Venomous moon

with Edmund, Eileen and Javier.

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  1. DylanW.
     
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    ★★★

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    Professore
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    Kylkenny, Irlanda

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    Dylan
    Quanta pazienza e quanta insofferenza riuscivano a generare in lui quelle vittime oramai spacciate ma che si dibattevano nell’afrore degli ultimi istanti di vita. Dylan trovava vagamente affascinante, se se ne soffermava a pensare, il modo in cui si aggrappavano a quel filo sottile oramai segnato dal taglio incombente delle parche. Affascinante, ma in frangenti come quello, noioso. Il tempo che i due mangiamorte avevano ipotizzato, premeditato e predestinato per quel piano era preciso, l’effetto del veleno sarebbe svanito nel giro di una mezz’ora e i due non potevano permettersi di trovarsi altrove quando la prima vittima si fosse risvegliata dal sonno. Dovevano essere lì, presenti, a recitare la migliore performance della loro intera vita e fingere di svegliarsi anch’essi da quell’allucinazione. Dylan avrebbe poi dovuto recitare la parte cruciale, quella del vicepreside autoritario che avrebbe promesso di trovare e punire il colpevole che solo diversi giorni dopo si sarebbe materializzata nell’ignara figura del Romanov.
    La Smith sollevò la bacchetta puntandola verso i due mangiamorte, l’istinto della rossa aveva immediatamente intuito che qualcosa non stesse andando per il verso giusto e in un gesto disperato aveva alzato la bacchetta nel vano tentativo di difendersi trovandosi di risposta piegata sulla pietra fredda del corridoio del terzo piano, le urla stesse della donna che ne rompevano il silenzio tombale. Dylan allentò la presa sulla mente di lei con un sospiro e fu proprio sfruttando quell’attimo che lei tentò di fuggire castando un incantesimo piuttosto banale per distrarli. Fu Blackwood a gestire la cosa come poco prima gli aveva ordinato e sguainando anche lui la bacchetta si appropinquò ad abbattere il mostro. Dylan annuì al collega e senza scomporsi più di quel tanto tornò alla parete da abbattere. C’erano vicini, lo sentiva. Sollevò la bacchetta tornando a castare l’artiglieria pesante scaricandola ad infrangere l’incanto che la vecchia preside aveva eretto ma fu quando si fermò nuovamente, contemplando l’effetto che gli incanti avevano avuto – una lunga crepa sulla parete – che il vampiro dall’altra parte colpì con l’ultimo incantesimo decisivo. Sollevando il polso richiamò non verbalmente uno scudo difensivo che lo avrebbe protetto da pietra e calcinacci volanti e in una nube di polvere vide la figura aggraziata del non morto farsi largo tra le macerie. Dylan lo osservò, studiandolo, mentre avanzava riposizionando la cravatta che portava al collo. Lo squadrava e valutava quell’ennesimo scherzo della natura alla quale si era dovuto affidare. Blackwood aveva insistito in merito, aveva quasi dovuto lottare per convincerlo – razzista com’era – ad accettare nel suo piano un altro individuo in primis e che fosse addirittura sporcato da una maledizione in secondo luogo. Dylan non accettava quelle aberrazioni, per lui appunto erano tali in quanto costrette a placare i loro istinti con delle sostanze o alterando la forma del loro corpo, del loro tempio. Mutazioni, scherzi della natura, errori da estirpare ma concepibili solo se si guardava a loro come a mezzi per un secondo fine, quasi fossero oggetti da prendere, utilizzare e poi, una volta esaurito il loro potenziale, da gettare via. «Non possiamo tenerla come animaletto domestico temo, se a voi non dispiace io estirperei il problema alla radice», fece il docente di Erbologia palesando il suo ritorno con la donna priva di sensi in spalla. Dylan non replicò, gettò un’occhiata di sufficienza verso quella che ormai riteneva l’ex psicologa della scuola e scosse le spalle. L’indomani avrebbe dovuto preparare un nuovo annuncio di lavoro per quella posizione che si era appena aperta, certo... dopo i funerali, magari? Mh.
    «Chiunque sia costei, temo che ucciderla questa sera non farebbe altro che ostacolare la realizzazione del vostro piano.» Esattamente ciò a cui aveva appena pensato. Voltò lo sguardo verso il vampiro squadrandolo senza lasciare che la benché minima emozione trapelasse dal suo viso. «Dico bene, vicepreside?» Dylan lo studiò per un istante prima di replicare seccamente. «È corretto.» Sentenziò. «Lei che cosa propone... ?» Assottigliò lo sguardo mentre lasciava che la bacchetta scivolasse delicatamente nel palmo cercando di valutare la creatura senza l’ausilio del suo potere. I vampiri erano creature famose per il loro particolare talento che li votava all’arte del mentalismo. Tutto il loro fascino si basava principalmente nel modo in cui riuscivano ad ammaliare le vittime entrando in sintonia con le loro onde cerebrali manipolandole e soggiogandole a provare le emozioni che al predatore più aggradavano. Pericolosi. Infimi persino. Dylan non avrebbe permesso che il suo prezioso segreto fosse alla mercé di una creatura tanto subdola.
    «Nessuna domanda, solo una precisazione alquanto ovvia.» Sentenziò. Del destino della psicologa non poteva fregargliene di meno ma... «Se in qualche modo le sue cure non fossero abbastanza per contenere la lingua della signorina Smith voglio che per lei sia chiaro che non saremo noi quelli ad affondare», nella maniera più assoluta. «Precisato ciò sono lieto di fare la sua conoscenza signor Cedeño», un tiepido sorriso si forzò sulle labbra del vicepreside. «Come forse Blackwood le avrà anticipato quello di Hogsmeade è per noi un punto di passaggio particolarmente focale, non che sia l’unico mezzo», una risata appena soffiata, «ma forse quello più discreto per il passaggio indisturbato di merce e... persone», altri mangiamorte ad esempio quando sarebbe venuto il momento. «Voleva dirmi il suo compenso?» Si voltò per scoccare un’occhiata eloquente al compagno mangiamorte prima di tornare con lo sguardo sul... succhiasangue.
     
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