscivo a comprendere in quale incredibile modo l’avessi sedotta, e poi… non c’era nulla da “abbandonare”. Giusto? Chissà quante cotte estive aveva avuto… di certo i ragazzi intorno non le mancavano.
    – Comunque la serra era diventata talmente bollente che mi è toccato rinfrescare tutte queste povere piantine. Oh, quante cose hanno visto… non ditelo al preside, piccine – feci finta di accarezzare la foglia di una pianta particolarmente grossa, rendendo ormai palese più che mai la mia presa in giro. – Se vuoi puoi spogliarti anche tu: mi sono rinfrescato abbastanza per un secondo round – dissi facendo accenno al mio petto nudo grondante acqua fresca, ma pentendomi praticamente subito delle mie parole: quella ragazza era capace di ritorcere tutto contro di te. – ...ma immagino che tu fossi venuta per fare qualcosa di specifico, Pioggia sì, bravo, ritorniamo sui nostri passi, in modo da allontanarci da sentieri fin troppo pericolosi.


     
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    Rain Scamander

    Iniziava a credere che il destino, negli ultimi tempi, l’avesse presa come un cazzo di pungiball, sul quale sfogare tutte le frustrazioni di quello schifoso mondo troppo stretto. Ovviamente. Nonostante avesse desiderato ardentemente un confronto con il Tassorosso, non aveva avuto il tempo materiale per pensare a un discorso esaustivo, in grado di esporre in pieno il suo modo di sentirsi in seguito agli avvenimenti della notte di Natale. Era stata occupata a pensare alla sua famiglia o, per lo meno, a quello che ne restava. I suoi problemi l’avevano distratta dalla sofferenza di quel bacio rubato alla Corvonero che, in tutta risposta, sembrava essere più che felice di ricambiare. Forse avrebbe dovuto lasciarli in pace ma, come al solito, l’istinto aveva preso il sopravvento, muovendola in quel modo vendicativo e, forse, fuori luogo. Poco importava. Cambiare il passato? Impossibile. Rimediare? Non credeva di essere in grado a causa della sua poco inclinazione a tornare sui suoi passi. Aveva agito come la sua morale le suggeriva e non pensava assolutamente di aver qualche cosa da recriminarsi a riguardo. Non le importava. Poteva affermare che Will non fosse più un problema suo anche se, da un lato, ne era rammaricata per via dell’errore di valutazione estivo.
    Aveva qualche cosa di diverso. Quei mesi l’avevano indotto ad un radicale cambiamento anche dal punto di vista fisico, inspiegabile ma apprezzabile. Bello, come sempre ma con meno ascendente su di lei. La lasciò sfogare, in silenzio, senza interrompere il fiume in piena che straripava sotto forma di accuse gratuite capaci di renderla più leggera, ogni secondo di più.
    Rimase sorpresa dallo sforzo compiuto dal ragazzo per riuscire a tenerle testa. Ci stava riuscendo, ribattendo a muso duro al palese sarcasmo utilizzato per colpire la coscienza, se ne avesse avuta una. Dubitava.
    “Come siamo nervosetti, eh!” Lo apostrofò, lanciandogli un guanto di sfida bello e buono. Nel suo tono vi era un’ombra di aggressività che, se degenerata, non avrebbe potuto tollerare. Camminava sul filo del rasoio, consapevole del fatto che ogni singolo dettaglio che avesse portato un mutamento nel suo umore, sarebbe potuto essere l’inizio della fine. Lo detestava? Forse era proprio il sentimento che sentiva nei suoi riguardi ma, di certo, l’ultima cosa che desiderava era fare del male a qualcuno. Differiva da coloro che l’avevano messa al mondo ma, vista la sua incapacità di gestire il suo problemino, Rain, avrebbe preferito evitare qualsiasi sbalzo nel suo equilibrio mentale. Sbuffò. Pronta alla battaglia ma non alla guerra. Lo stette a sentire, trattenendosi dallo scoppiare a ridere. Se l’avesse fatto, probabilmente, l’avrebbe ferito nell’orgoglio che era spuntato tutto d’un tratto in quello che, qualche mese prima, altri non era che un timido ragazzo spaventato dalla sua presenza. Amante? Questo implicherebbe un mio interesse verso di te.” Quanta convinzione gettata al vento per nulla. “Devi aver respirato qualche cosa di strano, Singh, per credere che mi interessi, anche solo lontanamente, quello che fai qui dentro.” Aveva percorso la strada della gelosia per tanto di quel tempo che si era stufata, votandosi all’indifferenza che, senza alcun dubbio, avrebbe ferito più di una lama ben affilata. “Stai sprecando fiato. Sei il nulla cosmico!” I ruoli si erano invertiti. La rosse sentiva l’esigenza di difendersi da quel sarcasmo tagliente, volto a farla sentire la carnefice della situazione davanti alla sua vittima designata. Una vergogna.
    ”Proprio come ho fatto con te, no?” Finalmente trovò le palle per incrociare il suo sguardo. Meglio tardi che mai. Chi cazzo si crede di essere, questo stronzo? L’insinuazione del Tassorosso la fece sentire in balia di quegli attacchi gratuiti, attraverso i quali stava cercando di farle pesare l’atteggiamento frivolo che aveva tenuto durante il loro primo incontro. “Pensi di essere migliore, Wilder?” Sostenne il solenne sguardo, senza timore. “Evitata per mesi. Per ragioni a me oscure.” Fece un passio avanti, minacciosa. “Trattata come una povera stronza.” Iniziava a credere di aver fatto qualche cosa che l’aveva portato a cambiare idea su di lei, ben prima del bacio –cinematografico- con Marcel. “Ti si presenta l’occasione giusta per spezzare quel silenzio e tu che fai?” Porca troia. “Non solo ti sono mancate le palle per invitarmi ma ti sei presentato con un’altra ragazza.” Ancora non poteva credere di aver assistito a quella imbarazzante farsa. “Senza contare la tua premura nell’esplorarle l’esofago con la tua sudicia lingua.” Pffff. Tutto cos’ ridicolo. “Esaminati la coscienza, prima di scagliarti sul prossimo.” Pallone gonfiato, senza un briciolo di umiltà. Non aveva nessuna intenzione di sottrarsi a quello scontro anzi, mancava davvero un soffio a perdere le staffe. La magia involontaria che si sarebbe scatenata, avrebbe fatto il resto, facendola pagare a quello che sembrava aver bisogno di essere ridimensionato. “Ti ha mandato in bianco Mack, eh!” Ne era più che certa, vista la sua uscita di scena non propriamente serena. “Troppo intelligente per essere manipolata!” Non aveva avuto più modo di parlare con la ragazza dai capelli corvini ma, qualche cosa le suggeriva di non essere la benvenuta nella sua vita. Si era tenuta alla larga anche da lei, così, per precauzione ma se l’avesse cercata, sarebbe stata lieta di sistemare quello che, oramai, non era altro che non insignificante malinteso.
    “Mi dispiace. Ho un appuntamento con un serpeverde molto esigente, più tardi. Devo preservarmi per poter dare il meglio.” Lo fronteggiò. Un faccia a faccia fatto di una serie di provocazioni che, sotto un certo punto di vista la divertivano alquanto.
    “Certamente. Ho fatto solo una cosa non ponderandola. E guarda dove sto.” Lo stuzzicò. “Questo dovrebbe essere un cazzo di giardino zen. Cercavo di tenermi alle larga i rompi coglioni ma, ahimè, comincio a credere di aver ucciso un gattino nella vita precedente.” Non avrebbe mai ammesso la verità. Anzi, mantenere il segreto, per lei, significava tutto. “Mentre tu? Lecchi il culo a Blackwood?” Si aspettava di tutto.
     
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    Mi schiaffai in volto un’espressione incurante, nello star per dire qualcosa di ovvio: – Affatto. Impossibile essere nervosi nella serra zen. – ”…ma forse tu potresti rompere la regola”, avrei concluso nel dire, ma il mio sesto senso da maschio, figlio e fratello di due donne dal carattere altrettanto peperino mi indicò fosse meglio omettere quell’ultima parte, che per me avrebbe semplicemente constatato l’ovvio, ma dall’altra parte sarebbe stata vista sicuramente come una provocazione bella e buona. La rossa, a Natale, aveva dimostrato uno spirito distruttivo che non mi era piaciuto per niente, e non avevo la minima intenzione di rivivere un round two, per quanto, quantomeno, questa volta fossimo lontano da orecchie e occhi indiscreti. A meno che Blackwood non avesse stregato qualche pianta…cosa plausibile quanto le nuove intenzioni di Rain che, qualsiasi cosa avesse intenzione di fare in quel luogo e a quell’ora, dovevano essersi sicuramente tramutate in una nuova splendida, fantastica occasione per aizzarsi contro di me. E infatti…
    “Questo implicherebbe un mio interesse verso di te.” abbassai di colpo la testa, con un improvviso interesse verso la composizione naturale di fiori davanti a me, scostando distrattamente le foglie mentre ruotato la lingua attorno al palato in preda a uno strano sentimento in risposta a quelle parole. In quel momento non avrei saputo definirlo, ma non era piacevole.
    “Sei il nulla cosmico!” aggiunse poco dopo in risposta al mio sarcasmo, l’arma che più mi veniva naturale usare, nonché quella che mi parve la più consona alla situazione e alla mia interlocutrice. – Oh, Rain… non sono cose carine da dire – mi espressi ancora una volta ironico, imitando un padre scontento della figlia; tornai a guardarla, tentando di mascherare quanto quelle parole così fredde e taglienti avessero potuto ferirmi. Dopotutto, chi era lei esattamente? Una compagna di scuola e nulla più. Al di là delle lezioni, non ero minimamente tenuto a starle attorno e a sopportare la sua supponenza.
    Guardarla, però, era sempre letale per me. Per questo evitavo di farlo. Per questo mi posiziona vo puntualmente al lato opposto della classe, mi sedevo di spalle rispetto al suo posto alla lunga tavolata di serpeverde, cambiavo strada nei corridoi e, persino ora, lottavo per riuscire a tenere lo sguardo alto su di lei. Mi stregava. Lo aveva fatto sin dal primo momento; non saprei come altro descrivere quell’ascendente che riusciva ad avere su di me, anche dopo quei lunghi mesi di silenzio. Non era solo bella, Rain: aveva un’aura che ti assorbiva completamente, ed ero certo che fissarla troppo avrebbe potuto portare un uomo alla pazzia. Mi meritavo di venire punito con quelle parole eccessivamente dure da parte sua, pronunciate come la più innocua delle constatazioni? Forse sì, per quanto continuasse a parermi eccessivo. Ma io dubitavo fortemente che, se le parole che pronunciavano fossero state tanto vere, avrebbe perso tempo nel dedicarmele. Che non avrebbe fatto subito retro front, abbandonandomi nuovamente alla mia solitudine nella serra piuttosto che fronteggiarmi ancora una volta, dopo quel gesto così plateale. – …ne sembri quasi convinta – sputai con convinzione dopo quell’ultima realizzazione mentale. – Dipende: migliore di chi? – domandai interessato, piegando la testa di lato mentre decidevo di sistemare in un angolo gli attrezzi che stavo usando, come a segnalare chiaramente che ero ora disposto a dedicarmi a lei e ai suoi sfoghi, tornando presto a fronteggiarla con due mani sui fianchi. Dall’alto del mio metro e novantuno, torreggiavo su di lei, ma questo non sembrava affatto intimidirla. Continuava imperterrita a mantenere quell’adorabile quanto isterica aria da chihuahua agguerrito, che era una delle cose che più mi piacevano di lei. Masochista? Probabilmente. Però non riuscivo proprio a mantenere uno sguardo totalmente serio, davanti a quella scena; questo finché non riprese la parola, ora decisa ad esprimersi seriamente. Fece persino un passo verso di me, come a volermi attaccare con ogni brandello di sé stessa. “Trattata come una povera stronza.” No. Cosa??! No! Feci ora un passo io verso di lei, tentando di riprenderla in quel punto, ma fu tutto inutile: era un carro armato pronto alla lotta. La mia espressione però era cambiata: dal far di tutto per trattenere una risata divertita, ora aggrottavo la fronte concentrato nel suo discorso, portato per la prima volta, dalle sue parole, a vederla esattamente dal suo punto di vista. – Non mi sono scagliato proprio su nessuno – puntualizzai quando me ne diede modo. – Sei stata tu ad attaccarmi per primo, alla festa… come hai detto, ti ho ignorata. O almeno… ho cercato di farlo – lasciai trapelare, ripensando a come quella sera, in particolare, splendesse come un rubino prezioso. Sarebbe servito a qualcosa informarla del fatto che avrei tanto voluto invitarla a quel dannato ballo? O che avessi quasi ceduto, ma che fosse ormai troppo tardi perché Marcel mi aveva abilmente anticipato? – Tra tutti i ragazzi al castello… volevi che ti invitassi io? – fu ciò che dedussi dalle sue parole. Le mie sopracciglia si aprirono in un gesto di sorpresa, nello sguardo pura incredulità. – La mia lingua non era sudicia, comunque, quando si trovava nella tua di bocca… – mi leccai le labbra facendo un nuovo passo verso di lei, con rinnovata aria di sfida: ormai ci dividevano solo pochi centimetri. Era da molto che non eravamo così vicini, e quasi mi ero scordato di quanto i suoi capelli fossero visibilmente lucidi e setosi, o le sue labbra fossero così perfettamente disegnate e… piene e invitanti come pezzi di frutta in una giornata cocente… ripensai allora alla mia “sporca lingua” nella sua bocca, e a quanto ci stesse bene.
    No, assolutamente no. Strinsi gli occhi e scossi energicamente la testa (rilasciando goccioline volanti dai biondi capelli ancora umidicci) distogliendo lo sguardo da lei: ecco, l’avevo fissata troppo. E troppo da vicino. Ritorniamo alla realtà, cazzo. Quella ragazza mi dava alla testa. – Guarda che hai fatto più tu per manipolarla che io, visto quello che le hai detto per farla fuggire. Ti sembro quindi uno che usa tattiche? Uno che usa le ragazze? Davvero, Rain? – per cosa, poi? – Inoltre… mi pare sia stata tu la prima a baciare Marcel. Come mi spieghi questa bella mossa, dopo tutto il tuo discorso? E anche cosa ti ha spinta ad abbandonare le braccia di un nobile per dedicarti all’ambita demolizione di uno squattrinato come me – lo dissi senza vergogna: era ciò che ero, almeno al momento. Un altro motivo che si aggiungeva al non essere così egoista nel volerla per me.
    – Ah, cavolo, che invidia. Ti fai usare da altri, quindi, adesso? O sei tu che usi loro? – ero tornato a fare il sarcastico per mascherare quanto infondo non mi sembrasse un’ipotesi così assurda. Ero certa che di concasati che volessero passare la serata con lei ne avesse a bizzeffe dentro l’armadio… – Quindi, alla fine… sono questo? Un rompicoglioni? – ignorai bellamente la sua ultima domanda, mentre le mie lunghe gambe muovevano, come mosse da una forza esterna, il passo definitivo che portò il mio viso diretto sopra il suo. – Pensavo fosse il tuo ruolo, nanetta un modo giocoso per stuzzicarla, per sovrastarla, quando doveva vedersi bene nei miei occhi quanto l’ultima intenzione che avessi nei suoi confronti fosse litigare seriamente. Proprio in quel momento, avrei voluto passarle una mano fra i capelli e prenderle il volto tra le mani, ma dovetti trattenermi con tutto me stesso dal farlo. Era troppo preziosa per me.


     
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    Rain Scamander

    Innegabile. Ciò che aveva provato con quel ragazzo, mai prima dell’estate appena trascorsa, aveva scalfito così profondamente l’anima della Serpeverde. Provava un dispiacere sincero ma, in cuor suo, aveva ben presente cosa potesse significare il disappunto che provava per colui che se ne stava davanti a lei, senza la benché minima idea del disagio che le aveva inflitto con il suo atteggiamento lascivo e, per certi versi, meschino. Dopo il suo silenzio, Rain, si era adoperata, addirittura, ad elaborare congetture che dessero una spiegazione logica a tutto quanto ma, nonostante lo sforzo, il nulla cosmico, come già accennato. Brutto segno. Era stanca di piangere la sua infelicità e non avrebbe permesso a un ragazzo qualunque di infierire in quella personale tortura che l’accompagnava da anni. Iniziava a credere di non essere destinata a quel tipo di felicità e l’idea di poter contare solo su sé stessa, per il resto dei suoi giorni, la agitava non poco. ”Impossibile essere nervosi nella serra zen.” Ah, ma davvero? Quell’affermazione, giunta improvvisamente, denotava quanto poco Will sapesse del conto della rossa. Roteò gli occhi e non si mosse di un centimetri, sfidandolo apertamente a muso duro. Non era il tipo da lasciare le situazioni aperte e/o a metà ma, quel giorno, avrebbe preferito incontrare il suo vero padre, piuttosto che il Tassorosso il che la diceva lunga sulla poca inclinazione al dialogo. “Se lo dici tu…” Alzò le mani come per volersi arrendere alla massima uscita dalla sua saggia mente da uomo vissuto. Il suo nervosismo non aveva nulla a che fare con quel luogo o meno ma dalla compagnia che non si era potuta scegliere, senza contare che la modalità zen non rientrava nelle sue corde da… mai. Le sue reazioni ne erano la prova schiacciante, limpide come quelle fantastiche giornate primaverili, prive di nuvole, che presto avrebbero preso il sopravvento, spazzando via l’inverno. Tutte belle parole ma, ad osservarlo meglio, i segnali di una possibile concitazione anche dalla controparte. La battaglia aveva preso il via, tornare indietro l’avrebbe fatta passare per il coniglio, incapace di affrontare la realtà e addio emancipazione femminile. No. Mai. L’abitudine di avere l’ultima parola si trovava radicata in lei, nel suo modo di essere e di comportarsi ed, anche quel giorno, avrebbe sfoggiato quell’arma anche a costo di perderci la faccia. Se la colpa poteva essere assegnata al cinquanta per cento, Rain, avrebbe fatto di tutto per uscirne pulita, candida come la neve che cadeva incontrastata sulle loro esistenze disturbate. … non sono cose carine da dire.” Il fiammante sopracciglio sinistro schizzò all’insù. Ci credeva davvero? Impossibile. “Non credo di aver mai affermato di essere una brava ragazza.” Tagliò corto, ponendo fine a quella stupida recita improvvisata dal biondino “Sbaglio?” Domandò. “Perché dovrei essere carina nei tuoi confronti? Che hai fatto per meritarti questo privilegio?” Il sarcasmo si sprecava. Folle, al limite con il ridicolo. Cercò di calmare il suo animo, evitando di estremizzare il suo disappunto, capace di dare il via ad uno sciame sismico che non solo non sarebbe passato inosservato ma, allo stesso tempo, avrebbe svelato ciò che stava nascondendo a tutti quanti. Le situazioni da gestire si stavano moltiplicando a vista d’occhio, stringendola in una morsa dalla quale sarebbe stato difficile uscirne indenne. Idiota.
    “La troppa sicurezza è madre della negligenza.” Sibilò quasi in modo impercettibile, come se ripetendolo potesse servire ad eliminare quel suo istinto che, spesso, la portava a buttarsi in situazioni che non l’avrebbero portata da nessuna parte. Lo aveva imparato a sue spese, rimanendo con un pugno di mosche a livello umano e non solo. Eppure quell’errore continuava a ripeterlo. ”Migliore di chi?” Sicuro non di me! Lo tenne per sé, glissando e cominciando un gioco serrato in attacco, senza pietà, sputandogli in faccia il veleno che aveva trattenuto nei mesi precedenti al loro, fortuito, incontro. Toccava a lui la difesa di sé stesso. Un faccia a faccia che doveva aspettarsi, prima o poi. Meglio tardi che mai. Celere e abile nel linguaggio, non permise alcuna replica fino alla fine del suo monologo, finalizzato a scuotere il senso di colpa del giovane Singh e sfruttarlo a suo favore.
    ”… ti ho ignorata… ho cercato di farlo.” Dopo lo sfogo, con un po’ di fortuna, sfruttando una pausa prendi fiato della Scamander, Will riuscì a dire la sua. “Spoiler non molto spoiler: ti è riuscito benissimo il tentativo! Si mise a braccia conserte, con espressione indifferente. “Un fenomeno. Ti farei un applauso se solo suscitasse in me un minimo di interesse.” Quel confronto stava prendendo una piega che rasentava l’assurdo. Quell’astio derivava dalla convinzione di essere stata perculata, letteralmente, dal primo che passava per strada. Che burlone il destino e lei che ci stava ancora appresso, dandogli retta di tanto in tanto.
    “Porca troia, Wilder. È così difficile da credere? Non fare il patetico. Pensavo di essere stata chiara quest’estate ma forse, la mia reputazione, ti ha spaventato!” Sapeva delle voci di corridoio che vagavano per il castello ma, talvolta, si illudeva che le persone dotate di intelligenza, potessero andare oltre e interfacciarsi direttamente con lei, per vedere quanto di fondato ci fosse in quelle stronzate. “Hai rovinato tutto.” Un tentativo diretto di lavarsene le mani completamente, come se non avesse preso parte alla farsa di Natale, gettando benzina sul fuoco. ”La mia lingua non era sudicia, comunque, quando si trovava nella tua di bocca…” Colpo basso che, però, non avrebbe segnato la fine di quelle accuse. “Se solo avessi saputo, mi sarei fatta fare una cazzo di lavanda gastrica, puoi metterci la mano sul fuoco.” La sua espressione in volto si schifò.
    Lo vide pensieroso ma non comprese cosa stesse frullando in quella testa così contorta da darle la nausea.
    “Io l’avrei manipolata? Certo.” Sbuffò. “Quindi non l’hai usata? No? L’hai baciata perché ti andava di farlo? Dimmi… perché se così fosse, mio caro, io e te non abbiamo proprio più nulla da darci.” In quel caso, auguri ai figli maschi. “Sei proprio un cazzo di idiota.” Per lo meno Marcel si era prestato alla causa, mettendo in scena quella cosa volontariamente. “Abbiamo finto. Tutto quanto. Dal principio. Una trappola nella quale sei caduto con tutte le scarpe.” Ma mack? La Corva non sembrava conoscere i trascorsi tra di loro e, lui, si era ben guardato di metterla al corrente di Rain e della mezza liaison estiva. “Mi hai aiutata ad aprire gli occhi. Te ne sono grata, paradossalmente!” Gli regalò un sorriso, di scherno, ma pur sempre un sorriso e di più non poteva.

    “Se mi usano nel modo che più mi diverte, perché no? Alla fine ho sempre il coltello dalla parte del manico!”
    Pareva una minaccia e neanche troppo velata. Non le importava nulla, giunta a quel punto. Will avrebbe potuto pensare di lei ciò che più lo aggradava a patto di girarle alla larga da lì all’eternità.
    Ignorò le successive domande, muovendosi pericolosamente verso la sua figura. Ridusse gli occhi castani a una fessura appena percettibile. “Lo sei, per quel che mi riguarda!” Un caso estremo, per lo più. Il suo volto, in pochi attimi, sovrastava quello della figli di Salazar che, però, non si sarebbe lasciata sfuggire l’occasione di prendersi una piccola rivincita. Quando fu abbastanza vicino, Rain, alzò il piede e, cercando di non farsi notare nell’immediato, lo fece cadere proprio su quello appartenuto a Will. Sì. Gli aveva pestato un fottuto piede con tutta la forza possibile. “L’importante non è essere alti, ma essere all’altezza, tesoro!” Con il senno di poi, però, riusciva anche a captare quella nota divertente nel buio di un litigio.


    Edited by black diamond. - 1/4/2023, 19:09
     
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    Wilder Singh

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    – Eppure mi sei sembrata tale, l’estate scorsa. Dietro tutte quelle apparenze. Ma forse mi sono sbagliato. – diedi un’alzata di spalle, consapevole che, dopo la scenata vissuta alla festa di Natale, probabilmente stessi dicendo il vero. Che mi ero sbagliato sul suo conto. Ma, dopotutto, non era sempre così? Quanto puoi dire di conoscere una persona dopo una giornata passata assieme? La gente tende sempre a mostrarti i suoi lati migliori, o a fingere di averne. La realtà, ormai lo sapevo, era molto diversa: forse le apparenze non erano davvero così ingannatrici. Forse ciò che sembrava a primo acchito, cioè una stronzetta di facili costumi, lo era davvero. Non cercava di nasconderlo neanche poi così tanto, dietro a un sorrisetto costantemente sarcastico e derisorio. Mi era piaciuto credere che fosse un angelo travestito da diavolo, ma ora iniziava a sembrarmi proprio l’opposto. C’era un dettaglio, però: mi meritavo quell’atteggiamento così passivo-aggressivo? “Perché dovrei essere carina nei tuoi confronti? Che hai fatto per meritarti questo privilegio?” …ecco, appunto. Non sapevo come rispondere a quella domanda, e per questo non lo feci. Recentemente non avevo fatto nulla per meritarmelo: aveva ragione. Eppure, non pensavo che “non fare nulla” equivalesse a diventare il cattivo della situazione…
    “…ti è riuscito benissimo il tentativo!” la guardai con incredulità: sapendo bene cosa mi fosse passato realmente per la testa per tutto quel tempo, mi suonava come una realtà completamente opposta. Le parole che seguirono mi fecero mordere le labbra; più la rossa si esprimeva, più leggevo nei suoi occhi che, dietro la rabbia, vi fosse dell’altro. E allora mi diedi mentalmente dello stupido: l’avevo allontanata in automatico, convinto che fosse la cosa migliore e che a lei non avrebbe cambiato proprio un bel nulla, anzi, certo che non si sarebbe neppure accorta della mia ferma posizione, essendo stato unicamente una stella cometa di passaggio: sorprendente finché fa parte del tuo campo visivo, ma destinata a spegnersi e ad essere dimenticata in un tempo quasi immediato. Ed era ciò che avrebbe dovuto essere anche lei: non era quello il punto delle cottarelle estive?
    La rossa continuava a ribadire che non avesse interesse nei miei confronti, eppure avevo rapidamente smesso di crederci. Aveva innalzato uno scudo nei miei confronti, uno scudo altissimo e pieno di aculei: lo percepivo. Non ci voleva un genio o uno psicologo per capirlo. Certo, avrebbe potuto essere solo rabbia repressa, a quel punto, ma allora perché incarognirsi così tanto? – Se davvero qualcuno non ti interessa, non ti prendi neanche la briga di farglielo sapere e ribadirlo così tanto. Non credi? – volevo farle capire che fosse chiaro come il sole ma, più di tutto, volevo che giocasse a carte scoperte; senza mettere alcun velo alle verità, e a ciò che realmente provasse… ma la capivo. Mi percepiva come una minaccia o, per lo meno, qualcosa di negativo, di falso; ed era vero. Mi ero comportato da falso per tutto quel tempo. – Non è la tua reputazione… – cominciai a dire. Ma per finire dove? Non lo sapevo, e infatti non conclusi quella frase. “Hai rovinato tutto.” le mie iridi tremarono, mentre ogni tentativo di mostrarmi forte e impostato, davanti ai suoi occhi, svaniva. Una parte di me avrebbe voluto afferrarle una mano, ma non lo feci, sapendo che avrebbe scacciato la mia. Mi sentivo completamente atterrito. In quel preciso momento, mi resi conto di quanto mi fossi interessato solamente alla mia presa di posizione, senza tentare neanche di valutare quella che sarebbe stata la sua.
    E quindi continuai a prendermeli in silenzio i suoi rimproveri, usando quel tempo per valutare l’effetto che facessero su di me quelle parole, per riflettere. “L’hai baciata perché ti andava di farlo?” qui mi mise davvero in difficoltà. Mi era piaciuto baciarla? Sinceramente, . Era una bella ragazza, baciava bene, e avevo tentato con tutto me stesso di spegnere il mondo attorno grazie a quel gesto. Ma, per fortuna, non era stata quella la sua domanda. – L’ho baciata perché tu avevi baciato un altro. E volevo scaturire una reazione. – e ci ero riuscito. Ne ero soddisfatto? Ovviamente no. Nessuna reazione che fosse possibile scaturire da quel gesto avrebbe potuto piacermi. Eppure, un curioso senso di rabbia interiore mi aveva spinto a farlo. Qualcosa che non avevo mai sperimentato prima di allora. Prima di quell’estate. “Sei proprio un cazzo di idiota.” trattenni il fiato solo un istante, per poi rilasciarlo con una nuova arrendevolezza: – Hai ragione. Lo sono. Sono un fottuto cretino. – ammisi. Un vero uomo, dopotutto, si prende le proprie responsabilità. “Abbiamo finto. Tutto quanto. Dal principio.” quelle parole, però, mi stizzirono. La guardai con un nuovo fare severo e sprezzante: – Se mi dici così, però, siamo i due coglioni dentro lo stesso boxer. – un modo piuttosto esplicito per dar voce a una grande verità. – Tu non capisci un cazzo. – l’unico sbaglio della rossa (a parte baciare Marcel), forse, era stato essere troppo precipitosa: neanche lei, fino a quel momento, aveva cercato un confronto, dopotutto. E anzi: quello stesso confronto era completamente casuale. Anche lei continuava a credere di sapere tutto, senza sapere un bel niente.
    – Tu credi di averlo. Ma così fai solo la parte del giocattolino. – la fissai stizzito. – Pensi di valere questo? L’essere un inutile sfogo per qualche coglioncello al castello? – per quanto divertente potesse essere per lei, infondo quel comportamento non faceva che dimostrare a sé stessa e al mondo quanto poco credesse di valere. O, almeno, quella era la dura impressione che avevo di lei. – È triste. – strinsi i pugni, le labbra strette, nel reputare ingiusto il modo in cui trattasse sé stessa.
    “Lo sei, per quel che mi riguarda!” sorrisi ironico: quel piccolo momento di sfida rese per un attimo l’aria più leggera.
    Questo finché non mi pestò un piede con tutta la forza possibile.
    Non mi fece neanche così male, in realtà. Ma volevo farglielo credere.
    Solo per un momento.
    Mi chinai verso il mio piede sinistro, fingendo di provare un gran dolore: – Merda… che dolore… come farò a camminare adesso??? – ovviamente quelle parole resero ovvio il mio scherzo, ma tanto era troppo tardi: nell’alzarmi, la presi di peso e la gettai sopra il mare di cuscini all’angolo della serra come uno scarpone dopo una lunga giornata di lavoro.
    – Tu. Pazza. Ora ti fai anche aggressiva? Sai che so come domare le bestie. – in un attimo alzai una lunga gamba e la portai oltre il suo corpo disteso, piegandomi su di lei a mo di ranocchia, senza però arrivare a toccarla. – Ahhh. Come devo fare con te? – scossi la testa guardandola come una bambina che si era comportata male. Un caso perso. – Pensi che uccidermi ti farebbe sentire meglio? O ti piacerebbe solo rendermi disabile? – mi avvicinai leggermente col busto a lei, in modo da farla affondare ancora di più fra i cuscini. – Sicura che non ci sia proprio un altro modo? –


     
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    Rain Scamander

    Esatto. Apparenze. Ma che poteva saperne lui? Dietro quella cinica maschera si nascondeva una ragazza completamente differente, fatta di sofferenza ed un rancore così forte da riuscire a dominarla per la maggior parte del tempo. Per questo, spesso sentiva di doversi porre sulla difensiva, alzando un muro che l’avrebbe tenuta al riparo dalla merda che il mondo circostante era in grado di dispensare totalmente a gratis, senza chiedere il fottuto permesso. Così funzionava dal suo punto di vista e nessuno avrebbe potuto esercitare su di lei quella forza, degna da poterle cambiare quella visuale, oramai radicata in lei. Neanche lui. Non riusciva a capacitarsi del perché fosse ancora lì, a discutere, dopo quello che era avvenuto la sera di Natale, in quella dannata Sala Grande quando, per qualche assurdo motivo, aveva deciso di mandare tutto a puttane invitando la Corvonero al suo posto. Che vi era ancora da spiegare? Le cose non erano andate nel verso che avrebbe voluto. Fine della storia. Né più, né meno. Metterci un punto, sarebbe stato meglio per entrambi, permettendo di voltare pagina verso orizzonti nuovi e, forse, più limpidi di quello che avrebbero avuto insieme. Quel continuare ad attaccarsi sarebbe stato controproducente, con una nota di sadismo. Perché andare oltre? ”Ma forse mi sono sbagliato…" Evidentemente. Una giornata. Una soltanto. Come potevano, entrambi, essersi illusi di aver trovato persone degne con le quali provare a costruire qualche cosa che andasse anche solo lontanamente oltre una sana amicizia. Che gran stronzata. Che ingenuità. Questa scivolata le era costato molto in termini mentali e, ora, era stata costretta dal fato a ritrovarsi faccia a faccia con colui che non avrebbe più voluto affrontare. Un male necessario, forse ma per il quale non si riteneva abbastanza preparata. Perdere tempo non l’avrebbe portata da nessuna parte, anzi, avrebbe giocato a suo sfavore, impedendole di superare quell’ostacolo ma in che modo?
    ”Se davvero qualcuno non ti interessa, non ti prendi neanche la briga […] Non credi?” Ma vaffanculo! Il suo primo istinto fu quello di sbottare e sputargli in faccia un grande quantitativo di veleno che si portava appresso, oramai, da due mesi. Eppure, stranamente, la Serpe, rimase impassibile, come se la domanda appena postale, fosse scivolata via, in mezzo a quella marea di stronzate che aveva udito fino a quel momento. “Ti piacerebbe.” Commentò indifferente. “Vorresti che la mia reazione fosse il risultato dell’interesse che nutro nei tuoi confronti?” Forse lo era stato per davvero ma, di certo, non gli avrebbe dato la soddisfazione di sentirselo dire. “Chi ti credi di essere?” Domandò, senza alzare il tono della voce, in modo diretto e limpido, come se si aspettasse da parte sua una risposta sincera e non una data dalla rabbia che poteva nutrire nei suoi confronti. ”Non è la tua reputazione…” Non avrebbe mai voluto insinuare che Mack fosse priva di personalità, al contrario, reputava la ragazza una fonte di vita e una persona degna di essere chiamata tale certo, forse meno impegnativa di lei e più abbordabile per il giovane Tassorosso che a suo dire non vantava esperienze di chissà quale livello, con il genere opposto al suo. “Certo. Certo.” Che le voci girassero non vi era alcun dubbio e, opinione su opinione si costruiva una reputazione non del tutto ottimale per lei.
    ”L’ho baciata perché tu avevi baciato un altro. E volevo scaturire una reazione.” Rimase zitta. Sapeva di non essersi comportata con quella maturità che millantava ma, in un certo senso, le aveva dato la certezza che Will non fosse poi così interessato a lei. Avevano davvero rovinato tutto, cancellando ciò che di più buono il primo loro incontro aveva regalato. Si era pentita? Ancora non aveva una risposta esaustiva ai dubbi. “E lo sei oggi più che mai.” Lo apostrofò. “Perché hai ritenuto opportuno utilizzare una ragazza della quale non ti importa nulla, per attirare la mia attenzione. Ti costava molto venirmi a cercare? Invitarmi a quel cazzo di evento? Di cosa diavolo avevi paura? Di un no?” Parlò a macchinetta, senza respirare, lasciando trapelare tutta la rabbia che albergava in lei. “Non ti capisco e non credo di essere la persona adatta a te.” Le differenze abissali tra i due erano lì, chiare come il sole, eppure per qualche assurdo motivo continuavano a darsi contro, come se non avessero altro da fare.
    ”Tu non capisci un cazzo.” Reprimere l’impulso di schiaffeggiarlo fu assai difficile. Fece leva su tutta la buona volontà per non ricorrere a misure estreme per gridare vendetta su quel parere non richiesto dato dal Tasso. “Puoi dirlo forte, Wilder. Non capisco un cazzo!” Se così non fosse stato, a quell’ora non si sarebbe trovata lì a combattere contro quelli che avevano tutta l’aria di essere dei mulini a vento. “Cosa ti aspettavi da me?” Domandò retorica. “Che mi struggessi? Che mi strappassi i capelli? Cosa?” Per una che non aveva nulla di dire, se la cavava piuttosto bene a scovare argomentazioni che alimentassero quell’astio.

    ”Pensi di valere questo?” Non aveva mai nascosto la sua natura profana e il fatto che non le importasse di avere una relazione stabile, la portava a prendere decisioni discutibili gli occhi di molti. “Mi credi stupida?” Il giocattolino di qualcuno? Semmai il contrario. Aveva per davvero il coltello dalla parte del manico e l’unico suo dovere stava nello svanire quando vi si affacciasse il sentore che, dall’altra parte della barricata, il pericolo di un innamoramento imminente si faceva vivo. Lo osservò mentre stingeva i pugni e dichiarava quanto fosse triste il suo hobby (?). “Noto del disappunto nel tuo tono. A cosa è dovuto? In ogni caso, mio caro, so cavarmela alla grande da sola, così come ho sempre fatto da quando ho messo piede in questo mondo di merda!” Si lasciò andare a un piccolo sfogo. “Grazie, papà!” Gli canzonò dietro. “Per te valgo? Non mi è parso!” Da lì, sconfitta, non ne sarebbe uscita, era del tutto fuori questione.

    Gli pestò il piede, come una bambina capricciosa. In pochi attimi la situazione si ribaltò a favore del Tasso che con una mossa dalla dubbia natura, ebbe la meglio, gettando la rossa su un numero indefinito di cuscini, tra i quali sprofondò letteralmente. “Ma che cazzo…” Si stava riprendendo ciò che aveva perso? Beh, per lo meno ci stava provando. ”Come devo fare con te?” Alzò il braccio sinistro e gli parò davanti al naso il dito medio, un tacito invito di andarsene direttamente a quel paese. No. Non l’avrebbe avuta vinta, la possibilità l’aveva avuta e non era stato in grado di sfruttarla. “Non ti vorrei neanche sulla coscienza.” Sibilò, prima di rifilargli un sorriso apatico e ricco di sarcasmo. ”Sicura che non ci sia proprio un altro modo?” Lo lasciò fare. La loro distanza si trovava ridotta ai minimi storici. Si elevò leggermente e con la punta del naso, andò a sfiorare quello del giovane. Lo strofinò, con dolcezza e, dopo aver alzato la mano destra, la sprofondò tra i suoi capelli. Mancava un soffio e le loro labbra si sarebbero sfiorate, senza che nessun ostacolo. “Sì! Sono sicura!” Ed eccola, pronta a smorzare quell’atmosfera in modo brusco e vendicativo. Si voltò su un fianco e cercò di destabilizzarlo per farlo crollare al suo posto. “Ucciderti? No. Non sarebbe divertente. Torturarti, però, rientra più nel mio modus operandi.” Lasciò scivolare la rabbia, convinta di essersi presa la sua rivincita. “Non riesci a voltare pagina? Beh, come darti torto? Anche io farei fatica, se fossi al tuo posto!” La sua vena ironica non scomparve, nonostante non si poteva dire a suo agio.
     
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    21 anni - III anno

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    Non mi ero preparato nessun discorso da farle, semplicemente perché avevo preferito evitarla a tutti i costi. Non avevo le palle necessarie? Forse era davvero così. Non era l’unica motivazione, però: non sapevo davvero che spiegazioni darle per la mia sparizione. Imperdonabile. Non la biasimavo. Ma come facevo a spiegarle che non mi reputavo più ciò che credevo di essere un tempo? Ossia un semplice umano, senza particolari problemi, che avrebbe avuto tutta la libertà possibile e immaginabile per darle tutto ciò che voleva, se lo avesse voluto. Ero certo che continuare a frequentarla avrebbe portato solo in una direzione: il mio interesse, per lo meno, non avrebbe potuto che crescere a dismisura, fino a incontrare due riscontri, e due soltanto: contribuire a far nascere qualcosa di molto bello fra di noi, o soffrire per non venire ricambiato o, peggio, sforzarmi con tutto me stesso per non toccare certi tasti con lei, per non darle la maledizione di impegnarsi, nel migliore dei casi, con un fottuto mezzo pesce. Certo, avevo un carattere romantico per natura, e di conseguenza davo vita a dei voli pindarici senza eguali, ma non era forza una possibilità da tenere anche solo minimamente in considerazione? In realtà, era più un discorso generale, con il quale non sapevo bene fare i conti: insomma, se non fosse stata Rain, sarebbe stata qualcun’altra: stesso problema. Forse sarebbe bastato solamente conoscere meglio me stesso e la mia situazione attuale, forse sarei davvero riuscito a trovare una quadra in tutto quel caos che era ora la mia vita, ma al momento non sapevo che pesci pigliare (espressione molto ironica, non credete?) e non volevo costringere nessuno a impelagarsi in un qualcosa di troppo grande, di troppo strano e difficile. Forse le avrei semplicemente fatto schifo, a lei come a chiunque altra, ma non volevo scoprirlo: mi avrebbe fatto troppo male. Eppure… ciò che avevo ottenuto, ora come ora, era tanto diverso? A quanto pare no: anche in quella via che avevo deciso di percorrere, quella del vigliacco, ero riuscito ad ottenere lo stesso esatto feedback, se non peggiore: era davvero meglio farsi schifare per una coda di pesce - uno stato delle cose che non potevi in alcun modo controllare - o per la persona che, oltre le squame, eri? La risposta era chiaramente la seconda. Eppure non lo avevo totalmente tenuto in considerazione, troppo impegnato a scappare. “Chi ti credi di essere?” inspirai profondamente, lasciando svuotare i polmoni nel dire molto semplicemente: – Non lo so, Rain. Non credo di saperlo più. – era la verità. Ciò che ora ero, probabilmente avrebbe cambiato la mia identità… forse lo stava già facendo. Ma non sapevo in che modo. I miei pensieri, nonché piani per il futuro, ormai, sembravano solo un groviglio confuso, come una matassa di lana nelle mani di un gatto per una mezz’ora buona. – Desideri e azioni hanno preso due strade diverse… e credo sarà così per un po’. – dubitavo che avrebbe capito ciò che intendessi, a mala pena riuscivo a farlo io, ma non sapevo davvero come meglio esprimermi. E forse era meglio così: non dire troppo, continuare a non farle sapere come stessero davvero le cose. Non confonderla ulteriormente. “Non ti capisco e non credo di essere la persona adatta a te.” sorrisi, un sorriso amaro, nell’abbassare di poco il capo, debole e sconfitto: – Forse lo eri troppo. Sai, a volte… le persone giuste semplicemente si incrociano nei momenti sbagliati. So che non puoi capirlo, ma… fidati. – parlavo già al passato, sì, ma che il treno, dopotutto, fosse già bello che passato, lo vedevo nei suoi occhi, nel linguaggio del suo corpo… c’era ancora qualcosa, di non meglio identificabile, che faceva sì che nessuno dei due fosse totalmente impassibile di fronte all’altro. Fra di noi c’era come un filo rosso diviso da un pesante masso che impediva a una parte di raggiungere l’altra, un masso che avevamo messo noi… no, anzi… che probabilmente avevo messo tutto da solo. Un filo che, lo sentivo, stava per spezzarsi tristemente.
    – Che non mi avessi dimenticato, forse. Comportamento incoerente com’è la mia vita in questo periodo… ti ho rovinato quella serata, forse. Non avrei dovuto. – almeno delle scuse… quelle gliele dovevo. Meglio tardi che mai, suppongo.
    – So che sai cavartela da sola, Rain. Ma, non so… vorrei semplicemente che ti circondassi di persone che ti trattino bene. Come meriti. Tutto qui. – quindi non io, fu una realizzazione triste che feci.

    madalala
    Il momento in cui ci ritrovammo successivamente, affondati entrambi fra i cuscini in quell’angolo confortevole della serra, fu improvviso e destabilizzante. L’aria si rilassò un poco e, per un momento, mi parve di tornare a quell’estate. Una posizione in cui non avrei dovuto mettermi. – Rain, io… stavo scherzando… – cercai di ritrarmi quando il naso di lei andò a immergersi nel folto dei miei capelli umidi. Quella vicinanza mi destabilizzava, lo faceva sempre. Scherzi a parte, tra i due, era sempre stata lei a tenere il coltello dalla parte del manico: ero più che convinto che, con un solo sguardo, sarebbe potuta riuscire ad ottenere da me qualsiasi cosa. Questo era il livello di rincretinimento che mi causava. Maledizione. – Sapresti bene come torturarmi, tu. Altroché… – voltata su un fianco, mi parve più vicina e bella che mai. – Ti sei vista, Rain?… ma aspetto a parte, non potrei mai scordarmi di te. – avvicinai lentamente una mano al suo orecchio, spostandole con fare leggero e quasi impercettibile una ciocca dietro ai capelli fulvi Mai. Ascolta… – feci scivolare poi una nocca sotto il suo mento, nel sollevarglielo leggermente, nel tentativo di ottenere tutta la sua attenzione, – …Non volevo ferirti con la mia assenza, Rain. Lo giuro su ciò che mi è più caro: la mia famiglia. Non meritavi che lo facessi. Ma… come ho detto prima, sono convinto che siamo due anime affini che si sono incrociate nel momento sbagliato. Qualcosa… è cambiato, da quel Luglio. In me. Non so bene come spiegartelo. Spero che un giorno, presto, riuscirò a trovare una quadra nella mia vita, ma… al momento è tutto troppo complicato. So che la nostra vicinanza non può che farmi desiderare solo… di averti mia. Non sarei in grado di darti solo dell’amicizia, sei… sei troppo, per limitarmi a quello. – mi passai la lingua sul labbro inferiore, cercando di scegliere le parole più giuste, ma sembrava tutto così difficile e, da quelle che sarebbero state orecchie esterne, probabilmente poco sensato, – Credo che sia giunto il momento di andarmene. Dal castello. C’è una situazione grossa, più grossa di me che devo cercare di sistemare, e non posso farlo qui. Probabilmente mi dimenticherai in un batter di ciglia… ma io non lo farò con te. Solo… non odiarmi, ti prego. Questo… non è ciò che vorrei. Ma dubito di avere altra scelta. – avvicinai le mie labbra alle sue, come un soffio: se avesse voluto, si sarebbero incontrare per quella che sarebbe stata, quasi sicuramente, l’ultima volta. In caso contrario, mi sarei limitato ad immaginare di assaporarla per l’ultima volta, prima di alzarmi, deciso ad andarmene. Prima di voltarmi, però, ci tenni a dirle un’ultima cosa: – Divertiti, se vuoi, ma… trova qualcuno che ti tratti bene, per davvero. Se io non posso averti, voglio saperti tra le giuste braccia. Non… non odiarmi. Ti prego. – e in quel momento lo percepii: lo spezzarsi del filo rosso.


     
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