Venomous moon

with Edmund, Eileen and Javier.

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    Dylan
    Halloween, 31 Ottobre. Ore 21.05

    Il tempo era giunto. Per lunghi mesi il mangiamorte aveva lavorato a quel momento studiando quel piano e rivoltandolo per considerarne ogni possibile opzione. Lo aveva valutato insieme al suo braccio destro, Blackwood, in quella che era diventata la loro missione a due. Molti si erano schierati dalla loro parte ora che stavano portando risultati ma Dylan era stato ferreo: non avrebbe permesso a chiunque di entrare in quello che era il suo sogno e scopo di tutta una vita. Avrebbe quindi selezionato e sì, avrebbe permesso ad alcuni di aiutarlo in quel progetto ma chi sarebbe rimasto al comando di tutta quella faccenda sarebbe stato comunque lui. Se lo era meritato, lo aveva guadagnato con le unghie e con i denti quel posto riuscendo ad inserirsi e a farla sotto al naso a ben due auror che poi, in seguito, era riuscito a far fuori. Che soddisfazione quella! Salutare fingendosi addolorato la Rei ed il vecchio collega McCormac che avevano sempre sospettato di lui ma che, con la loro inettitudine, non erano stati capaci di metterlo nel sacco nonostante quella stupida di sua figlia gli avesse remato contro cantando come un canarino alla De Masi. Stupidi, sciocchi tutti a pensare d'incastrarlo. Uno ad uno come pedine di una scacchiera erano state spazzate dal suo gioco ed ora, solo una mossa lo teneva distante dal suo primo traguardo: la direzione totale della scuola. Ma Dylan non aveva fretta, tutt’altro, e proprio per questo motivo riusciva a permettersi il lusso di muoversi lentamente ma inesorabilmente senza cedere di posizione nella sua avanzata. Ogni passo era attentamente calcolato e mosso unicamente nel momento in cui i tempi si sarebbero fatti maturi esattamente come quella sera, la notte di Halloween. Dylan era giunto in Sala Grande, il tenue sorriso semi nascosto dalla barba perfettamente curata; aveva intrattenuto gli studenti dando loro le informazioni di rito dedicate a quella festa e poi aveva preso posto, sedendosi al fianco di lady Dragonova mentre il vecchio, malato, preside Edevane, aveva svolto la sua parte di show ignaro di compiere esattamente ciò che il vicepreside aveva preventivato. Quello del mago era stato un discorso accalorato verso i suoi ragazzi, li amava, li amava davvero ma quegli ingenui – Dylan li vedeva, li disprezzava per la loro maleducazione – altro non facevano che nascondere sbadigli mentre non vedevano l’ora che la vera festa avesse inizio. Anche il White non vedeva l’ora e quando Edevane raggiunse la tavolata sollevò il calice facendo eco al suo augurio per dare inizio alla festa.

    Sollevò il capo, perfettamente sveglio e con i suoi occhi neri come il carbone osservò la sala. Tutti erano svenuti ed i fantasmi volavano impanicati al di sopra di tutti i ragazzi urlando e cercando di scorgere qualche anima viva in quella disfatta. «Edmund?» L’uomo diede immediatamente voce, era sveglio ed operativo esattamente come lo era il mangiamorte. «Fai ciò che devi.» Gli ordinò e l’uomo immediatamente sollevò la bacchetta castando silenziosamente alcuni incantesimi che gelarono gli spettri sul posto mentre fumo annebbiava gli occhi dei soggetti nei quadri. Gli ectoplasmi calarono lentamente dal cielo adagiandosi a qualche centimetro da terra quasi i loro corpi avessero guadagnato di peso e adesso non fossero più in grado di levarsi in volo. Un nuovo cenno d’intesa ed il secondo mangiamorte diede sfoggio di tutta la potenza del suo potere che aveva coltivato ed allenato per tutti quegli anni. I volti dei ritratti si fecero spenti. I loro occhi dapprima vividi si fecero vitrei mentre la coscienza spariva dai loro visi: stavano dimenticando e nello specifico gli avvenimenti di quella sera. Nessuno al castello avrebbe saputo cosa stava succedendo, gli unici sarebbero stati loro. «Possiamo andare.» Marciando tra le teste chine, i due maghi oscuri sfilavano nella Sala senza battere ciglio e solo in due momenti il White lascio che lo sguardo discostasse dal suo obiettivo: una volta guardò sua figlia, semi distesa sulla tavolata di quella vergognosa casa, il volto corrucciato nell’incubo che stava vivendo e una seconda volta verso un Serpeverde, Romanov, che ignaro non sapeva di essere stato designato e selezionato per qualcosa di più grande. Per il bene superiore. Il ragazzo non avrebbe avuto modo di sottrarsi! Uscirono dalla sala e man mano che salivano le scale oscuravano e cancellavano i ricordi dei quadri fino a rendere Hogwarts un castello spento dove nessuna anima, viva o non, emetteva suono. Era surreale e allo stesso tempo suggestivo. «Il nostro contatto è pronto?»
     
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    Silenzio, ecco ciò che percepivano finalmente le orecchie dell'ex Serpeverde. Un beato e godurioso silenzio. Fatto tutt'altro che comune quando si era costretti a sedersi accanto alla professoressa chiacchierona e femminista di Trasfigurazione. Una noiosissima e fastidiosa donnella che dalla sua aveva solo un fantastico corpicino da osservare e apprezzare, ma nulla più, perché come apriva bocca tutta la magia svaniva e il suo aspetto passava del tutto in secondo piano, mentre sfinito e sull'orlo di scoppiare per non poter ribattere come avrebbe voluto, Edmund si ritrovava a valutare il posto affianco al vecchio e bavoso professore si storia della magia. Ora però taceva e sollevando il volto della giovane donna, stringendo le dita attorno ai suoi capelli per mantenere il suo volto ben in vista, l'ormai vissuto mangiamorte ne contemplò i lineamenti da vicino, ma proprio sul più bello, quando le sue svelte mani iniziavano a scendere verso il basso per poter spiare i punti altrimenti inaccessibili della professoressa e scoprire se sotto quei vestiti il suo sinuoso corpicino nascondeva o meno soavi forme di donna, il compagno Mangiamorte decise di richiamarlo all'ordine e con un sonoro sbuffo contrariato l'ex Serpeverde ubbidì e lasciò ricadere senza troppa cortesia il volto della Huxley nel suo piatto ancora parzialmente riempito dalla cena mai terminata.
    Lentamente l'uomo scese i pochi gradini che dividevano il piano rialzato dove era situato il tavolo dei professori dalla restante sala grande e con veloci e precisi colpi di bacchetta rese innocui tutti i fantasmi presenti nella stanza per poi resettarne i ricordi della serata. Non potevano permettersi che qualcosa minasse la riuscita del loro piano perfetto, tutto era stato progettato e programmato per mesi e mesi dai due uomini e non sarebbero stati degli stupidi fantasmi a far saltare loro la copertura, né tantomeno gli innumerevoli quadri presenti nel castello, che come da piano pattuito, sarebbero stati resi presto ciechi da un denso fumo scuro che avrebbe impedito loro di osservare gli spostamenti dei mangiamorte. La ricerca della perfezione di entrambi li aveva però portati ad aggiungere un'ulteriore corda di sicurezza che consisteva nel neutralizzare a ognuno dei personaggi dipinti sulle tele i ricordi presenti nelle loro fittizie menti per potersi accertare che nulla venisse sussurrato su di loro. Bocche troppo larghe e lingue troppo lunghe avevano quei maledetti quadri e i due mangiamorte lo sapevano fin troppo bene essendo loro spesso i primi a servirsi delle varie voci e conoscenze dei dipinti pettegoli. «Non sono pagato abbastanza per tutto questo» Brontolò scherzosamente l'ex Serpeverde che per far si che quel difficile trucchetto che era il suo talento innato riuscisse, dovette ricorrere a tanta concentrazione e forza interiore, una forza che spesso evitava di usare perché troppo pigro per impegnarsi sul serio in qualcosa che non gli convenisse sul serio fare. Uno sforzo duro sì, ma ben ripagato visto che gli permetteva di vantarsi di essere il braccio destro di colui che avrebbe riportato al suo originario splendore la società magica ormai troppo lasciatasi andare a quegli stupidissimi principi di armonia e fratellanza col mondo intero. «Spero proprio di sì o farò in modo che quel dannato succhia sangue si secchi al sole» Edmund non aveva nulla contro i vampiri, quasi li trovava affascinanti anzi, ma la puntualità era per lui tutto e non amava affatto che lo si facesse aspettare, a maggior ragione se i minuti per portare a termine un piano studiato al millimetro erano contati e preziosi.
    Senza perdere tempo per accertarsi che il loro contatto si trovasse fisicamente dall'altra parte di quel muro ormai da anni reso impenetrabile cominciò a provare diverse combinazioni di incantesimi per abbattere la barriera magica che lo proteggeva, chiunque aveva deciso di ergerla sapeva il fatto suo e tentare di abbattere quel muro incantato senza aver messo prima KO tutti gli abitanti del castello era follia pura, il rumore sarebbe giunto alle orecchie di chiunque e visto che i mangiamorte non avevano trovato altri modi per poter attuare i loro piani in tranquillità, quello di avvelenare fino all'ultimo studente e professore presente nel castello era stata l'unica via possibile, ma fu priprio quando i primi mattoni cominciarono a cadere al suolo che un rumore diverso da quello prodotto dai loro incanti distruttivi si fece strada nell'apparato uditivo dell'uomo. «Lo hai sentito pure tu?» Domandò allarmato al compagno Mangiamorte ignorando la presenza dell'altro uomo che forse poteva iniziare a sentirli fra un veloce saettare di incantesimi e l'altro. «Shhh, fermati fermati, forse abbiamo compagnia» Sussurrò facendo cenno al non morto dall'altra parte del muro di cessare a sua volta il "fuoco". Non doveva volare una mosca e se davvero avevano compagnia avrebbero dovuto pensare in fretta a come apporre rimedio a quell'imperfezione che rischiava di compromettere i loro piani. Niente e nessuno avrebbe rovinato la loro ambiziosa impresa di rendere nuovamente agibile il passaggio segreto del terzo piano, passaggio segreto che avrebbe loro garantito una strada non sorvegliata verso l'esterno e un entrata sicura per agevolare un'eventuale ingresso dei loro fedeli seguaci.
     
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    Quando aveva messo piede per la prima volta ad Hogwarts, un paio di anni fa, era rimasta colpita dalle carrozze che si ergevano in volo, trainate da creature visibili solo a chi aveva avuto a che fare con la morte. Eileen, adesso, di anni ne aveva trentuno e ancora non riusciva a vederle. Era un suo desiderio quello di osservare in prima persona i Therstal, ma il prezzo da pagare era troppo alto. Non voleva vedere nessuno, soprattutto le persone che amava, morire davanti ai suoi occhi. Sarebbe impazzita. Si era sempre fatta guidare dalle emozioni, sia in positivo che in negativo, ma un lutto non lo aveva mai provato e, se il dolore era così forte come tutti dicevano, era meglio così. Scosse la testa, allontanando quei macabri pensieri mentre la carrozza sulla quale viaggiava, atterrava. Era arrivata in quella che era la sua seconda casa: Hogwarts. Da quando aveva iniziato a lavorare nella sua vecchia scuola, due mesi fa, era entrata a far parte di una grande famiglia ed era felice di aiutare gli studenti a non prendere una cattiva strada. Erano ancora troppo giovani per avere a che fare con l'oscurità, anche se molti di loro l'avevano già incontrata. Perché i maghi erano così disturbati? Che bisogno c'era di usare la magia nera per uccidere quelli che, per loro, erano esseri inferiori? Sua madre era una babbana e anche una delle donne più forti che conosceva, non si era arresa davanti a niente e suo padre, un purosangue bigotto, aveva perso la testa per lei. Ma per quanto l'amasse non era riuscito a proteggerla dalla crudeltà del Mondo Magico. Una volta appresa la storia di Voldemort e dei suoi seguaci, infatti, aveva cercato di allontanarla dalla magia senza capire che era parte integrante della sua persona.
    Una volta scesa dalla carrozza, si avviò a passo svelto verso la Sala Grande con un sorriso a trentadue denti che le incorniciava il viso, felice di poter partecipare al buffet della festa che più amava. Stamattina aveva ricevuto una lettera da suo padre e il suo contenuto l'aveva fatta sbiancare. Sua madre era svenuta ed era stata portata in ospedale. Senza perdere tempo si era recata nella Londra Babbana, sperando che stesse bene. Il solo pensiero di non poterla più abbracciare le aveva causato un attacco di panico. Per fortuna non era niente di grave, solo un abbassamento di pressione. Le aveva fatto prendere un colpo! Le era stata vicino per tutto il giorno e, solo quando si era addormentata, si era allontanata. Fosse stato per lei sarebbe rimasta al suo fianco anche per tutta la settimana, ma suo padre l'aveva convinta a tornare al castello visto che c'era il banchetto di Halloween, un evento da non perdere.
    Non appena mise piede nella scuola però, si accorse subito che c'era qualcosa che non andava. C'era troppo silenzio. Dov'erano finiti tutti? Iniziò a correre con la speranza di incrociare qualcuno nei corridoi, ma niente. Quando arrivò in Sala Grande rimase sconvolta da ciò che vide: erano tutti immobili, con le teste chine sul tavolo. Erano morti? No, non era possibile. Quella scuola era letteralmente una fortezza! Si avvicinò alla professoressa di Trasfigurazione, mettendole una mano a pochi millimetri dalla bocca per vedere se stesse ancora respirando. Quando sentì il fiato solleticarle il palmo della mano, tirò un sospiro di sollievo. Stava bene. Fece la stessa cosa con gli altri docenti, cercando di svegliarli in tutti modi, scuotendoli e lanciando Innerva a ripetizione, ma fu tutto inutile. Cosa cavolo era successo? Chi aveva osato fare una cosa del genere? Era uno scherzo di cattivo gusto ed era certa che il preside la pensasse esattamente come lei. Peccato che anche lui fosse privo di sensi come tutti. O quasi. Il vicepreside e il professor Blackwood mancavano all'appello. A quel punto Eileen uscì e iniziò a cercarli, non poteva risolvere l'intera faccenda da sola, aveva bisogno del loro aiuto. «C'E' NESSUNO!? È UN'EMERGENZA!» Ma dove cazzo erano finiti? Gli studenti e i loro colleghi erano nei guai, dovevano fare qualcosa, maledizione! Corse a perdi fiato per tuta la scuola, le gambe bruciavano, ma non si fermò, non poteva. Controllò l'infermeria, la biblioteca, la sala trofei e persino la piscina, ma niente, di loro non c'era traccia. D' un tratto, però, sentì delle voci e una di queste le era vagamente famigliare. Svoltò l'angolo e si ritrovò faccia a faccia con Blackwood, dietro di lui c'era anche il vicepreside. Li aveva trovati, finalmente! «Eccovi qui, grazie al cielo! Sono svenuti tutti al banchetto, c'è qualcosa che non va!» Aveva il fiatone, però riuscì a formulare una frase di senso compiuto. Per un attimo le parve di scorgere della rabbia nei loro occhi, ma si era sicuramente sbagliata. Infondo, perché mai avrebbero dovuto esserlo? «Avanti, andiamo! Hanno bisogno d'aiuto!» Li incitò. Che state aspettando, muovete il culo!

     
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  4. Javier.
     
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    Avevo lasciato Mielandia nelle mani delle mie dipendenti, dando loro – come direttiva – quella di regalare piccoli sacchettini di dolciumi ai bambini più piccoli, così da rendere la loro notte di Halloween più lieta. Non ero quel genere di imprenditore che faceva di tutto pur di racimolare qualche zellino in più, anche perché di soldi ne avevo accumulati fin troppi, nel corso della mia esistenza. No, quello che facevo, lo facevo per divertimento e per curiosità nei confronti del genere umano, oltre che per sopravvivere – chiaramente. Una non-vita, in realtà, un inganno agli altri, a me stesso ed alla morte stessa, frutto di una vicenda che ormai avevo dimenticato, a causa di tutti gli anni ch'erano trascorsi. Avevo perso il conto, un po' per la mia fragile memoria, un po' per i miei poteri ed un po' perché non si poteva certo ricordare tutto se si vive per così tanto tempo. Da un certo punto di vista, meglio così. Non trovate sia (quantomeno) spiacevole, dover ricordare ogni giorno l'attimo della vostra morte? In tutto ciò, una cosa non aveva mai perso di valore, per il sottoscritto: la musica. La musica riusciva a tenermi legato alla realtà più di qualunque altra cosa, in particolare la lirica. Fu così che, poco prima di partire per il castello di Hogwarts, presi un vinile dalla sua custodia e lo andai ad adagiare sul giradischi; quindi portai un dito a sollevare il braccio, onde collocarlo poi in uno specifico punto, per poi abbassarlo fino a quando la puntina andò a slittare sul disco. Uno scricchiolio ovattato fece emergere un sorriso dalle increspature presenti sul mio viso, quindi mi accomodai sulla poltrona, prendendomi il tempo necessario per accavallare la gamba destra ed agguantare il calice, precedentemente lasciato sul tavolino limitrofo.


    Ricordo quella sera...i tre tenori, l'Italia, la Traviata...quanti anni saranno passati, una trentina?
    Pensai tra me e me, portando il bicchiere alla bocca, in modo da sorseggiarne il contenuto color carminio, ancora fresco. Avrei continuato a oltranza, fino al termine del brano, per poi adagiare la coppa sul ripiano in legno e – impugnata la bacchetta – dislocarmi. Nel luogo in cui nessuno mi avrebbe cercato: nella cantina della stessa Mielandia.
    Libiamo, libiamo ne'lieti calici
    che la belleza infiora.
    Andai con la bacchetta a sollevare la lastra in pietra, scostandola di lato così da scoperchiare il passaggio che mi avrebbe condotto a metà strada, là dove mi avrebbe atteso il mio contatto e – con esso – il suo collega.
    E la fuggevol ora s'inebrii
    a voluttà.
    Scesi all’interno dell’apertura, canticchiando alcuni versi dell’Opera precedentemente ascoltata nella mia dimora, proseguendo poi a piedi attraverso il tunnel che (per quell’evento) avevo provveduto ad illuminare per tutta la sua lunghezza o, per meglio dire, fino al muro impenetrabile, fatto erigere dal Ministero.
    Libiamo ne'dolci fremiti
    che suscita l'amore.
    Trascorsero diversi minuti dal punto d’inizio, d’altronde non avevo alcuna fretta – essendo partito una buona decina di minuti in anticipo – malgrado, di tanto in tanto, prendessi fuori il mio orologio da tasca, risalente al XVI secolo. Certo, v’era solo la lancetta dell’ora, ma per uno che aveva vissuto secoli risultava una congrua unità di misura, non vi pare? Tralasciando il fatto che l’appuntamento era all’incirca verso le 9:00pm.
    poichè quell'ochio al core
    Omnipotente va.
    Puntata la bacchetta in direzione della barriera, un leggero sorriso emerse sul mio volto impassibile e, pochi istanti più tardi, un sinistro scricchiolio annunciò la nascita di un intenso fascio di magia dalle sfumature smeraldine, il quale schioccò fino ad abbattersi sulla parete magica stante dinanzi a me.
    Tra voi tra voi saprò dividere
    il tempo mio giocondo;
    Tutto è follia nel mondo
    Ciò che non è piacer.
    L’intera zona venne pervasa da una costante vibrazione, del tutto simile ad una piccola scossa tellurica, venendo poi accentuata non appena anche l’altro lato venne colpito dalle combinazioni di incantesimi del mangiamorte. Poco a poco, il muro infuso di magia e rune protettive iniziò a sgretolarsi, assottigliandosi sempre più ad ogni minuto trascorso sotto il fuoco magico incrociato. Sarebbe bastata un’altra manciata di secondi per eliminare del tutto il blocco, tanto che iniziai a udire la voce del giovane ragazzo con cui avevo avuto modo di interloquire. Mi chiese d’interrompere l’attacco, preoccupato che avessimo compagnia e – per quanto reticente all’idea – diminuii l’intensità della fattura, fino a quando non si disperse del tutto. Abbassai la mano e attesi, sistemandomi la cravatta con fare abitudinario. Giunto a quel punto, avrei potuto udire tutte le voci stanti dall’altra parte e…lo feci, chiaramente. Una voce femminile giunse alle mie orecchie, appartenente ad una giovane donna che sembrava non essere per nulla al corrente del nostro piano. Inizialmente, mi domandai per quale motivo ci fosse qualcuno ancora sveglio ad Hogwarts, tanto da iniziare a dubitare della professionalità di questi tanto decantati mangiamorte.


     
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    Ed eccoli lì finalmente giunti a destinazione, finalmente fermi dinanzi la parete formata dalla schiena della statua di quella che veniva chiamata “la Strega Orba”. La donna, incrinata dal peso della sua immensa gobba, celava uno dei passaggi segreti di cui il castello di Hogwarts era disseminato ma nello specifico, ai due mangiamorte, interessava quello. Il passaggio, infatti, era una via d’accesso diretta all’esterno, al di fuori delle protezioni magiche e permetteva d’entrare e d’uscire comodamente e, con una certa premeditazione, farlo passando del tutto inosservati. Era proprio a questo che i due mangiamorte puntavano. Avevano studiato a lungo, soprattutto il Blackwood era stato incaricato della cosa poiché il vicepreside a causa degli impegni dati dalla sua carica era impossibilitato a ritagliarsi il tempo necessario per svolgere le dovute ricerche e in questo il professore d’erbologia era una mano attenta e fidata. Si era quindi documentato a modo nonostante le informazioni in loro possesso fossero ben poche; l’ “incompetente”, così piaceva a Dylan definirla, non aveva documentato, per loro sfortuna, gli incanti utilizzati per la sigillatura del passaggio. Come sempre la Rei aveva fatto le cose di pancia lasciandosi intimidire dalle parole del vecchio gestore del locale stufo di vedersi periodicamente spuntare dalla cantina studenti che dapprima ignari scoprivano l’entità di quel passaggio. L’indiana lo aveva quindi chiuso nonostante la stessa associazione studentesca si fosse ribellata a memoria dell’importanza di tali passaggi nei tempi della seconda guerra dei maghi. “Uno dei tanti errori Aishwarya”, ne sorrideva adesso il mangiamorte tronfio della sua posizione dopo che era riuscito sottilmente a fare spodestare la donna quando insegnava ed inoltre manteneva il ruolo nel consiglio dei genitori, le aveva reso la vita un inferno a lei e alla compagna di bevande di quell’altra inetta della De Masi. Eliminare tutta quella feccia era per lui motivo di grande orgoglio. Il prossimo passo, adesso, sarebbe stato eliminare anche quell’inutile vecchio che giaceva sul suo scranno credendo di governare quando alla fine era unicamente un presta-volto del titolo, buono unicamente ad apporre certune firme ma non per regnare, quello non lo faceva ormai da tempo da quando la malattia era andato a mano a mano mangiandolo da dentro. «Cominciamo», sentenziò mettendo a parte il collega dell’inizio dei veri lavori. La scuola era ora addormentata, persa in un incubo collettivo che li avrebbe distratti da quello che era il reale motivo. I due cominciarono immediatamente a scagliare incantesimi, alcuni di una certa complessità persino, quando la mano di Blackwood saettò dinanzi ad entrambi intimando il silenzio: aveva sentito qualcosa ma... era impossibile? O forse no. Dylan si fermò e concentrandosi espanse la sua mente fino a raggiungere quella della donna. Sì, c’era qualcuno di sveglio e quel qualcuno si stava dirigendo esattamente da loro. «Si, l’abbiamo.» Senza scomporsi il vicepreside fece per riporre la bacchetta nella tasca interna della giacca e con una successiva occhiata intimò al compagno di fare, se non lo stesso, di nascondere il legno.
    «Eccovi qui, grazie al cielo! Sono svenuti tutti al banchetto, c'è qualcosa che non va!» Esclamò la donna portandosi una mano al petto per moderare forse l’affanno. Dylan strinse le labbra. «Miss Smith, quale piacevole incontro.» Non aveva chiesto un congedo? Maledetta donna. Dylan abbozzò un sorriso avvicinandosi alla donna. «Posso intuire che sua madre sta molto meglio rispetto a stamattina, è corretto?» Continuava ad avvicinarsi a lei, cordiale, il sorriso appena accennato che ne ammorbidiva i lineamenti senza tuttavia mai arrivare allo sguardo. «Mi stava dicendo della Sala Gande? È tutto sotto controllo. È giusto che stiano così, fa parte dell’intrattenimento pensato. Sono... all’apparenza addormentati ma il preside Edevane ha avuto un’idea eccezionale. Un’escape room, così la chiamano i babbani», sulle sue labbra la parola “babbano” assumeva la totale connotazione di un insulto. «Via, Eileen, si stanno divertendo.» Sorrise più apertamente fino a poggiarle ambo le mani sulle spalle. «Il problema è che lei non si divertirà.» Una scarica di dolore partì dalla mente del mangiamorte propagandosi alla giovane psicologa che sarebbe finita urlante sul pavimento percependo il suo sistema nervoso andare in fiamme. «Sbarazzati di lei, Blackwood.» Concluse. Come, non era di suo interesse. Poteva cancellarle la memoria, rendendola un’ameba, oppure, poteva semplicemente porre fine alle sue sofferenze con l’anatema mortale o ancora... beh, renderla la sua bambola. Conosceva vagamente i gusti singolari dell’uomo, non li condivideva, nella maniera più assoluta ma finché le sue inclinazioni malsane non avrebbero causato loro danni o fosse arrivato a toccare ciò che era di sua proprietà, non aveva problemi con l’uomo, anzi, poteva soprassedere su certi comportamenti. Strinse le labbra in una smorfia scoccando un’ultima occhiata alla donna ansimante di dolore sul pavimento e lascio che fosse l’uomo a deciderne le sorti come un avvoltoio che volteggia sulla sua preda.
     
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    Eileen aveva sempre odiato il nero. Era un colore triste e spento che aveva a che fare con la morte. Nella sua vita aveva incontrato molti uomini dagli occhi neri, ma quelli del vicepreside erano così scuri da sembrare quelli di un demone. La osservava con freddezza e, anche dopo aver saputo ciò che era successo in Sala Grande, non si era minimamente scomposto. Un tipo come lui non poteva essere il futuro preside di Hogwarts, avrebbe portato la scuola alla rovina. Fece un passo indietro quando lo vide avvicinarsi, non le piaceva il modo in cui le stava parlando e nemmeno come la guardava, al pari di un predatore che stava per gettarsi sulla sua preda. D'istinto portò la mano destra sulla bacchetta che teneva in una delle tasche posteriori dei pantaloni, non voleva attaccare il docente ma si sa, la prudenza non è mai troppa. «Sì, molto meglio.» Più si avvicinava, più lei si allontanava. Aveva lo stesso sguardo di quel bastardo che aveva provato a strangolala anni fa. Per mesi era stato un suo paziente, era caduto in depressione dopo il divorzio e in lei aveva trovato qualcuno che lo ascoltasse, lo capisse. L'aveva corteggiata, facendole dei regali e invitandola più volte ad uscire. Lo aveva rifiutato più di una volta, ma ad una certa, aveva perso la testa e l'aveva aggredita. Era riuscita a respingerlo solo grazie alla magia. Si era vendicata facendolo rinchiudere, ma da allora si fidava meno della gente, tenendo alla larga da chi non le dava delle belle sensazioni. Era sempre andata a pelle con le persone e non si era mai sbagliata. Per lei le apparenze contavano eccome.
    Quando aveva parlato per la prima volta con Dylan White, non le aveva fatto una bella impressione e, col tempo, la sua opinione su di lui non era migliorata. Conosceva di vista sua figlia, Rose, e più di una volta si era trattenuta dal chiederle come stesse. Aveva delle occhiaie spaventose, era pallida e a stento si reggeva in piedi. Si era chiesta perché non le fosse vicino, come potesse essere così insensibile di fronte al suo disagio. E se un padre non si preoccupava per il sangue del suo sangue, perché avrebbe dovuto farlo per degli estranei? Ma ciò che le fece capire che fosse un uomo deviato, fu il disprezzo con cui pronunciò la parola "babbani." A quel punto estrasse la bacchetta e lo guardò in cagnesco, come osava? In sua presenza insulti del genere non erano ammessi. «Non mi piace il modo in cui sta parlando professore, e nemmeno le cose che sta dicendo. Nessuno si sta divertendo. Sono in pericolo.»Per un attimo il suo sguardo si posò su Blackwood. Non disse una parola, limitandosi a osservare la scena. Che stronzo. Avrebbe fatto meglio a chiamare gli Auror, ci avrebbero pensato loro a sistemare le cose. Purtroppo, però, un dolore simile a quello di una Cruciatus la travolse. Eileen urlò, portando entrambi le mani alla testa e stringendo i denti, mentre le lacrime iniziarono a scendere. Si accaasciò sul pavimento, pregando un Dio che non conosceva di porre fine a quell'agonia. Era opera di un Legilimes. Cercò di riprendere il controllo ma fu tutto inutile, l'unico modo era quello di far uscire dalla sua testa quel bastardo, più facile a dirsi che a farsi. "Sbarazzati di lei, Blackwood." Erano degli assassini, dei mangiamorte. Perché nessuno se n'era accorto? Com'era possibile che girassero indisturbati nel castello!? Doveva fuggire, non poteva morire così. Con uno sforzo disumano e una volontà che non credeva di avere si rimise in piedi.«ELYFANTO!»Urlò l'incanto con tutto il fiato che aveva in gola. Scagliò l'enorme creatura che aveva evocato su di loro e ne approfittò per scappare. Corse più veloce che poté, senza mai voltarsi indietro. Aveva ragione sua madre quando diceva che il Mondo Magico l'avrebbe portata alla rovina, ma la rossa non le aveva mai creduto, il suo posto era lì, non tra i babbani. In un momento di rabbia le aveva tolto la voce per non sentire più quelle stronzate. Non avrebbe mai lasciato la magia né ciò che suo padre le aveva trasmesso. Eppure, in quel momento, mentre correva per salvarsi, desiderò di averlo fatto, perché ogni fibra del suo essere le diceva che, quella notte, non sarebbe sopravvissuta.




    Edited by Eileen - 23/11/2022, 20:33
     
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    Come da lui intuito presto si aggiunse alla conta dei presenti una quarta persona, una persona non invitata e che quella sera non si sarebbe nemmeno dovuta trovare al castello. Il mangiamorte si sarebbe vantato più tardi di quanto il suo udito fosse fino e lo avrebbe fatto con un sorrisetto compiaciuto per aver superato in abilità il suo compare che della presenza della donna si era reso conto solo svariati secondi dopo, quando con grande concentrazione aveva usato quel suo tanto fastidioso dono mentale. Edmund non sopportava i legilimens, li aveva sempre trovati decisamente troppo impiccioni per i suoi gusti e per quanto lui per primo amasse impicciarsi degli affari degli altri quando la medesima sorte toccava la sua persona si sentiva come profanato e questo gli procurava un forte fastidio. Col vicepreside aveva però trovato una sorta di tacito accordo che vedeva lui evitare di cancellare volontariamente i ricordi all'uomo e l'altro starsene fuori dalla sua disturbata mente. Troppi pensieri di dubbia moralità sfioravano l'ormai da tempo ex Serpeverde e seppure all'interno del castello tentava di reprimere i peggiori talvolta essi divenivano talmente invadenti che soddisfare le proprie voglie immorali pareva essere l'unica via per tornare in sé e quando fisicamente non poteva in alcun modo appagare certi desideri era allora costretto a sbizzarrirsi con la fantasia, per questo era di vitale importanza che il White se ne stesse nei suoi alloggi mentali senza invadere i suoi. Quel damerino ingessato avrebbe finito per scomporsi troppo dinnanzi certe scenette perverse e il buon Blackwood non voleva in alcun modo disturbare il suo amichetto di classe. «Avresti fatto meglio a rimanere dov'eri mia dolce Eilen» Esclamò il mangiamorte con un tono leggermente eccitato nel vederla contorcersi dal dolore ai piedi del vicepreside. «Vai a vedere che forse forse i due condividevano pure certe perversioni» Pensò poi osservando il volto impassibile dell'uomo dinnanzi allo strazio della donna. «Ecco perché si era sempre sentito tanto in sintonia con lui» «Sarà un piacere» E lo sarebbe stato sul serio se prima non si fosse dovuto liberare di quella noiosa creatura mostruosa che la puttana gli aveva scagliato contro in un atto di masochistico coraggio. Masochistico perché tale impiccio aveva fatto solo innervosire maggiormente l'uomo che già era famoso per la sua quasi inesistente pazienza e ora se davvero credeva che da quelle mura ne sarebbe riuscita a uscirne viva, o per lo meno intera, si sbagliava di grosso. Povera troia illusa. «Continuate pure voi altri, papino deve andare a riprendersi la sua dolce bambina» Esclamò con un ghigno indefinito sul volto mentre -dopo essersi liberato con un paio di incantesimi della noiosa creatura- andava a mutare la sua forma d'uomo in quella più svelta e reattiva del suo io animagus. Una gazza ladra se vi interessa saperlo, un elegante e bellissima gazza che si sarebbe scagliata contro la sua preda seguendone da lontano i movimenti fino a riuscire a superarla con un veloce battere di ali al momento più opportuno. «Fine della corsa tesoro» Sibilò freddamente tornado repentinamente nella sua forma umana a un paio di centimetri da lei. Centimetri che furono colmati dalla sua mano destrosa perfettamente priva di calli o altri inestetismi dovuti a un duro lavoro manuale che si andò a scontrare con forza sul morbido viso della donna. «Odio dover rincorrere le puttane come te» Tuonò questa volta spazientito mentre la donna -in seguito alla forza applicata sulla sua esile figura-, si andò ad accasciare a terra dolorante. Lì un calcio ben piazzatto all'altezza della bocca dello stomaco per privarla del respiro la raggiunse e solo quando la donna si ritrovò costretta ad appiattirsi sul freddo pavimento del castello il mangiamorte, mosso da una qualche forma di pietà, decise di interrompere il suo strazio con la magia per renderla inoffensiva. La donna perse i sensi in pochi secondi e immediatamente l'ex Serpeverde si avvicinò al suo corpicino privo di sensi per neutralizzare i ricordi di quella serata dalla sua mente prima di riportare la donna dai compagni mangiamorte per deciderne assieme le sorti. «Purtroppo non posso tenerti con me tesoruccio, una bambola delle tue dimensioni temo attirerebbe troppo l'attenzione se posta da qualche parte nei miei alloggi» La donna aveva in comune con la professoressa di Trasfigurazione la lingua lunga e raramente l'aveva sentita tacere, figuriamoci se avrebbe iniziato a farlo ora. Questi e altri motivi avevano reso chiaro fin da subito all'uomo che quella focosa rossa non sarebbe potuta restare oltre in quel castello, né come donna libera né come occasionale bambola del sesso.
    Per quanto Edmund si ritenesse un esperto nell'arte della cancellazione della memoria era però conscio dei limiti che alle volte essa presentasse e per quanto nella stragrande maggioranza dei casi la cancellazione avveniva senza intoppi, in altri, se praticata senza la dovuta calma e accortezza, poteva rivelarsi poco affidabile e il mangiamorte non aveva assolutamente intenzione di sfidare la sorte con un caso tanto spinoso quanto pericoloso per la sua copertura e quella del vicepreside White. «Non possiamo tenerla come animaletto domestico temo, se a voi non dispiace io estirperei il problema alla radice» Affermò l'uomo gettando a terra il corpo ancora esanime dopo esserselo portato in spalla per due corridoi e una rampa di scale. Correva veloce quella troia. «Ebbene se non ci sono obbiezioni...» Alzò la bacchetta in direzione del corpo pronto a scagliare l'anatema che uccide senza alcuna riserva. Ne aveva uccise a dozzine di giovani donne simili a lei e non sarebbe stata di certo la sua coscienza a trattenerlo dal fare quel che riteneva più sicuro per tutti.
     
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  8. Javier.
     
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    Dopo tutti quei decenni vissuti in compagnia degli esseri umani – quelli vivi, s'intende – la fragilità della loro boria riusciva ancora a sorprendermi. Mi era stato assicurato che fosse stato pianificato tutto senza sbavature ma, eccomi di nuovo qui a dovermi fermare a causa di un contrattempo. Sospirai. Nessuno mi avrebbe potuto udire da oltre quel sottile strato, specialmente la proprietaria della terza voce che riuscii a udire da dietro la rimanente muratura. Abbassai per un attimo la bacchetta, portando poi con assoluta calma la mancina a tenere il polso opposto, mentre con il mio udito restavo in ascolto della breve conversazione tra uno dei due maghi oscuri e l'incognita: Eileen Smith. Avrei potuto buttar giù quel rimasuglio di sbarramento in qualunque istante, considerato il fatto che la magia che lo impregnava se non debole, poteva tranquillamente darsi per inesistente. Era stata eretta per bloccare studenti o per rallentare adulti esterni, così da concedere del tempo ai docenti per organizzare una valida difesa dal lato di Hogwarts; di certo, non era stata progettata per resistere a lungo da attacchi simultanei da ambo le parti. Malgrado sarei probabilmente riuscito a sgretolare il muro con un colpo solo, mi parve piuttosto maleducato intromettermi in questioni che non mi riguardavano. Rimasi immobile quando sentii le urla di dolore, ma non quando udii la voce della donna richiamare un incanto di un certo livello, quale era l'Elyfanto. Le labbra manifestarono un misto tra una smorfia ed un sorriso, come se una punta di sorpresa avesse colorito il mio viso. Considerati i gemiti di dolore della ragazza, la mancanza di passi o di altri rumori richiamanti incanti, uno di loro doveva aver usato su di lei un qualche potere che la piegasse a livello mentale. Nonostante questo, Eileen Smith era comunque riuscita a racimolare sufficiente concentrazione per poter castare un incanto simile...quindi si, ne fui sorpreso. Presi quindi fuori il mio orologio a cipolla quando il mio contatto proclamò l'inizio dell'inseguimento, osservando più per contemplarlo che per un reale uso dello stesso. I conti li feci a mente e dovetti sorprendermi ancora una volta nel constatare quanto lontana fosse riuscita ad arrivare dal punto di partenza, considerati i tacchi che le sentii calzare durante la fuga. Il suo istinto di sopravvivenza era forte, così come era agile il suo corpo ed il binomio tra queste due caratteristiche non poté che farmi prendere un'importante decisione: portai la punta del catalizzatore in direzione dello strato di pietra ancora integro, onde poi formare con essa il corretto movimento. I due mangiamorte, non sarebbero riusciti a udire il nome dell'incanto, tuttavia videro il muro ad alcuni metri di distanza esplodere in mille pezzi, dando origine ad un'apertura sufficientemente ampia da concedermi di passarvi attraverso.

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    E fu proprio quello che feci, portando un passo dietro all'altro sul cumulo di detriti causato dalla Bombarda Maxima da me scagliata. Nel farlo, mi sarei assicurato di sistemare la cravatta, la quale – a causa dello spostamento d'aria – era uscita dal suo asse, dalla sua...corretta posizione.
    Giovinotto.
    Esordii nei confronti del giovane Edmund con voce pacata ed un tono di voce paternalista, quasi mi stessi rivolgendo ad un bambino che stava per dare il colpo di grazia ad una lucertola sul ciglio di una strada. Mi limitai quindi a compiere un silenzioso cenno negativo col capo, come a suggerirgli di non procedere con quello che stava per compiere. Se lui ed il suo compare avessero dato attenzione ai movimenti dei miei piedi, la loro vista sarebbe rimasta alquanto disturbata nel vedere con quale grazia e velocità riuscii a muovermi tra i detriti sparsi qua e là, fino a raggiungere il corpo della psicologa, al solo scopo di osservarla con attenzione.
    Chiunque sia costei, temo che ucciderla questa sera non farebbe altro che ostacolare la realizzazione del vostro piano.
    Solo allora il mio sguardo si levò verso quello del professore di DCAO, il quale avrebbe potuto osservare il tiepido sorriso, tipico di un anziano signore che si aggira nei dintorni di un cantiere aperto, pronto a dispensare perle di saggezza.
    Dico bene, vicepreside?
    Potevano usare quello studente come capro espiatorio e ci avrebbero creduto tutti, considerata la sua fresca espulsione dall'Istituto di Durmstrang, ma...macchiarsi di un omicidio? Quello sarebbe risultato ben più impervio da far passare come colpa sua, tenendo presente che lui stesso era caduto in quell'illusione e che c'erano troppi testimoni che avrebbero potuto affermare che la psicologa avesse fatto visita alla madre, circa a quell'ora.
    Ho una proposta per voi: prenderò in custodia questa donna e mi occuperò personalmente di lei, affinché non sia più una minaccia per nessuno di noi.
    Spiegai loro nel portare ambo le mani dietro la schiena, assumendo una postura pacifica e – al tempo stesso – mostrandomi sicuro delle parole che avevo appena detto loro. Sapevo come agire, d'altronde non era certo la prima volta che lo facevo e, nel caso in cui il vicepreside avesse provato a sondare la mia mente, avrebbe riscontrato una disarmante limpidezza e coerenza tra i miei pensieri ed il discorso appena compiuto.
    Avete delle domande da pormi su quello che le farò, oppure vogliamo passare direttamente al motivo per cui siamo qua? Prima, però, ci tengo a presentarmi personalmente...Javier Sergio Cedeño, è un piacere, Sir. White.
    Il mio sorriso si fece decisamente più largo e cordiale, tanto da provocare un posato cenno col capo nei riguardi del docente che non avevo ancora avuto modo di conoscere di persona.


     
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    Anni fa, la sua compagna di stanza le aveva detto di trovare Hogwarts inquietante ed Eileen era scoppiata a ridere. Lei amava quella scuola e, anche se in passato era stato lo scenario di una guerra, questo non significava che sarebbe successo di nuovo, i tempi erano cambiati, non c'era nessun mago oscuro da temere e i mangiamorte erano sempre meno. Quando era studentessa le piaceva girare di notte per i corridoi, trovava suggestivo il trovarsi da sola, al buio, tra le mura del castello e parlare con i fantasmi che lo infestavano, avevano molte storie interessanti da raccontare. Da amante dell'horror il suo preferito era il Barone Sanguinario e, anche se le aveva detto di andare al diavolo più di volte, Eileen aveva continuato a perseguitarlo per sapere come si era ridotto in quello stato. Non aveva mai raggiunto il suo scopo, però ora lavorava qui e poteva riprendere a tormentarlo con le sue richieste. Ma ormai non poteva più farlo, non ora che correva come un'ossessa per sfuggire alla morte. Due dei suoi colleghi erano degli assassini e vedevano ragazzi innocenti ogni giorno, non osava immaginare ciò che avrebbero potuto fare se fossero riusciti nei loro piani. Doveva sopravvivere, non solo perché aveva promesso a sua madre che l'avrebbe rivista l' indomani, ma anche perché aveva il dovere di aiutare quei giovani che, ignari, si erano fidati di due bastardi. Corse ancora più veloce, le gambe pulsavano e non aveva quasi più fiato, ma non aveva alcuna intenzione di arrendersi e non si sarebbe fermata fino a quando non sarebbe uscita da quel posto. Hogwarts non sarebbe diventata la sua tomba.
    Pensò di usare il Patronus per avvertire gli Auror quando, d' un tratto, un uccello le passò di fianco e si tramutò in quel pazzo di Blackwood che, cogliendola di sorpresa, non le diede il tempo di reagire e si avvicinò di scatto, stringendole con violenza il volto tra le mani. Trattenne un gemito di dolore, non gli avrebbe dato la soddisfazione di sentirla gridare di nuovo. Quello sguardo malato lo aveva visto in alcuni dei suoi pazienti, uomini deviati che a causa di traumi infantili avevano sviluppato un odio viscerale per le donne, vendendole come semplici oggetti da usare. Era diventata psicologa per aiutare la gente, ma quei soggetti li avrebbe fatti rinchiudere volentieri. Era pericoloso lasciarli a piede libero, prima o poi la loro malattia li avrebbe spinti a fare atti immorali, proprio come il verme che aveva davanti. «E io odio gli scarti umani come te.» Lo guardò con disprezzo e gli sputò in faccia. Questa puttana non sarebbe andata all'altro mondo senza fargli sapere quanto lo detestasse. La buttò a terra con violenza, dandole un calcio nello stomaco che le fece sgranare gli occhi dal dolore. Si accartocciò su se stessa, portando entrambe le mani sull'addome. Non poteva soccombere adesso, doveva avvertire gli Auror e salvare tutti, era quella la sua missione. Ma soprattutto doveva rivedere sua madre, non voleva che l' ultimo ricordo che aveva di lei fosse quello di una donna allettata, pallida e tremante. Samantha era gioiosa, allegra, divertente e lei voleva ricordare sua madre così e poi doveva chiederle scusa per le cattiverie che le aveva detto. Non potevano togliere quella possibilità. Non potevano! In un ultimo atto disperato lanciò un Diffido contro quella feccia, ferendolo in volto. Un taglio superficiale, inutile che servì solo a farlo innervosire di più. Le diede un altro colpo e poi pronunciò un incanto che non riuscì a sentire. Pian piano le forze la stavano abbandonando e, in un millesimo di secondo la sua intera vita le passò davanti, era arrivata la sua ora. Lo siento, mama. Con quel pensiero in mente lasciò cadere una sola lacrima prima di chiudere gli occhi e accasciarsi al suolo.



    CITAZIONE
    Mi dispiace, mamma.
     
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    Dylan
    Quanta pazienza e quanta insofferenza riuscivano a generare in lui quelle vittime oramai spacciate ma che si dibattevano nell’afrore degli ultimi istanti di vita. Dylan trovava vagamente affascinante, se se ne soffermava a pensare, il modo in cui si aggrappavano a quel filo sottile oramai segnato dal taglio incombente delle parche. Affascinante, ma in frangenti come quello, noioso. Il tempo che i due mangiamorte avevano ipotizzato, premeditato e predestinato per quel piano era preciso, l’effetto del veleno sarebbe svanito nel giro di una mezz’ora e i due non potevano permettersi di trovarsi altrove quando la prima vittima si fosse risvegliata dal sonno. Dovevano essere lì, presenti, a recitare la migliore performance della loro intera vita e fingere di svegliarsi anch’essi da quell’allucinazione. Dylan avrebbe poi dovuto recitare la parte cruciale, quella del vicepreside autoritario che avrebbe promesso di trovare e punire il colpevole che solo diversi giorni dopo si sarebbe materializzata nell’ignara figura del Romanov.
    La Smith sollevò la bacchetta puntandola verso i due mangiamorte, l’istinto della rossa aveva immediatamente intuito che qualcosa non stesse andando per il verso giusto e in un gesto disperato aveva alzato la bacchetta nel vano tentativo di difendersi trovandosi di risposta piegata sulla pietra fredda del corridoio del terzo piano, le urla stesse della donna che ne rompevano il silenzio tombale. Dylan allentò la presa sulla mente di lei con un sospiro e fu proprio sfruttando quell’attimo che lei tentò di fuggire castando un incantesimo piuttosto banale per distrarli. Fu Blackwood a gestire la cosa come poco prima gli aveva ordinato e sguainando anche lui la bacchetta si appropinquò ad abbattere il mostro. Dylan annuì al collega e senza scomporsi più di quel tanto tornò alla parete da abbattere. C’erano vicini, lo sentiva. Sollevò la bacchetta tornando a castare l’artiglieria pesante scaricandola ad infrangere l’incanto che la vecchia preside aveva eretto ma fu quando si fermò nuovamente, contemplando l’effetto che gli incanti avevano avuto – una lunga crepa sulla parete – che il vampiro dall’altra parte colpì con l’ultimo incantesimo decisivo. Sollevando il polso richiamò non verbalmente uno scudo difensivo che lo avrebbe protetto da pietra e calcinacci volanti e in una nube di polvere vide la figura aggraziata del non morto farsi largo tra le macerie. Dylan lo osservò, studiandolo, mentre avanzava riposizionando la cravatta che portava al collo. Lo squadrava e valutava quell’ennesimo scherzo della natura alla quale si era dovuto affidare. Blackwood aveva insistito in merito, aveva quasi dovuto lottare per convincerlo – razzista com’era – ad accettare nel suo piano un altro individuo in primis e che fosse addirittura sporcato da una maledizione in secondo luogo. Dylan non accettava quelle aberrazioni, per lui appunto erano tali in quanto costrette a placare i loro istinti con delle sostanze o alterando la forma del loro corpo, del loro tempio. Mutazioni, scherzi della natura, errori da estirpare ma concepibili solo se si guardava a loro come a mezzi per un secondo fine, quasi fossero oggetti da prendere, utilizzare e poi, una volta esaurito il loro potenziale, da gettare via. «Non possiamo tenerla come animaletto domestico temo, se a voi non dispiace io estirperei il problema alla radice», fece il docente di Erbologia palesando il suo ritorno con la donna priva di sensi in spalla. Dylan non replicò, gettò un’occhiata di sufficienza verso quella che ormai riteneva l’ex psicologa della scuola e scosse le spalle. L’indomani avrebbe dovuto preparare un nuovo annuncio di lavoro per quella posizione che si era appena aperta, certo... dopo i funerali, magari? Mh.
    «Chiunque sia costei, temo che ucciderla questa sera non farebbe altro che ostacolare la realizzazione del vostro piano.» Esattamente ciò a cui aveva appena pensato. Voltò lo sguardo verso il vampiro squadrandolo senza lasciare che la benché minima emozione trapelasse dal suo viso. «Dico bene, vicepreside?» Dylan lo studiò per un istante prima di replicare seccamente. «È corretto.» Sentenziò. «Lei che cosa propone... ?» Assottigliò lo sguardo mentre lasciava che la bacchetta scivolasse delicatamente nel palmo cercando di valutare la creatura senza l’ausilio del suo potere. I vampiri erano creature famose per il loro particolare talento che li votava all’arte del mentalismo. Tutto il loro fascino si basava principalmente nel modo in cui riuscivano ad ammaliare le vittime entrando in sintonia con le loro onde cerebrali manipolandole e soggiogandole a provare le emozioni che al predatore più aggradavano. Pericolosi. Infimi persino. Dylan non avrebbe permesso che il suo prezioso segreto fosse alla mercé di una creatura tanto subdola.
    «Nessuna domanda, solo una precisazione alquanto ovvia.» Sentenziò. Del destino della psicologa non poteva fregargliene di meno ma... «Se in qualche modo le sue cure non fossero abbastanza per contenere la lingua della signorina Smith voglio che per lei sia chiaro che non saremo noi quelli ad affondare», nella maniera più assoluta. «Precisato ciò sono lieto di fare la sua conoscenza signor Cedeño», un tiepido sorriso si forzò sulle labbra del vicepreside. «Come forse Blackwood le avrà anticipato quello di Hogsmeade è per noi un punto di passaggio particolarmente focale, non che sia l’unico mezzo», una risata appena soffiata, «ma forse quello più discreto per il passaggio indisturbato di merce e... persone», altri mangiamorte ad esempio quando sarebbe venuto il momento. «Voleva dirmi il suo compenso?» Si voltò per scoccare un’occhiata eloquente al compagno mangiamorte prima di tornare con lo sguardo sul... succhiasangue.
     
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  11. Javier.
     
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    Lo sguardo restò fisso su quello del vicepreside, accompagnato da un'espressione sfingea che non lasciava trasparire alcuna emozione – almeno fino a quando Dylan mi rispose affermativamente, condividendo il mio punto di vista. Fu in quel momento che un sorriso si sollevò sul mio viso, ritraendo un'espressione socievole che avrebbe rotto il ghiaccio tra noi tutti. Il professore di DCAO non usò il suo potere, ma gli fu comunque facile intuire che la mia espressione socievole non era che una facciata; una maschera che, nel corso dei secoli e delle migliaia di persone con le quali si era interfacciata, aveva avuto modo di farsi incredibilmente credibile. Non per lui e, probabilmente, nemmeno per Edmund – nel caso in cui avesse fatto particolare attenzione a quanto fosse stato netto il cambio espressivo.
    Le farò credere di aver ereditato la malattia della madre, una malattia che progredisce molto più rapidamente nei giovani.
    Portai le mani dietro la schiena, osservando la rosse svenuta ai miei piedi con fare parecchio interessato, come se mi stessi già pregustando il sapore del suo sangue fresco, tornando poi ad alzare lo sguardo verso la coppia di docenti, come se nulla fosse.
    Il pozionista mi aiuterà non solo a ricreare su di lei i sintomi della malattia, ma mi aiuterà anche a creare nella sua mente una realtà fittizia, tale da portarla a fidarsi di me, fino a quando...
    Iniziai a compiere alcuni passi attorno alla sua figura, mentre il sorriso iniziò a tramontare, rabbuiando il mio volto fino a diventare cupo come le tenebre notturne.
    ...non potrà far altro che chiedere il mio aiuto.
    Sentenziai, annuendo poi verso Edmund che – prima delle mie parole – stava per eliminare la donna con le sue mani.
    Morirà, in un certo senso.
    Feci quindi migrare lo sguardo su quello di Dylan, spiegando nel dettaglio il senso dietro a tutto questo. Non avevo alcun interesse nel celare le mie intenzioni a coloro che consideravo alleati; d'altronde ero stato piuttosto eloquente, quando spiegai a Edmund che avrei unito le mie conoscenze e le mie capacità alle loro, senza alcun sotterfugio.
    Quando riaprirà gli occhi diverrà una pedina esemplare.
    Avrei potuto anche spiegar loro il funzionamento delle progenie vampiriche, ma sarei sceso troppo nei dettagli e non mi sembrava affatto il caso di far perdere tempo ai giovani maghi oscuri in mia compagnia. Restai in silenzio per alcuni secondi, in attesa di eventuali richieste di chiarimento ma, a quanto pare, non ve ne furono. Il sorriso venne poi nuovamente issato sul mio volto quando White chiarì il fatto che, in caso di problemi con la ragazzina, sarei stato l'unico responsabile. Annuii serenamente, certo del successo che avrei avuto con lei, allargando il sorriso di qualche millimetro, quando poi l'uomo ricambiò la cordialità che gli rivolsi poc'anzi. Lo ascoltai poi con particolare interesse, quando riprese – con una breve spiegazione – quanto spiegatomi tempo addietro dal suo collega, sorprendendomi quando mi chiese cosa avrei voluto, in cambio dell'aiuto che avrei offerto loro.
    Compenso?
    Ripetei con tono curioso, quasi offeso.
    Figliuolo, non lo sto facendo per un tornaconto personale.
    Spiegai al vicepreside, il quale probabilmente sarebbe rimasto alquanto stranito nel sentirsi dire determinate cose da un suo alleato, conscio che tutti – chi più chi meno – volevano qualcosa, in cambio di ciò che offrivano. Tutti, eccetto chi aveva già passato secoli ad osservare le vicissitudini del genere umano.
    Lo faccio per svagarmi, per...rendere meno noiose le mie giornate.
    Lasciai loro qualche istante, così che potessero assimilare per bene le mie parole, continuando poi mia spiegazione così da rendere la mia posizione quanto più chiara possibile.
    Quando vivi così a lungo da veder sempre il bene trionfare sul male, nulla ti appare più importante del vedere gli esiti ribaltarsi, per una volta.
    Portai una mano verso il colletto della rossa, svenuta a terra, così da caricarla con disarmante facilità sulla mia spalla, preparandomi così a prendere congedo dal duo di maghi oscuri.
    È stato un incontro proficuo, nonché una piacevole conversazione, signori. Se non c'è altro, fate sapere a Ethan di passare in negozio non appena avrà tempo...vi auguro un “buon risveglio”.
    Mi sarei così incamminato nuovamente dall'altro lato del muro abbattuto con passo leggero e andatura elegante, come se alla mia spalla vi fosse una sciarpa e non un corpo umano, seppur esile...




    Grazie a tutti per la role :valzer: :ansia:
    Maniac ho lasciato intendere che i nostri pg avessero già interagito, per la creazione dei dolci, e che quindi si fossero già accordati per aiuti reciproci futuri. Fammi sapere se devo modificare o meno :fulvio:
     
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    «Tutta tua» Sentenziò l'uomo in seguito alla curiosa richiesta del succhiasangue. Cedeño era una persona, se così si poteva ancora chiamare, interessante. I due maghi oscuri avevano avuto modo di interagire svariate volte e fin da subito si erano ritrovati ad essere in accordo su numerosi argomenti, tant'è che alla fine l'ex Serpeverde si era ritrovato a chiedersi se quell'uomo non fosse colui che faceva al caso loro. Era stato così che il vampiro lì presente era infine entrato ufficialmente a far parte di quel piano perfettamente pianificato e ora stava facendo loro riflettere su un punto cruciale per la riuscita e la discrezione dello stesso, un punto che probabilmente aveva già dato a tutti e tre da pensare, ma che ora non si poteva sottovalutare,
    sarebbe stato sciocco farlo. Sicuramente il mangiamorte avrebbe trovato il modo di sbarazzarsi di quel corpo, si era occupato di simili impicci molteplici volte e mai era stato scoperto dagli auror di quel paese, ma se c'era qualcuno che insisteva tanto per farlo al posto suo non si sentiva affatto in dovere di protestare. Era un po' come avere la botte piena e la moglie ubriaca. Una moglie in grado di stare al suo posto e possibilmente in silenzio per non infastidirlo con le sue stupide pretese, ma pur sempre una moglie. «Ho già provveduto io alla sua memoria, per tutto ciò che riguarda questa serata è pulita, il resto starà a te Javier...» Sibilò l'uomo con tono basso e rilassato mentre si rivolgeva al vampiro con quel grado in più di confidenza che il vicepreside ancora non poteva vantare nei suoi riguardi. Non lo avrebbe definito un amico, quello no, Edmund non era il tipo da fare amicizia o stringere alcun tipo di rapporto duraturo che non fosse inerente ai suoi affari personali, ma si fidava di lui e ci avrebbe messo la mano sul fuoco sul fatto che quel bastardo non si sarebbe lasciato sfuggire la puttana dai capelli ramati. «Ci si vede, solito posto solita ora...» Fece alla volta del vampiro prima che scomparisse posato dietro al cumulo di macerie che presto sarebbero state eliminate dai due mangiamorte. Si riferiva a un vecchio bar poco frequentato nel quale si era ritrovato a conversare svariate volte con l'uomo e un buon bicchciere di vino rosso e ormai quell'amichevole incontro era divenuto un po' un appuntamento fisso e disinteressato dove poter interagire lontano da occhi indiscreti. «siamo in perfetto orario» Annunciò volgendo un veloce sguardo al suo orologio da polso dal cinturino in pelle nera. Tutto era andato secondo i piani e dopo aver ripulito l'area e aver castato qualche incanto illusivo atto a confondere l'occhio umano per convincerlo che nulla di quel posto fosse mutato, si diressero a passi svelti verso la sala grande. Lì avrebbero preso nuovamente posto sulle maestose seggiole del tavolo del personale scolastico, dove dando sfoggio delle loro migliori doti attoriali, avrebbero finto di risvegliarsi da quel sonno privo di sogni nel quale tutti gli adulti erano caduti vittima. Nessuno si sarebbe accorto di nulla e nei giorni seguenti il vicepreside avrebbe ordinato al Blackwood di indagare a fondo per trovare il colpevole dietro quel crudele scherzo. L'uomo avrebbe finto di faticare a trovarne uno per le prime settimane ma poi, grazie a una strabiliante intuizione e a prove che si sarebbero rivelate schiaccianti lo avrebbe infine trovato e tutti i genitori e studenti avrebbero avuto finalmente pace. Insomma, tutto è bene quel che finisce bene.«Buonanotte Sognor White...» Sussurrò divertito con un ghigno compiaciuto sul volto mentre si lasciava ricadere sul duro legno della sua seggiola per poi avvicinarla al tavolo e "svenire" a peso morto sul suo piatto della cena. La performance prima di tutto. Avrebbe avuto modo in seguito di ripulirsi della glassa al caramello salato che gli si era appiccicata alla guancia.
    Fu quando cominciò a udire i primi gridolini confusi degli studenti che, fingendosi intontito e stupito quanto i suoi colleghi, si ridestò dal suo apparente sonno per tentare allarmato di placare l'orda di ragazzini spaventati che saltavano come grilli dalle panche sulle quali erano seduti per poi cercare il conforto dei loro amici più stretti o andare a minacciare coloro che presumibilmente li avevano fatti fuori. Che visione gradevole.


    Conclusa!! Andate tutti in pace, tutti tranne la psicologa, lei e la pace dei sensi non avranno modo di incontrarsi per un po' temo.
     
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11 replies since 7/11/2022, 00:48   314 views
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